UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Con l’aiuto della Vergine Maria
Traduzione dallo spagnolo della Poesia di fra’ Giovanni della Croce Disegno di Caravaggio
Poiché era arrivato il tempo In cui nascere doveva, Come uno sposo novello, Dal talamo se n’uscì. | Abbracciava la sua sposa, Che tra le braccia portava, Mentre la Madre graziosa Nel presepe lo posava. | Alcuni animali intorno Se ne stavano quel giorno. Canti dagli uomini uscivano, Dagli angeli melodia: |
Del matrimonio gioivano Che tra questi due accadeva. –Però nel presepe Dio Stava piangendo e gemeva, | Gioie queste che la sposa Al matrimonio portava La Madre era stupita Quando il baratto osservava; | Il pianto dell’uomo Dio E nell’uomo beatitudine, Ciò che dell’uno e dell’altro Era insolita abitudine. |
UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI
“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.
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Carta dell’U.C.I.P.E.M.
Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto
1. Fondamenti antropologici
1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia
1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.
1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.
CONTRIBUTI ANCHE PER ESSERE IN SINTONIA CON LA VISIONE EVANGELICA
03 ABORTO Accanto alle esperienze di aborto
05 ABUS I Il caso di padre Rupnik: una cronologia
06 I baci nel nome dell’eucarestia e il sesso a tre per imitare la Trinità. Parla la suora
10 Il caso Rupnik e la morale cattolica che va a farsi benedire
11 Libanori: la fede dei piccoli scossa dallo scandalo dei fatti attribuiti a p. Marko Rupnik
12 Caso Rupnik: card. De Donatis, “risanare le ferite e fare piena luce”.
13 Compagnia di Gesù. Padre Sosa: dolore e stupore per la vicenda Rupnik
14 Caso R. si facciano avanti eventuali altre vittime, saranno ascoltate con empatia
14 intervista-video nel 2016 padre Rupnik
14 Nuove accuse al gesuita Rupnik: si allarga lo scandalo che sta scuotendo la chiesa
15 Chi è Marko Rupnik, il gesuita accusato di abusi apprezzato da tre papi
18 Caso Rupnik: non basta più l’indignazione!
19 AiBi Adozione internazionale: Come nasce la fratellanza tra fratelli adottati in tempi diversi?
20 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 47, 21 dicembre 2022
22 CONSULTORI UCIPEM Cremona. Programma per gennaio 2023
22 Mantova. Pluralità di servizi e sostegni
22 Mestre. Consulenza e tirocinio – punto di ascolto per studenti della Scuola media
24 Parma. Famigliapiu adozioni internazionali e opportunità per scuole, genitori e figli
24… Pescara. Percorso di Accompagnamento alla Nascita da gennaio 2023
25 Trento. Prendersi cura delle relazioni
25 Treviso. Convegno ”Accompagnare la famiglia” 29 ottobre 2022
26 Vittorio Veneto. Mediazione familiare altro
26 DALLA NAVATA Natale . Messa della notte
26 Omelia
28 RIFLESSIONI L’umiltà di Bergoglio e gli uomini capaci di rinunciare al proprio ego I
29 Il senso della natività: continuare a rinascere
31 SIN0DI l post della rivista Il Regno. Eppur si muove
33 Germania: il Cammino sinodale è stato pensato per “fare pressione sulla Chiesa”
34 Enzo Bianchi “Il posto della donna nella Chiesa”
35 Germania: con gli occhi degli altri
ABORTO
Accanto alle esperienze di aborto
L’esperienza dell’aborto, dell’interruzione della gravidanza, irrompe nelle vite, nelle biografie e nei corpi di tante donne, e di alcuni uomini: e crea sospensioni, disorientamenti, fratture, e bisogni di riconciliazione e di nuovo inizio. Queste interruzioni sono volontarie o involontarie, obbligate o necessarie, sono vissute nell’incertezza o nella convinzione, nella sofferenza o nella pacatezza, si vivono nell’accompagnamento o nella solitudine. Sono esperienze che vengono da resistenze o della resa. In ogni caso le tracce restano a lungo, profonde, e riemergono nel tempo a volte improvvise. Le tracce restano a lungo, profonde, e riemergono nel tempo a volte improvvise.
Credo sia importante e che sia giusto pensare insieme queste esperienze: insieme, come articolazioni ognuna unica e complessa, di una profonda esperienza dell’umano, della donna in particolare, oltre che delle sue relazioni vitali. Si tratta dell’esperienza dell’origine, dell’incontro delicatissimo e non scontato con l’essere-per-la-nascita di ogni persona, di ogni donna, e delle relazioni tra le donne, tra le donne e gli uomini. Tra noi.
Non esiste un’unica storia d’aborto, non ne esiste una tipica. Ne esistono tante, tante quante sono le donne che lo vivono, che lo scelgono o che lo subiscono. Anche per chi lo decide non vi sono ragioni uguali. Anche se vi possono essere simili crude realtà quotidiane che rendono molto difficile la maternità. Per alcune sentita come quasi impossibile, non immaginabile.
La vita del feto e la vita della madre, della donna sono vita dalla vita e vita della vita. Vita dalla e nella relazione. Certo ogni corpo di vita ospita anche il peso, a volte il senso di insostenibilità della vita stessa, e della vita altra. Questo è umano, molto umano. Le esperienze della debolezza e della vulnerabilità attraversano il cuore dell’esistenza di tutti noi.
L’oblio delle domande che contano. Abbiamo costruito tante e diverse forme di controllo, di sostegno, di dominio sulla vita; alcune paiono buone e utili, come le cure e le terapie. Ma quante di queste servono solo ad evitare ed eludere le domande profonde sul nascere e sul morire: sulla nascita, sulla nascita interrotta, sul finire, sul finire estenuato o interrotto? Quante sono un “rifugio” utile per eludere la riflessione, anche l’incontro: quello che è necessario per provare a cogliere un senso, a condividere e tenersi in prossimità negli attraversamenti verso il nascere ed il morire? Come si può, allora, orientare a un decidere che sia scegliere promuovendo la maturazione di un cammino, di parole condivise ed ascolti, di ricerca d’affidamento?
L’umano non è semplicemente gettato-nel-mondo: prima ed oltre l’essere-per-la-morte (secondo l’espressione heideggeriana) è essere-dato-alla-luce (come indica Maria Zambrano). Occorre accogliere, riprendere, diffondere l’invito ad una lettura della nascita, come dimensione decisiva dell’avventura umana. Prezioso è un libro che la indica e la segna: Filosofia della nascita, di Silvano Zucal.
Molto pensiero femminile contemporaneo, da Hannah Arendt a Maria Zambrano, pone al centro dello statuto esistenziale dell’umano l’essere-per-la-nascita. E segna una traccia preziosa e particolare sul nascere, che si rivela differente rispetto a quella bioetica.
L’approccio bioetico per quanto sia di carattere generale (discorso assiologico o comunque sui principi generali dell’etica da applicare alle questioni della vita), speciale (ovvero dedicato alle grandi questioni come l’aborto o la sperimentazione genetica) e, infine, clinico (esami dei casi clinici problematici per orientare la prassi medica) non si soffermerà mai sul senso dell’evento-nascita.
E Claudio Tarditi, ripreso da Zucal, precisa che circa il tema della nascita, la bioetica di occuperà dunque di tutte le questioni ad essa correlata – contraccezione, interruzione di gravidanza, aborto, indagini prenatali, ecc – ma sempre mantenendo il proprio carattere applicativo e normativo: in altri termini, lo statuto epistemologico della bioetica individua il suo campo d’indagine nei principi e nei valori che determinano le scelte dell’individuo nei confronti delle possibilità che il progresso tecnico-scientifico gli offre, escludendo tuttavia de jure qualunque riflessione sul senso esistenziale e ontologico del nascere in quanto tale.
La filosofia della nascita cambia lo sguardo. L’evento nascita è considerato come esperienza dell’accesso all’umano, è sorgente ed è inizio. L’”essere-natali” richiama al creare spazio vitale per la nascita, e subito rivela la dimensione relazionale e dialogica della nascita. Come pure la sua unicità, irripetibilità, e certo anche la vulnerabilità, l’accoglienza ricevuta, il riconoscimento. Mostra che è spazio lasciato in un corpo.
Si tratta della prima, costitutiva relazione. Chiede una maturazione, una gestazione, il mettere al mondo, il dare alla luce. “Ogni uomo è allora dato davvero a se stesso, soltanto grazie all’essere messo al mondo “da altri”, dalla madre in primis e dal padre”. Generato da altri e non solo frutto biologico d’un atto riproduttivo. Se prima vigeva un legame come unione, ora si dà un legame come relazione Io-Tu, come riflette Martin Buber.
Essere-per-la-nascita incontra, provoca e lascia a volte anche cammini interrotti, che poi si continuano a portare con sé. Come un non ancora, come un già dato e lasciato. Come una gravidanza interrotta. Così è la vita, la vita è anche questo: lasciare il non ripetibile, o perderlo. Resta l’attesa, con una nuova solitudine, resta l’enigma doloroso e il cammino del nuovo, faticoso.
La filosofia della nascita è sempre, come sostiene Carla Canullo, filosofia della maternità. Inaspettatamente e in modo sorprendente la vita solita e normale non è più la stessa è nostra ma non è più nostra (…)all’inizio siamo noi, sono io [madre] a sentir vivere la mia carne, a viverla e sentirla come diversa quasi che il corpo […] avesse ‘preso vita’. Così, la vita del corpo diventa una nuova vita nella carne; una vita che non è più la stessa anche se niente, nel corpo che gli altri guardano, si vede o si coglie. Non si vede, cioè, la sorpresa dell’impossibile, di una nuova vita: l’inaudita novità di qualcuno che arriva in noi. Il corpo inizia a rispondere alla soprese e muta. Freme e geme: non è questa una esperienza di pace, è anche esperienza di lacerazione il cambiamento. È ferita “nel nostro proprio” afferma Canullo: scoprire che è nostra non come possesso ma come qualcosa che ci è donato e dato affinché porti frutto e si dilati. Questo ferisce, ossia scoprire […] che ciò che è nostro ci è affidato in custodia perché porti frutto. In una sovrabbondanza che deborda. Una vita sorpresa dall’altro, un invito a lasciare che sia. Non è tanto questione di coraggio dare alla luce un figlio, forse più semplicemente si tratta di “rispondere alla spirale di vita che ci avvolge e che in noi e con noi continua a generare”.
La fatica di accogliere la nuova vita. A volte rispondere può far paura, a volte ci si vuol sottrarre del tutto, sentendo svelata la propria nudità, la propria vulnerabilità. E ci lascia allora compressa la spirale, nel timore dell’energia che si può sprigionare, o nel presentimento del senso di incapacità, o pensando al rischio di dover abbandonare, o di sospendere ruoli, stabilità, progetti. Già si fatica a “prender carico“ della propria vita!
“Di fronte a ciò che ci chiama (…) non è scontato seguirlo, accoglierlo: occorre impararlo”. Certamente si può riuscire, se ci si affida, se lo si condivide, e se allora lo si desidera. Ma a volte si fatica, non si sente che può essere il tempo; e si incespica, non si riesce, e si rinuncia. Non è scontato, e certo non è semplice sentire e maturare in sé l’umano come affidamento e responsabilità. A volte è questa la più difficile gestazione: specie se è ancora tutta da maturare dentro di sé, e con il compagno, e nel proprio mondo di vita.
Zucal nota che la tentazione della filosofia di rimuovere la nascita “e tutto ciò che essa implica come dimensione satura di senso” arriva fino al cuore della contemporaneità. E così si smarriscono dimensioni di assoluto rilievo esistenziale: la vivacità, il senso della corporeità, l’imprevedibilità degli eventi futuri, la genealogia femminile (non a caso determinante nel mondo ebraico) e – soprattutto – il costante rinnovamento della vita comune”.
Chi viene al mondo è un inizio, è il nuovo. Origine, ancora, nel corpo di una donna; e comunque la nascita, il parto sono eventi dolorosi. E segnati dalla fragilità, quindi dal bisogno di cura, di vicinanza tenera. Di senso del dolore e della prova, di dedizione e sororità e fraternità. Si è nudi e in mani d’altri nascendo, generando e morendo. E già questo si fatica ad ospitarlo nella nostra società “senza dolore”. Si è nudi e in mani d’altri nascendo, generando e morendo I cammini verso la nascita a volte si interrompono. Lasciando segni e nostalgie profondissime. Anche il senso di una lacerazione nei confronti della propria nascita, del proprio essere nati da nostra madre, dal corpo di una donna.
L’interruzione di una gravidanza è l’interruzione di un risalire alla propria nascita, all’essere nata. All’essere nato, per quel compagno, che prova una presenza amante e una compagnia. Il filo che si spezza, per scelta o per perdita, è sempre un filo teso in avanti verso il possibile e il nuovo, e indietro, verso il proprio essere nati. Essere per la nascita. Questione di libertà. L’essere per la nascita è nella tenuta di questi fili. L’interruzione, anche quando è decisione, è non tenerli, perderli o smarrirli. È qualcosa di profondo, è questione che resta. Molto al di là del diritto e di un gioco semplice di libertà tra possibilità. Questa profondità va ascoltata e rispettata.
Legge, diritto, filosofia, teologia non bastano. Spesso l’interruzione della gravidanza viene letta, e ridotta, dentro le categorie del diritto. Se per diversi aspetti questo è legittimo, e a volte necessario, occorre tenere presente ciò che Simone Weil rileva circa il diritto. Il riferimento al diritto inserisce presto la dimensione della forza, e della separazione. Elegge il soggetto come soggetto di diritto, distinto e alzato di fronte ad un altro soggetto di diritto. Il diritto nasce invero sempre da un’obbligazione: quella che muove altri a riconoscere, a promuovere, a osservare.
Quelle che si muovono nelle storie di gravidanza e di interruzione di gravidanza sono esperienze e dimensioni delicate del vivere, che non sono contenibili negli argini del diritto e della biomedicina tecnologica, o negli schematismi del giudizio della filosofia e della teologia. È un’eccedenza da ascoltare e magari da incontrare in quelle che Paul Ricoeur, in un’intervista sulle scene della cura in cui si prendono decisioni sul vivere e sul morire, chiama “cellule del buon consiglio”.
Un segnale interessante: la diminuzione degli aborti è doppia rispetto alla diminuzione delle nascite Un dato interessante degli ultimi anni è quello della diminuzione delle interruzioni di gravidanza. Ovunque, con un rilievo particolare in alcune regioni. Mentre in altri paesi europei gli aborti sono molto più frequenti, fino al doppio dell’Italia. La riduzione delle interruzioni è doppia rispetto alla riduzione delle nascite. I dati si prestano certo a molte interpretazioni, possono aprire a molte riflessioni: circa il ruolo della contraccezione (qualcuno non la considera granché rilevante), sulla consapevolezza crescente nelle coppie, specie giovani attorno al valore ed all’accoglienza della vita, attorno alla scoperta di ”essere per la nascita”.
Quanti aborti, della miseria e delle speranze inaridite, nei tempi passati, ma anche nell’oggi, quanti dell’obbligo e della vergogna, della solitudine e del corpo fragile. Come tante sono le sorprese della nascita accanto a sfinimenti o a fallimenti. Quanti i timori e gli strappi. Quanta misericordia per i feti e le vite non nate, e quanta misericordia per le donne ferite nei corpi e nelle anime. Quanta vita dolente e mancata, senza respiro o non sbocciata; quanta vita ripresa, riparata, e abbracciata, tra sospiro e respiro. Vita non innocente, ma ancora capace di inizio. L’essere-per-la-nascita in ogni vissuto unico di aborto resta una dimensione di vita da ritessere, da riaprire, da rigenerare in sé e nelle relazioni per ogni donna, e per ogni uomo che la accompagna, che la ama e la rispetta. Per ogni donna e uomo del suo mondo della vita, quello che ha cura di lei (e di loro). Quei fili tesi e fragili in avanti e indietro vanno ripresi, riannodati, ripercorsi in cammini nuovi, riscoperti. Essere grazie alla nascita ed essere aperti alla nascita, generativi, sarà “tornare a nascere”, a riscoprire sé, e il proprio corpo, la propria vita, la propria storia nell’origine ed all’origine. Originale ed originaria. Certo, questo chiederà altra gestazione, nuova tensione d’attesa vulnerabile, sorpresa per la rigemmazione dell’accoglienza, dell’affidamento, delle responsabilità e della condivisone.
Ivo Lizzola La barca e il mare 3 dicembre 2022
ABUSI
Il caso di padre Rupnik: una cronologia
Mentre continuano a emergere rivelazioni sui presunti abusi sessuali e spirituali commessi da parte Marko Ivan Rupnik, artista rinomato, il sito statunitense National Catholic Register offre una cronologia degli sviluppi di questo caso. Alcuni blog italiani sono stati i primi a pubblicare un paio di settimane fa degli articoli che rivelavano gli abusi attribuiti al gesuita sloveno negli anni Novanta. La Compagnia di Gesù ha poi confermato che era stata svolta un’indagine, ma che il Dicastero per la Dottrina della Fede aveva chiuso il caso perché caduto in prescrizione.
Il 14 dicembre 2022, il superiore gesuita p. Arturo Sosa ha affermato che padre Rupnik è stato scomunicato nel 2019 per aver assolto sacramentalmente una donna con cui aveva avuto rapporti sessuali nel 2015. In seguito Rupnik ha confessato questo peccato, sollevando così la scomunica. Il sito mostra tuttavia che il caso riguarderebbe questioni diverse. Altri abusi sarebbero stati commessi all’interno della Loyola Community, una comunità gesuita mista co-fondata da padre Rupnik in Slovenia negli anni Ottanta. Le vittime erano tutte membri femminili della comunità, e il sacerdote è stato accusato anche di abuso di potere. Dopo disaccordi con l’altro co-fondatore, padre Rupnik si è trasferito a Roma, dove nel 1993 ha fondato il Centro Aletti. Lì si è guadagnato una notevole reputazione come artista, e ha anche restaurato una cappella nel Palazzo Apostolico. È stato solo nel 2018 che i Gesuiti hanno aperto una prima indagine. C’è stato un processo, e padre Rupnik è stato giudicato colpevole. Gli sono state imposte delle restrizioni: nessun contatto con le donne, niente direzione spirituale. Stranamente, nel marzo 2020 il Papa ha chiesto a padre Rupnik di predicare le omelie quaresimali. Nel 2021 è stata aperta a Roma una seconda indagine, ancora in corso, e poi un’altra da parte dei Gesuiti, relativa ad altri abusi commessi da padre Rupnik: nove donne lo hanno accusato. Nel 2022, però, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha rifiutato di giudicare i fatti perché ritenuti caduti in prescrizione.
I baci nel nome dell’eucarestia e il sesso a tre per imitare la Trinità, parla la suora vittima di Rupnik
«La prima volta mi ha baciato sulla bocca dicendomi che così baciava l’altare dove celebrava l’eucaristia, perché con me poteva vivere il sesso come espressione dell’amore di Dio». Inizia così della violenza sessuale, psicologica e spirituale che Anna (nome di fantasia), oggi 58 anni, ex religiosa italiana della Comunità Loyola, ha subito per nove anni da parte di Marko Rupnik (α 1954). Il padre gesuita, teologo e artista noto in tutto il mondo, è oggi al centro di uno scandalo per l’accusa di abusi nei confronti di alcune suore, come Domani ha raccontato nei giorni scorsi. Anna, arrivata a sfiorare il suicidio per le sofferenze causate dal delirio di onnipotenza e dall’ossessione sessuale del gesuita, ha denunciato più volte il suo abusatore nel corso degli anni. Ma la Chiesa ha sempre coperto tutto.
Quando ha conosciuto Marko Rupnik?
Nel1985, avevo 21 anni e frequentavo la facoltà di Medicina. Pensavo di partire missionaria dopo la laurea e sentivo il bisogno di una crescita nella fede. Ero anche appassionata di arte e una suora che conoscevo mi presentò questo pittore gesuita che aveva un piccolo atelier in piazza del Gesù a Roma. Rupnik aveva dieci anni più di me ed era al primo anno di sacerdozio; con lui mi sentivo a mio agio ed è diventato subito la mia guida spirituale.
Che tipo di persona era?
Già negli anni ’80 per i giovani gesuiti sloveni era una star. Aveva un forte carisma personale nello spiegare il Vangelo e una spiccata sensibilità nell’individuare i punti deboli delle persone. Così ha immediatamente capito le mie fragilità, le insicurezze e le paure che avevo.
Come è iniziato il vostro rapporto?
Ho cominciato a frequentare il suo atelier perché ero affascinata dalla pittura e in particolare dai colori di Chagall. Mi sentivo importante per lui: mi piacevano i suoi quadri e molto spesso parlavamo mentre dipingeva. Poi cominciò a sottolineare ogni contatto tra noi, dicendomi che ogni gesto aveva un significato preciso: anche una semplice stretta di mano o una carezza sul braccio diventavano un’occasione per sottolineare la mia femminilità. Non potevo certo immaginare che quella fosse già una strategia per arrivare ad avere ben altro tipo di rapporti fisici con me, come non potevo capire che quell’abbraccio dopo ogni confessione era un invito ad andare oltre. Allo stesso modo non potevo immaginare che allora, quando mi spiegava che i corpi disegnati sulle tavole del Kamasutra erano una forma d’arte, era già un assiduo frequentatore di cinema porno.
Non trovava niente di anomalo nel suo modo di fare?
A volte mi sembrava strano, ma me lo spiegavo con il suo essere artista. Voleva che gli facessi da modella e una volta mi ha chiesto di posare per un suo quadro perché doveva disegnare la clavicola di Gesù e non cercava delle ragazze “del mondo”, che esprimevano a suo dire solo sessualità, ma una persona in ricerca come me. Non è stato difficile accettare e sbottonare qualche bottone della camicetta. Per me, che ero ingenua e inesperta, significava soltanto aiutare un amico. In quell’occasione mi ha baciata lievemente sulla bocca dicendomi che così baciava l’altare dove celebrava l’eucarestia. Ero frastornata: da una parte sarei voluta scappare, dall’altra padre Marko mi incoraggiava dicendomi che potevo vivere quella realtà perché ero speciale ed era un dono che il Signore faceva solo a noi; che solo con me poteva vivere, anche nel fisico, l’appartenenza a Dio senza possesso, nella libertà, a immagine dell’amore trinitario.
E lei gli ha creduto?
Bisogna capire come funziona il discernimento ignaziano (da sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ordine a cui appartiene papa Francesco, ndr): sei chiamato a una totale disponibilità e apertura ed è il tuo padre spirituale a guidarti nella comprensione di cosa è bene e cosa è male. Se chi ti guida dice che Dio lo vuole e tu non obbedisci, ti metti contro Dio. È proprio lì che si può insinuare la manipolazione, come è successo con padre Rupnik. Io avevo paura di sbagliare, paura di perdere la sua approvazione, mi sentivo fortemente dipendente dal suo giudizio. Se non facevo come voleva lui, subito diceva che il mio cammino spirituale si arenava e mi presentava come “sbagliata” agli altri ragazzi e ragazze del gruppo che nel frattempo si andava formando intorno a lui. Soltanto padre Marko decideva chi andava bene e valeva la pena di supportare; chi invece era nell’errore veniva umiliato e messo in disparte.
Quando ha deciso di affidarsi totalmente alla guida spirituale di Rupnik?
Nell’estate del 1986, prima che lui partisse per un viaggio, ci siamo visti nel suo atelier. Abbiamo celebrato insieme l’eucarestia e poi lui si aspettava che mi spogliassi e mi lasciassi toccare come sempre. Quella volta però mi sono rifiutata e lui mi ha aggredita con parole molto dure e cattive, dicendo che non valevo niente, che non avrei mai fatto niente di buono; ha aggiunto che per lui ormai contavano solo altre due donne, di cui mi ha fatto il nome, e che voleva chiudere ogni rapporto con me. Io ero disperata perché ormai dipendevo totalmente dalla sua approvazione. Non era amore, solo paura di sbagliare. Da quella volta ho deciso di mettere da parte i miei dubbi e di affidarmi totalmente a lui. Ho creduto che quello che vivevamo insieme avrebbe fatto di me una persona migliore davanti a Dio; invece è stato solo l’inizio dello stravolgimento della mia identità e della perdita di me stessa.
Si è trattato quindi di un plagio?
È stato un vero e proprio abuso di coscienza. La sua ossessione sessuale non era estemporanea ma profondamente connessa alla sua concezione dell’arte e al suo pensiero teologico. Padre Marko all’inizio si è lentamente e dolcemente infiltrato nel mio mondo psicologico e spirituale facendo leva sulle mie incertezze e fragilità e usando al contempo il mio rapporto con Dio per spingermi a fare esperienze sessuali con lui. Così, il sentirmi amata come la Sapienza che gioca davanti a Dio, come è scritto nel libro dei Proverbi, si è trasformato nella richiesta di giochi erotici sempre più spinti nel suo atelier al Collegio del Gesù a Roma, mentre dipingeva o dopo la celebrazione dell’eucaristia o dopo la confessione.
Come è entrata nella Comunità Loyola?
Sono stata fra le prime sorelle della Comunità Loyola di Mengeš, una località a quindici chilometri da Lubiana, e ne ho fatto parte dal 1° ottobre del 1987 al 31 marzo 1994. In un periodo così delicato e fragile come è quello in cui si sceglie quale strada prendere nella vita, padre Marko ha preteso da me una disponibilità e un’obbedienza assolute, caratteristiche che erano anche un tratto distintivo del carisma della Comunità, di cui lui era il garante davanti alla Chiesa su incarico dell’allora arcivescovo di Lubiana Alojzij Šuštar. Padre Marko mi ha chiesto quindi di lasciare medicina e di partire per la Slovenia con la superiora, Ivanka Hosta, e altre sei sorelle. Isolata dalla mia famiglia e dai miei amici, è stato facile per Marko manipolarmi a suo piacimento.
Che cosa è successo in Comunità?
Il primo gennaio 1988 ho professato nella cappella di Mengeš i primi voti religiosi davanti a monsignor Šuštar, voti che ho poi ripetuto nel 1991 nelle mani dello stesso arcivescovo. Gli abusi di padre Marko sono continuati e avvenivano in auto quando lo accompagnavo durante i suoi viaggi. È diventato più aggressivo: mi ricordo una masturbazione molto violenta che non sono riuscita a fermare e durante la quale ho perso la verginità, episodio che ha dato inizio a pressanti richieste di rapporti orali. La dinamica era sempre la stessa: se avevo dubbi o mi rifiutavo, Rupnik mi screditava davanti alla Comunità dicendo che non stavo crescendo spiritualmente. Non aveva freni, usava ogni mezzo per raggiungere il suo obiettivo, anche confidenze sentite in confessione. Lì è cominciato il mio crollo psichico.
Le violenze sono avvenute soltanto in Slovenia?
No, anche nella sua stanza del Centro Aletti a Roma. Qui padre Marko mi ha chiesto di avere rapporti a tre con un’altra sorella della Comunità, perché la sessualità doveva essere secondo lui libera dal possesso, ad immagine della Trinità dove, diceva, «il terzo raccoglieva il rapporto tra i due». In quei contesti mi chiedeva di vivere la mia femminilità in modo aggressivo e dominante e dato che non ci riuscivo mi umiliava profondamente con frasi che non posso ripetere. L’ultimo gradino di questa discesa all’inferno è stato il passare dalle giustificazioni teologiche del sesso ad un rapporto esclusivamente pornografico. Nel 1992, mentre frequentavo il quarto anno di filosofia alla Gregoriana, mi ha anche portato due volte a vedere dei film porno a Roma, in via Tuscolana e nei pressi della stazione Termini. Ormai stavo malissimo.
Rupnik abusava soltanto di lei o anche di altre donne?
In quel periodo padre Marko aveva cominciato apertamente a plagiare altre sorelle della Comunità, con le solite strategie psico-spirituali che già aveva usato con me, con l’obiettivo di fare sesso con quante più donne possibile. All’inizio degli anni ’90 eravamo 41 sorelle e padre Rupnik, da quel che so, è riuscito ad abusare di quasi venti. A volte a caro prezzo: una di loro, nel tentativo di opporsi, è caduta e si è rotta un braccio. Lui era sfacciato e parlava apertamente delle sue tattiche per ammorbidire quelle che gli resistevano. Ho provato a fermarlo ma era inarrestabile nel suo delirio. L’ho anche minacciato di denuncia ma mi ha risposto: «Chi vuoi che ti creda? È la tua parola contro la mia: se parli, ti faccio passare per matta».
Lei che cosa ha fatto?
A quel punto volevo soltanto che tutto finisse. Sono scappata dalla Comunità per lasciarmi morire nei boschi: speravo che quel gesto estremo avrebbe ricondotto padre Marko alla ragione.
Per fortuna, invece, è sopravvissuta. Lui come ha reagito?
L’ho affrontato accusandolo di falsità ma la sua unica reazione è stata il silenzio. Volevo anche parlare con la mia superiora Ivanka Hosta di quel che era successo ma in quel momento non ne ho avuto la forza e ho cercato invece di concentrarmi sulla tesi in filosofia, che ho discusso a giugno del 1993. Nel frattempo, però, un’altra sorella si è rivolta a Hosta per raccontarle del devastante rapporto che padre Rupnik intratteneva sia con lei che con me.
Che cosa è successo a quel punto?
Padre Marko è stato provvisoriamente allontanato dalla Comunità per il periodo estivo. Ho chiesto allora di poter incontrare il consigliere spirituale di padre Marko, padre Tomáš Špidlík (poi creato cardinale diacono nel 2003 da papa Wojtyła, ndr), con la speranza di poter finalmente riuscire a dire a qualcuno quello che era successo in tutti quegli anni. L’ho raggiunto al santuario vicino a Livorno dove risiedeva durante l’estate e gli ho chiesto di confessarmi. Ho cominciato quindi a parlargli degli abusi e lui mi ha bloccata dicendo che quelle erano cose mie e che non voleva ascoltarmi. Ero sconvolta, per un sacerdote rifiutare una confessione è un peccato grave. Non solo: mi ha consigliato di scrivere una lettera di dimissioni, lettera che ha poi scritto lui stesso e che conservo ancora, nella quale specificava che non c’erano motivi precisi per la mia richiesta di dispensa dai voti, soltanto una generica tensione che non ero più in grado di reggere. A quel punto ho capito che era d’accordo con padre Rupnik e che non voleva essere coinvolto nello scandalo insieme al centro Aletti, di cui era ideatore e primo referente.
È stata aiutata da qualcuno in quel frangente?
Nessuno mi ha aiutata: né la superiora Ivanka Hosta, a cui alla fine mi ero rivolta, né le altre sorelle della Comunità. Nemmeno i gesuiti superiori di Rupnik e l’arcivescovo Šuštar. Padre Marko era protetto da tutti e io non ero altro che il capro espiatorio di una situazione imbarazzante, l’anello debole della catena che si poteva sacrificare per un bene superiore. Nel settembre del 1993 sono quindi rientrata a Mengeš con Ivanka come consigliera provvisoria, in attesa delle elezioni interne, previste per la Pasqua dell’anno successivo. Il clima di ostilità nei miei confronti era palpabile ma ricordo che una sorella, di cui ancora non sapevo nulla, è venuta in lacrime a confidarmi che padre Marko aveva abusato anche di lei. Nessuna però osava parlare apertamente e vivevamo in un clima di omertà. Prima di Pasqua fu organizzato un incontro fra padre Marko, Ivanka Hosta e l’arcivescovo per affrontare finalmente la questione: avrei dovuto partecipare anche io ma all’ultimo momento la superiora me lo impedì. Io scrissi una lettera di denuncia che lei avrebbe dovuto consegnare all’arcivescovo ma non so neppure se monsignor Šuštar l’abbia mai ricevuta. Hosta comunque non disse nulla contro Rupnik, l’altra sorella abusata rifiutò di scrivere una testimonianza e tutto finì in un nulla di fatto. Quel che è certo è che proprio in quel periodo le costituzioni della Comunità erano in Vaticano pronte per l’approvazione.
Rupnik non è stato sanzionato in nessun modo?
È stato allontanato dalla Comunità ed è tornato a Roma e da allora ha continuato tranquillamente la
sua carriera.
E lei?
Ivanka mi aveva destinata a lavorare in cucina a Mengeš per il resto della mia vita, senza nessuna prospettiva di cambiamento. Ho obbedito, anche se in cuor mio pensavo che sarei morta. Poco tempo dopo, alla vigilia delle elezioni interne, durante la condivisione comunitaria ho provato ancora a denunciare il malessere profondo che era alla base delle nostre relazioni ma la superiora mi ha estromessa dalle votazioni dicendo che ero pericolosa perché sotto l’influenza del diavolo. Il giorno seguente ho lasciato definitivamente la Comunità.
Dopo che cosa è accaduto?
Anni dopo Ivanka mi ha scritto chiedendo perdono a me e alla mia famiglia, a cui era stato detto che ero schizofrenica. Dopo le dimissioni ho sofferto a lungo di depressione e anche in seguito non sono riuscita ad avere una relazione affettiva e a costruirmi una famiglia. L’abuso che ho subito ha sconvolto profondamente la mia psiche e lasciato segni indelebili nello spirito e nel corpo, che mi hanno impedito di fare scelte significative.
Arriviamo ad oggi. Da quando il caso è uscito sui giornali, i gesuiti si sono espressi in modo reticente e contraddittorio. In particolare il delegato della Compagnia di Gesù a Roma padre Johan Verschueren ha detto che Rupnik non è accusato di abusi sessuali ma di “comportamenti trasgressivi” durante la confessione. È possibile che i gesuiti non sapessero delle accuse?
No, non è possibile. La Chiesa e l’ordine dei gesuiti erano a conoscenza dei fatti sin dal 1994, quando ho portato personalmente la mia richiesta di dispensa dei voti all’arcivescovo di Lubiana, nella quale denunciavo gli abusi da parte di padre Rupnik. L’arcivescovo in quell’occasione mi disse soltanto che la Compagnia di Gesù lo aveva sanzionato severamente, cosa poco credibile visto che in quegli anni nasceva e si consolidava l’operato del Centro Aletti. Non solo: anche un’altra sorella, uscita dalla Comunità Loyola nel 1996, non direttamente coinvolta nella relazione con padre Marko ma informata dei fatti, parlò nel 1998 con padre Francisco J. Egaña, all’epoca delegato per le case internazionali della Compagnia di Gesù a Roma, che la ascoltò ma non fece nulla.
Il preposito, cioè il capo della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal, ha confermato che Rupnik è stato scomunicato, in seguito a una denuncia del 2019, per aver assolto in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale. Che effetto le fa questa ammissione?
Mi addolora profondamente, perché conferma la convinzione che ho sempre avuto, e cioè che padre Marko ha continuato ad abusare delle donne che ha incontrato durante tutto questo tempo. Andava fermato trent’anni fa. Sono sconcertata per il fatto che Rupnik ancora non avverta la responsabilità delle conseguenze che le sue azioni hanno avuto sulla mia vita e su quella di tante altre consorelle che potrebbero parlare.
Nonostante questo, il Dicastero per la Dottrina della fede ha chiuso ad ottobre 2022 un’indagine ecclesiastica su Rupnik perché ha ritenuto che i fatti erano da considerarsi prescritti. Lei è stata ascoltata in questa occasione?
Sì, ho testimoniato il 10 dicembre 2021 e ho raccontato tutto quello che ho subìto nei minimi dettagli.
Dopo la sua testimonianza al Dicastero, che cosa è successo?
Dato che per mesi non ho più saputo nulla dell’esito dell’indagine ecclesiastica, lo scorso giugno ho scritto una lettera aperta in cui ho ripetuto la mia denuncia contro padre Rupnik, indirizzata al generale dei gesuiti padre Sosa. In copia c’erano, tra gli altri, il cardinale Luis Ladaria, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis, padre Johan
Verschueren, padre Hans Zollner, la direttrice del Centro Aletti Maria Campatelli e altri membri della Compagnia di Gesù e del Centro Aletti. Non ho avuto risposta da nessuno di loro.
Pensa di chiedere un risarcimento in sede civile per i danni morali e materiali?
Sto valutando con il mio avvocato questa possibilità.
intervista a Anna a cura di Federica Tourn “Domani” 18 dicembre 2022
www.editorialedomani.it/fatti/abusi-sessuali-rupnik-gesuiti-sesso-chiesa-vaticano-q3youohh
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221218annatourn.pdf
Il caso Rupnik e la morale cattolica che va a farsi benedire
Il “caso Rupnik” – le accuse di violenza e abuso sessuale mosse da alcune suore nei confronti del gesuita, ndr – si è arricchito, da qualche giorno, di nuovi e più sconvolgenti elementi. Due donne per anni vicine al gesuita sloveno hanno iniziato a parlare. Una prima testimonianza è stata raccolta da Federico Tulli e pubblicata su Left;
-una seconda è stata affidata da una ex consacrata a Federica Tourn e pubblicata su Domani. ↑ È proprio al contenuto di quest’ultima che si ispirano le riflessioni che seguono.
L’autenticità del racconto di Anna, questo il nome di fantasia scelto per designarla, non è naturalmente da me verificabile e tuttavia a me la sua storia pare fortemente verosimile.
- Prima considerazione: Rupnik ha usato il suo potere pastorale di guida spirituale per ottenere dei favori sessuali e per subordinare completamente una donna. Il potere del gesuita su Anna e su chissà quante altre donne per qualche ragione altrettanto vulnerabili è stato illimitato, senza confini: l’ha sedotta fino al punto da indurla a farsi monaca per stargli accanto. In seguito, quando lei minacciò di denunciarlo lui rispose dileggiandola: “chi vuoi che ti creda? se parli ti faccio passare per matta”. E in altre occasioni Rupnik parlò apertamente delle sue “tattiche per ammorbidire quelle che gli resistevano”, facendosi così vanto della sua capacità di manipolare e coartare altre persone. Tutti questi sono stati gesti e parole di Rupnik, ma per me non sono nuovi perché li ho sentiti riportare in una forma pressoché identica molte altre volte dalle vittime di altri “preti carismatici” che ho incontrato in questi anni. Le parole e i gesti sono di Rupnik, ma il suo potere il gesuita lo ha ricavato in larghissima misura dal credito che gli ha dato la Chiesa Cattolica, dall’investitura gigantesca che la sua produzione artistica e teologica ha ricevuto da Roma, dalla possibilità che gli è stata fornita di avere per qualche tempo una comunità femminile completamente isolata dal resto del mondo a sua disposizione.
- Seconda considerazione: può darsi che all’inizio della sua carriera clericale Rupnik ci abbia anche creduto al celibato, alla castità e a tutto l’armamentario cattolico sul sacerdozio. È evidente però che, se quel che dice Anna corrisponde a verità, a tutte quelle norme Rupnik non crede più da molto tempo. In lui, come in molti altri preti che fanno cose simili alle sue, il linguaggio religioso e sacrale si è mescolato, nella sfera privata, a quello sessuale: la bocca da baciare è diventato l’altare, la trinità è diventata la metafora del triangolo amoroso, le carezze e i rapporti intimi sono stati continuamente rappresentati ricorrendo a espressioni religiose. Una ragazza incorsa in una storia analoga a quella di Anna mi raccontò un giorno che il suo “padre spirituale”, dopo averla indotta ad avere un rapporto sessuale, le citava, sorridendo e riferendosi alla loro relazione, la “felice colpa” menzionata in tante omelie a proposito del peccato originale. Rupnik e quell’altro prete hanno assimilato tutte quelle espressioni dottrinali negli anni di formazione e in quelli di sacerdozio, ma le hanno poi usate a modo loro, le hanno personalizzate e indirizzate a costruire un sistema di potere che prevede la dominazione e la subordinazione di altre persone. Anche questa per me non è una sorpresa, ma una conferma del fatto che le norme sul celibato e la castità sono feroci e inderogabili solo sulla carta. Nel corso della loro carriera molti sacerdoti fanno, al riparo dallo sguardo dei fedeli con i quali mantengono tutt’altro contegno, un uso “creativo” dei contenuti religiosi che hanno appreso, combinandoli in vario modo con le proprie emozioni, desideri e progetti. Aggiungendovi una propria cifra: talvolta cinica, talaltra realmente umana e dolorosa. È un meccanismo universale nel rapporto tra esseri umani e istituzioni a cui la Chiesa Cattolica non si sottrae, dal momento che, al pari di tutte le altre, è un’organizzazione umana e di umani.
- Terza considerazione: la sessualità di Rupnik che emerge dall’intervista è compulsiva, violenta e anaffettiva. Il gesuita è insaziabile e va a letto con decine di suore dello stesso convento; la sua è una sessualità aggressiva: Anna racconta di aver perso la verginità in seguito a una masturbazione violenta; Rupnik è ossessionato dai rapporti orali, probabilmente preferiti perché non rischiano di generare una gravidanza indesiderata (con tutto quello che questa comporta per un sacerdote). Anche in questo caso nulla di sorprendente. Lavorando alla “Casta dei casti”, www.amazon.it/casta-dei-casti-Marco-Marzano/dp/8845298515 ascoltando tanti racconti di vita affettiva e sessuale, ho avuto più volte l’impressione che tanti preti abbiano un’attività sessuale intensissima, molto superiore a quella media della popolazione “laica”. Quanto poi alla violenza essa mi pare legata a un’immaturità di fondo e all’incapacità, o alla mancata volontà, di costruire, attraverso l’eros, un’autentica relazione affettiva, caratterizzata dalla parità, dal reciproco riconoscimento e dal rispetto dell’altro. Il “sesso da preti” molto spesso non ha niente a che fare con l’amore. È sesso e basta senza l’ombra di un sentimento.
- Quarta e ultima considerazione: ad un certo punto Anna ha chiesto aiuto e ha denunciato la situazione che si era creata con Rupnik. Nessuno l’ha ascoltata. Anzi, il consigliere spirituale di https://www.amazon.it/casta-dei-casti-Marco-Marzano/dp/8845298515 Rupnik, non appena lei fa cenno alla relazione con il gesuita sloveno, si rifiuta di confessarla e la invita a lasciare la vita consacrata senza menzionare il vero motivo delle dimissioni. La superiora, una volta conosciuta la sua situazione, la punisce destinandola alla cucina del convento e dice a lei che è posseduta dal demonio e alla famiglia che è schizofrenica. I vescovi e i dirigenti gesuiti sanno tutto dei vizi di Rupnik già dagli anni Novanta e non fanno niente. Al contrario, l’astro di Rupnik splende sempre di più nella Chiesa, decennio dopo decennio. Ancora una volta si ha l’impressione che tutta la morale cattolica serva solo a disciplinare e terrorizzare il popolo, mentre i sacerdoti, in virtù di un incomprensibile privilegio di ceto, vi si possono facilmente sottrarre. Almeno fino a oggi. www.ilfattoquotidiano.it/blog/mmarzano
, Marco Marzano, prof. ordinario di Sociologia dell’organizzazione, Università di Bergamo. www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221222marzano.pdf
La lettera di Libanori: “la fede dei piccoli scossa dallo scandalo dei fatti attribuiti a P. Marko Rupnik l ca
”Pubblichiamo alcuni stralci di una lettera indirizzata ai sacerdoti del settore centro della diocesi di Roma, mons. Daniele Lubanori, gesuita.
“Scrivo dopo lunga riflessione perché sento il dovere di sostenere, per quanto posso, la fede dei piccoli scossa dallo scandalo dei fatti attribuiti a P. Marko Rupnik, mio fratello nella comune appartenenza alla Compagnia di Gesù”.
“Sembra – continua il presule – che le notizie riportate dai giornali corrispondano al vero, dal momento che i Superiori della Compagnia hanno ammesso l’esistenza di misure cautelari nei suoi riguardi in relazione a quei fatti. Sono stati fatti nomi importanti e, come sempre accade in presenza di notizie gravi, l’atteggiamento verso presunti protettori è severo o apertamente accusatorio”.
“Mi sforzo di fare tacere i sentimenti che provo dinanzi a testimonianze sconvolgenti, provocate da silenzi arroganti, che spiattellano davanti al mondo il putridume di cui sono impastate talune scuole spirituali”, confida il vescovo che poi afferma: “Le persone ferite e offese, che hanno visto la loro vita rovinata dal male patito e dal silenzio complice, hanno diritto di essere risarcite anche pubblicamente nella loro dignità, ora che tutto è venuto alla luce. La Chiesa – noi – abbiamo il dovere di un serio esame di coscienza e chi sa di avere delle responsabilità deve riconoscerle e chiedere umilmente perdono al mondo per lo scandalo”.
“Tutti noi vogliamo la verità”, avverte Libanori. “Ne abbiamo diritto. Cercarla è un preciso dovere. C’è la verità tremenda dei fatti contestati che impone alla Chiesa di assumere la propria responsabilità dichiarando senza ambiguità chi è la vittima e chi l’aggressore e assumendo le misure necessarie perché il ministero della Chiesa non venga profanato”.
“La Chiesa – conclude la lunga lettera– specie negli ultimi anni, ha condannato gli abusi con il massimo rigore. Ci si aspetta che anche in questo caso essa sia coerente con il suo stesso insegnamento”.
Silere non possum Redazione Faro di Roma 20 dicembre 2022
www.farodiroma.it/la-lettera-di-lubanori-la-fede-dei-piccoli-scossa-dallo-scandalo-dei-fatti-attribuiti-a-p-marko-rupnik
Caso Rupnik: card. De Donatis, “risanare le ferite e fare piena luce”.
Verosimilmente ci saranno “anche provvedimenti rispetto agli uffici canonici diocesani”
“Tutta la diocesi, di fronte a questa sconcertante comunicazione, soprattutto mediatica, che disorienta il popolo di Dio, sta vivendo con preoccupazione e sgomento queste ore, consapevole dell’estrema delicatezza della situazione”. Lo ha dichiarato, ieri sera, il card. Angelo De Donatis, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, in merito al caso di padre Marko Ivan Rupnik, membro della Compagnia di Gesù, precisando che il chierico “finora ha avuto un rapporto di carattere pastorale a più livelli con la diocesi di Roma, ma non si trova in una posizione di sottomissione gerarchica al cardinale vicario a livello disciplinare ed eventualmente penale”.
La diocesi di Roma, che “non era consapevole fino a tempi recenti delle problematiche sollevate”, “non può entrare nel merito delle determinazioni assunte da altri, ma assicura, anche a nome del suo vescovo, ogni supporto necessario per l’auspicabile soluzione positiva del caso, che risani le ferite inferte alle persone e al corpo ecclesiale, portando per quanto possibile a fare piena luce e verità sull’accaduto: quella verità che sola ci rende liberi (Gv 8,32)”.
La Chiesa, prosegue il porporato, “ha due mandati inalienabili che sono al contempo anche doveri: stare vicino a chi soffre e attuare i criteri di verità e di giustizia desunti dal Vangelo. Nel caso che la sta scuotendo è bene si proceda secondo una strada certa: noi ministri di Cristo non possiamo essere meno garantisti e caritatevoli di uno Stato laico, trasformando de plano una denuncia in reato. I giudizi che vediamo diffondersi da parte di molti con particolare veemenza, non sembrano manifestare né un criterio evangelico di ricerca della verità, né un criterio di base su cui si fonda ogni stato di diritto, a verbis legis non est recedendum”.
La Chiesa che è in Roma in questo momento ritiene “primario e fondamentale accogliere con profondo rispetto il dolore e la sofferenza di tutte le persone coinvolte in questa vicenda, soprattutto in questo tempo liturgico dell’anno che chiama tutti a riconoscere in Cristo Salvatore l’unico in grado di guarire le ferite del cuore dell’uomo”. In particolare, la diocesi di Roma assicura “tutta la collaborazione necessaria alla Compagnia di Gesù e alle superiori istanze per l’attuazione del decreto prot. Dir-Soli 22/005 del 16 dicembre u.s., a firma del delegato Dir, p. Johan Verschueren s.j., nei termini di legge canonica”. Questo comporterà verosimilmente, tra l’altro, “anche una serie di provvedimenti rispetto agli uffici canonici diocesani – gli unici direttamente soggetti all’autorità del cardinale vicario – di cui P. Rupnik è investito tutt’ora, in particolare quello di rettore della chiesa S. Filippo Neri all’Esquilino e di membro della Commissione diocesana per l’Arte sacra e i Beni culturali”.
La diocesi di Roma è altresì consapevole di “dover riflettere ed eventualmente prendere provvedimenti rispetto ad un’attività che già da molti anni è stata avviata da p. Rupnik e dai suoi collaboratori anche nel nostro ambito diocesano: si tratta del noto ‘Centro Aletti‘”.
www.agensir.it/quotidiano/2022/12/24/caso-rupnik-card-de-donatis-risanare-le-ferite-e-fare-piena-luce-verosimilmente-ci-saranno-anche-provvedimenti-rispetto-agli-uffici-canonici-diocesani
Compagnia di Gesù. Padre Sosa: dolore e stupore per la vicenda Rupnik
preposito generale ricorda che anche se si tratta di reati già prescritti «sono mantenutele restrizioni nei suoi confronti circa il ministero sacerdotale»
«Padre Rupnik è a Roma, continua il suo lavoro come artista, negli ambiti non toccati dalle misure restrittive a suo carico». A parlare è il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal, che è tornato sul caso di abusi che ha coinvolto il suo confratello, Marko Ivan Rupnik. Il noto religioso, famoso anche per la sua capacità artistica, è stato accusato di abusi nei confronti di alcune consacrate. I fatti risalgono agli anni Novanta quando il gesuita viveva in Slovenia. Si tratta, ha commentato Sosa, «di una denuncia di superamento dei limiti consentiti nelle relazioni tra il padre Rupnik e persone adulte consacrate della Comunità Loyola, in Slovenia, mentre esercitava attività pastorali vincolate al ministero sacramentale».
Le denunce giunte in questi ultimi mesi sono state inoltrate al Dicastero per la dottrina della fede, che ha svolto la sua inchiesta, al termine della quale il Dicastero ha comunicato alla Compagnia di Gesù che le denunce erano legalmente prescritte, anche se le misure restrittive del suo agire pastorale sono state mantenute ugualmente. Il preposito in occasione dell’incontro promosso dall’Ufficio di comunicazione della Curia generalizia dei Gesuiti , ha sottolineato nel suo discorso di fine anno come «questo caso, come altri, ci riempie di stupore e di dolore, ci porta a comprendere e sintonizzarci con le persone coinvolte nell’uno o nell’altra forma», aggiungendo che «ci pone davanti alla sfida di rispettare questo dolore nel medesimo tempo in cui si avviano, scrupolosamente, i procedimenti esigiti dalle leggi civili o canoniche e si comunica in una forma che non nasconde i fatti, mentre, illuminati dal Vangelo e da altre esperienze umane, si aprono cammini verso la guarigione delle ferite prodotte».
Anche per questo la Compagnia di Gesù ha deciso di mantenere a sua volta le restrizioni nel ministero di padre Rupnik, che non potrà parlare in pubblico, tenere conferenze o esercizi spirituali e soprattutto non potrà svolgere funzioni di direzione spirituale e neppure confessare (una delle accuse contestatagli è di aver assolto un complice in un caso di abuso).
«La sua teologia – ha precisato il preposito generale dei gesuiti Sosa – non viene messa in questione, ma il suo comportamento come prete nell’esercizio del ministero sacerdotale». Infatti ha spiegato padre Sosa «dopo che il Dicastero ha studiato il dossier e comunicato che le denunce ricevute erano legalmente prescritte abbiamo voluto passare dal livello giuridico a quello del prenderci cura della sofferenza causata e del cercare di sanare le ferite aperte. Mantenere in vigore le misure di restrizione del ministero del padre Rupnik costituisce uno degli elementi di un processo che, lo sappiamo bene, richiede tempo e per il quale non ci sono ricette predefinite».
E proprio il caso Rupnik, che ha visto abusi nei confronti di donne vicine alla Compagnia di Gesù, pone ora ai gesuiti la necessità di «valutare le condizioni in cui si attua», avverte ancora il gesuita venezuelano Sosa Abascal. Un passaggio che ha portato negli anni scorsi alla creazione di una Commissione ad hoc, composta da sei donne, una per ogni conferenza regionale – quattro laiche e una religiosa – da un laico e da quattro gesuiti di diverse province. Passaggio seguito da una ampia consultazione che ha coinvolto l’intera Compagnia di Gesù è a Roma, continua il suo lavoro come artista, negli ambiti non toccati dalle misure restrittive a suo carico».
Enrico Lenzi Avvenire 17 dicembre 2022
www.avvenire.it/chiesa/pagine/compagnia-di-gesu-padre-sosa-dolore-e-stupore-per-la-vicenda-rupnik
Gesuiti: si facciano avanti eventuali altre vittime, “saranno ascoltate con comprensione ed empatia”
La Compagnia di Gesù ha diffuso un comunicato invitando le possibili vittime del gesuita sloveno Marko Rupnik, noto per essere l’autore di mosaici nelle chiese di tutto il mondo, ad inviare una denuncia per essere ascoltate. “La mia principale preoccupazione in tutto questo è per coloro che hanno sofferto e invito chiunque desideri fare una nuova denuncia, o voglia discutere di denunce già fatte, a contattarmi. Vi assicuro che saranno ascoltati con comprensione ed empatia”, sottolinea la nota del superiore per le Case internazionali, padre Johan Verschueren, pubblicata sul sito dei gesuiti. “Alcuni mesi fa abbiamo costituito un team di persone, donne e uomini, provenienti da varie discipline e con una varietà di conoscenze per affrontare queste situazioni”, aggiunge la nota.
Nei giorni scorsi i gesuiti hanno ammesso che padre Rupnik era stato sanzionato con alcune restrizioni dopo un’inchiesta sugli abusi sessuali e psicologici delle suore negli anni ’90, nonostante i reati fossero prescritti. Come spiegano i gesuiti, il Dicastero per la dottrina della fede, responsabile dei processi canonici in materia di abusi sessuali, “ha ricevuto nel 2021 una denuncia contro padre Marko Ivan Rupnik sul suo modo di esercitare il ministero”. La Compagnia di Gesù è stata quindi incaricata di aprire un’istruttoria su questo caso e “dopo aver studiato l’esito di tale indagine, il Dicastero vaticano ha ritenuto che i fatti in questione dovessero ritenersi prescritti e pertanto ha archiviato il caso all’inizio di ottobre di questo anno 2022”. Nel corso dell’istruttoria, spiegano i gesuiti, nei confronti di padre Rupnik sono state prese diverse misure cautelari come “il divieto dell’esercizio del sacramento della confessione, della direzione spirituale e dell’accompagnamento degli esercizi spirituali”.
Ma venerdì si è appreso anche che era stata aperta un’altra inchiesta su questo religioso, noto soprattutto per la sua vastissima produzione artistica, per aver “assolto una donna con la quale aveva avuto rapporti sessuali durante la confessione”. Secondo la cronologia che la Compagnia di Gesù ha pubblicato nella sua pagina relativa a questo episodio, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha emesso nel maggio 2020 un decreto che ha punito il gesuita con la scomunica per il reato di “assoluzione di complice di peccato contro il sesto comandamento”, ma poco dopo, con un atto straordinario, la scomunica fu tolta. Non si sa se la sentenza era stata impugnata da padre Rupnik e successivamente modificata in altri tipi di sanzioni. I fatti risalgono ai primi anni ’90 e riguardano presunti abusi psicologici e sessuali su suore della comunità slovena Loyola di Lubiana.
Il giornale online “Left” ha pubblicato un’inchiesta sulle accuse di violenza sessuale, psicologica e spirituale e il quotidiano “Domani” ha pubblicato anche la testimonianza di un’altra suora che sostiene di aver subito “ripetuti e prolungati abusi sessuali da parte di padre Rupnik dal 1994, abusi giustificati con blasfeme argomentazioni teologiche e sacramentali”. La donna accusa padre Rupnik di essere un delinquente seriale e afferma che ci sono anche molte altre vittime.
Questo gesuita è conosciuto in tutto il mondo per i suoi mosaici come quelli che ornano la facciata della basilica di Lourdes, in Francia, una cappella nel Palazzo Apostolico del Vaticano, nel monastero di Santo Domingo de la Calzada o nella cattedrale di Madrid.
Fonte: EFE redazione -20 dicembre 2 022
video dell’Intervista a padre Rupnik nel 2016 https://youtu.be/7mlo1dzCmzw
Nuove accuse al gesuita Rupnik: si allarga lo scandalo che sta scuotendo la chiesa
Padre Marko Rupnik, il gesuita e noto artista accusato di aver abusato di alcune suore negli anni Novanta – una di queste ha raccontata la sua storia in un’intervista pubblicata su “Domani” il 18 dicembre↑ – continua a causare lotte intestine fra i gesuiti e imbarazzo in Vaticano. Lo «tsunami Rupnik», come l’ha definito su Twitter l’ex provinciale gesuita Gianfranco Matarazzo, diventa sempre più imponente e minaccia di travolgere non soltanto la Compagnia ma la chiesa tutta.
Un’altra religiosa della Comunità Loyola ha detto alla Catholic News Agency di aver subito manipolazioni e umiliazioni spirituali da Rupnik: «Era una persona egocentrica e violenta: voleva sempre essere al centro dell’attenzione e sottomettere gli altri al suo potere». «Le autorità ecclesiastiche hanno sempre coperto tutto – ha confermato la suora – ma gli abusi non si limitano certo soltanto alla Comunità Loyola».
Dopo le rivelazioni della stampa, i gesuiti sono stati però costretti ad ammettere che Rupnik aveva subìto ben due procedimenti ecclesiastici: uno da parte del dicastero per la Dottrina della fede, concluso lo scorso ottobre con la prescrizione dei fatti, e un altro nel 2020 sempre davanti allo stesso dicastero (all’epoca Congregazione per la dottrina della fede) per “assoluzione del complice in confessione”. Un comportamento che aveva portato a una sentenza di scomunica latæ sententiæ, vale a dire immediata. Scomunica che, come è stato confermato dai gesuiti, era stata però revocata pochi giorni dopo dalla stessa Congregazione.
Chi ha voluto cancellare le conseguenze di un reato considerato talmente grave da prevedere una condanna automatica? L’ordine è partito da papa Francesco? Difficile pensare che il pontefice non fosse a conoscenza dei fatti che coinvolgevano una persona in vista come Rupnik. Certo è che, pur sotto indagine e nonostante le restrizioni che la Compagnia gli aveva imposto già nel 2019 (misure cautelari ancora in vigore, secondo quanto riportato dal preposito generale dei gesuiti Arturo Sosa Abascal), Rupnik non ha smesso di viaggiare, condurre esercizi spirituali ed esercitare incarichi importanti in diversi dicasteri vaticani.
Fino al 2020 era direttore del Centro Aletti e in agenda aveva anche la direzione degli esercizi spirituali al santuario della Santa Casa di Loreto per il febbraio 2023.
Insomma, molti nella chiesa erano a conoscenza dei suoi “problemi comportamentali” ma Rupnik, nonostante le denunce e le indagini interne, ha continuato a esercitare il suo ministero e a ottenere apprezzamenti. A fine novembre 2022 ha ricevuto anche una laurea honoris causa dalla Pontificia università cattolica del Paranà, in Brasile, e a oggi risulta ancora consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
Qualcosa si muove. Intanto qualcosa, almeno apparentemente, si muove. Sul sito della curia generalizia della Compagnia di Gesù è comparso il 18 dicembre↑ un appello in cui si invita chiunque voglia denunciare nuovi fatti a rivolgersi direttamente ai gesuiti tramite una mail apposita. Lo stesso ha fatto pochi giorni dopo la Conferenza episcopale slovena, che il 22 dicembre ha espresso «grande dolore e costernazione» e «vicinanza alle vittime». Una dichiarazione sottoscritta anche dal presidente dei vescovi sloveni, monsignor Andrej Saje, e
dall’arcivescovo di Lubiana Stanislav Zore, che hanno auspicato maggiore trasparenza e tolleranza zero nei confronti di ogni abuso, fisico, sessuale, psichico e spirituale. Una parte dell’attuale chiesa slovena, cresciuta alla scuola di Rupnik e del Centro Aletti, è oggi infatti alle prese con un travaglio interno particolarmente acuto a causa dello scandalo. I vescovi sloveni si sono detti dalla parte delle vittime, «rattristati perché per decenni non sono state ascoltate», e hanno promesso di fare «del loro meglio per seguire con maggiore attenzione ciò che accade nelle comunità ecclesiali, affinché in futuro non avvengano più abusi di autorità da parte di chi ha incarichi di responsabilità».
Da parte sua, il vescovo ausiliare di Roma Daniele Libanori ↑, commissario incaricato della comunità Loyola dove sono avvenuti gli abusi, ha confermato in una lettera ai sacerdoti che «le notizie riportate dai giornali corrispondono al vero». «Le persone ferite e offese, che hanno visto la loro vita rovinata dal male patito e dal silenzio complice – scrive Libanori – hanno diritto di essere risarcite anche pubblicamente nella loro dignità,
ora che tutto è venuto alla luce». Se sul “caso Rupnik” sia davvero emerso tutto, è però ancora da vedere.
Federica Tourn “Domani” 24 dicembre 2022
www.editorialedomani.it/fatti/nuove-accuse-al-gesuita-rupnik-si-allarga-lo-scandalo-che-sta-scuotendo-la-chiesa-weyfu4dc
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221224tourn.pdf
Chi è Marko Rupnik, il gesuita accusato di abusi apprezzato da tre papi
Fino al 2020 Rupnik ha diretto il Centro Aletti inaugurato da papa Giovanni Paolo II negli anni ‘90. Papa Benedetto XVI ha detto che le sue opere offrono insegnamenti di teologia, e papa Francesco lo ha scelto per il simbolo del Giubileo della misericordia. Nonostante le accuse accertate di abusi sessuali, su di lui solo una scomunica revocata in pochi giorni mentre il vicario De Donatis si mostra «garantista»
Le accuse di abusi sessuali che pesano su Marko Ivan Rupnik, il prete artista ex direttore del centro Aletti e autore del mosaico del Giubileo della Misericordia, aleggiano negli auguri di Natale di papa Francesco. Il 22 dicembre, durante il suo discorso alla Curia, Bergoglio ai cardinali e ai capi dicastero ha parlato di potere: «Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere». Ha lanciato poi un monito: «Ciascuno non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro». E ancora: «È giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate».
www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/december/documents/20221222-curia-romana.html
Fino a oggi però nessun riferimento diretto al caso Rupnik. Il confratello gesuita è stato scomunicato per meno di un mese e compare ancora oggi accostato ai dicasteri vaticani, nonostante il suo stesso ordine abbia avviato un’operazione trasparenza invitando le vittime a denunciare.
Per comprendere la rilevanza di Rupnik negli ambienti vaticani, si parte da parecchi anni fa, e più esattamente dagli anni ‘90. Tre papi da allora hanno riconosciuto il suo valore e gli hanno concesso credito. Per primo Giovanni Paolo II inaugurò iI il 12 dicembre 1993 il centro Aletti sotto la direzione di Rupnik: «Ho voluto inaugurare di persona questo Centro di Studi e Ricerche “Ezio Aletti”, perché esso è stato recentemente istituito come parte del Pontificio Istituto Orientale, con lo scopo di creare occasioni privilegiate d’incontro e di scambio sul Cristianesimo dell’Est europeo», ha detto il pontefice.
A Rupnik venne così affidato un palazzo di stile liberty di fine Ottocento, donato dalla signora Anna Maria Gruenhut Bartoletti Aletti alla Compagnia di Gesù, e cominciarono i lavori di un piccolo gruppo di gesuiti e una comunità di sorelle che oggi fa parte della missione che la Compagnia di Gesù svolge nelle case e opere interprovinciali a Roma. Da giugno 2019 il Centro Aletti è un’Associazione pubblica dei fedeli, legata alla Diocesi di Roma.
Rupnik più ancora che per il dialogo interreligioso, è un nome che nel tempo si affermato nell’arte. Nel 1995 infatti ha fondato, nella stessa sede del Centro, l’Atelier d’Arte spirituale e Architettura. Dal Vaticano a Lourdes, i mosaici realizzati sotto la guida di Rupnik sono dovunque. Nel 2009 papa Benedetto XVI gli dimostrò pubblicamente la sua stima: «Oltre ad essere di una bellezza straordinaria è anche una lezione di teologia magistrale», ha detto dei 54 mosaici che l’artista e teologo ha realizzato per la chiesa inferiore di San Pio da Pietrelcina.
Con papa Francesco la fama cresce ancora. Nel 2015 la decisione di indire il Giubileo straordinario della misericordia e la scelta di celebrarlo passando sotto un mosaico del confratello gesuita, simbolo ufficiale dell’evento. Nel 2016, per i 25 anni del centro e i 20 dell’Atelier, il papa in persona ha tenuto una messa commemorativa. Nel 2017 Bergoglio ha deciso di nominarlo consultore del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Un ruolo che a quanto si legge sul sito ufficiale mantiene ancora oggi. Un rapporto stretto al punto che papa Francesco ha citato i lavori di padre Rupnik in un’intervista a Tv2000 nel 2018, a proposito della Madonna: «C’è quell’icona di padre Rupnik con la Madonna al centro: la Madonna ha le mani come scalini, Gesù scende e in una mano ha la pienezza della legge, il rotolo, e nell’altra mano si aggrappa a Maria. Dio ha avuto bisogno di aggrapparsi a una donna per venire da noi. Questa è un’intuizione molto grande».
Nel 2019 sono state imposte delle restrizioni all’operato religioso di Rupnik ed è partito un processo: a gennaio 2020 i giudici (tutti esterni alla Compagnia di Gesù) hanno rilevato all’unanimità che il reato è stato commesso. A maggio 2020 la Cdf ha emesso un decreto di scomunica, che però ha deciso di revocare nello stesso mese. A giugno di quell’anno, Rupnik ha lasciato la direzione del centro Aletti.
La prescrizione. Il secondo caso prende invece in considerazione accuse riguardanti membri della Comunità di Loyola, in Slovenia tra gli anni Ottanta e Novanta. L’indagine è partita a giugno 2021 e a gennaio 2022 «conclude che c’è un caso da risolvere». Un nuovo rapporto finale è stato consegnato al Dicastero per la Dottrina della Fede con la raccomandazione di un processo penale. Una delle suore coinvolte nell’indagine come testimone ha parlato a “Domani”, e ha raccontato come le violenze e la manipolazione siano partite in Slovenia ma siano avvenute negli anni anche all’interno del centro Aletti inaugurato dal papa e divenuto il regno del padre gesuita.
Dell’associazione di Rupnik ha fatto parte anche padre Tomáš Špidlík, creato cardinale diacono nel 2003 da papa Wojtyła. La donna avrebbe cercato di denunciare a lui gli abusi già negli anni ‘90, trovando però la totale chiusura da parte di Špidlík.
Il dicastero per la dottrina della Fede «ha constatato che i fatti in questione erano da considerarsi prescritti e ha quindi chiuso il caso, all’inizio di ottobre di quest’anno 2022», riferisce in una nota la Compagnia di Gesù. Restano in vigore però a carico di padre Rupnik, alcune «misure cautelari», come il divieto di confessare e di accompagnare esercizi spirituali.
Nel frattempo, racconta il Corriere della Sera, il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, il sostituto di papa Francesco a Roma, ha affidato nel 2021 a padre Rupnik i lavori di restauro e rinnovamento della cappella del Pontificio Seminario Romano. Sempre a Rupnik è stata commissionata l’immagine ufficiale dell’incontro mondiale delle famiglie che si è svolto in Vaticano dal 22 al 26 giugno del 2022: l’immagine dell’«amore sacramentale tra uomo e donna».
Il vicario ha deciso di intervenire con una nota il 23 dicembre. Dice che la curia è preoccupata e sgomenta, ma invita al garantismo nonostante le testimonianze continuino ad aumentare e la scomunica lampo: «Noi ministri di Cristo non possiamo essere meno garantisti e caritatevoli di uno Stato laico, trasformando de plano una denuncia in reato». I giudizi «che vediamo diffondersi da parte di molti con particolare veemenza, non sembrano manifestare né un criterio evangelico di ricerca della verità, né un criterio di base su cui si fonda ogni stato di diritto, a verbis legis non est recedendum».
Vanessa Ricciardi “Domani” 24 dicembre 2022
www.editorialedomani.it/fatti/chi-e-padre-marko-rupnik-il-gesuita-accusato-di-asbusi-sessuali-apprezzato-da-tre-papi-vdvpkkk2
Caso Rupnik: non basta più l’indignazione!
Siamo determinate ancor di più a condurre una battaglia senza sconti per denunciare le “strutture di peccato” in cui si radica tale “caso”: un impianto di cui la chiesa cattolica è artefice e protagonista.
Troppo spesso abbiamo constatato che nei movimenti ecclesiali/congregazioni/culti ci si serve surrettiziamente di alcune categorie ecclesiologiche per usare e manipolare persone (quasi sempre donne) che si avvicinano a tali contesti religiosi in nome di una chiamata spirituale. Queste donne sono limpide, fiduciose, ignare degli “adescamenti” che troppo spesso – oramai lo abbiamo verificato nella nostra non più breve esperienza- si compiono.
La logica è quella del dominio del chierico maschio “ontologicamente superiore” e in nome dell’“obbedienza”, “umiltà”, “segretezza delle procedure”, “perdono”, del “non infangare una santa istituzione”, della “adorazione verso chi incarna il sacro” e altre categorie “dello spirito”, si cattura la persona in una rete di soprusi, abusi, macchinazioni perverse, dove le logiche della sudditanza e dell’omertà sono la regola. La minaccia è solo allusa: quella di subire le conseguenze di un potere androcentrico totalitario e quindi la condanna all’infamia, oltre che al baratro esistenziale in caso di dissenso conclamato e all’ isolamento senza nessuna via d’uscita percorribile. La cultura dello stupro (che non è solo fisico, ma anche spirituale) passa di qui.
Non ci intratteniamo sui dettagli del caso Rupnik, degno perpetratore di tale cultura. Vogliamo puntualizzare però alcune osservazioni.
Rupnik è sì uno tsunami, ma è solo la punta dell’iceberg: non è la mela marcia dentro a un paniere di mele sane, non è il criminale mentre i suoi sodali sarebbero innocenti. Si tratta di una malattia endemica che pervade il sistema ecclesiastico tutto e che in Italia, in particolare, si tende a occultare. Sono complici i mezzi di informazione, per lo più muti – tranne alcune lodevolissime eccezioni, a cui riconosciamo di essersi da tempo impegnate seriamente su tali fenomeni, per aver lanciato campagne di stampa e approfondito con inchieste: la agenzia di stampa Adista, la rivista Left, il quotidiano Domani; complici sono anche i/le cattolici/che preferiscono non vedere e non sapere. Colluso è anche lo Stato che si mostra indifferente verso la sorte dei suoi/delle sue cittadini/e quando sono violati/e nei loro diritti.
La Compagnia di Gesù non può credere di salvare la faccia dicendo che le vittime si rivolgano
a lei e saranno ascoltate e accolte a braccia aperte. È la stessa logica che percorre la CEI, logica che nasconde la strategia del “sopire e tacere”, di manzoniana memoria. Tali atteggiamenti non sono credibili: esigiamo che ci sia una azione giuridica legale pubblica.
Chiediamo altresì che si aprano gli archivi rendendoli accessibili a una commissione indipendente.
E soprattutto affermiamo che il caso Rupnik non deve essere trattato secondo gli stili discorsivi cari alla cronaca scandalistica. È fondamentale che, nella pubblicizzazione di tali eventi, sia invece messa in luce la struttura che permette tali abusi, che li copre con l’omertà dell’istituzione stessa, che per secoli è stata complice, se non prima responsabile, di un habitus androcentrico. È la struttura misogina gerarchica clericale che inferiorizza donne e laici, considerandoli a “propria diposizione”.
* Il gruppo Re-insurrezione è una rete di persone appartenenti a: Donne per la Chiesa, Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221222reinsurrezione.pdf
AIBI – Amici dei Bambini
Psicologia dell’Adozione internazionale: come nasce la fratellanza tra fratelli adottati in tempi diversi?
Essere “fratelli”, per due bambini adottati dalla stessa famiglia in tempi differenti assume un significato particolare. Più che dare ai figli le “stesse” attenzioni e le “stesse” opportunità, per i genitori è fondamentale riuscire ad adattare il loro ruolo alle esigenze proprie di ciascuno. La relazione fraterna è, per molte persone, la relazione più lunga della vita: nasce nell’infanzia e solitamente prosegue anche dopo la perdita dei genitori, costituendo un elemento di continuità tra le fasi della vita e una potenziale risorsa affettiva duratura. All’interno della famiglia, la relazione fraterna è l’occasione di sperimentare una relazione tra pari, utile anche per sviluppare le competenze relazionali e la pro-socialità.
Le variabili che influiscono nel rapporto tra fratelli adottati e sorelle adottate. Il rapporto tra fratelli può essere influenzato da molte variabili (la differenza di genere e di età, le differenze caratteriali…) e caratterizzato da minore o maggior coinvolgimento: una quota di conflittualità è naturale e fisiologica proprio perché si tratta di una palestra di sperimentazione delle interazioni sociali, può essere paritario oppure connotato da una forte asimmetria in cui il fratello maggiore, ad esempio, è protettivo nei confronti del minore. Nonostante fratelli e sorelle solitamente condividano l’ambiente di crescita e molti eventi significativi dell’infanzia, le loro traiettorie di sviluppo possono essere molto differenti per caratteristiche innate (genetiche e temperamentali), per il ruolo che assumono nella famiglia, per il diverso impatto dell’ambiente condiviso, che lo rende non del tutto comune, e per le esperienze extrafamiliari differenti (gruppi di amici, esperienze scolastiche, eventi significativi…).
Se questo è vero per tutti i fratelli, lo è ancor di più per i fratelli adottati da una stessa famiglia in tempi differenti. Ciascun bambino porta con sé una parte di storia personale, non condivisa né con i genitori adottivi né con il fratello, ma proprio l’esistenza di questa storia accomuna i fratelli, che possono essere l’uno per l’altro la persona che più comprende cosa significhi confrontarsi con certi vissuti. Non a caso, spesso, nel desiderio da parte dei primi figli adottati di avere un fratello c’è anche il desiderio di condividere la famiglia con un bambino che non ce l’ha.
Adattare il ruolo genitoriale a seconda delle esigenze proprie di ciascun figlio
Questa grande potenzialità evolutiva e affettiva della relazione fraterna non significa che la costruzione del rapporto sia sempre facile né serena: come sempre, l’arrivo di un nuovo figlio richiede una riorganizzazione di tutte le relazioni familiari. Può portare vissuti di gelosia in entrambi i figli: al primogenito il timore che i genitori non lo amino più come prima e che il suo ruolo, anche nella famiglia allargata, possa essere preso dal nuovo arrivato. Queste dinamiche, comuni in tutte le famiglie, possono essere potenziate dall’insicurezza nelle relazioni e nella fragilità dell’immagine di sé che molti bambini adottati si portano dietro dalle esperienze preadottive. Inoltre, uno o entrambi i bambini potrebbero avere dei fratelli biologici che, per ragioni differenti, non sono stati adottati con lui. In questi casi occorre considerare con grande delicatezza i conflitti di lealtà che potrebbero nascere, simili a quelli relativi alle figure genitoriali.
È quindi importante che i genitori adottivi riescano a mantenere l’attenzione anche sul primo figlio nella delicata fase di inserimento del secondo, rassicurando entrambi della possibilità di costruire una relazione solida, affettiva ed esclusiva che sia attenta ai diversi bisogni dei figli e che su questa personalizzazione della cura e della relazione basi la sua equità. Le ricerche, infatti, dimostrano che non è tanto importante che i genitori diano le stesse cose, lo stesso tempo, le stesse regole o trattino i figli nello stesso modo, ma che riescano ad adattare il loro ruolo genitoriale alle esigenze del singolo figlio, in modo che il loro coinvolgimento affettivo ed educativo sia percepito come equo.
Irene Castellina Psicologa di Ai.Bi. – Amici dei Bambini e psicoterapeuta
www.aibi.it/ita/psicologia-dozione-fratellanza-fratelli-adottati
CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia
Newsletter CISF – n. 47, 21 dicembre 2022
§ “Il dono”: il corto Disney di Natale 2022 racconta la bellezza della famiglia. Un bambino in arrivo per Natale, in una famiglia come tante, è l’emozionante corto che la Disney ha diffuso per il Natale di quest’anno [su YouTube – 2 min 5 sec]. www.youtube.com/watch?v=k4AciAKAqb0
E “Il dono”, titolo del corto, gioca su molteplici piani di significato: un bambino che arriva come un dono in famiglia (e che, per chi è cristiano, richiama la potenza del messaggio di un altro bambino arrivato a portare l’amore all’umanità); ma anche il dono di un altro fratello ai bambini che ci sono già; infine il primo gesto verso un fratellino, la condivisione di un giocattolo.
§ Cisf family report 2022. Il Report “Famiglia&Digitale. Costi e opportunità”, edito da San Paolo e disponibile in libreria è stato ripreso in questi giorni dall’agenzia Ansa
www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/hitech/2022/12/16/tecnologia-4-famiglie-su-10-spenderebbero-fino-75-euro/mese_cf003106-1ee9-4b94-9be2-f4d5b9c0c9f1.html?fbclid=IwAR33EwXYeenxqfdu8X9mmKugLpO38nc_MZK780hv-ep2HLqVsOfjOh83_0o
e poi è stato al centro di un servizio su TV2000
www.tv2000.it/tg2000/video/rapporto-cisf-tecnologia-ha-cambiato-stili-di-vita-delle-famiglie/?fbclid=IwAR2jUt_F8O3vITigNmmHZ2x0EPh862yjVwwoEdDY3O30SiQ27Er7oWqmjaY
Infine, anche Mondo economico ha dedicato un ampio approfondimento ai temi economici e ai risvolti relazionali evidenziati nella ricerca Cisf https://mondoeconomico.eu/tendenze/la-famiglia-digitale
§ USA: Le linee guida degli psicologi per valutare la custodia dei figli. Le “APA Guidelines for Child Custody Evaluations in Family Law Proceedings” sono un documento elaborato quest’anno dalla American Psychological Association, che avrà validità per i prossimi dieci anni e fornisce raccomandazioni generali per gli psicologi quando eseguono le valutazioni sull’affidamento dei figli. Gli psicologi si sforzano di identificare la presenza e le potenziali conseguenze – utilizzando prove scientifiche e pratiche etiche – di fenomeni come l’abuso sui minori, l’abbandono dei minori, la violenza del partner intimo e varie pratiche genitoriali patogene (inclusi legame di lealtà, invischiamento, inversione di ruolo, e comportamenti alienanti). Con l’evolversi delle tecniche di valutazione e della letteratura professionale, si evolvono anche le decisioni dei tribunali e i mandati legislativi.
§ Princeton: call for paper e workshop sul benessere delle famiglie monogenitoriali. L’appuntamento Fragile Families Summer Data Workshop è fissato per giugno 2023, presso la Columbia University, con l’obiettivo di familiarizzare i partecipanti con i dati disponibili nel Fragile Families and Child Wellbeing Study (FFCWS), uno studio nazionale che segue una coorte di nascita di genitori (per lo più) non sposati e dei loro figli, fornendo informazioni sulle capacità, circostanze e relazioni dei genitori non sposati, il benessere dei loro figli e il ruolo delle politiche pubbliche nella famiglia e nel benessere dei bambini.
Il modulo di domanda per partecipare a 2023 Fragile Families Summer Data Workshop sarà a breve disponibile e scadrà lunedì 13 febbraio 2023. https://fragilefamilies.princeton.edu/news/ffcws-summer-data-workshop-2023
§ ISTAT: i dati sull’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Nell’anno scolastico 2021/2022 sono più di 316mila gli alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane (pari al 3,8% degli iscritti – fonte MIUR), circa 15mila in più rispetto all’anno precedente (+5%). Sono i dati del report Istat pubblicati il 2 dicembre e dedicati all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità 2021/2022. Oltre ai dati sulla DAD, c’è una fotografia dei docenti impegnati nel sostegno ed emerge una certa criticità rispetto alla loro formazione: sono oltre 207mila gli insegnanti di sostegno, ma più di 70mila (il 32%) sono stati selezionati dalle liste curricolari, cioè̀ non hanno una formazione specifica ma vengono impegnati in classi con alunni disabili per far fronte alla carenza di figure specializzate. Nell’anno scolastico 2021-2022 nelle scuole sono inoltre ancora presenti molte barriere fisiche: soltanto una scuola su tre risulta accessibile per gli alunni con disabilità motoria (l’assenza di un ascensore o la mancanza di un ascensore adeguato è la barriera più diffusa (45%); numerose anche le scuole sprovviste di servoscala interno (31%) o di bagni a norma (24%).
§ I dati dell’osservatorio ACLI segnalano l’impoverimento del ceto medio. Una ricerca dell’Osservatorio Acli sui Redditi che ha preso in considerazione le denunce di 1.300.000 italiani nel triennio 2019-2021 ha rilevato che il ceto medio è sempre più povero. Nel periodo preso in considerazione solo un terzo dei contribuenti ha avuto un aumento del reddito, i restanti due terzi hanno, invece, visto il proprio reddito diminuire. Per una percentuale pari al 3,6% del campione la diminuzione è stata drammatica, fino al 35% del reddito. Questi hard-losers sono per lo più lavoratori a basso reddito che a causa della crisi sanitaria ed economica hanno perso o ridotto il lavoro; donne; giovani; genitori single. L’Osservatorio Acli Redditi e Famiglie è stato promosso dalle Acli nazionali e dai Caf Acli in occasione del X Incontro Mondiale delle Famiglie come strumento di raccolta e analisi dei dati.
§ Perfezionarsi in diritti e inclusione delle persone con disabilità. Sono aperte fino al 9 gennaio 2023 le iscrizioni al corso di perfezionamento su Diritti e inclusione delle persone con disabilità in una prospettiva multidisciplinare, proposto dall’Università di Milano. Il corso si svolgerà dal 2 febbraio all’11 maggio del prossimo anno e mira a contribuire, in un’ottica multidisciplinare, alla formazione post-universitaria dei laureati e dei professionisti che, a vario titolo, si occupano o intendono occuparsi della tutela dei diritti delle persone con disabilità.
§ Master in cure palliative. Sono aperte dal 6 dicembre 2022 al 2 febbraio 2023 le iscrizioni al Master in I Livello in Cure Palliative all’Università degli Studi di Milano. Obiettivo del master è quello di favorire l’acquisizione di conoscenze teoriche, capacità pratiche, metodi e strumenti idonei a fornire assistenza competente in cure palliative e di fine vita in ogni fascia di età, da utilizzarsi in contesti professionali ed equipe multidisciplinari, per poter operare nei servizi ospedalieri, domiciliari e residenziali.
www.unimi.it/it/corsi/corsi-post-laurea-e-formazione-continua/master-e-perfezionamento/catalogo-master/aa-2022/2023-master-cure-palliative-i-livello?fbclid=IwAR3tlmrrQ5rdJxYb7IAmQPzhZEDnQIIEZgE7Kqb9W9zCXwjt7Zelo9ZvO1Y
§ Dalle case editrici
- Beretta, La casa di cartone (e altre storie di giovani contro la crisi climatica), Ancora, Milano, 2022, pp. 144
- J. Dotti, M. Aldegani, Più vivi, più umani, Edizioni San Paolo, Cinisello B. (MI),2019, pp. 160
- Littizzetto L., Io mi fido di te. Storia dei miei figli nati dal cuore, Mondadori, Milano 2021, pp.168
Con il passo della sua ironia travolgente – che ha un peso specifico enorme quando si tratta di trascinarti in profondità – Luciana Littizzetto ha scritto il libro definitivo sulla maternità (…) (recensione B.Verrini)
§ Save the date
- webinar (IT) – 11 gennaio 2023 (inizio ore 21). “Webinar informativo sull’affido familiare – residenti in Lombardia“, a cura di Faris
www.fondazioneaibi.it/faris/prodotto/webinar-informativo-sullaffido-familiare-residenti-il-lombardia-dicembre-2
- tavola rotonda (FR) – 12 gennaio 2023 (inizio ore 20.30). “La fin de vie en question”, evento a cura di AFC-Association Familles Catholiques in presenza a Vannes (Bretagna)
- conferenze (WEB-INT) – 18 gennaio 2023 (inizio ore 18 CET). “Populism and Far-Right“, rassegna di seminari internazionali organizzati dal Centro Polidemos-Università Cattolica di Milano
www.unicatt.it/evt-populism-and-far-right-67760
- conferenze (MILANO) – 19 gennaio 2023 (inizio ore 17.30). “Medicina, Sanità e Persona“, nuovo ciclo di conferenze a cura della Fondazione Ambrosianeum,
https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=4%3dFb7ZJb%26n%3dT%263%3dZ3W%264%3dZ4TOb%26w%3d99RrJ_7yUq_H9_trhx_47_7yUq_GDyNB.Sp0r9vK.xR_trhx_47tTgE9Q-_QK9MdIt_PSte_Z7SOZBSG-ucIEM_trhx_4VGh4aGa_E0rJq_If1R_SJZB5x_PSte_Z7SO5g3xLcI_7yUq_Gc4a-_7yUq_Gc4aeMrL1GuD_7yUq_Gc4apLf_If1R_SJZBgpP2p9c-T0vFv.GsD%26f%3dD0Qx4G.LgK%26xQ%3d8RMa titolo dell’appuntamento: “Le manifestazioni cliniche del long-covid”
- webinar (IT)– – 26 gennaio 2023 (17-18.30). “Il PNRR: stato di avanzamento dei progetti d’impatto per le donne”, nell’ambito del ciclo Value@Work Open Talks a cura di UPRA-Università Regina Apostolorum
www.upra.org/evento/valuework-open-talks-il-pnrr-stato-di-avanzamento-dei-progetti-dimpatto-per-le-donne
- conferenza (USA) – 6/7 febbraio 2023. “20th Annual Summit Minnesota Fathers&Families“, a cura dell’associazione Minnesota Fathers&Families Network www.mnfathers.org/annual-summit
Iscrizione gratuita http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Cremona. Programma per gennaio 2023
- Partenariato. I progetti nell’ambito del bando Giovani Smart. Movimenti al femminile: opportunità di partecipazione per giovani donne (18-34 anni) con o senza figli.
www.csvlombardia.it/cremona/post/bando-giovani-smart-presentati-i-sei-progetti-di-cremona-finanziati-da-regione-lombardia/
- 6 incontri. Un nuovo percorso per mamme e papà in attesa o per neogenitori:
- 2 incontri a gennaio 2023 Cosa sapere del proprio cane e gatto per vivere serenamente la convivenza con un neonato
Mantova. Pluralità di servizi e sostegni
• supporto psicologico online
• consulenze psicologiche e psicopedagogiche adolescenti, giovani coppie e famiglie
• parlarsi e ascoltarsi in famiglia
• gruppo di parola per genitori separati
• corsi pre-parto, post-parto e menopausa
• cenni di primo soccorso in età’ pediatrica
• ritrovarsi dopo la nascita
• gruppo di sostegno alle donne operate alla mammella
• gruppo per insegnanti
• incontri per genitori di adolescenti
• l’elaborazione del lutto
www.consultorioucipemmantova.it/consultorio
Mestre (Venezia) Consulenza e tirocinio – punto di ascolto per studenti della Scuola media
Dal 1978 l’UCIPEM opera a Mestre dando sostegno alla istituzione famiglia, aiutando le persone a gestire le relazioni interpersonali, di coppia, di rapporti genitori e figli, e ad affrontare i problemi relazionali attraverso un lavoro di attivazione delle risorse personali.
- Consulenza rivolta alla coppia, alla famiglia, al singolo. Il consultorio aiuta a mobilitare nelle dinamiche relazionali le risorse interne ed esterne per affrontare le situazioni di difficoltà. Favorisce la presa di coscienza e facilita scelte personali libere e autonome.
- Punti di ascolto per i ragazzi della Scuola Media. In questo spazio i ragazzi, quasi sempre individualmente ma a volte anche in coppia o a piccoli gruppi, previo appuntamento, trovano uno spazio di ascolto. Qui i ragazzi hanno la possibilità di sperimentare un momento di pieno ascolto dove possono portare liberamente le loro problematiche vissute nel “qui e ora”. Essi trovano dall’altra parte un adulto non giudicante, disponibile a raccogliere le loro richieste spontanee e a sostenere, attraverso la chiarificazione e la riformulazione, una maggior consapevolezza di se stessi e dell’esperienza portata ai colloqui. In tale contesto viene stimolata la parte critica dei ragazzi per aiutarli nella formulazione autonoma delle soluzioni possibili. È un intervento breve (uno o più colloqui) basato su un ascolto empatico che stimola l’attenzione sui personali e strettamente individuali punti di forza. L’incontro avviene in orario scolastico, su richiesta libera, in un ambiente che garantisce la riservatezza.
- Gruppi di parola. È uno spazio protetto in cui, degli esperti favoriscono il sostegno e lo scambio di esperienze; costituisce una modalità di intervento in gruppo su situazioni problematiche. Si rivolge a bambini e ragazzi i cui genitori si stanno separando o lo sono già, a singoli genitori separati o in fase di separazione ma anche all’ambito scolastico per alunni e per insegnanti su temi più vari a seconda dei bisogni espressi in fase di organizzazione dell’intervento. Si porta come esempio tematiche quali l’inclusione scolastica, il potenziamento e l’attivazione di risorse., il bullismo…
Questi gruppi sono costituiti da non più di otto persone e impegnano circa un mese. Individuazione del livello delle abilità strumentali di base L‘attività viene svolta su richiesta delle scuole primarie di primo grado ed è finalizzata alla conoscenza pratica dell’uso degli strumenti di sviluppo delle abilità di base per individuare eventualmente difficoltà di apprendimento.
- attraverso la conoscenza pratica si costruirà una prassi di screening che rimarrà patrimonio della scuola in modo che la stessa possa utilizzarla in completa autonomia.
- l’attività si concluderà con la progettazione e l’attivazione di percorsi didattici mirati al recupero delle difficoltà registrate.
- Laboratorio esperienziale di intelligenza emotiva nella scuola primaria di primo grado. Avvio alla conoscenza delle emozioni come elementi della propria persona e di quella degli altri imparando ad attribuire nomi specifici alle emozioni stesse. Un breve viaggio che permette agli scolari di percorrere un tratto di quella strada che i recenti studi ritengono fondamentale per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva.
- Formazione. Attraverso giornate di studio rivolte agli operatori interni ed esterni al Consultorio per riflettere sulla professione di consulenti, sulle dinamiche coinvolte nella relazione con l’utente, per mantenersi sempre aggiornati sulla professione. Tutti i volontari che operano all’interno delle varie attività sono specializzati.
- Le commissioni L’organizzazione del consultorio si svolge anche attraverso l’attività di alcune commissioni:
- la commissione formazione
- la commissione scuola
- la commissione tirocinio
- Il tirocinio: aspiranti consulenti / counselor possono svolgere attività di tirocinio, regolamentato da specifiche convenzioni tra le Scuole di Formazione e il Consultorio. I tirocinanti sono accompagnati da un tutor professionista operante nell’associazione, che non solo fornisce il proprio modello operativo ma aiuta a riflettere sull’esperienza vissuta, definendo le connessioni fra teoria e pratica
www.ucipem-mestre.it
Parma. Famiglia più adozioni internazionali (anche) e opportunità per scuole, genitori e figli
- Consulenza psicoeducativa. Uno spazio di riflessione sul proprio compito e ruolo genitoriale. Si può essere genitori in modi differenti, a seconda delle età e delle caratteristiche dei figli, delle esperienze che si sono vissute nella propria famiglia d’origine e delle esperienze che si stanno vivendo nel presente.
- Offriamo agli Istituti Scolastici interessati i seguenti strumenti e attività, che vogliono essere un contributo all’importante lavoro educativo di accompagnamento ad una crescita armoniosa di bambini e ragazzi/e:
- Laboratori di educazione all’affettività, sessualità, relazione
- Counseling ai gruppi-classe (sulle dinamiche relazionali), per le classi di scuola secondaria
- Laboratori sulle emozioni e sulle relazioni, per le classi di scuola primaria
- Consulenza, formazione, supervisione ai team-insegnanti
- Spazio di ascolto e sostegno, dedicato ai pre-adolescenti e agli adolescenti, dove possono confrontarsi sui temi del cambiamento, della crescita, del corpo, della relazione affettiva amorosa sessuale, del gruppo dei pari, della relazione coi genitori, della motivazione scolastica, dove possono portare le loro domande, preoccupazioni e difficoltà.
- Gruppi di parola per i ragazzi/e che vivono la separazione dei genitori
- Gruppi di incontro e confronto per adolescenti figli adottivi
Pescara. Percorso di accompagnamento alla nascita da gennaio 2023
Ricca documentazione dell’attività gli ultimi due video
Trento. Prendersi cura delle relazioni
Video https://youtu.be/_lG3msJyvOc
www.ucipem-tn.it
Treviso. Convegno ”Accompagnare la famiglia” 29 ottobre 2022
Il convegno fa memoria dei cinquant’anni di lavoro del Consultorio Familiare U.C.I.P.E.M. di Treviso, con un pomeriggio di riflessione sul tema del “fare famiglia oggi e dell’intervento di accompagnamento alle famiglie da parte del servizio di Consultorio familiare”.
L’importante ricorrenza è stata, per il Consultorio familiare UCIPEM di Treviso, l’occasione per intraprendere un percorso di ricerca che ha inteso ricostruire alcune tappe di lavoro del passato per raccogliere le sfide del futuro intervistando gli operatori protagonisti di questa storia sui bisogni delle famiglie e sul ruolo di questo servizio. Sono i professionisti che dagli anni Settanta a oggi hanno lavorato e in parte continuano a lavorare in questo servizio, e gli studenti della classe quinta dell’indirizzo in servizi per la sanità e l’assistenza sociale dell’Istituto Besta di Treviso che, nell’ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro, hanno potuto conoscere questa realtà.
Il libro che racchiude i risultati di questo percorso di riflessione sull’accompagnamento delle famiglie, in particolare di quelle che attraversano situazioni di vulnerabilità, anche alla luce del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, e che chiama oggi amministratori e operatori a ripensare e riorganizzare i servizi verrà presentato nel corso del convegno dall’autrice. (link per eventuale collegamento in streaming).
- Presentazione del libro: “Accompagnare la famiglia”. Esperienze e prospettive dai cinquant’anni di attività del Consultorio Familiare U.C.I.P.E.M. di Treviso. Anna Zenarolla, dottore di ricerca in Sociologia, Servizio Sociale e Scienze della Formazione – Università di Padova e di Udine
- Accompagnare genitori e famiglie nel quadro dell’Educazione familiare e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Paola Milani, Ph.D., professoressa di Pedagogia Sociale e di Pedagogia delle Famiglie. Laboratorio di Ricerca e Intervento in Educazione Familiare – Università di Padova
- Pasquale Borsellino, direttore U.O. Famiglia, Minori, Giovani Regione Veneto
- Renata Moretti, preside I.S.I.S.S. Fabio Besta
- “Essere un consultorio familiare U.C.I.P.EM, valore dell’identità e dell’appartenenza”Gabriela Moschioni ex Presidente Nazionale UCIPEM
- La voce degli operatori: testimonianze di operatori e Presidenti del consultorio Familiare U.C.I.P.E.M. di Treviso
- Contributo Luigi Gui, prof. associato Università degli Studi di Trieste
- Conclusioni Francesco Pedoja, magistrato
- Modera: Valentina Calzavara giornalista
http://www.consultoriofamiliareucipem.it/treviso
Vittorio Veneto. Mediazione familiare e scuola per consulenti familiari
- alle coppie già divorziate che intendono rivedere i propri accordi.
- Attività e servizi sul territorio
- Scuola di formazione per consulenti familiari
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È gradito l’invio di notizie relative a iniziative innovative rispetto ai servizi di consulenza connaturati al consultorio e di indirizzi e-mail di operatori del consultorio che non li ricevono.
DALLANAVATA
Natale- Messa della notte
Isaia 09, 05 Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere, e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.
Salmo 95, 02. Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie. Gioiscano i cieli, esulti la terra, i suoni il mare e quanto racchiude; sia in festa la campagna e quanto contiene, acclamino tutti
san Paolo a Tito 02, 11. Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Luca 02, 01. In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
Omelia
Fratelli e sorelle,
eccoci anche quest’anno dinanzi al mistero grande del Dio che si fa uomo; del Dio che si fa uno di noi, che assume la nostra carne ed entra nella nostra storia.
I cristiani hanno visto in questo evento l’adempimento delle profezie che abbiamo ascoltato. La promessa fatta a Davide per bocca di Natan: la nascita di un discendente regale, cui Dio stesso avrebbe fatto da padre (2Sam 7,1-16). La promessa fatta attraverso Michea: a Betlemme sarebbe nato un pastore per Israele (Mi 5,1-4). E poi Sofonia il quale annuncia che Dio stesso avrebbe dimorato in mezzo al suo popolo, come Salvatore potente (Sof 3,14-17). Infine la profezia di Isaia: un bambino, un figlio, nato per noi, detto “Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace” (Is 9,1-6).
Parole che forse a qualcuno erano sembrate solo bei sogni o addirittura deliri. Ma quelle promesse, pronunciate in momenti critici della storia d’Israele, avevano aperto squarci di luce in una realtà che appariva gravata da una coltre di nubi, fitta, avvilente e soprattutto che sembrava non avere vie d’uscita. I profeti d’Israele, ispirati dallo Spirito, avevano osato guardare oltre e annunciare parole di luce e di salvezza. Ad essi fa eco l’apostolo Paolo quando scrive a Tito che quelle promesse sono realtà, e afferma: “È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli esseri umani” (Tt 2,11).
Tra le profezie e Paolo vi è la narrazione dell’Evangelo! Quell’annuncio cui ancora una volta, in questa notte, vogliamo fare spazio, nelle nostre vite e nel nostro mondo. Vogliamo fargli spazio non come a un racconto di fatti che appartengono al passato, ma come a una via per la quale la salvezza è entrata nel nostro mondo, e ancora vi può entrare. La salvezza… sì! Questa parola (e realtà) che spesso avvertiamo come distante, obsoleta. Che continuiamo a ripetere per abitudine, senza comprenderne il significato, e soprattutto senza assaporarne la forza. Una delle tante parole logore del nostro gergo religioso! Eppure ne abbiamo così bisogno! Tanto quanto abbiamo bisogno di vita. Non di quella biologica, ma di quella vera: di una vita sensata, talmente sensata da risultare inattaccabile dalla morte. Ebbene, è di questa vita/salvezza (ricordo che nella lingua parlata da Gesù, “vita” e “salvezza” sono la stessa parola) che in questa notte riceviamo ancora l’annuncio dalla bocca dell’angelo: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi (natus est vobis) un Salvatore” (v. 11). È nato “uno che vi salva”, cioè uno che vi rende vivi, attraverso il quale la vita entra nelle vostre vite e nel vostro mondo. Il vangelo che abbiamo appena ascoltato ci racconta proprio questo: la salvezza che si apre un varco nella nostra storia, nel nostro mondo, nelle nostre vite, nelle nostre comunità. Come? Attraverso una narrazione in cui possiamo individuare tre movimenti.
- Il primo è quello della storia, del contesto: un racconto che si presenta come un susseguirsi di eventi e situazioni che non hanno nulla di davvero inedito.
- Comincia con la grande storia dove c’è un imperatore, uno dei tanti, che ha bisogno di assicurarsi il controllo della situazione, che ha bisogno di contare… Contare i suoi sudditi, nell’illusione di renderli così sempre più “suoi”. Quanti folli (piccoli e grandi) ancora oggi avvertono il bisogno di aggiogare, manovrare altri… che si sentono vivi (salvi!) solo nella misura in cui possono disporre di vite umane?! Che si ubriacano della loro pretesa onnipotenza, perché hanno paura della loro fragilità.
- Ci sono poi i sudditi, che vanno a farsi registrare, che obbediscono all’imperatore. Gente più o meno consapevole di quell’umiliazione cui si sottomettono, più o meno arresa allo strapotere di chi dovrebbe invece prendersi cura di loro. Gente varia. Tra loro ci sono anche Giuseppe e Maria, che anch’essi obbediscono. Anche qui nulla di nuovo: quanti popoli ancora oggi sono soggetti, più o meno consapevoli, a capi che anziché proteggerli e guidarli al bene, li umiliano e ne usano?! Popoli che non sanno come spezzare quel giogo o che vi sono talmente assuefatti da non vederlo neppure più. Emerge poi anche il volto di un villaggio, di una società, in cui una giovane coppia nel bisogno non trova accoglienza, al punto che il loro figlio sarà partorito in un ricovero per animali. Eppure Giuseppe, secondo l’evangelista, discende dagli abitanti di quel villaggio. Ma evidentemente quella parentela originaria (quella fraternità originaria) è dimenticata. Sono solo estranei, come tanti che le nostre società considerano tali: altri da noi, per i quali non c’è posto.
- Infine ci sono i pastori, i marginali. Loro l’alloggio non lo hanno per status. Pernottano all’aperto per vegliare sul gregge. Tra le tante classi sociali, ci sono anche costoro: gli ultimi degli ultimi, emarginati da un tessuto comunitario che li vede come maledetti a motivo della loro comunanza con gli animali. Potenti che si atteggiano a onnipotenti, popoli umiliati che accettano il loro destino, società distratte al bisogno dei più deboli, marginali che vivono da esclusi. Sembra che questa pagina parli di noi, delle nostre società! Tutto potrebbe finire qui… E potremmo concludere: nulla di nuovo sotto il sole!
- Ma ecco (ed è il secondo movimento) che in quel contesto irrompe una voce di angeli. Angeli che parlano di gioia (vi annuncio una grande gioia), di salvezza (è nato per voi un Salvatore) e di pace (sulla terra pace agli uomini, che egli ama). Quel quadro cupo è attraversato da una parola che immette luce, che lacera la cappa opprimente di quel presente. Una voce, che viene dall’alto e annuncia il “Cristo Signore”, entra nella storia. È la buona notizia cui questa notte noi vogliamo ancora, nuovamente, credere. Già credere… che significa: accogliere e vivere. Nella nostra storia e nelle nostre vicende entra Dio stesso: il Dio del cielo si fa Dio-con-noi. Questo significa che in mezzo a prepotenti e umiliati, a carnefici e vittime, a bisognosi di accoglienza e a cuori induriti e distratti, ci è annunciata, e noi annunciamo, la presenza e la manifestazione del Figlio di Dio. E questo per pura grazia, per puro dono.
- Ma il racconto ci invita ancora a un terzo sguardo (un terzo movimento). Ai pastori l’angelo del Signore dice: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (v. 12). C’è la storia, c’è l’annuncio e poi c’è il “segno”. Segno è ciò che rivela, ma anche ciò che indica una direzione; e dunque una logica da accogliere e un cammino da percorrere. I pastori infatti “vanno” a Betlemme, per “vedere”. Vedere cosa? Vanno a vedere la via per la quale quella salvezza sta entrando nella storia. Vanno a vedere la via per la quale quella salvezza continua (ancora oggi per noi) a entrare nelle nostre storie: un bambino in una mangiatoia. Un’immagine disarmante e al limite del deludente! Ma che è chiarissima nel suo significato: questa è la porta per la quale la salvezza è entrata nel mondo! Questa ancora per noi oggi è la porta per la quale la salvezza, la vita, può entrare in noi e presso di noi!
Il segno è chiaro! E si rivolge a noi che questa notte ci rimettiamo in ascolto di questa buona notizia e che in questa nostra assemblea liturgica vogliamo portare, insieme a noi stessi, il nostro mondo afflitto da guerre e violenze, le nostre comunità ferite… Il segno è chiaro! C’è un unico modo per lasciare che quella salvezza entri e risani il nostro cuore e il nostro mondo: guardare a ciò che giace in basso, non a ciò che s’innalza; sperare in ciò che è piccolo e indifeso, non in ciò che è grande e luccica; scegliere ciò che è umile, non ciò che s’impone! Questo vangelo ci riconsegna un messaggio sconvolgente: la vera autorità, il vero potere, ciò che davvero cambia la storia e le nostre storie, quello che le salva, sta in basso e non in alto; è in una mangiatoia e non sul trono dei potenti.
Nelle situazioni critiche e a volte disperate… le nostre… anche quelle delle nostre famiglie, comunità e società, il mistero del Natale ci ricorda che c’è sempre speranza… che è possibile ricominciare, ma dal basso: non dalle strategie dei forti, ma da ciò che è umile. C’è una via di uscita per questa nostra umanità, ma questa richiede il coraggio dell’umiltà!
Questo vangelo ci ricorda che Cesare Augusto non ha mai salvato nessuno, mentre il bambino avvolto in fasce ha salvato l’umanità intera. Ci ricorda che la pace vera non è la pax romana di cui i Cesari di turno si fanno propugnatori, fatta di compromessi e calcoli e spesso di menzogne, ma quella che ci viene da quel Bambino inerme, che ci riporta all’essenziale della nostra umanità: che ci riporta per terra! Su una terra benedetta, unico luogo in cui potremo tornare a guardarci negli occhi senza paura e senza risentimento. Da esseri umani: tutti umani! Solo umani! E per questo chiamati a diventare dèi con il nostro Dio.
Ci ricorda che i forti e la forza non salvano né danno la pace. Che noi non abbiamo bisogno di un uomo forte, né abbiamo bisogno di essere forti per trovare gioia, salvezza e soprattutto pace. Abbiamo bisogno di umanità: la piccola, fragile umanità che si può scorgere nel sorriso di un bambino, di un inerme, di un indifeso, di un povero… Del povero che siamo anche noi, se ci riconosciamo tali. Se abbiamo una forza, un’autorità… è quella della nostra povertà! È lì che il Dio-con-noi entra e opera, entra e risana, entra e ci dona la pace!
Celebrando la memoria della nascita del Messia Gesù vogliamo ancora una volta convertire il nostro modo di guardare. Vogliamo smettere di credere che la pace ci viene dai potenti e dai loro metodi, che la pace ci viene dalla violenza e dalla sopraffazione. Vogliamo invece continuare a cercare in mezzo a tante parole urlate, quella mite che rasserena il cuore; in mezzo a tanti atti di prepotenza, la carezza di un Dio che viene senza imporsi.
Celebrare il Natale del Signore Gesù significa per noi accogliere il “suo” segno. Per questo noi siamo qui questa notte: per dire ancora una volta in chi noi confidiamo, di chi noi ci fidiamo, da chi attendiamo la salvezza per le nostre vite; e dunque su quale cammino vogliamo impegnare noi stessi, per ricominciare. Vogliamo imparare da lui, come dice ancora Paolo nella lettera a Tito, da lui che ci ha insegnato a “vivere in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà” (v. 12). Allora il nostro essere ritroverà la sua dignità, le nostre relazioni saranno per noi motivo di gioia, le nostre comunità luoghi di epifania dell’amore del Signore. La via è tracciata: è in quel “segno” che in questa notte santa si mostra ai nostri sguardi.
p. Sabino Chialà, comunità monastica di Bose 24 dicembre 2022
www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/12/sabino-chiala-il-segno-di-un-bambino.html
RIFLESSIONI
“L’umiltà di Bergoglio e gli uomini capaci di rinunciare al proprio ego”
Che cosa significa per un essere umano dimettersi? Che cosa dimostra a sé stesso e agli altri chi si dimette da una carica affidatagli o conquistata in prima persona? A mio avviso dimostra di considerare la carica, e quello che essa rappresenta, più importante di sé. Le dimissioni sono quindi in primo luogo un atto di umiltà. Ma non è solo questione di umiltà, ancor più lo è di intelligenza, perché le dimissioni dimostrano consapevolezza, rivelano cioè la capacità di saper prendere coscienza del proprio effettivo rapporto con il mondo reale.
Ogni lavoro consiste in una trasformazione del mondo. Il mondo è davanti a noi e lavorare significa trasformarlo: o come pranzo da preparare, o come indagine da condurre, o come motore da aggiustare, o come paziente da curare o come mille altre forme, tra cui quella di una millenaria organizzazione di uomini e idee da guidare. L’oggetto di ogni lavoro è un pezzo di mondo che spetta a noi trasformare. Più in particolare, lavorare con profitto significa trasformare la parte di mondo a noi affidata in un mondo migliore. Il lavoro riuscito consiste in un’immissione di energia ordinata nella porzione di mondo di cui siamo responsabili, che passa così da uno stato più caotico a uno più ordinato.
L’oggetto del nostro lavoro attende da noi di essere salvaguardato dall’incessante imperversare dell’entropia, di essere protetto e custodito dalla nostra intelligenza e dalla nostra dedizione impedendo che il caos riprenda il sopravvento, così che la porzione di mondo affidata alla nostra cura sia sempre più simile a un giardino ordinato e rispecchi l’idea di cosmo che sempre rimanda a bellezza (cosmo, cosmesi, cosmetico).
Ma tutto questo comporta una precisa condizione di possibilità di realizzazione del lavoro: la superiorità del soggetto rispetto al pezzo di mondo affidatogli, superiorità da intendere come capacità di incidere. E sempre per questo, quando tale capacità viene meno, sfuma anche immediatamente la possibilità di svolgere fruttuosamente il lavoro ed è quindi saggio dimettersi. Capirlo non è così semplice, perché esige un particolare distacco da sé, quello in cui propriamente consiste l’amore. L’amore infatti è dedizione così totalizzante all’oggetto amato da coincidere con il superamento di sé. Il falso amore è il contrario: è asservimento, spesso ossessivo, dell’altro a sé. Chi ama veramente comprende che c’è qualcuno o qualcosa più importante di sé. E per questo si dedica a questo qualcuno o qualcosa lavorando con onestà e dedizione ed è anche nella condizione di capire quando la dedizione richiede il suo distaccarsi.
I grandi uomini sono coloro che capiscono da sé quando non sono più grandi. Quando cioè sono meno forti rispetto a quello che il mondo si attende da loro. Capire il venir meno della grandezza è un segno altissimo di grandezza. E la mente, di fronte a esseri umani così, genera quella particolare devozione intellettuale che si chiama stima. Viceversa, di fronte a coloro che non comprendono di non essere più in grado di svolgere il proprio lavoro e continuano senza esserne all’altezza, o peggio ancora lo comprendono ma continuano fingendo di esserlo per amore del potere, la mente genera un sentimento opposto, cioè il disprezzo, non privo di derisione (la pietas consiglia di non proporre esempi concreti). Si dà anche una terza possibilità: quando, come nel caso di Giovanni Paolo II, chi non si dimette lo fa per una tale dedizione alla missione ricevuta da essere sacrificio, il che può costituire qualcosa di lodevole a livello soggettivo ma ha sempre gravi conseguenze al livello oggettivo del lavoro che attende di essere svolto (e fu capendo questo di sé, e non senza aver visto da vicino le conseguenze dell’assenza di governo degli ultimi anni del papa polacco, che Benedetto XVI si dimise).
Quando un grande uomo si dimette dalla sua carica compie quello che la sapienza indù indicò molti secoli mediante il celebre detto sui quattro stadi della vita umana: il primo è dedicato all’imparare, il secondo al lavorare, il terzo al ritirarsi a contemplare nella foresta, il quarto infine al mendicare. La ruota della vita prevede per tutti un momento di ascesa rappresentato dall’imparare, un momento di ascesa ulteriore quando si mette a frutto ciò che si è imparato mediante il lavoro, un momento di distacco quando si capisce di non avere più le forze necessarie per lavorare ma si mantengono tuttavia le forze per governare se stessi e ripensare alla vita, e infine un quarto doloroso e inevitabile momento quando le forze non sono più neppure sufficienti per governare se stessi e si è costretti ad affidarsi ad altri, a “mendicare”.
Capire che la vita presenta questi tempi e adattare noi stessi con umiltà e intelligenza a tale temporalità significa aver appreso l’arte del vivere, la più difficile e la più preziosa delle arti. Il fatto che Papa Francesco già nel 2013 al momento dell’elezione avesse consegnato al Segretario di Stato la lettera delle proprie dimissioni in caso di incapacità fisica a svolgere il lavoro per il quale era stato eletto, indica nel modo più chiaro la grandezza umana di Jorge Mario Bergoglio. Come pontefice egli può piacere o non piacere, sicuramente più di altri attira simpatie e antipatie nel mondo e più ancora nella Chiesa, ma penso sia impossibile non riconoscere in lui una forte e al contempo umile personalità, laddove la forza e l’umiltà si dimostrano nel suo aver trovato qualcosa di più importante di sé dedicandosi a esso con attenzione e passione continua. Norberto Bobbio disse un giorno che la vera differenza non è tra chi crede e chi non crede ma tra chi pensa e chi non pensa: in questa prospettiva io vorrei riscrivere la sua affermazione dicendo che la vera differenza non è tra chi crede e chi non crede ma tra chi vive per qualcosa più grande di sé e chi invece non sa superare se stesso.
Dimettersi significa anzitutto avvertire che esiste qualcosa più importante di sé. Non dimettersi continuando a rimanere attaccati a un ruolo rispetto a cui non si è più all’altezza significa al contrario mostrare il proprio sconfortante e ridicolo egoismo, o anche uno spirito di sacrificio ben poco produttivo.
Anche nell’essere fin da subito pronto alle dimissioni Papa Francesco mostra di essere fedele al nome che si è scelto. Francesco d’Assisi infatti, non appena l’ordine da lui fondato assunse una configurazione militante divenendo strumento di potere nelle mani della Chiesa, si dimise dalla sua guida. Capiva che non aveva le forze e i sentimenti per il ruolo di amministratore del potere. E dimettendosi, giunse a quella libertà interiore che gli permise di scrivere “Il cantico delle creature”, una delle pagine più belle della letteratura universale. Il che è logico: solo chi conosce l’arte di dimettersi dal proprio ego giunge a ospitare quella libertà da sé che lo conduce a farsi voce degli altri, del sole, del fuoco, del vento, dell’acqua, della terra, anche della morte, scorgendo in ogni cosa un motivo per benedire.
Vito Mancuso La Stampa 19 dicembre 2022
www.vitomancuso.it/2022/12/19/lumilta-di-bergoglio-e-gli-uomini-capaci-di-rinunciare-al-proprio—ego
Il senso della natività: continuare a rinascere
Gli urti traumatici della pandemia e della guerra hanno mostrato il carattere tetro del potere della morte. La vita è sembrata cadere soccombendo di fronte alla violenza ingovernabile del male. Ma festeggiare il miracolo della natività significa riconoscere che la vita non si arrende a quel potere.
Nel racconto cristiano la nascita di Gesù realizza il miracolo dell’incarnazione: Dio si rende pienamente umano assumendo la figura di un bambino inerme. Ma qualcosa di miracoloso avviene, in realtà, in ogni nascita. Dovremmo infatti imparare a vedere in ogni nascita una promessa di salvazione del mondo dalla brutalità e dalla violenza della morte. Nella nascita non si tratta solo di un evento naturale che risponde alle leggi universali della vita.
Il miracolo della nascita è quell’evento singolarissimo che rende la vita unica sin dal momento del suo primo respiro. La sua festa è la festa che consacra l’inizio: nella nascita di un figlio rinasce ogni volta il mondo. Agli occhi dei suoi genitori le stesse cose di prima non saranno più le stesse, il mondo come lo conoscevamo prima cambia necessariamente il suo senso.
Tutto resta, in realtà, come prima ma nulla è più come prima. Ogni nascita (anche quella di un amore, di un’amicizia o di una passione) rinnova così il miracolo della creazione del mondo, prolunga la sua genesi.
Accade anche nella creazione dell’opera d’arte. L’artista, facendo nascere un’opera, non si limita a rappresentare un mondo che già esiste, ma mette al mondo un nuovo mondo. In questo senso in ogni nascita si rinnova il miracolo – splendido e atroce – della vita. La luce della nascita non può infatti essere mai separata dal destino mortale che essa impone. La vita emerge dal buio, dal sangue, dalle viscere, dall’ombra, dal fango. Viene al mondo solo attraverso il grido della sua assoluta inermità iniziando a morire con il primo respiro. Non per caso gli esseri umani possono sentirsi profondamente attratti dalle rovine, dai resti che non vogliono morire e che continuano a vivere contro l’inesorabilità del tempo.
La poetica ormai classica di Giorgio Morandi come quella contemporanea di Anselm Kiefer celebra in modo straordinario la dimensione luminosa di ciò che resta, di ciò che non vuole morire, di ciò che vuole continuare a nascere.
È anche un grande tema biblico: la salvezza si trova sempre in ciò che resta, in un “resto che ritornerà”, come dichiara Isaia. Nel “giusto” Noè o nel piccolo Mosè salvati dalle acque, in Gesù risorto dal buio del sepolcro. Sono delle profonde immagini della nascita che si ripete attraverso la morte. Non a caso nella lingua ebraica la parola sheerìt, che significa resto, è composta dalle stesse lettere (reshìt) che significano “inizio”. Perché, come ricordava Hannah Arendt, gli esseri umani non sono fatti per morire ma per nascere innumerevoli volte.
Gli urti traumatici della pandemia e della guerra hanno mostrato il carattere tetro del potere della morte. La vita è sembrata cadere soccombendo di fronte alla violenza ingovernabile del male. Ma festeggiare oggi il miracolo della natività significa riconoscere che la vita non si arrende a quel potere. Siamo responsabili anche della nostra nascita, diceva paradossalmente Sartre. Ma come è possibile esserlo? È necessario un “Sì!” anche per nascere. È necessario dire di “Sì!” alla vita per vivere. Questo significa che ogni volta che la vita dice “Sì!” alla vita, la vita può fare esperienza della nascita. È quello che il cardinale Martini ripeteva sottolineando che la resurrezione non è un evento straordinario che accade alla fine della vita, ma può accadere ogni giorno.
È quello che Nietzsche vede apparire nel mistero dell’eterno ritorno dell’eguale: è necessario dire un grande “Sì!” alla vita perché questo ritorno – la ripetizione inesorabile del tempo che ci divora – non appaia come un peso oppressivo, ma come l’esito di una nostra decisione, di una nostra volontà: “Sì! Voglio ancora nascere! Voglio ancora la vita nel suo splendore e nella sua atrocità! Voglio che si ripeta ancora, ancora come oggi e come tutto il tempo che è già avvenuto!”.
Il miracolo della nascita è, dunque, il miracolo del nuovo che accade nello stesso. Nella ripetizione uniforme della vita che ci consuma, la nascita è quel taglio che riapre la vita alla vita. È il “Sì!” che vince sul “No!”. È l’affermazione che vince sulla tentazione, sempre in agguato, della negazione nichilista: “tutto è vano, tutto è inutile”, diceva rassegnato l’indovino-Schopenhauer allo Zarathustra di Nietzsche.
Il “Sì!” della nascita che si rinnova insiste nel mostrare che non tutto è morte, che la morte non è l’ultima parola sulla vita, che non tutto è vano, che non tutto è inutile. Lo sanno bene coloro che hanno ridato respiro ai malati di Covid, lo sanno bene i protagonisti eroici della resistenza ucraina che difendono la dignità della loro vita e la libertà della loro terra di fronte all’invasore, lo sanno bene le donne e il popolo iraniano che rivendicano il diritto di nascere di nuovo, finalmente liberi dall’oppressione di una Legge folle che agisce non in nome della vita ma in quello tetro della morte.
Massimo Recalcati La Repubblica 23 dicembre 2022
www.repubblica.it/commenti/2022/12/23/news/nativita_natale_continuare_a_rinascere-380458254/?ref=nl-rep-f-anr
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221224recalcati.pdf
SINODI
Eppur si muove!
Dopo aver dato ampio conto delle polemiche attorno al caso tedesco, dopo aver parlato delle iniziative che il livello centrale della Segreteria del Sinodo propone, è bene anche guardare a qualche periferia e trovare qualche frutto sinodale interessante. Naturalmente è certo che ve ne sono molti altri, solo che, per molti motivi, non raggiungono il livello della notiziabilità. Così, spulciando tra le news, ho selezionato tre casi di altrettanti luoghi molto distanti geograficamente e culturalmente tra loro.
- Amazzonia. Il primo riguarda l’Amazzonia e in particolare la nascita del terzo organismo ecclesiale-sinodale (in tutti e tre, infatti, sono coinvolte larghe fette del «popolo di Dio» e non solo preti e vescovi).
- Il primo, la Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM), è quella che ha dato il «la» al Sinodo sull’Amazzonia, tra l’altro con alcune richieste – diaconato femminile e clero uxorato – su cui il papa ha però deciso di non procedere. Quel Sinodo, tuttavia, aveva legato intimamente le questioni ecclesiali a quelle ambientali, proprio per le specificità dell’ambiente in cui le popolazioni vivono, che è risorsa fragile e sfruttata, fonte di sostentamento ma anche di gravi ingiustizie. Tanto è vero che le uccisioni di attivisti ambientali anche animatori di comunità di credenti sono proseguite a un ritmo preoccupante.
- Così è poi sorta la Rete ecclesiale ecologica mesoamericana e messicana (REMAM) in America centrale
- e poi (esattamente il 28 e il 29 novembre) la Rete ecclesiale del Gran Chaco e Acuífero Guaraní (REGCHAG), che riguarda il Sudamerica. Essa mette al centro della propria azione («nell’apertura e dialogo con le popolazioni originarie, la custodia del creato e la promozione dell’ecologia integrale» come ambiti sia ecclesiali sia civili su cui le comunità vengono coinvolte. E l’uno e l’altro aspetto non possono essere divisi.
È da questa lunga tradizione ecclesiale che evidentemente papa Bergoglio trae ispirazione: quindi merita doppiamente di essere seguita.
- Il caso Polonia. Al lato opposto, non solo geografico, c’è la Polonia, di cui tante volte s’è scritto a motivo del fatto che, come altri paesi dell’Est Europa, per colpa della repressione dei regimi comunisti tra la fine della Seconda guerra mondiale e la caduta del Muro, non ha potuto conoscere, se non da un lontano riflesso, i fermenti provenienti dal concilio Vaticano II e soprattutto la sua fase «applicativa». Per questo il Sinodo può essere una via concreta di recupero di alcune di quelle istanze 60 anni dopo, nella pressante urgenza di una vita ecclesiale che si sente assediata da una secolarizzazione rampante e dall’assenza di un’elaborazione adeguata sul fronte teologico, che non sia solo sognare un passato perduto.
- Grazie a Religion digital (22.11.2022) oggi sappiamo che esiste un Congresso dei cattolici e delle cattoliche polacchi nato negli stessi tempi dell’indizione del Sinodo sulla sinodalità (autunno 2020). Come scrive Bárbara Radziminska, coordinatrice del Congresso, si tratta di un’iniziativa «di laici e chierici a livello nazionale che insieme cercano risposte positive alla questione del futuro della Chiesa cattolica in Polonia. È un forum per lo scambio di idee e una piattaforma per un’azione congiunta in vista delle riforme necessarie a una Chiesa in profonda crisi, in una realtà sociale in continuo cambiamento». Grazie al lavoro di 12 gruppi tematici, sono stati preparati sinora 9 rapporti che hanno riguardato, tra gli altri, questi temi: il funzionamento delle parrocchie, la posizione della Chiesa nei confronti della violenza contro le donne, quella nei confronti della comunità LGBT e le relazioni tra Chiesa e stato.
- Un secondo aspetto che ha molto coinvolto il Congresso è stato la guerra in Ucraina: «Abbiamo anche co-organizzato – afferma Radziminska – l’iniziativa di “Preghiera senza frontiere” per la situazione dei rifugiati al confine tra Polonia e Bielorussia e abbiamo partecipato come volontari e fornendo aiuti all’Ucraina devastata dalla guerra».
- Un Forum e dieci proposte. Per quanto riguarda il Sinodo, molti «congressisti» sono stati coordinatori parrocchiali nella fase d’ascolto. Molti «si sono recati in molte parrocchie dove “non succedeva nulla”, e hanno parlato con i parroci, incoraggiato la partecipazione al Sinodo e offerto il proprio aiuto. Hanno anche partecipato attivamente alle riunioni sinodali a livello diocesano, laddove si sono svolte. Alcuni sono stati membri delle équipe sinodali diocesane incaricate di organizzare il Sinodo o di redigere la sintesi finale. Il Congresso ha «anche organizzato una serie di incontri di consultazione in diverse diocesi, in particolare con persone in crisi, senza fissa dimora (…) con i rifugiati, con le madri single e con i genitori di persone autistiche. Hanno ascoltato (…) le esperienze e i punti di vista delle persone LGBT+, e anche le persone che sono state ferite in vari modi da persone nella Chiesa e le esperienze di coloro che per vari motivi hanno già lasciato la Chiesa». Infine, tra il 22 e il 23 ottobre scorso il Congresso ha organizzato un Forum intitolato «Presenti nella Chiesa» a cui ha preso parte anche il teologo laico venezuelano Rafael Luciani, che ha tenuto una prolusione. Dalle due giornate sono scaturite 10 proposte che riguardano l’insegnamento della Chiesa e alcune disposizioni del Codice di diritto canonico. Lì si chiede la creazione di una commissione indipendente che indaghi sugli archivi della Chiesa per gli abusi sessuali e i reati commessi dal clero e dalle persone consacrate. Si auspica poi la nomina di un mediatore indipendente per i diritti dei laici nella Chiesa, uno studio sul ministero delle donne e di ascoltare e coinvolgere i gruppi LGBT+.
«La nostra proposta – conclude la coordinatrice – s’ispira alla necessità di conversione personale ed ecclesiale di tutti i membri della Chiesa in Polonia».
- Per finire, in Arkansas (USA). Come è avvenuto un po’ dovunque, non tutti hanno lavorato al medesimo livello d’intensità nella «fase dell’ascolto» dello scorso anno; e la sfida di quest’anno è ancora più stretta nei tempi, perché ciò che in diocesi emergerà dalla lettura del Documento per la tappa continentale dovrebbe confluire a livello nazionale in tempo per essere portato alle assemblee continentali che sono in calendario per febbraio 2023. Non si è perso d’animo mons. Anthony Taylor, vescovo di Little Rock (USA), che il 10 dicembre ha inviato ai propri fedeli una Risposta postsinodale.
Come sintetizza Crux (6.12.2022), il vescovo ha considerato il proprio documento alla stregua di un’esortazione apostolica: «Le esortazioni – scrive Taylor – si concentrano sul futuro, su ciò che deve ancora essere fatto». Inoltre, solo il 43% delle parrocchie ha partecipato nella fase precedente e l’occasione dell’esortazione del vescovo è di poter coinvolgere anche il restante 57% in ciò che a livello mondiale la riflessione sinodale ha fatto emergere. Vi sono 11 temi principali emersi da questo processo, in linea anche con i feedback ricevuti dalle diocesi a livello nazionale e che sono divisi nelle tre aree proposte dal Sinodo della Chiesa universale: comunione, partecipazione e missione.
- La fase continentale, un’altra occasione. I temi sono: comunità/collaborazione; formazione alla fede dei giovani e dei giovani adulti; desiderio di un insegnamento della fede nelle omelie; necessità di gruppi di sostegno cattolici; necessità di sacerdoti presenti, responsabili, trasparenti, che ispirino fiducia e comunicativi; il rischio che la Chiesa sia politicamente schierata; rigidità della legge della Chiesa, specialmente per quanto riguarda divorzio e nullità matrimoniale; giudizio vs amore; questione LGBTQ; senso d’abbandono delle parrocchie rurali; ruolo delle donne.
Il Consiglio presbiterale della diocesi di Little Rock(l’intero Stato dell’Arkansas USA) discuterà gli 11 temi «uno a uno» nelle riunioni mensili che si terranno il prossimo anno, mentre il Consiglio pastorale diocesano discuterà questi temi nelle riunioni trimestrali. «Ho prodotto questo documento per darvi un’idea delle questioni che sono emerse in questo processo sinodale in Arkansas e per chiedere il vostro impegno nel contribuire ad affrontare questi temi a livello parrocchiale» – ha detto Taylor –. E poi ha aggiunto che la sua speranza per questo processo permanente è che «la nostra Chiesa locale diventi più sinodale in tutto ciò che facciamo».
- Insomma, se lo si vorrà anche questa fase, tempistica a parte, è un’occasione per far fare alle Chiese locali, ovunque esse siano, un passo avanti nel percorso verso la sinodalità. E al Sinodo universale concedere un tempo di decantazione e raccordo in vista della discussione che inizierà a Roma nell’ottobre 2023.
Nel frattempo, l’importante è non stare fermi. O non fingere che niente si muova.
Maria Elisabetta Gandolfi, Caporedattrice attualità per “Il Regno” Re blog 11 dicembre 2022
Germania: il Cammino sinodale è stato pensato per “fare pressione sulla Chiesa”
Thomas Sternberg, già presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), che ha lanciato il Cammino sinodale insieme al cardinale Reinhard Marx, allora presidente della Conferenza episcopale tedesca (DBK), ha concesso venerdì 2 dicembre un’intervista alla radio diocesana di Colonia sul processo sinodale avviato dal 2019 in Germania.
L’interesse di questa intervista sta nella spiegazione, senza giri di parole e senza peli sulla lingua, del perché e soprattutto del metodo utilizzato dagli ideatori del processo sinodale tedesco, nonché delle finalità perseguite. Un discorso illuminante, ma che non sorprenderà chi ha seguito con attenzione le avventure di questa impresa. Va ricordato che Thomas Sternberg è membro dell’Unione cristiano-democratica tedesca (CDU in tedesco) dal 1974 ed è attivo da molti anni in politica a livello locale. Dal 2005 al 2017 è stato membro del parlamento regionale del Nord Reno-Westfalia. È stato presidente dello ZdK, Comitato centrale dei cattolici tedeschi dal 2015 al 2021. Va notato che tutti i presidenti dello ZdK, dalla fine degli anni ’60 e dal suo cambio di status in seguito al Concilio Vaticano II, provengono da ambienti politici. In altre parole, pensano come i politici, anche quando si tratta di Chiesa.
Una tattica politica. Il Sig. Sternberg non esita a spiegare come è stato concepito il Cammino sinodale e per quali motivi. E prima di tutto ha detto che si è rivelato giusto “non usare una forma sinodale che sarebbe stata sancita dal diritto ecclesiastico e che avrebbe dato la possibilità di vietare una cosa del genere”. Questa forma avrebbe potuto essere un consiglio particolare o nazionale. Come ha denunciato il Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, leggendo la bozza di Statuto: “risulta chiaramente dagli articoli della bozza di Statuto che la Conferenza Episcopale intende convocare un concilio particolare a norma dei cann. 439-446, ma senza utilizzare questo termine”. Sternberg giustifica pienamente questa accusa. L’ex presidente dello ZdK spiega che, dal punto di vista del diritto ecclesiastico, il Cammino sinodale è “un processo di discussione non vincolante”. Ma solo così si può effettivamente “operare liberamente, e allora cadono anche le obiezioni critiche prefabbricate che sono state sollevate a Roma”.
Omette di dire che lo ZdK inizialmente voleva un processo vincolante – che compare nella bozza di Statuto – ma i vescovi gli hanno fatto capire che si trattava di un limite invalicabile, che rischiava di bloccare tutto. Cambiando rotta, la DBK e la ZdK hanno deciso un processo non vincolante, ma i vescovi si sono impegnati personalmente ad attuare le decisioni. Sternberg descrive poi le tattiche seguite. Ammette “che non possiamo decidere in Germania sulla questione dell’ordinazione delle donne o dell’abolizione del celibato“. Ma aggiunge di essere “ancora abbastanza politico da sapere che sono necessari processi e sviluppi perché i temi siano discussi”.
L’obiettivo è “parlare e fare richieste“, ha spiegato. “È solo attraverso la pressione che si ottiene un vero cambiamento”, conclude. Così, Sternberg ammette senza imbarazzo che il processo del Cammino sinodale ha lo scopo di fare pressione sulla Chiesa e su Roma.
Un risultato inaspettato. Secondo Thomas Sternberg, la via sinodale tedesca “funziona” con “molto più successo di quanto io stesso avessi immaginato”. Quindi si compiace dei testi adottati: il testo base sulle donne, sull’omosessualità nella Chiesa, sul clericalismo. “Fondamentalmente, tali questioni sono emerse davvero solo grazie a questo Cammino sinodale e ora vengono discusse fuori dalla Germania“. Così un testo già adottato chiede un riesame dell’impossibilità di ordinare le donne, anche se Giovanni Paolo II ha dichiarato “definitivamente” nel 1994 che la Chiesa “non ha l’autorità di ordinare le donne”. Quello che papa Francesco ha finito per ammettere di recente.
Inoltre, va cambiata la dottrina cattolica riguardo al rifiuto dell’omosessualità basato sulla Sacra Scrittura e sulla legge naturale, secondo un altro documento del Cammino sinodale, adottato dalla maggioranza dai vescovi. Infine ammette che “quando si fa un processo sinodale bisogna anche aspettarsi di non vincere”, a proposito di un testo che non è stato adottato durante l’assemblea sinodale di settembre, l’unico fino ad oggi.
Conclusione. Uno dei principali protagonisti dell’ideazione e dell’avvio del Cammino sinodale, ammette tranquillamente che questo sinodo è in definitiva un affare gestito politicamente. Si tratta di andare avanti con tutti i mezzi per esercitare una pressione sempre maggiore su Roma e sulla Chiesa, per cercare di ottenere cambiamenti strutturali che non facciano altro che sfigurare la Chiesa e distorcerla, se ciò fosse possibile. Dopo tali confessioni, che non fanno altro che confermare quanto già si sapeva, ma che mostrano la profonda intenzione degli iniziatori del progetto, sembra difficile non fermare una volta per tutte questa impresa che non ha nulla di cattolico, per purificare un po’ l’odore fetido che porta con sé. È una questione che riguarda la salvezza delle anime.
{Come avvenne nel primo Sinodo a Gerusalemme, quando Paolo di Tarso convinse gli altri che per essere discepoli di Cristo non era necessario essere circoncisi, sono le argomentazioni fondate e condivise che fanno progredire nel suo cammino il popolo di Dio, da Abramo e Mosè in poi. Ndr}
Enzo Bianchi “Il posto della donna nella Chiesa”
Da diverse chiese locali di tutto il mondo sono pervenuti a Roma i resoconti del lavoro di ascolto dei cattolici che si sono impegnati nel processo sinodale, stimolato da Papa Francesco, e di fatto ha indicato temi e riforme per la chiesa di domani. Mai nella storia delle chiese si era vissuto un processo del genere, con il coinvolgimento dei fedeli, ai quali viene riconosciuta la libertà di proporre mutamenti. E si tratta anche di riforme delle strutture e di rilettura della morale cristiana, che è frutto non solo del Vangelo ma anche della cultura umana.
Così, dopo questa prima fase, si vive una incertezza e alcune paure. Temi brucianti, questioni a lungo dimenticate sono emerse con chiarezza teologica, espresse in modo maturo da alcune chiese nazionali, generando timore nella curia romana e in settori ancorati alla tradizione, fino ad abbaiare alla possibilità di uno scisma della chiesa di Germania, che invece resta una chiesa cattolica dotata di doni per leggere teologicamente i problemi con intelligenza. Su un tema soprattutto il rischio è che si generi una frustrazione: il posto della donna nella chiesa.
In una intervista ad America magazine, Papa Francesco, alla domanda se la donna potrà essere ordinata nel ministero, ha ribadito la posizione espressa altre volte, ricorrendo a una formula del teologo H. U. von Balthasar, che legge la chiesa come una polarità attorno a un principio petrino e a un principio mariano. Al carisma di Pietro appartengono l’autorità e il governo, al principio mariano il carisma dell’amore.
A partire da questo paradigma simbolico è facile affermare che la chiesa vive del principio petrino, presente nella gerarchia costituita da uomini che la governano, i pastori, e trova un’immagine speculare in Maria, la madre dei credenti e sposa di Cristo. Così si identifica una donna con la casa, il femminile con l’interiorità, la ricezione e il maschile con la ministerialità, l’autorità, il potere.
Io credo che sia impensabile per un credente accogliere una simbolica così discriminante. Come è possibile paragonare Pietro e Maria che stanno su piani di ordine diverso? Non credo che questa sia la via per motivare il divieto del ministero ordinato alle donne.
So che la tradizione ha sempre escluso una tale ammissione all’ordine e che oggi la chiesa resta impreparata a un’apertura del genere, che la maggioranza dei cattolici non riesce ad assumere una tale novità, e resta un problema ecumenico con le chiese sorelle dell’ortodossia, che non ammettono le donne all’ordine.
Invece di arrampicarci su ipotesi che non hanno rigore teologico e di continuare a ripetere che “non è nella disponibilità della chiesa aprire alle donne il sacramento dell’ordine”, meglio essere chiari: oggi non è possibile perché tale scelta non è matura nella chiesa cattolica.
Si continui a cercare come rispondere ai bisogni del popolo di Dio e riconoscere alla donna il posto che le è dovuto senza invocare giustificazioni che non convincono, apparendo ingenue e incongrue e perciò insufficienti.
Enzo Bianchi 12 dicembre 2022
www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/12/enzo-bianchi-il-posto-della-donna-nella.html
Germania: con gli occhi degli altri
I risultati di un’indagine che ha chiesto a credenti in tutto il mondo come considerano i temi oggetto della discussione del Cammino sinodale tedesco.
Un sondaggio lungo il Cammino. Nell’ambito del progetto «Cammino sinodale – Prospettive della Chiesa mondiale», l’Istituto per la Chiesa e la missione nel mondo (IWM) e il Servizio accademico cattolico per gli stranieri (KAAD) hanno condotto uno studio empirico, cofinanziato dalla Conferenza episcopale tedesca. Lo scopo era effettuare un sondaggio tra i fedeli di altre Chiese locali in tutto il mondo e domandare loro come vedevano i temi dibattuti dal Cammino sinodale tedesco. Visti da altri contesti ecclesiali, i temi (gestione del potere nella Chiesa, il sacerdozio, il ruolo delle donne, la sessualità oggi) dibattuti in Germania sono stati misurati in termini di rilevanza e significato, andando a scoprire quali sono inoltre i temi che stanno a cuore ai credenti di altri contesti culturali, politici, economici e religiosi.
Più laici nella Chiesa. I 599 intervistati (tramite questionari on-line), provenienti da 67 paesi (Africa 26,8%; Medio Oriente 6,7%; Europa dell’Est 21,9%; Asia 13,5% e America Latina 31,3%) e divisi per fasce d’età tra i 21 e gli 80 anni (13,7% tra 21 e 30 anni; 54,4% fra 31 e 45 anni; 29,4% tra 46 e 65 anni; 2,2% dai 66 in su) sono borsisti o diplomati del KAAD che in Germania cura, anche grazie a borse di studio, la formazione superiore ed ecclesiale di futuri leader nei propri paesi d’origine.
A questa fase di analisi quantitativa ne seguirà una di tipo qualitativo, al termine della quale verrà presentato l’intero studio. Ma già dalla pubblicazione di questi dati vi sono aspetti interessanti.
- Sul primo tema si nota che i partecipanti sono positivamente disposti verso la prospettiva di rafforzare il ruolo e l’influenza dei laici nella Chiesa allo scopo di realizzare una migliore condivisione del potere, con una chiara approvazione da parte del 62,9% degli intervistati, il valore più alto dell’intero sondaggio. La partecipazione alla comune missione e la conseguente influenza positiva sulla proclamazione del messaggio evangelico sono i benefici che la condivisione del potere potrebbe fornire alla vita ecclesiale.
- Per quanto riguarda il celibato e il modo in cui i sacerdoti vivono oggi, invece, ci sono opinioni ambivalenti. L’idea che i sacerdoti diocesani possano decidere in futuro da soli il proprio stile di vita (celibatario/coniugale) ottiene un’approvazione complessiva del 43,6%.
- Il ruolo delle donne nelle parrocchie è visibilmente ben valutato. Tuttavia, gli intervistati esprimono opinioni non concordi sull’influenza che le donne hanno effettivamente o dovrebbero avere nelle parrocchie e comunità. L’idea d’ammettere le donne ai ministeri ordinati appare controversa: mentre il 41,7% degli intervistati è d’accordo, la deviazione standard mostra una grande differenza tra le opinioni degli intervistati.
- Infine, la questione della sessualità. La maggior parte degli intervistati concorda sul fatto che la Chiesa se ne occupa intensamente. Tuttavia, le opinioni sull’attuale insegnamento della Chiesa in materia di sessualità, matrimonio e omosessualità sono molto varie.
Complessivamente l’indagine mostra che ci sono grandi differenze a seconda della regione di provenienza: ad esempio, l’accordo con l’affermazione «Sarebbe importante che i laici avessero più influenza nella Chiesa e che il potere fosse meglio distribuito» è più alto tra i cattolici provenienti dall’Asia. Anche il tema del «genere» è una variabile significativa.
La sfida è il rapporto tra universalità e interculturalità. L’analisi della varianza tra i gruppi in base alle variabili di background ha mostrato che la regione di provenienza si differenziava significativamente in tutti i casi. Al contrario, variabili come il sesso, lo stile di vita o la confessione religiosa hanno avuto importanza solo per alcuni aspetti specifici. Facciamo il caso del tema del ruolo della donna: gli intervistati di sesso maschile concordano maggiormente con l’affermazione: «Le donne hanno abbastanza voce e influenza nelle nostre comunità» rispetto alle intervistate di sesso femminile; mentre con l’affermazione: «Le donne dovrebbero essere ammesse al ministero ordinato» avviene il contrario. Inoltre, l’America Latina è una regione particolarmente interessata al tema, aperta alle riforme e critica nei confronti dell’attuale situazione delle donne; al contrario, gli intervistati dell’Europa orientale hanno valutato l’argomento meno rilevante.
Si faranno dei focus group. Il comunicato che presenta l’indagine dichiara che i ricercatori erano «consapevoli del fatto che i partecipanti alla ricerca sono o sono stati borsisti in Germania e hanno quindi maturato un’esperienza interculturale»; tuttavia il fatto d’avere avuto rapporti con la Germania non significa che abbiano automaticamente adottato la prospettiva tedesca, come dimostrano le differenze significative (data dalla deviazione standard) nelle risposte, soprattutto analizzate dal punto di vista della regione di provenienza.
Alla luce di questi risultati, nella fase qualitativa, attualmente in corso, verranno condotti dei focus group per regione, per comprendere meglio le differenze d’opinione emerse e le loro ragioni. «Solo in queste conversazioni interculturali saremo in grado di considerare i temi del Cammino sinodale da una prospettiva di Chiesa globale».
Ultimo dato. Dal 29 al 31 marzo 2023 la conferenza annuale dell’IWM, uno dei due organismi di ricerca, sarà dedicata al tema «Fare sinodalità nello scambio interculturale» e terrà conto di questi risultati come base della discussione su come vengono recepiti all’estero i temi che si stanno discutendo in Germania. E che stanno facendo discutere anche a Roma.
Maria Elisabetta Gandolfi, caporedattrice attualità per “il regno” 19 dicembre 2022
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