News UCIPEM n. 969 – 02 luglio 2023

News UCIPEM n. 969 – 02 luglio 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate:

  • pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviate una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [Invio a 921 connessi].

Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 Ass. It. Consul. Coniugi. e Family. Giornata di studio del 30 aprile a Roma

02 Centro Internaz. Studi Famiglia Newsletter CISF – n.25 ,28 giugno 2023

04 CHIESA CATTOLICA nel mondo   La Chiesa cattolica in Germania affronta una crisi storica

05 CITTÀ DEL VATICANO                    Il Vaticano ferma l’elezione del decano di teologia a Bressanone

06                                                          Peggio della censura c’è solo l’autocensura.Caso Lintner e servizio ecclesiale teologi

08                                                          Papa Francesco nomina Victor Fernandez prefetto della Dottrina della Fede

09                                                          Le due immoralità. Sui compiti del Dicastero per la dottrina della fede

10                                                          Sinodo, censura e vigilanza episcopale

11 CONSULTORI UCIPEM                   Mantova. Attività e pubblicazione del periodico “Etica Salute e Famiglia”

12                                                          Parlare di aborto oggi 

13                                                          Il ruolo del padre. Da “accidente biologico” ad educatore moderno

14                                                          L’amore materno tra scienza e attualità

15 DALLA NAVATA                              XIII domenica del tempo ordinario (anno A)

15                                                          Possediamo soltanto ciò che doniamo agli altri

15 DIVORZIATI                                      Al: diocesi Cagliari, un percorso di discernimento per persone divorziate

16 DONNE NELLA (per la) CHIESA  Pensavo fosse Gesù, invece era Aristotele    

21 ECUMENISMO                                Papa Francesco spiega il tipo di primato del vescovo di Roma sulle Chiese ortodosse

22 GIURISPRUDENZA                          Il giudice può negare la separazione?

23 SACRAMENTI                                  Non si confessa (quasi) più nessuno

ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI CONIUGALI E FAMILIARI

Giornata di studio del 30 aprile a Roma

www.aiccef.it/downloads/files/SINIGAGLIA.pdf

www.aiccef.it/downloads/files/BELLETTI%20AICCEF%20Cisf%20Family%20Report%202022.pdf

  • relazione della prof.ssa Gabriella Giornelli: “ Le relazioni dialogiche tra genitori e figli, per la costruzione comune di  un futuro desiderabile”.

www.aiccef.it/downloads/files/GIORNELLI.pdf

  • perienza della Consulente Familiare Cristina Graffeo come opportunità per divenire genitori consapevoli e  “sufficientemente buoni”.

www.aiccef.it/downloads/files/Graffeo%20Roma%2030%20aprile%202023%20SLIDE.pdf

  • www.aiccef.it/it/news/gli-atti-della-giornata-di-studio-del-30-aprile-a-roma.html#cookieOk

CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF – n. 25, 28 giugno 2023

§ La grinta che serve ai nostri figli. Angela Lee Duckworth ha insegnato alle scuole medie e poi è diventata psicologa e ricercatrice all’Università della Pennsylvania. Ha studiato a lungo temi come la buona riuscita scolastica, l’eccellenza, e il successo nel lavoro, scoprendo che le persone che “ce la fanno”, che raggiungono i loro obiettivi, spesso hanno una sola cosa in comune (e non è l’eccellenza scolastica). Ascoltiamola in questa TED conference (sottotitoli in italiano) sul canale dedicato [6 min]

www.ted.com/talks/angela_lee_duckworth_grit_the_power_of_passion_and_perseverance/c

§ A qualche giorno dalla decisione della procura di Padova di rettificare 33 registrazioni di bambini di coppie omogenitoriali, proviamo a fare luce sui nodi critici che rimangono aperti, dal punto di vista giuridico e sociale: c’è una questione di retroattività che travolge storie di vita; c’è una progressiva “relativizzazione” del diritto e delle norme, sempre più spesso introdotte per via amministrativa; c’è un problema di percorsi, anche rispetto a come viene valutata la cd. “adozione per casi speciali”; c’è infine una vera criticità connessa al più ampio problema dei diversi percorsi di fecondazione eterologa oggi presenti a livello mondiale (che muovono cospicui interessi economici). L’approfondimento di Francesco Belletti su Famiglia Cristiana.

www.famigliacristiana.it/articolo/qualche-riflessione-sulle-registrazioni-anagrafiche-di-padova.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_28_06_2023

§ Scelte di procreazione: indagine sulle coppie. E’ ancora possibile diffondere e compilare il questionario di ricerca elaborato da un gruppo di studio del Centro Ricerca e Studi sulla Salute Procreativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e dell’Università di Udine (con la collaborazione del Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Sanitaria di Udine) e dedicato a scoprire quali sono le scelte e le aspettative delle giovani coppie riguardo al numero di figli, quali ostacoli esistono in proposito, quali esigenze emergono in tema di natalità. Il questionario è rivolto alle coppie (in età fertile) residenti in Italia

https://:docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSe6SYiq0ZgeJXhYhBZowA0V1PLi426gk8rTNSIYYihC3pRxNw/viewform?p

e alle coppie italiane espatriate

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdBU7xFTjWk6-edvAfE6PIJqO8TeN5JwNUV9FgPXLSMsm_ANA/viewform

 è anonimo e si compila in 10-15 minuti. Vengono indagate le aree delle scelte procreative, della contraccezione e della regolazione naturale della fertilità. Tutti i dati verranno raccolti e gestiti nel rispetto della normativa sulla privacy.

§ Giappone: un’indagine sui servizi socio-sanitari post parto. Il Japan Times ha pubblicato, la scorsa settimana, un articolo che mette sotto la lente l’efficienza del sistema socio-sanitario per le neo-mamme e i loro neonati. L’indagine, svolta dal Nomura Research Institute, rivela che circa il 14,4% dei comuni in Giappone ha avuto casi in cui alle madri sono state negate le cure dopo il parto. Strutture e personale troppo occupati, difficoltà a esternalizzare i servizi, accessi prioritari a categorie protette che escludono le neomamme sono alcuni dei motivi che inceppano la funzionalità del sistema, mentre la necessità del paese è proprio quella di affrontare tali problemi mentre lotta per invertire il suo calo del tasso di natalità.

www.japantimes.co.jp/news/2023/06/18/national/mothers-denied-postpartum-care-japan-municipalities

§ UE: rapporto sull’abitare, case sempre più “inadeguate e inaccessibili“. Gli alloggi inaccessibili sono motivo di grande preoccupazione nell’UE. È un problema globale che conduce a un aumento di fenomeni come l’insicurezza abitativa, le difficoltà finanziarie e alloggi inadeguati, i senzatetto. Impedisce inoltre ai giovani di lasciare la propria casa di famiglia. Questi problemi influenzano la salute e il benessere delle persone, incarnano condizioni di vita e opportunità disuguali. Lo mette in evidenza un recente rapporto di Eurofund che mappa i problemi abitativi nell’UE e le politiche che li affrontano, attingendo anche alle statistiche dell’Unione europea sul reddito e alle condizioni di vita [qui il link – 74 pp]

https://unicalmondo.musvc2.net/e/tr?q=9%3dFaPeJa%267%3dY%263%3dYPe%264%3dYMYOa%26F%3dD9QAO_7xnv_Hh_Cwhw_Ml_7xnv_GmHSB.BFN4C0Q3A.zQ7LA7.tR_Cwhw_Ml8FEA8_Olye_Ya0tCvQ1Q_Cwhw_MluF7A8_Olye_YaAu_MF81Fx79F0J_7xnv_Gm1EtIy_Au_A090JzJ9_Olye_YaAuYMfGazJ.5A1%260%3d2RDRrY.9A9%26FD%3dbHZO%26P8%3dYUXH7p8vgRfFXTfOaQ%26D%3dI0weF9yfpeOWMbzfpfTApgMdJgyYLZ10HCNXIeRbOgLBJfN7qfxbpXRbMgTWG8TX

§ Lazio: la giunta istituisce un tavolo sulle politiche familiari, natalità, demografia. La Giunta regionale del Lazio, presieduta da Francesco Rocca, ha deliberato di istituire il “Tavolo permanente sulle Politiche familiari, la Natalità e la Demografia”, con l’obiettivo di combattere la crisi demografica, sostenere la natalità ed elaborare proposte innovative di politiche familiari. Il Tavolo è istituito presso l’assessorato competente in materia di politiche della famiglia della Regione, e include: l’assessore regionale competente, che lo presiede; un rappresentante del ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità; un rappresentante dell’agenzia per la Coesione territoriale; il direttore della Direzione regionale competente in materia di interventi per la famiglia, o un suo delegato; un rappresentante designato dall’ISTAT; un rappresentante designato dall’Inps; un esperto di diritto di famiglia; un esperto dei diritti dei minori; esperti e membri di associazioni, imprese, enti o soggetti del mondo accademico che si occupano di famiglia, natalità o demografia, operanti su base regionale o nazionale, individuati dal presidente del Tavolo [la delibera – pdf]

https://unicalmondo.musvc2.net/e/tr?q=8%3dAUJdEU%261%3dX%26x%3dSJd%26y%3dSGXJU%260%3dC4K5_Mate_XK_IfxZ_SU_Mate_WPEtR3CtO467.NkE56yC49s8xOkC.xO_2rhu_BgrD37_7vcq_GkkK96m920xK8_Mate_WP5tGs3tMkCpUsF.59p%265%3d2P3MrW.x69%26D3%3dWHXD%26K8%3dWJSHeGaFVISOWA%269%3dHZkTOXGYsVAWO7CSN8CaJ9ETKen6reo2q0G6k2p6NaI7O9CTH6lRudGUM7pWMaCYOXHU

§ Provincia autonoma di Trento: bonus di 5mila euro dal terzo figlio. La Giunta provinciale ha approvato i criteri per la concessione del bonus per la nascita o adozione del terzo figlio e dei successivi. Il bonus consiste nell’erogazione di un contributo una tantum di 5.000 euro alla nascita o adozione del terzo figlio o di figli successivi al terzo, per i nati o adottati dal primo gennaio 2023 fino al 31 dicembre 2023 [info e requisiti link]

                www.trentinofamiglia.it/News-eventi/News/Bonus-terzo-figlio-e-successivi-la-misura-diventa-operativa?utm_medium=email&utm_source=VOXmail%3A597651+Nessuna+cartella&utm_campaign=VOXmail%3A2930380+13+Newsletter+dellAgenzia+per+la+coesione+sociale+-+Provinci

§ Dalle case editrici

P. Bignardi, “Metamorfosi del credere. Accogliere nei giovani un futuro inatteso“, Queriniana, Brescia, 2022, pp. 220.

P. Bordeyne, “Famiglie alla ricerca di Dio. Orientamenti teologici e pastorali per i tempi nuovi“, Studium , Roma, 2023, pp. 152.

Matteo,Riportare i giovani a Messa. La trasmissione della fede in una società senza adulti“, Ancora, Milano, 2022, pp. 128.

§ Prendi nota

www.corrierenazionale.net/2023/06/26/adolescenti-e-futuro

www.istat.it/it/archivio/285017?mtm_campaign=wwwnews&mtm_kwd=03_2023

www.comune.bologna.it/eventi/casa-piatto-sapori-ricordi-homeless-diventano-arte

Iscrizione   http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio   http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=ouz49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vtxuNCLM

CHIESA NEL MONDO

La Chiesa cattolica in Germania affronta una crisi storica

La Chiesa cattolica in Germania sta affrontando una crisi senza precedenti, con oltre mezzo milione di cattolici battezzati che lasciano la Chiesa nel 2022, secondo i dati pubblicati dalla Conferenza episcopale tedesca il 28 giugno. Questo segna il più alto numero di uscita mai registrato, con 522.821 persone che scelgono di lasciare la Chiesa.

                Il numero totale di partenze, compresi i decessi, ha superato i 708.000, in netto contrasto con i 155.173 battesimi e i 1.447 nuovi membri registrati nello stesso periodo. Le cifre rivelano una tendenza negativa storica, con il numero di partenze che raddoppia da oltre 270.000 nel 2020 al record attuale.

                Nonostante queste partenze, le statistiche della chiesa per il 2022 mostrano che quasi 21 milioni di persone in Germania sono rimaste ufficialmente cattoliche entro la fine dell’anno, rappresentando il 24,8% della popolazione residente del paese di 84,4 milioni.

                Diversi vescovi tedeschi hanno espresso sgomento per le cifre. Il vescovo Stefan Oster di Passau ha descritto i numeri come “spaventosamente alti”, mentre il vescovo Bertram Meier di Augusta ha riconosciuto la necessità della Chiesa di riconquistare la fiducia con “pazienza e credibilità”.

                Il vescovo Georg Bätzing del Limburgo, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha dichiarato sul sito web della sua diocesi che le figure “allarmanti” sottolineano la necessità di un continuo “cambiamento culturale” e l’attuazione delle risoluzioni della Via sinodale tedesca.

Un rapporto del 2021 di CNA Deutsch ha osservato che un cattolico su tre in Germania stava pensando di lasciare la Chiesa. Le ragioni per andarsene variano, con le persone anziane che citano la gestione della crisi degli abusi da parte della Chiesa e i più giovani che indicano l’obbligo di pagare la tassa della chiesa, secondo uno studio precedente.

                La Conferenza episcopale tedesca attualmente stabilisce che lasciare la Chiesa si traduce in una scomunica automatica, un regolamento che ha suscitato polemiche tra teologi e avvocati canonici.

                Una previsione del 2019 di un progetto di scienziati dell’Università di Friburgo prevede che il numero di cristiani che pagano la tassa ecclesiastica in Germania si dimezzerà entro il 2060.

                Nonostante la crisi, la Chiesa ha visto un leggero aumento della partecipazione alle messe nel 2021, passando dal 4,3% al 5,7%, dopo che la crisi del coronavirus ha impedito la celebrazione di molti sacramenti. Anche il numero di matrimoni in chiesa è aumentato da poco più di 20.000 nell’anno precedente a 35.467 nel 2022. Le cifre non includono dati sulla confessione, poiché il sacramento non è incluso nelle statistiche della Conferenza episcopale.

CNA Deutsch/ Redazione Berlino,           ACI Stampa        1. luglio, 2023

www.acistampa.com/story/la-chiesa-cattolica-in-germania-affronta-una-crisi-storica

CITTÀ DEL VATICANO

Vaticano ferma l’elezione del decano di teologia a Bressanone

Aperture sulla morale sessuale, il Vaticano ferma l’elezione del decano di teologia a Bressanone. Una decisione che contraddice metodo e merito del sinodo voluto da papa Francesco. Anni fa l’opera di

 padre Martin Lintner, OSM (α1972) era stata riconosciuta come ortodossa.

Una Chiesa sinodale ma non troppo. È quanto emerge dalla vicenda di Martin Lintner, teologo al quale la Santa Sede ha negato l’approvazione (“nihil obstat”, nulla osta) necessaria per diventare decano della facoltà teologica della diocesi di Bressanone. Oggetto del contendere, un libro sulla morale sessuale, che però – è stato ufficialmente riconosciuto – non contesta il magistero.

                La vicenda ha un prologo nel 2011, quando il religioso servita sudtirolese pubblicò in tedesco un libro poi tradotto in italiano con il titolo “La riscoperta dell’eros”. Il volume, che affrontava questioni come la contraccezione, l’omosessualità, la situazione delle coppie di divorziati risposati, i rapporti prematrimoniali, sollevò alcune obiezioni della congregazione per la Dottrina della fede. Obiezioni che, però, non si erano tradotte in un processo perché fu accertato che l’opera di Lintner non contraddice il magistero. Affrontava le questioni senza eludere le controversie, insomma, ma in modo ortodosso.

Niente “nihil obstat”. I problemi sono riemersi, improvvisamente, negli ultimi giorni. A metà novembre del 2022 Lintner è stato eletto decano dello Studio teologico-accademico di Bressanone. Il vescovo di Bolzano-Bressanone, monsignor Ivo Muser,(α1962)  come vuole la prassi,  ha inviato la notifica dell’elezione a Roma per l’approvazione vaticana. Ma il “nihil obstat” non è arrivato per mesi, senza spiegazioni. Fino a che, a giugno, al vescovo è stata comunicata la mancata approvazione a causa, ha riferito egli stesso, di “alcune pubblicazioni su questioni relative alla morale sessuale della Chiesa cattolica”. Padre Lintner, ora, non commenta la vicenda.

                La decisione è stata presa dal dicastero per la Cultura e l’Educazione cattolica, guidata dal

  cardinale José Tolentino de Mendonca (α1965), ma dietro vi sarebbe, per prassi, il dicastero per la Dottrina della fede, presieduto dal   cardinale gesuita Luis Ladaria. Una posizione assunta mentre, per volontà di papa Francesco, la Chiesa universale, vescovi e laici insieme, è convocata in un sinodo (2021-2024) che affronta, nell’assemblea di ottobre prossimo e poi nei mesi successivi, questioni controverse come il ministero per le donne, la crisi degli abusi, la morale sessuale. Con una scelta di metodo e di merito che non si rispecchia nel “niet” al teologo altoatesino.

Gli interrogativi inevasi. La vicenda solleva diversi interrogativi che restano, per ora, inevasi: perché si è atteso così tanto tempo? Perché la decisione è stata avvolta nella riservatezza e comunicata a cose fatte? E perché negare l’incarico a un docente che anni fa era stato scagionato dal sospetto di non essere in linea con il magistero?

“Dialogo obiettivo e aperto” Ho fatto richiesta del nihil obstat a fine novembre 2022, ma anche dopo questa decisione di Roma il dialogo obiettivo e aperto tra tutte le parti deve continuare”, commenta con Repubblica il vescovo di Bolzano-Bressanone. “Non si tratta di suscitare polemiche ampliate da titoli ad effetto, che non sono assolutamente d’aiuto”, precisa monsignor Ivo Muser: A mio avviso è importante e indispensabile a lungo termine che le questioni dibattute vengano chiarite in modo concreto e costruttivo; ciò può avvenire”, spiega il vescovo, “solo con colloqui approfonditi, pazienti e aperti. È una questione che ci impegna tutti – padre Martin Lintner, il nostro Studio teologico, la nostra Diocesi e i responsabili della Chiesa universale – secondo responsabilità e ruoli diversi. Su sua esplicita richiesta e in accordo con padre Lintner”, tiene a precisare monsignor Muser,ho rinunciato a presentare ricorso contro la decisione del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Confidando in questo percorso di chiarimento”, conclude, “come vescovo ringrazio padre Martin per il suo grande impegno nel nostro Studio teologico, per la sua competenza in materia di teologia morale, per il suo atteggiamento spirituale di religioso e di sacerdote e per la sua convinta volontà di mettersi in gioco nel dialogo ecclesiale e sociale, soprattutto affrontando le questioni difficili e controverse che oggi investono il suo campo, la teologia morale”. Questioni che anche il sinodo voluto dal Papa sta affrontando, con quel “dialogo ecclesiale e sociale” che il vescovo di Bressanone sembra auspicare anche per la Curia romana.

Iacopo Scaramuzzi                          “La repubblica” 29 giugno 2023

www.repubblica.it/cronaca/2023/06/29/news/vaticano_morale_sessuale_teologo_bressanone-406090199

Peggio della censura c’è solo l’autocensura. Il caso Lintner e il servizio ecclesiale dei teologi

                Ci sono diverse questioni che il negato “nihil obstat” alla promozione a Decano del prof. Lintner sollevano nel corpo ecclesiale di una Chiesa cattolica che da anni è impegnata in un “cammino sinodale”. Con la solidarietà al collega, colpito per aver scritto idee in ambito morale e sessuale diverse dal Catechismo della Chiesa Cattolica, vorrei esprimere una preoccupazione più generale, che riguarda la funzione che la teologia deve esercitare al servizio del cammino ecclesiale di annuncio del Vangelo.

Il punto dirimente è, a mio avviso, che la Chiesa ha bisogno di una teologia veramente libera, perché solo così può assumere davvero il compito di illuminare la tradizione alla luce della parola di Dio e della esperienza umana.

Proprio questo delicato raccordo, che Gaudium et Spes §46 esprime nel modo più limpido, impone al “governo pastorale” un rapporto sincero e schietto con una parola teologica che sia, allo stesso tempo, audace e paziente. Senza audacia non si è teologi e la Chiesa, senza la loro audacia, manca di qualcosa di fondamentale per sé. Teologi addomesticati rendono la Chiesa più sola e più vecchia.

                Nel campo della morale sessuale un ideale burocratico, che certo ha una forza seduttiva grande negli uffici delle Congregazioni romane, sarebbe quello di assumere il punto di vista del Catechismo della Chiesa Cattolica e svilupparne ordinatamente le conseguenze. Ma questo, evidentemente, risulta non un vero ideale, ma una via di fuga rispetto al compito ecclesiale effettivo: di fronte alla esperienza umana e di fronte al rinnovarsi della interpretazione della Scrittura, la sapienza dottrinale cammina, evolve, si trasforma e si precisa. Per questo abbiamo bisogno di teologi, per aiutare la chiesa a interpretare i “segni dei tempi” di cui la storia sa continuamente cospargere i vissuti personali, sociali ed ecclesiali.

Tutta la teologia richiede questa capacità di leggere la storia con profezia e con lungimiranza. Non solo il campo morale esige questa forza di superamento di principi ritenuti insuperabili, di fronte a nuove evidenze della storia e della coscienza.

 Anche il campo liturgico-sacramentale, che conosco meglio, ha avuto bisogno di profeti negli ultimi decenni per configurare diversamente la celebrazione eucaristica, la iniziazione cristiana, per pensare in modo nuovo l’esercizio del ministero, per considerare anche la donna come soggetto ministeriale, per ripensare il rito della penitenza o il ministro della unzione dei malati. In tutti questi ambiti abbiamo avuto profeti, che hanno pagato anche di persona le nuove evidenze che mettevano in primo piano, grazie al loro studio e alle loro pubblicazioni.

Anche oggi abbiamo ancora “sfide aperte”, che non possono essere chiuse da un ufficio romano: non solo per pensare diversamente il concetto di omosessualità, o quello di benedizione, ma anche i criteri di traduzione dal latino, l’accesso della donna al ministero ordinato o il ruolo della inculturazione nella prassi celebrativa nei 5 continenti. Tutto questo chiede teologi coraggiosi, capaci di interpretare ciò che di buono appare dalla storia per il sapere teologico comune, in queste grandi sfide al pensiero e alla prassi della Chiesa.

                Eppure, proprio su questi punti delicati, ma decisivi, spesso i teologi restano troppo timidi e tendono a nascondersi. Nelle grandi discussioni sul parallelismo rituale inaugurato da “Summorum Pontificum” o in quelle generate da “Liturgiam authenticam” nel delicato campo delle traduzioni liturgiche, moltissimi miei colleghi hanno soltanto taciuto. Non erano d’accordo, ma tacevano.

                Di fronte ad una presa di posizione di una Congregazione Romana, che censura una apertura dottrinale, si può prendere posizione. Ma molto peggio è se i teologi, ancora prima di essere censurati, si “autocensurano” identificando una serie di temi su cui “non si deve scrivere”. Non danno neppure occasione alla Congregazione per dare il peggio di sé. Lo assumono in prima persona. Questo diventa la mortificazione del ministero del teologo, che deve occuparsi sempre anche di ciò che è diventato problematico per la vita della Chiesa. E deve farlo anche contro il proprio interesse e contro la propria carriera. Pagando anche di persona. Solo così permette alla Chiesa di valutare fino in fondo l’intero quadro delle questioni in campo. Questo è il suo mestiere e il suo ministero.

                Un caso di censura solleva la giusta reazione. Ma molto più grave è accondiscendere ad una pretesa burocratica, che pretenderebbe una teologia esercitata solo nell’ambito circoscritto delle evidenze catechistiche: non importa se degli uomini non vengono riconosciuti, delle donne vengono emarginate, delle dinamiche personali sono ignorate e dei giudizi sommari e ingiusti vengono ribaditi. La cosa più importante diventa “quieta non movere et mota quietare”. Ma questa logica, che non è mai del tutto giustificata neppure per un ufficio burocratico come una Congregazione, è la più lontana dal ministero del teologo.

Si ricorderà che nel 2012, 50esimo dall’inizio del Concilio, la Congregazione per la Dottrina della Fede sovrappose a quell’anniversario l’anno della fede e mise in concorrenza l’anniversario del Concilio con l’anniversario del CCC, pretendendo di fare del CCC il criterio di lettura del Vaticano II. Agli uffici può capitare anche di commettere svarioni di questo genere, che non possono minimamente condizionare i teologi.

                I teologi, se hanno un senso nel servizio alla Chiesa, debbono offrire chiarimenti e salvare i fenomeni, con rigore e con parresia. Lo fanno alla luce della Parola di Dio e della esperienza di uomini e donne, nella reciprocità esigente tra queste due fonti. Anche le critiche agli assetti dottrinali acquisiti fanno parte del loro ministero, anche duro ed esigente, ma mai addomesticabile.

Se la censura ad un teologo ottiene il risultato di alzare il livello comune di autocensura, questo va solo a detrimento della comune esperienza ecclesiale. Perché la Chiesa non è né una caserma né una associazione mafiosa, ma una comunità di discepoli del Signore. Il controllo sulla “comune dottrina” non può più avvenire nelle forme anonime del Consiglio dei X della Repubblica Veneziana. Ma la autocensura, che trova mille pretesti per giustificarsi, sottrae alla Chiesa un elemento vitale della sua identità: la audacia critica di una lettura diversa, con cui il magistero pastorale è obbligato a confrontarsi con serietà, senza ricorrere alla squalificazione dell’interlocutore.

La censura ha spesso come obiettivo di alzare il livello di autocensura. Se questa censura a Martin Lintner contribuirà a mostrare che la autocensura non cresce, ma diminuisce, allora sarà possibile che del merito – ossia della morale sessuale – si possa parlare davvero in modo profetico e non solo a partire dalle evidenze tramontate (e comunque violente) di una società chiusa.

Una tale società perfetta, basata su differenze insuperabili, non è più l’ideale della Chiesa cattolica, anche se resta la ideologia persistente di qualche ufficio di Congregazione. Non sarà una censura a invertire il corso della storia. Una pesante autocensura può invece rallentare la maturazione della coscienza ecclesiale.

 Andrea Grillo(α1961)                           blog: Come se non                         29 giugno 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/peggio-della-censura-ce-solo-lautocensura-il-caso-lintner-e-il-servizio-ecclesiale-dei-teologi

Papa Francesco nomina Victor Fernandez prefetto della Dottrina della Fede

Una lunga lettera di accompagnamento accompagna la nomina dell’arcivescovo Victor Fernandez (α1962)

                          prefetto del dicastero che si occupa della fede

Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Victor Fernandez come Prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede al posto del Cardinale Luis Ladaria, ormai 78enne. Ma più che la nomina, a fare notizia è la lettera, in spagnolo, che accompagna la nomina, e a cui il Papa chiede al suo teologo di fiducia di staccarsi dall’idea di sanzionare le idee, lasciando il compito alla nuova sezione disciplinare, e piuttosto di concentrarsi sul fatto di “guardare” la fede.

Scrive Papa Francesco all’arcivescovo Fernadez che il prefetto del dicastero ha “come finalità centrali custodire l’insegnamento” che fa della fede la ragione della nostra speranza, e lamenta che il dicastero che presiederà “in altre epoche arrivò ad utilizzare metodi immorali, in cui “più che promuovere il sapere teologico si perseguitavano possibili errori dottrinali”.

Cardinale Alfredo Ottaviani † (7 novembre 1959 – 6 gennaio 1968 dimesso) (pro-prefetto)

Cardinale Franjo Šeper † (8 gennaio 1968 – 25 novembre 1981 ritirato)

Cardinale Joseph Ratzinger † (25 novembre 1981 – 2 aprile 2005 cessato[8])

Cardinale William Joseph Levada † (13 maggio 2005 – 2 luglio 2012 ritirato)

Cardinale Gerhard Ludwig Müller (2 luglio 2012 – 1º luglio 2017 cessato)

Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I. (1º luglio 2017 – 5 giugno 2022)

Il Papa chiede a Fernandez che si comporti in “modo differente”, ne ricorda la carriera accademica (e infatti la nomina viene accompagnata da una serie impressionante di libri e di articoli, quasi a giustificare il senso della scelta di Papa Francesco) e sottolinea che “come rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina portò avanti una sana integrazione del sapere”.

Nota a margine non da poco, perché l’allora Cardinale Bergoglio si batté per la nomina di Fernandez a rettore, contro il parere contrario dell’allora congregazione dell’Educazione Cattolica, il cui segretario, l’arcivescovo Brugués, non fu mai creato cardinale da Francesco nonostante fosse nel frattempo divenuto Bibliotecario di Santa Romana Chiesa.

Ma il Papa mette in luce di Fernandez anche la carriera pastorale, e ricorda che “per non limitare il significato di questo compito” deve comprendere che si tratta di “aumentare l’intelligenza e la trasmissione della fede al servizio dell’evangelizzazione”. Le citazioni del Papa vengono tutte da Evangelii Gaudium, Gaudete et Exsultate, Laudato Si, in pratica i documenti programmatici del pontificato.

Papa Francesco, prendendo le mosse da quei documenti, sottolinea che c’è bisogno che la teologia consideri inadeguata ogni concezione teologica che alla fine pone in dubbio l’onnipotenza di Dio e la sua misericordia. Il compito di Fernandez è dunque che i documenti del dicastero e oltre “abbiano un adeguato sostegno teologico, siano coerenti con il ricco humus dell’insegnamento perenne della Chiesa e a volte accolgano il magistero recente”.

Per le questioni disciplinari, invece, nota il Papa, c’è una “sezione specifica con professionisti molto competenti”, anche se ammette che questa ha una relazione speciale con il tema dell’abuso dei minori. Quindi, compito dell’arcivescovo Fernandez sarà appunto quello di “guardare la fede”.

Fernandez è il teologo di fiducia di Papa Francesco, che lo fece arcivescovo in una delle prime decisioni del suo pontificato, quando ancora era rettore della Università Cattolica Argentina, e che poi lo ha voluto anche nelle varie sessioni dei Sinodi sulla famiglia.

Classe 1962, sacerdote dal 1986, Fernandez è stato dal 1993 al 2000 Parroco di Santa Teresita a Río Cuarto (Córdoba). È stato fondatore e direttore dell’Istituto di Formazione Laicale e del Centro di Formazione per Insegnanti Jesús Buen Pastor nella stessa città. Nella sua Diocesi è stato anche formatore del Seminario, Direttore per l’Ecumenismo e Direttore per la Catechesi.

La Sala Stampa della Santa Sede nota che “nel 2007 ha partecipato alla V Conferenza dei Vescovi Latinoamericani (Aparecida) come sacerdote rappresentante dell’Argentina e, successivamente, come membro del gruppo di redazione del documento finale. Dal 2008 al 2009 è stato Decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Cattolica Argentina e Presidente della Società Teologica Argentina. Dal 2009 al 2018 è stato Rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina. Il 13 maggio 2013 è stato nominato Arcivescovo da Papa Francesco. Ha partecipato, come membro, ai Sinodi dei Vescovi del 2014 e del 2015 sulla famiglia, nei quali ha fatto parte anche dei gruppi di redazione”.

Arcivescovo di La Plata dal 2018, è stato membro del Pontificio Consiglio della Cultura e Consultore della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Attualmente è membro del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. E, nota ancora il bollettino, con una verbalizzazione insolita per un curriculum “tra libri e articoli scientifici, ha più di 300 pubblicazioni, molte delle quali tradotte in varie lingue. Questi scritti mostrano un’importante base biblica ed un costante sforzo di dialogo della teologia con la cultura, la missione evangelizzatrice, la spiritualità e le questioni sociali”.

Con questa nomina, Papa Francesco completa il cambio dei vertici del Dicastero per la Dottrina della Fede. Il Dicastero è stato riformato da Papa Francesco. Prima, la Congregazione era costituita da quattro uffici: disciplinare, dottrinale, matrimoniale la quarta sezione. Quest’ultima aveva il compito di seguire la questione dei rapporti con la Fraternità Sacerdotale San Pio X e dell’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, e non aveva più ragione di esistere dopo il motu proprio “Traditionis Custodes,” che revocava le concessioni di Benedetto XVI all’uso del rito antico.

Ora ci sono due sezioni, una disciplinare e una dottrinale, con due segretari: monsignor Joseph Kennedy per la sezione disciplinare e monsignor Armando Matteo per la sezione dottrinale. Sono usciti sia l’arcivescovo Morandi, già segretario e ora vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, sia monsignor Matteo Visioli, sottosegretario e ora tornato nel clero diocesano.

Andrea Gagliarducci      Città del Vaticano           ACI Stampa        1. luglio 2023

Papa Francesco nomina Victor Fernandez prefetto della Dottrina della Fede (eifq) (informazione.it)

Le due immoralità. Sui compiti del Dicastero per la dottrina della fede

Una lettera che accompagna la nomina di un nuovo Prefetto è già un fatto singolare. Se poi nella lettera il Vescovo di Roma esprime giudizi molto netti sui limiti di una gestione “censoria” del Dicastero e chiede di inaugurare un altro stile, allora molte cose sono destinate a cambiare. Ha colpito molto una frase della lettera, che riporto subito

“Il Dicastero che presiederai in altri tempi ha usato metodi immorali. Erano tempi in cui più che promuovere il sapere teologico si perseguivano possibili errori dottrinali. Quello che mi aspetto da voi è sicuramente qualcosa di molto diverso.”

Vorrei brevemente considerare come questa frase arrivi da decenni in cui la migliore teologia postconciliare aveva chiesto di modificare profondamente il modo con cui prima il Santo Ufficio, e poi la Congregazione per la dottrina della fede, hanno svolto il compito di “custodire la fede”. Per molti secoli, a partire dall’età moderna, ogni stato si era dotato di un organo di controllo del sapere. Non solo la Chiesa aveva un Santo Ufficio. Ma con l’avvento del mondo tardo moderno e con il nascere della società liberale e aperta, in tutti gli stati è scomparso sia l’Indice dei libri proibiti, sia l’organo di custodia del sapere corretto. Solo la Chiesa lo ha conservato fino ad oggi. Dietro a questi organi di governo sta l’idea che la “libertà di coscienza” sia un peccato. Dopo il Vaticano II ci si è mossi lentamente verso una revisione, che attribuisse, almeno formalmente, al processo di censura una procedura almeno parzialmente controllabile, con garanzia di difesa per le parti inquisite. Ma, appunto, in larga parte si trattava di procedimenti inquisitori, alla ricerca degli errori e dei nemici. Più difficile è stato incidere sul modo di “fare teologia” da parte della Congregazione. Proprio qui, come vedremo, si nasconde la immoralità più grave.

In tutta questa storia, infatti, è evidente che la “immoralità” ha significato, in primo luogo, il modo con cui sono state trattate le persone. Grandi autori sono stati inquisiti, bloccati, impediti nelle pubblicazioni e nell’insegnamento. In forma terribile fino al Vaticano II, ma ancora pesante e con argomentazioni fragili o capziose fino a 5 giorni fa, con la vicenda Lintner.

Ma questa è solo una parte della verità. La parte forse più grave non riguarda le singole persone, che pure hanno sofferto ingiustamente, ma le idee, per come sono state trattate, considerate, ignorate o azzerate. Uno degli atteggiamenti più “immorali” degli ultimi 40 anni della Congregazione-Dicastero sono quelli che hanno tentato di “bloccare” ogni vera discussione. Dove vi era un problema, si trattava di negarlo e di riportare la soluzione su un livello tanto inattaccabile, quanto vuoto. Facciamo solo alcuni esempi.

In piena pandemia (2020), una sezione della Congregazione per la Dottrina della fede perdeva tempo ad “riformare” il rito di Pio V, avvalorando così indirettamente la coesistenza parallela di due forme rituali dello stesso rito romano, contro ogni evidenza teologica, che la Congregazione avrebbe dovuto ben diversamente custodire. In occasione del 50^ del Concilio Vaticano II, nel 2012, una Nota della Congregazione pretendeva di cambiare discorso e di suggerire che un anniversario altrettanto importante fossero il 20 anni del Catechismo della Chiesa Cattolica, mediante il quale si poteva/doveva leggere anche il Concilio! Ancora prima una Nota della Congregazione risolveva negativamente la possibile estensione al diacono della ministerialità della unzione dei malati, ricorrendo ad una citazione della famosa lettera di papa Innocenzo I al vescovo di Gubbio, eliminando però da essa tutte le parole che avrebbero contrastato la decisione assunta. Si trattava, insomma, di “negare ogni movimento”, sul piano liturgico, sacramentale, istituzionale, arrivando persino al punto di mettere in gioco l’obbedienza alla fede, pur di conservare le soluzioni del passato senza alcuna possibilità di cambiamento, che si presentava sempre come minaccia per la fede. Questa procedura immorale era ritenuta un dovere, un compito morale.

Tale funzione indebita, assunta dalla Congregazione soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, doveva finire da tempo. Perché custodire la fede significa appunto, come ha insegnato il Vaticano II, farla camminare nella storia, farle elaborare nuove evidenze, permetterle di integrare nuove culture e di esprimere nuove sensibilità. Una Congregazione che si era abituata a giudicare tutto con il prontuario del CCC forse è finita con la lettera di ieri. Abbiamo bisogno da decenni di una istituzione che permetta la crescita della fede, nel dialogo piuttosto che nella censura. Da secoli abbiamo contato su un esercizio della ragione teologica che si è limitato a “condannare gli errori” e che in questo trovava la sua ragion d’essere: perciò non sarà facile acquisire subito un nuovo stile. Già al Concilio Vaticano I l’idea era di comporre una “summa degli errori moderni”, ma il lavoro conciliare, ancora nel 1870, in parte iniziò una strada nuova. Poi venne il Vaticano II, che ampliò e articolò ancora meglio la novità. La inerzia del Santo Ufficio è stata quella di perpetuare una identità cattolica che può salvarsi solo se condanna gli errori. Al nuovo Prefetto spetta “promuovere il sapere teologico”, cosa che non si identifica anzitutto ed essenzialmente con atti di condanna. Il nuovo Prefetto e un nuovo stile possono far tesoro del prezioso lavoro che una parte della teologia, spesso in autonomia rispetto ai desiderata (e talora ai ricatti) provenienti da Roma, ha saputo elaborare da almeno 40 anni. Immorale non è stato solo il modo con cui si sono trattate le persone, ma anche il modo con cui ci si è chiusi a riccio davanti alle tante nuove evidenze che la vita ecclesiale scopriva e in parte valorizzava. Superare entrambe queste due immoralità istituzionali (verso le persone e verso le idee) costituisce un programma di riforma davvero centrale per la chiesa cattolica.

Andrea Grillo(α1961)                   blog: Come se non                          29 giugno 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/le-due-immoralita-sui-compiti-del-dicastero-per-la-dottrina-della-fede

Sinodo, censura e vigilanza episcopale

In un certo modo pare quasi provvidenziale che nel corso della parte finale del cammino che porterà il Sinodo dei Vescovi al doppio appuntamento sinodale dell’ottobre 2023 e 2024, si sia manifestata, improvvisamente, una crisi di consenso, con il mancato “nihil obstat” alla promozione a Preside del prof. di teologia morale Martin Lintner. Questo mette in luce almeno tre questioni vitali, che vorrei qui brevemente richiamare.

a) C’è sinodo e sinodo. La parola “sinodo”, in quanto tale, non garantisce nulla. Abbiamo avuto lunghi secoli in cui, essendo il sinodo uno degli strumenti con cui i Vescovi esercitavano la loro potestas iurisdictionis, intesa come potere di governo e potere dottrinale, una delle incombenze dei sinodi diocesani consisteva nell’aggiornamento dell’indice dei libri proibiti. I sinodi erano uno dei luoghi della “censura”, che era considerata, nel mondo moderno, il modo più diretto e più efficace per garantire il consenso. Tutti gli stati avevano il loro “Sant’Uffizio”, che aveva un riscontro anche a livello locale. Il fatto che il sinodo, oggi, possa essere una esperienza diversa di “consenso ecclesiale” deriva dalla fine di quel sistema di controllo e di sanzione, tipico della società tradizionale. È saltato all’occhio il contrasto tra la forma “sinodale” che oggi auspichiamo, per raggiungere un consenso più efficace, e la forma classica con cui una congregazione ha operato un sindacato dottrinale, senza confronto ecclesiale, escludendo dalla nomina un professore per aver scritto in modo critico su assunti dottrinali ritenuti incontestabili. Costruire la possibilità di un sinodo diverso è nelle mani di un cammino ecclesiale non scontato.

b) La censura e il consenso. Il secondo punto su cui dovremmo riflettere è precisamente la riforma del modo con cui Roma, anche dopo il Concilio Vaticano II, continua a sperare di “garantire la ortodossia. Qui da tempo si fa notare che la struttura e la organizzazione della Congregazione per la dottrina della fede corrisponde ad un modo di pensare il rapporto con la verità che non ha più alcun riscontro nella cultura comune. Non è la censura il metodo che garantisca la verità, ma il dialogo argomentato e accurato. Una discussione comune su temi su cui vi sono pareri divergenti non può essere risolta come 500 o 200 anni fa. Poiché non si tratta semplicemente di “custodire una dottrina”, ma di leggerne nuove possibili implicazioni all’interno di una cultura in cui i soggetti e gli stessi temi non sono più gli stessi. Parlare di “donna” o di “omosessualità” o di “crisi ecologica” nel nostro tempo esige un dialogo profondo con la cultura ambiente, senza il quale la Chiesa può anche arrivare a pensare di pronunciare “affermazioni definitive”, ma non ha istruito la causa in modo adeguato e batte l’acqua nel mortaio. Può fare paura a qualcuno, ma non annuncia il Vangelo. Recuperare la relazione complessa con la Parola di Dio e con la esperienza umana è una condizione inaggirabile per custodire una dottrina cristiana in modo efficace.

c) La vigilanza è una virtù cristiana. Anche la dottrina ha bisogno di vigilanza. I sinodi che nel passato aggiornavano l’indice dei libri proibiti, i concili che condannavano proposizioni erronee o i Santi Uffizi che indagavano opere e pensieri di autori interpretavano la vigilanza in modo molto serio, ma anche molto unilaterale. Come se vigilare, anche per la Chiesa, significasse anzitutto temere che un ladro possa derubare la Chiesa dei suoi tesori. La vigilanza cristiana non è anzitutto questo. Vigilare significa attendere il Signore, che arriva come un ladro: perché la verità appare anche nel futuro, negli angoli meno attesi, dai soggetti più sconosciuti. Una delle qualità fondamentali dell’episcopato è proprio l’esercizio di questa vigilanza. Per questa riscoperta di una vigilanza positiva, aperta e piena di speranza, il ripensamento che il Concilio Vaticano II ha propiziato, oggi prende la forma di un “cammino sinodale” in cui il consenso non è più generato dallo scontro un po’ clandestino tra censore e censurato, bensì dal dialogo aperto e sincero tra componenti ecclesiali diverse, ma non opposte, in ordine ad una sintesi più accurata e più autentica. Sui temi classici, come la misericordia o la liturgia, ma anche sui temi “nuovi”, come la autorità della donna o la pluralità delle forme di relazione stabile e di famiglia, occorre una sintesi nuova.

Una più evangelica vigilanza è la condizione per non cadere nella trappola di identificare la Chiesa con le forme di amministrazione e di governo che scaturivano da una cultura e da una società che non è più la nostra.

Andrea Grillo(α1961)                   blog: Come se non                         2 luglio 2023

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Mantova. Attività e pubblicazione del periodico “Etica Salute e Famiglia”

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Il post di luglio.-. Anno XXVII, n°4

  • Parlare di aborto oggi                                                                                                  Gabrio Zacchè
  • Il ruolo del padre. Da “accidente biologico” ad educatore moderno          Giuseppe Cesa
  • L’amore materno tra scienza e attualità                                                                Cristina Danielis
  • “Con vista sul mondo”. 20 anni di volontariato sanitario in Africa               Daniela Benedini
  • La difficile arte del prendersi cura                                                                            Silvana Ignaccolo, G. Cesa
  • Per una assistenza globale alla persona malata                                                  Alberto Zanoni
  • Anche Dio ha i suoi guai                                                                                              Egidio Faglioni ®

Parlare di aborto oggi

La Suprema corte degli USA, come è a tutti noto, ha abolito la sentenza “Roe vs Wade” che nel 1973 aprì la via alla legalizzazione dell’aborto nel Paese. I singoli Stati della Unione sono ora liberi di applicare loro leggi in materia; Texas e Missouri hanno già provveduto a rendere illegale l’aborto. La vicenda, resa nota e discussa anche dai social italiani, ha riacceso dopo anni di silenzio il dibattito circa la legge 194 del maggio 1978 sulla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) e sono molti quelli che richiedono una verifica circa la sua applicazione.

Nel 1981 ci fu un referendum proposto dal Movimento per la vita allo scopo di abolire la legge. Partecipai allora da giovane ginecologo come relatore in numerosi pubblici dibattiti. Il movimento femminista era radicale: “l’utero è mio e ne faccio quello che voglio”. La contrapposizione tra gli opposti schieramenti fu feroce ma alla fine solo il 32% dei votanti approvò l’abolizione. Una triste conseguenza a livello locale per i pochi ginecologi obiettori è stata per anni l’emarginazione professionale, mentre la legge veniva applicata solo nella sua componente negativa. Bastava allora firmare un prestampato presso i consultori (pubblici) per accedere in ospedale alla pratica abortiva, senza ricevere i previsti aiuti “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” (art.2 d). In Italia nel 1982 le IVG furono 234.800.

La legge 194, di fatto, è una “legge imperfetta”, così come lo è l’attuale proposta di legge sul suicidio assistito. In parlamento, chi si opponeva alla IVG ha cercato di introdurre per quanto era possibile, in una logica di mediazione, la difesa della vita umana. L’IVG non è un diritto, la legge cerca di contemperare accoglienza e tutela della vita nascente con la depenalizzazione della pratica abortiva. Si afferma il diritto alla tutela della salute della donna, non costretta a pratiche clandestine o a sanzioni penali: “Lo stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità, tutela la vita umana dall’inizio” (art. 1).

Oggi più di ieri, in un contesto demografico di culle vuote, viene sottolineato il valore della maternità. La scienza poi negli ultimi cinquant’anni ci ha rivelato la vita segreta del feto, il suo protagonismo: una fitta rete di scambi con la madre, biochimici e psicologici, rendono possibile l’impianto e il corretto proseguimento della gravidanza.  Sono finite contrapposizioni e slogan femministi.

Si è finalmente capito da parte di tutti che nessun aborto è una festa, ma che ogni aborto è dolore e tragedia. L’esperienza del nostro consultorio di ispirazione cristiana ci ha dimostra che assieme all’embrione muore parte della donna ed è nostro dovere accogliere senza giudicare, ascoltare e per quanto possibile aiutare.

Va considerato inoltre che nel corso degli anni l’attuazione della IVG è profondamente cambiata. Il numero degli aborti si è progressivamente ridotto e dal 2014 sono sotto i 100.000 all’anno (66.413 nel 2020); è aumentato il ricorso all’aborto farmacologico, considerato “aborto facile”, autorizzato in Italia dal 2009 fino a 7 settimane di gestazione e con ricovero, oggi fino a 9 settimane e senza ricovero (31,9% dei casi).

Perché del cambiamento? Abbiamo un progressivo minor numero di donne in età fertile, un maggior senso di responsabilità e consapevolezza con un conseguente maggior utilizzo di contraccettivi, una miglior organizzazione consultoriale. Ma ciò non basta. La causa principale della riduzione è nell’utilizzo sempre più frequente della “pillola del giorno dopo” o di quella dei “5 giorni dopo” che ha modificato la tipologia dell’aborto. La pillola dei 5 giorni dopo è in commercio in Italia dal 2012 con ricetta medica, dal 2015 senza ricetta medica per le maggiorenni, dall’ottobre 2020 senza ricetta medica anche per le minorenni.

Sono farmaci in vendita con la dizione “contraccettivi” in quanto è stata modificata, perché più gradita all’opinione pubblica, la definizione di inizio gravidanza: non più dal concepimento, come ci hanno insegnato a scuola, ma 7-10 giorni dopo, dal momento dell’impianto completo dell’embrione in utero. Questi farmaci hanno quindi un’azione “intercettiva”, poiché con alta probabilità impediscono l’annidamento dell’embrione in utero, causando un aborto sub-clinico, non evidenziabile né clinicamente né con sofisticati esami di laboratorio.

Per me essere obiettore non vuol dire “fregarsene” delle donne che richiedono di interrompere la maternità. Le mie pazienti lo sanno, e pur nella consapevolezza che mai sarò l’esecutore di una loro eventuale decisione negativa, mi cercano per essere ascoltate e possibilmente aiutate nel sofferto travaglio decisionale.

Gabrio Zacchè. Primario emerito di ginecologia a Mantova

Il ruolo del padre. Da “accidente biologico” ad educatore moderno

Punto di vista evolutivo

Un’espressione attribuita all’antropologa Margareth Mead accenna al fatto che inizialmente il maschio era un “accidente biologico”, necessario solo per la riproduzione sessuata, a migliorare cioè le caratteristiche genetiche della prole. In pratica la femmina mescolando il proprio corredo cromosomico col miglior maschio in circolazione, possibilmente diverso (vedi il fascino dell’esotico) realizza incroci che portano a generazioni di figli più sani e forti. Le caratteristiche fisiche in questo caso sono fondamentali ed ancora oggi hanno un peso nella scelta del partner, in quanto il padre trasmetterebbe alla prole soltanto le proprie potenzialità genetiche.

Molti animali, poco evoluti, basano la sopravvivenza della specie soltanto su questo meccanismo, facendo moltissimi figli e lasciando che sopravviva il migliore che poi a sua volta contribuirà alla riproduzione. Procedendo con l’evoluzione, troviamo che nel maschio di alcuni animali compaiono atteggiamenti di collaborazione più o meno rudimentali. In alcuni pesci sono i maschi a proteggere le uova fecondate, alcuni uccelli maschi aiutano la femmina ad imbeccare i piccoli o a preparare il nido, mentre in alcuni insetti come ragni e mantide religiosa capita che dopo aver fornito il seme, il maschio venga mangiato dalla femmina fornendole nutrienti.

Con l’avvento dei mammiferi, invece, quasi tutto passa in mano alla femmina (la mamma) ed il maschio fa prevalentemente il capo branco. Quest’ultimo ha quasi l’esclusiva degli accoppiamenti e difende semplicemente harem e territorio, non madri e figli. Le figlie cresciute potranno far parte del suo harem e potrà accoppiarsi anche con loro, mentre i maschi cresciuti si allontaneranno e saranno considerati potenziali rivali usurpatori. Sostanzialmente non c’è nulla di quella che si definisce dimensione paterna.

Procedendo ancora nell’evoluzione osserviamo che il numero dei figli è sempre più ridotto e l’impegno per la loro crescita sempre maggiore. Probabilmente, è proprio il maggior investimento richiesto per crescere la prole, che ha portato allo strutturarsi di quel gioco di squadra che oggi chiamiamo famiglia. Gioco di squadra che presenta forme rudimentali già negli animali ma che solo nell’uomo si definisce in forma elaborata e variamente strutturata.

Nell’essere umano. Nell’essere umano, a differenza degli altri animali, il tempo di maturazione biologica di un individuo è molto più lungo; anche dal punto di vista psichico e sociale le cose da imparare sono veramente tante. Ciò comporta che non basta solo la madre, serve qualcuno che l’affianchi, il padre.

In passato, i figli seguivano tendenzialmente le orme dei genitori. Il figlio del fornaio avrebbe fatto il fornaio, il figlio dell’agricoltore avrebbe fatto l’agricoltore e così via. In questo contesto, interagendo con il padre ed osservandolo, il figlio imparava il suo posto nel mondo, mestiere e regole sociali,” arte e parte”.

Oggi, però, non è più così. Già qualche decennio fa si diceva che l’adolescenza finisce a 30 anni. I cambiamenti culturali e tecnologici, l’incontro con altre culture e la mobilità sociale hanno comportato una graduale e sempre più massiccia complessificazione e sono diventate sempre più rilevanti altre figure educative a fianco del padre. Inoltre, c’è da fare i conti con l’inevitabile confronto con le altre culture, il che può mettere a dura prova i pilastri della struttura psichica e sociale e del senso di identità. Non è più sufficiente interagire con i genitori ed osservarli per strutturarsi adeguatamente nel mondo, la strada è molto più complessa.

                “Tutto suo padre” si diceva un tempo. La spinta a mantenere la linea di identità psichica culturale e valoriale, oltre a mantenere quella biologica, è inevitabilmente presente in ogni genitore e società: la stirpe, la dinastia millenaria, la cultura tramandata, i figli come prosecuzione di sé.

In un mondo che cambia rapidamente le competenze richieste cambiano e cambiano soprattutto alcuni assetti di base che regolano l’interagire sociale. Oggi non è più possibile nemmeno per un adulto strutturato immaginare che il proprio modo di essere e di fare sia quello giusto, il migliore, sempre valido ed eterno. Anche l’adulto deve sapersi adattare e probabilmente la qualità migliore che può trasmettere alla prole è la capacità di muoversi in un terreno variabile.

La realtà attuale. La realtà attuale, quindi, richiede dalle figure genitoriali la capacità di andare oltre la cura. Saper trasmettere alla prole la capacità di muoversi in un mondo in rapida trasformazione. Riuscire ad integrare il più armonicamente possibile le diverse competenze cognitive, affettive, le diverse soluzioni adattive esistenti e la pressione delle forti aspettative oggi attive, senza perdere il senso di identità psichica.

Ciò riguarda anche le altre figure educative che sempre più vengono coinvolte nel processo educativo, al di là delle loro competenze specifiche. Si pensi al poco tempo che i figli trascorrono con i genitori, spesso impegnati nel lavoro tutto il giorno. Non è improbabile che un bambino passi più tempo ed interagisca di più con gli insegnanti che con i genitori fin dai tempi del nido. Lo stesso dicasi per le relazioni amicali. Non è improbabile che un bambino passi più tempo ed interagisca di più con i compagni di classe che con fratelli o cugini.

Ciò comporta inevitabilmente una grande ricchezza di esperienze relazionali che devono venir metabolizzate sia dal bambino che dal genitore. Questo ovviamente non significa dover rinnegare tutto quanto deriva dalla propria cultura per tuffarsi in qualcosa di nuovo e sconosciuto. Significa invece la quotidiana fatica di chi accetta di fare il padre a realizzare un continuo aggiornamento con la rielaborazione delle proprie competenze. Se ci pensiamo bene, ad esempio, oggi nessun lavoratore può pensare di lavorare come faceva il proprio padre o come faceva lui stesso 10 o 20 anni prima. Deve aggiornare competenze e modalità operative continuamente oppure è out.

Il padre moderno deve a tutt’oggi avere il coraggio di offrirsi come modello, come in passato, ma deve anche saper coltivare e possedere la capacità di aggiornarsi e soprattutto la capacità di collaborare con le altre figure e culture indispensabili ed inevitabili nel nostro ambito sociale.

Giuseppe Cesa, psicologo – psicoterapeuta

L’amore materno tra scienza e attualità

Vi è uno scambio bidirezionale di cellule fetali e materne durante la gravidanza. È la presenza di piccole popolazioni di cellule distinte che hanno origine da un altro individuo e si fondono con quelle materne. Sostanzialmente, durante la gestazione, cellule del feto migrano nel flusso sanguigno della mamma attraverso la circolazione placentare e i vasi materni per poi ritornare di nuovo al feto. Un legame che va oltre a ciò che credevamo in passato.

Questo meccanismo è noto da diversi decenni ormai, ma solo di recente è stato studiato in maniera dettagliata grazie alle nuove tecniche di ricerca. Se nei tempi passati si pensava che l’utero fosse solo un contenitore isolato e che placenta e cordone ombelicale servissero solamente a far crescere e nutrire il prodotto del concepimento, ora si sostiene che tra mamma e figlio ci sia un rapporto ben più stretto dell’aspetto puramente biologico. L’evidenza scientifica ci dice che le cellule fetali, per il 50% provenienti dal padre e il 50% dalla madre, attraverso la placenta vanno a colonizzare diversi organi materni come polmoni, fegato, reni, cervello e cuore, differenziandosi a seconda dell’organo bersaglio anche con l’obiettivo di sanarlo e “ripararlo”. Allo stesso modo il feto eredita cellule di origine materna in uno scambio continuo di messaggi. Stupefacente: il figlio guarisce la madre che a sua volta gli garantisce una crescita sicura fino al termine della gestazione. Ciò spiega il perché alcune malattie antecedenti la gravidanza, scompaiono durante la stessa.

Questo fenomeno della migrazione cellulare ha anche un altro significato. Nonostante la presenza di un codice genetico estraneo al corpo materno, poiché il 50% proviene dal padre, la madre sviluppa una tolleranza immunologica, cioè un minor rischio di rigetto e mancato riconoscimento da parte del suo sistema anticorpale nei confronti del feto. La migrazione delle cellule fetali inizia già alla quinta settimana di gestazione, prosegue per tutto il periodo della gravidanza. esse sopravvivono nel corpo materno per decenni.

Lo dimostra il fatto che con un semplice prelievo ematico nella mamma al primo trimestre è possibile individuare cellule embrionali, e individuare così anomalie cromosomiche quali la sindrome di Down e altre malattie genetiche. Un grande numero di cellule fetali migra al cervello materno, al suo sistema limbico, alla sede dell’amigdala e alle aree emotive della donna rinforzando così il suo attaccamento emotivo al figlio e la capacità di prendersene cura.

Un amore che si amplifica al momento della nascita quando osserva il suo bambino per la prima volta e non si esaurirà, lasciandone traccia e una memoria nei tessuti e nell’area delle emozioni. Anche il feto ha un ruolo importante nella modulazione di questo sentimento, un dialogo esclusivo e misterioso che ogni figlio lascerà nel corpo e nello spirito materno dando origine all’amore più profondo e “viscerale” che ogni mammifero di questa terra può rendere possibile.

Cristina Danielis, ostetrica

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DALLA NAVATA

XIII Domenica del tempo ordinario – Anno A

2Re                                       04, 09. Ella disse al marito: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi».

Salmo responsoriale     88, 02. Canterò in eterno l’amore del Signore, di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà, perché ho detto: «È un amore edificato per sempre; nel cielo rendi stabile la tua fedeltà».

Paolo ai Romani              06, 03. Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?

Matteo                                10, 40. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.

Possediamo soltanto ciò che doniamo agli altri

                Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me. Ma allora chi è degno di te, Signore, della tua altissima pretesa? Padre madre fratello figlia… sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, a diventare il meglio di ciò che posso diventare. Ma la sua non è una competizione di emozioni, da cui sa che non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme. Eppure lo sappiamo che nessuno coincide con il cerchio della sua famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, l’uomo lascerà il padre e la madre!

Il Vangelo, croce e pasqua, un’eternità di luce, non si spiegano interessandosi solo della famiglia, e neppure una storia di giustizia, un mondo in pace. Bisogna rompere il piccolo perimetro e far entrare volti e nomi nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro; staccarsi, perdere, spezzare l’eterna ripetizione di ciò che è già stato. Chi avrà perduto, troverà. Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo come si perde un tesoro, donandola. Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d’impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio una vita intera, un figlio, insieme al coraggio del futuro.

Risento l’eco delle parole di Gesù: Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà. Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l’ha perduta per la causa dell’uomo, l’ha ritrovata. Infatti il vero dramma dei viventi è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita. E a noi, spaventati dall’impegno di dare vita e di seguire una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca non perderà il premio. Croce e acqua, il dare tutto e il dare quasi niente.

I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo così evangelico: fresca! L’acqua, fresca dev’essere! Vale a dire procurata e conservata con cura, l’acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l’eco del cuore. La vita nell’acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c’è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi o a tremare per una creatura, ma si traduce con l’altro verbo sempre di corsa, semplice e concreto, fattivo, urgente di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.

padre Ermes Ronchi, OSM

DIVORZIATI

Amoris Lætitia: diocesi Cagliari, un percorso di discernimento per persone divorziate

Presentato questa mattina, nella sala Benedetto XVI della Curia arcivescovile di Cagliari, il servizio diocesano Amoris Lætitia, alla presenza dell’arcivescovo, mons. Giuseppe Baturi. Il nuovo organismo rappresenta la risposta più concreta all’invito che Papa Francesco ha rivolto alla Chiesa dopo i Sinodi sulla famiglia e l’omonima esortazione apostolica. Si tratta di un percorso articolato, che ha preso le mosse dall’Assemblea generale straordinaria del Sinodo del 2014, volta a raccogliere testimonianze e proposte dei vescovi per annunciare il Vangelo della famiglia. Ad essa ha fatto seguito l’anno successivo l’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si è occupata di elaborare delle linee operative per la pastorale della persona umana e della famiglia. Da questo percorso emerge l’esigenza di offrire un cammino di discernimento in favore di quanti, dopo aver celebrato il matrimonio sacramentale, a seguito dell’esperienza dolorosa dell’abbandono della vita coniugale, vivono una situazione di fatto irreversibile rispetto alla prima unione e sono mossi dal desiderio di progredire nella fede e nella comunione ecclesiale.

Attualmente chi proviene da un precedente matrimonio ma anche chi, pur essendo libero sacramentalmente, è coinvolto in una relazione stabile con una persona precedentemente sposata non trova nella Chiesa un cammino pensato appositamente per questo tipo di situazione. “Nella Chiesa – afferma l’arcivescovo Baturi – già prima dei Sinodi dedicati alla famiglia vi era grande preoccupazione per queste persone che dopo aver celebrato il matrimonio, a seguito di vicende o separazioni per cui la convivenza era diventata impossibile, avevano intrapreso altre strade. C’erano tante persone che guardavano alla Chiesa con distanza e chiedevano di poter essere accolte e accompagnate. Alla luce di questo, ispirati dall’esortazione apostolica di Papa Francesco, abbiamo pensato di attivare un servizio capace di offrire ai pastori, alle coppie e ai singoli, dei percorsi di ascolto e discernimento, per poter leggere la propria situazione e sentirsi parte della comunità cristiana”.

(F.P.)      Agenzia SIR                        26 giugno 2023

agensir.it/quotidiano/2023/6/26/amoris-laetitia-diocesi-cagliari-un-percorso-di-discernimento-per-persone-divorziate

DONNE NELLA (per la ) CHIESA

Pensavo fosse Gesù, invece era Aristotele

 Luigi Maria Epicoco (α1980) è tra le firme più note dell’editoria religiosa contemporanea. Fra le sue ultime pubblicazioni vi è un libro che si inserisce in un filone – quello del rapporto “donne e Bibbia” – di straordinaria ricchezza ermeneutica. Il titolo del libretto di Epicoco, poco più di un centinaio di pagine, è di per sé programmatico: “Le affidabili. Storie di donne nella Bibbia”.

Scorro in Internet qualche nota di presentazione. Una dice così: Quando pensiamo ai racconti biblici, troppo spesso il nostro immaginario è prevalentemente maschile. In verità, in ogni storia c’è sempre un rimando femminile che non fa solo da coreografia ma ne rappresenta molto spesso la chiave di lettura vincente; infatti, le donne della Bibbia sembrano le più “affidabili” nel realizzare la Storia di Salvezza.

Un’altra dice: Erroneamente forse pensiamo che le donne nella Bibbia ricoprono un ruolo marginale. In realtà è esattamente il contrario, perché esse rappresentano il grande fondale “affidabile” dentro cui la storia della salvezza è resa davvero possibile.

Perplessità. Rimango un po’ perplessa. Troppo spesso il nostro immaginario è prevalentemente maschile…Forse pensiamo che le donne nella Bibbia ricoprono un ruolo marginale…Evidentemente il marketing religioso fa riferimento a un pubblico medio che ha poca o nessuna consapevolezza dell’imponente lavoro che, da decenni ormai, le teologie femministe stanno portando avanti per dissotterrare i giacimenti di senso sepolti nelle filigrane delle Scritture rispetto alla presenza e al ruolo delle donne nella storia della Salvezza. E questa è la prima perplessità.

In verità, in ogni storia c’è sempre un rimando femminile… In realtà è esattamente il contrario… Seconda perplessità: sembra sia stato Epicoco il primo ad affondare la mano in questa vena aurifera… Che dire? Forse fa parte della prassi promozionale presentare ogni nuova pubblicazione all’insegna dello slogan “il-primo-libro-che”, come non esistesse alcun ieri in cui riconoscersi e a cui essere riconoscenti.

Ma ecco che le mie perplessità si traducono in indignato disagio quando, leggendo un’intervista rilasciata dal giovane teologo al blog “AlzogliOcchiversoilCielo”, mi imbatto in queste parole: “La grande polemica sul ruolo delle donne nella Chiesa mi infastidisce molto, perché è come se noi dovessimo dare spazio a coloro che hanno tutto il diritto di ritenere che questo spazio ce l’hanno già, e se lo sono guadagnato attraverso quella affidabilità di cui parlavo prima. Nel libro ho usato un’immagine. In fondo, quando noi guardiamo un quadro, veniamo attratti dalle figure che sono in prima linea, ma in realtà queste figure sono comprensibili solo perché c’è un fondale alle spalle, che dà significato ai personaggi in prima linea. Ecco, le donne sono il grande fondale di senso dentro cui nessun personaggio che sta in prima linea potrebbe trovare significato se non attraverso di loro. Dietro i grandi uomini della Bibbia ci sono sempre grandi donne, nella Chiesa le vicende più importanti hanno sempre avuto come fondale figure sagge”.

Non sono stata certo l’unica a sentirmi a disagio davanti a queste frasi; il “fastidio” di cui parla Epicoco ha stimolato un articolato commento di Andrea Grillo che, attraverso una lettera aperta, ha tra le altre cose

www.cittadellaeditrice.com/munera/sulla-donna-e-sul-gender-una-lettera-aperta-a-luigi-maria-epicocos

ha sottolineato come l’immagine metaforica dello “spazio del fondale”, usata da Epicoco per ribadire che la posizione marginale delle donne nella Bibbia e nella Chiesa è funzionale al conferimento di senso per i personaggi che si trovano in prima linea, non è altro che una riproposizione in forma di metafora della secolare predicazione ecclesiastica che identificava il domestico e il privato – l’invisibile, il nascosto, il silente – come spazio del femminile, in contrapposizione al pubblico, cioè al primo piano, al visibile, all’autorevole, come luogo proprio dei maschi.

A dispetto di quel titolo dirompente – “Le affidabili” – Epicoco, dunque, ricade nella nota stereotipata misoginia clericale, che “blinda” le donne in posizioni di marginalità privandole di qualsivoglia rilevanza istituzionale, con l’aggravante delle buone maniere e dei toni affabili che mistificano e occultano i contenuti sessisti.

Donne sullo sfondo, quindi. Donne mai protagoniste in primo piano. Ieri a causa della loro inaffidabilità, oggi nonostante la loro affidabilità. Ma chi l’ha detto che le donne devono stare sullo sfondo?

The Woman’s Bible. Se c’è stato un punto di non ritorno nell’ermeneutica biblica, per quanto sconosciuto ai più, o disconosciuto o misconosciuto, questo è senz’altro il saggio “The Woman’s Bible”

 (La Bibbia della donna) di Elizabeth Cady Stanton, α1815-ω1902)   pubblicato alla fine dell’Ottocento. È grazie all’impresa di Cady Stanton che oggi non si può più leggere la Bibbia come un libro “neutro”, cioè privo di tracce delle mani maschili che l’hanno scritto. Cady Stanton mise a fuoco il carattere fondamentalmente androcentrico della Bibbia, in termini tanto di linguaggio quanto di cornice concettuale. Portando ad evidenza le strutture patriarcali che relegavano le donne in posizione di secondo piano rispetto agli uomini e le presentavano attraverso narrazioni che le concepivano come marginali, invisibili e insignificanti – nei confronti non solo della religione, ma anche della cultura e della storia umane –, Cady Stanton giunse ad affermare che i testi misogini contenuti nella Scrittura dovevano essere considerati non parola di Dio, ma parola dei maschi.

Il pionieristico lavoro di destrutturazione compiuto dalla pensatrice americana, imprescindibile figura di riferimento nella storia dell’emancipazione delle donne e degli schiavi, ha contribuito a mettere in luce le piegature androcentriche della storia della redazione e della tradizione dei testi biblici, il pronunciato androcentrismo attivo nella formazione del canone e in tante traduzioni, nonché l’organizzazione patriarcale delle istituzioni religiose e del nostro stesso modo di pensare, di vivere e di credere.

Come ricorda Elisabeth Schüssler Fiorenza, (α1938)  le conclusioni interpretative scaturite da The Woman’s Bible determinano ancora i parametri dell’ermeneutica biblica femminista e anche le ricerche storico-esegetiche sul tema: “donna nella Bibbia”.

Cent’anni di solitudine. Se le femministe americane della fine del XIX secolo non avessero rivendicato il diritto delle donne non soltanto a vagliare criticamente le interpretazioni della Bibbia per smascherarne la carica oppressiva nei confronti delle donne, ma anche a leggere criticamente il testo stesso, non sarebbe mai esploso l’interesse per le figure femminili che costellano la storia biblica: nel momento in cui la Bibbia è diventata anche delle donne, il protagonismo femminile all’interno del testo sacro stesso è emerso in tutta la sua evidenza e le donne della Bibbia sono state liberate dall’oblio e, soprattutto, dalla mistificazione.

Scriveva così Marinella Perroni (α1947)  vent’anni fa, in un testo dal titolo emblematico: “Cent’anni di solitudine – La lettura femminista della Scrittura” I cento anni di solitudine sono quelli che separano la pubblicazione della Bibbia della donna, del 1895, e il documento della Pontificia commissione biblica sull’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, del 1993 – documento che, togliendo l’interdetto, legittimava anche l’esegesi femminista come possibilità interpretativa delle Scritture valida sotto il profilo ecclesiale. Durante quei primi cento anni le donne cristiane hanno potuto iniziare a confrontarsi con la Bibbia, a riappropriarsene, a sentire la Parola come pronunciata non solo per loro ma anche attraverso di loro.

Perroni rilevava, però, non senza amarezza, che il lavoro di esegesi compiuto dalle donne lungo tutti quei primi solitari cento anni, anziché venir considerato dal mondo esegetico italiano come movente di interlocuzione critica, era stato ritenuto semplicemente come un’area protetta della ricerca teologica, una sorta di appendice riservata alle sole donne. Sono passati vent’anni da quel testo, e la domanda inevitabile è: è cambiato qualcosa da allora nella cultura teologica italiana? Forse qualcosa sì: un libro come quello di Epicoco testimonia che l’area protetta si è aperta anche a presenze maschili che, attraverso un non scontato esercizio di dislocazione dello sguardo, approcciano il testo biblico da un punto prospettico “altro”. Oggi anche teologi e biblisti si occupano delle donne nella Bibbia, ne parlano e le studiano. Ma l’interlocuzione critica, a che punto è?

Appare evidente che, finché ci si limita a muoversi entro il campo delle Scritture, non ci sono ormai più grosse difficoltà. Le difficoltà si profilano nel momento in cui l’ermeneutica biblica femminista si fa preludio ad una riconsiderazione totale dell’assetto teologico e religioso, non per tematizzare un passaggio di potere, ma per elaborare una nuova prospettiva teoretica d’insieme, per ripensare totalmente l’universo religioso con i suoi simboli e i suoi linguaggi, i suoi contenuti e le sue norme, le sue promesse e i suoi riti.

Se, toccando il tema “donne e Bibbia”, nell’aria inizia ad aleggiare la questione dei ruoli e dei ministeri ecclesiali, inevitabilmente qualcuno comincia a infastidirsi. Ma, come scriveva Grillo nella sua lettera aperta: “Per quanto si parli di affidabilità, anche a giusto titolo, se non ci si confronta con l’esercizio dell’autorità, non si rende un servizio alla ragione teologica e alla dignità delle donne”.

…invece era Aristotele. Eppure questo ormai più che centenario lavoro esegetico delle donne dovrebbe aver portato ad avere come solida e condivisa acquisizione alcuni dati, storici prima ancora che teologici. Le cristiane della prima generazione erano discepole di Gesù a pieno titolo in una comunità di uguali, battezzate e responsabili di comunità, missionarie ed evangelizzatrici. Ma il tempo breve del discepolato di uguali, eversivo nei confronti delle strutture familiari e culturali tradizionali ebraiche dominate dal patriarcato, non durò più di una generazione. L’istituzionalizzazione della Chiesa coincise con il suo adattamento all’etica greco-romana e all’assunzione dei codici personali e familiari della cultura allora dominante. Il prezzo della legittimazione e della istituzionalizzazione fu pagato dalle donne della seconda generazione cristiana che, ricondotte a compiti secondari, vennero interdette dai ruoli ecclesiali e marginalizzate per i secoli a venire.

Una volta addomesticata la dirompente proposta di Gesù del discepolato di uguali, Aristotele era pronto a permeare di sé il pensiero e la vita cristiana. Ora, per capire quale fossero i riferimenti culturali della Chiesa nascente nel suo approccio al mondo greco-romano, può essere utile spostarsi dal campo d’indagine propriamente biblico ed entrare, invece, nel terreno dell’antropologia e della filosofia.

Il recente lavoro di Giulia Sissa,(α1954)

 Distinguished Professor of Political Science, Classics and Comparative Literature alla University of California di Los Angeles, dal titolo “L’errore di Aristotele. Donne potenti, donne possibili, dai Greci a noi”, entra in modo approfondito, testi alla mano, nelle pagine aristoteliche che hanno costruito il fondamento delle costruzioni di pensiero che, attraverso i secoli, hanno in modo pervasivo continuato a battere sul tasto dell’inferiorità femminile. Lo stile di Sissa è rigoroso ma, allo stesso tempo, intrigante e godibile, a tratti perfino divertente nel riproporci le testuali parole di pensatori che, a partire da Aristotele, via via attraverso i secoli, in vario modo e a vario titolo si sono impegnati a dimostrare che le donne, poverine, non ce la possono proprio fare ad essere come gli uomini e che la donna fa acqua da tutte le parti.

Sillogismi: Aristotele. Basta un sillogismo, semplice e rigoroso, per consegnare le donne all’inferiorità, al retroscena, al fondale. Contro Platone che, nella “Repubblica”, postulava l’uguaglianza tra i sessi e un’educazione paritaria per maschi e femmine, Aristotele parte da un assunto di carattere biologico che mette fuori gioco subito qualsiasi postulato di uguaglianza.

Gli uomini sono caldi. Il calore è θυμός, cioè ardore, e solo dal θυμός, può svilupparsi l’νδρεία, cioè il coraggio, ossia la virtù indispensabile per combattere, governare, mantenersi saldi nella decisione presa e rivestire ruoli di primo piano nella città. Le donne sono tutto il contrario. Sono fredde, prive di θυμός, e quindi prive di νδρεία,. Non è che non ragionino – anzi, per Aristotele le donne sono anche più intelligenti e razionali degli uomini, proprio a causa della loro freddezza – ma, non avendo θυμός e coraggio, non sono in grado di prendere >inaffidabili.

Ecco pronto, dunque, un ineccepibile sillogismo: le donne sono prive di θυμός; per governare e stare al centro della città serve θυμός;; quindi le donne devono restarsene in casa, nell’angolo più ritirato e nascosto, silenziose e obbedienti al maschio di turno, padre o marito che sia.

Sillogismi: Tommaso. Tommaso percorre a spron battuto le vie dell’aristotelismo e rincara la dose con un sovrappiù – non solo la donna è priva di θυμός, non solo è incostante e inaffidabile, ma è pure un maschio mancato, qualcosa di difettoso, occasionale e irrazionale: femina est aliquid deficiens et occasionatum.

Ne consegue che naturaliter femina subiecta est viro, quia naturaliter in homine magis abundat discretio rationis. Il maschio è per natura più dotato intellettualmente, ha la meglio in tutti i campi che riguardano il pensiero, è più intelligente, più lungimirante e competente.

Per Aristotele, la donna più coraggiosa è un maschio vigliacco; per Tommaso la donna più intelligente è un maschio stupido. Mentre per Aristotele l’invalidità della donna riguarda solo l’esecuzione, la messa in atto di progetti che, per altro, è razionalmente in grado di giudicare correttamente, per Tommaso la donna non è in grado di portare a definizione nessun compito, si smarrisce, è incapace di muoversi nel mondo senza l’appoggio maschile.

Sillogismo tomistico: Dio, nel disegno della natura, ha creato il maschio dotato di superiorità cognitiva (discretio rationis). Per governare, dirigere, comandare, serve questa superiorità cognitiva. Perciò solo il maschio può comandare, dirigere e governare.

Corollario: L’uomo è il capo della donna, ed è giusto che sia così poiché, grazie a Dio, l’uomo è davvero più dotato della donna. La donna è un essere ausiliare, fatto per il servizio, per aiutare, assistere; è esclusa da ruoli direttivi e da responsabilità, può solo vivere in condizione di subordinazione.

Sillogismi: Rousseau. Poi arriva Jean-Jacques Rousseau,  (α1712-ω1778) uno degli intellettuali più influenti dell’Illuminismo. Quando, nel libro V del suo romanzo pedagogico “Emilio”, viene a parlare dell’educazione di Sofia, la compagna di Emilio, anche il pensatore ginevrino non riesce ad abbandonare le note, sicure vie del sillogismo aristotelico. Et voilà: In tutto ciò che concerne il sesso, la donna e l’uomo hanno dappertutto rapporti e dappertutto differenze. Tutto ciò che essi hanno in comune è proprio della specie, tutto ciò che hanno di differente è proprio del sesso. Da questa diversità nasce la prima differenza individuabile nel campo dei rapporti morali fra l’uno e l’altro sesso. L’uno deve essere attivo e forte, l’altro passivo e debole. Stabilito questo principio, ne segue che la donna è fatta specialmente per piacere all’uomo. Se la donna è fatta per piacere e per essere soggiogata, ella deve rendersi gradevole all’uomo anziché provocarlo: la sua forza è nelle sue grazie.

È Rousseau, e sembra Costanza Miriano.  (α1970)

Ulteriori corollari di questa logica dimostrazione: il posto naturale della donna è la casa, la sua principale occupazione la cura dei figli, che abbia la stessa educazione di un uomo è un’assurdità che solo Platone poteva concepire. Se proprio si devono educare, le donne, visto che nel mondo così come è ormai per tutti è indispensabile un po’ di cultura, le si educhi in modo che questo serva a rinforzare le prerogative “naturali” del loro sesso: Non potendo essere giudici esse stesse, devono ricevere le decisioni dei padri e dei mariti come fossero quelle stesse della Chiesa. Non fate delle vostre figlie delle teologhe e delle ragionatrici; non insegnate loro, delle cose del cielo, che ciò che serve alla saggezza umana. Ciò che loro si comanda è bene, ciò che loro si proibisce è male, le bambine non devono saperne di più. Sono capaci le donne di un solido ragionamento? Lo coltiveranno con frutto? E sarà utile alle funzioni che sono loro imposte? È compatibile con la semplicità che loro conviene?

Il paradosso di Epicoco. Oggi, contro Aristotele, Tommaso e Rousseau, la Chiesa ha (finalmente) scoperto che le donne non sono diverse dagli uomini perché più fredde, meno coraggiose, meno intelligenti e più deboli. Ha scoperto che le donne possono essere, e si sono dimostrate, nella storia della Salvezza, sagge e affidabili, più affidabili degli uomini addirittura. Dopo aver spacciato per secoli come messaggio di Gesù quello che era invece retaggio del pensiero aristotelico, che sia forse giunto il momento di abbandonare la lettura pregiudiziale del femminile, che vede come caratteristica decisiva delle donne – fredde, prive di coraggio, poco intelligenti e più deboli degli uomini – la soggezione e la mancanza di autorità?

Il fastidio di Epicoco dice che la Chiesa ancora non ce la fa. Anche se la premessa maggiore del sillogismo aristotelico si è convertita nel suo contrario (quanto θυμός; in una donna!), la conclusione resta uguale e inattaccabile. Che le donne restino sul fondale, e lì se ne stiano contente e appagate, dato che ora glielo riconosciamo, questo fondamentale ruolo di sfondo! Cosa vogliono ancora, queste benedette donne, sempre a far polemica!

Nel suo articolo di vent’anni fa, che vale a pena ritornare a leggere, Marinella Perroni sottolineava che il femminismo, con la sua volontà di rimettere in discussione la pretesa maschile di occupare il centro della scena e dell’universo, ha portato con sé una rivoluzione che va ben al di là della stessa contesa per l’occupazione del centro.

La questione urgente sollevata dal pensiero delle donne nella Chiesa non è tanto chi o che cosa deve stare al centro, chi o che cosa deve stare in primo piano o sullo sfondo. La vera questione è se l’universo religioso non possa essere che policentrico o, addirittura, se esso non sia plausibile solo privo di centro. Forse è questo il pensiero da pensare e ripensare, a lungo e bene, se dirsi cristiane e cristiani

         Anita Prati         “www.settimananews.it”  25 giugno 2023

www.settimananews.it/chiesa/pensavo-fosse-gesu-invece-aristotele/

ECUMENISMO

Papa Francesco spiega il tipo di primato del vescovo di Roma sulle Chiese ortodosse

Prendendo le mosse dal documento congiunto “Sinodalità e primato dal secondo millennio ad oggi” finalizzato al Cairo lo scorso giugno, Papa Francesco fa un ulteriore passo nel cammino verso l’unità dei cristiani spiegando che non è possibile che le prerogative che il vescovo di Roma ha sulla comunità cattolica possano essere estese alle Chiese ortodosse. Parole che puntano a rassicurare l’ortodossia, preoccupata che il primato di Roma, sul quale si era raggiunto un accordo sostanziale già nel documento di Ravenna del 2007, possa andare a toccare anche la loro gerarchia, la loro esistenza, la loro indipendenza.

                Il passo di Papa Francesco – alla fine, sulla scia dell’eventualità di “nuove forme dell’esercizio del primato petrino” delineate da San Giovanni Paolo II nella “Ut Unum Sint” –  (25 maggio 1995)

www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25051995_ut-unum-sint.html

arriva nel discorso di fronte alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che il Papa consegna, ma non pronuncia. Come tradizione, per la festa dei Santi Pietro e Paolo, c’è una delegazione da Costantinopoli in Vaticano, mentre per la festa di Sant’Andrea c’è una delegazione vaticana a Costantinopoli, nell’ambito di un reciproco scambio che punta proprio a ristabilire una unità nel tessuto ecumenico. La delegazione di Costantinopoli è guidata dal Metropolita di Pisidia Job, copresidente della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, accompagnato dal Vescovo di Nazianzus Athenagoras e dal Diacono patriarcale Kallinikos Chasapis. È a Roma dal 27 giugno, e ieri ha partecipato alla celebrazione in onore dei Santi Pietro e Paolo.

                Il Papa, nel suo discorso, esprime “gioia” per l’accordo sul documento licenziato dalla XV sessione plenaria della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa, e ritiene che è stato importante “aver condotto una lettura comune del modo in cui si è sviluppato in Oriente e in Occidente il rapporto tra sinodalità e primato nel secondo millennio: ciò può contribuire al superamento di argomenti polemici utilizzati da entrambe le parti, argomenti che possono sembrare utili a rinsaldare le rispettive identità, ma che in realtà finiscono con il concentrare l’attenzione solo su sé stessi e sul passato”.

                Come nota a margine, va ricordato che il documento è la logica prosecuzione del documento di Chieti su sinodalità e primato nel primo millennio, mentre tra i due documenti ce ne era stato un altro che faceva il punto della situazione intitolato “Verso l’unità della fede: questioni teologiche e canoniche”. Alla fine, tutti erano d’accordo sul fatto che la Chiesa di Roma presiedeva nella carità le altre Chiese. Il vero tema era come questo primato si fosse sviluppato nel secondo millennio, e come oggi potesse essere realizzato senza andare ad intaccare equilibri secolari.

                Ed è qui che viene la precisazione di Papa Francesco. “Non è possibile – afferma il Papa – pensare che le medesime prerogative che il Vescovo di Roma ha nei riguardi della sua Diocesi e della compagine cattolica siano estese alle comunità ortodosse; quando, con l’aiuto di Dio, saremo pienamente uniti nella fede e nell’amore, la forma con la quale il Vescovo di Roma eserciterà il suo servizio di comunione nella Chiesa a livello universale dovrà risultare da un’inscindibile relazione tra primato e sinodalità”.

Papa Francesco aggiunge che “l’unità piena sarà dono dello Spirito Santo e che nello Spirito va cercata, perché la comunione tra i credenti non è questione di cedimenti e compromessi, ma di carità fraterna, di fratelli che si riconoscono figli amati del Padre e, colmi dello Spirito di Cristo, sanno inserire le loro diversità in un contesto più ampio”.  Per il Papa, lo Spirito Santo “armonizza le differenze senza omologare le realtà”.

                Papa Francesco affronta anche le preoccupazioni comuni, a partire dalla preoccupazione per la pace, con uno sguardo particolare alla guerra in Ucraina che “toccandoci più da vicino, ci mostra come in realtà tutte le guerre sono solo dei disastri, dei disastri totali: per i popoli e per le famiglie, per i bambini e per gli anziani, per le persone costrette a lasciare il loro Paese, per le città e i villaggi, e per il creato, come abbiamo visto recentemente a seguito della distruzione della diga di Nova Kakhovka”. È la prima volta che il Papa menziona la distruzione della diga in Ucraina.

                Papa Francesco sottolinea che “come discepoli di Cristo, non possiamo rassegnarci alla guerra, ma abbiamo il dovere di lavorare insieme per la pace”, compiendo “un comune sforzo creativo per immaginare e realizzare percorsi di pace, verso una pace giusta e stabile”.

                Anche la pace “è un dono del Signore”, ma si tratta – argomenta il Papa – “di un dono che richiede un atteggiamento corrispondente da parte dell’essere umano, e soprattutto del credente, il quale deve partecipare all’opera pacificatrice di Dio”, e infatti “la pace non viene dalla mera assenza di guerra, ma nasce dal cuore dell’uomo”, e viene ostacolata dalla “radice cattiva che ci portiamo dentro”, ovvero “il possesso, la volontà di perseguire egoisticamente i propri interessi a livello personale, comunitario, nazionale e persino religioso”.

                Papa Francesco chiede dunque di “convertire il cuore”, perché “se la nostra vita non annuncia la novità di questo amore, come possiamo testimoniare Gesù al mondo?” Allora, “alle chiusure e agli egoismi va opposto lo stile di Dio che, come ci ha insegnato Cristo con l’esempio, è servizio e rinuncia di sé. Possiamo esser certi che, incarnandolo, i cristiani cresceranno nella comunione reciproca e aiuteranno il mondo, segnato da divisioni e discordie”.

                Andrea Gagliarducci      ACI Stampa        Città del Vaticano, 30 giugno, 2023.

www.acistampa.com/story/papa-francesco-spiega-il-tipo-di-primato-del-vescovo-di-roma-sulle-chiese-ortodosse?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsmi=264628082&_hsenc=p2ANqtz–0qQiuMBT2ayCyGT3P2RmFo38M7NchWzV_LNBxfyWllzcIFvTtonOucfahxPVo3R5QhcmTUENyTtIaWbAmVykJ5U69Mg&utm_content=264628082&utm_source=hs_email

GIURISPRUDENZA

Il giudice può negare la separazione?

Separazione ingiustificata: il giudice può opporsi alla richiesta del coniuge non sorretta da alcun valido motivo?

Molte coppie si lasciano senza un preciso motivo: semplicemente, si sono stancate di vivere insieme. Quando si tratta di fidanzati oppure di persone non sposate, allora non ci sono problemi: è sufficiente che ognuno intraprenda la propria strada, senza che la separazione sia sancita da alcun atto formale. Le cose cambiano, invece, quando la coppia è sposata. In un’ipotesi del genere, il giudice può negare la separazione?

Mettiamo il caso che il marito voglia lasciare la moglie solo perché la domenica pomeriggio preferisce stare sul divano a guardare le partite anziché uscire per negozi, oppure che la donna intenda lasciare l’uomo perché ha cominciato a detestare alcuni suoi modi di fare. Ebbene, in queste ipotesi così come in tutte quelle in cui la richiesta è, almeno apparentemente, ingiustificata o comunque non sorretta da gravi motivi, il giudice può opporsi alla separazione? Vediamo cosa dice la legge.

A meno che non ci siano superiori esigenze della prole da tutelare, il giudice non può negare la separazione, anche qualora uno dei coniugi si fosse opposto non prestando il consenso.

Il giudice può negare la separazione consensuale? Partiamo dall’ipotesi della separazione consensuale, cioè della richiesta congiunta di lasciarsi. In questa ipotesi, il giudice non potrà opporsi, essendo costretto a omologare l’istanza proveniente dai coniugi, quantunque questa sembri essere priva di validi motivi. L’unico caso in cui il magistrato può manifestare la propria opposizione si verifica quando i coniugi hanno dei figli: in questa ipotesi, se la regolamentazione predisposta dalle parti non sembra conforme alla legge, il giudice può invitare le parti a effettuare le opportune modifiche. Se queste non vengono recepite, il magistrato deve negare l’omologazione [Art. 158 cod. civ.]. In pratica, il giudice non ha il potere di modificare l’accordo dei coniugi, ma è tenuto a controllare che le loro decisioni non siano in contrasto con la legge. Pertanto, se lo ritiene, può indicare ai coniugi le modifiche necessarie per ritenere soddisfatto l’interesse della prole e, se i coniugi non si adeguano, può rifiutare l’omologazione, con la conseguenza che non si avrà nessuna separazione.

Mettiamo il caso che marito e moglie sono d’accordo nel separarsi e nel prevedere che i figli stiano solo ed esclusivamente con la madre, dacché il padre non ha il minimo interesse per loro. Un accordo del genere, per quanto condiviso, sarebbe gravemente lesivo dell’interesse della prole ad avere due genitori anziché uno, con la conseguenza che il giudice, se le parti non volessero apportare le modifiche suggerite, dovrebbe rigettare l’intera richiesta di separazione.

Se, invece, marito e moglie non hanno figli, allora il giudice non ha praticamente mai motivo di opporsi alla separazione consensuale, anche qualora questa fosse iniqua per uno dei coniugi. Ad esempio, se la moglie nullatenente firma l’accordo con cui il marito è esonerato da qualsiasi mantenimento, il giudice dovrà omologare l’intesa in quanto sottoscritta da entrambe le parti.

Il giudice può negare la separazione giudiziale? Analizziamo ora l’ipotesi della separazione giudiziale, cioè di quella in cui non c’è accordo tra le parti. In genere, il processo per la separazione giudiziale si distingue in due fasi:

  1. durante la prima, costituita dall’udienza presidenziale in cui compaiono entrambi i coniugi, il giudice, verificata l’impossibilità di una conciliazione, adotta i provvedimenti urgenti per le parti e per la prole, come ad esempio l’affidamento dei figli e la determinazione dell’assegno di mantenimento. Il giudice autorizza altresì le parti a vivere separatamente;
  2. la seconda, invece, corrisponde al processo vero e proprio, durante il quale le parti cercheranno di dimostrare le proprie ragioni, come ad esempio il diritto a ottenere un mantenimento più cospicuo oppure la dichiarazione di addebito a carico dell’altra parte.

Ebbene, il giudice non può negare la separazione, anche se questa non dovesse essere accettata dall’altra parte, cioè dal coniuge chiamato in causa: l’opposizione di quest’ultimo, infatti, non può bloccare la procedura. Da questo punto di vista possiamo affermare che la separazione è un vero e proprio diritto di ciascun coniuge, contro cui l’altro non può fare nulla. Vediamo perché.

Il giudice può negare una separazione immotivata? Salvo quanto detto a proposito dell’omologazione dell’accordo pregiudizievole per i figli, il giudice non può mai opporsi alla separazione, anche quando questa è immotivata. Secondo la legge, la separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da: rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole [Art. 151 cod. civ.].

L’“intollerabilità della convivenza” è una locuzione molto generica, all’interno della quale può essere ricondotta praticamente ogni tipo di problematica della coppia, dal tradimento (che giustificherebbe perfino l’addebito) fino alla semplice incomprensione. Ciò significa che il giudice non può negare la separazione, anche quando questa è immotivata, ad esempio perché frutto del ripensamento da parte di un coniuge particolarmente immaturo.

Né l’altro coniuge può validamente opporsi alla richiesta in quanto, come detto, la separazione è un vero e proprio diritto, equiparabile nei fatti a un “recesso”. In sintesi, a meno che non ci siano superiori esigenze della prole da tutelare, il giudice non può negare la separazione, anche qualora uno dei coniugi si fosse opposto non prestando il consenso.

Mariano Acquaviva        La legge per tutti             26 giugno 2023

www.laleggepertutti.it/609092_il-giudice-puo-negare-la-separazione

SACRAMENTI

Non si confessa (quasi) più nessuno

I preti non hanno tempo. Il rito è stato di fatto soppresso: si confessa in maniche di camicia, in casa, nei banchi, all’esterno, ovunque. Con il Covid anche il vecchio “confessionale” è stato abbandonato. La gente fatica a confessarsi perché anche la Chiesa – e i preti in particolare – sembrano faticare a crederci davvero.

Il rito banalizzato. Domenica ho confessato. Come sempre: pochi ma buoni. Se sono buoni i (pochi) penitenti rimasti, non è altrettanto buono il modo come noi li riceviamo. Ho confessato davanti a un altare laterale, a sinistra, entrando. Ovviamente, non ha nulla di adatto al sacramento: è solo uno spazio in cui si sono collocate due sedie. E non ha nulla di bello, se si eccettua, naturalmente, la splendida tela del Moroni che, però, non ha nulla a che fare con il sacramento della penitenza. D’altronde non si può fare diversamente. Si occupano gli spazi rimasti liberi. Ma sono spazi che non sono stati concepiti per confessare.

Il non-spazio del sacramento della penitenza è, forse, l’ultimo atto di una deriva di questo sacramento, sempre meno praticato dai fedeli e sempre meno considerato dalla stessa liturgia e dai preti che ne sono i “ministri” e quindi i primi responsabili. Il rito della confessione ha perso la sua identità liturgica: senza spazio, senza gesti specifici e riconoscibili. Siamo arrivati, ormai a una fase in cui è stata tolta al sacramento della confessione ogni tipo di identità liturgica. Già da tempo, si confessa in chiesa o in casa, si confessa in maniche di camicia o – molto raramente – con un paramento liturgico. D’altra parte, quale è il paramento liturgico “adeguato” per questo sacramento? Non si sa. Da qualche parte deve essere scritto. Ma non si sa che è scritto e non si sa che cosa è scritto. Ma poi, soprattutto, il saluto iniziale, la lettura della Parola di Dio, l’imposizione delle mani, il saluto finale, tutti momenti del rito, questi sì scritti, comandati e prescritti: se ne fanno solo alcuni e solo da parte di qualcuno.

Il confessionale abbandonato. Adesso siamo arrivati al capitolo successivo. Fino a prima del Covid, in diverse parrocchie, si usava l’antico, glorioso confessionale. Che non era gran che come spazio liturgico, ma c’era. Quando si vedeva una persona sull’inginocchiatoio si sapeva che lì, in quel momento, stava avvenendo quel particolare evento: ci si stava confessando. Il vecchio “confessionale” è diventato un mobile vuoto. E’ arrivato il Covid e, per ordine dei medici e per obbedienza nostra, si è abbandonato il confessionale. Adesso che la pandemia è stata dichiarata conclusa, adesso che abbiamo abbandonato la mascherina, che abbiamo ripreso a fare la comunione come prima, non abbiamo, però, ripreso a usare il vecchio confessionale. Il quale resta lì, mestamente, in fondo alla chiesa, a testimoniare soltanto che non serve più.

                In tutte le chiese esistono altari dedicati alla Madonna, ai santi, cappelle speciali… Tutte devozioni sante e belle, ma devozioni o “sacramentali”, come spesso vengono chiamate. Ma non sono sacramenti. Non c’è, invece, uno spazio specifico per un rito che è uno dei sette riti fondamentali della Chiesa cattolica: il sacramento della penitenza.

Un sacramento diventato colloquio privato. E’ successo, dunque, che si è progressivamente tolto al sacramento del perdono molti dei suoi tratti liturgici e lo si è ridotto a un colloquio privato. Ora, una liturgia, qualsiasi liturgia, o si vede o non è (o è come se non ci fosse). La penitenza, privata anche da quel residuo di spazio suo, il confessionale, non si vede più e quindi non c’è più o è come se non ci fosse.

                Eppure qualcuno si confessa ancora. E, spesso, bene. Andrebbe trattato meglio.

P. S. Da ricordare quelle parrocchie in cui è stata approntata una “penitenzieria”, una stanza o alcune stanze, adeguatamente attrezzate, per una dignitosa celebrazione del rito del sacramento. Ma sono poche e anch’esse, causa pandemia, poco usate. Da ricordare soprattutto quei – pochi – fedeli che ci credono ancora e che si confessano per lo più molto bene. Ma sono pochi anch’essi. E, anche per questo, avrebbero diritto a un migliore, più dignitoso trattamento.

Alberto Carrara , presbitero in pensione

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