NEWS UCIPEM n. 569 –25 ottobre 2015

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ABBANDONO DEL TETTO                       No, per chi vive in una parte autonoma della casa.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Riorganizzazione della Commissione Adozioni Internazionali.

Sostegno alle famiglie e lavoro in rete per dare un futuro.

AFFIDAMENTO                              Assistenti sociali inadeguati, il Comune risarcisce i genitori.

AFFIDO CONDIVISO                     Violazione del mantenimento non configura inidoneità.

CHIESA CATTOLICA                    La Chiesa dell’integrazione, amica di chi soffre. (Forte)

Sbagliato avere paura del mondo. (Bianchi)          

La “soluzione tedesca” ha spiazzato i conservatori.

Una chiesa più madre che giudice capace di valutare caso X caso

Ma vince la strategia gesuita unita alla tradizione mistica.

I padri sinodali e Dostoevskij.

CHIESA VALDESE EVANGELICA La relazione al centro.

Conferenza Episcopale Italiana        La misericordia fa fiorire la vita. Giornata per la vita.

CONSULTORI Familiari UCIPEM Imola. Incontro di gruppo per genitori.

                                                           Pescara. Percorsi sulla conoscenza.

Trento- Dalla coppia alla famiglia.

DALLA NAVATA                            30° domenica del tempo ordinario – anno B -25 ottobre 2015.

DIVORZIATI RISPOSATI              Criteri per discernere, non soluzioni generali.

FAMIGLIA                                       La parola “famiglia” non suona più come prima.

La legge naturale è un totem che alla chiesa non serve più.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Figli di 6 genitori, con l’utero in affitto si può.

FORUM Associazioni FAMILIARI 38ª Giornata nazionale per la vita.

FRANCESCO Vescovo DI ROMA  L’intera realtà famigliare è fondata sulla promessa.

SINODO SULLA FAMIGLIA          Papa: vero difensore della dottrinanon èchi difende le idee ma l’uomo

Sinodo d’accordo: la famiglia è il futuro.

Relazione finale del Sinodo dei vescovi a Papa Francesco.

La riforma del Sinodo ha convinto. Aperti al cambiamento.

In Rete, siamo tutti sinodizzati: si è udito parlare un padre su tre.

«Accompagnare, discernere, integrare»

Il teologo più fine tra i Padri sinodali: il Vescovo di Roma

Aperti al cambiamento.

Si apre la porta ad una pastorale inclusiva delle persone LGBT

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ABBANDONO DEL TETTO CONIUGALE

            No abbandono del tetto coniugale per chi vive in una parte autonoma della casa.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 20469, 12 ottobre 2015.

Separazione. Violazione dei doveri coniugali: non c’è abbandono del tetto coniugale se il coniuge va a vivere in una parte autonoma dell’immobile destinato a residenza famigliare. Integra abbandono del tetto coniugale il comportamento del coniuge che esprima la volontà di terminare la convivenza e di abbandonare la residenza familiare per non farvi più ritorno. Non c’è abbandono, quindi, se il consorte risiede in una parte autonoma dell’immobile interamente adibito a casa famigliare.

            Lo ribadisce la Corte di Cassazione in conformità al proprio orientamento consolidato. Nel caso in esame, gli Ermellini hanno escluso l’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie che, dopo aver soggiornato all’estero, era rientrata presso la residenza familiare, ma occupando una parte diversa dell’immobile rispetto al marito.

L’immobile è, secondo la Suprema Corte, «catastalmente un unicum, anche se si assume che esso risulterebbe costituito da due immobili autonomi, indipendenti e separati, in tal modo confermando però la volontà, tacita, dei coniugi di mantenere una doppia allocazione dello stesso, abilitando ciascuno di essi (e quindi anche l’odierna intimata) a vivere in altro settore (sia pure separato) dell’unico immobile, anche grazie alla relativa autonomia domestica, senza così porre in essere il comportamento censurato».

La Cassazione conferma inoltre il mantenimento in favore del coniuge “debole”, la donna in questo caso, precisando che esso è volto a garantire allo stesso il medesimo tenore di vita goduto in regime di matrimonio; ai fini di tale valutazione, rileva, senza dubbio, la disparità tra le posizioni economiche delle parti. Disparità sussistente nel caso di specie in favore del marito, sebbene vi fosse sostanziale equivalenza dei redditi immobiliari. Infine, la Corte precisa che l’esercizio di un diritto di rango costituzionale non possa costituire un danno ingiusto; pertanto, la decisione della moglie di non addivenire a separazione consensuale, prediligendo una separazione giudiziale, è un corollario dell’esercizio di azione di cui all’art. 24 Cost. , diritto costituzionalmente garantito a tutti ed insuscettibile di cagionare un danno ai sensi dell’art. 2043 c.c. .

Valeria Mazzotta                  persona e danno         14 ottobre 2015                     ordinanza

www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48556&catid=234&Itemid=486&contentid=48556&mese=10&anno=2015

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Riorganizzazione della Commissione Adozioni Internazionali.

Presto il Governo darà una risposta chiara sulla riorganizzazione della Commissione Adozioni Internazionali. Lo hanno assicurato gli esponenti del Partito Democratico Khalid Chaouki e Giorgio Zanin nel corso del Fami Lab 2, la tavola rotonda tra associazioni familiari, enti autorizzati, servizi territoriali e mondo della politica, che si è tenuta sabato 17 ottobre 2015 a cura del Care (Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete). Un incontro svoltosi in un clima costruttivo, all’insegna del dialogo e della collaborazione tra i vari attori dell’adozione internazionale, che hanno saputo sfruttare al meglio, quindi, una delle rare occasioni in cui possono trovarsi riuniti attorno a un tavolo.

            Ciò che è sotto gli occhi di tutti è che “la Cai stia vivendo da troppo tempo uno stallo preoccupante per cui occorre un intervento immediato”, come affermato dallo stesso Chaouki. “L’adozione – ha precisato il deputato Pd – deve entrare nel sistema più ampio delle riforme e nel sistema generale delle relazioni internazionali”. Gli ha fatto eco il senatore Aldo Di Biagio, di Area Popolare, che ha auspicato che l’adozione internazionale venga posta tra le competenze del ministero degli Affari Esteri. Riferendosi alla paralisi della Cai, Di Biagio ha messo anche in guardia dal fatto che, qualora persistano “le attuali criticità della gestione”, anche “la riforma della legge sull’adozione internazionale sarebbe compromessa”. Sulla stessa linea anche gli esponenti dell’opposizione. Il deputato del Movimento 5 Stelle Emanuele Scagliosi si è chiesto infatti a che cosa serva una Commissione assente. “Mi chiedo come la Cai possa assolvere ai suoi compiti se non comunica – ha detto Scagliusi -, non ascolta le famiglie, non risponde alle sollecitazioni provenienti da queste ultime e dagli enti da essa stessi autorizzati”. La Cai, ha sottolineato ancora il deputato dei 5 Stelle, “è ormai da tempo rinchiusa in una ‘campana di vetro’ e si limita a tessere le proprie lodi pubblicando comunicati stampa che sembrano del tutto distaccati dalla realtà che quotidianamente le famiglie si trovano ad affrontare”. Michela Vittoria Brambilla, deputata di Forza Italia e presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, ha rilevato come “la sostanziale paralisi della Cai sia stata denunciata da più parti, come il ritardo nella pubblicazione dei dati statistici e l’immobilismo su alcuni dossier”. Denunciando lo scarso interesse dimostrato fino a oggi dal Governo sulla tematica dell’adozione internazionale, Brambilla ha affermato che “il rilancio dell’adozione richiede la condivisione autentica, non solo a parole, di un principio primario come l’eguaglianza tra genitorialità biologica e adottiva. Da questo conseguono l’elaborazione e l’attuazione di una politica coerente, attraverso provvedimenti legislativi e amministrativi efficaci e opportunamente finanziati”.

            Sulla necessità di sostegno economico ha insistito anche Zanin dalla sponda Pd, secondo cui per rilanciare e ricostruire il sistema occorrono fondi. È anche una questione culturale per la deputata Milena Santerini di Per l’Italia, che ha evidenziato come “non siamo all’anno zero, ma serve molto lavoro per migliorare il sistema dell’adozione”. L’attuale crisi è quindi un punto da cui ripartire, come sottolineato anche dal senatore Pd Stefano Collina, per cui “i momenti di crisi sono necessari per promuovere un cambiamento”.

            Nell’ottica di riportare il tema dell’infanzia a centro delle attenzioni del Governo (Zanin) e di una riorganizzazione della Cai, gli auspici maggiori riguardano una semplificazione delle procedure (Di Biagio), una Commissione che lavori in modo integrato con enti autorizzati e famiglie (Santerini) e che operi ispirandosi al principio secondo cui “la strada maestra per tutte le istituzioni sia la trasparenza” (Francesco Vitrato, giudice onorario del Tribunale per i Minorenni di Palermo).

            Evidente quindi l’intenzione degli esponenti politici intervenuti al Family Lab di accogliere le proposte emerse dai focus groups che, nel corso della mattinata, hanno visto impegnati enti, associazioni familiari e servizi su temi quali il post adozione e la formazione delle coppie, la salute e il lavoro, la collaborazione in rete, le procedure, la trasparenza e la sostenibilità contabile. Tra le proposte più interessanti vi sono l’omogeneizzazione delle procedure di pre e post adozione, finalizzate a non creare discriminazioni tra le famiglie solo sulla base dei diversi territori in cui esse vivono, e il cosiddetto “bollino blu”: una serie di criteri in base ai quali le associazioni familiari possano valutare l’operato degli enti.

            Rilevante anche l’intervento dei rappresentanti del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che hanno ricordato i positivi risultati della collaborazione con il Care, scaturiti nelle Linee guida per l’inserimento scolastico dei minori adottati, approvate a fine 2014, e l’introduzione del tema delle adozioni nella formazione dei docenti.

                        “Sostegno alle famiglie e lavoro in rete per dare un futuro all’adozione internazionale”.

Un successo su tutti i fronti: sia per la quantità dei soggetti intervenuti che per la qualità del lavoro svolto. Così Monya Ferritti, presidente del Care (Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete) definisce il Family Lab 2, svoltosi a Roma il 17 ottobre 2015. Una giornata che ha dato vita a quattro focus groups tematici a cui hanno partecipato i rappresentanti di enti autorizzati, associazioni familiari e servizi territoriali, seguiti dalla tavola rotonda durante la quale i vari attori dell’adozione internazionale hanno incontrato gli esponenti del mondo della politica. Ai quali hanno portato le loro proposte per una rinascita dell’accoglienza adottiva in Italia.

            A emergere con particolare forza è stata soprattutto l’esigenza di una riorganizzazione della Commissione Adozioni Internazionali e dell’intero sistema. “Gli esponenti della maggioranza hanno annunciato la disponibilità da parte del Governo a rivedere l’organizzazione della Cai – spiega Monya Ferritti -. In generale i politici intervenuti hanno dato l’impressione di accogliere le proposte formulate da enti, servizi e associazioni familiari. Ora stiamo a vedere in che termini queste proposte verranno attuate. In ogni caso, è evidente il fatto che il Governo abbia finalmente deciso di prendere a cuore la materia dell’adozione internazionale”.

            Tra le novità più importanti ipotizzate durante i gruppi di lavoro c’è quella del “bollino blu”: una serie di parametri in base ai quali le associazioni familiari in accordo con un soggetto terzo valuterebbero l’operato degli enti, in particolare per quanto riguarda i delicati aspetti della trasparenza contabile. Importanti aperture anche sul fronte del sostegno economico alle famiglie adottive. “L’onorevole Zanin del Partito Democratico – dice la presidente del Care – ha auspicato l’inserimento nella legge di Stabilità per il 2016 del rifinanziamento del Fondo Adozioni, fermo al 2011”. Ma l’intenzione dei partecipanti ai focus groups è quella di non fermarsi qui. Dalle discussioni della mattina, infatti, è emersa la necessità di istituire anche un Fondo per le situazioni di adozione critiche e di emergenza: un tema che, assicura Monya Ferritti, ci si è impegnati a riproporre presto ai rappresentanti delle istituzioni.

            Tra gli obiettivi raggiunti Ferritti cita anche le aperture espresse dai ministeri della Salute e del Lavoro. “Il primo – precisa la presidente del Care – si è detto disponibile ad attivare con le associazioni familiari un lavoro finalizzato alla formulazione di un protocollo nazionale per offrire maggiori garanzie di salute ai minori adottati”. Con il dicastero del Lavoro si è invece discusso della possibilità di equiparare i congedi parentali e per malattia dei genitori adottati a quelli dei genitori biologici. Soddisfazione non solo per l’accoglimento da parte degli esponenti politici delle proposte portate dai vari attori dell’adozione internazionale, ma anche per i lavori svolti durante i focus groups della mattina. “L’obiettivo raggiunto – dichiara Monya Ferritti – era quello di permettere ai vari soggetti di sedersi attorno a un tavolo e di realizzare quella contaminazione e quella conoscenza reciproca indispensabili per fare davvero rete tra loro

News Ai.Bi.     19 ottobre 2015                     www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDAMENTO

Assistenti sociali inadeguati, il Comune risarcisce i genitori per i figli tolti ingiustamente

Corte di Cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 20928, 16 ottobre 2015.

Il Comune risarcisce la famiglia per l’ingiusto allontanamento del figlio. La Corte di cassazione considera l’ente locale responsabile per l’incapacità e l’inadeguatezza dei suoi assistenti sociali che avevano, in maniera del tutto acritica, recepito i dubbi della maestra su presunte violenze sessuali commesse dal padre sulla figlia di sei anni. Un sospetto considerato un pericolo tanto reale da sollecitare il sindaco ad adottare un provvedimento di allontanamento della bambina dai genitori e dal fratellino. Misura adottata dal primo cittadino e ratificata dal Tribunale dei Minori.

            Quando le indagini si erano però fatte serie, e in campo erano scesi consulenti tecnici e psicologi del tribunale, il castello di accuse messo in piedi dall’insegnante era crollato: nei sei mesi in cui la piccola aveva vissuto lontano da casa non erano emersi elementi compatibili con le supposte molestie. Il tribunale aveva disposto il rientro in famiglia con il supporto di un centro specializzato, tutela poi abbandonata. Per la Cassazione è chiaro che il drastico provvedimento era il risultato dell’imperizia degli assistenti sociali. Un’inadeguatezza a gestire la situazione, rilevata non solo dal Ctu, ma “suggerita” dalla difesa del Comune. Con un autogol, infatti, il dito era stato puntato contro la maestra colpevole di aver suggestionato l’assistente sociale e la psicologa, presentate come vittime dell’insegnante. Per i giudici l’ammissione, involontaria, del Comune è la prova del deficit di professionalità degli operatori, incapaci di verificare l’affidabilità di una maestra che aveva messo in atto un comportamento inaccettabile, trasformandosi in detective improvvisata per condurre una personale e discutibile inchiesta.

Nella vicenda esaminata nessuno aveva fatto il passo giusto: quello di comunicare immediatamente i sospetti alla polizia giudiziaria o il pubblico ministero. Non lo aveva fatto l’insegnante e, soprattutto, non lo avevano fatto gli assistenti sociali, che avevano richiesto al sindaco un atto tanto traumatico senza aver acquisito alcun documento che giustificasse l’allarme. Il sindaco dal canto suo aveva adottato un provvedimento illegittimo, perché il potere del primo cittadino di intervenire direttamente in ambiente familiare è limitato (articolo 403 del codice civile) ai casi di abbandono morale e materiale e dunque a situazioni di disagio palesi. Mentre l’autorità amministrativa non può fare indagini o istruttorie su vicende delicate e complesse, rispetto alle quali la sola strada è la segnalazione alle autorità.

Il Comune non viene però condannato a risarcire per l’atto illegittimo, ma paga per la negligenza dei suoi dipendenti. Nel conto entrano anche le sofferenze subite dal fratello della bimba, al quale viene riconosciuto un indennizzo di 50mila euro, mentre 60mila vanno alla bambina, per un trauma che potrebbe segnare l’intera vita.

Giuri civile      20 ottobre 2015

http://giuricivile.it/allontanamento-dei-minori-dalla-famiglia-e-affidamento-ai-servizi-sociali-se-ingiustificato-il-comune-deve-risarcire

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AFFIDO CONDIVISO

Violazione del mantenimento verso i figli non configura automatica inidoneità.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 21282, 20 ottobre 2015.

Un’eventuale violazione dell’obbligo di mantenimento verso i figli non configurerebbe automatica inidoneità dall’affidamento condiviso, che costituisce la regola, e può essere escluso, nell’interesse del minore, da valutarsi in concreto

In un procedimento di separazione la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza in data 16/10/2012, confermava la sentenza del Tribunale di Modena, che aveva pronunciato l’affidamento condiviso della figlia a favore dei genitori.

Ricorre per cassazione la madre, che pure deposita memoria difensiva. Non ha svolto attività difensiva il padre. Sostiene la ricorrente che il marito non provvedeva al mantenimento della figlia, e precisa che soltanto una volta egli avrebbe fatto un versamento che essa stessa non accettò; per di più il marito avrebbe ammesso di trovarsi in difficoltà economiche, ciò che costituirebbe prova del mancato mantenimento della figlia.

Va precisato che un’eventuale violazione dell’obbligo di mantenimento verso i figli non configurerebbe automatica inidoneità dall’affidamento condiviso, che costituisce la regola, e può essere escluso, nell’interesse del minore, da valutarsi in concreto.

La sentenza impugnata precisa che l’odierno intimato affermava di trovarsi in difficoltà economiche e lo provava, con riferimento a procedure esecutive immobiliari; forniva prova che in varie occasioni egli effettuò versamenti alla moglie, da essa non ritirati, sicché dovette far ricorso al giudice per farsi autorizzare ad effettuare i versamenti su libretto postale. E tuttavia il giudice a quo avrebbe dovuto approfondire l’analisi del comportamento del genitore: in particolare se questi avesse corrisposto regolarmente il contributo per la figlia (e non del tutto saltuariamente); avrebbe dovuto, altresì, esaminare le ragioni per cui eventualmente non effettuò i pagamenti, e l’incidenza che tale comportamento poteva avere nel rapporto con la figlia (se si trattasse cioè del sintomo di un generale suo disinteresse per la figlia stessa);

Va pertanto accolto il ricorso, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

Avv. Renato D’Isa     21 ottobre 2015                     sentenza

http://renatodisa.com/2015/10/21/corte-di-cassazione-sezione-vi-ordinanza-20-ottobre-2015-n-21282-uneventuale-violazione-dellobbligo-di-mantenimento-verso-i-figli-non-configurerebbe-automatica-inidoneita-dallaffidamento-co

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CHIESA CATTOLICA

La Chiesa dell’integrazione, amica di chi soffre.

È veramente lo spirito del Concilio Vaticano II quello che si è respirato nel Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, che si conclude oggi. Lo è anzitutto per la figura di Papa Francesco, che tanto richiama i Papi del Concilio, unendo ai tratti di bontà e di profonda umanità di Giovanni XXIII aspetti fondamentali che lo accomunano all’altra figura non meno grande di Paolo VI, come la capacità di dialogare con la complessità delle culture e il desiderio di una Chiesa che sia sempre più vicina alle donne e agli uomini di oggi, nella varietà delle sfide che essi si trovano ad affrontare. È poi soprattutto la volontà di annunciare il Vangelo nella concretezza della storia ciò che ha fatto di questo Sinodo un’attualizzazione forte e profonda del Vaticano II, da una parte con l’aprire gli occhi dinanzi alle tante situazioni delle famiglie del mondo che esigono non giudizi distaccati e freddi, ma comprensione, calore, solidarietà e partecipazione, dall’altra proponendo la luce e la gioia della buona novella il più possibile a tutti.

Senza escludere nessuno dall’abbraccio della misericordia annunciata e donata da Gesù, il Redentore dell’uomo. Questo desiderio di far giungere a ogni persona umana il dono dell’amore che libera e salva, proponendone la realizzazione bella specialmente nella vita familiare, ha attraversato i lavori sinodali soprattutto attraverso l’uso di tre categorie, che descrivono altrettanti atteggiamenti pastorali di fondo: l’accompagnamento, il discernimento e l’integrazione.

Una Chiesa che “accompagna” le donne e gli uomini del nostro tempo è una comunità che si fa prossima alle loro gioie e ai loro dolori, alle loro attese e alle loro speranze: tutt’altro che una Chiesa pronta a dispensare soltanto giudizi e condanne, si tratta di una comunità viva, amica di tutto quanto è umano, che non rinuncia in nulla a proporre la verità liberante del Vangelo, ma lo fa sull’esempio di Gesù camminando sulle strade dove passa ogni giorno la vita della gente comune, impastata di sudore e di consolazioni, di lacrime e di speranze. L’abbraccio della Chiesa di Papa Francesco va in primo luogo a tutte le famiglie del mondo, mettendo in luce la bellezza della loro vocazione, la dignità delle loro fatiche, la possibilità di affrontare con amore le inevitabili prove della quotidianità e le risorse che l’amore che le unisce sa sprigionare nelle situazioni più diverse. Questo abbraccio accogliente si estende a tutte le cosiddette famiglie ferite, a chi vive le crisi a volte laceranti dei rapporti affettivi, a chi sperimenta il fallimento dell’alleanza, a chi è entrato nella solitudine della separazione o ha cercato nuovo futuro nel ricorso a nuove nozze. Accompagnare queste persone accogliendole in profondità con rispetto e amore non è in alcun modo tradire la verità del Vangelo, ma esattamente al contrario renderla visibile nella prossimità dell’ascolto e della condivisione, nella carità che comprende e sostiene, nel dire parole di vita pronunciate con tenerezza e dolcezza soprattutto quando richiamano alle esigenze alte ella sequela di Gesù.

All’accompagnamento si unisce nelle proposte che il Sinodo offre alla Chiesa il cammino del discernimento: chi discerne non giudica tagliando con l’accetta il bene e il male, ma cerca anzitutto di comprendere tutti gli elementi in gioco, di valutarli con l’altro, di illuminarli alla luce della Parola di Dio, che è sempre e soprattutto parola di perdono e di salvezza. Una Chiesa compagna di strada, che spezza il pane della vita con l’altro, soprattutto se questi fatica ad avanzare sotto il peso delle sue sofferenze e delle sue possibili, a volte difficilmente evitabili, contraddizioni. È la Chiesa che quotidianamente incontrano tante donne e uomini che vengono ai nostri confessionali, e che oggi si esprime col volto universale del Papa e dei Vescovi come famiglia che si riconosce amata gratuitamente dal Suo Signore e di questo amore vorrebbe essere testimone per tutti, nessuno escluso.

Infine, quella che emerge dal Sinodo di Papa Francesco è la Chiesa dell’integrazione, che non vuole escludere nessuno, trovando uno spazio vitale per tutti, nella varietà dei doni effusi da Dio e delle possibilità concrete delle nostre comunità. Una Chiesa che chiede di far cadere antiche forme di esclusione, dicendo a tutti, specie a chi si sente o pensa di essere fuori di essa a causa della propria situazione di amore ferito o fallito, parole di fiducia, di incoraggiamento, di accoglienza e di misericordia. Così, coloro che sono in situazioni difficili, come ad esempio i battezzati divorziati e risposati civilmente, “sono fratelli e sorelle” nostri, in cui “lo Spirito riversa doni e carismi per il bene di tutti”. Essi pertanto “non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo”. Al di là di tutte le decisioni pastorali che queste scelte del Sinodo comporteranno, ciò che emerge di bello e di importante è lo stile di una Chiesa fraterna, umile, non dirimpettaia delle fatiche umane, ma solidale con essa e amica di chi soffre. La Chiesa di cui Papa Francesco è immagine viva ed eloquente con la semplicità dei suoi gesti, il calore delle sue parole, la forza irradiante della sua fede e della sua carità.

Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto    Il Sole 24 Ore             25 ottobre 2015

www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-10-25/la-chiesa-dell-integrazione-amica-chi-soffre-141913.shtml?uuid=ACO4A6MB

Sbagliato avere paura del mondo.

Con questo sinodo il Papa ha saputo chiedere e iniziare a imprimere alla Chiesa cattolica un volto sinodale, una modalità di essere comunità dei discepoli del Signore che si è rivelata capace di creare concordia e unità. Questo dato è ancor più importante rispetto alle stesse conclusioni sul tema della «famiglia oggi» cui i vescovi sono giunti con un consenso di ampiezza forse da molti inattesa. Dobbiamo riconoscere l’esattezza dell’immagine usata da Francesco nel discorso per i cinquant’anni dell’istituzione del sinodo dei vescovi: la piramide ecclesiale va capovolta perché in alto sta la base, il popolo di Dio, e sotto sta il vertice, Papa e vescovi, servitori della comunione.

Questa è la visione dell’ordinamento della Chiesa secondo il Vangelo: chi è primo si faccia ultimo, chi è grande si faccia piccolo, chi presiede si metta al servizio di tutti. Questo non può essere solo un augurio e papa Francesco ha iniziato a metterlo in pratica facendo partecipare al sinodo, attraverso un ascolto attento e puntuale – almeno là dove le chiese locali hanno accolto l’invito – dei cristiani quotidiani, quelli che vivono la sequela di Gesù nella compagnia degli uomini e senza esenzioni. Anche la «collegialità» – questa «categoria» che a volte rischia di essere ridotta a inquilini di piano di una piramide a ziggurat, a una corporazione – è stata messa nella sinodalità al riparo da derive autarchiche e autosufficienti. Popolo di Dio, pastori, vescovi e Papa «camminano insieme», attingendo a una profonda comunione donata dal Signore stesso ma esercitata dalla responsabilità delle diverse componenti ecclesiali.

Il ricordato discorso di papa Francesco all’assemblea sinodale costituisce una precisazione dottrinale puntuale, che non permetterà più letture minimaliste e riduttive, soltanto «collegiali» del sinodo. Non solo il sinodo è valorizzato da Francesco, ma è indicato come luogo di ascolto, di confronto reciproco e di formazione di un consenso, secondo il principio caro alla Chiesa del primo millennio (ma da secoli mai più ascoltato dalla bocca di un Papa): «Ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere discusso». Però, si noti bene, non secondo principi mutuati dall’assetto politico democratico, ma secondo un’economia cristiana per la quale la comunione si costruisce non con criteri di maggioranza, ma in un ordine che prevede il peso dei diversi carismi e delle diverse funzioni all’interno della Chiesa. La sinodalità non è opzionale, ha ricordato Francesco, ma è «costituzione» della Chiesa, secondo l’intenzione dei padri, come Giovanni Crisostomo: «Chiesa e sinodo sono sinonimi». È chiaro che in questa visione, oltre al popolo di Dio, sono rafforzati nella loro missione e nella loro autorità i vescovi e quelli che potrebbero essere in futuro i loro organismi di comunione. A questi Francesco, come vescovo di Roma, intende restituire alcune facoltà finora di competenza papale e far valere il principio della sussidiarietà che abbisogna di una certa decentralizzazione quando non si pregiudica l’unità della fede cattolica di cui il Papa è garante. Così Francesco ribadisce la sua volontà di riformare l’esercizio del papato, mantenendo integro il carisma petrino di «garante dell’obbedienza e della conformità della Chiesa… al Vangelo Gesù Cristo». Il sinodo che ha terminato ieri i suoi lavori rappresenta un «balzo in avanti» soprattutto nel ridare la sinodalità alla Chiesa. Certo, ora si aprono i cantieri per definire le procedure e le forme giuridiche di questa sinodalità, ma il cammino è aperto.

Nel proseguirlo, tuttavia, non possiamo dimenticare come permanga molta paura nella Chiesa e in alcuni vescovi e padri sinodali che, incontrati uno per uno, sono più audaci e più pronti all’ascolto, ma quando si trovano insieme danno talora l’impressione di aver paura l’uno dell’altro. Perché tanta paura? Non c’è forse la promessa di Cristo riguardo allo Spirito santo che accompagna la Chiesa e non l’abbandona? Perché aver paura del mondo che, secondo le parole di Gesù, da lui è stato vinto? Perché aver paura dell’ascolto pubblico e libero di pensieri che non sono condivisi e, a volte, profondamente diversi e in opposizione? E se il Papa ha richiesto libertà e parresia perché esser timidi e a volte nascondersi in interventi fumosi o non usare nel parlare un «sì» se è sì, e un «no» se è no, come ha raccomandato Gesù? Sono probabilmente queste paure che portano finanche qualche porporato a dichiarazioni che difettano di buon senso, equilibrio e stile, oltre che di «sensus ecclesiae»? Ma ha detto bene il segretario di Stato cardinal Parolin: «Il sinodo è rimasto al riparo dai veleni e dalle menzogne… e in esso è progressivamente maturata una sensibilità pastorale condivisa».

Comunque il cammino sinodale sul tema della famiglia è stato fecondo e fruttuoso, anche se vi sarà chi riterrà carenti alcune risposte che il popolo di Dio attendeva e che potevano essere significative anche per i non cristiani. Siamo però convinti, con Rilke, che «le domande sono più decisive delle risposte» e che queste ultime non devono mai dimenticare che il luogo ultimo e decisivo per il discernimento è la coscienza del credente: una coscienza non autarchica e solipsistica, ma una coscienza illuminata e liberata dal soggettivismo grazie alla presenza della Chiesa e dei suoi pastori muniti di capacità di discernimento. Non a caso – come aveva chiesto il circolo di lingua tedesca dove erano concentrati teologi di grande spessore – la relazione finale ha fatto appello anche alla presa in considerazione della coscienza dei divorziati risposati per ogni cammino di manifestazione della comunione ecclesiale: le situazioni dei cammini matrimoniali contraddetti sono diversissime e non esistono soluzioni semplici e generalizzabili. Anche per l’ammissione alla comunione sacramentale dopo un cammino penitenziale serio, provato ed ecclesialmente visibile, non si possono fare leggi generali e, io credo, neppure lasciarle alle conferenze episcopali nazionali, non poche delle quali appaiono oggi incapaci di una vera collegialità nel loro seno e di un’autentica sinodalità con tutto il popolo di Dio. Inoltre la pastorale e la disciplina devono tener conto delle differenze delle culture delle chiese che compongono la «catholica». Queste macro-regioni continentali sono diversissime, soprattutto nel loro rapporto con la contemporaneità, sicché la famiglia ha problemi molto diversi in base al contesto socio-culturale in cui si trova. Perciò, affinché la parola del Papa sia accolta ovunque in modo efficace, occorre che i pastori sappiano tradurla per la loro gente e trovare, con creatività e in modo comunionale con la chiesa universale, vie nuove per la loro specifica situazione.

Non illudiamoci, il cammino intrapreso dalla Chiesa guidata da papa Francesco è lungo e faticoso e sarà anche contraddetto: l’esercizio della sinodalità, infatti, non è facile, non solo a causa dell’autorità che a volte non la vuole, ma anche a causa di una larga parte della stessa comunità dei fedeli che preferisce non intervenire, non far ascoltare con responsabilità la propria voce, crogiolandosi nell’inerzia. L’esercizio della libertà e quello della responsabilità restano gravosi: lo sperimentiamo bene noi monaci, nonostante le nostre millenarie strutture di governo sinodale. Ora il sinodo ha consegnato al Papa una relazione permeata di misericordia, approvata in tutte le sue parti – anche quelle riguardanti le situazioni matrimoniali più complesse – con la maggioranza qualificata dei due terzi. Questo, come ha affermato papa Francesco nel discorso conclusivo, «certamente non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto». Competerà al successore di Pietro operare un discernimento e poi rivolgersi alla Chiesa con un rinnovato sguardo sulla famiglia oggi. Noi sappiamo che questo sguardo sarà innanzitutto carico di misericordia, di questo sentimento di amore, di tenerezza, di perdono, di compassione al quale tutta la Chiesa è chiamata nell’anno giubilare che sta per aprirsi. E questo perché lo sguardo di misericordia è quello che Gesù stesso ha avuto. E il Papa saprà esprimere la sua parola parlando solo ai cattolici o riuscirà a raggiungere tutti, uomini e donne, cristiani e non cristiani? Anche questa è una sfida: ma questa necessità può mutare molto lo stile della futura esortazione postsinodale. In ogni caso da questo dipende l’immagine di Dio: se giudice inflessibile di fronte al quale nessuno è giusto o se volto misericordioso che l’uomo cerca nella propria miseria.

Enzo Bianchi  La Stampa      25 ottobre 2015

www.monasterodibose.it/priore/articoli/articoli-su-quotidiani/9969-sbagliato-aver-paura-del-mondo

                        La “soluzione tedesca” ha spiazzato i conservatori.

«Sinodo», dal greco, significa «camminare insieme». E il testo che i padri sinodali hanno «partorito» votando ogni paragrafo con una maggioranza qualificata di almeno due terzi e a scrutinio segreto rispecchia davvero questa tensione a camminare insieme. Ma al tempo stesso l’esito finale, che ha visto passare soltanto per un voto (178 placet, 80 non placet, 7 astenuti, con il quorum dei due terzi a 177) il paragrafo più controverso dedicato ai divorziati risposati, ha mostrato ancora una volta la presenza di un significativo blocco che non intende mutare assolutamente nulla nell’atteggiamento. Tutti i padri sinodali avevano l’altro ieri elogiato lo sforzo della commissione di produrre un testo condiviso, e gli elogi universali avevano lasciato intendere che alla fine quasi tutti avrebbero detto di sì.

Il paragrafo 85. Ma una minoranza di padri «rigoristi», quella più organizzata, si preparava a bocciare il paragrafo numero 85, probabilmente sperando di ripetere quanto accaduto un anno fa, quando i passaggi più controversi non ottennero il voto dei due terzi dei padri. Francesco volle che tutto fosse pubblicato lo stesso, con i voti per ogni singolo paragrafo, come è accaduto ieri. Il colpo di scena però questa volta non c’è stato, o meglio c’è stato nel senso che anche il testo più «aperturista» – se così si possono chiamare frasi che citano Papa Wojtyla, il Catechismo e le norme della dottrina tradizionale sul discernimento, la confessione e la maggiore o minore imputabilità a seconda delle circostanze – è passato come piena espressione dell’assemblea, anche se soltanto per un soffio.

L’intesa Kasper-Müller. L’ampio documento finale, che non è affatto focalizzato sul tema dell’accesso ai sacramenti ai divorziati e risposati, dice chiaramente che bisogna accogliere più e meglio di prima questi ultimi nella Chiesa. Ma non c’è dubbio che proprio questa sia stata la questione dibattuta, non soltanto dai media e sui media, ma anche dai cardinali e dai vescovi: con interviste, libri, pamphlet. La soluzione proposta non tocca la dottrina, è stata di fatto messa a punto nel circolo minore di lingua tedesca, dove hanno lavorato fianco a fianco teologi come Walter Kasper, autore della proposta più aperturista, e Gerhard Müller, Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, contrario alle aperture.

Sul solco di Papa Wojtyla. Approfondendo quanto affermato da Giovanni Paolo II nell’enciclica «Familiaris consortio», dove si affermava che i pastori «sono obbligati a ben discernere le situazioni» facendo notare ad esempio che «c’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido», il padri del Sinodo chiedono ai sacerdoti e ai vescovi di «accompagnare» i divorziati risposati. Propongono dei criteri per l’esame di coscienza e momenti «di riflessione e di pentimento», chiedendo loro «come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio».

Criteri per «discernere» le diverse situazioni, per poi affidarsi al confessore, ricordando che anche, con il Catechismo alla mano, che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate a causa di diversi condizionamenti». Dunque il solo fatto di essere divorziati risposati «non deve portare a un giudizio sulla imputabilità soggettiva», perché «in determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso». Dunque più spazio all’esame del caso per caso. Spetta ora a Francesco valutare il documento e prendere decisioni in merito.

Andrea Tornielli        La Stampa      25 ottobre 2015

www.lastampa.it/2015/10/25/italia/cronache/comunione-ai-divorziati-s-ma-per-un-solo-voto-cos-papa-francesco-ha-piegato-i-conservatori-aYnedlaMl3R6O2dVDf3jcI/pagina.html

Una chiesa più madre che giudice capace di valutare caso per caso

È all’insegna dell’equilibrio che si è chiuso il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, considerato da molti, sia dentro sia fuori la cattolicità, il banco di prova per eccellenza della capacità della Chiesa di Roma di aprirsi al mondo e di connettersi alla sensibilità di un Pontefice più attento ai fedeli che sono fuori dal recinto che ai pochi che rimangono al suo interno. Un equilibrio che per qualcuno sa di compromesso per evitare una rottura clamorosa, ma che per molti altri è segno di un nuovo e irreversibile corso della Chiesa.

L’indissolubilità del vincolo matrimoniale, il primato attribuito alla famiglia composta da un uomo e una donna e aperta alla procreazione, non sono messi in discussione. Ma pur non toccando i punti fermi della dottrina, il Sinodo prende coscienza non solo che è cambiato un mondo in termini di famiglia (per i molti legami che rientrano sotto questo nome, per la crisi del matrimonio, il moltiplicarsi dei divorzi, la condizione dei divorziati risposati, la voglia di matrimonio tra persone dello stesso sesso ecc.), ma soprattutto che tali cambiamenti hanno investito anche molti credenti e fedeli, che non possono essere lasciati ai margini delle comunità ecclesiali.

Come far fronte dunque a queste situazioni «irregolari»? Come comporre su tali questioni le tensioni tra gli «aperturisti» e «rigoristi» dentro la Chiesa? Ciò che emerge dal Sinodo è anzitutto l’istanza a integrare sempre più persone nella Chiesa, a rispettare il vissuto di ognuno, a mettere fine alla prassi di giudicare le persone. Ma oltre a ciò l’assise di Roma ha offerto anche non poche indicazioni perché la Chiesa in questo campo manifesti più il suo volto di madre che quello di giudice. Lo sforzo di concretezza sta nell’applicazione di quel principio di discernimento delle diverse situazioni che è uno dei capisaldi della dottrina sociale e morale della Chiesa. Circa i risposati divorziati, ad esempio, il Sinodo guarda con benevolenza a quei fedeli che hanno contratto una nuova unione dopo aver fatto di tutto per salvare il loro primo matrimonio, che si trovano dunque in questa nuova condizione non per colpa loro e il cui rifarsi una vita può anche rispondere all’esigenza di meglio far crescere i propri figli.

Si tratta quindi di valutare «caso per caso», favorendo una più piena partecipazione alla vita della Chiesa (accostandosi alla comunione, svolgendo ruoli attivi nella comunità) a quei fedeli «penitenti» che si sentono membra vive del corpo di Cristo e che risultano vittime di ferite matrimoniali non evitabili. E proprio sulla valutazione di chi rientra o meno in queste condizioni si delinea un altro elemento di novità nel testo finale del Sinodo, che prevede che le decisioni siano assunte a livello «personale» e locale, che un ruolo importante al riguardo spetti sia alla coscienza di ogni persona coinvolta nella situazione sia a chi la accompagna nel cammino di fede (i confessori in particolare). Emerge qui, su una questione particolare, quell’indirizzo di decentramento delle responsabilità pastorali che Papa Bergoglio da tempo predica per tutta la cattolicità. La Chiesa, dunque, sembra superare la stagione delle norme fisse valide per tutti, promuove un’applicazione «personalizzata» della dottrina, introduce quella valutazione «caso per caso» in cui può concretizzarsi il suo essere più una «madre» prossima al vissuto dei credenti che un’agenzia amministrativa e burocratica.

Ma nel documento finale del Sinodo il principio del discernimento ha una valenza ancora più ampia. Si tratta del riconoscimento che – anche se la dottrina è una e anche se l’unità è una risorsa della Chiesa – spetta a ogni chiesa locale (diocesi), nazionale e anche continentale riflettere a fondo su quali siano gli approcci pastorali più appropriati per far fronte alle sfide che interpellano in tema di famiglia (come in altri campi) le comunità cristiane. Se il Sinodo che si è appena concluso ha avuto al suo interno meno tensioni di quello che si è svolto sempre sullo stesso tema un anno fa, ciò è dovuto anche al fatto che le chiese del Sud del mondo hanno visto l’attenzione di tutti i padri sinodali ai problemi famigliari tipici dei loro contesti, che sono diversi da quelli dell’Occidente industrializzato. Là il bisogno di affermare il primato della famiglia cristiana tradizionale è fondamentale per far fronte alla miseria umana e materiale, al fenomeno dei bambini di strada, alla cultura della poligamia ecc. mentre altre sfide famigliari di cui si parla molto nelle chiese dei Paesi più sviluppati sembrano non avere particolare riscontro.

Il documento finale del Sinodo viene ora trasmesso al Papa, cui spetta la parola decisiva. Che cosa farà Francesco? Sarà il notaio della posizione sinodale maggioritaria, o vorrà dare ulteriore slancio a un indirizzo che rientra tra le corde di quella misericordia su cui è incentrato il Giubileo?

Franco Garelli                                   La Stampa 25 ottobre 2015

www.lastampa.it/2015/10/25/italia/cronache/una-chiesa-pi-madre-che-giudice-capace-di-valutare-caso-per-caso-U5Tb9nUUu9gCb8kV2PugsJ/pagina.html

Non vincono gli atei di sinistra, ma la strategia gesuita unita alla tradizione mistica.

«Tra forti resistenze, Francesco ricompone un’antica disputa». Il filosofo Massimo Cacciari attribuisce al fondatore dei gesuiti, Sant’Ignazio «questa vittoria al Sinodo».

Riammissione ai sacramenti caso per caso. Cosa significa?

«Un nobile compromesso della Compagnia di Gesù. Il Sinodo ha seguito le orme di Sant’Ignazio. Non è mettersi d’accordo fingendo di ignorare le differenze. È il riconoscimento della complessità civile ed etica del contesto mondano, con la necessità di accompagnarlo nelle valutazioni. Non è cedere a principi e comportamenti mondani. È riconoscere la realtà per cambiarla».

Una strategia «politica»?

«Sì. Francesco non si confonde con l’etica mondana, ma si colloca all’interno per influenzarla. È la comprensione ignaziana della contemporaneità. Non è tatticismo politico come pensano i suoi nemici interni: viene dalla grande mistica umanistica. Sant’Ignazio aveva come riferimento Erasmo da Rotterdam e venerava San Francesco. Bergoglio non ha scelto il nome del santo di Assisi per arruffianarsi il moderno ecologismo. Sa sciogliere lentamente i nodi, ha una prospettiva di secoli. La Chiesa termina con la fine dei tempi. Lo scontro emerso al Sinodo è vero, reale, profondo. Non finirà col Sinodo, non si può prevedere come andrà a finire. La pazienza è virtù raccomandata dai Padri della Chiesa, insieme a un’obbedienza non passiva e servile, ma consapevole che la Chiesa ha tutto il tempo per formare i fedeli all’ascolto. Si giudica Francesco solo da questa prospettiva».

Cosa minaccia il pontificato?

«L’eterogenesi dei fini è un pericolo sempre presente nella storia della Chiesa. Bergoglio deve affrontare due tipi di ostilità alla sua azione. Un’opposizione reazionaria trova espressione in una fronda minoritaria destinata all’irrilevanza: sono pezzi di vecchio apparato che provano a boicottare Bergoglio per spirito di conservazione e che sono arroccati in trincee devastate. C’è poi una resistenza più intelligente che ho riscontrato in dialoghi con alcuni vescovi. Mi dicono che di fatto la comunione ai divorziati risposati la danno già e che è una prassi diffusa. Però temono di metterla nero su bianco come se sancire la riammissione ai sacramenti faccia venir meno la sacralità del matrimonio. Un salto che, per loro, depotenzia un principio se non viene collocato in un adeguato contesto teologico».

La dottrina è solo un pretesto?

«Negare l’Eucarestia ai divorziati risposati non ha un fondamento dogmatico. Si basa sulla tradizione. Chi non è d’accordo con le aperture di Francesco denota un eccesso di timore e di prudenza. Ma avere paura è un errore. Al Sinodo si è riproposto un secolare dissidio nella Chiesa. Francesco è coerentemente un gesuita, nella sua accezione più nobile. Alla fine è riuscito a trascinare con sé la maggioranza dei padri sinodali. Ora il Papa è più forte, ma l’esito della partita rimane imprevedibile. Deve diffidare dell’appoggio laicista di quanti vogliono appropriarsi del Papa per ecologismo o altre battaglie che nulla hanno a che vedere con la profondità del suo messaggio di fede. Gli atei di sinistra rischiano di provocare al pontificato di Bergoglio gli stessi danni che gli atei devoti e i tecon hanno causato a quello di Ratzinger».

Intervista a Massimo Cacciari                     Giacomo Galeazzi     La Stampa 25 ottobre 2015

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/sinodo-famiglia-44217

I padri sinodali e Dostoevskij

Avrei voluto far giungere ai padri sinodali alcune righe dal romanzo I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Ivàn Karamàzov narra che Gesù Cristo ritorna sulla terra in piena inquisizione, ma viene incarcerato. Di notte l’Inquisitore lo va a trovare in prigione e lo apostrofa così: “Non c’è nulla di più ammaliante per l’uomo che la libertà della propria coscienza: ma non c’è nulla, del pari, di più tormentoso. Tu hai tenuto troppo in conto gli uomini [donando loro la libertà], poiché essi sono certamente degli schiavi…. Noi abbiamo corretto la tua opera. Gli uomini si sono rallegrati di essere guidati di nuovo come un gregge e di vedere il loro cuore finalmente liberato da un dono tanto terribile…. Oh, noi li convinceremo che saranno liberi soltanto quando rinunceranno alla loro libertà in nostro favore e si assoggetteranno a noi. Concederemo loro anche il peccato perché sono deboli e fragili e ci ameranno come bambini perché permetteremo loro di peccare. E noi, che per la loro felicità ci saremo fatti carico dei loro peccati, ci alzeremo dinanzi a te e ti diremo: ‘Giudicaci, se puoi e se osi'”.

Abbiamo qui una chiave di discernimento e revisione della prassi della Chiesa in campo morale. Dostoevskij insinua che Gesù con il Vangelo del Regno ha liberato i giudei dalle pastoie della religione, ma la Chiesa le ha restaurate. Il cristianesimo soffre questa tensione, tra Regno evangelico e Chiesa costantiniana. Le religioni in genere dettano norme morali derivate dalle sacre scritture, per controllare i fedeli. La Chiesa fa lo stesso: a partire dalla Rivelazione e con l’aiuto della ragione, essa crea un corpo di leggi, immutabili perché di origine divina, statiche, basate sull’essenza e non sull’esistenza. La Chiesa mette le legge al di sopra delle persone: la morale tradizionale è così. Questo processo ingessa il Vangelo – che è organico – in una struttura architettonica. La Chiesa non ha dubbi che la rigidità in campo morale è dovuta, anche se essa impedisce alla maggioranza dei fedeli di partecipare pienamente della sua vita.

Gesù, trovandosi in una situazione simile alla nostra, ha creato una rottura con la tradizione; ha messo la persona concreta, situata nel suo tempo, al di sopra della legge. Eppure mettere in questione la morale tradizionale è problema, perché pare un cedimento. Ma non v’è dubbio che la morale tradizionale dev’essere superata: di fatto essa riduce la Parola rivelata a tabù. Consideriamo espressioni come “chi crederà e sarà battezzato sarà salvo” (Mc 16,16) e “sulla terra non c’è altro nome [che Gesù] dato agli uomini, grazie al quale possono essere salvi” (At 4,12): tali espressioni, prese alla lettera, obbligano a un malabarismo per ammettere che anche i non cristiani possono salvarsi. Gesù disse: “Chi ripudia la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio”; presa alla lettera, la frase obbliga le coppie in seconda unione a cercare la scorciatoia dello studio dei vizi che invaliderebbero la prima unione. Dobbiamo convenire che questo modo di procedere non è rispettoso della Parola di Dio, ed è degno dell’inquisitore piuttosto che di persone adulte.

Nel Sinodo della Famiglia parecchi vescovi hanno fatto la crociata in difesa della morale tradizionale o costantiniana. Altri vescovi, più sensibili, hanno cercato brecce, ma senza mettere in discussione l’impostazione tradizionale. Non mi risulta che ci siano stati vescovi che chiedessero di saltare sul piano evangelico-esistenziale. Eppure in Gesù le beatitudini superano il decalogo. Il Regno è una vocazione corale di uomini e donne di buona volontà, non di farisei osservanti. E’ la prostituta che entra nel Regno e non i farisei.

Dov’è, oggi, la buona nuova che marca un nuovo cammino esistenziale? Dov’è Cristo che senza mitizzare i poveri, li privilegia perché poveri e siede a cenare con loro?

Arnaldo Devii            Koinonia-Forum” n. 454, 24 ottobre 2015

www.koinonia-online.it/forum454base.htm

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CHIESA VALDESE EVANGELICA

La relazione al centro

Il Sinodo dei vescovi sulla famiglia è ormai al termine: sul tappeto temi importanti come la comunione ai credenti risposati o la questione dell’omosessualità e delle unioni gay. Sullo sfondo, la presa di posizione del papa, che ha ribadito “l’innegabile valore del matrimonio indissolubile e della famiglia sana”. In attesa che domani l’assemblea plenaria voti il testo finale, abbiamo fatto il punto con il pastore Paolo Ribet, coordinatore della Commissione ‘famiglie’ nominata dalla Tavola valdese.

Possiamo fare una valutazione complessiva di come sono andati i lavori dell’Assemblea?

“Ancora non si conoscono le conclusioni ma dopo l’Assemblea straordinaria dell’anno scorso ero ottimista perché si era aperta una porta che pensavo non si potesse più chiudere; ora sono ansioso di sapere se la parte più reazionaria della Chiesa cattolica è invece riuscita a chiuderla di nuovo. Comunque è sicuro che alcune questioni della vita delle persone, che fino a poco tempo fa non si potevano nemmeno mettere in discussione, ora sono oggetto di dibattito. Il cardinale Kasper che dice che l’omosessualità è uno status e non una scelta etica fa un’affermazione importante: è segno che finalmente si prende atto della realtà. Io credo che la Chiesa cattolica debba fare un ulteriore passo in avanti svincolando il matrimonio – che considera un sacramento – da una visione giuridica che la porta a forzature come la procedura dell’annullamento da parte della Sacra Rota. Un escamotage che di fatto aggira il divorzio e quindi la legge dello Stato italiano, con delle conseguenze non indifferenti per esempio per moglie e figli, nei confronti dei quali non si hanno più doveri”.

Il Sinodo ha avuto anche dei colpi di scena, come la lettera dei 13 cardinali al papa, in cui si criticavano le aperture in corso, a partire dalla comunione ai divorziati.

“La novità negativa di questo Sinodo è proprio il tentativo delle destre di riconquistare una maggioranza. I tradizionalisti forse pensavano che le loro idee fossero maggioritarie ma l’anno scorso hanno scoperto che non è così e adesso sono passati alla riscossa per cercare di riguadagnare il terreno perduto. Per difendere la famiglia indissolubile composta da un uomo e una donna, la destra cattolica si basa sull’idea che “l’ha detto Gesù”: una sorta di “Dio lo vuole” non negoziabile. Ma se si legge la Bibbia la risposta è più articolata. Certo nell’evangelo di Marco al capitolo 10 a proposito del divorzio c’è scritto “Non sono più due ma uno, perciò l’uomo non separi quello che Dio ha unito”, però già al tempo di Matteo le cose erano un po’ cambiate e troviamo come eccezione al divieto di divorzio la fornicazione; poi l’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi, al cap. 7, dice chiaramente che se uno dei due coniugi non è credente e vuole separarsi, l’altro non è vincolato. Insomma, di fronte a nuove situazioni la risposta cambia, come cambia la realtà a cui bisogna fare fronte. In più bisogna dire che quel “Dio non separi” è detto in difesa della donna, all’epoca soggetta alla volubilità del marito: quindi nel Vangelo non è la famiglia da tutelare ma la moglie. In sintesi, quando parliamo della famiglia vale il comandamento fondamentale di Paolo in 1 Corinzi 7, 15: “Dio vi ha chiamati a vivere in pace”. Quello che la chiesa dovrebbe fare non è difendere la struttura giuridica del matrimonio ma aiutare le persone ad essere più forti e stabili, per renderle capaci di crescere insieme in una dimensione di relazionalità non effimera ma capace di resistere nel tempo”.

Questo Sinodo segna un passo avanti sul cammino ecumenico?

“Dipende con chi e su cosa ci si trova d’accordo. Con i cattolici a livello teologico c’è comunque un dialogo, mentre da un punto di vista etico – sulla famiglia, sul gender, sulle adozioni, sul fine vita -sono più vicini agli evangelicali. Ci sono delle chiusure, ma come abbiamo detto la Chiesa cattolica si è messa in cammino e lentamente si muove”.

Il documento elaborato dalla Commissione “Famiglie[valdese]  è pronto per essere presentato al prossimo Sinodo perché possa diventare documento ufficiale della chiesa. Quali sono i nodi principali?

“La base da cui parte è che il problema non è la struttura giuridica della famiglia, ma la relazione o le relazioni che le persone intrecciano. Non bisogna idealizzare il passato, perché è vero che c’erano meno separazioni ma è altrettanto vero che spesso le coppie stavano insieme per dovere e la famiglia poteva essere un luogo di violenza o in cui una delle due parti era nettamente sfavorita rispetto all’altra. Oggi, nel quadro attuale, quello che è veramente importante è appunto la capacità di costruire delle relazioni. A parte il riconoscimento della coppie dello stesso sesso, il documento della Commissione propone anche la benedizione di coppie eterosessuali non sposate, cosa che fino a ieri non si faceva. D’altra parte un tempo non ci si sposava per non perdere alcuni privilegi, come la reversibilità della pensione, ma oggi c’è chi rifiuta di sposarsi per motivazione ideologiche, che non necessariamente si devono condividere ma che vanno comunque rispettate. In generale, si prende atto dell’unione e si chiede al Signore di benedire la coppia, senza limitazioni”.

Intervista a Paolo Ribet  di Federica Tourn  riforma.it        23 ottobre 2015        

http://riforma.it/it/articolo/2015/10/23/la-relazione-al-centro

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La misericordia fa fiorire la vita.

Domenica 7 febbraio 2016 sarà celebrata la 38ª Giornata Nazionale per la vita.

 “Il nostro Paese continua a soffrire un preoccupante calo demografico, che in buona parte scaturisce da una carenza di autentiche politiche familiari”. Parte da questa constatazione il Messaggio del Consiglio Permanente per la 38ª Giornata Nazionale per la vita (7 febbraio 2016).

“Mentre si continuano a investire notevoli energie – spiegano i Vescovi – a favore di piccoli gruppi di persone, non sembra che ci sia lo stesso impegno per milioni di famiglie che, a volte sopravvivendo alla precarietà lavorativa, continuano ad offrire una straordinaria cura dei piccoli e degli anziani”.

“Contagiare di misericordia – ricorda ancora il Consiglio Permanente – significa affermare, con papa Francesco, che è la misericordia il nuovo nome della pace. La misericordia farà fiorire la vita: quella dei migranti respinti sui barconi o ai confini dell’Europa, la vita dei bimbi costretti a fare i soldati, la vita delle persone anziane escluse dal focolare domestico e abbandonate negli ospizi, la vita di chi viene sfruttato da padroni senza scrupoli, la vita di chi non vede riconosciuto il suo diritto a nascere”.

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 38a Giornata Nazionale per la vita

La misericordia fa fiorire la vita

“Siamo noi il sogno di Dio che, da vero innamorato, vuole cambiare la nostra vita”. Con queste parole Papa Francesco invitava a spalancare il cuore alla tenerezza del Padre, “che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati” (1Pt 1,3) e ha fatto fiorire la nostra vita.

            La vita è cambiamento. L’Anno Santo della misericordia ci sollecita a un profondo cambiamento. Bisogna togliere “via il lievito vecchio, per essere pasta nuova” (1Cor 5,7), bisogna abbandonare stili di vita sterili, come gli stili ingessati dei farisei. Di loro il Papa dice che “erano forti, ma al di fuori. Erano ingessati. Il cuore era molto debole, non sapevano in cosa credevano. E per questo la loro vita era – la parte di fuori – tutta regolata; ma il cuore andava da una parte all’altra: un cuore debole e una pelle ingessata, forte, dura”. La misericordia, invero, cambia lo sguardo, allarga il cuore e trasforma la vita in dono: si realizza così il sogno di Dio.

            La vita è crescita. Una vera crescita in umanità avviene innanzitutto grazie all’amore materno e paterno: “la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo”. La famiglia, costituita da un uomo e una donna con un legame stabile, è vitale se continua a far nascere e a generare. Ogni figlio che viene al mondo è volto del “Signore amante della vita” (Sap 11,26), dono per i suoi genitori e per la società; ogni vita non accolta impoverisce il nostro tessuto sociale. Ce lo ricordava Papa Benedetto XVI: “Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani”. Il nostro Paese, in particolare, continua a soffrire un preoccupante calo demografico, che in buona parte scaturisce da una carenza di autentiche politiche familiari. Mentre si continuano a investire notevoli energie a favore di piccoli gruppi di persone, non sembra che ci sia lo stesso impegno per milioni di famiglie che, a volte sopravvivendo alla precarietà lavorativa, continuano ad offrire una straordinaria cura dei piccoli e degli anziani. “Una società cresce forte, cresce buona, cresce bella e cresce sana se si edifica sulla base della famiglia”. È la cura dell’altro – nella famiglia come nella scuola – che offre un orizzonte di senso alla vita e fa crescere una società pienamente umana.

            La vita è dialogo. I credenti in ogni luogo sono chiamati a farsi diffusori di vita “costruendo ponti” di dialogo, capaci di trasmettere la potenza del Vangelo, guarire la paura di donarsi, generare la “cultura dell’incontro”. Le nostre comunità parrocchiali e le nostre associazioni sanno bene che “la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere”. Siamo chiamati ad assumere lo stile di Emmaus: è il vangelo della misericordia che ce lo chiede (cfr. Lc 24,13-35). Gesù si mette accanto, anche quando l’altro non lo riconosce o è convinto di avere già tutte le risposte. La sua presenza cambia lo sguardo ai due di Emmaus e fa fiorire la gioia: nei loro occhi si è accesa una luce. Di tale luce fanno esperienza gli sposi che, magari dopo una crisi o un tradimento, scoprono la forza del perdono e riprendono di nuovo ad amare. Ritrovano, così, il sapore pieno delle parole dette durante la celebrazione del matrimonio: “Padre, hai rivelato un amore sconosciuto ai nostri occhi, un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio”. In questa gratuità del dono fiorisce lo spazio umano più fecondo per far crescere le giovani generazioni e per “introdurre – con la famiglia – la fraternità nel mondo”. Il sogno di Dio – fare del mondo una famiglia – diventa metodo quando in essa si impara a custodire la vita dal concepimento al suo naturale termine e quando la fraternità si irradia dalla famiglia al condominio, ai luoghi di lavoro, alla scuola, agli ospedali, ai centri di accoglienza, alle istituzioni civili.

            La vita è misericordia. Chiunque si pone al servizio della persona umana realizza il sogno di Dio. Contagiare di misericordia significa aiutare la nostra società a guarire da tutti gli attentati alla vita. L’elenco è impressionante: “È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente”. Contagiare di misericordia significa affermare – con papa Francesco – che è la misericordia il nuovo nome della pace. La misericordia farà fiorire la vita: quella dei migranti respinti sui barconi o ai confini dell’Europa, la vita dei bimbi costretti a fare i soldati, la vita delle persone anziane escluse dal focolare domestico e abbandonate negli ospizi, la vita di chi viene sfruttato da padroni senza scrupoli, la vita di chi non vede riconosciuto il suo diritto a nascere. Contagiare di misericordia significa osare un cambiamento interiore, che si manifesta contro corrente attraverso opere di misericordia. Opere di chi esce da se stesso, annuncia l’esistenza ricca in umanità, abita fiducioso i legami sociali, educa alla vita buona del Vangelo e trasfigura il mondo con il sogno di Dio.

            Roma, 22 ottobre 2015                     Memoria di San Giovanni Paolo II

            Il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana

www.chiesacattolica.it/chiesa_cattolica_italiana/news_e_mediacenter/00074617_La_misericordia_fa_fiorire_la_vita.html

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

            Imola. Incontro di gruppo per genitori.

Aiutare la crescita: la famiglia che sostiene. Un percorso articolato in 4 incontri in cui confrontarsi e riflettere sui temi della genitorialità. Come tenere aperto il dialogo con i figli? Quali sono gli ingredienti giusti per essere un buon genitore? I problemi della coppia come interferiscono con la crescita dei figli?

https://sites.google.com/site/consfamiliareucipemimola/enter

            Pescara. Percorsi sulla conoscenza.

Tra gli scopi principali del Consultorio, oltre al supportare le persone in difficoltà, ci sono la formazione e la prevenzione, cioè svolgere percorsi e attività personali e di gruppo, per informare, prevenire, supportare le persone e le famiglie, al fine di evitare (per quanto possibile) situazioni non funzionali.

Pertanto il Consultorio propone una serie di attività sulla conoscenza di se stessi, sulla genitorialità, sulla crescita umana e interiore, in quanto crediamo al valore della persona e ai suoi infiniti potenziali, alla famiglia come bene comune, alla bellezza dello stare bene con sé e con gli altri. Offre pertanto percorsi che valorizzino il benessere della persona.

Ogni laboratorio si compone di 6 incontri.     E’ possibile partecipare a un solo laboratorio.

http://www.ucipempescara.org/percorsi

            Trento- Dalla coppia alla famiglia: nei giovedì di novembre ritornano gli incontri per coppie

Anche quest’anno il Servizio Attività sociali propone alla cittadinanza un ciclo di incontri dal titolo Dalla coppia alla famiglia, un’occasione per riflettere in coppia e per raggiungere una maggior consapevolezza e condivisione su alcuni temi, come la relazione e le conflittualità, la comunicazione, la sessualità, gli aspetti giuridici e patrimoniali, talvolta sottovalutati e poco discussi.

            L’iniziativa, pensata inizialmente per le giovani coppie che si preparano al matrimonio, si è allargata negli anni registrando una partecipazione molto variegata, sia per età che per condizione dei partecipanti, da coppie di fidanzati a coppie conviventi o coniugate, evidenziando quanto il bisogno di formazione e di cura della relazione duri nel tempo, indipendentemente dall’età e dalla condizione d’appartenenza.

            È organizzata in collaborazione con il Tavolo della formazione alle relazioni familiari, composto da varie realtà che sostengono a vario titolo le coppie e le famiglie: Associazione laica famiglie in difficoltà, Consultorio familiare Ucipem, Consultorio dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, Punto Famiglie – ascolto e promozione, Forum delle Associazioni familiari del Trentino, Associazione Famiglie insieme, Associazione famiglie per l’accoglienza e Associazione Famiglie nuove.

  • Così vicini, così diversi! Le parole dell’ascolto nella comunicazione di coppia. Enrica Tomasi, esperta in comunicazione consultorio UCIPEM
  • Io e te: la sessualità nella relazione di coppia. Luisa Lorusso, psicologa – sessuologa
  • Nodi da sciogliere? Aspetti giuridici e patrimoniali nella vita di coppia. Massimo Zanoni, avvocato
  • Litigare fa bene: istruzioni per l’uso. Franca Gamberoni, coordinatrice Alfid

In un tempo dove tutto corre, questo percorso vuole essere una proposta dove il tempo della riflessione personale e di coppia trova uno spazio ed un tempo tutto suo, dove ciascuno, sollecitato dalle tematiche affrontate dai relatori possa leggere la propria esperienza e riflettere per costruire serenamente il proprio progetto di coppia e di famiglia, nella consapevolezza che se le problematiche e gli aspetti critici ci accomunano, le risposte possibili sono diverse e spesso uniche, come unica è ogni persona e ogni coppia di persone.

www.lavocedeltrentino.it/index.php/breaking-news-trentino/23167-dalla-coppia-alla-famiglia-nei-giovedi-di-novembre-ritornano-gli-incontri-per-coppie

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DALLA NAVATA

30° domenica del tempo ordinario – anno B -25 ottobre 2015.

Geremia           31, 09 «Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni…perché io sono un padre per Israele.

Salmo              126, 05 «Chi semina nelle lacrime mieterà nelle gioia.»

Ebrei                 05, 02 «Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza.

Marco               , 46 «Bartimèo, che era cieco ….cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù abbi pietà di me!”.»

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DIVORZIATI RISPOSATI

«Divorziati risposati: criteri per discernere, non soluzioni generali»

            Che cosa «partorirà» il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, quali questioni aperte, quali domande e quali indicazioni affiderà nelle mani di Papa Francesco, sarà noto la sera di sabato 24 ottobre. Di certo la notizia più rilevante degli ultimi giorni è rappresentata dall’unanimità del circolo Germanicus, l’unico dei tredici «circuli minores» nel quale si parlava tedesco. Tanti avrebbero desiderato che ci fosse una telecamera a inquadrare teologi come Walter Kasper, Christoph Shönborn e Gerhard Ludwig Müller mentre discutevano tra di loro citando questo o quel testo di san Tommaso e la sua interpretazione.

Nel documento del circolo tedesco relativo si legge: «L’assioma “ogni contratto matrimoniale tra cristiani è di per sé un sacramento” deve essere rivisto. In società cristiane non più omogenee o in Paesi con impronte culturali e religiose differenti, non si può presupporre una comprensione cristiana del matrimonio nemmeno tra i cattolici». E quanto alla possibilità di riammettere i divorziati risposati, i padri sinodali di lingua tedesca hanno tutti convenuto che non esistono soluzioni generali e generalizzate ma bisogna approfondire la via del discernimento indicata da Giovanni Paolo II, valutando, sulla base di alcuni criteri oggettivi, le situazioni dell’unione sacramentale e della nuova unione, ma anche dando spazio al «foro interno», che riguarda la vita più intima della quale si parla con il confessore o il direttore spirituale.

Vatican Insider ha intervistato il cardinale Shönborn, moderatore del circolo Germanicus.

Ha sorpreso molti questa unità dei cardinali, in particolare dei cardinali teologi tedeschi, da

Kasper a Müller. Che cosa è accaduto?

Tutti gli articoli e le modifiche al testo finale che abbiamo proposti sono state votate all’unanimità. Un elemento importante è rappresentato dal tempo di discutere tra noi che abbiamo avuto a disposizione. Si è trattato di un grande guadagno dovuto alla nuova metodologia dei lavori sinodali:40 ore di discussioni nei 13 circoli minori permette veramente di approfondire. Abbiamo avuto il tempo di andare in profondità su certi punti. Per esempio, il testo su fede e patto matrimoniale è a mio avviso una bella sintesi teologica, che è stata possibile perché c’erano buoni teologi tra i cardinali. Anche il testo sull’accompagnamento ai divorziati risposati è stato davvero il frutto di una riflessione comune. Abbiamo preso come punto di partenza il testo dell’enciclica «Familiaris consortio» citato anche nel Catechismo della Chiesa cattolica, che è stato la base di tutte le discussioni sul tema negli ultimi trent’anni. In quel testo san Giovanni Paolo dice esplicitamente che i pastori hanno l’obbligo, per amore della verità, di discernere e di distinguere le situazioni.

La vostra proposta si presenta dunque come un approfondimento di «Familiaris consortio»?

È voluto ed esplicitamente proposto come un approfondimento e una continuazione di «Familiaris consortio» perché Giovanni Paolo II aveva detto che c’è l’obbligo di discernere, di distinguere, ma non ha aveva detto tutto ciò che segue dal discernimento. Abbiamo cercato di indicare alcuni criteri per questo discernimento da parte dei pastori. Criteri molto concreti. Per esempio, valutare come i divorziati risposati si sono comportati con i figli avuti nella prima unione, come sono rimasti con il coniuge abbandonato, qual è l’effetto del loro cammino sull’insieme delle famiglie e quale testimonianza o forse quale scandalo ci sia per la comunità cristiana. E poi abbiamo parlato del criterio forse più profondo, quello del discernimento della coscienza di ciascuno. Tutto questo guardando alla situazione oggettiva e con l’attenzione al discernimento della situazione concreta. In questo modo si può procedere in un cammino di conversione, di penitenza – perché ci vuole spesso un aspetto di penitenza – per finalmente arrivare a questa parola di san Paolo indirizzata a tutti, non solo ai divorziati risposati: ognuno si esamina prima di accedere alla mensa del Signore.

In «Familiaris consortio» la unica via indicata per l’accesso ai sacramenti era quella del vivere come «fratello e sorella», cioè di astenersi dai rapporti sessuali in caso di seconda unione. Questo aspetto è da ritenersi superato nella vostra proposta?

Nel nostro testo non è accennato né detto. Non riteniamo che sia l’unica via. «Familiaris consortio» parla dell’esigenza di un discernimento. Forse l’accenno nuovo del nostro documento è quello al «foro interno», che peraltro appartiene alla tradizione classica. Nel secondo dei tre documenti che il circolo di lingua tedesca ha redatto discutendo le tre parti dell’«Instrumentum laboris» del Sinodo abbiamo citato i testi di san Tommaso che sono il nucleo del passaggio dalla «ratio» speculativa dottrinale alla «ratio» pratica tramite l’esercizio della virtù della prudenza: quanto più si scende nel particolare, tanto più è necessario il discernimento prudenziale.

Questo significa che, pur essendo di fronte a una situazione «disordinata» di una seconda unione che non può essere sacramentale, questa non è di per sé una condizione di peccato?

È interessante notare come l’insegnamento della Chiesa abbia già rinunciato a parlare genericamente di peccato grave in questi casi. All’inizio c’è il peccato grave dell’adulterio e spesso questo è il caso, se c’è un vincolo matrimoniale sacramentalmente valido. Ma se con il passare del tempo si crea una situazione che comporta anche delle esigenze oggettive, per esempio verso i figli nati nella nuova unione? Sono semplicemente figli illegittimi pur avendo papà e mamma? Certo, rimane il conflitto tra l’obbligo sacramentale – se il matrimonio era valido – e la nuova unione. Ma non si può affermare semplicemente che tutta la situazione sia di peccato grave, perché onorare la nuova realtà e le nuove situazioni oggettive è anche un’esigenza di giustizia. Per questo ci vuole questo discernimento che sappia guardare alle diverse realtà delle persone. Già «Familiaris consortio» citava il caso del coniuge abbandonato. Il caso classico della donna con figli piccoli abbandonata dal marito. Lei deve sopravvivere se trova un uomo disposto ad accogliere lei e questi bambini: non si può parlare semplicemente di adulterio a motivo della seconda unione. C’è anche un’altra realtà di generosità e di virtù in questa nuova realtà che pure non è sacramentale. E qui è importante affidarsi alle parole di san Tommaso, perché abbiamo vissuto nel Sinodo un piccolo conflitto tra un agostinismo radicale e il tomismo classico. Agostino nella «Civitas Dei» presenta l’idea che ogni atto dei pagani sia vizioso, che non ci sia virtù in loro. Ma san Tommaso ha rifiutato con forza questa posizione e anche i Padri della Chiesa come Clemente di Alessandria e san Massimo il Confessore hanno parlato delle virtù dei pagani. La Bibbia stessa lo fa con Giobbe, un pagano. San Tommaso spiega: anche se il paganesimo è idolatria, nonostante questo, i pagani possono compiere atti veramente virtuosi.

Insomma, la via del discernimento da parte del confessore e dei vescovi tiene conto delle differenze delle storie personali. È così?

Gesù si commuoveva davanti alle sofferenze umane, lo leggiamo nei Vangeli. E oggi Gesù abbraccia e in questo abbraccio di misericordia la persona si sente amata e riconosce il suo peccato. Con le sue catechesi dell’anno scorso Papa Francesco ci ha dato una grande lezione, sono così belle da far venire le lacrime, perché si apprende tutta la vicinanza con la vita, ma con lo sguardo del pastore che non osserva freddamente la realtà come uno scienziato o ideologo: è veramente la scuola del pastore.

Questo approccio secondo lei è maggioritario nel Sinodo?

Vedremo il documento finale e come sarà recepito dall’assemblea. Ma mi ha colpito ciò che ha detto il cardinale Fox Napier, il quale in un’intervista ha raccontato come lui avverte questo Sinodo come un vero camminare insieme. Abbiamo avuto il tempo di riflettere, di conoscerci, di scambiare i nostri punti di vista. Il Sinodo è diventato un’esperienza molto più di vita, più attenta gli uni agli altri. I confronti sono stati meno acerbi, è emerso piuttosto l’ascolto, lo sforzo di sentire anche il cuore dell’altro.

                        Andrea Tornielli Vatican insider      24 ottobre 2015

http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/sinodo-famiglia-44154

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FAMIGLIA

La parola “famiglia” non suona più come prima.

Alla prima lettura del testo approvato ieri sera, e messo al confronto con la allocuzione di papa Francesco, alcune cose balzano agli occhi. Siano prese come “prime impressioni”, senza la dovuta ponderazione, che solo il tempo è in grado di assicurare:

a)      Il testo della Relatio si presenta con un duplice profilo. Da un lato è un grande guadagno perché adotta uno stile e un metodo “positivo” di lettura della realtà familiare, affidandola ad un linguaggio pacato, lucido ed essenziale, comprensivo e sereno; dall’altro è una non piccola perdita, per le omissioni che ha dovuto introdurre (esplicito riferimento alla comunione per gli “irregolari”, omosessualità, primato della coscienza…), allo scopo di mantenere la speranza di ottenere la maggioranza qualificata dei consensi. Non ha negato quasi nulla, ma neppure lo ha affermato.

b)      Il risultato di una votazione “compatta” non deve essere trascurato: essa indica che, per questa parte del percorso, papa Francesco ha potuto accompagnare la sua “famiglia ferita” verso una sostanziale riconciliazione, senza perdere l’orientamento ad un ripensamento e ad una conversione significativa della tradizione.

c)      Tuttavia, nonostante l’apprezzabile lavoro di rifinitura del testo, volta ad acquisire questo “tono” al contempo rassicurante e aperto, quanta differenza si deve notare rispetto alla forza della Allocuzione che, a conclusione dei lavori, papa Francesco ha donato alla Assemblea! E d’altra parte, proprio questa è la logica del Sinodo: la fatica di un cammino (e di un linguaggio) comune tra Vescovi tanto diversi si compone con la intuizione profetica di un solo Vescovo (di Roma), che presiede e orienta la assemblea, con tutta la sua ispirata libertà.

d)      In questi ultimi giorni, più volte era apparso evidente che in questo Sinodo “senza profezia non ci sarebbe stata prudenza”! I due testi che abbiamo letto sono, in modi diversi, la traduzione di questa consapevolezza. La Relatio esercita finemente la prudenza per rendere possibile la profezia. L’Allocutio esprima con forza e con passione la profezia della misericordia per operare prudentemente un servizio alla Chiesa.

e)      Il consenso prudente maturato dal Sinodo apre sulla profezia ecclesiale affidata a Francesco. Più volte, negli ultimi giorni, sembrava quasi che i Padri sinodali volessero semplicemente “rimandare” al papa l’onere di ogni decisione. Il testo del discorso di Francesco non sembra lasciare dubbi: sulla base del risultato – e senza doversi sentire vincolato dagli equilibri ed equilibrismi dello stesso –egli potrà, e direi anzi dovrà, determinare in concreto questa “buona notizia” che è la famiglia, non per “ripetere quanto già conosciuto e ribadito”, ma per dire “cose nuove”.

f)       La traduzione della disciplina del matrimonio è così ufficialmente iniziata. Con il consenso qualificato dei Vescovi e con la determinazione profetica del papa. A questo passaggio necessario, ma non sufficiente, delle “proposizioni sinodali”, dovrà seguire un testo papale, che preveda una serie di “riforme pastorali” perché si affianchino alla “riforma canonica”, che papa Francesco ha già realizzato, poco prima del Sinodo.

g)      Non è difficile cogliere, nel discorso di chiusura del papa, una sorta di “programma” di ciò che potrà essere quel “discernimento”, al quale i Vescovi non hanno potuto/voluto dare figura concreta, anche per comprensibili ragioni prudenziali. In tal caso il discernimento non potrà restare solo una “buona intenzione”, ma dovrà entrare nella carne e nel sangue della compagine ecclesiale, modificando le prassi, elevando la cultura e rinnovando i cuori.

h)      Se anche un noto editorialista del New York Times – insieme a qualche nostra firma – è caduto nella trappola di pensare che il matrimonio e la famiglia siano compatibili solo con una società chiusa e con una dottrina autoritaria, dobbiamo riconoscere che in questa trappola non sono caduti i Padri sinodali, o, almeno, la grande maggioranza di essi. Annunciare il matrimonio e la famiglia nelle logiche e nel linguaggio di una “società aperta”, uscendo dalla tentazione di ricondurli, come tali, alle logiche rigide di una “società chiusa”: questa mi sembra la linea comune ai due testi che abbiamo conosciuto oggi. Se abbiamo inteso bene, questa è proprio una buona notizia.

i)        Alla fine del Sinodo la chiesa cattolica può dire, con le parole ispirate del Vescovo di Roma: “la parola famiglia non suona più come prima”. Ma lo dice non per stracciarsi le vesti in una crisi di nostalgia, ma per affrontare con coraggio e con passione le sfide belle che le riserva la storia a venire. Nella quale il rischio maggiore non è di cambiare il Vangelo, ma di iniziare a comprenderlo meglio.

Andrea Grillo in “Come se non” 25 ottobre 2015 –   www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-parola-famiglia-non-suona-piu-come-prima-diversi-obiettivi-e-diversi-stili-nella-comunione-di-fine-sinodo

La legge naturale è un totem che alla chiesa non serve più.

            Padre Eberhard Schockenhoff, già assistente di Walter Kasper a Tubinga negli anni Ottanta, teologo moralista all’Università di Friburgo con vasto seguito in Germania e assai ascoltato dai vertici della locale conferenza episcopale, nel simposio a porte chiuse della scorsa primavera ospitato all’Università Gregoriana di Roma aveva auspicato “una evoluzione della dottrina ecclesiastica del matrimonio”. Oggi, in pieno Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che di matrimonio e sacramenti tratta ad abundantiam, conferma al Foglio il suo assunto: “Il matrimonio di oggi, che secondo l’idea centrale del Concilio Vaticano II trova il suo senso nell’amore coniugale, non ha più molto in comune con le forme di matrimonio precedenti che erano più che altro comunità di produzione e approvvigionamento”. Si pensi, aggiunge, “che del concetto di amore non è dato trovare menzione nei contratti matrimoniali risalenti a prima del XIX secolo”.

Il problema, però, è molto più ampio: “Per molto tempo la teologia morale cattolica ha sostenuto che la natura dell’uomo potesse essere descritta sulla base di categorie metafisiche, come se fosse un essere immutabile. Ma questo modo di vedere le cose non rende giustizia alla dinamica del cambiamento storico. Oggi parliamo di storicità del diritto naturale, e proprio matrimonio e famiglia sono soggetti a un continuo processo di cambiamento nella storia”.

C’è un convitato di pietra, nelle discussioni sinodali di questo biennio, ed è il tema della “legge naturale”, bastione fondamentale della stagione giova paolina secondo cui la famiglia, in qualche modo, è sacra perché rispondente alla legge naturale. Schockenhoff non ha dubbi: “Nella teologia morale cattolica il diritto naturale è un problema più che una soluzione rispetto a tutte le difficoltà che presenta una fondazione dell’etica. Nella tradizione vi sono due concetti di natura, uno più biologico e l’altro più strettamente razionale.

Nel primo caso – dice – per natura dell’uomo si intende ciò che è dato dalla sua essenza biologica. Nel secondo caso, invece, per natura dell’uomo si intende ciò che è dato all’uomo per seguire lo scopo di un’esistenza ragionevole secondo la formula di Tommaso d’Aquino: secundum rationem vivere. In linea con questo pensiero di diritto naturale razionale non v’è contraddizione tra la predisposizione naturale di certe forme di vita umana e la loro caratteristica storicoculturale”, spiega il teologo tedesco, che aggiunge: “Anche la trasformazione storica delle disposizioni della natura umana non rappresenta comunque un processo indifferente, quasi che si trattasse soltanto di una convenzione”.

Al contrario, sottolinea Eberhard Schockenhoff, “esistono influenze culturali adeguate alla natura umana e influenze inadeguate. Stabilirlo è compito della ragione umana”. In ogni caso, schierarsi dietro il totem della legge naturale lascia il tempo che trova, anche nell’Aula nuova, dice: “L’appello al diritto naturale è tutto fuorché un jolly argomentativo che zittisce le argomentazioni altrui. Al contrario, occorre chiarire che cosa si intende per diritto naturale e che cosa si vuole argomentare facendo riferimento al diritto naturale. Credo – afferma – che i dibattiti svolti nell’Aula del Sinodo non tocchino tali questioni preliminari aventi carattere ermeneutico, ma siano orientati più che altro a problemi pratici che stanno al centro del messaggio della chiesa”.

“L’Humanae vitae ha sempre convinto poco”. Da quel che si dice nei briefing in sala stampa e (soprattutto) da quanto viene messo online da diversi padri che preferiscono fornire una versione più dettagliata di quanto avviene in assemblea, senza filtri o valutazioni d’altro tipo, si è discusso anche di Humanae vitae, l’ultima enciclica di Paolo VI che diversi tra i presenti al Sinodo (primo fra tutti il vescovo di Anversa, mons. Johan Bonny) vorrebbero musealizzare e dichiarare superata quanto ai contenuti e ai princìpi ispiratori. Un documento, quello, che “io non definirei superato”, dice Schockenhoff, “dal momento che già quando fu pubblicato incontrò una diffusa resistenza e i suoi argomenti convinsero ben poco tanti fedeli sin dall’inizio”. Con obiettività, spiega, si può dire che “è stata un’enciclica molto controversa che in Europa o non è stata accettata dai fedeli o addirittura è stata apertamente rifiutata. E la non recezione di un insegnamento magisteriale va presa in considerazione quando si segue l’argomentazione di quell’enciclica”.

Il teologo parla di Europa, una realtà che anche nel confronto sinodale è stata per alcuni troppo presente rispetto a quella ben più dinamica africana. Schockenhoff però ha seri dubbi circa la possibilità di prendere a modello la famiglia africana per sperare in una rievangelizzazione dell’occidente secolarizzato: “Non credo che il modello di matrimonio o di famiglia che si sviluppa in un continente si possa proporre senza problemi in altri. La chiesa in Africa ha problemi diversi rispetto a quelli delle mutevoli forme di vita di coppia della società secolarizzata, nel senso che deve impregnare della forza del Vangelo e del credo cristiano le forme tradizionali di matrimonio. Immagino – chiosa il nostro interlocutore – che i vescovi africani conoscano i problemi dal proprio angolo di osservazione e non abbiano quindi bisogno di lezioni dall’esterno. Per questo, stabiliranno un dialogo critico con i loro confratelli europei e nordamericani, rinunciando alle lezioni che loro stessi non desiderano ricevere dagli altri”.

Colloquio con Eberhard Schockenhoff a cura di Matteo Matzuzzi con Giovanni Boggero

Il Foglio, 20 ottobre 2015

www.ilfoglio.it/chiesa/2015/10/20/se-il-matrimonio-non-cos-naturale-chiesa-germania-schockenhoff___1-v-134013-rubriche_c126.htm

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Figli di 6 genitori, con l’utero in affitto si può.

Tre aspiranti genitori legali, ma sei biologici – tre padri anche biologici, tre donatrici di ovociti di cui due anche madri surrogate – per almeno tre futuri bambini, il tutto condito con tanto amore perché, come cinguettava felice Obama quando la Corte Suprema americana ha sdoganato il matrimonio omosessuale.

            Anche secondo il canadese Adam Grant l’amore è l’amore e «dovrebbe essere moltiplicato e non diviso. Non importa se in una relazione a tre o a quattro». E proprio per questo ha divorziato da Shayne Curran (uomo pure lui), dopo un anno di matrimonio: l’ha fatto per restarci insieme ma estendendo la relazione anche a un terzo uomo, Sebastian Tran.

            Adam e Shayne non volevano che Sebastian, incontrato in un night club e con cui subito è nato un grande amore comune, «si sentisse la ruota di scorta nella nostra relazione. Così abbiamo deciso di divorziare per poter rinnovare il nostro impegno fra tutti e tre», in modo eguale. I media che hanno raccontato la storia si sono dilungati con dovizia di particolari sulle dinamiche e sulla normale quotidianità “familiare” del terzetto, che ormai convive da più di tre anni. Un poliamore che sarebbe una faccenda privata riguardante solo i diretti interessati – sempre che sia tutto vero, e non una trovata pubblicitaria – se non fosse per un paio di “particolari”. Il primo è che, secondo alcuni avvocati consultati dal trio, e nonostante il matrimonio a tre non sia legale in Canada, producendo opportuna documentazione sarebbe possibile garantire «che siamo tutti egualmente legati e obbligati l’uno con l’altro agli occhi della legge». Il secondo è la loro intenzione di avere figli: pur non essendo contrari all’adozione, dicono, «vogliamo mischiare i geni in modo che i nostri bambini siano il più possibile legati a noi». Le due sorelle di Shayne si sarebbero già dichiarate disponibili per fare da madri surrogate – «stanno già discutendo su chi delle due porterà il nostro bambino per prima, mi sento molto fortunato», rivela Shayne – e, insieme alla sorella di Sebastian, tutte e tre donerebbero i propri ovociti «per tenere tutto in famiglia».

            Una storia che fino a qualche tempo fa sarebbe sembrata un pessimo copione per una commedia di quart’ordine, adesso, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere considerata come una provocazione, ma nessuno è in grado di escludere che tutto ciò si possa realmente concretizzare. Nel Nuovo Mondo nato dalla rivoluzione antropologica ogni singolo aspetto della storia appena raccontata è diventato plausibile. Innanzitutto: quel che conta – ci dicono – è l’amore, e se si è in tre a condividerlo non si capisce perché uno dei soggetti debba esserne escluso. E poi: i sentimenti e le percezioni personali devono essere riconosciuti pubblicamente dalla legge. In questo caso nella forma più simile possibile a un matrimonio, estendendo a tre quel che vale per due. E ancora: i figli “del sangue”, cioè in qualche modo geneticamente legati a sé, sono l’ovvia conseguenza e la legittimazione definitiva dell’amore reciproco. Infine: i figli non hanno bisogno del padre e della madre, ma di qualcuno che li desideri fortemente e sia disposto a prendersene la responsabilità. In fondo sono le stesse motivazioni di chi sostiene i matrimoni fra due persone dello stesso sesso, in questo caso estese a una in più.

            Diventerebbe quindi essenziale l’accesso all’utero in affitto per rendere possibile qualsiasi combinazione di filiazione e genitorialità. Anche l’idea di fecondazione eterologa diventa superata, lasciando spazio a una generica e più ampia “donazione” di ovociti: in questo caso non esiste una coppia uomo-donna che accede a gameti “esterni”, ma si tratta di una vera e propria “riproduzione collaborativa”, dove ognuno contribuisce come può.

            D’altra parte la co-genitorialità a tre non è una novità. Per esempio, nel suo recente libro Fine della maternità, Eugenia Roccella dà notizia di altri casi, riportando anche l’incipit di un sito dedicato: «Le cose stanno definitivamente cambiando e stanno evolvendo negli Stati Uniti. Piano piano le decisioni delle Corti stanno modificando le leggi, e in alcuni Stati ora è legale avere fino a tre genitori per un bambino». Bambino dei cui diritti nessuno, finora, sembra preoccuparsi.

Assuntina Morresi     avvenire                     22 ottobre 2015

www.avvenire.it/Vita/Pagine/fogli-di-6-genitori-utero-in-affito-si-puo.aspx

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

38ª Giornata nazionale per la vita.

“Il nostro Paese continua a soffrire un preoccupante calo demografico, che in buona parte scaturisce da una carenza di autentiche politiche familiari”. Parte da questa constatazione il Messaggio del Consiglio Permanente della Cei per la 38ª Giornata nazionale per la vita (7 febbraio 2016) che ha per titolo “la misericordia fa fiorire la vita”.

            Un messaggio che si sviluppa attorno alle parole di Papa Benedetto (30 maggio 2015): “È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente

www.forumfamiglie.org/news.php?news=913

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

                                   L’intera realtà famigliare è fondata sulla promessa.         

L’identità di una famiglia si fonda sulla “promessa di amore e di fedeltà” che gli sposi si scambiano nel matrimonio. Ma l’“onore” di questa promessa oggi è “indebolito” ed è necessario gli sia restituito anche a livello “sociale”. Sono alcune delle considerazioni di Papa Francesco all’udienza generale di oggi, conclusa dall’auspicio che il Sinodo “rinnovi in tutta la Chiesa il senso dell’innegabile valore del matrimonio indissolubile e della famiglia sana, basata sull’amore reciproco dell’uomo e della donna”. Una volta scambiarsi quel “per sempre” era vissuto come un patto sacro e un impegno pubblico. Poi alla bellezza di essersi scelti per amarsi ed essere insieme, nella coppia si è insinuato – osserva Papa Francesco – “il diritto di cercare la propria soddisfazione a tutti i costi”, presentato come un “principio non negoziabile”, e la sacralità di quel patto si è via via sfaldata nella percezione di tanti coniugi portando in molti casi a far esplodere o implodere la famiglia stessa.

La vita in una promessa. Nella sua lunghissima riflessione sulla vita familiare, Papa Francesco arriva al punto nevralgico, al valore del “sì” pronunciato dagli sposi: “L’identità famigliare è fondata sulla promessa: si può dire che la famiglia vive della promessa d’amore e di fedeltà che l’uomo e la donna si fanno l’un l’altra. Essa comporta l’impegno di accogliere ed educare i figli; ma si attua anche nel prendersi cura dei genitori anziani, nel proteggere e accudire i membri più deboli della famiglia, nell’aiutarsi a vicenda per realizzare le proprie qualità ed accettare i propri limiti”.

            Senza libertà non c’è matrimonio Il problema è che, “ai nostri giorni, l’onore della fedeltà alla promessa della vita famigliare appare molto indebolito”, osserva Francesco, che ne spiega le ragioni. Oltre al “malinteso diritto” di cercare soddisfazione per sé, un altro male è che “i vincoli della vita di relazione e dell’impegno per il bene comune” si “affidano esclusivamente alla costrizione della legge”: “Ma, in realtà, nessuno vuole essere amato solo per i propri beni o per obbligo. L’amore, come anche l’amicizia, devono la loro forza e la loro bellezza proprio a questo fatto: che generano un legame senza togliere la libertà: l’amore è libero, la promessa della famiglia è libera e questa è la bellezza! Senza libertà non c’è amicizia, senza libertà non c’è amore, senza libertà non c’è matrimonio”.

            L’onore alla parola data. Dunque, assicura il Papa, “libertà e fedeltà non si oppongono l’una all’altra, anzi, si sostengono a vicenda, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali” e infatti, prosegue, “pensiamo ai danni che producono, nella civiltà della comunicazione globale, l’inflazione di promesse non mantenute, in vari campi, e l’indulgenza per l’infedeltà alla parola data e agli impegni presi”: “La fedeltà alle promesse è un vero capolavoro di umanità! Se guardiamo alla sua audace bellezza, siamo intimoriti, ma se disprezziamo la sua coraggiosa tenacia, siamo perduti. Nessun rapporto d’amore – nessuna amicizia, nessuna forma del voler bene, nessuna felicità del bene comune – giunge all’altezza del nostro desiderio e della nostra speranza, se non arriva ad abitare questo miracolo dell’anima (…) L’onore alla parola data, la fedeltà alla promessa, non si possono comprare e vendere. Non si possono costringere con la forza, ma neppure custodire senza sacrificio”.

            Miracoli clandestini. Francesco batte molto sul tasto dell’onore, parola che sembra quasi una banconota fuori corso: “È necessario restituire onore sociale alla fedeltà dell’amore: restituire onore sociale alla fedeltà dell’amore. E’ necessario sottrarre alla clandestinità il quotidiano miracolo di milioni di uomini e donne che rigenerano il suo fondamento famigliare, del quale ogni società vive, senza essere in grado di garantirlo in nessun altro modo”.

            “Famiglia sana”. Il Papa conclude la catechesi sollecitando la Chiesa a contemplare e custodire il valore del legame familiare nel quale, ricorda, brilla la verità “misteriosamente rivelata” del vincolo “del Signore e della Chiesa”. Quindi, al momento dei saluti ai fedeli polacchi, la catechesi si riassume in un auspicio e una preghiera per il Sinodo ormai in dirittura d’arrivo: “Per l’intercessione di San Giovanni Paolo II preghiamo che il Sinodo dei Vescovi, che sta per concludersi, rinnovi in tutta la Chiesa il senso dell’innegabile valore del matrimonio indissolubile e della famiglia sana, basata sull’amore reciproco dell’uomo e della donna, e sulla grazia divina.

Alessandro De Carolis          Notiziario Radio vaticana – 21 ottobre2015

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

testo ufficiale              https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20151021_udienza-generale.html

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SINODO SULLA FAMIGLIA

Papa a fine Sinodo: vero difensore dottrina non è chi difende le idee ma l’uomo.

La Chiesa non distribuisce anatemi, ma proclama la misericordia di Dio, al di là di quanti vogliono indottrinare il Vangelo per trasformarlo in pietre morte da scagliare contro gli altri: è quanto ha affermato il Papa, ieri pomeriggio, a conclusione dei lavori del Sinodo sulla famiglia.

            Questioni affrontate senza mettere la testa sotto la sabbia. Un discorso intenso e forte. Papa Francesco, dopo aver ringraziato tutti i partecipanti ai lavori, ha passato in rassegna i vari significati di questo Sinodo. Certamente – ha detto –  non sono state trovate “soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia” ma queste sono state messe “sotto la luce della Fede” e affrontate “senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia”. Un Sinodo – ha detto – che ha “sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana”.

            Non nascondersi dietro dottrina per scagliare pietre. E’ stato un Sinodo che ha “dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia”. E poi ecco ancora cosa significa questo Sinodo per Papa Francesco: “Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole ‘indottrinarlo’ in pietre morte da scagliare contro gli altri. Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.

Superare ermeneutica cospirativa. Altro significato del sinodo è “aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”: “Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”.

Libertà di espressione, Chiesa non usa moduli preconfezionati. “Nel cammino di questo Sinodo – ha sottolineato ancora – le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa ‘moduli preconfezionati’, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi”.

            Inculturazione. Aldilà delle “questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa” – ha detto Papa Francesco – si è vista la diversa sensibilità dei pastori dei vari continenti secondo le loro culture: “L’inculturazione – ha affermato – non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture”.

            No a relativismo e a demonizzazione degli altri. “Abbiamo visto, anche attraverso la ricchezza della nostra diversità – ha aggiunto – che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa: annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici”: “E, senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri, abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che «Tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,4), per inserire e per vivere questo Sinodo nel contesto dell’Anno Straordinario della Misericordia che la Chiesa è chiamata a vivere”.

Veri difensori dottrina sono quanti difendono non formule ma amore gratuito di Dio. Quindi ha sottolineato: “L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54)”.

            Chiesa non distribuisce anatemi ma proclama misericordia di Dio. Il Papa invita a “superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16)”. Questo “significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc 2,27)”: “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50)”.

            La misericordia in Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Infine cita tre Papi: il beato Paolo VI laddove dice che “Dio, in Cristo, si rivela infinitamente buono”; san Giovanni Paolo II che affermava: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia […] e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice”; e Papa Benedetto XVI: “La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio”.

Sergio Centofanti   Notiziario Radio vaticana – 25 ottobre 2015 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

testo ufficiale      https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151024_sinodo-conclusione-lavori.html

Sinodo d’accordo: la famiglia è il futuro.

Alla fine di tre settimane di dibattito, il penultimo atto del Sinodo è contenuto in 94 paragrafi, tutti approvati con la maggioranza dei due terzi. L’ultima parola spetterà ora al Papa, che ieri ha concluso l’assise con un applaudito discorso in cui ha nuovamente sottolineato l’esigenza di stare accanto alle famiglie con misericordia. E questo è anche lo spirito della Relazione finale, in cui è passato – per un solo voto, 178 contro i 177 richiesti dal quorum – pure il brano forse più atteso, il paragrafo 85, relativo ai divorziati risposati. Quello che chiede di discernere caso per caso e – alla luce della Familiaris consortio di san Giovanni Paolo II – ne indica criteri e percorsi. Il testo (che Avvenire pubblica integralmente, così come quello dell’intero documento) non menziona mai esplicitamente la riammissione alla comunione. Ma indica una strada affinché – come ha ribadito più volte il Papa – questa non sia solo una medaglia da appuntarsi sul petto. La sottolineatura più forte è infatti la necessità di una autentica revisione di vita, accompagnata dai pastori. Perciò, come si legge nel paragrafo successivo, «bisogna concorrere alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere». Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere a una risposta più perfetta ad essa». Nei tre paragrafi dedicati a questo tema, infatti, il vocabolo fondamentale è «integrazione». I divorziati risposati «non devono sentirsi scomunicati – afferma il paragrafo 84 –, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa». La loro partecipazione, dunque, «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate». E l’integrazione «è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti».

Ma se l’attenzione dei media era naturalmente concentrata su questi passaggi, nella Relazione finale c’è molto di più. Dalle 59 pagine del documento emerge soprattutto un grande, corale «sì alla famiglia» consegnato con convinzione al Papa, al quale i padri sinodali chiedono «umilmente che valuti l’opportunità di offrire un documento sulla famiglia». Un sì che è una finestra aperta sul futuro: la famiglia non è superata, anzi è un modello fondamentale anche per la società del XXI secolo. «Grembo di gioie e di prove (n. 2)», essa «è la prima e fondamentale scuola di umanità». Anzi, i vescovi si dicono convinti che «nonostante i segnali di crisi dell’istituto familiare, il desiderio di famiglia resta vivo nelle giovani generazioni».

Il secondo messaggio è dunque una porta spalancata per tutti. Misericordia e integrazione, come già detto, sono infatti due delle parole chiave di questo documento finale. Senza scossoni dottrinali. A scorrere anche solo l’indice, infatti, ci si può rendere conto che tutte le ‘categorie’ e le stagioni della vita (bambini, adulti, giovani, terza età, vedovanza, lutti, persone non sposate e con bisogni speciali, migranti profughi, perseguitati) sono prese in considerazione. Viene spiegato come la famiglia faccia parte del piano di Dio e quale sia la sua missione: anche quella di essere soggetto della pastorale, oltre che oggetto. Si ribadisce inoltre l’indissolubilità del matrimonio, la tolleranza zero verso la pedofilia, il rifiuto dell’ideologia del gender, si denunciano le manipolazioni della biotecnologia alla procreazione e si dà grande importanza alla preparazione in vista del matrimonio e poi, una volta formata la famiglia, all’educazione dei figli. Una cura particolare si chiede anche per le famiglie in cui uno dei coniugi non sia cristiano.

Quanto alle coppie di fatto, si parte dalla constatazione che in molti casi alla loro base non vi è resistenza nei confronti dell’unione sacramentale, ma «situazioni culturali o contingenti». «Il cammino di crescita che può condurre al matrimonio sacramentale sarà incoraggiato dal riconoscimento dei tratti dell’amore generoso e duraturo». La Relazione, in un solo paragrafo, afferma che «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, seppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia», ma raccomanda di riservare «una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale». Il Sinodo «ritiene in ogni caso inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso». La politica, anzi, ha il dovere sostenere la famiglia, dal momento che «essa ridistribuisce risorse e svolge compiti indispensabili al bene comune». E anche questo fa parte della sua insostituibile bellezza.

            Mimmo Muolo                       Avvenire”       25 ottobre 2015

www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/La-Relazione-nella-famiglia-il-futurobr-E-porte-aperte-alle-situazioni-difficili.aspx

Relazione finale del Sinodo dei vescovi a Papa Francesco.

Introduzione

  1. Noi Padri, riuniti in Sinodo intorno a Papa Francesco, Lo ringraziamo per averci convocato a riflettere con Lui, e sotto la Sua guida, sulla vocazione e la missione della famiglia oggi. A Lui offriamo il frutto del nostro lavoro con umiltà, nella consapevolezza dei limiti che esso presenta. Possiamo tuttavia affermare che abbiamo costantemente tenuto presenti le famiglie del mondo, con le loro gioie e speranze, con le loro tristezze e angosce. I discepoli di Cristo sanno che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS, 1). Ringraziamo il Signore per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione, anche dinanzi a ostacoli, incomprensioni e sofferenze. A queste famiglie va l’incoraggiamento di tutta la Chiesa che unita al suo Signore e sorretta dall’azione dello Spirito, sa di avere una parola di verità e di speranza da rivolgere a tutti gli uomini. Lo ha ricordato Papa Francesco nella celebrazione con cui si è aperta l’ultima tappa di questo cammino sinodale dedicato alla famiglia: «Dio non ha creato l’essere umano per vivere in tristezza o per stare solo, ma per la felicità, per condividere il suo cammino con un’altra persona che gli sia complementare […]. È lo stesso disegno che Gesù […] riassume con queste parole: “Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne” (Mc 10,6-8; cf. Gen 1,27; 2,24)». Dio «unisce i cuori di un uomo e una donna che si amano e li unisce nell’unità e nell’indissolubilità. Ciò significa che l’obiettivo della vita coniugale non è solamente vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre! Gesù ristabilisce così l’ordine originario ed originante. […] solo alla luce della follia della gratuità dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale unico e usque ad mortem» (Omelia della Messa di apertura del Sinodo, 4 ottobre 2015).
  2. Grembo di gioie e di prove, la famiglia è la prima e fondamentale “scuola di umanità” (cf. GS, 52). Nonostante i segnali di crisi dell’istituto familiare, nei vari contesti, il desiderio di famiglia resta vivo nelle giovani generazioni. La Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, annuncia con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia”: ricevuto con la Rivelazione di Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa. La famiglia assume per il cammino della Chiesa un’importanza speciale: «Tanto era l’amore che [Dio] ha incominciato a camminare con l’umanità, ha incominciato a camminare con il suo popolo, finché giunse il momento maturo e diede il segno più grande del suo amore: il suo Figlio. E suo Figlio dove lo ha mandato? In un palazzo? In una città? A fare un’impresa? L’ha mandato in una famiglia. Dio è entrato nel mondo in una famiglia. E ha potuto farlo perché quella famiglia era una famiglia che aveva il cuore aperto all’amore, aveva le porta aperte» (Francesco, Discorso alla Festa delle Famiglie, Philadelphia, 27 settembre 2015). Le famiglie di oggi sono inviate come “discepoli missionari” (cf. EG, 120). In questo senso è necessario che la famiglia si riscopra come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione.
  3. Sulla realtà della famiglia, il Papa ha chiamato a riflettere il Sinodo dei Vescovi. «Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale» (Francesco, Discorso in occasione della Veglia di preghiera in preparazione al Sinodo Straordinario sulla famiglia, 4 ottobre 2014). Nell’arco di due anni si sono svolte l’Assemblea Generale Straordinaria (2014) e l’Assemblea Generale Ordinaria (2015), che hanno assunto il compito di ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini, nella fedeltà al Vangelo. Il frutto del primo appuntamento sinodale, al quale il Popolo di Dio ha dato il suo importante contributo, è confluito nella Relatio Synodi. Il nostro dialogo e la nostra riflessione sono stati ispirati da un triplice atteggiamento. L’ascolto della realtà della famiglia oggi, nella prospettiva della fede, con la complessità delle sue luci e delle sue ombre. Lo sguardo sul Cristo, per ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa. Il confronto nello Spirito Santo, per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. L’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia. La famiglia, oltre che sollecitata a rispondere alle problematiche odierne, è soprattutto chiamata da Dio a prendere sempre nuova coscienza della propria identità missionaria. L’Assemblea sinodale è stata arricchita dalla presenza di coppie e di famiglie all’interno di un dibattito che le riguarda direttamente. Conservando il prezioso frutto dell’Assemblea precedente, dedicato alle sfide sulla famiglia, abbiamo rivolto lo sguardo alla sua vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.

Indice della I parte.   Capitolo I. La famiglia e il contesto antropologico-culturale.

Il contesto socio-culturale – Il contesto religioso – Il cambiamento antropologico – Le contraddizioni culturali – Conflitti e tensioni sociali – Fragilità e forza della famiglia.

Capitolo II. La famiglia e il contesto socio-economico.

La famiglia insostituibile risorsa della società – Politiche in favore della famiglia – Solitudine e precarietà -. Economia ed equità – Povertà ed esclusione – Ecologia e famiglia.

Capitolo III. Famiglia, inclusione e società.

La terza età – La vedovanza – L’ultima stagione della vita e il lutto in famiglia – Persone con bisogni speciali – Le persone non sposate – Migranti, profughi, perseguitati – Alcune sfide peculiari – I bambini – La donna – L’uomo – I giovani.

Capitolo IV. Famiglia, affettività e vita.

La rilevanza della vita affettiva – La formazione al dono di sé – Fragilità e immaturità – Tecnica e procreazione umana – La sfida per la pastorale.

Indice della II parte.  Capitolo I. La famiglia nella storia della salvezza.

La pedagogia divina – L’icona della Trinità nella famiglia – La famiglia nella Sacra Scrittura – Gesù e la famiglia.

Capitolo II – La famiglia nel Magistero della Chiesa.

Gli insegnamenti del Concilio Vaticano II – Paolo VI – Giovanni Paolo II – Benedetto XVI – Francesco.

Capitolo III – La famiglia nella dottrina cristiana.

Matrimonio nell’ordine della creazione e pienezza sacramentale – Indissolubilità e fecondità dell’unione sponsale – I beni della famiglia – Verità e bellezza della famiglia.

Capitolo IV – Verso la pienezza ecclesiale della famiglia.

L’intimo legame tra Chiesa e famiglia – La grazia della conversione e del compimento –     La misericordia nel cuore della rivelazione.

Indice della III parte.            Capitolo I – La formazione della famiglia.

La preparazione al matrimonio – La celebrazione nuziale – I primi anni della vita familiare –  La formazione dei presbiteri e di altri operatori pastorali.

Capitolo II – Famiglia, generatività, educazione.

La trasmissione della vita – La responsabilità generativa – Il valore della vita in tutte le sue fasi – Adozione e affido – L’educazione dei figli.

Capitolo III – Famiglia e accompagnamento pastorale.

Situazioni complesse – Accompagnamento in diverse situazioni – Discernimento e integrazione.

Capitolo IV – Famiglia ed evangelizzazione.

La spiritualità familiare – La famiglia soggetto della pastorale – Il rapporto con le culture e con le istituzioni – L’apertura alla missione.

Conclusione.

Preghiera alla Santa Famiglia.

www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20151026_relazione-finale-xiv-assemblea_it.html

La riforma del Sinodo ha convinto, lo scisma è lontano. Aperti al cambiamento.

Per fare un bilancio della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi appena conclusa su «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo» (4-25 ottobre 2015) è bene partire dai testi e in particolare dalla Relazione finale approvata dai 270 padri sinodali sabato 24 ottobre 2015, a valle di tre settimane di lavoro, svoltosi per lo più nei gruppi organizzati per area linguistica. Molto è stato scritto in generale sul clima e sull’interpretazione «politica» dell’Assemblea.

I 94 punti della Relazione, molto ben organizzati e armonizzati nelle 3 parti che caratterizzavano l’Instrumentum laboris («La Chiesa in ascolto della famiglia», «La famiglia nel piano di Dio» e «La missione della famiglia») ed ereditate dalla precedente Assemblea sinodale dell’ottobre 2014, non hanno solo incorporato i «modi» proposti dai partecipanti e fatto quadrare gli umori dell’assise, ma rappresentano il frutto maturo del cammino aperto con decisa volontà da papa Francesco.

Il testo, infatti, si potrebbe definire tecnicamente un «documento di convergenza», ovvero un punto d’arrivo di un processo di confronto approfondito, a partire da posizioni che in questi due anni si sono manifestate talora distanti. Il modello parrebbe quello sperimentato nel dialogo ecumenico, specialmente nei dialoghi bilaterali del postconcilio. Il processo di convergenza non è stato lineare; ha avuto scossoni, arretramenti e avanzamenti di non poco conto. E forse deve ancora completarsi. Ma è stato messo in moto in maniera tale che non potrà tornare indietro.

Come un giardino. Questa modalità di lavoro, a detta di alcuni sinodali, «ci ha sfiniti». Tuttavia è stata fruttuosa. Facendo ricorso a una metafora, il gruppo Francese C si è paragonato a un consesso di giardinieri, riuniti per decidere come irrigare i diversi «terreni familiari» d’oggi che vanno da quelli «pietrosi e secchi» a quelli «ben fertilizzati»; i sinodali-giardinieri hanno così preso atto che dagli «scambi si costruisce molto solidamente il ministero di comunione che è tipico del nostro essere vescovi». Tuttavia vi sono pareri contrastanti, nonostante a tutti stia a cuore «far vivere e far fiorire il medesimo campo». Non sempre i pareri diversi si sono composti e alcuni gruppi hanno dovuto prendere atto delle questioni su cui permanevano opinioni discordi; ma la maggioranza ha detto che il lungo tempo trascorso fianco a fianco ha fatto sì che il confronto fosse tra persone in carne e ossa più che sulle idee astratte, portando il dibattito a tener conto della consapevolezza di avere tutti il medesimo fine.

Il Sinodo 2015, infatti, ha messo in atto una metodologia di lavoro nuova, molto più incentrata sui lavori dei circoli e sul dibattito e ha abolito la Relatio post disceptationem – che costituiva il documento di metà percorso dallo statuto incerto perché provvisorio –, che lo scorso anno aveva provocato tante reazioni avverse. E ha affidato il documento finale alla paziente opera di tessitura e mediazione operata dalla Commissione per l’elaborazione del documento finale appositamente nominata dal papa (card. P. Erdo, mons. B. Forte, i cardd. O. Gracias, D.W. Wuerl e J.A. Dew, i monss. V.M. Fernández, M. Madega Lebouakehan, M. Semeraro, e p. A. Nicolás Pachónsj) anche grazie all’infaticabile apporto degli esperti.

La nuova procedura però, assieme alla composizione della Commissione, era stata subito presa di mira dal gruppo che più apertamente si era schierato per il «no» a ogni modifica della disciplina ecclesiastica esistente. Per questo aveva inviato una lettera al papa con una sorta di raccolta di firme in forma riservata. Il papa è quindi intervenuto in Aula e la questione si era conclusa. Tuttavia, il fatto che la notizia sia trapelata all’esterno con l’intento da parte di alcuni giornalisti-lobbisti di dimostrare che in Sinodo esisteva una maggioranza contraria al papa, ha ottenuto l’effetto opposto: innanzitutto con alcune pubbliche prese di distanza (i cardd. Scola, Vingt-Trois, Piacenza, Erdo; il card. Pell ha dichiarato d’aver firmato una lettera il cui contenuto, tuttavia, non corrispondeva totalmente a quello reso noto); poi con un ricompattamento dell’Assemblea che ha proseguito i lavori senza dar peso all’accaduto.

Parresia contro benevolenza? Uno dei firmatari, il card. Napier, arcivescovo di Durban (Sudafrica) ha poi giustificato la lettera – intesa come un documento riservato – come espressione della parresia chiesta e voluta da papa Francesco sin dall’anno scorso: certo è che l’interpretazione un po’ troppo estensiva (anche lo scorso anno vi era stata una protesta nei confronti della Sala stampa perché aveva deciso di non rendere pubblici tutti gli interventi in Aula dei sinodali) del concetto ha portato a numerosi stop sul fronte della comunicazione: i vescovi polacchi che sintetizzavano liberamente gli interventi in Aula di tutti i sinodali (obbligati poi a chiudere la pagina web del loro sito dove li pubblicavano); l’intervista a Le Figaro in cui il card. Pell definiva la discussione polarizzata tra «kasperiani e ratzingeriani» (espressione biasimata dall’intero Gruppo tedesco, del quale facevano parte, oltre ai cardd. Kasper e Marx, anche i cardd. Schönborn – allievo di papa Benedetto XVI – e Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede). Per non parlare poi della «bufala» sulla salute del papa sui quotidiani del gruppo QN. Forse il papa nel suo discorso conclusivo si riferiva a questo quando ha chiesto di «superare ogni ermeneutica cospirativa» o quando ha detto che «le opinioni diverse che si sono espresse liberamente» non sempre hanno usato «metodi… benevoli»?

In negativo si potrebbe dire che è per questo che la Relazione finale si è dovuta tenere un passo indietro sui sacramenti e su tutte le questioni più calde. In positivo, però, occorre prendere atto – e i documenti lo testimoniano – che la maggioranza dei padri sinodali ha vissuto con grande slancio positivo uno scambio davvero libero e franco con i confratelli d’ogni parte del mondo. Nella conferenza stampa del 14 ottobre il card. V. Nichols, arcivescovo di Westminster, lo ha definito un ressourcement reciproco tra le Chiese, facendo ricorso al lessico più caro al Vaticano II. Si potrebbe dire che il processo sinodale lungo due anni ha portato a non scandalizzarsi delle diversità ma a cercare di comprenderle approfondendone la valenza teologica per arrivare a un consenso in avanti. Maestri di questo metodo sono stati i componenti del gruppo linguistico tedesco che ha cercato (e ottenuto) sempre l’unanimità dei voti nelle tre relazioni che ha presentato e che ha offerto approfondimenti teologici ben recepiti dal documento finale.

Un inizio all’indietro. L’esito del Sinodo non era scontato e più volte è sembrato essere messo in forse. Innanzitutto dalla relazione d’apertura del Sinodo del card. Erdo, che sembrava aver dimenticato il percorso di questi due anni. Il testo del porporato ungherese è cupo nei toni laddove descrive l’esistente – «Non è che un vedere», afferma a rimarcare una neutralità ancorché pessimista dell’osservatore –. In questo quadro, mentre elogia le famiglie che vivono con gioia l’insegnamento cristiano su matrimonio e famiglia, si lascia sfuggire un’espressione rivelatrice: la famiglia dev’essere aiutata «a discernere circa i rispettivi adempimenti o le eventuali mancanze». Un linguaggio del dover essere più che dell’empatia. Quando poi passa alle situazioni cosiddette difficili, il cardinale ribadisce il già noto: no a «criteri soggettivi come criteri di giustificazione», perché la misericordia deve essere sempre collegata alla «giustizia». L’accompagnamento misericordioso «non lascia dubbi circa la verità dell’indissolubilità del matrimonio. La misericordia di Dio offre al peccatore il perdono, ma richiede la conversione. Il peccato di cui può trattarsi in questo caso non è soprattutto il comportamento che può aver provocato il divorzio del primo matrimonio» – ci sono infatti responsabilità diverse tra le parti – «ma la convivenza del secondo rapporto che impedisce l’accesso all’eucaristia». Così la prassi ortodossa è troppo diversa per essere applicata in Occidente e il «riconoscimento pratico della bontà di situazioni concrete» non è possibile perché «tra il vero e il falso, tra il bene e il male, infatti, non c’è una gradualità» (corsivi nostri). Così anche per questioni come la pianificazione delle nascite, l’omosessualità, l’aborto: l’orizzonte della misericordia pare unicamente giuridicistico.

Tuttavia una panoramica dei lavori dei gruppi mette in evidenza che la discussione è stata al contrario molto ricca e composita: accanto a chi esplicitamente ha detto «no» ai sacramenti (confessione ed eucaristia) per i divorziati risposati (gruppi Francese B, Inglese A, Inglese C e D), vi è chi ha sottolineato con forza che la fedeltà e l’indissolubilità sono un dono e una chiamata più che un dovere giuridico (Francese A) o che il cammino di fede è una maturazione che si dipana nel tempo senza salti del tipo tutto/niente (Tedesco).

E, semmai vi fosse il dubbio, emerge che a cinquant’anni di distanza, alcune espressioni che nel Concilio hanno avuto una particolare (ancorché dibattuta) valorizzazione non sono state ancora pienamente accolte. Il caso più evidente – emerso già lo scorso anno – è quello del timore dell’uso dell’espressione «semina Verbi» a cui sarebbe preferibile quella di «presenza dei doni di Dio» (Francese A), ad esempio nelle persone (o situazioni) che ancora non conoscono la fede ovvero che non vivono una relazione pienamente conforme all’insegnamento della Chiesa. All’opposto, per altri sono scontate alla lettera, come laddove (Inglese B) si chiede che il percorso di discernimento delle situazioni di vita delle persone venga attuato tramite «un ascolto reverenziale»; o nella sostanza, come laddove (Spagnolo A) si precisa che la risposta cristiana al «grido» di chi chiede d’essere integrato nella vita ecclesiale non deve essere «burocratico» o dare l’idea di una «concezione elitaria» della comunità.

Mancata bocciatura. Allo stesso tempo vi sono linee comuni che ritornano: un sentimento diffuso di gratitudine nei confronti di papa Francesco che ha optato con convinzione per la forma della sinodalità; il riconoscimento della necessità di una sua parola definitiva, terminato il percorso sinodale (sotto la forma di un’esortazione apostolica?); la necessità di fare maggiore riferimento alla coscienza (formata); l’approfondimento del rapporto tra fede, sacramento e contratto matrimoniale (anche per le implicazioni ecumeniche); il fatto che la preparazione al matrimonio debba avvenire in una forma sempre più catecumenale alla fede. Di tutta questa ricchezza la Relazione finale tiene conto in maniera decisamente organica e con una prospettiva – lo dicevamo all’inizio – di convergenza. I paragrafi, infatti, sono stati tutti approvati con la maggioranza dei 2/3: il che significa che su 265 padri presenti erano necessari 177 voti. Un paragrafo ha rischiato la «bocciatura»: il n. 85, passato per essere il paragrafo della «comunione ai divorziati risposati». In realtà in esso si spiega in che cosa consiste il percorso di «discernimento» (che cita Familiaris consortio n. 84) che si rifà alla proposta del gruppo Tedesco e Inglese B, che a loro volta ricordano la lettera pastorale del 1993 dei vescovi Kasper, Lehmann e Saier poi fermata da Roma l’anno dopo.

85. San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno. 85. San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno. Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla «imputabilità soggettiva» (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi

Il n. 86, che per altro non usa mai la parola «sacramenti», ma che valuta come attuare «una più piena partecipazione alla vita della Chiesa» e i «passi che possono favorirla e farla crescere», è stato approvato con 190 voti.

86. Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa

Mons. J. Bonny, vescovo di Anversa, ha poi dichiarato a chiusura del Sinodo che l’idea del «gruppo dei contrari», identificabile attorno al nucleo dei firmatari non smentiti della lettera al papa (i cardd. Caffarra, Napier, Müller, Pell, Sarah, Urosa Savino e i vescovi Collins, Dolan, Eijk), è stata di non chiedere modifiche ai due paragrafi sino all’ultimo, «sicuri» di una loro bocciatura in dirittura d’arrivo. Il fatto che non si sia verificata sta a indicare non tanto un errore di calcolo quanto che il percorso del Sinodo ha realmente modificato gli equilibri con i quali esso era partito.

Nel testo rientrano alcuni temi «dimenticati» nella Relatio Synodi del 2014: uno stile di vita ecologico (16); i nonni nella vita delle famiglie e nella trasmissione della fede (n. 17. 18. 93); la vedovanza; il ruolo dei disabili (21) e delle persone non sposate (22); le famiglie numerose (62); l’adozione e l’affido (65); la violenza entro le mura domestiche, comprese le violenze sessuali sui minori e la «tolleranza zero» (nn. 61 e 78). Da ultimo rientra anche un riferimento a Tommaso sulla misericordia divina come luogo in cui «Dio manifesta la sua onnipotenza» (Summa II-II, q. 30, art. 4), che nel periodo intersinodale – anche da queste pagine – era stato ripreso e riscoperto. Disseminato, invece, con precisione e abbondanza il riferimento ai «semina Verbi» (nn. 37. 47) che al 70 diventano «elementi positivi» da cogliere e al 71 «segni dell’amore di Dio» che vanno colti e valorizzati nelle convivenze o nei matrimoni civili. Al Vaticano II d’altra parte, viene dedicato l’intero n. 42.

42. Sulla base di ciò che ha ricevuto da Cristo, la Chiesa ha sviluppato nel corso dei secoli un ricco insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Una delle espressioni più alte di questo Magistero è stata proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, che dedica un intero capitolo alla dignità del matrimonio e della famiglia (cf. GS, 47-52). Esso così definisce matrimonio e famiglia: «L’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall’alleanza dei coniugi, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E così, è dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l’istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino» (GS, 48). Il «vero amore tra marito e moglie» (GS, 49) implica la mutua donazione di sé, include e integra la dimensione sessuale e l’affettività, corrispondendo al disegno divino (cf. GS, 48-49). Ciò rende chiaro che il matrimonio, e l’amore coniugale che lo anima, «sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole» (GS, 50). Inoltre, viene sottolineato il radicamento in Cristo degli sposi: Cristo Signore «viene incontro ai coniugi cristiani nel sacramento del matrimonio» (GS, 48) e con loro rimane (sacramentum permanens). Egli assume l’amore umano, lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la loro vita di fede, speranza e carità. In questo modo gli sposi sono come consacrati e, mediante una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica (cf. LG, 11), così che la Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia cristiana, che lo manifesta in modo genuino.

Più che le parole, testimoni. Assente «giustificato» il tema dell’omosessualità, su cui il n. 76 ribadisce una posizione scontata e difensiva: d’altra parte alla chiusura di un dibattito che già partiva in difficoltà ha dato un pesante contributo la dichiarazione fatta alla vigilia del Sinodo da mons. K. Charamsa – ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede e segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale – d’essere omosessuale e di avere un partner. Sul tema della sessualità, su cui il gruppo Inglese B aveva chiesto un paragrafo dedicato per mettere in luce come «nell’espressione dell’amore sessuale i coniugi fanno esperienza della tenerezza di Dio», si dedica il n. 49 (en passant) e il n. 63, ma in forma più sbilanciata verso l’amore generativo e sulla necessaria formazione della coscienza per una «scelta responsabile della genitorialità». Esso evita di addentrarsi in divieti e si esprime invece in favore di una maggiore disponibilità, da ridestare nelle coppie, nel procreare e d’altra parte – doverosamente – chiede che anche la comunità di fede sia «più a misura di bambino». Il fatto che la Chiesa abbia un clero uxorato, ancorché minoritario, poteva dar voce maggiore (Inglese D) all’integrazione di questo punto e anche di altri, come ha scritto per il nostro blog Basilio Petrà (Famiglie dimenticate, sposi assenti. Un rimedio possibile e doveroso, 17.10.2015).

http://ilregno-blog.blogspot.it/2015/10/famiglie-dimenticate-sposi-assenti-un.html

Da ultimo il tema delle donne, che viene trattato dai numeri 24, 27 e 28, 61: si parla delle donne sole che si fanno carico dei figli, del loro sfruttamento, della violenza nei loro confronti anche in famiglia, della necessità di un «ripensamento dei compiti dei coniugi nella loro reciprocità e nella comune responsabilità verso la vita famigliare» a motivo dell’emancipazione femminile. Una «maggiore valorizzazione della loro responsabilità nella Chiesa», come «nei processi decisionali», nel «governo di alcune istituzioni» e «nella formazione dei ministri ordinati (n. 28 e cf. n. 61). Eppure la «scivolata» clericale di non aver concesso il voto in Sinodo alle tre superiore maggiori, a fronte dell’equiparazione del superiore – laico – dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld ai membri – chierici – del Sinodo, dice la distanza tra le parole dei documenti e la realtà. Non è una mera questione «rivendicativa»: ha più a che fare con l’essere che con il lessico «politically correct». Come ha scritto il gruppo Francese C, più che dare un «messaggio più chiaro» o trovare una maniera nuova di «dire le cose» nel mondo d’oggi occorre «essere»: il mero insegnamento «non basta più» e cede il passo alla testimonianza, che è la sua misura concreta e credibile.

La valutazione sulla riuscita del Sinodo sta in fondo tutta qui: quanto esso sarà stato capace di modificare i sinodali che vi hanno partecipato e, tramite loro, di far sì che «la parola “famiglia” non suoni più come prima» (Francesco, Discorso di chiusura del Sinodo, 24 ottobre), per tutti i suoi membri e in tutte le sue accezioni. E laddove un «malinteso sforzo di rispetto della dottrina della Chiesa» (Gruppo Tedesco) avesse alimentato «atteggiamenti duri e intransigenti nella pastorale che hanno fatto soffrire le persone», occorre «chiedere loro perdono».

Maria Elisabetta Gandolfi     il regno attualità N.9\2015  15 ottobre 2015

http://www.dehoniane.it/control/ilregno/articoloRegno?idArticolo=991204

In Rete, siamo tutti sinodizzati: si è udito parlare un padre su tre.

Una giovane e brava collega, Caterina Bombarda, che sta ultimando uno stage entro le mura vaticane, ha scritto su Facebook: siamo tutti sinodizzati. A conferma di questo impeccabile neologismo voglio raccontare oggi una storia fatta soprattutto di numeri: quelli dei padri sinodali dei quali, durante il Sinodo, abbiamo conosciuto, grazie anche all’informazione ecclesiale che viaggia sul web, i punti di vista.

Cominciamo dagli interventi in aula: solo guardando i siti che tengo d’occhio, ne ho potuti leggere, nelle prime due settimane di lavori, 25. E non perché qualcuno aveva infilato in tasca, di nascosto, un registratore ai loro autori, ma perché questi, attraverso i siti delle rispettive diocesi o conferenze episcopali, hanno deciso di renderli pubblici, senza per ciò incorrere in reprimende della Segreteria generale. In più, sono state diffuse dalla Sala stampa le omelie pronunciate dai padri sinodali in apertura delle Congregazioni generali.

Passiamo ai briefing: accanto a padre Federico Lombardi si sono resi disponibili a rispondere alle domande dei giornalisti 14 membri del Sinodo, due dei quali sono anche nel gruppo di quelli che hanno divulgato i propri interventi in aula. E poi ci sono le tante interviste: limitatamente alle fonti italiane o che hanno rilanciato in Italia interviste pubblicate altrove, ne ho contate 50, con la “Radio Vaticana” che da sola ne ha proposte mediamente due al giorno. E solo 7 di questi padri intervistati sono stati anche a un briefing e/o hanno divulgato il proprio intervento in aula.

In conclusione (senza contare la voce del relatore generale, che si è sentita in apertura, e quelle sinodali collettive dei 13 gruppi linguistici, con le loro 39 relazioni complessive) fanno 85 padri sinodali – all’incirca, uno su tre – dei quali abbiamo udito, talvolta ripetutamente, le singole voci. La sinodalità, che con tanta chiarezza papa Francesco ha chiamato la Chiesa a vivere, oggi passa anche dalla Rete.

            Guido Mocellin                      Avvenire         21 ottobre 2015

http://ilsismografo.blogspot.it/2015/10/italia-in-rete-siamo-tutti-sinodizzati.html

                        «Accompagnare, discernere, integrare».

Discernimento, accompagnamento, integrazione. Sono le tre parole chiave indicate dall’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo, per spiegare il senso profondo di queste tre settimane di dibattito. Un dono per la Chiesa – non solo quella cattolica – che apre la strada a una nuova stagione, richiamando quella comunione conciliare, frutto del Vaticano II, così rigogliosa di frutti spirituali.

È giusto affermare che con questo Sinodo si delinea il volto di una Chiesa della tenerezza nei confronti di tutte le famiglie?

Certamente emerge il volto di una Chiesa dell’accompagnamento, della misericordia e della tenerezza. Una Chiesa che, attraverso il discernimento della volontà e grazie alla bontà di Dio, vuole portare ciascuno a sentirsi integrato nella Chiesa, a trovare il suo posto in una pienezza di comunione, secondo tempi e momenti adatti a ciascuno. Direi che le parole chiave che emergono da questo Sinodo sono accompagnamento, discernimento, integrazione.

Il Papa ha convocato questo ‘doppio Sinodo’ – con ‘doppia consultazione’ mondiale – perché giustamente preoccupato per la situazione della famiglia nei vari continenti. Le proposte della relazione finale consegnata a Francesco rappresentano a suo parere una risposta efficace ai motivi che stavano alla base di quelle preoccupazioni?

Senza dubbio sì. Questo Sinodo è nato per volontà del Papa che ha voluto l’ascolto di tutte le Chiese. Io che ho partecipato a sei sinodi – tre come esperto e tre come padre sinodale – posso dire che questo è il primo Sinodo che sia tale, in cui davvero c’è stato un cammino insieme: le Chiese del mondo accanto a tutta l’umanità. Nulla è stato messo a tacere, nulla è apparso superfluo. Mi sembra che lo stile di questo Sinodo abbia dato dignità a tutte le periferie del mondo e che tutte le Chiese ne siano risultate arricchite. Da questa sinodalità anche alle Chiese sorelle può derivare nuova dignità. Possiamo dire che tutte le Chiese abbiano trovato nuova linfa per il proprio impegno una questa condivisione che ha indicato la strada della verità e della libertà.

Nella relazione si sottolinea la necessità di far prevalere, nei casi più problematici, e in particolare per le coppie ferite, la valutazione della coscienza delle persone (il cosiddetto ‘foro interno’) in un cammino di discernimento guidato dai pastori. Quali ragioni stanno alla base di questa scelta?

Innanzi tutto una forte affermazione della dignità della coscienza, un principio caro allo spirito del Vaticano II e, in particolare della Gaudium et Spes. Naturalmente parliamo di una coscienza rettamente formata, che non si limiti a un giudizio soggettivo della realtà, ma acquisisca gli strumenti per comprendere la volontà di Dio. In questa prospettiva l’indicazione del confronto con i pastori, in un cammino di discernimento, non diventa elemento di controllo o di imprigionamento della libertà personale, ma contributo per l’ascolto della voce dello Spirito. In modo tale che ciascuno possa comprendere la voce di Dio. Il discernimento, che è un tema ignaziano, è determinante nelle situazioni difficili, per comprendere e realizzare il proprio progetto di vita.

È questa la strada per comprendere il ruolo dei pastori in questo tentativo di far chiarezza nella propria vita?

Certo, i pastori, le guide spirituali, non si sostituiscono alla coscienza, ma aiutano nella formazione di una coscienza rettamente intesa. Per questo obiettivo serviranno tutti i mezzi formativi, ma questo è uno dei contributi più belli che arrivano da questo Sinodo. D’altra parte la Chiesa ha sempre scommesso sul valore della coscienza personale, che non è una coscienza assolutizzata, ma dialogante, aperta a cogliere il contributo dei pastori in una prospettiva di libertà.

Guardando il Sinodo dall’esterno, è sembrato in alcuni momenti che il confronto tra ‘aperturisti’ e ‘rigoristi’ fosse molto vivace, ma che poi con il trascorrere dei giorni queste diversità siano andate sfumando. Un’impressione corretta?        

Guardando dall’esterno, forse. Dall’interno non è stato assolutamente così. Siamo tutti pastori, abbiamo tutti dato la nostra vita al Signore per amore dei nostri fratelli. Questa è la certezza di fondo che ci unisce. L’accentuazione poi è risultata diversa, sulla base delle varie realtà culturali. Ma in comune c’è la ricerca del disegno di Dio. Questa non è divisione, è comunione, è ricchezza nella varietà che trova nella Trinità il suo modello di riferimento, tre persone un unico Dio.

Quali i temi che hanno costituito maggior motivo di dibattito?

Innanzi tutto il tema dominante: la bellezza e il valore della famiglia come grembo della società e della Chiesa. Poi il tema delle situazioni difficili che ha trovato una soluzione nelle tre chiavi: l’accompagnamento, il discernimento, l’integrazione. Una via pastorale molto bella che il Sinodo ha voluto indicare in modo che nessuno si senta escluso, ma compreso nell’abbraccio dell’amore di Dio.

Il confronto, si dice, è sempre motivo di reciproco arricchimento. Lei, come presule e come teologo, qualche ricchezza trae al termine di questo Sinodo?

Ho vissuto una straordinaria esperienza di comunione pur nella diversità, un’esperienza di fede e amore. Il tutto vissuto alla presenza di papa Francesco, garante dell’unità. Un’esperienza indimenticabile che ha richiamato, cinquant’anni dopo, la, bellezza della comunione conciliare del Vaticano II.

Intervista di Luciano Moia               in “Avvenire” del 25 ottobre 2015

http://www.avvenire.it/Dossier/Sinodo%20sulla%20famiglia%202014/Interviste/Pagine/forte-sinodo.aspx

Il teologo più fine tra i Padri sinodali: il Vescovo di Roma.

Nei commenti che in queste tre settimane si sono susseguiti a proposito degli interventi dei “padri sinodali” – sia nell’Aula sia nei “circuli minores” – è sfuggita per lo più una caratteristica davvero decisiva del magistero di Francesco. Si è detto, infatti, che i Vescovi tedeschi, o quelli francesi, o altri ancora, avevano di volta in volta il “monopolio” della riflessione teologica. Anche la “soluzione” trovata per la redazione del testo finale è apparsa derivare, in modo decisivo, da una mediazione “dottrinale” introdotta proprio dal “circulus” germanico. Questo, tuttavia, riguarda una “forma” del sapere teologico che risponde a istanze ed esigenze del mondo tradizionale. Non è un caso, infatti, che la “via discretionis” – o di “foro interno” come è stata esplicitamente chiamata nella Relatio – permetta di uscire dagli imbarazzi di una “impossibile apertura”, ma lo faccia guardando più “indietro” che “avanti”. Anche l’uso che si è fatto del testo di Familiaris Consortio 84 è assai prezioso e acuto, ma non contiene esplicitamente nulla di ciò potrà essere: sblocca il sistema, ma non indica in nessun modo “verso dove” andare. Il “pensiero sistematico” è stato dunque impiegato, prevalentemente, come una forma di “retorica ecclesiale” – nobile, ma già acquisita – per cui si usa Tommaso o Giovanni Paolo II per uscire da quello stallo che proprio la “forma tomista” e “neotomista” avevano determinato nella dottrina e nella pastorale matrimoniale. Pur non mancando eccezioni meritevoli di grande attenzione – una fra tutte quella di mons. Jean-Paul Vesco, vescovo di Orano (Algeria) e delle sue lucide riflessioni – si è dimenticato che tra tutti i discorsi pronunciati sono proprio quelli di Francesco a rappresentare – sistematicamente – la novità più significativa. Sottolineo che la loro novità sta proprio nel profilo teologico e sistematico nuovo che propongono e che accompagnano con pazienza e con audacia.

Gli ultimi due esempi di questo “magistero teologico” si trovano nelle sue parole di ieri e di oggi, ossia nel discorso di chiusura del Sinodo e nella Omelia della messa di stamattina, a S. Pietro. In entrambi i casi noi assistiamo ad un vero e proprio evento di “risignificazione” della tradizione: con fedeltà al testo (magisteriale o biblico) ma con libertà e con ardita ricostruzione sistematica, Francesco rilegge la tradizione “uscendo per strada”, non “restando al balcone”. Per questo il teologo più fine e più audace del Sinodo è stato Francesco. Su questa stessa linea mi sembra di poter leggere in questi giorni una intervista e da un libro.

L’intervista è quella rilasciata da Massimo Cacciari, quest’oggi, per La Stampa (“Non vincono gli atei di sinistra, ma la strategia gesuita unita alla tradizione mistica” a cura di G. Galeazzi), dove il filosofo veneziano puntualizza a ragione la profondità della posizione di Bergoglio e il suo attingere alla tradizione gesuita e mistica. A me pare che si possa rilevare in Bergoglio una “finezza teologica” per lo più confusa con una semplice “sensibilità pastorale”, che in questo caso non è sufficiente a spiegare la potenza della parola e del pensiero.

Il libro che vorrei citare, invece, è appena uscito e si intitola Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale. L’autrice, Stella Morra, che insegna teologia fondamentale alla PUG, propone una rilettura “sistematica” del concetto di “misericordia” in Francesco e nella Chiesa di domani. Credo che in questo libro si trovi una chiave di lettura molto interessante per interpretare anche questo Sinodo appena concluso. Con “misericordia” Francesco non sta introducendo una variante “buonista” nella tradizione cattolica, ma mira a riportare in equilibrio la “forma cattolica” di rapporto con Cristo, dandole una chiave di lettura complessiva. La “Chiesa in uscita”, l’”ospedale da campo”, il “campo profughi” sono formule felici di un riposizionamento tra Chiesa e mondo, ed esprimono una modalità di ripensare la fede nel mondo post-moderno, con nuovi equilibri necessari – e faticosi – tra “libertà”, “grazia” e “autorità”. Francesco fa parlare la tradizione con “nuove parole”: egli stesso le inventa, con una creatività inesauribile e quasi incontrollabile, di cui egli appare più “strumento” che “autore”. Non più tardi di stamattina, sotto la forza del testo evangelico su Bartimeo, il papa ha elaborato – sistematicamente, lo ripeto – due categorie di grande forza per descrivere “atteggiamenti distorti” nei confronti della tradizione: la “spiritualità del miraggio” e la “fede da tabella” indicano due scivoloni nel rapporto con Cristo, che rischiano di apparire “ovvi” e quasi “consigliabili” per i discepoli…esattamente come, ieri, nel discorso conclusivo nell’Aula Sinodale, Francesco smascherava le forme della “obbedienza alla tradizione” che scambiano lo spirito con la lettera, gli uomini con le idee, la apparenza con la sostanza. In breve, Francesco sta rinnovando non solo il papato, la Chiesa e la pastorale, ma il modo di “fare teologia”. Lo fa con un impegno e una dedizione del tutto straordinaria. E non perde occasione di distinguere dove siamo abituati e confondere e di unificare dove siamo abituati a distinguere. Si capisce che qualcuno patisca per questo travaglio. Ma è il solo modo con cui, 50 anni dopo il Concilio Vaticano II, viene rimessa al centro la “sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei”: nutriente e feconda come la Parola di Dio, cui è restituita una autorità vitale, sorgiva e travolgente, prima di ogni mediazione dottrinale e disciplinare. Francesco è teologo fine perché sa di doversi collocare alla radice stessa della dottrina e della disciplina, del matrimonio come della Chiesa. Abita quel luogo – mistico ed elementare – dove risuona una parola più libera e più esigente, alla quale fanno eco, quotidianamente, le sue parole semplici e ispirate, i suoi gesti disarmanti e profetici.

Il Sinodo si conclude con una vittoria importante di papa Francesco. I vescovi riuniti da tre settimane nel Sinodo a Roma sui problemi del matrimonio e della famiglia hanno votato per più dei due terzi richiesti tutti gli articoli del documento finale che, se papa Francesco lo confermasse, potrebbe aprire, dopo considerazione caso per caso, la comunione ai divorziati risposati. Questo voto segna una vittoria importante del papa riformatore dopo il rifiuto, l’anno scorso, nella prima sessione dello stesso sinodo, di una parte dei vescovi, di procedere verso questa apertura. Gli articoli incriminati avevano allora ottenuto solo una maggioranza semplice, non quella dei due terzi necessaria.

L’articolo 85 del documento votato sabato riguardava le condizioni di ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti della Chiesa, come la confessione e la comunione, a certe condizioni. Sui 94 articoli del documento finale è quello che, come ci si poteva aspettare, ha ricevuto il minor numero di suffragi – con 178 voti a favore e 80 contrari – ma ottenendo tuttavia di misura la maggioranza dei due terzi, fissata a 177 voti per 265 votanti. Benché non fosse l’argomento centrale di questa assemblea mondiale di vescovi – dedicata al tema del matrimonio e della famiglia – la questione dei divorziati risposati ne è in realtà stata l’argomento più scottante e più discusso. Come quello delle persone omosessuali, anche se non questo non appare quasi nel documento finale, in quanto i vescovi hanno ritenuto che fosse opportuno riprenderlo più avanti.

Non si tratta di un semaforo verde per la comunione a tutti i divorziati risposati, è la proposta dei vescovi tedeschi che ha finito per riportare questa adesione maggioritaria, anche se l’opposizione a questa scelta è stato molto forte durante tutto il sinodo. E continuerà ad esserlo, in particolare da parte degli episcopati africani e polacchi, che hanno votato contro, perché ritengono che questa misura di clemenza rischierà di indebolire, alla lunga, l’istituto del matrimonio cattolico. Il gruppo di lingua tedesca ha infatti proposto di mettere a punto una serie di “criteri” per valutare –sotto la responsabilità del vescovo locale – la storia di ogni coppia di divorziati risposati che siano realmente motivati ad accedere ai sacramenti della Chiesa. Sotto la guida di un prete, potrebbero valutare, preparare e decidere alla fine la loro eventuale ammissione alla confessione e alla comunione. Si tratterebbe, ogni volta, si insiste a Roma, di un “discernimento” specifico secondo criteri dettagliati nel famoso paragrafo 85, che è introdotto da una lunga citazione di Giovanni Paolo II che pure fu sempre frontalmente contrario a questa apertura.

Il sinodo ha quindi trasmesso ufficialmente al papa questo “documento finale” e resta a Francesco il compito di decidere sull’attuazione di questa nuova pastorale della Chiesa che contiene tuttavia dei germi potenziali di profonde divisioni in seno alle comunità cattoliche. Ad esempio, sabato sera, il movimento cattolico americano “Voice of the Family” ha avvertito: “Il papa deve ora affrontare una crisi di fiducia nella Chiesa in seguito al sinodo”. Ma non c’è dubbio che Francesco andrà nel senso di questa apertura, poiché l’ha auspicata, fin dall’inizio del suo pontificato, convocando infatti questo sinodo, per ottenere questa riforma.

Nel suo discorso di chiusura, Francesco è del resto stato di una rara severità contro coloro che si sono opposti a questa evoluzione: “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio”, ha affermato. Certo, ha notato, “abbiamo visto durante questo sinodo che ciò che sembra normale per un vescovo di un continente può rivelarsi strano, quasi come uno scandalo per il vescovo di un altro continente”. Certi vescovi si sono perfino espressi “purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli”. Ma, ha ribadito Francesco, “una Chiesa viva non usa moduli preconfezionati”. È quindi importante, ha concluso Francesco, “superare ogni ermeneutica cospirativa o di chiusura” per ritrovare “la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”. E avanzare verso “una Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi”. Verso una Chiesa che “non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia”.

Lontana, in ogni caso, da una Chiesa che vuole “indottrinare [il vangelo] in pietre morte da lanciare contro gli altri” o costituita da “cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa o dietro le buone intenzioni per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”. Uno stato d’animo molto diffuso nelle fila del sinodo, espresso sinteticamente venerdì da un vescovo belga, Mons. Van Looy, alla tribuna della sala stampa del Vaticano, con la formula: “È la fine del giudizio sulle persone. È la fine di una Chiesa che giudica e l’inizio di una Chiesa che ascolta, che parla. Abbiamo una Chiesa di tenerezza verso di voi. Potrebbe essere l’inizio di una Chiesa nuova”. Il papa potrebbe ora pubblicare le sue decisioni in una “lettera apostolica” o una “esortazione postsinodale”, o sotto un’altra forma nel corso dell’“anno giubilare della misericordia” che aprirà a Roma l’8 dicembre 2015 per spingere ulteriormente la Chiesa ad entrare in quella che ha chiamato fin dalla sua elezione “la rivoluzione della tenerezza”.

Andrea Grillo in “Come se non” – 25 ottobre 2015

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-teologo-piu-fine-tra-i-padri-sinodali-il-vescovo-di-roma

Il Sinodo apre la porta ad una pastorale familiare inclusiva delle persone LGBT

Il Global Network of Rainbow Families prende atto della relazione finale del Sinodo dei Vescovi 2015 su “La vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo “.

Riconosciamo che la presentazione dei vescovi a Papa Francesco è solo un passo nel processo sinodale e necessita quindi di una riflessione più completa, da parte di da Papa Francesco, nelle modalità che deciderà.

Siamo incoraggiati dal messaggio del Papa a conclusione del Sinodo, in particolare il passaggio in cui ha detto:

“Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite (…). Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile.”

E’ evidente che i Vescovi non siano stati in grado di raggiungere un consenso più allargato sull’inadeguatezza delle terminologia utilizzata in precedenza per descrivere le varianti dell’orientamento sessuale. Ciononostante leggiamo chiaramente nel Rapporto Finale del Sinodo (Paragrafo 76) l’inizio di una nuova era di cura pastorale inclusiva per e con le persone LGBT e le loro famiglie, che speriamo sarà avviata presto dalle varie diocesi del mondo. Poiché è esplicitamente menzionato che ‘particolare attenzione deve essere rivolta alle famiglie che hanno un membro con tendenze omosessuali al loro interno’, non sussiste quindi più alcun motivo per non includere, nelle attività pastorali, le coppie dello stesso sesso, così come i bambini con genitori dello stesso sesso.

Ci rammarichiamo nel leggere l’implicazione che l’interesse superiore del bambino, in situazioni di adozione o affido, richieda necessariamente la genitorialità da parte di coppie eterosessuali. Tale affermazione sembra sorvolare sui risultati delle molte ricerche fornite dalle scienze sociali e ignorare la generosità delle coppie lesbiche e gay, così come quella delle famiglie monoparentali, nella cura dei bambini non voluti da altre coppie (punto 65). E’ anche un peccato che il Report Finale dia seria credibilità al termine “ideologia di genere” creato, anche senza alcuna evidenza scientifica, da coloro i quali cercano scusanti per non ascoltare e rispondere pastoralmente alla realtà delle vite delle persone LGBT, dei loro genitori e delle loro famiglie (paragrafo 8).

Respingiamo con forza l’accusa infondata che gli aiuti finanziari ai Paesi poveri sia subordinata all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso, (punto 76) e siamo costernati dal non ritrovare una netta condanna della criminalizzazione, tortura e pena di morte inflitte alle persone LGBT in troppi paesi del mondo. Anche se il Sinodo 2015 non è’ riuscito a raggiungere consenso su una più forte dichiarazione di inclusione delle persone LGBT, apprezziamo le scuse espresse durante il Sinodo.

Ci sono state infatti parole di scusa per il linguaggio duro e impreciso rivolto alle persone LGBT e ai loro genitori, come anche l’espressione del desiderio di perseguire uno studio e una riflessione più approfonditi sulle realtà delle relazioni tra persone dello stesso sesso e la vita familiare. La porta per una attenzione più sensibile alle tematiche LGBT nella Chiesa è stata aperta attraverso i processi sinodali del 2014-2015 e, nonostante l’opposizione, non potrà ora più essere chiusa.

Comunicato stampa del Global Network of Rainbow Families del 25 ottobre 2015.

www.gionata.org/il-sinodo-apre-la-porta-ad-una-pastorale-familiare-inclusiva-delle-persone-lgbt

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