UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
News UCIPEM – n. 970 – 09 luglio 2023
UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI
“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.
Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone
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Carta dell’U.C.I.P.E.M.
Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto
1. Fondamenti antropologici
1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia
1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.
1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.
02 ADOLESCENTI Adolescenti, nell’arcipelago digitale resiste il desiderio di far famiglia?
03 BIBBIA “Dal ratto delle danzatrici al matrimonio”
05 Centro Internaz. Studi Famiglia Newsletter CISF – n.26, 5 luglio 2023
07 CONFERNZA EPISCOPALE IT. Approvate le Linee guida per la “fase sapienziale” del Cammino sinodale
07 DALLA NAVATA XIV domenica del tempo ordinario (anno A)
08 Un «giogo» di ampio respiro
09 DONNE NELLA (per la) CHIESA L’identità femminile nel Magistero della Chiesa
12 Che genere di liturgia. Se le donne salgono all’altare: l’analisi di una teologa
14 Le donne che hanno aperto la breccia nelle mura vaticane
16 FRANCESCO Vescovo di ROMA Fernández, ecco il “Ratzinger” di Francesco e la sua riforma
18 Fernández: «Ad alcuni do fastidio, mi considerano un usurpatore»
20 Fernández “Più potere alle donne. E la Chiesa sulle coppie gay non può solo proibire”
21 INFERTILITÀ MASCHILE La crescente infertilità maschile è legata anche all’inquinamento ambientale
23 NATALITÀ Dati Istat. .Rapporto annuale. Commento di Bordignon. .FAF
23 “Se non ci diamo un obiettivo, tra pochi mesi la situazione sarà irreversibile”. De Palo
24 PROSTITUZIONE “Papa Giovanni XXIII”: «Bene la risoluzione Ue»
24 SACRAMENTI Un libro di Paolo Cugini.” Un’Eucarestia meno formale e più relazionale”
26 SINODALITÀ Cammino sinodale: diocesi Prato, dialogo e ascolto dell’amministrazione comunale
26 SINODO 2023 Diffuso l’elenco dei partecipanti al Sinodo
26 Papa Francesco annuncia: “Concistoro il 30 settembre”. Ecco i nomi dei nuovi cardinali
28 SOCIOLOGIA L’uguaglianza di genere arretra
ADOLESCENTI
Adolescenti, nell’arcipelago digitale resiste il desiderio di far famiglia?
La sorpresa nella tradizionale indagine Iard: sette ragazzi su dieci aspirano a una relazione di coppia stabile e generativa. Preoccupazione più diffusa quella per l’ambiente. E a scuola vorrebbero l’educazione sessuale Guardano con crescente incertezza al proprio futuro, sono più preoccupati dell’ambiente e delle catastrofi naturali che non della guerra e della pandemia. Ammettono di essere psicologicamente dipendenti dai fashion blogger per quanto riguarda i loro ideali estetici, vorrebbero una scuola in cui si affrontassero come materie curricolare lo studio dell’educazione sessuale e dei social.
Ma nella valanga di dati e di argomenti presentati ieri nell’indagine del Laboratorio Adolescenza e dell’Istituto di ricerca Iard, con il supporto operativo di Mediatyche, su un campione nazionale rappresentativo di 5.670 studenti tra i 13 e i 19 anni, il dato davvero controcorrente è un altro. Sette giovani su dieci (71,1%) “si vede” a tempo debito in un rapporto di coppia stabile di convivenza o matrimonio, con figli. Solo il 10% (più le femmine che i maschi) ha in mente una vita da single.
Insomma in tempi di rivoluzione digitale e di supposta fluidità culturale a vincere è ancora il desidero di relazioni stabili, di certezze affettive, di un futuro in cui il valore da mettere al primo posto rimane quello di un rapporto generativo. Un obiettivo che certamente va inserito in un magma di altre suggestioni, spesso contraddittorie e confuse com’è tipico degli adolescenti, ma che interroga da vicino una società e una politica dove quello di garantire ai giovani le migliori condizioni per un futuro familiare non è certamente tra le prime preoccupazioni.
Sul desiderio di relazioni stabili dei ragazzi è intervenuto ieri, alla presentazione della ricerca, anche lo psicologo Fulvio Scaparro che, al di là dei dati presentati e delle preoccupazioni segnalate a proposito di ambiente, guerra e pandemia, ha sottolineato come, secondo il suo osservatorio di psicanalista, «i giovani desiderano soprattutto relazioni umane significative, a cominciare da quelle con i loro genitori. Solo che non lo ammetteranno mai». In riferimento al malessere giovanile che emerge dalla ricerca Maurizio Tucci, presidente del Laboratorio adolescenza, si è chiesto se non sarebbe più ragionevole da parte degli adulti, invece di puntare sempre il dito su Covid e guerra, «ammettere che questo malessere giovanile ha radici molto più profonde, generate dal contesto sociale che noi abbiamo costruito intorno a loro». Anche nel malessere giovanile occorre fare però le opportune differenze. Carlo Buzzi, sociologo dell’Università di Trento e direttore scientifico dell’indagine, ha messo in luce come la variabile che più delle altre appare condizionante è il genere. «Le ragazze, molto dipiù dei coetanei maschi, appaiono più riflessive. All’ottimismo un po’ superficiale dei maschi, le femmine si mostrano più preoccupate per il futuro personale, ma più disponili a mettersi in gioco».
Per entrambi, come detto, una delle preoccupazioni più evidenti riguarda il rapporto con il proprio corpo. Il 40,3% (51% delle ragazze) non è soddisfatto del proprio aspetto fisico e l’insoddisfazione aumenta con l’aumentare dell’età. Chi decide se un ragazzo o una ragazza può essere soddisfatto del proprio aspetto? Gli amici (lo afferma il 47%), ma soprattutto influencer, fashion blogger, pubblicità, moda, che condizionano oltre il 72% dei giovanissimi. Riferimenti a cui si mostra sensibile anche un’ampia maggioranza di maschi (62%). Un fenomeno nuovo che Alessandra Marazzani, psicologa e membro del consiglio direttivo di Laboratorio Adolescenza, ha spiegato parlando di una sorta di “annacquamento”, certamente estetico ma non solo, delle differenze di genere: «Un fenomeno che non ha alcuna attinenza con il mondo Lgbt e l’identità di genere, ma che –basta vedere le
pubblicità della moda – tende ad uniformare l’immagine estetica di maschi e femmine. Da qui un’attenzione mai registrata prima, da parte dei maschi, all’aspetto estetico e quindi al giudizio sul proprio aspetto fisico».
Ricco di sorprese, come detto, il capitolo scuola. Otto ragazzi su dieci vorrebbero un piano di studi personalizzato con alcune materie scelte dal singolo studente. Tra gli argomenti che gli studenti vorrebbero inserire in modo sistematico nel piano di studi compaiono, quasi a pari merito, “educazione sessuale” e “sostenibilità e protezione dell’ambiente”. Al terzo posto – ma al primo posto secondo le ragazze (84%) – “educazione al rispetto delle diversità(genere, etnia, religione…)”. Uno sguardo che, come sottolinea Paolo Demolli, professore di filosofia al liceo Giovanni Berchet di Milano, «riesce sempre a sorprenderci per ampiezza,
lucidità, capacità di articolare prospettive di evoluzione». Certo, ci vorrebbe anche tanti fondi in più per accontentare i desideri dei ragazzi, «quindi chi dovrebbe avere responsabilità sulla scuola anche questa volta -conclude Demolli – non li ascolterà».
Infine, non per importanza ma perché tema già ampiamente approfondito, l’enorme ascesa di social e canali telematici di informazione. Un mondo che è sempre più parte integrante della vita dei giovani, ma in cui cambiano le gerarchie. Crescono Google, Instagram e TikTok. Crolla Facebook. E i giornali di carta? Li guardano solo il 3% dei ragazzi. Purtroppo.
Secondo la ricerca Iard solo il 10 per cento dei ragazzi aspira un futuro da single (più le ragazze dei ragazzi).
Luciano Moia Avvenire, pagina: 9 05 luglio 2023
www.scienzaevita.org/?email_id=838&user_id=9218&urlpassed=aHR0cHM6Ly93d3cuc2NpZW56YWV2aXRhLm9yZy9yYXNzZWduYS9hZG9sZXNjZW50aS1uZWxsYXJjaXBlbGFnby1kaWdpdGFsZS1yZXNpc3RlLWlsLWRlc2lkZXJpby1kaS1mYXItZmFtaWdsaWEv&controller=stats&action=analyse&wysija-page=1&wysijap=subscriptions-2
BIBBIA
“Dal ratto delle danzatrici al matrimonio”
«Il popolo venne a Betel, dove rimase fino alla sera davanti a Dio, alzò la voce, prorompendo in pianto, e disse: “Signore, Dio d’Israele, perché è avvenuto questo, che oggi in Israele sia venuta meno una delle sue tribù? » ( Gdc 21,1-3).
Le lacrime degli Israeliti sembrano una sorta di analessi alle allarmate denunce che oggi si levano dai Paesi ricchi, specialmente dall’Europa, per la grave crisi demografica che cresce insieme alla precarietà dei legami di coppia. Come dice l’etimologia, del matrimonio – il munus della madre – la donna è protagonista e questo anche in una società patriarcale, com’era quella biblica. La parola è antonimo di patrimonio e non di patriarcato il cui opposto sarebbe, invece, matriarcato, vale a dire un potere in ogni caso unilaterale. Se nel matrimonio biblico la donna appare come figura essenziale, ella non gode, tuttavia, di titoli di proprietà né di discendenza relativi alla sua stessa famiglia; dei compiti muliebri sono padroni i mariti che pagano in concreto per “acquistare” una moglie. Quel corpo appartiene, tuttavia, non solo a suo marito ma anche al suo clan e al suo popolo. Il matrimonio, nell’Israele antico, è un dovere sociale, una necessità della collettività, un compito irrinunciabile affinché il nome di un uomo e quello del suo popolo possano sopravvivere. Ecco perché quando tutte le altre tribù d’Israele avevano giurato dinanzi a Dio che nessuna avrebbe dato una figlia alla tribù di Beniamino avevano implicitamente condannato la gens di quei loro fratelli a scomparire. L’esistenza di una famiglia, di un gruppo umano, dipende, dunque, dai nascituri e, quindi, da un patto che donne e uomini debbono stabilire tra loro. Gestiti innanzitutto a interesse dei maschi ma dipendenti dalla matrice delle femmine, nei matrimoni biblici enorme è il potere di queste ultime che la società patriarcale cerca non solo di contenere ma anche di sottomettere. Una pressione che viene recepita in un racconto di origine, nel capitolo terzo di Genesi: «Verso di lui sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà» (v.16). Non si tratta della volontà di Dio ma delle condizioni del rapporto matrimoniale volute dagli umani: quella felice unione d’amore reciproco e fecondo («osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne», Gen 2,23) che l’uomo e la sua donna avevano vissuto nell’Eden, passeggiando con Dio, si era, purtroppo, corrotto in uno snaturante dominio dell’uno sull’altra.
Matrimoni d’interesse «Gli Israeliti si pentivano di quello che avevano fatto a Beniamino loro fratello e dicevano: “Oggi è stata soppressa una tribù d’Israele. Come faremo per procurare donne ai superstiti, dato che abbiamo giurato per il Signore di non dar loro in moglie nessuna delle nostre figlie?”» ( Gdc 21,6-7). Gli Israeliti si trovarono a essere vittime del loro sciagurato giuramento. Alla fine prevalsero, però, la sapienza e il buonsenso e si dissero l’un l’altro: «Bisogna conservare il possesso di un resto a Beniamino». Ma come fare se le loro donne non erano più disponibili? L’idea fu quella di invitare i Beniaminiti a recarsi a Silo, una città a settentrione di Betel, dicendo loro: «Andate, appostatevi nelle vigne e state attenti: quando le fanciulle di Silo usciranno per danzare in coro, uscite dalle vigne, rapite ciascuno una donna. I figli di Beniamino fecero a quel modo: si presero mogli, secondo il loro numero, fra le danzatrici; le rapirono, poi partirono e tornarono nel loro territorio, riedificarono le città, e vi stabilirono la loro dimora» ( Gdc 21,16-23). Per poter sopravvivere e crescere bisogna unirsi con donne di altre tribù. La cura della discendenza vale più della difesa della purità etnica e religiosa. E se la divisione e la guerra tra fratelli la condannavano all’estinzione, la saggezza del ricorso alle donne di Silo regalava figli e futuro alla tribù di Beniamino. Metafora magnifica in cui la simbolica danza della vita sfida e vince la paralisi della morte indotta dalle chiusure identitarie, dalle vendette senza fine, da una difesa del sangue a prezzo del sangue. Mikal, figlia di Saul, che guardò con sdegno suo marito David mentre con la casa di Israele «danzavano davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, tamburelli, sistri e cimbali», quando l’Arca entrava in Gerusalemme, «non ebbe figli fino al giorno della sua morte» (cf. 2Sam 6,5.23). La vitale importanza della discendenza per un uomo e, quindi, del matrimonio finalizzato innanzitutto al bonum della prole si evidenzia con uno dei motivi più tipici della storia antica: quello del rapimento di donne straniere. Basti pensare al notissimo ratto delle Sabine che i romani fecero al tempo di Romolo. Ne narra Tito Livio nella sua “Ab Urbe condita (I, 9-13): «Su consiglio dei senatori, Romolo inviò ambasciatori alle genti limitrofe per stipulare un trattato di alleanza col nuovo popolo e per favorire la celebrazione di matrimoni». Fu così che nel corso di una festa dove venivano fatti dei giochi per distrarre i Sabini, i romani rapirono le loro figlie. Ma mentre le rapite disposero presto il loro cuore agli sposi stranieri, non così i loro padri che, invece, mossero guerra contro Roma. Interessante è il ruolo delle donne nella soluzione di un conflitto acceso per la difesa dei confini identitari: «Con le chiome al vento e i vestiti a brandelli… non esitarono a buttarsi sotto una pioggia di proiettili e a irrompere dai lati tra le opposte fazioni per dividere i contendenti e placarne la collera. Da una parte supplicavano i mariti e dall’altra i padri. Li imploravano… di non lasciare il marchio del parricidio nelle creature che esse avrebbero messo al mondo, figli per gli uni e nipoti per gli altri». Un attestato della differenza che fa la donna in una società patriarcale: ella ha a cuore la nuova civiltà che può promuovere insieme a padri e mariti di diversa etnìa, a favore della vita dei figli. In ciò la moglie è figura più “politica” del marito, si direbbe che sia lei ad aprire un orizzonte capace di congiungere una famiglia all’altra e un popolo all’altro, a mescolare le stirpi dei mariti con quelle dei padri, a voler costruire città multietniche, ad aprire la storia dell’umanità a un respiro universale. In ciò la donna si riappropria del proprio corpo e volge a scopi ulteriori il matrimonio: non più per conservare gli spazi di un chiuso possesso, per difendere una specifica escludente “nazione”, ma per generare e custodire la vita come un processo consegnato al mondo e alla libertà. Icona plastica è la sposa del Cantico che non viene rapita dal suo sposo ma è lei che di propria iniziativa abbandona la sua vigna per vagare presso i pascoli sconosciuti dei pastori, in cerca dell’amato.
Matrimonio d’amore. Forse è per l’importanza che assumeva nella vita degli Israeliti che i profeti usano come metafora prediletta dell’alleanza tra Dio e Israele proprio quella del matrimonio. Frequenti sono i testi in cui Dio parla a Israele come a una sposa, nei modi in cui un marito si rivolgerebbe a una moglie (cf. Os 2; Is 5,1-7; Ez 16). L’uso del paragone serve, però, a illuminare la differenza che c’è tra i matrimoni storici degli ebrei – nomadi o sedentari, in patria o in diaspora – e l’alleanza di Dio con Israele che diventa il fondamento della teologia biblica del matrimonio. Mosè lo fa capire riferendo le parole di Dio stesso: «Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli – ma perché il Signore vi ama» ( Dt 7,7-8). Mentre nel matrimonio storico l’amore non era un requisito per sposarsi, in quello teologico non insistono ragioni ulteriori all’amore! L’amore, infatti, genera la vita, è atto di libertà e di grazia che trasforma l’umano vecchio – e solo – in una creatura nuova. La Lettera agli Efesini dice che il Cristo amò la Chiesa – sua sposa – con un unico scopo: «Presentarla a sé stesso tutta bella, senza macchia né ruga» ( Ef 5,27). Lo scopo è estetico, sensibile, contemplativo; il tempo è escatologico. Il sacramento del matrimonio è il dono di questo Amore divino, fonte di felicità e fecondità, per cui il marito non è più il dominatore ma il “salvatore del corpo” della moglie (cf. Ef 5,32). E viceversa. Un «mistero grande» ( Ef 5,32) non per le sue forme storiche, peraltro mutevoli e cariche di motivi contingenti, ma per la testimonianza della fede che avvia e riavvia un cammino d’amore, imprime la libertà nella carne e, abbattendo il muro della separazione, regala abbracci di eternità.
Rosanna Virgili (α1958)
www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/07/rosanna-virgili-dal-ratto-delle.html
CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia
Newsletter CISF – n. 26, 5 luglio 2023
֍ Bill Gates agli studenti: “non dedicatevi solo al lavoro”. “Ho sbagliato a non prendermi delle pause e dedicarmi solo al lavoro”: questo è uno dei messaggi lanciati da Bill Gates alla cerimonia della Northern Arizona University poche settimane fa. Il fondatore di Microsoft ha confessato agli studenti di non essersi mai preso delle pause nei primi anni della sua attività, e di essere stato anche un capo fortemente controllante rispetto agli orari lavorativi dei suoi dipendenti. Poi, dopo “essere diventato padre“, spiega, ha cambiato lentamente prospettiva. La raccomandazione ai giovani: “prendetevi spazio per coltivare le relazioni, festeggiare i successi, riprendervi dalle sconfitte” [su YouTube – 58 sec] www.youtube.com/watch?v=3QwAEsMRde4
֍ Rapporto di Caritas Europa sugli anziani. “Invecchiare con dignità” è il titolo del report realizzato da Caritas Europa in 13 paesi membri [qui il link al report completo – 77 pp],
che mette a fuoco il trend demografico (si prevede che l’età media della popolazione dell’UE27 aumenterà da poco meno di 43,7 anni nel 2019 a 48,2 anni nel 2050) e la “trappola della povertà” che attanaglia gli anziani bisognosi di assistenza, in un circolo vizioso in cui una presa in carico socio-assistenziale a lungo termine non è garantita dai sistemi-paese, e ciò crea una ricaduta sulle famiglie, che ricorrono a sistemi di accudimento informale e/o a badanti prive di coperture contrattuali sicure (e che spesso sono donne provenienti da altri paesi e a loro volta economicamente vulnerabili).
֍ Come il trend demografico impatta sul lavoro. Dal 2014 l’Italia sta registrando una costante riduzione della popolazione, accompagnata da un progressivo invecchiamento. L’età media della popolazione in età lavorativa è in costante aumento: nel 2021 era di 42,4 anni a fronte dei 41,2 del 2011 e dei 39,9 del 2001. Questa situazione incide anche sul mercato del lavoro che fatica a trovare candidati. Le principali sfide derivano dal minor numero di giovani che entrano nel mercato e dal pensionamento dei lavoratori a bassa scolarizzazione, che non vengono sostituiti. È lo scenario illustrato dal report “Dinamiche demografiche e forza lavoro” pubblicato dalla Cassa Depositi e Prestiti [qui il testo integrale]
֍ I 50 anni delle case famiglia della Papa Giovanni XXIII. Il 3 luglio 2023 le case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII hanno compiuto 50 anni, festeggiando non solo un evento interno all’associazione, ma la nascita di un vero e proprio modello di accoglienza innovativo, rivoluzionario per l’Italia dell’epoca e ancora assolutamente originale, che tuttora fatica ad essere riconosciuto dalle normative in materia, nonostante abbia ampiamente dimostrato la propria efficacia. A questo link lo splendido ricordo di don Oreste Benzi e la testimonianza di quella grande rivoluzione. www.semprenews.it/news/Chi-ha-inventato-le-case-famiglia.html
֍ Digitale: conquistare maggiori competenze di base. Il recente report Istat “Cittadini e competenze digitali” ci ricorda che l’Italia si trova agli ultimi posti in Europa per competenze digitali della popolazione: nel 2021 poco meno della metà delle persone di 16-74 anni residente in Italia è risultata con competenze digitali almeno di base (45,7%) [qui il link all’intero report].
Vale allora davvero la pena di informarsi e fare esercizio per migliorare le proprie abilità, anche in famiglia: è l’obiettivo del sito European Safe Online Initiative, finanziato dall’Unione Europea, che mira a migliorare l’alfabetizzazione dei genitori rispetto ai media digitali frequentati abitualmente dai loro figli. Il sito propone molto materiale e modelli/esercizi già sperimentati con le famiglie in diverse realtà nazionali, dal Belgio alla Grecia. https://europeansafeonline.eu
֍ Dalle case editrici
Premio Pontremoli città del libro e della famiglia: vince Alberto Pellai. È “La vita accade” (ed. Mondadori) di Alberto Pellai, psicoterapeuta, il romanzo vincitore della seconda edizione del Premio letterario “Pontremoli – Città del libro e della famiglia”, promosso dal Forum delle Associazioni familiari e dal Comune di Pontremoli, in collaborazione con la Fondazione “Città del Libro”. L’annuncio è stato dato nella serata di sabato 1° luglio durante la cerimonia in piazza della Repubblica alla presenza di Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Adriano Bordignon, presidente nazionale del Forum delle Associazioni familiari, insieme agli altri rappresentanti istituzionali. “Un romanzo che tiene agganciato il lettore; un libro facile da leggere ma allo stesso tempo impegnativo sulla paternità e sulla genitorialità, che infonde speranza perché le ferite possono far male ma, facendo pace col passato, è possibile essere persone diverse e migliori“, si legge nella motivazione della giuria. A questo link l’approfondimento di Famiglia Cristiana, di cui Pellai è storico collaboratore.
- www.famigliacristiana.it/articolo/alberto-pellai-vince-il-premio-pontremoli-citta-del-libro-e-della-famiglia.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_05_07_2023
֍ Save the date
- Webinar (Milano/Web) – 11 luglio 2023 (inizio ore 21). “Vivere la paura. Un viaggio nell’emozione più antica e potente”, presentazione del volume di Elisa Veronesi e Paolo Maria Manzalini edito da San Paolo (2022), evento a cura dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia.
www.opl.it/evento/11-07-2023-Vivere-la-paura-Un-viaggio-nell-emozione-pi-antica-e-potente.php
- Seminario (Londra/Uk) – 13 luglio 2023 (14-15). “What is the value of social housing regeneration?”, a cura di Social Market Foundation. www.smf.co.uk/events/what-is-the-value-of-social-housing-regeneration
- Seminario (Torino) – 13/14 luglio 2023 (inizio ore 10). “Climate change adaptation: A climate justice imperative”, lezione di Ariadna Anisimov (University of Antwerp) presso il Collegio Carlo Alberto – Università degli Studi di Torino. www.carloalberto.org/event/ariadna-anisimov
//cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Consiglio permanente: Cei, “pace” e “preghiera” per l’Ucraina.
Approvate le Linee guida per la “fase sapienziale” del Cammino sinodale
Una “sessione breve ma intensa” quella del Consiglio episcopale permanente che si è riunito straordinariamente sabato 8 luglio, con 10 vescovi in presenza a Roma e 21 in video collegamento (2 assenti giustificati), per condividere, discutere e approvare le Linee guida per la “fase sapienziale” del Cammino sinodale delle Chiese in Italia.
La riunione è stata presieduta dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che in apertura dei lavori ha espresso gratitudine per la vicinanza e l’affetto manifestatigli in occasione delle visite compiute a Kiev e Mosca quale Inviato del Santo Padre. Nel comunicato finale della Cei, si precisa che il cardinale si è detto “commosso per la partecipazione e la preghiera delle comunità ecclesiali e di tante persone”, definendo questi sentimenti “una conferma di quanto la Chiesa faccia propria l’ansia di pace che è di tutti”. Nella situazione attuale, ha affermato facendo riferimento al contesto di conflitto, “è predominante l’aspetto umanitario che, liberato da qualsiasi strumentalizzazione, rappresenta una via per proteggere i più deboli e favorire una grammatica di dialogo e di pace”.
I vescovi hanno rinnovato al presidente la loro solidarietà orante, ribadendo “la volontà di pace e il desiderio di essere operatori di riconciliazione con la preghiera, l’accoglienza e la carità operosa”. Il Consiglio permanente si è quindi concentrato sul documento per la tappa sapienziale del percorso sinodale, mettendo in luce la bellezza del camminare e la necessità di farlo secondo indicazioni chiare, utili a procedere nella direzione auspicata da Papa Francesco. Dopo i primi due anni di ascolto narrativo, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di fedeli in tutta Italia, il Cammino dovrà ora proseguire con la fase dedicata alla lettura spirituale delle narrazioni emerse per poi culminare in quella profetica (2024-2025). In quest’ottica, il tempo del discernimento aiuterà a individuare quali dinamiche ecclesiali devono essere modificate per promuovere la missione, rendendo alcuni meccanismi più snelli e più capaci di annuncio del Vangelo.
Nei diversi interventi è stato sottolineato come il frutto più importante di questi anni sia proprio la riscoperta della bellezza della comunità cristiana e di dirsi appartenenti al popolo di Dio in cammino per annunciare il Vangelo. Secondo i vescovi, “tale bellezza deve diventare sempre di più giudizio comune e azione di evangelizzazione”.
Il Consiglio permanente ha dunque approvato le Linee guida con le integrazioni emerse durante i lavori, insieme al cronoprogramma che scadenzerà le tappe successive del Cammino. Entrambi i testi verranno consegnati alle Chiese in Italia nei prossimi giorni.
(R.B.) Agenzia Sir 8 luglio 2023
www.agensir.it/quotidiano/2023/7/8/consiglio-permanente-cei-pace-e-preghiera-per-lucraina-approvate-le-linee-guida-per-la-fase-sapienziale-del-cammino-sinodale
DALLA NAVATA
14° Domenica del tempo ordinario – Anno A
Zaccaria 09, 10. «Farà sparire il carro da guerra da Èfraim, e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».
Salmo responsoriale 144, 14. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.
Paolo ai Romani 08, 11. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Matteo 11, 25. In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Un «giogo» di ampio respiro
Nel Vangelo di oggi Gesùinvita attorno a sé tutti coloro che sono «stanchi e oppressi» e offre loro uno speciale, e allo stesso tempo alquanto strano, ristoro: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita».
Che cos’è questo «giogo» e in cosa consiste? Per comprendere le parole di Gesù bisogna ricorrere alla rivelazione biblica che lo precede, e a cui egli stesso fa riferimento. Il termine «giogo», oltre a intendere ciò che lega o unisce insieme una coppia di animali, come due buoi per arare, indica anche l’asta di una bilancia a due piatti e, nel nostro testo, è più verosimile che sia questa l’idea sottesa.
L’invito è quindi a prendere «la bilancia di Gesù», intesa ovviamente non in senso materiale, ma come criterio di giudizio. Nel libro dei Proverbi troviamo infatti questa affermazione: «La stadera e le bilance giuste appartengono al Signore, sono opera sua tutti i pesi del sacchetto» (Pr 16,11); il discorso, quindi, verte sul giudizio, sulla capacità di giudicare, di valutare la realtà, le situazioni, ciò che accade e noi stessi.
Gesù ci invita quindi a prendere il suo giogo, cioè ad assumere il suo criterio di giudizio, che non è fondato sull’orgoglio, sulla condanna o sul rispetto ottuso e rigido di una norma, ma al contrario è «dolce» e «leggero», frutto di chi è «mite e umile di cuore». Per capire ulteriormente come possa un giudizio essere «dolce e leggero» è utile tenere presente queste altre parole di Gesù: «Con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi» (Mt 7,2).
A questo punto è chiaro che l’unico vero giudizio è quello «a prova d’amore», ovvero fondato, valutato, e in questo caso potremmo proprio dire «pesato», sull’amore; amore che, per continuare la metafora, è l’unico «ago della bilancia».
È comprovato che un neonato senza amore non vive, non cresce, non impara a camminare, a parlare, rimane limitato in tutto il suo essere. Occuparsi del mondo degli affetti, cercare di comprendere i bisogni, le istanze e la complessità dell’amore umano è quindi di vitale importanza, è un servizio reso a tutti e se, poi, questo è fatto a partire dalla rivelazione biblica e teso alla crescita della comprensione vitale della fede nella comunità dei credenti, diventa un servizio ecclesiale, prezioso e quanto mai necessario perché ogni comunità in cammino sappia accogliere e riconoscere le molteplici realtà dell’amore che animano e sostengono la vita dei singoli credenti.
Purtroppo, però, ancora oggi avventurarsi su tali questioni può essere pericoloso e si rischia di ritrovarsi sulle spalle un «giogo» non «mite e leggero», ma pesante e limitante imposto da chi, forse, non ha ancora conosciuto o ben compreso che cosa significa la «mitezza» e «l’umiltà di cuore». Due aspetti e qualità, in verità, difficili da declinare, da dispiegare.
Quando si parla di mitezza si pensa subito a qualcuno che non si arrabbia, che non s’impone, che non utilizza il proprio potere per far prevalere le proprie idee e convinzioni tacitando l’«altro», chiunque egli sia. Così anche l’«umiltà di cuore» può essere intesa come quell’attitudine all’apertura verso l’altro, verso chi la pensa in modo diverso, a partire dalla consapevolezza che la verità non la si possiede, non è appannaggio solo di qualcuno.
Senza questa «mitezza», senza questa «umiltà di cuore» non ci può quindi essere dialogo, ricerca, crescita, vita, ma solo chiusura, cecità e, di conseguenza, morte. Spetta dunque a ciascuno di noi decidere a quale tipo di giogo vogliamo sottostare, ricordandoci però sempre che con il giudizio con il quale giudichiamo saremo giudicati e con la misura con la quale misuriamo saremo misurati.
E questo vale in ogni ambito del nostro vivere, del nostro agire e del nostro valutare e decidere.
Ester Abbattista, biblista
DONNE NELLA (per la ) CHIESA
L’identità femminile nel Magistero della Chiesa
Nel presente contributo si ripercorrono brevemente alcuni punti cardine relativi all’identità della donna proposta dal Magistero della Chiesa. Si esplorano, successivamente, le sfide all’identità femminile nell’attuale realtà socio-culturale, analizzando il mercato, il sistema politico e la storia del pensiero femminista, della quale si ripercorrono gli iniziali approcci fino all’ipotesi decostruzionista e al “neo-femminismo della dignità”.
Nel 1963 Giovanni XXIII nella “Pacem in terris” afferma la presenza della donna nella Chiesa e nella società come un segno dei tempi. Il Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965) incoraggia una più vasta partecipazione delle donne sia nell’ambito culturale e sociale, che nell’ambito ecclesiale. Nel 1973, Paolo VI, istituisce la Commissione di studio sulla donna nella società e nella Chiesa, affidata al Pontificio Consiglio per i Laici, creato sei anni prima, in risposta ad una esplicita richiesta del Sinodo dei Vescovi e in vista dell’Anno internazionale della donna indetto dalle Nazioni Unite nel 1975.
Giovanni Paolo II nell’enciclica “Redemptoris mater” (1987) propone in Maria il modello per ogni uomo e specialmente per ogni donna, successivamente pubblica durante l’Anno Mariano (1988) la lettera apostolica “Mulieris dignitatem”. Per la prima volta un documento pontificio è interamente dedicato alla donna: una pietra miliare. In questa lettera il Papa svolge un’analisi antropologica alla luce della Rivelazione per evidenziare, sia dai primi capitoli della Genesi, sia dalle parole e dalle opere di Gesù Cristo, elementi fondativi quali la pari dignità dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio; “l’unità dei due” e la chiamata alla comunione; l’importanza della complementarità e reciprocità nella coppia; l’apprezzamento del genio femminile e dell’identità femminile al di là della vita familiare; la figura di Maria come modello della donna e realizzazione piena dell’essere umano chiamato alla santità. Nel 1995 Giovanni Paolo II, dopo aver dedicato il tema della Giornata Mondiale per la Pace alla “Donna, educatrice di pace”, scrive una lettera indirizzata a tutte le donne, in occasione della IV Conferenza mondiale dell’Onu sulla donna svoltasi a Pechino, per riflettere «sui problemi e sulle prospettive della condizione femminile nel nostro tempo» (Lettera alle donne, 1), sottolineando che il genio della donna va promosso nella società e nella Chiesa.
Nell’udienza generale del 14 febbraio 2007, Benedetto XVI svolge una catechesi dedicata alle donne e alla loro responsabilità ecclesiale dalle prime comunità cristiane a oggi. Nel 2008, ventesimo anniversario della “Mulieris dignitatem”, il Pontificio Consiglio per i Laici organizza un Convegno internazionale sul tema: “Donna e uomo, l’humanum nella sua interezza”, per riprendere un cammino di approfondimento con l’obiettivo di procedere a un bilancio degli ultimi venti anni nell’ambito della promozione della donna e del riconoscimento della sua dignità.
Una proposta sempre attuale. Nel 2013 Papa Francesco, nell’incontro con l’episcopato brasiliano a Rio de Janeiro (27 luglio), sostiene l’importanza fondamentale delle donne nella trasmissione della fede e invita a promuovere il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale.
Nell’ottobre 2022 nell’ambito della conferenza “Il volto pieno dell’umanità: le donne al comando per una società giusta”, organizzata dalla Missione permanente di osservazione della Santa Sede presso l’UNESCO e da Caritas Internationalis, con il patrocinio dell’UNESCO, Papa Francesco in un tweet riprende il tema della promozione delle donne, rinnovando l’appello affinché sia rafforzato l’impegno per maggiore rispetto e riconoscimento nei loro confronti e per un più ampio loro coinvolgimento.
Papa Francesco riprende quest’ultimo tema (11 marzo 2023), in occasione della presentazione del volume “Più leadership femminile per un mondo migliore. Il prendersi cura come motore per la nostra casa comune” (a cura di Anna Maria Tarantola), commentando il notevole contributo fornito dalle donne in merito al prendersi cura del bene comune. Allo stesso tempo denuncia le ingiustizie che spesso subiscono (riferendosi, ad esempio, agli stipendi più bassi in ambito lavorativo), invitando a una maggiore inclusività e a un maggior rispetto dell’altro.
Il “genio” della donna. Nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem” Giovanni Paolo II pone il “genio” della donna come punto focale intorno a cui si coagulano tutte le riflessioni sulla sua missione nella società (e nella Chiesa) a servizio della persona umana. L’espressione «genio della donna» viene esplicitata nella Lettera alle donne (n. 9). Il “genio” non va confuso con il tradizionale stereotipo della femminilità, ma va assunto come espressione al femminile del triplice munus – la dignità sacerdotale, profetica e regale del cristiano – e come partecipazione e coinvolgimento delle donne in vari ambiti. La donna ha il privilegio di una vocazione tesa a mantenere viva la sensibilità per l’umano. È la fiducia, nutrimento cruciale per le relazioni umane e sociali, che ella aiuta a portare in salvo, specie quando tali relazioni sono sopraffatte dalla sete di dominio.
Le sfide per l’identità femminile nella società. Nell’attuale realtà socio-culturale l’identità femminile si trova ad affrontare sfide particolarmente rischiose presenti in ambito sociale. Tre sono gli ambiti in cui si evidenziano tali sfide per l’identità femminile, nel quadro di una prospettiva, oggi dominante, di omogeneizzazione tra i generi: il mercato, il sistema politico e il femminismo.
- Donne e mercato del lavoro – Innanzitutto, il mercato non ha e non sembra avere molto rispetto per le donne e la funzione materna. L’identità femminile adulta deve confrontarsi con il mondo del lavoro, un mondo ancora improntato a codici maschili e che permettono con difficoltà l’espressione della relazionalità femminile sia per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro, sia per quanto riguarda la permanenza nello stesso, a causa della complessa conciliazione tra tempi di vita. Nel complesso nonostante indubbi elementi di problematicità – una maggiore precarietà lavorativa rispetto agli uomini, la mancanza di una cultura della flessibilità del lavoro – peraltro acuiti dalla crisi economica, le donne non sembrano rinunciare né alla dimensione familiare né a quella lavorativa. La fatica nel tenere insieme tali aspetti è tuttavia evidente e determina o una contrazione della dimensione procreativa o una rinuncia della personale realizzazione nel mondo del lavoro.
2. Donne e partecipazione politica – Il sistema politico tende a uguagliare uomini e donne in quanto semplici cittadini, attraverso provvedimenti, seppur discutibili, che riservano spazi per le donne nei processi elettorali. Per le istituzioni politiche modernizzanti, il gender del cittadino è (deve essere) indifferente, perché il complesso dei diritti-doveri non è (non deve essere) distinto per sesso. Il sistema politico, che si è fatto grande alleato delle donne mediante il Welfare State, si è rivelato per certi aspetti una trappola proprio per le donne stesse. Le misure cosiddette di welfare contribuiscono spesso (certo non sempre) a mantenere la donna in una condizione di “assistita” piuttosto che di protagonista, non attuando politiche sociali improntate alla sussidiarietà.
3. Il percorso del pensiero femminista – Il tema-problema della donna si è imposto sulla scena sociale nel Novecento con i movimenti sociali libertari propugnati dal femminismo, che nasce da una giusta esigenza di della subordinazione della donna nella famiglia e nella società e all’insegna di una rivendicazione di libertà. La riflessione sull’identità femminile, sul genere e sulle differenze di genere è stata messa a fuoco dal pensiero femminista, in un lungo arco di tempo, che può essere così sintetizzato.
- Un primo approccio – definibile “culturalismo essenzialista” – ha posto al centro della propria riflessione il dato biologico, come elemento essenziale per la definizione del soggetto “donna”, sottolineando l’importanza della funzione riproduttiva per la sopravvivenza della società. In questo modo la femminilità viene ridotta alle qualità biofisiche creatrici della vita.
- Un secondo approccio individua l’essenza della soggettività non solo nel dato fisico, ma nell’attività umana concreta, correlando, quindi, l’identità di genere alla divisione sessuata del lavoro, sulla base della quale vengono definiti ruoli maschili e femminili distinti.
- Un terzo approccio si è interrogato sul legame tra gender e struttura psichica dell’individuo, approfondendo, in particolare, le basi della psicanalisi. In generale, si può affermare che la prospettiva psicanalitica sulla dimensione di genere trova il suo interesse originario nella funzione materna e nella propensione femminile alla cura e alle relazioni.
Come si è potuto osservare, mentre gli studi di genere hanno mostrato di considerare l’identità femminile come data, in quanto assimilabile alla sua corporeità, altri autori hanno proposto di concepire il genere come costruzione sociale, indipendente dalla dimensione biologica. Sono individuabili due filoni paralleli, che possono essere indicati rispettivamente come ipotesi costruzionista e pensiero decostruzionista.
4. L’ipotesi decostruzionista e costruzionista – L’ipotesi costruzionista si fonda sull’idea che l’unico processo responsabile dell’esistenza dei due generi è la costruzione sociale: non c’è un prius biologico di cui rendere conto. Le distinzioni tra maschile e femminile, presenti in ogni società e riferite alla corporeità, vengono plasmate dalla realtà sociale alla quale appartengono.
Il pensiero decostruzionista sostiene che gli individui, dal momento che sono condizionati (“costruiti”) dal discorso sociale e dalla pratica culturale, possono essere decostruiti. Secondo questo orientamento, il termine genere rimanda al “rivestimento” che la società assegna ai due sessi diversi e che deve essere “decostruito” per liberare le donne da ciò che è loro attribuito socialmente.
Nel complesso emerge il rischio di una perdita dell’identità femminile (e, più in generale, dell’umano), che si nota nel continuo aumento degli orientamenti sessuali (gender fluid). In questa prospettiva non si può più configurare una solidarietà delle donne per il raggiungimento di loro obiettivi perché non esiste più una identità né del femminile né del maschile con lineamenti distinguibili. Sembra essersi persa l’idea di persona fatta di corpo, psiche e anima dotata di una sua intrinseca dignità, grande conquista della tradizione occidentale.
Ripensare l’identità femminile nel post-femminismo: il nuovo femminismo della dignità. Una parte della cultura femminista ha sentito l’esigenza di cominciare a pensare il gender con e attraverso le relazioni, secondo un codice simbolico relazionale, che implica una reale dualità tra uomo e donna. Nell’ambito di tale codice duale e reciprocitario, le diversità si pongono come positive e articolano relazioni tra maschile e femminile che arricchiscono l’umano. L’identità viene, quindi, definita attraverso e con la relazione ad un’alterità, non per negazione dialettica.
Mary Ann Glendon (α1938) aveva espresso chiaramente questa visione in occasione della Conferenza ONU sulle donne a Pechino nel 1995, quando aveva guidato la delegazione vaticana alla Conferenza stessa. Nel corso della discussione sui documenti finali della Conferenza, la studiosa aveva sottolineato in senso negativo l’enfasi posta sull’eguaglianza formale tra uomo e donna e sui diritti riproduttivi, a scapito dello speciale bisogno di tutela della maternità e criticato l’eliminazione dai documenti dei diritti dei genitori e della religione.
Si tratta di un punto di vista che ha introdotto una nuova riflessività nel percorso del pensiero femminista, pur sostenuta con accenti diversi, che ha riguardato anche il rapporto delle donne con il corpo e con la maternità. A questo proposito M.A. Glendon ha osservato che è andato sempre più chiaramente delineandosi «un femminismo basato su un’adeguata comprensione della dimensione sociale della persona umana, un femminismo che forse non si chiamerà più femminismo». Questo approccio può essere indicato come “neo-femminismo della dignità”. Si tratta di mantenere viva la sensibilità per l’umano, portando in salvo il legame che ne costituisce l’essenza.
L’esperienza del generare e della maternità è esemplare, in quanto porta il segreto e la legge “drammatica” del legame: la sua paziente costituzione e al contempo il compito di “lasciare andare” l’altro verso il suo destino. È, paradossalmente, un possesso, un aver potere sull’altro, che permette e incoraggia il distacco. È un prendersi cura che va ben oltre il maternage, ma si fonda su un indomito rilancio di fiducia (prendersi cura della vita, dei poveri, dell’educazione, della famiglia, della pace, degli anziani, dei giovani, della politica, del lavoro e della scienza). Le donne che sanno essere fedeli al loro “genio” e che sanno resistere al potere omologante e seduttivo della società possono mettere in guardia l’uomo contemporaneo che rischia di perdere “l’umano”, risucchiato dal mito dell’efficienza, dal successo, da ritmi di lavoro disumanizzanti rispetto al paziente ascolto del dolore, al gusto del condividere la vita… La donna riesce a “vedere oltre”, perché vede l’umano con la ragione e con il cuore.
Giovanna Rossi (α1944) UCSC-Milano.
Dizionario di dottrina sociale della Chiesa Fascicolo 2023, pag. 27, 2 aprile-giugno
Le cose nuove del XXI secolo
Riferimenti bibliografici
- Donati P. (2007), L’identità maschile e femminile: distinzioni e relazioni per una società a misura della persona
- Glendon A. (1997), Le donne dinanzi a scelte fondamentali: modi, sfide e prospettive nella cultura contemporanea in La logica del dono, numero monotematico della rivista «Laici oggi», 40.
- Rossi G. (2019), Donna e Femminismo, in Dizionario su sesso, amore e fecondità, a cura di José Noriega e René & Isabelle Ecochard, Cantagalli, Siena 2019, 257-262.
- Scabini E. (2014), La famiglia, il ruolo della donna, in Giovanni Paolo II – L’uomo, il Pontefice, il Santo, Utet Grandi Opere – FMR, 91-93.
- Scola A. (2002), Uomo-donna. Il “caso serio” dell’amore, Marietti.
www.dizionariodottrinasociale.it/Voci/L_identita_femminile.html
Che genere di liturgia. Se le donne salgono all’altare: l’analisi di una teologa
In una delle mie ultime conversazioni con
Silvano Maggiani, OSM (α1947-ω 2020) noto liturgista italiano scomparso due anni fa, ebbi a confessargli il mio disagio nel partecipare alla liturgia. Gli dicevo che mi sembrava tutto finto: i gesti, le parole, le vesti… Se mi guardo attorno – aggiungevo – vedo persone annoiate, sempre più poche e lì presenti per abitudine… Insomma niente gioia, niente comunità, niente che tocchi veramente i presenti, celebrante incluso, anch’esso poco convinto e convincente.
Lo dicevo con dolore. Mi rispose che quel disagio era anche il suo. Mio coetaneo aveva vissuto l’avvio della riforma liturgica del Vaticano II , gli anni di sperimentazione ed entusiasmo, nel segno della nobile semplicità a cui andavano restituiti i riti e nel segno della partecipazione actuosa, creativa, del popolo di Dio nella sinfonia attiva dei suoi carismi-ministeri.
Sono passati quasi 60 anni dalla promulgazione della “Sacrosanctum Concilium”, la magna carta della riforma liturgica e, a guardarsi attorno, si capisce come quella svolta, quello sforzo non siano bastati, non fosse altro perché tutto è perennemente in movimento e chiede costante e duttile adattamento. Per non dire dei nostalgici del rito antico.
Sì, la celebrazione liturgica costituisce oggi un grosso, grossissimo problema. E uno dei suoi nodi riguarda le donne. Infatti è in essa evidente una distonia di “genere”. Non è mai stata facile la loro partecipazione. Lasciata l’ekklesia kat’oikon, la Chiesa nelle case, dove forse esse hanno anche presieduto la Cena del Signore, il più delle volte sono state risospinte in un limbo di non partecipazione, come i laici del resto. Agostino testimonia la separazione di uomini e donne all’interno della navata e la giustifica a partire dall’intreccio delle voci maschili e femminili. Crisostomo però dice che un tempo non era così e si duole per l’essersi allontanati dallo stile delle comunità più antiche.
Certo non si spezza il legame donne-preghiera, tant’è che la vita comune, informale prima, istituzionalizzata poi in forme comunitarie, iscrive nei loro doveri la lode. Loro compito è la santificazione del tempo; e poiché la caratterizza l’uso dei Salmi e delle Scritture, è grazie a questo compito “liturgico” che sono obbligate a saper leggere e scrivere. Ciò produrrà quella teologia al femminile in cui eccellono monache illustri. È così, ad esempio, che nella pace del monastero della Santa Croce la diacona Radegonda commissiona a Venanzio Fortunato l’inno Vexilla Regis che cantiamo ancora al Venerdì Santo. E più avanti con creatività geniale la grande Ildegarda scrive per il suo monastero l’ufficiatura, testi e musica. Anche in Oriente c’è traccia di una creatività liturgica monastica. Si attribuisce a Cassia, la sposa mancata dell’imperatore Teofilo, l’inno cantato a tutt’oggi nel rito bizantino al Mercoledì Santo.
Questa inventiva e questa funzione orante, la stessa che ancor oggi consegna il libro della Liturgia delle Ore alle monache nel contesto del Rito di professione, non ha riscontro nell’esercizio di una ministerialità liturgica al femminile. Eppure, soprattutto in Oriente, le diacone ci sono state. La loro principale funzione, la stessa che poi ne ha determinato il declino, era l’unzione delle donne al battesimo. In verità facevano anche altro. Ma non abbiamo prove inconfutabili sul loro ministero anche se le sappiamo annoverate tra il clero. Del loro servizio è rimasta pallida traccia nelle formule relative alla professione religiosa e monastica e nel privilegio delle abbadesse di cantare/proclamare il Vangelo nel contesto della loro comunità.
Ai nostri giorni di tutto questo niente rimane. Benché sia, e di molto, cambiata la percezione e la condizione delle donne nella Chiesa, relativamente alla liturgia esse restano marginali. A presiederla, tranne nel caso di una Celebrazione domenicale in assenza di presbitero, sono soltanto maschi. Da poco le donne sono state ammesse ai ministeri del lettorato e dell’accolitato, ossia a proclamare le letture e a servire all’altare. Compiti da cui sono state lungamente escluse a ragione del loro sesso, considerato inidoneo a un ministero liturgico. Non a caso nelle disposizioni relative alla musica sacra, Pio X , a inizio del Novecento, le privò del canto, giustamente considerandolo un ministero.
Sarebbe comunque riduttivo ricondurre il disagio alla sola assenza ministeriale delle donne. Il problema le tocca – né tocca soltanto loro – sotto il profilo del linguaggio. Le nostre eucologie, l’insieme delle preghiere, radicate in un bieco patriarcalismo, ne ripropongono gli stereotipi culturali. Se si pone attenzione alla declinazione di Dio “padre” si costaterà come a essere invocato/evocato è il pater familias di antica memoria, emulo e succedaneo del pater deorum. Vale lo stesso per l’aggettivazione di Dio, per l’aura sacrale che lo circonda… Resta ben poco di Colui che Gesù di Nazaret ha invocato come abba, papà, ribaltando ogni gerarchia patriarcale. E fa problema, anche la nominazione delle sante, eccezion fatta per le martiri, legata a stereotipie di genere. E ancor più risultano difficili e lontani i temi del sacrificio, della soddisfazione, del peccato, delle gerarchie di genere tra gli umani… Credo che per la maggior parte delle persone il linguaggio delle nostre liturgie risulti quanto meno estraneo. La rottura dei luoghi tradizionali di trasmissione della fede ha rese incomprensibili antiche e bellissime metafore… Ci vuole almeno un traduttore!
Per non parlare delle omelie anch’esse lontane, perdutamente protese a toccare e stigmatizzare l’oggi, mai dirette a offrire la chiave del rito celebrato. Sia chiaro, il rito è iscritto nella nostra struttura antropologica. E, infatti, di riti laici ne celebriamo una infinità. Parliamo addirittura di liturgia dello stadio con un ribaltamento di metafora. In questione, dunque, non è il rito. Il verbo celebrare implica il reiterare un’azione e leithurghia risulta
di laos (popolo) ed urghia (azione). A rigor di termini dunque dovrebbe trattarsi di un’azione che vede coinvolto tutto il popolo di Dio uomini e donne i quali, poi, rendono culto al Padre per Cristo e nello Spirito. Ma, fuori dalla nostra cerchia ristretta, chi capirebbe di che sto parlando?
Le nostre chiese si svuotano, le donne di mezza età, le giovani e i giovani non le frequentano più, certo per quella frattura che ha fatto perdere il codice di riconoscimento e della chiesa edificio e della Chiesa di pietre vive che noi siamo. Un unico nome lega infatti l’edificio e il mistero. Anzi, a rigor di termini, l’edificio stesso dovrebbe fornire il codice segnaletico del mistero: l’altare è Cristo, l’ambone è il monumento della risurrezione, il battistero è il luogo della rinascita. Si diventa cristiani nella sinergia di Parola e Spirito, di Acqua e Spirito; e luogo memoriale di questa compiutezza è l’Altare, mensa preparata per compartire il Corpo e il Sangue del Signore. Insomma, siamo invitati a un banchetto festoso, che richiede conoscenza e cura reciproca, condivisione di gioie e speranze. E, come a ogni festa autenticamente tale, ognuno ha da portare il suo dono per la crescita degli altri. Invece ci trinceriamo dietro parole astruse, vestiamo paramenti desueti, ridicoli in certi dettagli; anziché protagonisti siamo astanti, fruitori passivi, ai quali per giunta si offre un pane stagionato, perché non solo non partecipiamo al calice ma neanche al pane spezzato in quella celebrazione.
Nessuno avverte il nesso che corre tra i soggetti che si raccolgono e i ministeri da essi resi fuori dalla liturgia. E la stessa ministerialità fatta anche di azioni diverse (ascoltare, rispondere, acclamare, alzarsi, stare seduti, procedere in processione…) sembra routine non esercizio del comune sacerdozio.
Si aggiunga a ciò – e il discorso va ben oltre la punta di iceberg dell’insoddisfazione femminile – la rottura della pandemia, la pretesa clericale di celebrare in assenza di popolo, l’orrida esposizione mediatica di messe insignificanti, spudoratamente sciatte o teatrali. E, a seguire, l’idea che in fondo non c’è neppure bisogno della presenza fisica: si può partecipare all’Eucaristia anche da remoto, magari recitando l’orribile formula della comunione spirituale…
Davvero la liturgia è «Chiesa in corso d’Opera» com’ebbe a dirla Crispino Valenziano, per lunghi anni docente al Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo a Roma; davvero occorre por mano alla «riforma della riforma», com’ebbe a dire Adrien Nocent, monaco belga, uno dei maggiori esperti di liturgia, coinvolto fin dagli inizi nella preparazione e nell’attuazione della riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II. Occorre reinventare la liturgia e fare spazio a creatività e soggettualità nuove. Forse, solo lo si volesse, anche le cosiddette liturgie femministe, nella prepotente rivendicazione della corporeità e della natura, potrebbero suggerirci una segnaletica altra che non ha bisogno di mediazioni.
In fondo l’«in memoria di me» ha sigillato la cena ultima del Signore, ma ancor prima ha sigillato, al femminile, il gesto d’unzione della donna innominata – gesti ed eventi compiuti nella intimità ecclesiogenetica di una casa! Ne abbiamo bisogno e abbiamo bisogno di profumi e dunque di odori, gusto, vista, udito, tatto. Le nostre liturgie devono tornare a esprimere la corporalità della salvezza.
Siamo il corpo di Cristo e non si tratta di una metafora.
Cettina Militello* “Donne Chiesa Mondo” -mensile dell’Osservatore Romano – luglio 2023
- (α1945) teologa, vice-presidente della Fondazione Accademia Via Pulchritudinis.
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202307/230705militello.pdf
Le donne che hanno aperto la breccia nelle mura vaticane
Anche nell’ambiente maschile, e spesso misogino, del Vaticano qualche donna è riuscita a far breccia. Nel passato la leggenda di Petronilla, figlia di san Pietro, o la storia intrigante della papessa Giovanna hanno dato corpo ai timori suscitati dall’elemento femminile. Ma vi sono state sante in rapporto, anche burrascoso, con i pontefici – Ildegarda di Bingen e Caterina da Siena, dichiarate «dottori della chiesa» da Benedetto XVI e da Paolo VI – e donne influenti nella curia, come Vannozza Cattanei, amante di Rodrigo Borgia, poi papa Alessandro VI, o Cristina, la colta regina di Svezia che si fece cattolica e lasciò il trono stabilendosi a Roma. Dopo il crollo dello stato pontificio, a incrinare le compatte mura maschili del microcosmo vaticano (e quelle del «sacro
palazzo») sono, in modo diverso, tre donne. La religiosa tedesca Teresa Bong ha accesso a Pio X – fermo sulla dottrina ma deciso riformatore – ed è soprannominata «il cardinale». Teodolinda Banfiè la prima laica a entrare, sia pure come guardarobiera, nell’appartamento papale con Pio XI; ma il pontefice che dovrà affrontare Mussolini e Hitler viene costretto dalle critiche curiali, e soprattutto dal piglio autoritario della sua domestica, a mandarla in pensione dopo appena tre anni. La terza invece, la celebre suor Pascalina Lehnert, arriva in Vaticano con il segretario di stato Pacelli e vi resta quasi un trentennio. Il primo incontro tra il futuro Pio XII e la religiosa chiamata «la papessa» oppure virgo potens – usando per la religiosa un’invocazione rivolta alla Madonna – avviene nel 1918 a Monaco di Baviera. L’anno prima l’arcivescovo Pacelli vi era stato nominato «nunzio apostolico», cioè ambasciatore del papa: «La figura alta e slanciata, il viso magrissimo e pallido, con due occhi che riflettevano l’anima e che conferivano particolare bellezza» lo descriverà madre Pascalina nelle sue memorie.
Appena ventiquattrenne, la suora bavarese viene destinata con due religiose a servire nella nunziatura di Monaco. Subito s’impone sul personale della rappresentanza diplomatica e sulle stesse consorelle. Ma soprattutto sa guadagnarsi la fiducia dell’austero prelato, che l’affascina e di cui inizia a prendersi cura. Poi nel 1920 la morte improvvisa della madre Virginia – alla quale Pacelli è attaccatissimo – prostra il nunzio. «Per un anno fu la sua governante Pascalina ad accompagnarlo, accudirlo, consolarlo; senza esitare, quando mostrava troppe debolezze, a riservargli anche qualche trattamento più duro. Come la sua mamma» scrive, cogliendo nel segno, Bénédicte Lutaud nel suo riuscitissimo Le donne dei papi (Guerini e Associati, a cura di Vittorio Robiati Bendaud).I sussurri e i mugugni si accumulano, anche per l’imperiosa prepotenza della fedelissima collaboratrice del diplomatico. Inutilmente. Suor Pascalina è indispensabile e con lui si trasferisce a Berlino, dove l’arcivescovo è il primo nunzio. Creato cardinale e nominato nel 1930 segretario di stato, Pacelli la porta in Vaticano, contro tutti. Grazie all’appoggio di Pio XI, che – nonostante le diversità di carattere e di vedute – lo stima e lo presenta come il suo candidato alla successione. Pascalina accompagna il segretario di Stato nei viaggi che contribuiscono a farlo conoscere nel mondo: a Buenos Aires, negli Stati Uniti, a Budapest. Ma soprattutto – unica donna nella storia – entra nel conclave che in meno di ventiquattro ore nel 1939 elegge Pacelli. Detestata dai curiali, ma sostenuta da cardinali amici come Faulhaber, l’erudito arcivescovo di Monaco, e Spellman, il potentissimo «papa americano» alla guida della diocesi di New York, la religiosa resterà a fianco di Pio XII per tutto il pontificato, non solo come governante, ma come segretaria personale: di Pascalina il papa si fida. È lei, negli anni terribili della guerra, a organizzare il magazzino del pontefice e a distribuire denaro, cibo, medicine, vestiti, fino a definirsi «amministratrice della carità universale del papa». È ancora lei a sorvegliare con rigore sull’appartamento, sulla giornata e sugli impegni di Pio XII. Ed è infine sempre lei a preoccuparsi della salute del papa, sempre più afflitto da malattie e che la suora difende senza riguardi per nessuno. La pagherà: morto Pacelli, la sera stessa dei suoi funerali deve lasciare il Vaticano. Ma vi tornerà da morta nel 1983, per essere sepolta tra le palme del minuscolo Camposanto Teutonico accanto a San Pietro.
Wanda Półtawska. Trascorsi il ventennio dei papi del concilio (Roncalli e Montini) e l’appendice del brevissimo pontificato di Luciani, con l’elezione del polacco Wojtyła entra in Vaticano un’altra donna, Wanda Półtawska. Originaria di Lublino e oggi ultracentenaria, a uno sguardo superficiale sembrerebbe una replica di Pascalina, anche per il carattere d’acciaio e le comuni vedute conservatrici, ma è una laica, e lo spessore è ben diverso. Giovanissima resistente all’occupazione nazista della Polonia, viene tradita e torturata. Deportata a Ravensbrück, assiste a orrori indicibili e come cavia è sottoposta dai chirurghi del campo ad atroci esperimenti: tre anni spaventosi che racconta in un libro (E ho paura dei miei sogni). Dopo la guerra, Wanda studia medicina e diventa psichiatra, si sposa con Andrzej, giovane filosofo con cui avrà quattro figlie. Nel 1952 a Cracovia la svolta: in un’antica chiesa al centro della città incontra Karol Wojtyła, con il quale si confessa. «È amore a prima vista. Un colpo di fulmine spirituale. E come ogni colpo di fulmine non può essere spiegato» definisce con intelligenza Lutaud il rapporto tra i due, che dura oltre mezzo secolo, fino alla morte del papa. «Vieni la mattina alla messa, vieni ogni giorno» le dice alla fine della confessione il giovane prete. Karol entra a far parte della famiglia. Le bimbe lo chiamano zio ma per Wanda diventa «il Fratello». Wojtyła e la donna – che lui chiamerà sempre Dusia o «sorellina» – si confidano e si scrivono per decenni, scambiando riflessioni e meditazioni. Tutti e sette insieme d’estate percorrono in tenda le montagne e i boschi selvaggi a sud di Cracovia, ma soprattutto tra il futuro papa e la sua amica si consolida un legame intellettuale e spirituale indistruttibile. Il pontefice la vuole spesso in Vaticano, dove Wanda ha la chiave dell’ascensore che dal cortile di Sisto V porta direttamente all’appartamento papale. Dopo l’attentato del 1981, con il marito scopre delle cimici nel «palazzo apostolico». Per suggerimento del papa, nel 1993 inizia a scrivere le sue memorie. «Sarebbe un peccato» bruciarle, le conferma poco prima di morire Giovanni Paolo II. Vengono così alla luce le seicento pagine del Diario di un’amicizia (San Paolo), con annotazioni scritte giorno per giorno, ricordi e molte lettere di Wojtyła. Non tutti approvano la pubblicazione, e aperta è l’ostilità di due uomini vicini al papa che l’hanno sempre avversata: il segretario Dziwisz e il portavoce Navarro-Valls, per timore che il libro ostacoli la beatificazione del pontefice.
L’antipatia del primo, ricambiata da Półtawska, non è solo gelosia per un rapporto ben più antico e solido, ma diviene scontro sull’arcivescovo Juliusz Paetz, accusato di molestie nei confronti di seminaristi, che il potente segretario del papa protegge e copre, ma del quale Wanda ottiene nel 2002 la destituzione. Wojtyła – scrive Wanda ricordando il loro primo incontro – «non voleva dare sé stesso agli uomini, ma condurli a Cristo, per così dire, attraverso sé stesso, ma non a sé stesso». E quattro giorni dopo l’elezione il papa confida alla sua Dusia: quando Andrzej mi disse che eri stata a Ravensbrück, «è nata nella mia consapevolezza la convinzione che Dio mi dava e mi assegnava te, affinché in un certo senso io “compensassi” quello che avevi sofferto lì. E ho pensato: lei ha sofferto al mio posto».
Il presente. Altre donne, scelte e raccontate magnificamente da Lutaud, sono vicine ai papi recenti. Hermine Speier, archeologa ebrea protetta da Pio XI, è la «monsignorina» a lungo fidanzata con l’esploratore artico Umberto Nobile. La potente e furba badessa delle brigidine Tekla Famiglietti si fa «diplomatica segreta» di papa Wojtyła e arriva fino a Fidel Castro.
Infine «la femminista del Vaticano», la storica e giornalista Lucetta Scaraffia, grazie a Ratzinger fonda e dirige «Donne Chiesa Mondo», l’unica testata femminile vaticana. «Avete opposizioni» le domanda nel 2018 Benedetto XVI. Non ci mancano, risponde la combattiva intellettuale torinese. «Allora vuol dire che state lavorando bene» l’incoraggia il papa emerito.
Giovanni Maria Vian “Domani” 9 luglio 2023
www.editorialedomani.it/politica/mondo/le-donne-che-hanno-aperto-la-breccia-nelle-mura-vaticane-xq4zj0ce
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202307/230709vian.pdf
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Fernández, ecco il “Ratzinger” di Francesco e la sua riforma
Papa Francesco ha designato Victor Manuel Fernández alla guida del dicastero per la Dottrina della fede.
La lettera del papa spiega il suo intento
Anche se papa Francesco ha reso i passaggi di testimone ai ruoli apicali dell’organizzazione vaticana una prassi quinquennale, e il cardinal Ladaria di anni ne ha fatti 6 semplicemente per accompagnare la riforma che ha trasformato tutte le congregazioni d’Oltretevere in dicasteri, l’avvento di Victor Manuel Fernández alla guida della Dottrina della fede – nel posto che fu di Joseph Ratzinger – non può essere derubricato ad un normale avvicendamento.
In qualche modo fino a ieri l’ombra del prefetto della Dottrina della fede per antonomasia – quel Benedetto che riposava nel monastero vaticano con l’evocativo nome di “papa emerito” – non aveva permesso al suo successore di entrare con piena libertà in quel campo, anche solo per rivisitarlo. Certamente nel 2017 Francesco era arrivato perfino a congedare il cardinale Müller, scelto in quel ruolo da Ratzinger ancora regnante, per sostituirlo con il gesuita Ladaria, ma il senno di poi ha confermato che nell’ottica del pontefice argentino quella conclusione inusuale dell’incarico (per secoli i prefetti dell’ex sant’Uffizio erano rimasti in carica fino alla morte) era solo la prima di un nuovo stile e di un nuovo modo di intendere gli incarichi dentro le mura leonine.
Anche la riforma della curia non aveva scalfito più di tanto quel fortino che, come un monumento, evocava a tutti la presenza del cardinale bavarese, uomo di fiducia di Wojtyła, e che pertanto sembrava intoccabile. La morte di Benedetto e la conclusione del mandato di Ladaria hanno dunque aperto uno scenario nuovo, dove oggi si può fare quel che fino a ieri era indelicato fare. Ovviamente non si tratta di niente di dirompente, solo di una legittima ridefinizione del ruolo del dicastero, ridefinizione che arriva – e questo è invece molto interessante – non con un documento dedicato, ma con una lettera del papa in persona che accompagna la nomina del nuovo prefetto. Fernández è un argentino, uomo fidato di Francesco, spesso definito “teologo del papa”, che ha partecipato alla Conferenza della Chiesa latino-americana ad Aparecida del 2007 in cui l’allora vescovo di Buenos Aires Bergoglio lottava con lui per una Chiesa non autoreferenziale, una Chiesa in uscita.
I due hanno maturato insieme una visione per cui è l’esercizio del potere all’interno della Chiesa ciò che impedisce alla Chiesa stessa di accogliere la chiamata dello Spirito al cambiamento. Per questo la madre di tutte le riforme è quella conversione pastorale che porta la Chiesa dall’esercizio del potere all’esercizio del servizio. Il cuore della lettera è tutto qui: ridefinire il servizio che il dicastero per la dottrina della fede deve svolgere in seno alla comunità cristiana.
I termini che Francesco individua sono estremamente semplici: il compito di Fernández, nel suo nuovo ruolo, è quello di aiutare la Chiesa a riconnettere le parole che pronuncia con l’esperienza umana che esse esprimono. È come se Bergoglio avesse ben presente lo iato che c’è tra quello che la Chiesa dice e l’esperienza umana che gli uomini del XXI secolo vivono. Senza riconnettere le parole con l’esperienza, non solo sarà impossibile raggiungere gli uomini di questo secolo, ma sarà impossibile per la Chiesa dialogare con qualunque altra cultura, rendendo sterile e arido il proprio patrimonio di saggezza e di comprensione della realtà.
Il compito del dicastero vaticano è quindi quello di assicurarsi che l’esperienza della Chiesa sia sempre pensata, riflessa, espressa. In altre parole, giudicata. Altrimenti la fede resterà sempre un fatto emozionale individuale, un moto soggettivistico incapace di interfacciarsi con chicchessia. L’esperienza ha bisogno di parole e queste parole non devono essere selezionate solo all’interno di una determinata tradizione filosofica o teologica, ma possono fiorire in qualunque pensiero, senza aver timore preconcetto per l’ortodossia o pregiudizio verso la libertà di ricerca dei teologi.
È questo un passaggio nuovo e di discontinuità rispetto al passato: viene del tutto meno il ruolo di censura esercitato da quella che fu l’Inquisizione, per far spazio ad un ruolo di promozione della ricerca e di supporto al dialogo tra le diverse ermeneutiche della fede.
Si riafferma ancora una volta, nel magistero decennale di Francesco, la pluralità nell’unità, assioma che deriva dall’immagine stessa della trinità cristiana e che diventa, nelle parole del papa, metro di giudizio e di azione. Questo non significa che la libertà proposta nella lettera sia un pensare quel che si vuole e come si vuole: Bergoglio fissa un criterio al pensiero che è quello della ragionevolezza. Troppe volte, lungo i secoli, il pensiero teologico è rimasto ostaggio di una logica che rendeva il discorso “corretto e pulito”, ma che cozzava con la vita. La ragionevolezza, invece, non è solo logica formale, non è solo adeguata perizia dialettica, ma è capacità di rendere ragione della realtà.
Il messaggio papale di rimbrotto alla teologia da tavolino non è qui lontano dal discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, quando l’allora Pontefice stigmatizzò la violenza in nome della fede, argomentando come fosse impossibile pensare a Dio in opposizione alla ragione. Nel cristianesimo la ragione è un’energia di conoscenza incarnata, che tiene insieme logos e pathos, e che conferisce al discorso teologico una profonda aderenza con la vita, aiutando a distinguere le questioni principali da quelle secondarie. Senza questa ragionevolezza vissuta, la teologia resta in balia di ripercussioni, di conseguenze, di ornamenti che oscurano il cuore della fede.
In chiusura della lettera il papa riassegna al dicastero un compito di revisione e di controllo degli atti della Chiesa, con il dichiarato intento di verificare che le parole con cui la comunità cristiana si esprime siano adeguate all’esperienza e all’humus della tradizione. A ben vedere in questo messaggio inusuale c’è più di una rivoluzione, c’è un’intera chiave interpretativa di un pontificato e di un magistero. Quasi l’inconsapevole testimonianza di un’eredità. Di un lascito da non disperdere.
Federico Pichetto (α1984) sacerdote il sussidiario 3 luglio 2023
www.ilsussidiario.net/news/papa-fernandez-ecco-il-ratzinger-di-francesco-e-la-sua-riforma/2560041
Parla Víctor Fernández: «Ad alcuni do fastidio, mi considerano un ignorante usurpatore latinoamericano»
Se c’è un filo rosso che riassume dieci anni di pontificato di Francesco, questi ha il nome di Víctor Manuel Fernández. Poco dopo l’elezione pontificia, Francesco elevò il teologo argentino alla dignità episcopale; lo scorso 1° luglio lo ha nominato prefetto del Dicastero per la dottrina della fede: una scelta di rottura nell’ex Sant’Uffizio. Per questo, la nomina dell’arcivescovo di La Plata è vista con scetticismo dai più conservatori, sia dentro che fuori il Vaticano.
Eccellenza, ad agosto lascerà La Plata per Roma. Secondo lei in futuro sarà possibile avere una chiesa meno centrata su Roma?
La sua domanda mi dà l’opportunità di chiarire una cosa, perché mi hanno fatto dire che il papa potrebbe vivere in un’altra diocesi, ma io non l’ho mai detto. Il papa deve essere il vescovo di Roma. Quello che ho affermato è che ciò che è importante non è la città di Roma ma la diocesi di Roma. Quindi, fintanto che risiedi nella diocesi di Roma, potresti vivere fuori dal Vaticano e anche fuori dalla città di Roma. Ad esempio, potresti vivere a Guidonia, che è un’altra città ma fa parte della diocesi di Roma. Perché non potrebbe farlo un papa che ama le periferie? Poi Sandro Magister ha pubblicato un bell’articolo dal titolo: “Il papa cerca casa a Guidonia”.
www.lamadredellachiesa.it/francesco-cerca-casa-a-guidonia-di-sandro-magister
A quel tempo sostenevo anche che, con le possibilità di comunicazione che esistono oggi, alcuni dipartimenti o accademie potevano essere in altri paesi. Non credo che ci sia eresia in questo, eppure le mie affermazioni sono state travisate.
In un recente post su Facebook ha parlato di gruppi contrari a Francesco che strumentalizzano la sua nomina. Serpeggia una certa insofferenza nei confronti del papa?
Ci sono gruppi che credono che il loro sia l’unico modo possibile di pensare nella chiesa e l’unico modo di esprimere la dottrina. Credono di poter giudicare la dottrina del papa, ma Gesù ha dato le chiavi di Pietro al papa, non a loro. Solo a Pietro ha promesso quell’assistenza molto speciale che affermano di avere. Ma la cosa più problematica è che non solo chiedono la libertà di pensare in modo diverso, il che è rispettabile, ma vogliono pretendere e imporre che tutti la pensino come loro. Perciò capisco che dia loro fastidio che io sia alla Dottrina della fede. Immagino che inconsciamente mi considerino un ignorante usurpatore latinoamericano di un posto che spetta a loro. Ma neppure io avrò l’assistenza dello Spirito che fu promessa a Pietro, perché ce l’ha solo il papa. Sarò un povero lavoratore che presenterà il suo lavoro a Francesco, che utilizzerà e approverà solo cose che, nell’esercizio del suo carisma unico, riterrà vere e appropriate».
Lavorando spesso al fianco di papa Francesco ha sottolineato il suo stile di libertà e creatività. Tuttavia, non sono mancate critiche, anche nell’opinione pubblica. Dopo dieci anni è cambiato qualcosa?
In altri tempi c’erano persone lunatiche e aggressive da cui scappavano tutti, che finivano per inveire da sole contro tutto. Ora quelle persone possono creare un blog o un sito web e farli leggere alle persone. Se hanno molti soldi, possono far sì che le loro opinioni abbiano un impatto maggiore sui social network. Se si leggono i commenti che compaiono sui forum di internet, si vede che la maggior parte di essi è aggressiva e offensiva, di sinistra o di destra. Le persone normali scrivono poco. Il problema è che negli ultimi anni si è notato che hanno un’influenza crescente. Alcuni politici sanno usare molto bene queste risorse. Penso che nella Santa sede abbiamo ancora molto da crescere in questo, perché i media ufficiali della chiesa sono seguiti da meno persone rispetto ad altri più abili a influenzare l’opinione altrui, a volte con bugie, prese in giro, citazioni fuori contesto.
Alcuni mettono in dubbio il suo spessore teologico, citando il suo libro Guariscimi con la tua bocca. Cosa risponde a chi lo accusa di non avere una preparazione teologica?
Alcuni usano una risorsa che funziona per loro: il ridicolo. Tutto parte dalla convinzione che l’unica cosa solida è il loro pensiero, l’unica cosa profonda è il loro pensiero, l’unica cosa accademica è il loro pensiero, anche se non hanno studiato teologia. È naturale che facciano a pezzi chiunque la pensi diversamente. Loro usano da anni quel libretto, che è solo un catechismo che usavo con i giovani quando ero parroco per proporre loro di evitare i rapporti prematrimoniali. Ciò che proponevo loro era di sviluppare altre espressioni d’amore, come il bacio. Niente di eretico in questo approccio. Ma lo citano come se volessi che fosse teologia sistematica, e non lo è affatto. Credo che non sia etico o evangelico per loro agire così, e loro lo sanno. Se vuoi commentare la mia teologia, leggi il mio manuale sulla Grazia, per esempio, o i miei articoli accademici! Se qualcuno di loro leggerà quest’intervista, suggerisco di leggere i miei articoli sulla rivista “Angelicum” e di discuterne con me. Ascolterò volentieri le loro critiche teologiche. Ma mi sembra molto basso che usino un catechismo per giovani per giudicare il mio pensiero accademico.
Quando lasciò l’università Cattolica, gli furono riconosciuti molti meriti, tra cui una crescente presenza pubblica dell’università e il contributo al dialogo con la società. Pensa che la teologia sia ancora chiusa oggi?
Il papa mi chiede di incoraggiare una teologia in dialogo con la società, ma se uno si pone solo come giudice e crede che lo Spirito santo non possa ispirare nulla di buono al di fuori della chiesa, allora nessun dialogo è possibile. Papa Francesco è un modello di quel dialogo con il mondo.
In Germania, il cammino sinodale ha mostrato come il dialogo con i laici sia essenziale per affrontare i problemi della società odierna. Pensa che studiare teologia solo nelle università pontificie possa impedire l’elaborazione di una dottrina più vicina al popolo?
Nel documentario ”Amen”. Francesco risponde noti il suo coraggio e la sua generosità nell’esporsi senza paura. Spesso abbiamo paura del mondo e preferiamo starne alla larga per non farci del male.
www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-04/papa-francesco-disney-dialogo-dieci-giovani-domande-scomode.html
A volte le nostre università private sono quei rifugi che ci mantengono preservati ma non ci permettono di essere sfidati da chi è diverso. Ciò corre il rischio che poi il nostro messaggio arrivi solo a pochi eletti e che non siamo sacramenti della presenza di Dio in mezzo al mondo. Ricordo che in Argentina c’era un Congresso sulla dottrina sociale della chiesa a cui partecipavano diversi professori dell’università Cattolica, pensando di tenere lezioni ad altri. Ma lì hanno incontrato tante persone molto diverse che hanno litigato con loro: assistenti sociali, sindacalisti, persone che lavorano con i più poveri e abbandonati, e questi insegnanti si sono sentiti sopraffatti, non sapevano cosa dire. Per questo, quando ero rettore dell’università, ho proposto agli studenti di svolgere compiti di aiuto nei quartieri più poveri di Buenos Aires. Questo ha permesso loro di prepararsi molto meglio come professionisti e come credenti per prestare un servizio nella società senza arroganza e con maggiore empatia.
In Amoris lætitia papa Francesco scrive: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale». In campo dottrinale, la teologia è stata spesso considerata un’appendice burocratica?
La teologia è al servizio della fede e dell’evangelizzazione. Ma se non entri in dialogo con la vita concreta delle persone, con i loro drammi, limiti e sogni, corri il rischio di diventare irrilevante e di perdere il significato concreto.
Quando il papa parla di «metodi immorali» da parte della Congregazione per la dottrina della fede, a cosa si riferisce?
Si riferisce a certe metodologie crudeli dell’Inquisizione in altri secoli, che non erano così terribili come le presentano certe leggende nere, ma è anche vero che oggi non possiamo considerarle accettabili. Oggi la Chiesa non agisce in questo modo, ma può fare qualcosa di simile se cerca di imporre la dottrina senza rispettare la libertà e i tempi delle persone. In alcune istituzioni possono esserci ancora abusi di autorità, maltrattamenti, metodologie inadeguate.
Bergoglio le ha affidato la preparazione del documento finale della Conferenza di Aparecida. Perché la V Conferenza del CELAM è fondamentale per comprendere il rapporto tra la chiesa e il mondo secolarizzato?
Ho aiutato a raccogliere i contributi dei diversi circoli minori, è stato un lavoro difficile perché c’era poco tempo per scrivere. Il documento è alquanto eterogeneo, ma ha l’immenso valore di raccogliere consensi e contributi reali da parte di tutti. Ciò significa che il documento finale ha un “odore latinoamericano” e non è solo il risultato di un’imposizione di alcuni europei della curia romana che temevano che ci fossero deviazioni relativistiche. Ma non si trattava di relativismo, bensì di un pensiero incarnato nella realtà concreta dell’America latina. Va detto che lo stesso papa Benedetto in quel momento incoraggiava la libera discussione e il cardinale Bergoglio assicurava quella libertà.
intervista a Victor Manuel Fernàndez a cura di Marco Grieco in “Domani” del 7 luglio 2023
www.editorialedomani.it/fatti/parla-victor-manuel-fernandez-ad-alcuni-do-fastidio-mi-considerano-un-ignorante-usurpatore-latinoamericano-wvuilt7l
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202307/230707fernandezgrieco.pdf
Il capo dell’ex Sant’Uffizio “Più potere alle donne. E la Chiesa sulle coppie gay non può solo proibire”
Bisogna garantire maggior “potere” alle donne nella Chiesa. Parola del nuovo prefetto dell’ex Santo Uffizio, l’argentino Victor Manuel Fernandez. Primo latino-americano a ricoprire il ruolo che è stato di Joseph Ratzinger, teologo attento all’esegesi biblica, una lunga esperienza da parroco, l’arcivescovo non si nasconde che avrà nemici che tenteranno di fargli «male con qualsiasi mezzo».
E non esclude la possibilità di rivedere il divieto di benedire le coppie omosessuali sancito in passato dallo stesso dicastero che egli ora è chiamato a far evolvere.
Nella lettera che accompagna la sua nomina il papa ha scritto che il dicastero «in altre epoche arrivò a utilizzare metodi immorali»: in futuro gli “errori dottrinali” non verranno corretti?
«Il significato più profondo di queste parole non è quello di fare un commento storico. È chiaro che oggi il Vaticano non si comporterebbe come ai tempi dell’inquisizione. Ciò a cui Francesco accenna vuole esprimere che la dottrina non va curata tanto controllando, sanzionando, proibendo, ma soprattutto facendo crescere la nostra comprensione di essa, approfondendola, facendo affiorare tutta la sua ricchezza nello studio e nel dialogo tra teologi, ma anche nel dialogo con il mondo attuale».
Crede che in futuro si potrà rivedere il divieto di benedire le coppie gay sancito proprio dal suo dicastero?
«Credo che rimanga sempre aperta la possibilità di precisarlo, arricchirlo, migliorarlo, e magari lasciarlo illuminare meglio dagli insegnamenti di Francesco».
Condivide la critica di chi considera la morale sessuale cattolica un insieme di “no” lontano dalla realtà?
«C’è sempre il rischio di trasformare la morale in mere proibizioni e questo non la renderà attraente o convincente. È sempre meglio mostrare prima la bellezza della proposta, l’obiettivo, l’ideale da realizzare, il banchetto che Dio ci serve».
Crede che in futuro si potrà ripensare il ruolo della donna nella Chiesa?
«Certamente. Non ci servirà per questo concentrare la discussione sull’accesso delle donne all’ordine sacro. Sarebbe un impoverimento della proposta. Si tratta di approfondire e spiegare molto meglio il posto specifico delle donne, il loro contributo più proprio. Ma è vero che se questa riflessione non ha conseguenze pratiche, se non si pone la questione del potere nella Chiesa, se non è capace di concedere alle donne spazi dove possa incidere maggiormente, questa riflessione sarà sempre insoddisfacente».
Come reagisce quando la dipingono come “progressista”?
«Non mi sento rappresentato da questa parola che tende ad avere una sfumatura di superficialità, di ricerca ossessiva del cambiamento, di disprezzo per la ricchezza che la storia ci lascia, di passione per le novità come se il nuovo fosse sempre migliore del vecchio. Quello che mi interessa è che la teologia sia parli all’uomo di oggi, che possa essere assunta come luce per la propria esistenza».
Su Facebook ha scritto di essere consapevole che avrà «molti contro», persone «in guerra con
il mondo»: chi sono? Dove sono? Come li affronterà?
«Guardi, amo la varietà, la ricchezza, i contributi che arrivano da ogni parte. Ad esempio, io non celebro la messa in latino, nella sua forma tradizionale, penso che la maggior parte delle persone oggi non ne sia attratta, ma mi piace vederla e non mi dà fastidio che a qualcuno piaccia. Però non accetto che mi condannino perché celebro la messa in spagnolo. Il problema sono le persone che vogliono imporre un modo unico di fare teologia, un modo unico di esprimere il pensiero cristiano. Ovviamente chi è così non potrà tollerarmi ed è possibile che qualcuno tenti di farmi del male con qualsiasi mezzo. Ma ogni giorno io ripeto molte volte al giorno questa preghiera: “Proteggimi, Signore, in te mi rifugio. Confido in te, non rimarrò deluso”. Vorrei pronunciare queste parole per proteggermi dai furiosi anti-cattolici, mi dispiace doverle dire per proteggermi dai miei fratelli nella fede».
Ha inizialmente rifiutato la nomina perché non si sente «preparato o qualificato» per affrontare il problema degli abusi sui minori, che però è una crisi epocale, e che ha accettato, alla fine, perché della questione si occupa una sezione «abbastanza autonoma», che però ricade sotto la sua responsabilità.
«Questa sezione ha eccellenti esperti. Alcuni li conosco e li stimo molto. Credo che non abbia senso per me far perdere loro tempo con le mie opinioni. Proprio per l’importanza che questa questione ha oggi per la credibilità della Chiesa, credo che la cosa migliore che io possa fare sia lasciarli liberi di lavorare. Ciò non significa che io li dimentichi o li abbandoni. Darò loro l’aiuto che chiedono e sarò attento alle loro necessità. Ma orienterò il mio tempo e i miei sforzi a ciò per cui mi sento sicuro e preparato, ossia la teologia».
All’assemblea sinodale sulla famiglia del 2015, papa Francesco ha notato che “quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo – quasi! – per il vescovo di un altro continente”: come crede che si articolerà il rapporto tra il suo dicastero e le Chiese locali, tra il suo dicastero e il sinodo globale in corso? Dove finisce l’ascolto e inizia l’ortodossia?
È la questione dell’inculturazione, ed è uno dei temi più apprezzati da papa Francesco. Quando egli difende la spiritualità propria dei più poveri dell’America Latina, il loro modo di vivere la fede, mostra un modo concreto di applicare l’insegnamento sull’inculturazione del Vangelo, della fede, della spiritualità. Allo stesso tempo, Francisco ha un immenso rispetto per i diversi modi di essere cattolico che esistono nelle diverse parti del mondo e non vede di buon occhio ogni pretesa di uniformità. Sarebbe un tradimento dello Spirito Santo, la cui creatività è inesauribile, e che è capace di produrre in ogni luogo della terra un modo unico di incarnare il Vangelo.
intervista a Victor Manuel Fernandez a cura di Iacopo Scaramuzzi “la Repubblica” 9 luglio 2023
www.msn.com/it-it/notizie/italia/il-capo-dell-ex-sant-uffizio-pi%C3%B9-potere-alle-donne-e-la-chiesa-sulle-coppie-gay-non-pu%C3%B2-solo-proibire/ar-AA1dC8qr
INFERTILITÀ MASCHILE
La crescente infertilità maschile è legata anche all’inquinamento ambientale
Gli inquinanti possono causare alterazioni dello sviluppo dell’apparato maschile già nell’utero materno e sono definiti “distruttori endocrini”. Come ci spiega Agostino Specchio dell’Associazione medici endocrinologi (Ame), l’impatto non si limita alla qualità dello sperma, ma riguarda anche le dimensioni dei testicoli e del pene
Nel corso dell’ultimo secolo la popolazione mondiale è aumentata in modo vertiginoso. Solo settant’anni fa il nostro Pianeta ospitava 2,5 miliardi di persone, mentre lo scorso novembre le Nazioni Unite hanno annunciato il raggiungimento di un traguardo storico: la presenza stimata di otto miliardi di individui sulla Terra.
Eppure, negli ultimi anni il tasso di crescita è rallentato: oggi oltre il 50% della popolazione globale vive in Paesi con un tasso di fertilità inferiore a due figli per donna, con il risultato che tali realtà, senza migrazioni, si contrarranno gradualmente. Questo calo riguarda soprattutto l’Europa e in modo particolare l’Italia, terzultimo Paese nell’Unione europea per tasso di natalità secondo i dati Eurostat (davanti solo a Spagna e Malta), che come altre Nazioni ha sofferto sempre di più la mancanza di incentivi e di sostegno alle famiglie.
Le motivazioni sociali ed economiche sono determinanti e rappresentano la fonte principale del fenomeno, ma non completano il mosaico. La scienza suggerisce che l’infertilità maschile nel mondo stia aumentando come conseguenza di una serie di problemi riproduttivi: il minore numero di spermatozoi presente nei soggetti adulti, la riduzione dei livelli di testosterone e la maggiore diffusione di disfunzione erettile e di cancro ai testicoli. Poche settimane fa è stata la Società italiana di andrologia (Sia) a lanciare l’allarme, mettendo in guardia sul rischio concreto che la perdita di fertilità negli uomini si trasformi in un problema irreversibile per la specie umana.
In questo scenario, la ricerca scientifica sta dimostrando che fattori come l’inquinamento influiscono in maniera determinante sul problema. Per esempio sulla qualità dello sperma maschile, con conseguenze devastanti per gli individui (dal punto di vista prettamente riproduttivo ma anche psicologico) e per intere società.
Uno studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista Human reproduction update dell’Oxford Academic ha rivelato che tra il 1973 e il 2018 la conta spermatica dei soggetti presi in esame è diminuita in media dell’1,2% all’anno, passando da centoquattro a quarantanove milioni/ml. A partire dal 2000 questo declino è accelerato, fino a raggiungere il 2,6% annuo. Le cause sono molteplici (e comprendono stili di vita più sedentari, stress, uso di alcol e droghe) ma l’impatto negativo degli agenti contaminanti è osservabile.
«Gli inquinanti possono causare alterazioni dello sviluppo dell’apparato maschile già nell’utero materno e sono definiti endocrine disruptor, distruttori endocrini», spiega a Linkiesta Agostino Specchio, medico endocrinologo e coordinatore della commissione andrologia dell’Associazione medici endocrinologi (Ame).
«Gli inquinanti come gli organofosfati (che sono alla base di molti insetticidi, erbicidi o gas nervini, ndr) assomigliano nella loro molecola agli ormoni e per questo vanno a interferire con l’azione degli ormoni veri, quelli naturali. Interferendo in utero, quando nelle prime settimane si deve sviluppare l’apparato genitale (in modo particolare nel maschio), possono determinare alterazioni congenite evidenti alla nascita. Oppure molto lievi, che si manifestano solo dopo anni, per esempio sulla fertilità».
Quello relativo ai cosiddetti distruttori (o interferenti) endocrini è un capitolo enorme e ormai universalmente acclarato dal mondo accademico. Una ricerca della società italiana di andrologia ha registrato che le anomalie sul piano della fertilità maschile sono più evidenti nelle zone inquinate: le cause sono legate a una mancanza di androgeno (gli ormoni steroidei) nella fase di sviluppo embrionale dei soggetti, con conseguenti problematiche sul piano riproduttivo. Laddove la concentrazione di Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) è più alta, come in Veneto, la distanza ano-genitale nei soggetti ventenni è ridotta, così come il volume dei testicoli.
«C’è una condizione che viene chiamata sindrome da disgenesia gonadica», prosegue Specchio. «Si tratta di una condizione che raggruppa tutta una serie di manifestazioni, che vanno dal testicolo che non scende nello scroto all’infertilità, ma che riguarda anche lo sviluppo del pene». La letteratura scientifica ha ormai ampiamente dimostrato la correlazione tra disgenesia gonadica e inquinamento ambientale.
«In tutta Italia si stanno sviluppando screening andrologici: in pratica si va nelle scuole e si visitano i ragazzi. Questi studi stanno dimostrando che, man mano che passa il tempo e le generazioni si succedono, il testicolo dei giovani è sempre più piccolo rispetto a quello dei loro padri e dei loro nonni, così come le dimensioni del pene. Questi fenomeni sono aggregabili alle problematiche da inquinamento ambientale».
Non finisce qui. Nel Regno Unito, un team di ricerca della University of East Anglia ha evidenziato quanto l’aumento delle temperature e le ondate di calore danneggino gli spermatozoi negli insetti, causando effetti collaterali sulla loro fertilità in maniera analoga a quanto potrebbe succedere negli uomini. Un altro studio asiatico del 2022 sottolinea quanto le temperature ambientali più elevate influiscano negativamente sulla qualità dello sperma e in generale sulle funzioni riproduttive maschili.
Si tratta di un campo di ricerca ancora piuttosto limitato. Tuttavia, al momento sappiamo che affinché i testicoli funzionino in maniera corretta la loro temperatura deve essere adeguata. Chi svolge determinati lavori ed è esposto frequentemente ad alte temperature – come i fornai o i saldatori – è più soggetto a complicazioni legate alla produzione di spermatozoi nei tubuli seminiferi, e quindi a infertilità. In questo senso, secondo la legge dei grandi numeri, il riscaldamento globale rappresenterebbe una pessima notizia anche per la procreazione umana.
Alberto Canton linkiesta 3 luglio 2023
www.linkiesta.it/2023/07/infertilita-maschile-inquinamento-ambientale-spermatozoi
NATALITÀ
Dati Istat. .Rapporto annuale. Commento di Bordignon
“Il rapporto annuale dell’Istat presentato oggi, suona tristemente come un ‘già sentito’”. Così Adriano Bordignon, presidente del Forum delle Associazioni familiari, commenta i contenuti del “Rapporto annuale 2023. La situazione del Paese” diffuso oggi dall’Istat. www.istat.it/it/archivio/285017
“Tra il 2021 e il 2050 in Italia si stima una riduzione della popolazione residente pari a quasi 5 milioni, fino a poco più di 54 milioni. Nel decennio 21/31 la popolazione scenderà dell’1,8% nelle città, del 5,5% nelle aree rurali e del 9,1% nelle aree interne”, osserva Bordignon, sottolineando che “continuerà il processo di invecchiamento e questo avrà impatto sul sistema dell’istruzione in tutte le fasce, sull’economia e sul welfare”. “In questo scenario – spiega – è autolesionistico non investire sui giovani e sul loro protagonismo. Pertanto, ciascuno deve fare la sua parte per consentire ai giovani di avere un futuro nel nostro Paese, ed esserne motore del processo di cambiamento e rinnovamento. Occorre creare un clima di fiducia e di speranza per far ripartire la natalità”. “L’Italia ha bisogno dei suoi giovani”, ammonisce il presidente del Forum famiglie. “È necessario predisporre un ecosistema che favorisca l’anticipazione delle autonomie, la piena libertà e responsabilità, per immaginare e realizzare progetti di vita che faranno il bene delle persone, delle famiglie e del Paese”, conclude Bordignon: “Servono politiche integrate che insistano su università, politiche del lavoro, abitative, supporto alle startup e all’imprenditoria giovanile, servizi alle giovani coppie e più coraggio per mettere i giovani nella condizione di essere veramente generativi di futuro”.
(A.B.) Agenzia SIR 7 luglio 2023
www.agensir.it/quotidiano/2023/7/7/natalita-bordignon-forum-famiglie-creare-clima-di-fiducia-e-speranza-per-farla-ripartire-autolesionistico-non-investire-su-giovani-e-loro-protagonismo
“Dati angoscianti: se non ci diamo un obiettivo, tra pochi mesi la situazione sarà irreversibile”.
Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità e ideatore degli Stati generali della natalità, esprime “una seria preoccupazione e una profonda angoscia” commentando l’intervento del presidente facente funzioni dell’Istat, Francesco Maria Chelli, che ha presentato il Rapporto annuale 2023. “L’Istat – osserva De Palo – certifica che è crollato il saldo naturale, perdendo in soli tre anni quasi un milione di persone; nel primo quadrimestre 2023 le nascite continuano a diminuire; tra il 2021 e il 2050 in Italia si stima una riduzione della popolazione residente pari a quasi 5 milioni. È finito il tempo dei convegni e dei commenti dei dati: il contesto è talmente grave che o si interviene subito oppure la situazione sarà irreversibile. Mi sembra di poter dire che siamo tutti d’accordo, allora facciamo un patto per la natalità che abbia come obiettivo quota 500mila nuovi nati entro il 2033”.
Il presidente della Fondazione per la natalità avverte: “Siamo tutti convocati: maggioranza e opposizione; imprese e sindacati; mondo dell’associazionismo, della comunicazione, dello spettacolo. Tutti. Questa è la sfida più importante per il Paese e richiede un impegno condiviso da tutti gli attori della società”. “Siamo in ritardo – conclude De Palo – ed è giunto il momento di passare dai proclami e dalle prese di posizioni verbali alla concretezza di riforme serie. La prossima legge di bilancio sarà determinante per capire se c’è o non c’è un’effettiva volontà politica di cambiare le cose”.
(G.A.) Agenzia SIR 7 luglio 2023
www.agensir.it/quotidiano/2023/7/7/natalita-de-palo-fondazione-dati-istat-angoscianti-la-prossima-legge-di-bilancio-determinante-per-capire-se-ce-uneffettiva-volonta-politica-di-cambiare-le-cose
PROSTITUZIONE
Prostituzione, “Papa Giovanni XXIII”: «Bene la risoluzione Ue»
Il presidente Fadda esprime soddisfazione per il Rapporto che «fa emergere la necessità urgente di interventi per scoraggiare la domanda e indica cosa fare per prevenire»
«Plaudiamo con favore al Rapporto votato il 27 giugno dalla Commissione sui diritti delle donne e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo». Il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII Matteo Fadda commenta il documento 2139/2022 approvato dalla Commissione, che «fa emergere la necessità urgente negli Stati membri di interventi per scoraggiare la domanda di prostituzione, connessa alla diffusione sempre più importante di forme di tratta, violenza di genere, stigmatizzazione e sfruttamento del corpo delle donne», spiega. Non solo: «Il rapporto mette in luce le cause per cui le persone entrano nella prostituzione e indica chiaramente cosa occorre fare per prevenire il fenomeno», aggiunge.
Il 9 novembre dello scorso anno la Comunità Papa Giovanni XXIII a Bruxelles insieme ad altre organizzazioni europee – nella tavola rotonda prevista dal progetto europeo MIRIAM per la tempestiva identificazione delle donne migranti vittime di violenza – aveva ricordato ai membri del Parlamento presenti l’urgenza di dare voce alle migliaia di donne migranti vittime di violenza di genere nell’Unione Europea e di garantire loro protezione e accesso immediato ai servizi sociali e sanitari. Tra queste forme di violenza primeggia lo sfruttamento della prostituzione. «Confidiamo che anche a settembre, in plenaria, si faccia luce sull’impatto profondamente negativo che ogni forma di violenza e disparità di genere ha sulle donne, sui propri figli, sulla loro salute fisica e psichica, e sul cammino dell’Unione europea verso la parità», conclude Fadda.
Redazione Roma sette online 3 luglio 2023
www.romasette.it/prostituzione-papa-giovanni-xxiii-bene-la-risoluzione-ue
SACRAMENTI
Un libro di Paolo Cugini. Un’Eucarestia meno formale e più relazionale
Nell’epoca post-cristiana, in cui le chiese si svuotano, è ancora possibile proporre una riflessione sull’Eucarestia? La fede e la liturgia possono incontrare uomini e donne di oggi e di domani solo se riescono a dialogare con loro “per la strada”, cioè nei contesti concreti dove si svolgono le loro vite e dove nascono le loro domande di senso e il loro bisogno di conforto e speranza. Il saggio di Paolo Cugini “L’Eucarestia domani. Inculturazione e inclusività della liturgia” (Cantalupa, TO, Effatà 2023), pertanto, si propone il disvelamento dell’autentico tesoro d’amore che Gesù ha nascosto nelle parole dell’ultima cena (p. 7).
A differenza dei sinottici, il Vangelo di Giovanni non rappresenta la benedizione sul pane e sul vino, fatta da Gesù durante l’ultima cena, ma la scena della lavanda dei piedi, che porta alla luce il profondo significato dell’Eucarestia: essa si configura come una coerente scelta di amore che Gesù fa “fino alla fine” invitandoci a seguire il suo esempio. Ricevere l’Eucarestia vuol dire rendere proprio questo sguardo di misericordia che alimenta l’impulso verso il servizio vicendevole. Non si tratta del “premio dei perfetti”, ma del nutrimento per continuare il viaggio, senza abbattersi di fronte alle difficoltà, e prendersi cura gli uni degli altri. Di conseguenza, non può che rivolgersi a tutti e tutte, in un abbraccio di inclusione cui sono ispirate pagine meravigliose (pp. 47-59): Gesù intendeva demolire la “religione del Tempio” con i suoi pregiudizi e i suoi privilegi per mettere al centro l’ascolto delle persone e la loro ricerca di amore.
Ormai nessuno può più credere o praticare una fede come precetto, ma solo per una sincera motivazione etica e spirituale. È giunto il momento che la fede perda la sua connotazione metafisica per diventare ermeneutica della vita in cui il soggetto umano sia pienamente ascoltato, coinvolto, liberato. Ma per questo è necessario che la liturgia sia attenta alla vita concreta del presente, valorizzando la comunità dei credenti come popolo di Dio: è, di fatto, il messaggio del Concilio Vaticano II. L’Eucarestia ha senso solo nel contesto della vita comunitaria, in cui i battezzati condividono la dignità sacerdotale e la chiamata universale alla santità. Da questa consapevolezza deriva la necessità che il popolo di Dio sia attivamente coinvolto nella celebrazione.
Gesù ci consegna il suo corpo, cioè la sua umanità che si rende visibile con la sua fatica e la sua passione per le relazioni con le persone che incontrava “per la strada”. Il corpo e il sangue di Cristo sono il segno del suo desiderio di entrare in comunicazione con gli esseri umani e di donarsi ai poveri di ogni genere, abitando le periferie e i frammenti esistenziali, nella consapevolezza che è proprio in questi frammenti che il Signore ha nascosto la sua grandezza (p. 32). “Prendete e mangiate, prendete e bevete” equivale allora ad assimilare questo modo di essere di Gesù per sfamare il bisogno dell’uomo.
La liturgia, quindi, non può più limitarsi a essere una devozione individuale. Nela visione tradizionale, triste retaggio del Concilio di Trento, prevale l’idea del sacrificio di Cristo, vittima immolata a causa dei nostri peccati. In questa visione i sacerdoti costituiscono i mediatori della Grazia: possiedono uno status superiore e meritano una posizione gerarchica separata. L’apparenza esteriore deve veicolare il senso del sacro, inteso come dimensione sovraumana. Si tratta di una interpretazione ritualista del sacramento, che rimane distante dalla vita. Questa idea, inoltre, suscita nei fedeli un disperato senso di colpa o un atteggiamento di superbia, per cui essi possono accostarsi al sacramento solo se ritenuti degni e meritevoli. Ma nel mistero dell’incarnazione il Signore cerca la relazione con tutti per creare e rafforzare relazioni di fraternità. Infatti, nel modello esistenziale e comunitario i fedeli partecipano attivamente al culto e vi riversano la propria vita, ricevendo la vita di Cristo che costruisce la comunione.
Come per i discepoli di Emmaus (pp. 73-85: il passo evangelico vi è spiegato con poetica delicatezza), incontrare il Signore significa passare dalla tristezza alla gioia e al bisogno di annunciare il Risorto: ma ciò presuppone la disponibilità ad abbandonare le idee sbagliate su un Dio di potere e accettare la prospettiva di un Dio di amore. Da questo incontro nasce l’impulso a condividere il dono ricevuto: l’Eucaristia alimenta una spiritualità relazionale che diventa cura della comunità umana e cammino di liberazione (pp. 88-107).
Le comunità umane, come peraltro gli individui, non sono uguali in ogni tempo o in ogni luogo: per questo è necessario che l’annuncio e la liturgia assumano le caratteristiche culturali delle società a cui si rivolgono, in quanto l’inculturazione permette a una comunità di riconoscersi nella liturgia, superando il retaggio del colonialismo religioso. Rispettare le diverse civiltà umane vuol dire anche riconoscere che a ciascuna di esse lo Spirito ha elargito un tesoro, cioè una visione del mondo e una sensibilità che si approssimano al Vangelo. Proprio per questa ragione la Chiesa, recentemente, sta abbandonando la pretesa, cioè, che il Vangelo vada annunciato solo con i linguaggi e nelle forme di una certa identità storica, quasi fosse superiore alle altre, per valorizzare le culture di tutti i popoli e i loro specifici carismi, come ad esempio l’attenzione per l’armonia del creato e il rispetto della natura che connotano la mentalità dei popoli amazzonici.
L’Eucaristia ha oggi bisogno di una liturgia meno formale e più relazionale, in cui le comunità e i presbiteri locali possano partecipare nel modo più attivo e creativo possibile, per esempio riguardo la spiegazione della parola di Dio, la preghiera dei fedeli, la preghiera eucaristica. Di fronte alla scarsità di presbiteri, propone l’autore, le fedeli e i fedeli laici andrebbero invitati a ricoprire ruoli sempre più ampi, in forza del sacerdozio battesimale da cui nessuno è escluso, e che dovrebbe riconoscere anche alle donne, finalmente, piena dignità per il sacerdozio ministeriale ordinato.
Per essere fedeli al volto di Dio rivelato da Gesù di Nazaret i linguaggi della liturgia andrebbero cambiati. Dio non andrebbe più chiamato “onnipotente” ma “misericordioso”; l’idea dell’Eucaristia come “sacrificio” va sostituita dall’idea dell’Eucaristia come “dono” e sul senso del “peccato” dovrebbe prevalere quello della “responsabilità”. Misericordia, dono, responsabilità: questi sono i valori che l’Eucaristia dovrebbe alimentare nelle comunità cristiane, per far sì che poi i fedeli ne siano autentici testimoni nella vita quotidiana, prendendosi cura dell’umanità e soprattutto dei poveri e dei sofferenti di ogni genere, poiché la sofferenza è il luogo massimo dell’umanità (p. 130), che Gesù ha condiviso fino in fondo.
Il libro di Paolo Cugini sviluppa queste idee con una grande coerenza, che si coglie sia nell’articolazione interna sia nei riferimenti teologici, pastorali e liturgici, ispirati al Concilio Vaticano II, ai padri della Chiesa e soprattutto alle Sacre Scritture. Nello stesso tempo, l’autore cita e commenta con abbondanza il magistero di papa Francesco di cui viene evidenziata la continuità con il Concilio Vaticano II. Ma non deve sfuggire che il discorso tecnico, persino nelle pagine più accademiche, procede in modo fluido e comprensibile e attraverso un tono amichevole, talvolta persino sussurrato. La prosa, sempre concreta, raggiunge in alcuni punti melodie emotive e toccanti (come nelle pagine dedicate ai discepoli di Emmaus, alle donne, alle persone LGBT+) e, grazie all’alternanza di frasi brevi e lunghe, un ritmo lirico, quasi salmico. Questi effetti stilistici derivano anche dall’umanità dell’autore e alludono al suo personale dialogo con la presenza di Cristo nella vita delle persone: sono, a mio giudizio, il segno di un innamoramento che ciascuno e ciascuna di noi siamo chiamati a vivere.
Antonio De Caro è saggista palermitano, docente nelle scuole superiori di Parma
www.adista.it/articolo/70251
SINODALITÀ
Cammino sinodale: diocesi Prato, in dialogo e in ascolto dell’amministrazione comunale
Trovare nuove strade da percorrere insieme per il bene della città. Nell’ambito del Cammino sinodale promosso dalla Chiesa di Prato, il vescovo Giovanni Nerbini ha invitato la Giunta e il Consiglio comunale a vivere un momento di confronto e dialogo. Lo stile proposto è stato quello indicato da Papa Francesco, basato sull’”ascolto profondo”, un atteggiamento che ha contraddistinto il lungo percorso iniziato nell’ottobre 2021 e che ha visto il coinvolgimento di oltre duemila persone su tutto il territorio diocesano. “Questa volta abbiamo voluto incontrare gli amministratori locali, abbiamo voluto sapere anche da loro cosa chiedono gli uomini e le donne del nostro tempo alla Chiesa”, spiega mons. Nerbini.
All’iniziativa, che si è tenuta in Palazzo vescovile, hanno partecipato il sindaco Matteo Biffoni, alcuni membri di Giunta e un buon numero di consiglieri comunali della maggioranza. L’invito all’appuntamento era stato inoltrato dal presidente del Consiglio comunale Gabriele Alberti a tutti i consiglieri. Negli interventi dei presenti è stata sottolineata l’importanza della dimensione dell’ascolto, un atteggiamento che ha dato modo di aprire una riflessione comune su come riuscire a intercettare quella fascia di popolazione, sempre più ampia, che vive ai margini della società. “Non si tratta solo di persone con fragilità di tipo economico – è stato detto in più di un intervento – ma anche cittadini che non riusciamo mai a incontrare e che non parlano con noi perché ritengono che le istituzioni non li rappresentano”. Da questa riflessione è nata la proposta di “mettere nella nostra agenda politica questo punto e di farlo insieme alla Chiesa”. In questo percorso si inserisce anche l’intenzione di coinvolgere sempre di più le nuove generazioni, “non dobbiamo immaginare quale città vogliamo costruire “per” i giovani, ma quale città possiamo costruire “con” i giovani, che non vanno assolutamente esclusi dal dibattito”
Un altro elemento di confronto ha riguardato la città multietnica e il rapporto con le confessioni religiose presenti all’interno della grande comunità pratese.
(F.P.) Agenzia SIR 8 luglio 2023
www.agensir.it/quotidiano/2023/7/8/cammino-sinodale-diocesi-prato-in-dialogo-e-in-ascolto-dellamministrazione-comunale
SINODO
Diffuso l’elenco dei partecipanti al Sinodo
364 i membri con diritto di voto, tra cui 54 donne. Oltre 400 il numero totale dei componenti dell’assemblea. Tra gli “invitati speciali” anche Luca Casarini di Mediterranea
Reso noto oggi, 7 luglio 2023, in Sala stampa vaticana, l’elenco dei partecipanti alla XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, in programma nelle due sessioni dell’ottobre prossimo e dell’ottobre 2024, sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Compreso Papa Francesco, sono 364 i membri con diritto di voto, tra cui 54 donne; oltre 400 il numero totale dei componenti dell’assemblea. Tra i partecipanti, anche alcuni “invitati speciali”, nominati dal pontefice, che prendono parte ai lavori ma non partecipano alle decisioni. Si tratta di freire Alois, priore della Comunità di Taizé (Francia); Luca Casarini, “Mediterranea Saving Humans” (Italia); monsignor Severino Dianich, teologo (Italia); Eva Fernández Mateo (Azione cattolica); Margaret Karram (Opera di Maria – Movimento dei Focolari): padre Hervé Legrand, teologo (Francia); monsignor Armando Matteo, segretario del dicastero per la Dottrina della fede; reverendo Thomas Schwartz (Germania).
Relatore generale del Sinodo è il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo. Segretari speciali sono padre Giacomo Costa, presidente della “Fondazione Culturale San Fedele” di Milano e accompagnatore spirituale nazionale delle Acli, e don Riccardo Battocchio, rettore dell’Almo Collegio Capranica e presidente dell’Associazione Teologica Italiana.
La Commissione per l’Informazione è composta da Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la Comunicazione, che la presiede, e dalla segretaria Sheila Leo Leocádia Pires, dell’Ufficio comunicazioni della Conferenza episcopale cattolica del Sudafrica.
I membri dell’Assemblea sono designati “ex officio” (ossia per la loro funzione, come ad esempio i capi dei dicasteri e i patriarchi), “ex electione” (vali a dire quelli eletti dalle Conferenze episcopali o dai Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche “sui iuris” e poi ratificati dal Santo Padre) o “ex nominatione pontificia” (quelli direttamente nominati dal Santo Padre). Tra i membri “ex electione”, il Papa ha stabilito che siano presenti cinque consacrate e cinque consacrati. Da un elenco di 150 persone proposte dagli organismi continentali, il Papa ha scelto 70 fedeli non vescovi: presbiteri, diaconi, laici e laiche, consacrati e consacrate sono stati individuati per garantire una certa varietà (in quanto a carismi, vocazioni, esperienza ecclesiale, età, paese di provenienza), e soprattutto in virtù della loro partecipazione a vario titolo al processo sinodale e sono per metà uomini e per metà donne. Oltre ai membri, partecipano all’assemblea sinodale, senza diritto di voto attivo e passivo (ossia non possono votare né essere votati per far parte di una delle Commissioni dell’Assemblea), anche alcuni Invitati speciali e 12 Delegati fraterni che rappresentano altre Chiese e comunità ecclesiali. A servizio della dinamica dell’assemblea sinodale, partecipano anche esperti e facilitatori, oltre ad altri collaboratori.
«L’elenco non è ancora completo – ha precisato il cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo -. Fino ad ottobre ci saranno alcuni cambiamenti. Ora dobbiamo metterci al lavoro e prepararci all’Assemblea generale».
Redazione online 7 luglio 2023
www.romasette.it/diffuso-lelenco-dei-partecipanti-al-sinodo
Ecco chi saranno i nuovi cardinali
Papa Francesco durante l’Angelus di oggi annuncia un Concistoro, che si terrà il prossimo 30 settembre per creare nuovi cardinali. Saranno 21 le nuove porpore in totale. “L’inserimento dei nuovi Cardinali nella diocesi di Roma, inoltre, manifesta l’inscindibile legame tra la sede di Pietro e le Chiese particolari diffuse nel mondo“, ha detto il Papa prima di annunciare i nomi.
I 18 elettori: Questi avranno diritto di voto.
- Monsignor Robert Francis Prevost, Prefetto del Dicastero per il Clero,
- Monsignor Claudio Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali,
- Monsignor Victor Manuel Fernandez ,Prefetto Dicastero Dottrina della Fede,
- il nunzio Emil Paul Tscherrig,
- Monsignor Christoph Louis Pierre nunzio negli USA,
- Monsignor Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme,
- Monsignor Stephen Brilli Arcivescovo di Città del Capo,
- Monsignor Angel Sixto Rossi, Arcivescovo di Cordoba,
- Monsignor Luis Rueda Aparicio Arcivescovo di Bogotà,
- Monsignor Grzegorz Ryś arcivescovo di Lodz Polonia,
- Monsignor Stephen Ameyu Martin Mulla arcivescovo di Juba,
- Monsignor José Cobo Cano arcivescovo di Madrid,
- Monsignor Rugambwa vescovo di Tabora,
- monsignor Sebastian Francis vescovo di Penang,
- monsignor Stephen Chow Sau-yan vescovo di Hong Kong,
- . François-Xavier Bustillo OSM vescovo di Ajaccio,
- Monsignor Americo Emanuel Alves Aguiar vescovo di Lisbona,
- Padre Angel Fernadez Artime Rettore Maggiore dei Salesiani.
Il nunzio apostolico Agostino Marchetto,
Monseñor Diego Rafael Padrón Sánchez arcivescovo emerito di Cumanà e
Luis Pascal Dri, confessore nuova Pompei Buenos Aires, tra quelli senza voto . “
Due arcivescovi ed un religioso che si sono distinti per il loro servizio alla Chiesa”, ha commentato Papa Francesco.
Veronica Giacometti – Città del Vaticano ACI Stampa 9 luglio 2023
www.acistampa.com/story/papa-francesco-annuncia-concistoro-il-30-settembre-ecco-i-nomi-dei-nuovi-cardinali
SOCIOLOGIA
L’uguaglianza di genere arretra
Preoccupanti i dati globali e quelli nazionali: l’Italia è infatti al 79mo posto su 146 Paesi
Il titolo della newsletter di Statista (ente che si occupa di elaborazione dati) attira l’attenzione. Evidenziando un recente rapporto del World Economic Forum, si afferma che, in base alle tendenze attuali, ci vorranno altri 131 anni per colmare il divario globale di genere, il 30% di tempo in più rispetto alla previsione del 2020. Il rapporto Global Gender Gap 2023 del Forum economico mondiale osserva che 131 anni rappresentano soltanto la media. La parità politica effettiva di genere è stimata in 162 anni.
Il rapporto ha analizzato quattro serie di indicatori:
- partecipazione economica e opportunità,
- livello di istruzione,
- salute e sopravvivenza
- reale partecipazione politica.
L’impatto economico della pandemia è il fattore principale della battuta d’arresto, e mentre il tasso di progresso di alcuni Paesi verso la parità di genere si è ripreso, molti altri rimangono stagnanti o continuano a diminuire. I primi nove Paesi che hanno colmato almeno l’80% del loro divario di genere sono Islanda, Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia, Germania, Nicaragua, Namibia e Lituania. Gli Stati Uniti, il Canada e la Svizzera sono tra i Paesi che stanno ancora arretrando.
Esaminando la rappresentazione delle donne nei media, il Global Media Monitoring Project ha stimato che, a parità di condizioni, ci vorranno almeno altri 67 anni per colmare il divario di genere nei media tradizionali. Una rappresentazione equa e paritaria delle donne nei notiziari è un riflesso e un motore dell’uguaglianza di genere. Le donne mostrate e citate come leader ed esperte influenzano il dibattito pubblico e dimostrano in modo tangibile a tutte e tutti le opportunità e le possibilità che le donne hanno nella vita pubblica.
Ma negli ultimi anni è diventato più evidente anche l’abuso che le donne dalla vita pubblica ricevono online. La misoginia, le molestie e le violenze online hanno spinto molte donne al silenzio o alla chiusura. Come una parlamentare tanzaniana ha recentemente condiviso con lo staff della Wacc (Associazione mondiale per la comunicazione cristiana), gli abusi online inducono le donne a prendere in considerazione l’idea di entrare in politica per evitare i social media, diminuendo notevolmente la loro visibilità e le possibilità di essere elette.
Il rapporto del World Economic Forum sottolinea anche il divario di genere nell’accesso al digitale: «L’apprendimento online offre flessibilità, accessibilità e personalizzazione, consentendo di acquisire conoscenze in un modo che si adatta alle loro esigenze e circostanze specifiche. Tuttavia, donne e uomini non hanno attualmente pari opportunità e accesso a queste piattaforme online, dato il persistente divario digitale. Anche quando utilizzano queste piattaforme, si riscontra un divario di competenze tra i due sessi, soprattutto per quanto riguarda le competenze che si prevede diventeranno sempre più importanti e richieste. I dati di Coursera (azienda statunitense che opera nel campo delle tecnologie didattiche fondata da docenti d’informatica dell’Università di Stanford) suggeriscono che a partire dal 2022, con l’eccezione dei corsi di insegnamento e tutoraggio, ci sarà una disparità di iscrizioni in tutte le categorie di competenze».
Il rapporto prosegue osservando che quando le donne si iscrivono, «tendono a raggiungere la maggior parte dei livelli di competenza nelle categorie di abilità studiate in meno tempo rispetto agli uomini».
La rappresentazione nelle notizie, l’accesso al digitale e la cyber-violenza sono solo alcuni dei fattori fondamentali della giustizia comunicativa nelle lotte per l’uguaglianza di genere. Il rapporto dimostra ancora una volta che finché i diritti alla comunicazione non saranno rispettati e soddisfatti, il raggiungimento di altri diritti e, in ultima analisi, dell’uguaglianza, rimarrà fuori portata.
Gianluca Fiusco, responsabile della comunicazione della Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi) e membro del Comitato esecutivo della Wacc, sul sito della Celi ha così commentato i dati: «Il fatto che l’Italia sia sostanzialmente ferma non è confortante. Il nostro Paese si trova al 79mo posto su 146 Paesi. Nel dettaglio degli indicatori individuati siamo al 104mo posto per partecipazione alle opportunità economiche (che significa sostanzialmente professioni, mercato economico del lavoro, etc…). Ed al 60mo posto per livelli di istruzione paritari, al 95mo per la salute e cure e 64mo per partecipazione politica paritaria».
«Quest’ultimo dato in particolare, prosegue Fiusco, è emblematico. Nonostante la società italiana abbia espresso una leadership femminile, (Presidente del Consiglio dei Ministri e principale leader dell’opposizione), ciò non ha prodotto una reale inversione di tendenza».
«È evidente, conclude il responsabile comunicazione Celi, che se le differenze più marcate rimangono in settori nevralgici come il mercato economico e del lavoro, o nelle Istituzioni, il compito sarà sempre più difficile».
L’Associazione mondiale per la comunicazione cristiana (Wacc) è un’organizzazione non governativa che si basa sui diritti della comunicazione per promuovere la giustizia sociale.
Redazione Riforma.it Organo d’informazione de chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi 5 luglio 2023 https://riforma.it/it/articolo/2023/07/05/luguaglianza-di-genere-arretra?utm_source=newsletter&utm_medium=email
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