UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
News UCIPEM n. 965 – 4 giugno 2023
UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI
“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.
Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone
Carta dell’U.C.I.P.E.M.
Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto
1. Fondamenti antropologici
1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia
1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.
1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.
Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica
O2 ABUSI Bolivia: la pedofilia clericale è ormai un affare di stato
04 AUTOTERAPIA Uscire dalla sofferenza mentale. Un libro sull'”autoterapia guidata”
CISF Centro Internazionale Studi Famiglia – Newsletter CISF – n.21 , 31 maggio 2023
07 Conferenza Episcopale Italiana I vescovi italiani hanno un’agenda sociale: casa, lavoro, pace, immigrazione
09 DALLA NAVATA Santissima Trinità – Anno A
09 COMMENTO Riflessione di una biblista
10 ECUMENISMO Anglicani e cattolici studiano: come si discerne il giusto insegnamento etico?
11 FRANCESCO VESCOVO ROMA Papa Francesco presenta il metodo missionario di Matteo Ricci
12 Family Global Compact/ La rete di Papa Francesco per difendere la famiglia
13 HUMANÆ VITÆ Indietro tutta: per il Vaticano, la pillola contraccettiva rimane male assoluto
14 “Humanæ Vitæ”, sessualità e procreazione: lo spiraglio di Zuppi e Paglia
16 OMOFILIA Omotransfobia: un prete palermitano apre ai matrimoni gay
17 PROFETI Papa Giovanni, nel nome del Vangelo
18 RIFLESSIONI La menzogna e la fiducia
19 SACRAMENTI Matrimonio senza cresima e battesimo senza consenso?
ABUSI
Bolivia: la pedofilia clericale è ormai un affare di stato
Sta assumendo proporzioni sempre più gravi il caso degli abusi sessuali perpetrati in Bolivia da preti gesuiti, tanto da essere diventata una questione che investe il governo del Paese andino, e da aver provocato manifestazioni di protesta nelle strade di diverse città. A Santa Cruz, Sucre, Cochabamba e La Paz, numerosi manifestanti si sono radunati davanti a seminari, chiese e altre istituzioni ecclesiastiche, esprimendo indignazione per la risposta inadeguata delle gerarchie religiose nei confronti della pedofilia e chiedendo giustizia e maggiore protezione per i minori.
“Padre Pica” e i suoi confratelli. Qualche settimana fa è emerso il caso, sollevato dal quotidiano spagnolo El País, del sacerdote, defunto nel 2009, Alfonso Pedrajas, noto come “padre Pica” nel cui diario – ritrovato casualmente da un nipote – ammetteva di aver abusato sessualmente di almeno 85 minori nei collegi cattolici negli anni ‘70 e ‘80.
In seguito, il procuratore generale Juan Lanchipa ha reso noto di aver ricevuto otto denunce di casi di pedofilia clericale in quattro diversi dipartimenti del Paese; il 19 maggio, le rivelazioni sul prete gesuita spagnolo Jorge Vila Despujol, morto a Barcellona nel 2012, accusato di abuso sessuale da una persona, che all’epoca aveva 13 anni: lo hanno dichiarato gli stessi gesuiti in una nota. L’abuso sarebbe avvenuto in un istituto scolastico nella regione centrale di Cochabamba. Vila Despujol aveva fondato in Bolivia l’organizzazione Defence of Children International, che promuove i diritti dei minori. L’organizzazione, ancora attiva, ha condannato ogni forma di abuso in un comunicato in cui ha sollecitato anche altre vittime a sporgere denuncia presso la Procura della Repubblica.
E non finisce qui: un parroco carmelitano, Milton Murillo, è stato mandato in custodia cautelare per tre mesi all’inizio di questo mese; l’ufficio del pubblico ministero ha dichiarato di aver formalmente accusato un altro sacerdote, Garvin Grech, di aver coperto i presunti crimini di Murillo. Grech è fuggito nella vicina Argentina, secondo la polizia. In totale, l’operazione della Procura avrebbe coinvolto circa 23 sacerdoti, implicati in presunti casi di pedofilia.
La Compagnia di Gesù in Bolivia ha chiesto scusa alle vittime impegnandosi a supportare le indagini e denunciando i superiori di Pedrajas per un presunto insabbiamento, ma molte delle persone responsabili individuate non sono più in carica o sono morte. Il 22 maggio lo scandalo ha portato in Bolivia – su richiesta dei vescovi del Paese – Jordi Bertemeu Farnós, officiale del Dicastero per la Dottrina della Fede, uno dei massimi esperti vaticani di crimini sessuali che già nel 2018 venne inviato insieme a mons. Charles Scicluna in Cile, nel contesto dello scandalo degli abusi sessuali del clero là avvenuti, e ancora prima aveva preso parte all’inchiesta su p. Marcial Maciel nei Legionari di Cristo in Messico. Dal canto suo, la Conferenza episcopale del Paese ha annunciato, in un comunicato letto pubblicamente dal segretario generale mons. Giovani Arana, il 25 maggio, la creazione di due commissioni nazionali d’inchiesta, una per ascoltare le vittime e una per determinare le responsabilità. Nel comunicato, i vescovi hanno anche riconosciuto di essere stati «sordi alle sofferenze» delle vittime di abusi sessuali commessi da sacerdoti e si sono impegnati a «cercare riparazione per le vittime».
Il provinciale dei gesuiti in Bolivia, p. Bernardo Mercado, ha ammesso che l’ordine religioso ha commesso errori nella gestione dei casi, e ha incoraggiato i suoi confratelli a continuare a collaborare con le forze dell’ordine. Dopo la rimozione di otto religiosi che hanno in qualche modo favorito l’insabbiamento dei casi, in una recente intervista con EWTN News, Mercado ha dichiarato che in passato l’ordine aveva condotto indagini interne, ma che i casi rilevati non erano stati segnalati tempestivamente al sistema giudiziario: «Penso che sia un primo errore procedurale che dobbiamo riconoscere», ha detto, «ma non sapevamo come gestirlo». In ogni caso, ha rimarcato, l’abuso perpetrato dai membri della sua congregazione «non è un errore, come direbbero alcuni, non è una colpa, non è un peccato, è un crimine».
Le vittime contestano il disegno di legge. Le vittime di pedofilia nelle scuole dei gesuiti in Bolivia non sono rimaste in silenzio: hanno criticato il fatto che il governo non si sia preso la briga di consultarle né per quanto riguarda il disegno di una legge – proposto dal presidente boliviano Luis Arce – finalizzata a eliminare i termini di prescrizione per i reati di pedofilia, né sulla creazione di una commissione per la verità per indagare su casi specifici: «Ai politici non importa di noi. A loro non importa delle vittime. Vogliono approvare una commissione per la verità che hanno ideato senza il parere di specialisti del settore o di associazioni di vittime. È composto solo da politici… vogliono approvare rapidamente il disegno di legge per porre fine a questo problema», ha affermato Edwin Alvarado, portavoce dell’associazione degli ex studenti della scuola Juan XXIII di Cochabamba, l’epicentro dello scandalo. I sopravvissuti contestano l’ambiguità del disegno di legge, preparato in modo affrettato e senza contributo di esperti che, tra le altre cose, propone l’eliminazione del reato di stupro perpetrato da un adulto che ottenga rapporti sessuali con un minore di età compresa tra 14 e 16 anni attraverso la seduzione o l’inganno: «Non lo capiamo. L’obiettivo dovrebbe fermare l’impunità per gli abusi, e lo stupro è uno di questi. Sembra che molti politici possano trarre vantaggio dall’eliminazione di questi crimini», afferma Alvarado. L’associazione ha preparato un testo con una dozzina di emendamenti da presentare all’Assemblea Legislativa Plurinazionale, a La Paz (ne parla diffusamente El País) che parte dalla ricomposizione della commissione per la verità (che attualmente prevede solo il coinvolgimento di dipendenti del governo): le vittime chiedono che nella commissione entrino, oltre a rappresentanti politici trasversali ai partiti, anche rappresentanti delle organizzazioni di vittime, di organismi di tutela dei diritti umani e almeno due specialisti indipendenti – un uomo e una donna – eletti dai due terzi del parlamento. Nessun membro dell’esecutivo, di alcun ministero o dell’ufficio del difensore civico dovrebbe far parte della commissione, «per evitare la politicizzazione di una questione così delicata», e nemmeno nessuna istituzione religiosa legata agli aggressori e agli insabbiatori. Viene richiesto poi il riconoscimento dell’abuso di potere o di coscienza come aggravante, e un inasprimento delle pene per chi copre reati di pedofilia. La nuova legge deve inoltre confermare «che nessuna istituzione religiosa è al di sopra delle leggi nazionali, soprattutto considerando che il Concordato del 1851 (un accordo tra la regina spagnola Isabella II e il Vaticano) non è approvato da alcuna legge in Bolivia ed è, quindi, invalido».
Condivide questa visione Ending Clergy Abuse (ECA), l’organizzazione globale di difesa delle vittime della pedofilia nella Chiesa presente in 17 Paesi. La proposta attuale, afferma ECA, «non è coerente con gli standard riconosciuti a livello internazionale per la formazione di commissioni per la verità, come quelle che sono già state istituite in paesi come l’Irlanda», e deve integrare «il lavoro delle vittime e delle organizzazioni per i diritti umani», unica via per «garantire la giustizia in modo indipendente e imparziale». Il dito è stato puntato contro il ministro della Giustizia Iván Lima, candidato a far parte della Commissione, che in un’intervista, senza il supporto di dati, ha astrattamente difeso la Chiesa affermando che, tra il 1950 e il 2021, il 99,7% dei sacerdoti non ha abusato sessualmente di minori, e ha sostenuto che il numero di vittime che lo stesso Pedrajas ha ammesso nel suo diario (circa 85) «sembra eccessivo». Tali affermazioni, dichiara ECA, rappresentano una rivittimizzazione delle persone colpite e mettono in discussione “mettano in discussione «l’imparzialità della commissione per la verità, facendo perdere legittimità allo sforzo altamente encomiabile del governo boliviano».
La lettera del presidente Arce La portata dello scandalo ha condotto il 22 maggio scorso il presidente boliviano Arce a scrivere direttamente a papa Francesco per chiedere il pieno accesso «a tutti i documenti e alle informazioni riguardanti le denunce e le storie di abusi sessuali commessi da preti e religiosi cattolici in territorio boliviano». Non solo: la Bolivia «si riserverà il diritto di ammettere nuovi sacerdoti, e religiosi stranieri che hanno una storia di abusi sessuali contro minori», nel frattempo procede alla revisione degli accordi e delle convenzioni in vigore, e conclude la negoziazione dell’Accordo tra lo stato plurinazionale della Bolivia e la santa Sede». La pedofilia, aggiunge, non ha a che fare con «errori o deviazioni di condotta, ma crimini che resteranno per tutta la vita in quelle bambine e in quei bambini».
Ludovico Eugenio Adista 02 giugno 2023
www.adista.it/articolo/70097
AUTOTERAPIA
Uscire dalla sofferenza mentale. Un libro sull'”autoterapia guidata”
Testo eccentrico rispetto ai temi più caratteristici dell’informazione di Adista. Ma non privo di interesse per il pubblico della nostra agenzia. Non solo per l’autore,
Giovanni Andrea Fava, (α1952), psichiatra e psicoterapeuta – oltre che docente universitario, che da anni coniuga ricerca teorica e pratica clinica da anni –, animatore del gruppo degli “amici” del teologo Ortensio da Spinetoli, membro delle Comunità Cristiane di Base e della sezione italiana di Noi Siamo Chiesa; ma anche per il tema che Fava affronta, quello della sofferenza psichica.
Nel libro appena pubblicato “Uscire dalla sofferenza mentale. Storie di cure e di autoterapia”, (Tab edizioni, Roma 2022, pp. 104), Fava raccoglie le ‘puntate’ della rubrica “Favas Feder” (ossia “La penna di Fava”) da lui curata per la rivista tedesca Arztliche Psychotherapie. Wulf Bertram, psichiatra tedesco ed editore a Stoccarda, gli aveva anni fa suggerito di pubblicare una rubrica in una rivista specialistica. Fava scriveva i testi in italiano e poi è lo stesso Wulf Bertram li traduceva in tedesco. Da una raccolta ragionata di questa rubrica è scaturito il libro, composto di 21 capitoli, che mette insieme diversi casi clinici (del resto, da Freud in poi la letteratura psichiatrica è spesso soprattutto il racconto e la riflessione sui casi clinici), corredati da 3 capitoli che contengono alcune considerazioni sulla esperienza clinica di Fava, su come devono essere condotte le sedute terapeutiche e sull’importanza di porre al centro di esse la relazione terapeutica, nella quale il paziente più che l’oggetto dello studio clinico del terapeuta è parte attiva della terapia.
La psicoterapia quindi vista nella prospettiva di un’autoterapia guidata, sulla scia della well-being therapy (“terapia per il benessere psicologico”) di cui Fava è stato il pioniere. «Nella mia attività clinica – scrive Fava – mi trovo molto spesso a valutare pazienti che hanno avuto una mancata risposta a trattamenti farmacologici e/o psicoterapici. Nel corso degli anni (e c’è voluto davvero molto tempo) ho imparato a tenere conto dell’insieme di questi fattori. Prima di concludere che un certo trattamento non funziona in quel paziente, cerco di esaminarne il contesto, con particolare attenzione a fattori contro-terapeutici». Così, quando Fava prescrive un farmaco a un paziente, aggiunge sempre alla ricetta con le indicazioni farmacologiche una seconda ricetta dove vengono date indicazioni di autoterapia. «Spiego che la prima ricetta può contribuire, nella migliore delle ipotesi, al 50% dell’esito (così facendo riassumo i dati scientifici reali rispetto all’efficacia dei farmaci). “La seconda ricetta”, spiego, “fornisce l’altro 50%: è quello che lei può fare per aiutare il processo di miglioramento”. Do delle indicazioni molto semplici relative allo stile di vita e cerco soprattutto di fare in modo che il paziente assuma un ruolo attivo nella propria terapia e non rimanga in casa ad aspettare che il farmaco faccia effetto. “Il farmaco per lei è una stampella che può aiutarla a compiere cose di cui altrimenti adesso non sarebbe capace. Se lei non ci prova (ad esempio, affrontando situazioni fobiche), il farmaco non serve a nulla, è come una stampella tenuta in un angolo”».
Stessa cosa può accadere quando una psicoterapia viene standardizzata o eccessivamente “contrattualizzata” (un certo numero di sedute, articolate in tappe, obiettivi da conseguire, ecc.) che rischia di produrre un fenomeno che è stato definito quello della “delusione delle aspettative”, secondo cui il paziente al termine della terapia regredisce a un livello inferiore a quello con cui l’aveva iniziata. La psicoterapia è piuttosto, nella prospettiva di Fava, una autoterapia guidata, «che si basa primariamente sulla capacità dello psicoterapeuta di mobilizzare le capacità interne di guarigione attraverso modalità psicologiche. Il compito del terapeuta non è quello di trasmettere qualcosa al paziente, ma, piuttosto, mediante il rapporto speciale che si instaura, e attraverso la propria esperienza, quello di indicare la strada, aiutare a superare le difficoltà che si possono incontrare, e infondere la forza e la fiducia che sono necessarie per percorrerla».
Valerio Gigante Adista notizie 3 giugno 2023
www.adista.it/articolo/70073
CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia
Newsletter CISF – N. 21, 31 maggio 2023
Ж Il bello di avere dei fratelli. Provate a fare una ricerca per argomento: sono diverse le TED Conference disponibili in rete che affrontano il tema dei fratelli, in particolare rispetto al grande potenziale di sviluppo ed emotivo rappresentato dalla possibilità di crescere con un pari, e persino sulle differenze caratteriali che sorgono dall’ordine di nascita. Vi proponiamo un video recentissimo, realizzato in una scuola, in cui una studentessa, Nishika Bhashkar, spiega in modo divertente e profondo la forza del legame con suo fratello [YouTube – 5 min.]
www.youtube.com/watch?v=6h6i0CIzILc
Ж Ricerca e pastorale insieme per una cultura della famiglia. È stato presentato alla stampa il Family Global Compact [https://familyglobalcompact.org], un programma condiviso di azioni volto a mettere in dialogo la pastorale familiare con i centri di studio e ricerca sulla famiglia presenti nelle Università cattoliche di tutto il mondo. Si tratta di un’iniziativa del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e della Pontificia Accademia per le Scienze Sociali, nata a partire da studi e ricerche sulla rilevanza culturale e antropologica della famiglia e sulle nuove sfide che essa si trova a fronteggiare. È un enorme risultato anche per il CISF, che ha contribuito alla costruzione del Family Global Compact attraverso una lunga ricerca sul campo per interpellare i Centri di ricerca dedicati alla famiglia nelle varie Università Cattoliche presenti nel mondo. A questo link il messaggio di Papa Francesco a sostegno del Family Global Compact. (30 maggio 2023).
www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2023/documents/20230513-messaggio-family-globalcompact.html
Ж La nuova normalità post covid 19. È il titolo della presentazione che si terrà presso l’Università Cattolica il prossimo 6 giugno (ore 14.30-17.30), con al centro il volume a cura di Camillo Regalia e Margherita Lanz, “La famiglia di fronte alla sfida del Covid-19. La costruzione di una nuova normalità” (Studi interdisciplinari sulla famiglia 33, Vita e Pensiero, Milano). Da marzo 2020 si sono succeduti eventi imprevedibili, caratterizzati da forte stress, che hanno costretto famiglie, servizi e politica a trovare soluzioni a inaspettate emergenze e nuovi bi-sogni: che cosa si è trasformato, che cosa è stato generato? Sono alcune domande su cui i relatori, tra cui il direttore Cisf, Francesco Belletti, cercheranno di fornire piste di riflessione [qui per info – anche online]
La_nuova_normalita_post_Covid_19_6_giugno_2023.01.pdf
Ж Benin: dibattito sull’exploit demografico. A inizio maggio il governo del Benin ha annunciato di voler organizzare (per settembre) una tavola rotonda sul rapido aumento della popolazione (il Benin è tra le prime 10 nazioni al mondo con il più alto tasso di fertilità, con 5,1 figli per donna). Si stima che la popolazione sia cresciuta del 176% tra il 1979 e il 2013, passando da 3,3 milioni di persone a oltre 10 milioni: dati che interrogano il governo beninese, il quale però finora non ha parlato di “controllo delle nascite”, preferendo declinare il concetto di “procreazione responsabile” e “paternità responsabile”. Il dibattito è apertissimo
www.voaafrique.com/a/b%C3%A9nin-la-croissance-d%C3%A9mographique-suscite-la-controverse/7105555.htm
la valutazione fatta dal governo sull’esplosione demografica divide le opinioni, con molti osservatori che indicano che il numero dei beninesi, stimato in 13 milioni nel 2021 distribuiti su una superficie di 112.600 chilometri quadrati, non sia un ostacolo allo sviluppo: il Rwanda, ad esempio, ha lo stesso numero di abitanti su una superficie quattro volte inferiore.
Ж Mense scolastiche: ecco quanto costano. È stata pubblicata la VI Indagine di Cittadinanzattiva dedicata alle tariffe delle mense scolastiche in Italia: sono state prese in esame le tariffe di tutti i 110 capoluoghi di provincia sia per la scuola dell’infanzia che per la primaria (effettuando la rilevazione su una famiglia di riferimento composta da tre persone – due genitori e un figlio minore – con reddito lordo annuo di € 44.200, e corrispondente ISEE di € 19.900). È emerso che il costo medio mensile, a livello nazionale, è di 82 euro, circa 4 euro a pasto. L’Indagine completa, con i dati completi su singole Regioni e capoluoghi di provincia, è disponibile a questo link. La stessa fornisce un quadro anche sui 908 interventi previsti dal PNRR sulle mense, con l’indicazione dei Comuni in cui saranno realizzate, tipologia di progetto e relativo finanziamento.
www.cittadinanzattiva.it/notizie/15761-vi-indagine-sulle-mense-scolastiche-i-costi-medi-a-famiglia-nellanno-in-corso-focus-sul-pnrr.html
Ж Assegno unico: messaggio INPS sui conguagli. La normativa sull’Assegno Unico ha previsto che l’Inps operi un conguaglio alla fine dell’anno di riferimento (che decorre dal mese di marzo di ciascun anno fino al mese di febbraio dell’anno successivo). Con il messaggio 26 maggio 2023, n. 1947 l’INPS comunica di aver avviato la rielaborazione di tutte le competenze mensili proprio a partire dalla mensilità di marzo 2022, attraverso il ricalcolo degli importi effettivamente dovuti e il calcolo delle differenze, sia in positivo che in negativo, con gli importi già liquidati.
www.inps.it/it/it/inps-comunica/atti/circolari-messaggi-e-normativa/dettaglio.circolari-e-messaggi.2023.05.messaggio-numero-1947-del-26-05-2023_14166.html
Ж Progetto 4e parent: essere padri, prendersi cura. Papà che si prendono cura dei propri figli e figlie e lo fanno fin dai primi momenti dalla nascita, in maniera concreta ed empatica: sono i cardini del progetto europeo 4E-PARENT. Le quattro “E” riepilogano i presupposti del progetto: Early, per la partecipazione da subito, Equal a indicare un approccio paritario ed equo, Engaged che richiama la partecipazione attiva e Empathetic per la valenza empatica, accudente e responsiva. Il progetto, che si avvale di un finanziamento europeo, vede l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) capofila e la partecipazione di diversi enti partner.
www.youtube.com/watch?v=-nqAkT9kTig&t=1s
Il sito del progetto è davvero ricco di informazioni e spunti di approfondimento.
Ж Dalle case editrici
- Matteo, “Tutti giovani, nessun giovane. Le attese disattese della prima generazione incredula“, Piemme, Milano, 2017, pp. 204.
- A. De Rosa (a cura di), “Sposi, re nell’amore. Tessitori di comunione“, Tau Editrice , Todi, 2023, pp. 244.
- Tonino Cantelmi, Paola Polidoro, Online Love. L’amore ai tempi dei social. Un manuale di sopravvivenza, San Paolo, Milano 2023, pp. 174.
Era il 1977 e Roland Barthes infilava, come perle in una collana, le parole dell’amore: cuore, abbraccio, notte, piangere… Sono passati quasi cinquant’anni e il “discorso amoroso” è passato dall’analogico al digitale: le relazioni viaggiano in rete, e tutte le dinamiche delle storie d’amore (dal corteggiamento all’incontro, dall’intimità alla rottura) sono pervase dalla dimensione virtuale.
Come è cambiato, allora, l’amore ai tempi dei social? È la domanda, proposta quasi come un’investigazione, che Tonino Cantelmi e Paola Polidoro rivolgono alla nostra contemporaneità (…) (B. Ve.)
Ж Save the date
- Seminario (Milano) – 8 giugno 2023 (14.30-18.30). “L’assistente sociale nei servizi per anziani e per anziani con demenza“, organizzato dall’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia in collaborazione con il Cisf www.ordineaslombardia.it/formazione-continua/tutti-i-corsi/iniziative-formative-del-croas
- Webinar (Usa-Web) – 8 giugno 2023 (13-14 GMT -4). “BCCWF Annual Father’s Day Event. Prof. Brad Harrington will lead a discussion of fatherhood in today’s workplace“, a cura del Boston College
- Seminario (Milano) – 20 giugno 2023 (11-13). “La protezione della vita privata e familiare: sessualità, riproduzione e violenza“, organizzato dal Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano [qui per info]
www.sps.unimi.it/ecm/home/aggiornamenti-e-archivi/tutte-le-notizie/content/la-protezione-della-vita-privata-e-familiare-sessualita-riproduzione-e-violenza.0000.UNIMIDIRE-104872
Iscrizione http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx
Conferenza Episcopale Italiana
Sorpresa, i vescovi italiani hanno un’agenda sociale: casa, lavoro, pace, immigrazione le priorità
Si è tenuta dal 23 al 25 maggio la 77esima assemblea generale della Cei tenutasi come da tradizione nell’aula del sinodo in Vaticano. Location particolarmente azzeccata in quest’occasione se si considera che fra i temi portanti dell’incontro fra i vescovi, c’era proprio l’andamento del cammino sinodale della Chiesa italiana che, fra lentezze, resistenze e qualche passo avanti, sta prendendo il largo.
I lavori dell’assise di quest’anno, non a caso, sono stati caratterizzati da due momenti di dialogo con papa Francesco, uno all’inizio dei lavori a porte chiuse, l’altro alla fine al quale erano presenti anche i referenti diocesani per il sinodo di cui invece è stato reso noto l’intervento del pontefice. Nel mezzo, oltre al dibattito, la relazione introduttiva del card. Matteo Zuppi, poi la messa celebrata dallo stesso presidente della Cei. Oltre ai temi interni alla vita della Chiesa, sono state diverse le questioni toccate legate all’attualità politica e sociale italiana e internazionale.
Famiglie senza casa e lavoro. La questione della denatalità, per esempio, è stata affrontata da Zuppi sulla falsariga di quanto aveva fatto Francesco in occasione degli Stati generali della natalità, ovvero sollevando i problemi derivanti dalla difficoltà per i giovani a trovare un lavoro stabile e una giusta retribuzione e l’assenza di un piano per lo sviluppo dell’edilizia popolare; in pratica – era il ragionamento del cardinale – senza l’accesso a un’abitazione dal costo sostenibile e un’occupazione che non sia precaria o sottopagata, come si può pretendere che le giovani coppie costruiscano una famiglia e facciano dei figli? Con quali prospettive di vita?
L’arcivescovo di Bologna è tornato poi, sia sul piano della crisi demografica, sia su quello della necessità di coltivare una società in cui i valori dell’accoglienza e della solidarietà siano parte integrante del nostro vivere civile, sul tema delle migrazioni. Zuppi, aprendo i lavori dell’assise, ha ricordato che la crisi della natalità si affronta anche aprendo le porte a chi arriva nel nostro Paese favorendo i processi di integrazione.
Nel comunicato finale dell’assemblea della Cei, si legge inoltre: «la solidarietà deve essere manifestata pure verso i migranti provenienti da tutte le rotte, compresa quella balcanica, per i quali si chiedono accoglienza, protezione, promozione e integrazione insieme a tutele sia sul piano della cittadinanza sia del lavoro, volte ad assicurare, tra l’altro, l’accesso alle scuole ai bambini e ad evitare forme di caporalato».
Rilevante anche il tema della legalità e della lotta alla mafia affrontato durante la discussione, in questo caso sono stati ricordati i «tanti testimoni – Falcone, don Puglisi, don Diana – che sono stati uccisi per aver combattuto le mafie con coraggio e determinazione. Per questo, è importante continuare a operare per la liberazione dal male ed essere nel cuore dello slancio dell’Italia verso il futuro».
L’impegno per la pace. Ancora, un capitolo importante dell’assemblea è stato quello dedicato alla guerra in Ucraina, soprattutto dopo la nomina, da parte del papa, del card. Zuppi quale sua inviato speciale per la pace nel conflitto in corso. Il presidente della Cei ha chiarito con i giornalisti che la sua missione avviene in piena sintonia con la Segreteria di Stato. «Non è strano – ha detto Zuppi –, sarebbe strano il contrario, come altre esperienze formali e informali del passato». «La guerra è una pandemia. Ci coinvolge tutti. La Chiesa e i cristiani credono nella pace – aveva affermato li cardinale nella relazione d’apertura dei lavori –, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti».
Ai vescovi è poi giunto il messaggio di sua beatitudine Sviatoslav Shevchuk,(α1970)
arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica, con un ringraziamento alla comunità ecclesiale italiana per l’accoglienza dei profughi ucraini e per il sostegno nel far fronte all’emergenza causata dal conflitto, così come per gli aiuti concreti che hanno permesso, da un lato, di salvare tante vite umane e, dall’altro, di supportare la popolazione che sperimenta una grave crisi umanitaria. Al contempo Shevchuk ha invitato una delegazione della Cei «a visitare il nostro Paese e vedere con i propri occhi la tragedia della guerra in corso per condividere il nostro dolore. Per noi – ha aggiunto – sarebbe un grande gesto di solidarietà e di vicinanza della Chiesa italiana».
Abusi, la Cei contro il giustizialismo. Anche il tema degli abusi sessuali e dell’impegno della Chiesa per farvi fronte, è entrato nel dibattito svoltosi fra i vescovi. Il capo della Cei, nel corso della conferenza stampa conclusiva ha affermato: «La giustizia è una cosa molto seria: non c’è bisogno di giustizialismo. Invocare il giustizialismo è sempre pericoloso per la giustizia. È la nostra preoccupazione e il nostro interesse collaborare». «Far propria la sofferenza delle vittime, lo scandalo, è nostro interesse», ha spiegato il cardinale a proposito del caso emerso a Tivoli: «Mi auguro che non ci sia bisogno di colpire qualcuno». Il riferimento era al caso dell’ex responsabile nazionale dell’Azione Cattolica Ragazzi dal 2005 al 2011, Mirko Campoli, 46enne ex professore di religione, diocesi di Tivoli, accusato di aver abusato di almeno 4 minori; peraltro è sorto un certo contenzioso fra la procura di Tivoli e la diocesi: secondo i magistrati il vescovo, mons. Mauro Parmeggiani, avrebbe tenuto nascosta la situazione di Campoli di cui era a conoscenza fino al marzo di quest’anno; ma è stata la stessa Chiesa della cittadina laziale a rispondere sostenendo di aver avvisato del caso di cui si era venuti a conoscenza le forze di pubblica sicurezza fin dal maggio del 2019. Di certo, in ogni caso, non era stata avvertita la popolazione né l’opinione pubblica. «La Chiesa di Tivoli e tutta la Chiesa italiana ha rispetto per la giustizia, ma non possiamo accettare l’accusa di atteggiamento omertoso», ha precisato nel merito della questione il card. Zuppi.
Prassi antipedofilia. Mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, ha osservato: «È un tema che ci preoccupa e ci addolora». Quindi ha fatto sapere che nelle diocesi, ma anche nelle associazioni, a cominciare dall’Azione Cattolica, si stanno mettendo in atto specifiche «prassi, protocolli e linee guida» sugli abusi, in accordo con quelle elaborate a livello nazionale: «la maggior parte sono state consegnate anche al Dicastero per i laici». «Naturalmente la vigilanza non è mai sufficiente, e anche un solo caso di abuso è motivo per un’azione più serrata», ha aggiunto il vescovo. Quanto all’obbligo di denuncia, Baturi ha fatto notare che in Italia «non esiste un obbligo giuridico, ma i vescovi già nel 2019 hanno parlato di obbligo morale, a cui ci atteniamo, e di collaborazione con le autorità statali». Tutto ciò, ha spiegato, «con alcuni vincoli: la verifica che l’accusa sia fondata, dopo l’indagine previa; che la denuncia non incontri l’opposizione del minore; che non sia in gioco la salute del minore per un rischio imminente». Dopo il primo Report nazionale sugli abusi, ha ricordato inoltre il segretario generale della Cei, durante l’assemblea straordinaria dei vescovi in programma ad Assisi dal 13 al 16 novembre verrà diffuso il secondo Report, stilato anche grazie alla collaborazione di enti di ricerca qualificati, come l’Istituto Innocenti di Firenze e il Centro di ricerca di vittimologia dell’Università di Bologna.
Accogliere tutti, peccatori e scomunicati. Infine, importante il richiamo del papa alla Chiesa italiana, partendo dal cammino sinodale, Francesco ha rivolto a vescovi e delegati sinodali diocesani, un forte invito ad aprire le porte della Chiesa a tutti, superando paure e clericalismo. «Riscoprirsi corresponsabili nella Chiesa – ha detto Francesco – non equivale a mettere in atto logiche mondane di distribuzione dei poteri, ma significa coltivare il desiderio di riconoscere l’altro nella ricchezza dei suoi carismi e della sua singolarità». Quindi Francesco ha aggiunto: «Così, possono trovare posto quanti ancora faticano a vedere riconosciuta la loro presenza nella Chiesa, quanti non hanno voce, coloro le cui voci sono coperte se non zittite o ignorate, coloro che si sentono inadeguati, magari perché hanno percorsi di vita difficili o complessi. A volte sono “scomunicati” a priori». Tuttavia, ha detto Francesco, «ricordiamocelo: la Chiesa deve lasciar trasparire il cuore di Dio: un cuore aperto a tutti e per tutti. Non dimentichiamo per favore la parabola di Gesù della festa di nozze fallita, quando quel signore, non essendo venuti gli invitati, cosa dice? “Andate agli incroci delle strade e chiamate tutti”. Tutti: malati, non malati, giusti, peccatori, tutti, tutti dentro». «Dovremmo domandarci – ha insistito il papa – quanto facciamo spazio e quanto ascoltiamo realmente nelle nostre comunità le voci dei giovani, delle donne, dei poveri, di coloro che sono delusi, di chi nella vita è stato ferito ed è arrabbiato con la Chiesa. Fino a quando la loro presenza resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale, la Chiesa non sarà sinodale, sarà una Chiesa di pochi. Ricordate questo, chiamate tutti: giusti, peccatori, sani, malati, tutti, tutti, tutti».
Francesco Peloso Adista 29 maggio 2023
www.adista.it/articolo/70067
DALLA NAVATA
Santissima Trinità Anno A
Esodo 34, 08. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia 1ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».
Salmo responsoriale 03,56. Benedetto sei tu nel firmamento del cielo.
Paolo 2Corinzi 13, 11. La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.
Giovanni 03.Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Invisibilia Dei
Un grande teologo, Jean Galot, scomparso 15 anni fa dopo una vita trascorsa nello studio e nell’insegnamento della teologia presso la Pontificia università gregoriana, soleva fare questa constatazione con i suoi studenti: «C’è una festa per il Figlio, la festa dell’incarnazione (il Natale), c’è una festa per lo Spirito (la Pentecoste), ma non c’è una festa per il Padre!»
Queste parole mi hanno sempre colpito, e dovendo parlare della festa della Trinità mi ritornano di nuovo in mente: perché non c’è una festa per il Padre? Premetto subito che a questa domanda non ho trovato ancora una risposta, forse perché pensare a una «festa per il Padre» significherebbe in qualche modo racchiudere la sua opera in un evento, in una manifestazione, in una definizione. D’altra parte, se del Figlio possiamo festeggiare l’incarnazione, fare memoria della sua passione, morte e risurrezione, e dello Spirito possiamo gioire per il suo essere stato donato a tutti coloro che lo accolgono, è proprio perché c’è un Padre che di tutto questo è sorgente, inizio e fine.
C’è un luogo, nella terra d’Israele, che bene esprime questa immagine. Si tratta di Banias, dove vi è una delle sorgenti del Giordano, luogo che nei vangeli compare con il nome di Cesarea di Filippo. A Banias la sorgente è nascosta in una grotta, non è di per sé visibile, ma appena fuori si può godere della frescura dell’acqua che scorre formando delle vasche; se si segue il flusso del torrente, inoltrandosi nella foresta che vi è accanto, ci si imbatte in una bella e fragorosa cascata, dove l’acqua spruzza da ogni parte ed esprime la sua forza e vitalità. Chi visita il posto può vedere l’acqua che scorre, ammirare la bellezza della cascata, ma, riflettendo, comprendere che dietro a tutto questo c’è una sorgente che non si vede, da cui tutto ha inizio e a cui tutto è correlato.
La nostra capacità di vedere, di comprendere, di sperimentare è all’interno del movimento di quell’acqua da cui veniamo ristorati, rigenerati, «bagnati». Ed è solo quell’acqua la possibilità per noi di essere in relazione con la sua sorgente, che proprio attraverso il fluire di «quell’acqua» ci raggiunge, ci rinfresca, ci dona vita. Il mistero della Trinità è un po’ tutto questo, non si può definirla in sé, ma ne possiamo cogliere gli effetti, possiamo tracciare la sua azione di salvezza e scoprirci immersi in essa. Abbeverandoci alla sua «acqua» possiamo diventare «figli nel Figlio» (Rm 8,29), ricevere una pienezza di vita che va al di là della nostra finitezza, scoprirci parte di un universo infinito, essere inondati di un amore immenso. In questo senso, forse, si comprende perché non c’è una festa del Padre. Una tale festa, infatti, abbraccerebbe ogni tempo, ogni giorno, ogni momento, dall’infinito all’infinito, perché non si potrebbe dire «dall’inizio alla fine», dato che questo implicherebbe una possibilità di de-finire ciò che è al di là del nostro «finis», del nostro limite.
Ritornando quindi alla Trinità, noi ne sperimentiamo gli «effetti», il calore della Presenza in cui siamo avvolti, la bellezza del suo sguardo che, dando vita, fa brillare di luce ogni evento, realtà, esistenza. Mediante l’umanità del Figlio diventiamo luogo di abitazione dello Spirito, siamo immessi nel cuore stesso della vita divina, riceviamo pienezza di senso, consolazione e grazia. Tutto il nostro mondo è immerso in questo mistero di cui facciamo parte, ma non in modo deterministico e ineluttabile – ed è forse questa la bellezza più grande e nello stesso tempo più nascosta della Trinità –, perché nella Trinità vi è il vero volto della libertà. Una libertà che apre alla relazione e che, anzi, fonda la relazione stessa. E la relazione non potrebbe essere tale se non nella libertà (altrimenti sarebbe coercizione, prigionia, carcere); cosicché pur essendo immersi nella Trinità, avvolti dalla sua luce, chiamati e amati per e all’esistenza, rimaniamo comunque liberi. Liberi di accogliere o rifiutare, di aprirci o di chiuderci, di legarci o di separarci, di cercare o di abbandonare, in quel movimento perenne e ogni istante sempre nuovo che è l’Amore. Forse è per questo che il Cantico di ogni cantico, il Cantico dei cantici, il canto dell’amore finisce proprio come è iniziato: dalla ricerca dell’amato all’invito a fuggire di nuovo per ricominciare a ricercarlo: «Fuggi, amato mio, simile a gazzella o a cerbiatto sopra i monti dei balsami!» (Ct 8,14)
Ester Abbattista, biblista, teologa Re-blog
ECUMENISMO
Anglicani e cattolici studiano: come si discerne il giusto insegnamento etico?
Si è tenuto a Larnaca (Cipro) dal 7 al 15 maggio la sessione plenaria della Commissione di Dialogo Anglicano Cattolica
Sono stati due casi concreti su questioni morali, uno su cui c’era accordo e uno su cui c’era discordia, ad essere l’argomento di maggiore discussione dell’ultima riunione della Commissione di Dialogo Anglicano-Cattolica (ARCIC) che si è riunita a Larnaca dal 7 al 15 maggio 2023. La commissione si trova nella terza fase di dialogo, e la riunione ha visto la presenza di tutti i membri della commissione stessa, insieme a consultori esperti e a membri del personale dell’Ufficio della Comunione Anglicana di Londra e del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani a Roma.
La Commissione Internazionale Anglicana – Cattolico Romana, nota anche con l’acronimo inglese ARCIC è stata stabilita nel 1969, su iniziativa del Consiglio Consultivo Anglicano e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Dopo aver vissuto una fase preliminare tra il 1967 e il 1969, vanno distinte tre fasi nella vita dell’ARCIC:
- La prima va dal 1979 al 1982, con diversi incontri sulla dottrina eucaristica, sull’ordinazione sacerdotale, sull’autorità, tutti corredati da una dichiarazione comune al termine dell’incontro.
- La seconda fase va dal 1983 al 2011, e si è discusso della dottrina della salvezza e di Maria Madre di Dio.
- La terza fase va dal 2011 ad oggi, e considera la questione della Chiesa come comunione locale e universale e la questione di come nella comunione la chiesa locale e universale arriva a discernere il Diritto all’insegnamento etico.
Nella scorsa sessione si è parlato di un documento congiunto a partire da Tommaso d’Aquino, mentre l’ultima riunione si è centrata sulla seconda parte del mandato, ovvero sulla valutazione di come la Chiesa locale, regionale e universale discerne il giusto insegnamento etico a partire dal documento del 2018, “Camminare insieme sulla strada: Imparare a essere la Chiesa – Locale, regionale, universale“.
Da qui, appunto, l’approccio su due casi di studio, che però non sono stati esplicitati nel comitato finale. Si sottolinea, piuttosto che “adottando l’approccio dell’ecumenismo ricettivo, la Commissione ha riflettuto su come si possa imparare gli uni dall’esperienza degli altri”.
Durante una delle sessioni, il Metropolita Vasilios di Constantia-Ammochostos, co-presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha illustrato gli approcci ortodossi al discernimento morale.
Nel corso della settimana, hanno avuto luogo incontri con vari rappresentanti delle Chiese locali. Il 14 maggio, i membri della Commissione si sono uniti al Decano e ai fedeli della cattedrale anglicana di San Paolo a Nicosia per il servizio domenicale, sono stati poi ricevuti dall’arcivescovo ortodosso di Cipro Giorgis III e infine da padre Bruno Vairano, vicario patriarcale latino a Cipro.
Andrea Gagliarducci ACIstampa Larnaca, 2 giugno 2023
www.acistampa.com/story/verso-un-documento-congiunto-cattolico-anglicano-sulletica-14347
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Papa Francesco presenta il metodo missionario di Matteo Ricci
Nell’Udienza Generale di oggi il Papa parla di Matteo Ricci, “grande perché coerente” Papa, continuando il ciclo di catechesi “La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente“, incentra la sua
Venerabile Matteo Ricci, (α1552-ω1610), gesuita, cartografo, sinologo. Quando si parla di Matteo Ricci viene subito in mente la Cina. “Ricci e un suo confratello si prepararono molto bene, studiando accuratamente la lingua e i costumi cinesi, e alla fine riuscirono a ottenere di stabilirsi nel sud del Paese. Ci vollero diciotto anni, con quattro tappe attraverso quattro città differenti, prima di arrivare a Pechino“, dice il Papa.
“Qual è stato il suo segreto? Egli ha seguito sempre la via del dialogo e dell’amicizia con tutte le persone che incontrava, e questo gli ha aperto molte porte per l’annuncio della fede cristiana. La sua prima opera in lingua cinese fu proprio un trattato “Sull’amicizia“, che ebbe grande risonanza. Per inserirsi nella cultura e nella vita cinese in un primo tempo si vestiva come i bonzi buddisti, all’usanza del paese, ma poi capì che la via migliore era quella di assumere lo stile di vita e le vesti dei letterati come i professori universitari “, spiega il Pontefice.
“Tuttavia, la fama di Ricci come uomo di scienza non deve oscurare la motivazione più profonda di tutti i suoi sforzi: l’annuncio del Vangelo, lui con il dialogo scientifico dava testimonianza della propria fede – aggiunge Francesco – Oltre alla dottrina, sono la sua testimonianza di vita religiosa, di virtù e di preghiera, la sua carità, la sua umiltà e il suo totale disinteresse per onori e ricchezze, che inducono molti dei suoi discepoli e amici cinesi ad accogliere la fede cattolica. Era saggio, credente, furbo, una personalità che testimonia con la propria vita quello che annuncia. La forza più grande è la coerenza“.
“Matteo Ricci muore a 57 anni, lo spirito e il metodo missionario di Matteo Ricci costituiscono un modello vivo e attuale. La coerenza di vita, lui è grande perchè coraggioso, perchè è stato coerente. Domandiamoci dentro: sono coerente?“, conclude con questa domanda il Papa l’ udienza generale in Piazza San Pietro.
ww.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2023/documents/20230531-udienza-generale.html
Veronica Giacometti ACI Stampa 31 maggio 2023
www.acistampa.com/story/papa-francesco-presenta-il-metodo-missionario-di-matteo-ricci
Family Global Compact/ La rete di Papa Francesco per difendere la famiglia
Il Family Global Compact è un progetto di rete internazionale tra tutti i centri di ricerca sulla famiglia attivi presso le università cattoliche. Il 30 maggio 2023 presso la Sala Stampa Vaticana è stato presentato il Family Global Compact, un ambizioso progetto di collegamento internazionale tra tutti i centri di ricerca sulla famiglia attivi presso le università cattoliche nei vari Paesi, promosso dalla prima metà del 2021 dal Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita e dalla Pontificia accademia delle scienze sociali, con la collaborazione del Cisf (Centro internazionale studi famiglia) di Milano.
L’intero percorso si è ispirato al capitolo 2 dell’Amoris lætitia, significativamente intitolato La realtà e le sfide delle famiglie (n. 31-57), forse uno dei capitoli meno valorizzati dell’intera Esortazione apostolica. Eppure si tratta di un capitolo cruciale, perché ribadisce la necessità che ogni azione pastorale pensata ed indirizzata alle famiglie parta prima di tutto dall’ascolto attento e competente delle loro reali condizioni di vita, delle loro preoccupazioni, delle concrete sfide che devono affrontare. L’intero progetto ha quindi adottato come criterio forte il principio di realtà (Evangelii gaudium, 231-233), come ricordato dalla stessa Amoris lætitia: “È sano prestare attenzione alla realtà concreta, perché ‘le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia’, attraverso i quali ‘la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia’” (Amoris lætitia, 31).
Per questo la prima parte del progetto (a cura del Cisf) si è sviluppato attraverso un complesso lavoro di mappatura e di ascolto di tutte le conoscenze presenti nei centri di ricerca sulla famiglia dei vari Paesi, attraverso due questionari on line, in cui sono stati sintetizzati i risultati delle ricerche svolte in ogni nazione. Il testo finale, esito di una attenta ed impegnativa rielaborazione dei dati raccolti, ha sintetizzato una serie di precise indicazioni operative, strutturate su tre aree tematiche:
1) la qualità delle relazioni familiari;
2) la promozione della famiglia come soggetto sociale;
3) le sfide sociali e politiche oggi più urgenti.
Ogni punto contiene diversi sottopunti, che costituiscono una vera e propria mappa di priorità sui principali nodi sensibili che caratterizzano oggi la vita delle famiglie a livello globale. La lista analitica dei temi e delle progettualità più specifiche non è facilmente sintetizzabile, e conviene quindi fare riferimento al documento integrale (www.familyglobalcompact.org).
Si può qui però evidenziare che i tre macro-capitoli su cui è stato organizzato il documento sono strutturati a partire da un principio antropologico e valoriale tipico della dottrina sociale della Chiesa, che considera la famiglia come un soggetto sociale primario, come un corpo intermedio insostituibile, come uno spazio di libertà e di responsabilità, e non come una variabile dipendente da altri soggetti sociali (lo Stato, il mercato).
- Per questo è stata analizzata in primo luogo la qualità delle relazioni familiari, che sono all’origine della soggettività della famiglia, considerando il modo in cui la società contemporanea favorisce e penalizza il libero esplicarsi dei legami familiari (di coppia, genitoriali, di parentela allargata).
- In secondo luogo si è messa a tema la modalità con cui le famiglie possono diventare generatori di bene comune, risorse per la collettività, e non rimanere spazi privati autoreferenziali. In altre parole, si è affrontata la cittadinanza della famiglia soprattutto nel suo essere un movimento attivo di responsabilità (dovere) verso il bene comune, prima che un (pur legittimo) problema di diritti da esigere dalla società.
- Da ultimo (e solo da ultimo), sono state analizzate le politiche pubbliche in senso ampio, cioè il modo in cui Stato, mercato e società civile possono favorire o impedire il fiorire della libera e responsabile azione pubblica delle famiglie.
In altre parole, l’impianto del Family Global Compact si ispira in modo molto concreto ad uno dei capisaldi della dottrina sociale della Chiesa, a quel principio di sussidiarietà che nella generazione del bene comune mette al centro delle dinamiche sociali prima di tutto la libertà e la responsabilità delle persone – e delle famiglie, in questo caso. In fondo è quanto lo stesso Papa Francesco aveva già segnalato ad aprile 2022, in occasione dell’assemblea plenaria della Pontificia accademia delle scienze sociali, opportunamente dedicata a “La famiglia come bene relazionale” (non a caso l’Accademia è stata fin dall’inizio partner del percorso del Family Global Compact). “Sappiamo che i cambiamenti sociali stanno modificando le condizioni di vita del matrimonio e delle famiglie in tutto il mondo. Inoltre, l’attuale contesto di crisi prolungata e molteplice mette a dura prova i progetti di famiglie stabili e felici. A questo stato di cose si può rispondere riscoprendo il valore della famiglia come fonte e origine dell’ordine sociale, come cellula vitale di una società fraterna e capace di prendersi cura della casa comune. […] Il matrimonio e la famiglia non sono istituzioni puramente umane, malgrado i numerosi mutamenti che hanno conosciuto nel corso dei secoli e le diversità culturali e spirituali tra i vari popoli. Al di là di tutte le differenze, emergono tratti comuni e permanenti, che manifestano la grandezza e il valore del matrimonio e della famiglia. Tuttavia, se questo valore è vissuto in modo individualistico e privatistico, come in parte avviene in Occidente, la famiglia può essere isolata e frammentata nel contesto della società. Si perdono così le funzioni sociali che la famiglia esercita tra gli individui e nella comunità, specialmente nei confronti dei più deboli, come i bambini, le persone con disabilità e gli anziani non autosufficienti” (Discorso del Santo Padre ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Roma, 29 aprile 2022).
www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/april/documents/20220429-plenaria-scienze-sociali.html
Nel documento finale, per ogni sotto-punto in ciascuna area sono state individuate le sfide da affrontare, le proposte operative e le azioni specifiche per sostenere le famiglie davanti ad esse, e alcune “linee future di ricerca”, come compito per i centri di ricerca che aderiranno al Family Global Compact. Una vera e propria agenda, che potrà essere attuata se e in quanto si rafforzeranno le collaborazioni e i collegamenti tra questi centri di ricerca, in una rete interuniversitaria solida e permanente, capace di scambiare notizie, progetti, ricercatori, buone pratiche. Il tutto nella certezza che la famiglia è un elemento irrinunciabile per il bene delle persone e della società, come ha ricordato papa Francesco nel suo messaggio: “Nella famiglia si realizzano gran parte dei sogni di Dio sulla comunità umana. Non possiamo perciò rassegnarci al suo declino in nome dell’incertezza, dell’individualismo e del consumismo, che prospettano un avvenire di singoli che pensano a sé stessi. Non possiamo essere indifferenti all’avvenire della famiglia, comunità di vita e di amore, alleanza insostituibile e indissolubile tra uomo e donna, luogo di incontro tra le generazioni, speranza della società” (papa Francesco, Messaggio per il lancio del Family Global Compact, 30 maggio 2023).
www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2023/documents/20230513-messaggio-family-globalcompact.html
Francesco Belletti Il Sussidiario 4 giugno 2023
www.ilsussidiario.net/news/family-global-compact-la-rete-di-papa-francesco-per-difendere-la-famiglia/2547392
HUMANÆ VITÆ
Indietro tutta: per il Vaticano, la pillola contraccettiva rimane male assoluto
www.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html
Con il convegno internazionale su “Humanæ Vitæ: l’audacia di un’enciclica sulla sessualità e la procreazione”, svoltosi a Roma il 19 e 20 maggio 2023 e organizzato dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune, è stata messa una pietra tombale – salvo sorprendenti future resurrezioni – sulla riforma dell’insegnamento dottrinale meno applicato dai fedeli cattolici. E con il carico da 11, visto che se ne è affermata, insieme all’attualità, addirittura “l’audacia” e dunque la luminosa futuribilità.
Eppure qualcosa era sembrata muoversi l’anno scorso, e da più parti come abbiamo documentato su Adista Notizie. E probabilmente proprio questo ha determinato la blindatura attorno all’enciclica con la quale nel 1968 Paolo VI decretò l’immoralità degli anticoncezionali non naturali, giudizio ribadito e rafforzato dal card. Luis Ladaria Ferrer, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, nell’intervento di apertura al convegno. Una sorta di imprimatur curiale sulla chiusura a qualsivoglia cambiamento. «La verità espressa nell’umanità non cambia; ancor più precisamente alla luce delle nuove scoperte scientifiche, la sua dottrina diventa più attuale». L’audacia dell’enciclica «è molto più profonda» dell’aver resistito «alle pressioni» che chiedevano di «approvare l’uso di contraccettivi ormonali nei rapporti sessuali all’interno del matrimonio cattolico». Il coraggio della Humanæ Vitæ. Indietro tutta: per il Vaticano, la pillola contraccettiva rimane male assoluto Humanæ Vitæ è infatti di «carattere antropologico» perché ha mostrato «la connessione inscindibile che Dio ha voluto» tra «i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e quello procreativo».
Il rifiuto dell’immoralità della contraccezione, ha sottolineato, vuol dire accettazione di una «antropologia dualistica che vede nella natura una minaccia alla libertà e che ritiene che manipolando il corpo le condizioni della verità dell’atto coniugale possono essere cambiate». Allargando il discorso sulla manipolazione del corpo, Ladaria ha detto che l’ideologia di genere e il transumanesimo partono entrambi «dal presupposto che non esiste verità che possa limitare l’attuazione dei loro postulati ideologici». L’«antropologia contraccettiva» presente nell’ideologia di genere pone nuovamente la libertà in opposizione alla natura.
«L’identità personale di qualcuno è ora basata sul suo orientamento, cioè senza connessione con il proprio corpo e senza relazione con il corpo dell’altro, senza relazione con il sesso opposto», ha considerato Ladaria. «È un’antropologia che ha separato la vocazione all’amore dalla vocazione alla fecondità», mentre la Humanæ Vitæ «propone un’antropologia dell’intera persona, un’antropologia capace di unire la libertà con la natura».
Sulla stessa linea gli interventi degli altri relatori, qui per brevissimi accenni. Per Michele Schumacher, che insegna alla Facoltà di Teologia dell’Università di Friburgo, l’attuale idea di una libertà sradicata dalla natura umana, una libertà indeterminata, senza orientamento a un bene, è originata dal Sessantotto. La pillola contraccettiva ha sdoganato la concupiscenza, secondo Oana Gotia, docente di Teologia Morale al Sacred Heart Major Seminary di Detroit. L’ancora di salvezza è la castità, che è antitesi della contraccezione. La quale contraccezione, ha sostenuto Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Jerôme Lejeune e membro della Pontificia Accademia per la Vita, ha estromesso l’insegnamento cattolico dalla vita sessuale e ha dato potere alla tecnoscienza con tutte le conseguenze note nel campo della riproduzione.
Isabelle Ecochard, medico presso il CHU (centro ospedaliero universitario) di Lione, docente al Master in Teologia del corpo presso l’Institute de Theologie du Corps di Lione, schematizzando con efficacia il suo intervento, ha detto: «Chi ricorre alla contraccezione dice a Dio che si è sbagliato nel dare certi ritmi alla fertilità», mentre chi ricorre ai metodi naturali rispettando i tempi della fecondazione gli dice: «La fertilità che ci hai donato è meravigliosa e noi vogliamo seguirne i ritmi».
Eletta Cucuzza Adista 29 maggio 2023
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“Humanæ Vitæ”, sessualità e procreazione: lo spiraglio di Zuppi e Paglia
Al convegno internazionale che, il 19 e 20 maggio, ha blindato l’enciclica Humanæ Vitæ, è stato John Haas, già membro del Consiglio Direttivo della Pontificia Accademia per la Vita, a ricordare che l’anno scorso era serpeggiato un qualche auspicio per il superamento del divieto alla contraccezione artificiale per i fedeli cattolici.
Il card. Matteo Zuppi, nel suo messaggio al convegno, pur non rinnovando apertamente l’auspicio, ha fatto avanti che un problema tuttavia esiste e non va disatteso: l’esercizio della sessualità come lo propone la Chiesa è da 3 decenni inosservato. Zuppi ha manifestato «apprezzamento per l’iniziativa di questo Convegno» perché vi si affrontano «interrogativi molto importanti che sembrano aver perso interesse. Per molti nostri contemporanei sono ormai ritenuti insignificanti e ritengono non valga neanche più la pena di parlarne. Le risposte sono date per scontate. Anche molti credenti si trovano in questo medesimo atteggiamento, per cui viene ritenuto irrilevante per l’insieme della vita di fede o, addirittura, costituisce piuttosto un ostacolo all’esperienza e alla comprensione del Vangelo!». «Questo divario sempre più largo e profondo non può certo essere eluso – ha dunque osservato –. Dobbiamo seriamente interrogarci sui problemi che la distanza tra le indicazioni del magistero della Chiesa circa la generazione della vita e il vissuto quotidiano della società in generale, ma anche dei cattolici stessi. Non possiamo farci condizionare dal timore che si produca confusione, perché la confusione è già presente e si presenta come indifferenza o ascoltare altre convinzioni». «Gli interrogativi che riguardano l’etica sessuale e coniugale sono sentiti profondamente e le comunità ecclesiali continuano a porsi molte domande. È un dato che emerge anche da diverse relazioni che sono giunte dalle Conferenze episcopali di tutto il mondo in preparazione al Sinodo. Molte si interrogano su come le indicazioni su questa materia nella loro attuale formulazione siano corrispondenti al sensus fidei fidelium e come possano essere effettivamente di aiuto al cammino di fede delle persone».
www.avvenire.it/chiesa/pagine/il-coraggio-dell-humanae-vitae-zuppi-testo-che
«Anche i teologi si confrontano sulle diverse possibilità che si possono individuare e che potrebbero indicare un rinnovamento delle prospettive», ha suggerito, ricorrendo subito all’autorevolezza papale: «Del resto papa Francesco ha ribadito che la tradizione non è “indietrismo” e ha spronato i teologi ad “andare oltre”, con fedeltà creativa (Discorso alla Commissione teologica internazionale, 24 novembre 2022)».
www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/november/documents/20221124-cti.html
“No alle letture parziali” Non ha partecipato al convegno sulla Humanæ Vitæ, mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che nel corso del 2022 si è impegnato per un approfondimento sull’eventuale attualizzazione dell’enciclica di Paolo VI.
È d’uopo richiamare alla memoria la pubblicazione, a luglio dell’anno scorso del libro “Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche” (Libreria Editrice Vaticana) con gli atti di un seminario interdisciplinare promosso nel 2021 dalla Pontificia Accademia della Vita, dove una disposizione al dialogo sulla contraccezione era presente già in un “testo base” – elaborato da un gruppo di teologhe e teologi convocati dalla stessa Accademia – cui gli interventi dei partecipanti dovevano corrispondere. Alla contraccezione erano dunque dedicate affermazioni quali: «Ci sono (…) condizioni e circostanze pratiche che renderebbero irresponsabile la scelta di generare, come lo stesso magistero ecclesiastico riconosce, appunto ammettendo i “metodi naturali”. Perciò, come accade in questi metodi, che già si servono di tecniche specifiche e di conoscenze scientifiche, ci sono situazioni in cui due sposi, che hanno deciso o decideranno di accogliere figli, possono operare un saggio discernimento nel caso concreto, che senza contraddire la loro apertura alla vita, in quel momento, non la prevede. La scelta saggia verrà attuata valutando opportunamente tutte le tecniche possibili in riferimento alla loro specifica situazione ed escludendo ovviamente quelle abortive».
Una decisa apertura, questa, oggi messa in soffitta, se non condannata. Ora, in un’intervista rilasciata a VaticanNews il giorno dell’apertura dei lavori del convegno,
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-05/vincenzo-paglia-enciclica-humanae-vitae-paolo-vi.html
Paglia prova a smarcarsi non dalla posizione dialogica assunta nel ’21 e ’22 (che sotto tono conferma) ma dalle accuse di “traditore” della dottrina sulla sessualità piovutegli addosso da quella destra ecclesiale che, con il convegno presenziato dal prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede card. Luis Ladaria, si prende la rivincita. Mons. Paglia si professa «d’accordo su ogni passaggio di Humanæ Vitæ. Non troverà nessuno più di me accanitamente e tenacemente schierato a difesa della vita umana». Come il card. Zuppi, però, fa rientrare dalla finestra ciò che ha dovuto mettere alla porta, cioè l’ovvia necessità di “cercare ancora” in un mondo che è vivo e cambia, peraltro collocando il problema trattato nella Humanæ Vitæ nel più vasto attentato alla vita che l’umanità intera sta vivendo.
Paglia sottolinea che con l’enciclica di Paolo VI è «l’amore coniugale, come tale» ad essere «fecondo, superando in un colpo solo la annosa questione del rapporto tra i fini del matrimonio, il fine primario (prolis generatio et educatio) e il fine secondario (mutuum adiutorium e remedium concupiscentiæ). In questo modo, la fecondità della generazione veniva pensata come una caratteristica intrinseca all’amore coniugale e non una sua aggiunta successiva. Come saggiamente abbiamo capito oggi, è necessario interrogarsi su come la questione posta da Humanæ Vitæ possa continuare ad alimentare la comprensione del nesso che intercorre tra sessualità, amore sponsale e generazione, che è emerso con maggiore chiarezza nella luce della prospettiva personalista. Ed è per questo che ritengo molto importante che si continui a riflettere e a discutere sull’argomento». Qui Paglia ha potuto rivendicare la sua totale ortodossia, citando papa Francesco che «proprio a proposito del tema degli anticoncezionali», ha sottolineato, afferma che «il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica. Non si può fare teologia con un ‘no’ davanti. Poi sarà il Magistero a dire: ‘No, sei andato oltre, torna’. Ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, i teologi ci sono per questo» (Conferenza stampa durante il volo di ritorno dal Canada, 29 luglio 2022).
www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/july/documents/20220729-voloritorno-canada.html
Il presidente dell’Accademia per la Vita cerca poi di collocare nella giusta dimensione la questione della procreazione. «Penso che questa Enciclica vada letta, oggi, nella sua attualità, che riguarda la generatività dei rapporti umani. Siamo di fronte a sfide epocali: negli anni Sessanta la ‘pillola’ sembrava il male assoluto – circoscrive mons. Paglia –. Oggi abbiamo sfide ancora più forti: la vita dell’intera umanità è a rischio se non si ferma la spirale dei conflitti, delle armi, se non si disinnesca la distruzione dell’ambiente. Vorrei ci fosse una lettura che integri Humanæ Vitæcon le encicliche di Papa Francesco (e di Giovanni Paolo II) e con Amoris lætitia, per aprire una nuova epoca di umanesimo integrale. Integrale, abbandonando letture parziali.
Del resto il cardinale Zuppi, nel suo messaggio, scrive che è “molto importante che si eviti di procedere per circoli ristretti e omogenei, che alla fine avrebbero l’intento di ribadire le posizioni dei partecipanti, senza attivare un dialogo sincero e autentico”. È vero, perché – ripeto – oggi la sfida del proseguimento, tutela, sviluppo, della vita umana, va posta a tutto campo, come ci insegnano Laudato si’ e Fratelli tutti».
Eletta Cucuzza Adista 29 maggio 2023
www.adista.it/articolo/70066
OMOFILIA
Un prete palermitano apre ai matrimoni gay
Registrazione all’anagrafe dei figli di genitori dello stesso sesso? Sì, certo. Matrimonio religioso fra persone dello stesso sesso? Nulla in contrario, anche se bisogna attendere tempi più maturi. Questo pensa e questo dice don Antonio Zito, parroco di Maria SS. della Misericordia a Palermo. Anzi, per la trascrizione è “passato ai fatti”. È successo che per celebrare la Giornata Internazionale di lotta all’omotransfobia – che ricorda il giorno, il 17 maggio 1990, in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità eliminò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali – nel capoluogo siciliano oltre trenta tra associazioni, parrocchie e chiese (luterane, avventiste, valdese e cattolica) hanno organizzato un evento che ha avuto il suo culmine il 18 maggio nella parrocchia di Maria SS. della Misericordia. È qui che si sono riunite le persone che poco prima avevano sfilato di fronte all’Ufficio dell’Anagrafe di Palermo in segno di protesta contro la decisione del governo (recepita solo da una parte dei comuni italiani) di interrompere la trascrizione dei figli di coppie omogenitoriali. In chiesa don Antonio Zito, che è anche direttore dell’ufficio per l’insegnamento della religione cattolica dell’arcidiocesi di Palermo e da anni animatore della veglia palermitana, ha letto un messaggio di vicinanza e solidarietà dell’arcivescovo, il card. Corrado Lorefice.
E due giorni dopo ha rilasciato un’intervista alle pagine palermitane di “La Repubblica” (20/5) nella quale è stato molto netto nel condannare ogni tipo di discriminazione verso le coppie gay e quelle omogenitoriali: «È grave che ancora oggi non sia possibile registrare due genitori dello stesso sesso all’anagrafe cittadina», ha dichiarato, sottolineando però di esprimere «opinioni personali, non riferibili all’ufficio che ricopro nell’arcidiocesi». Di più, don Zito ha anche aggiunto di essere favorevole al “matrimonio egualitario”, sicuramente per quello civile, «perché l’amore non può essere soggetto a ingabbiature di nessun genere». Ma non ha escluso la possibilità per le coppie gay di sposarsi in futuro anche in chiesa. Non a breve termine però. Rispetto al dibattito in corso a livello ecclesiale, don Zito ha detto infatti che «viviamo un momento di crisi, ma mi piace sottolineare che vedo la crisi come espressione positiva, come un momento di crescita. È bello che ci siano tutte queste sollecitazioni, ma mi sembra che non sia ancora il momento opportuno per prendere delle decisioni».
Rispetto al tema delle trascrizioni all’anagrafe dei figli nati da coppie omogenitoriali, don Antonio ha ricordato che «nel giorno della veglia per il superamento dell’omotransfobia abbiamo voluto fare un passaggio dall’anagrafe proprio per lanciare un segnale. Lo Stato deve registrare entrambi i genitori: non è soltanto un suo dovere, è soprattutto un suo diritto», ossia il «diritto di affermare sé stesso». Più problematica a giudizio del presbitero la questione della gestazione per altri, ossia il cosiddetto utero in affitto. «Anni fa ho conosciuto una coppia di donne che stavano insieme e hanno fatto un figlio. Una ha impiantato il suo ovulo nell’utero dell’altra e poi si è proceduto con la fecondazione assistita. Ho chiesto loro se quel bambino avesse un papà e loro mi hanno risposto di no, che aveva due mamme. Ma non è così, quel bambino da qualche parte del mondo un papà ce l’aveva. Non vedo necessaria questa pratica o quella della gestazione per altri. Ci sono altre vie», perché «la maternità e la paternità non sono necessariamente legate all’aspetto biologico». In questo senso, don Zito si dichiara favorevole alla possibilità per le coppie gay di adottare o avere minori in affido: «Non trovo niente di scandaloso nell’avere due papà o due mamme che effettivamente li amino. È chiaro che si tratta di situazioni che vanno esaminate singolarmente, non stiamo parlando di banalità. Occorrerebbe essere sinceramente disposti all’ascolto dell’altro, senza pregiudizi».
L’intervista ha destato un certo scalpore in diocesi. È indotto don Zito a ribadire, attraverso una nota pubblicata il giorno stesso dell’uscita dell’intervista sul sito dell’arcidiocesi, ciò che di fatto il prete già aveva chiarito nell’intervista: «Al fine di evitare erronee interpretazioni e possibili strumentalizzazioni, è mia premura precisare che quanto dichiarato e pubblicato è frutto esclusivamente delle mie opinioni personali non riferibili all’Ufficio da me ricoperto presso l’Arcidiocesi di Palermo››.
Valerio Gigante Adista Notizie n° 19 03 giugno 2023
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PROFETI
Papa Giovanni, nel nome del Vangelo
- Papa Giovanni, figura “storica” nei tempi recenti della Chiesa.
- Le grandi aperture, il Concilio.
- Un giudizio significativo di Hans Kung
Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque il diritto della persona umana e non solo quelli della Chiesa cattolica. Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio.
Forse per comprendere la vicenda umana e spirituale di Angelo Giuseppe Roncalli, papa Giovanni XXIII, morto il 3 giugno di sessant’anni fa, bisognerebbe partire da queste parole consegnate una decina di giorni prima della scomparsa al suo segretario, mons. Loris Capovilla.
Molto più di un “Papa buono”. Perché Roncalli ha cercato per tutta la vita, dentro il susseguirsi di incarichi – segretario del vescovo di Bergamo mons. Radini Tedeschi, cappellano militare, visitatore apostolico in Bulgaria, delegato apostolico in Turchia, nunzio a Parigi, Patriarca di Venezia, pontefice – non ha fatto altro che cercare di capire come potesse il Vangelo essere ancora “buona notizia” per le donne e gli uomini del tempo. Usando categorie sempre imperfette quando si parla di vicende di Chiesa, è capitato che un “conservatore” (perché così appariva ai più) che aveva come bussola il Vangelo è stato capace di attraversare mondi, anche i più disparati tra loro – la Turchia laicizzata da Ataturk, la Francia di De Gaulle desiderosa di rivincita sui vescovi petainisti, la Curia romana e i suoi molti imbrigliamenti – conservando rispetto e stima.
Più Vangelo che leggi da osservare e canoni da applicare. Non facciamoci deviare dall’immagine caramellata del “papa buono”. Angelo Giuseppe Roncalli – scelto per il soglio pontificio, dopo la morte di Pio XII, perché potesse essere, per l’età avanzata, un papa “di transizione” – fu capace – in nome della comprensione del Vangelo, più che dell’osservanza del canone – di avviare (quando già era cosciente della malattia) con determinazione il Concilio Vaticano II. E di portarlo su rive che neanche aveva immaginato. Uno “spartiacque” netto della Chiesa contemporanea che da allora cerca di lasciarsi alle spalle la sindrome d’assedio che la tormentava da almeno un secolo e mezzo.
È stato il Vaticano II a rimettere con coraggio al centro parole come universalità della Chiesa, aggiornamento, collegialità, dialogo, ecumenismo, fraternità. Con l’aggiunta della “santa libertà dei figli di Dio”, come avrebbe detto lo stesso Papa Giovanni l’8 dicembre 1962 alla cerimonia conclusiva del primo periodo cui parteciparono oltre 2.500 Padri conciliari.
Non esiste “guerra giusta”. L’enciclica “Pacem in terris”. Il papa bergamasco fu capace di scrivere – cinquantatré giorni prima della sua morte – un’enciclica, la Pacem in Terris, che mette sotto processo, e definitivamente supera, il concetto di «guerra giusta» o di «guerra difensiva». Idea secolare del magistero pontificio, legittimata, sia pure con la presenza di alcune precise delimitazioni riguardanti tanto le condizioni relative all’ingresso in guerra quanto le modalità del suo concreto esercizio – per sostituirlo con un giudizio severo di condanna nei confronti di ogni tipologia di guerra.
È folle” pensare che nell’era atomica la guerra possa essere strumento di giustizia. Al n. 67 del testo (che il papa “buono” non volle far esaminare dai teologi di corte), c’è un invito a superare il concetto della guerra come “strumento di giustizia” tra i popoli. “Alienum est a ratione”, dice il testo latino. E cioè “è irragionevole e folle” (da “fuori di testa”, insomma) pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia. Per la prima volta viene resa ufficiale la proclamazione della immoralità e assurdità della guerra, e quindi obbligati a trovare altre vie per ristabilire diritto e giustizia violati. Giovanni XXIII chiede alla chiesa cattolica di lasciarsi alle spalle la dottrina – elaborata dal quinto secolo in poi – della “guerra giusta” per concentrarsi sulle strade della pace. L’enciclica precisa poi che bisogna imparare a distinguere le «false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, da movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione». Distinzione per noi evidente, un po’ meno agli inizi degli anni Sessanta in piena guerra fredda, tra blocchi contrapposti.
La morte di Papa Giovanni: “il tempo e lo spazio sembravano sospesi”. Un grande monaco benedettino, dom Ghislaine Lafont, invitato dieci anni fa a Sotto il Monte per celebrare il cinquantesimo della morte di Papa Giovanni ebbe a dire così: «Alla fine del mese di maggio del 1963 mi trovavo in un ospedale nei dintorni di Parigi, dove l’abate mi aveva inviato per sostituire per qualche giorno il cappellano, anche lui benedettino, assente per non so quale ragione. Erano gli ultimi giorni di vita di Papa Giovanni. Rimasi colpito dal clima del tutto eccezionale che si respirava in ospedale: nelle camere dei pazienti, negli uffici dei medici, degli infermieri e del personale di servizio, i transistor (una delle innovazioni tecnologiche del momento!) erano accesi per raccogliere le ultime notizie del Papa e per non perdere il contatto con lui durante gli ultimi momenti della sua vita. Il tempo e lo spazio sembravano come sospesi, concentrati su quella stanza del Vaticano nella quale il Papa stava morendo. Si capiva che il doloroso evento, atteso e ora vissuto, era qualcosa di personale, che riguardava ciascuno: donna o uomo, credente o indifferente.»
Quando papa Giovanni muore, alle 19,49 del 3 giugno, piazza San Pietro è colma di donne e uomini, molti di loro piangono. Lo salutano a nome di tutti le campane di San Pietro e, dicono le cronache, anche le rondini che volano nel tramonto della sera tra gli apostoli sulla Basilica.
Il Vangelo parla a tutti, anche a chi è “fuori del recinto”. Ecco, l’eredità di questo uomo, nato in una famiglia di contadini il 25 novembre del 1881, è proprio questa: mostrare l’umanità del Vangelo, capace di parlare a chiunque, anche ai tanti fuori dal recinto ecclesiale. Quante volte mi è capitato di incontrare persone orgogliose della loro granitica fede comunista e capaci di tenere nel portafoglio un’immagine di papa Giovanni!
Hans Kung: “Papa Giovanni è stato il papa più significativo del XX secolo”. Anni fa, mi capitò di intervistare Hans Kung, il discusso teologo tedesco, perito conciliare al Vaticano II, per decenni uomo di punta della teologia tedesca, autore di una serie di testi che, agli inizi degli anni settanta, avviarono, a volte polemicamente, una riflessione all’interno della comunità cristiana. Quando gli chiesi un ricordo del papa buono mi rispose così: <A mio avviso, Giovanni XXIII è stato il papa più significativo del ventesimo secolo, il solo che il popolo cattolico aveva già da tempo beatificato senza bisogno delle prove dei miracoli. Con lui si è inaugurata una nuova stagione nella storia della chiesa cattolica. E’ Giovanni XXIII, nonostante la forte resistenza della curia romana, ad aprire la chiesa, ancora arroccata nel paradigma medievale controriformistico e anti-moderno, verso la via dell’aggiornamento, verso una proclamazione del Vangelo al passo con i tempi, verso una comprensione con le altre chiese cristiane, con l’ebraismo e con le altre religioni mondiali, verso un contatto con i paesi dell’Est, verso una giustizia sociale internazionale (pensi all’enciclica Mater et Magistra del 1961) e verso l’apertura al mondo moderno e all’affermazioni dei diritti umani (la Pacem in Terris del 1963). Con la sua condotta collegiale, papa Roncalli ha rafforzato il ruolo dei vescovi manifestando una nuova percezione pastorale dell’ufficio papale.>
“Da laico nella città” – Rubrica a cura di Daniele Rocchetti
RIFLESSIONI
La menzogna e la fiducia
Un proverbio arabo recita: “Ogni parola, prima di essere pronunciata, dovrebbe passare attraverso tre porte. Sulla prima c’è scritto: È vera? Sulla seconda: È necessaria? Sulla terza porta: È gentile?”.
C’è molta sapienza in questo detto. Dalla parola, infatti, dipende la comunicazione e dalla comunicazione la possibilità della comunione, dunque la qualità della vita umana, perché quanto meglio uno comunica, tanto più si umanizza. Eppure la parola non è facile, occorre generarla ricevendo un seme di parola da altri, permettendo in noi una gestazione lunga, in cui la parola prenda forma e cresca, e poi occorre partorirla nel dolore, perché non c’è parola senza una gravidanza che la preceda. Non c’è parola nostra che non nasca dalla parola di altri. Lungo mestiere quello di imparare a parlare… Nelle relazioni quando ci si affaccia alla vita appare un impulso a parlare, a esprimersi, a vivere, così prepotente che ci spinge a vivere senza gli altri, contro gli altri: dobbiamo pur vivere, costi quel che costi!
Questo impulso, di per sé, può portare alla violenza e può portare a quello che solo apparentemente è il contrario della violenza: non si uccide l’altro negandolo, ma con una regressione alla fusionalità dell’incesto. Gettati dal ventre materno nel mondo, non si prendono le distanze dalla madre, dalla famiglia, dal contesto civile. Si arriva così a rifiutare l’incontro con l’altro, lo straniero, il diverso. Inoltre, una volta che siamo gettati nel mondo, tra gli altri, c’è la possibilità della menzogna, della cattiva comunicazione, della falsità: tutto questo è dovuto alla mancanza di fiducia nell’altro! Quando c’è la menzogna, nessuna comunicazione è possibile, soprattutto viene meno ogni possibilità di fiducia e di fede.
Non è un caso che nella Bibbia il demonio sia chiamato “omicida fin da principio … menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44), perché l’incesto impedisce a sé stessi e all’altro di essere altro, l’omicidio abolisce l’altro, la menzogna non riconosce l’altro. Lo dobbiamo confessare: noi sentiamo il desiderio di non riconoscere gli altri e quando parliamo siamo tentati di essere menzogneri, di non fermarci al “’Sì, sì’, ‘No, no’” (Mt 5,37). Basta che cerchiamo di fare credere all’altro ciò che noi non crediamo; basta che cerchiamo di fuorviare o di manipolare chi ci sta di fronte; basta che cerchiamo di dire ciò che piace a colui al quale stiamo parlando; basta che ci manchi il coraggio di dire ciò che pensiamo: ecco la menzogna! La menzogna, sotto forma di finzione, è soprattutto quella che uccide la fiducia, che indebolisce ogni rapporto.
I monaci sanno che nella vita comune la menzogna inizia dalla chiacchiera inutile, dal parlare per far tacere la solitudine che li abita, oppure dal parlare per apparire all’altro con una maschera, non con il proprio e semplice volto. Tale atteggiamento scivola poi nella mormorazione, detestabile vizio tipico dei vigliacchi e dei pusillanimi. Questi ultimi possono essere distinti tra coloro che approfittano della mormorazione per creare consenso intorno a sé, alimentando la stima per sé stessi attraverso il mostrare di condividere le critiche degli altri, e quelli che invece hanno un io minimo e, mossi da un continuo confronto, non riescono a non accusare gli altri perché sono diversi da loro. Dalla mormorazione si passa poi facilmente alla calunnia, alla maggiorazione dei fatti, a un’interpretazione sviante o che manipola. A questo punto l’omicidio è già avvenuto: la parola menzognera, infatti, uccide…
Enzo Bianchi La Repubblica – 29 maggio 2023
www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/189610/la-menzogna-e-la-fiducia
SACRAMENTI
S
cresima e battesimo senza consenso?
Il rapporto tra discepolato e istituzione in una crisi di crescita. Una giusta discussione viene alimentata da due notizie, provenienti da ambiti molto diversi, ma che attingono al “sapere sacramentale cattolico” e lo mettono alla prova. Presento le due questioni e provo a fare alcune riflessioni in proposito.
a) La prima notizia è quella di un “fatto storico” (rimesso in auge da un film appena girato dal regista M Bellocchio): ossia la vicenda della famiglia Mortara e del giovane Edgardo, che nel 1858 viene sottratto alla famiglia (di fede ebraica ma residente nello Stato Pontificio) per essere educato alla fede cattolica, essendo stato battezzato da infante, nel primo anno di vita, in segreto, da parte di una domestica, per pericolo di morte. La relazione tra potestà genitoriale e battesimo, con la possibilità ecclesiale di contraddire la intenzione della famiglia di origine in caso di pericolo, offre un livello di riflessione molto interessante ed urgente anche oggi.
b) La seconda notizia è la decisione che l’Arcivescovo di Palermo ha assunto con un Decreto di non anticipare “normativamente” la cresima al matrimonio, ma piuttosto di poter spostare la cresima ad un momento successivo alla celebrazione sponsale, quando lo richieda il cammino di fede della coppia che domanda la celebrazione del sacramento e in particolare la condizione di “conviventi” o di “sposati civilmente”.
Si tratta di due casi evidentemente molto diversi, ma nei quali si intreccia, in modo netto, una logica “civile” e una logica “ecclesiale”, il cui coordinamento non è deciso una volta per sempre da una linearità immutabile della dottrina e della disciplina, ma chiede accurato discernimento dei tempi, dei modi e delle persone. La Chiesa, che porta nella sua esperienza una lunga tradizione, e che in essa ha dovuto confrontarsi con “regimi civili e istituzionali” assai diversi, deve sentirsi chiamata a precisare, calibrare e discernere ogni cosa con la dovuta lucidità.
- Chi è il soggetto del matrimonio cristiano? La tradizione sa bene che il matrimonio era già lì prima del cristianesimo, ma potremmo dire era già lì prima della fede di Israele, e siamo autorizzati a dire che c’era già prima ancora che Adamo ed Eva entrassero in conflitto con Dio. Coloro che si sposano sono uomini e donne. E la Chiesa ha saputo rileggere la storia del matrimonio sotto la luce della Alleanza tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la sua Chiesa, sapendo però che la alleanza tra marito e moglie è in un certo senso più antica della Prima e della Nuova alleanza! Così è inevitabile che le logiche della vita di coppia e le logiche del discepolato cristiano non siano mai perfettamente in asse. C’è una sfasatura che è originaria e che non si può forzare se non facendo gravi danni. Per questo la storia ha riflettuto con finezza su tre dimensioni del matrimonio che non si lasciano del tutto unificare: il matrimonio naturale, il matrimonio civile e il matrimonio sacramentale non sono la stessa cosa. In ognuno di questi livelli gli uomini e le donne si giocano la vita, con un livello di esplicitazione diverso, ma con esperienze molto simili e spesso del tutto identiche. Fino al 1563 non esisteva alcuna possibilità di pensare (o di realizzare) quella unificazione nella Chiesa cattolica di ogni competenza sul matrimonio. Da allora l’idea di una “competenza generale” su tutti gli aspetti del matrimonio in capo alla Chiesa ha portato a non poche esagerazioni. Tra cui la indistinzione tra “matrimonio tra battezzati” e “matrimonio sacramentale”. La identificazione tra queste due posizioni ha creato una sorta di “blocco”, nel quale siamo tutti costretti a ragionare. È la nostra dottrina che, almeno a partire dalla metà del XIX secolo, equiparando il matrimonio tra battezzati a sacramento, ha reso possibile celebrare il matrimonio anche a chi è senza cresima, magari rimediando alla mancanza “in extremis”, ma secondo una logica non stringente. Il matrimonio è stato pensato “senza discepolato”: di questa soluzione istituzionale paghiamo oggi un prezzo assai caro. Per questo oggi può essere imbarazzante pensare ad una soluzione normativa diversa da quella che ci suona “normale”. Tuttavia è giusto riconoscere che se il rituale del matrimonio ha elaborato una differenza nei “percorsi di fede”, ipotizzando un rito nella liturgia eucaristica e un rito nella liturgia della parola, e se in parallelo anche il Rito della Confermazione considera la ipotesi di posticipare la Cresima al Matrimonio, forse questa scelta ha reso possibile anche la evoluzione che sa differenziare adeguatamente le logiche esistenziali e le logiche di discepolato. I riti di passaggio esistenziale e le forme del discepolato cristiano non si lasciano facilmente equiparare né temporalmente né spazialmente né affettivamente. E non credo che nel provvedimento della Chiesa di Palermo la preoccupazione della “condizione di peccato” (attribuita avventatamente ai conviventi o agli sposati civilmente) possa essere considerata la ragione del provvedimento, come risulta dal testo.
2. Quale rilevanza ha la “fede dei genitori”? La tradizione sa altrettanto bene che il battesimo, essendo il sacramento che sta sul margine esterno della Chiesa (per questo è detto “porta”), merita un trattamento molto attento, soprattutto se si mette in campo la possibilità di procedere al rito battesimale sotto le due condizioni eccezionali (e che tali rimangono) della infanzia e della malattia grave. Una dottrina classica sa bene che esiste la possibilità sia di battezzare i neonati, sia di battezzare chi si trova in pericolo di morte. In entrambi i casi, tuttavia, il battesimo non può essere un atto puramente passivo. Deve esserci almeno la dichiarazione di “volere il battesimo”, o di un atto di fede “in persona pueri”, compiuto o da parte dei genitori del bambino o da parte del soggetto stesso prima della malattia grave. Unire nello stesso tempo il pedo-battesimo, la causa di necessità e la mancanza di consenso dei genitori costituisce, senza ombra di dubbio, un atto illecito: non può essere secondo la giustizia di Dio se non riesce ad essere secondo la giustizia degli uomini. La “salvezza dell’anima” non può accadere istituzionalmente contro la volontà del soggetto o della famiglia nella quale è nato. Questo può essere giustificato solo se si resta legati ad una “societas inæqualis” in cui la libertà di coscienza non viene riconosciuta come base sostanziale dei rapporti sociali e religiosi. Purtroppo dobbiamo riconoscere che a livello normativo la Chiesa cattolica conserva tracce evidenti e molto imbarazzanti di una cultura della “societas perfecta” che non è più compatibile con la dignità degli uomini e delle donne. Finché avremo nel Codice di Diritto Canonico la norma così come formulata al can 868, per quanto recentemente modificata da papa Francesco. Si legga in particolare il §.2:
“Can. 868 – §1. Per battezzare lecitamente un bambino si esige:
1) che i genitori o almeno uno di essi o chi tiene legittimamente il loro posto, vi consentano;
2)che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica fermo restando il §3; se tale speranza manca del tutto, il battesimo venga differito, secondo le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori.
§2. Il bambino di genitori cattolici e persino di non cattolici, in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori.
§3.Il bambino di cristiani non cattolici è lecitamente battezzato, se i genitori o almeno uno di essi o colui che tiene legittimamente il loro posto lo chiedono e se agli stessi sia impossibile, fisicamente o moralmente, accedere al proprio ministro.”
Ne emerge una certa attenzione alle differenze confessionali, ma è fuori di dubbio che un punto cieco sulla libertà di coscienza traspaia con una chiarezza imbarazzante. Il §.2 è il relitto di un mondo che non dovrebbe più prendere parola in questa forma rozza, tanto più in un testo istituzionale e normativo per tutta la Chiesa cattolica, che può giustificare i peggiori abusi. Ci sono commentari al Codice che si limitano ad osservare: “il diritto alla salvezza prevale sulla potestà dei genitori sui figli”. Si tratta di parole prive del minimo discernimento e di sufficiente cultura teologica, ridotta qui a irresponsabile positivismo giuridico. S. Tommaso d’Aquino sapeva bene che è “contro la giustizia naturale” imporre il battesimo contro la volontà (S. Th, III, 68, 10, corpus).
3. La rilettura normativa della pastorale e i sacramenti “periferici”. Una competenza giuridica sul battesimo e sul matrimonio, che la Chiesa si riconosce da lunga data, deve mantenere il senso delle proporzioni e onorare la condizione “periferica” dei due sacramenti. In effetti tanto il battesimo quanto il matrimonio abitano la “periferia” della Chiesa e costringono la Chiesa a stare sempre anche “fuori di sé”: stanno infatti sulla soglia tra la vita comune e il discepolato cristiano. Questo lo sapevano gli antichi e i medievali tanto quanto noi, e forse anche meglio di noi. Ma lo hanno espresso secondo le culture che, di volta in volta, erano a disposizione. Le tracce di queste culture del passato segnano la dottrina giuridica e teologica in modo differenziato. Non è detto che il diritto sia necessariamente più arretrato della teologia o che la teologia non sia talora più lenta a recepire i cambiamenti che le normative possono più facilmente introdurre. Quello che è certo è che un solo comma di un canone, come avviene al 868 §2, può precipitare la Chiesa in una cultura della intolleranza e del fondamentalismo. Così come può illuderla di poter “governare” la pastorale matrimoniale con un complesso sistema di “condizioni sacramentali” per accedere al matrimonio. Il formalismo giuridico non salva, mentre le forme di vita chiedono di essere interpretate non per salvaguardare la validità dell’atto, ma per dare gusto e luce alla esperienza di sequela e di discepolato alle persone. Superare gli automatismi sacramentali, garantiti da formalismi giuridici estrinseci, e restituire alla tradizione la sua forza più autentica resta il frutto di un complesso equilibrio tra riforme normative urgenti, traduzione coraggiosa dei linguaggi e riconoscimento attento di nuove forme di vita.
4. Una curiosa vicenda di “ministerialità femminile”. Poiché la vicenda del “caso Mortara” ruota attorno ad un pedo-battesimo, compiuto di nascosto, all’insaputa dei genitori, da parte di una domestica, su un bambino in pericolo di morte, non si può non notare, vistosamente, la valorizzazione paradossale di una “competenza femminile”, che può essere esercitata soltanto nella condizione di “privatezza”, cosa che da molti secoli abilita anche la donna ad essere “ministro ecclesiale del sacramento”. Ma è proprio la “chiusura privata” della concezione della autorità ministeriale femminile a mostrare, limpidamente, il proprio limite: essa riesce in tal modo a fare ciò che istituzionalmente non si sarebbe potuto fare. Un atto “invisibile” e diremmo “clandestino” diventa il principio di effetti visibili, istituzionali, familiari e legali che discendono “a cascata” dall’atto privato femminile. È ovvio che questo sistema di equilibrio tra “salvezza dell’anima”, ministerialità ecclesiale differenziata e conseguenze giuridiche e familiari non controllabili oggi non regge più, se mai ha avuto una giustificazione. Ed è forse proprio la comprensione “privata” della ministerialità femminile una delle ragioni più evidenti di quel paradosso storico, che rivela una insufficiente calibratura del livello istituzionale e delle relazioni private e familiari: Dio agisce nel segreto, non la domestica o il monsignore. Qui un intero mondo è cambiato e deve essere ripensato, con categorie evangeliche e teologiche nuove, per elaborare le quali è utile anche rileggere i testi medievali, molto più liberi e limpidi di alcune diatribe ottocentesche. Anche il modo di intendere il battesimo, il dono di grazia, la condizione di validità e di liceità dei comportamenti ecclesiali chiede alla teologia una nuova responsabilità concettuale e linguistica, con l’utilizzo di categorie meno compromesse con quel modo di pensare la relazione tra privato e pubblico che non è più sostenibile senza vergogna e senza scandalo. È doveroso continuare a non vergognarsi del vangelo, guai se non fosse così, ma senza mai cadere nella indifferenza apologetica verso modi espressivi e stili di comportamento così violenti. O saremo ancora a lungo condannati a confondere la grande tradizione ecclesiale con le peggiori forme espressive dell’ancien régime?
Andrea Grillo blog: Come se non 1 giugno 2023
www.cittadellaeditrice.com/munera/matrimonio-senza-cresima-e-battesimo-senza-consenso-il-rapporto-tra-discepolato-e-istituzione-in-una-crisi-di-crescita
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