NEWS UCIPEM n. 566 – 4 ottobre 2015

NEWS UCIPEM n. 566 – 4 ottobre 2015

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ADDEBITO                                       Separazione: la moglie ha un carattere dispotico e mortificante.

                                                           Coniuge condannato per relazione extraconiugale

Sì all’addebito al marito contumace anche senza istruttoria

ADOZIONI NAZIONALI                Quei 300 minori italiani disabili che nessuno vuole adottare.

AFFIDO CONDIVISO                      Il padre che non rispetta le visite risarcisce i figli.

Il minore va trasferito alla madre se il padre aspetta un bambino

AFFIDO ESCLUSIVO                      No a madre che abbandona figlia e marito x vivere con l’amante.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Se il genitore dichiara un reddito che non basta neanche per lui.

Viene prima l’assegno di mantenimento, poi i debiti.

Possibilità professionali limitate per problemi di salute.

Il genitore non deve mantenere il figlio sposato.

Il figlio sposato può essere a carico?

ASSEGNO DIVORZILE                  Divorzio: se l’ex ha casa e lavoro no all’assegno.

CASA FAMILIARE:                                    Se la casa è in comproprietà con l’ex moglie, lui se ne deve andare.

CHIESA CATTOLICA                    Due secoli di Magistero pontificio in una biblioteca online.

                                                           Che cosa aspettarsi dal Sinodo.

Una Chiesa farisaica?

Eucaristica e impedimenti canonici.

CONSULTORI Familiari UCIPEM Milano 2. CAV Mangiagalli. Progetti e ricerche.

                                                           Parma. Essere genitori.

DALLA NAVATA                            27° domenica del tempo ordinario – anno B -4 ottobre 2015.

DIRITTI E DOVERI                        Servizi sociali in Europa: interesse del minore prima di tutto.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Embrione ‘comunica’ con madre anche se ovuli donati.

FIGLI MINORI                                Separazione: i figli minori vanno sempre ascoltati.

FRANCESCO vescovo di ROMA    Papa in aereo: muri non sono soluzione.

                                                           Papa: difendiamo la famiglia, lì si gioca il nostro futuro.

Valori ma attenzione a umanità ferita: il Papa apre il Sinodo.

Sei consigli imperdibili di papa Francesco alle famiglie.

Famiglia: da “valore non negoziabile” a “negozio di quartiere”.

GENITORIALITÀ                           Maternità e paternità ora anche per i liberi professionisti.

MATERNITÀ                                               Se la lavoratrice madre rinuncia ai riposi giornalieri.

NONNI                                              Italia. Festa nonni, un milione di angeli custodi in famiglia.

NULLITÀ MATRIMONIALE         Matrimonio concordatario. Cassazione limite 3 anni convivenza. ONLUS                                               Associazioni: come viene tassato il reddito?

PARLAMENTO                                Camera Assemblea. Affido familiare.

SINODO SULLA FAMIGLIA          La parola al sinodo. Ma a decidere sarà Francesco.

                                                                              Le eccezioni sono nel Vangelo.

E’ possibile un’«economia» cattolica per i matrimoni falliti?        

                                   Che il Sinodo rivaluti la dimensione sessuale nella vita di coppia.

VIOLENZA                                       Il nuovo congedo per le donne vittime di violenza.

Il Tribunale di Milano definisce la “truffa sentimentale”.

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ADDEBITO

Separazione: la moglie ha un carattere dispotico e mortificante.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 19194, 30 settembre 2015.

Ma questo non basta per addebitare alla donna la responsabilità della separazione.

studio Sugamele         30 settembre 2015     ordinanza www.divorzista.org/sentenza.php?id=10688

            Coniuge condannato per relazione extraconiugale

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 19193, 28 settembre 2015.

            La Suprema Corte di Cassazione ha statuito che se il coniuge continua con la relazione extraconiugale facendo credere, con atteggiamenti equivoci e mistificatori, che la crisi è superata, è condannato a pagare un cospicuo risarcimento.

Con la suddetta sentenza gli ermellini, confermato la decisione dalla Corte d’Appello, hanno condannato un uomo al pagamento di 10 mila euro in favore coniuge, poiché continuando con la relazione extraconiugale, ha leso la sua dignità cagionandole uno stato di depressione.

L’uomo, in poche parole, faceva credere alla moglie che la crisi era superata senza però’ smettere la relazione extraconiugale intrapresa con un’altra donna. Ovviamente, come è risultato anche degli atti di causa, la moglie era all’oscuro della suddetta relazione del marito.

avv. Venusia Catania            Sentenze Cassazione  30 settembre 2015

            www.sentenze-cassazione.com/coniuge-condannato-per-relazione-extraconiugale

Separazione: sì all’addebito al marito contumace anche senza istruttoria

Tribunale di Milano, nona sezione civile, sentenza 6 marzo 2015.

Per il tribunale di Milano, in conseguenza dell’abbandono i figli vanno affidati alla moglie alla quale è assegnata anche la casa coniugale. In una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, l’esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato la convivenza. Ove tale situazione di intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto.

La Corte meneghina si è pronunciata sul ricorso proposto da una donna per ottenere la separazione giudiziale dal marito con contestuale addebito al coniuge per aver costui abbandonato ingiustificatamente il tetto coniugale. La donna richiedeva altresì l’affido esclusivo dei figli, l’assegnazione della casa coniugale oltre che un contributo al mantenimento.

Nel corso del procedimento, il marito rimaneva contumace, nonostante la regolarità della notificazione. Per i giudici è acclarata l’intollerabilità della convivenza, senza necessità di espletare una specifica istruttoria. Per i giudici, nel caso di specie, già il ricorso della moglie e il contegno processuale assunto dal marito, rimasto contumace, hanno reso evidente che le parti non hanno più intenzione di considerarsi marito e moglie, per effetto di un rapporto di coniugio disgregato dai fatti intervenuti nel tempo. Va, dunque, pronunciata la separazione personale come richiesta dalla ricorrente, in conformità al parere del Pubblico Ministero.

            Circa la pronuncia di addebito, come noto, questa non può fondarsi sulla mera violazione degli obblighi coniugali, essendo altresì necessario accertare che tale violazione sia stata eziologicamente idonea a determinare il fallimento della convivenza e del rapporto coniugale. Tra i comportamenti violativi degli obblighi coniugali idonei a giustificare la pronuncia di addebito della separazione al coniuge responsabile di tale violazione, viene certamente in rilievo l’abbandono senza giustificato motivo della casa coniugale. Detto contegno si mostra ex se idoneo a cagionare la crisi coniugale, stante l’unilaterale e ingiustificata interruzione della convivenza e la conseguente disgregazione del nucleo familiare.         L’uomo, non presentandosi all’udienza, non ha rilasciato alcuna dichiarazione a riguardo, pertanto, ex art. 232 c.p.c., se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti in interrogatorio.

            Circa l’affidamento dei figli, i giudici precisano che il diritto alla c.d. bigenitorialità porta a preferire quello condiviso, salvo che il giudice rilevi condizioni oggettive da cui emerga che questo risulterebbe pregiudizievole per la prole. Per derogare alla regola generale è necessario che emerga una condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa da parte di uno di essi, tale per cui si renda preferibile, nell’interesse del minore, concentrare l’affidamento in capo ad uno solo.

            Il padre, mostrandosi latitante sia materialmente che moralmente e disinteressandosi della crescita, dell’istruzione e dei bisogni primari dei minori, con i quali non ha neanche più tentato di comunicare, ha indicato chiaramente una disaffezione ed indifferenza che il giudice non può omettere di valutare. L’affidamento esclusivo alla madre si pone anche quale giustificazione dell’assegnazione alla donna della casa familiare quale genitore collocatario, nonché del mantenimento dei figli (e non della moglie) da parte dell’uomo.  

Lucia Izzo      Newsletter Giuridica 28 settembre 2015 – www.StudioCataldi.it

www.studiocataldi.it/articoli/19550-separazione-si-all-addebito-al-marito-contumace-anche-senza-istruttoria.asp

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ADOZIONI NAZIONALI

Quei 300 minori italiani disabili che nessuno vuole adottare.

Soli e affetti da disabilità fisiche e intellettive attendono per anni di essere adottati. Hanno in media 10 anni e arrivano alla maggiore età trascorrendo parte della vita in istituti. Le associazioni chiedono sostegni economici per le famiglie adottive. (…)

Dai dati fornitici dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, risulta che nel febbraio 2014 trecento minori disabili attendevano ancora di essere adottati. La quasi totalità ha “gravi e gravissime condizioni psicofisiche, con handicap e disabilità, disturbi comportamentali e deficit cognitivi”. L’età media è di dieci anni: 62 sono più piccoli, mentre 137 ne hanno più di 15. Il ministero ci fa sapere che, tra questi, 17 minori hanno rifiutano l’adozione a causa di precedenti tentativi non andati a buon fine. “I bimbi disabili sono figli di un dio minore”, afferma Frida Tonizzo, consigliera di Anfaa, Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie. “Questi trecento bambini sono stati dichiarati adottabili da anni ma le istituzioni preposte non sono mai intervenute attivamente per garantire loro una famiglia. Hanno poi scaricato sui minori che hanno ‘rifiutato l’adozione’ la colpevole responsabilità di chi doveva continuare a cercare dei genitori per loro”.

            Il diritto a vivere in una famiglia. La legge 184/1983 stabilisce che tutti i minori, anche quelli con disabilità, hanno il diritto di crescere ed essere educati nell’ambito di una famiglia. Non ci sono dati recenti su quanti bambini disabili siano stati effettivamente adottati in Italia: gli ultimi risalgono al 2011, quando il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali aveva calcolato che poco meno di un minore accolto su dieci presentava qualche forma di disabilità. In particolare il 7% aveva problemi psichici, il 2% aveva una disabilità plurima, l’1% difficoltà fisiche e lo 0,4% una disabilità sensoriale.

Una vita in istituto. Dalle segnalazione arrivate alle associazioni che fanno parte del Tavolo nazionale affido risulta che molti neonati con problemi fisici o intellettivi rimangono in ospedale oltre il tempo strettamente necessario per le cure. Nell’attesa che il tribunale dei Minori trovi loro dei genitori, la maggior parte finisce in istituti a valenza sanitaria da dove difficilmente esce per un successivo collocamento in famiglia. “Il ministero non ha ancora fornito indicazioni su dove vivono questi minori, se in comunità o in strutture residenziali sanitarie. La deprivazione di cure familiari peggiora la loro condizione di disabilità. Ultimamente una famiglia dell’Anfaa ha accolto un bambino che non sapeva parlare perché nessuno aveva capito che era sordo, nessuno si era accorto di quanto soffriva”, racconta Tonizzo. Una volta raggiunta la maggiore età, i ragazzi non adottati dovrebbero essere collocati in strutture per adulti. “Hanno diritto all’assistenza residenziale ma non sempre questo avviene: se il tutore o l’amministratore di sostegno non si è occupato di loro quando erano dei bambini, è difficile che lo faccia dopo”, afferma Tonizzo.

            Un contributo alle famiglie che li accolgono. Il Tavolo nazionale affido ha chiesto al governo di dare un contributo economico alle famiglie che accolgono minori con età superiore a 12 anni o con un handicap accertato, come già prevede l’articolo 6 della legge 184/1983. Domandano, poi, che venga al più presto attivata la Banca dati nazionale dei minori adottabili prevista dalla legge 149/2001: per ora è operativa soltanto in undici tribunali su 29. Questo strumento serve a trovare i genitori più adatti in base alla condizione del bambino e ad accelerare l’iter burocratico. “Bisogna fare appelli mirati per i minori disabili: non basta cercare le famiglie tra quelle che hanno dato la loro disponibilità”, spiega Tonizzo. “Non devono essere lasciate sole: molte mamma e papà, dopo l’adozione, si sono trasformati in veri e propri infermieri per i loro figli”.

            Fare rete e aiutare le famiglie adottive. Affrontare le difficoltà che una adozione speciale comporta non è impossibile, come racconta Grazia Di Giannantonio che ha adottato due ragazze, una con la sindrome di Robinow e una con un ritardo mentale “Una famiglia può sostenere una realtà così complessa solo se ha attorno una rete di sostegno. Una volta che l’adozione va a buon fine, le istituzioni non possono sparire: serve un sopporto psicologico e medico”, racconta. “Ho avuto spesso dei ripensamenti, non avevo gli strumenti per capire e se tornassi indietro farei sicuramente meno errori. Adesso però siamo una famiglia felice, guardo le mie figlie e mi sembrano bellissime. Mi sento accettata come madre nonostante i miei difetti. Alle mamme e ai papà che stanno per accogliere bambini disabili voglio dire di andare oltre l’handicap. Il tribunale spesso si sofferma solo sui lati negativi a cui andranno incontro, invece devono sapere che con il tempo scopriranno nei loro figli degli aspetti meravigliosi, anche nei casi di disabilità più grave. Per me adottare le mie figlie è stata una opportunità immensa. Da fuori io e mio marito sembriamo coraggiosi, ma in realtà la nostra forza è stata quella di aver saputo apprezzare il bello della nostra scelta”.

Maria Gabriella Lanza         Redattore Sociale      28 settembre 2015

Ai. Bi. 29 settembre 2015      www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Il padre che non rispetta le visite risarcisce i figli.

Tribunale di Roma, Prima Sezione civile, sentenza 23 gennaio 2015.

Separazione, divorzi, diritto di visita non adempiuto: l’uomo che, per stare dalla compagna, non rispetta gli orari di visita dei figli risarcisce la sofferenza procurata loro. Il padre che, nei giorni di visita stabiliti dal giudice nella causa di separazione o divorzio, e pertanto non va a trovare i figli, deve risarcire questi ultimi per il danno affettivo provocato loro. A dirlo è il Tribunale di Roma.

Il giudice capitolino ha condannato d’ufficio (ossia, senza bisogno di una esplicita richiesta della parte “offesa”) un uomo al risarcimento del danno nei confronti della figlia per non aver adempiuto agli obblighi di visita, stabiliti nei suoi confronti al momento dell’affidamento condiviso. L’uomo si era “sempre limitato a proporre alla figlia di trascorrere i fine settimana di sua spettanza presso l’abitazione della propria compagna”, dove stabilmente risiede, “proposte cui è naturalmente seguito un secco rifiuto”.

            Il padre non può rimanere sordo alle richieste – seppur silenziose – di attenzione e affetto, soprattutto di “esclusività” proveniente dai figli. Egli deve quindi essere capace di scindere il proprio ruolo di genitore dalle proprie relazioni sentimentali. Con tutti i sacrifici che da ciò conseguono. Per cui, se il figlio rifiuta di incontrare il genitore perché questi è sempre con la nuova compagna (o il nuovo compagno) di ciò non può che dare la colpa a se stesso.

Risultato: va condannato al risarcimento del danno il padre che non rispetta le visite dei figli, quando questi lo richiedano, per il dolore e la mutilazione affettiva arrecato ad essi.

            La sanzione, poi, può essere applicata d’ufficio proprio per via della sua funzione punitiva o comunque improntata, sotto forma di dissuasione indiretta, alla cessazione del protrarsi dell’inadempimento degli obblighi familiari.

            Nel caso di specie, vista la durata dell’inadempimento e le condizioni economiche privilegiate dell’obligato, la sanzione è stata quantificata in 15mila euro da versarsi su un libretto di deposito a risparmio con vincolo giudiziale fino al compimento del 18° anno di età.

Redazione LpT          1 ottobre 2015                                               sentenza

www.laleggepertutti.it/98001_il-padre-che-non-rispetta-le-visite-ai-figli-li-risarcisce

Il minore va trasferito presso la madre se il padre aspetta un bambino dalla nuova compagna.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 18817, 23 settembre 2015.

Nonostante l’affidamento condiviso, la madre può dare al figlio più attenzioni durante il delicato periodo dell’avvio alla scolarizzazione. L’individuazione del genitore collocatario deve aver luogo sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dello stesso di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dal fallimento dell’unione, giudizio da formularsi con riferimento ad elementi concreti, emergenti non solo dalle modalità con cui ciascuno dei genitori ha svolto in passato i propri compiti, ma anche con riguardo alla rispettiva capacità di relazione affettiva, attenzione comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché alla personalità del genitore, alle sue consuetudini di vita ed all’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.

            In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso di un uomo nei confronti di un decreto della Corte d’Appello di Bologna con il quale veniva disposto l’affidamento condiviso del figlio minore con collocazione prevalente presso la madre. L’ex moglie aveva richiesto che il figlio fosse trasferito presso di lei in quanto il marito, dopo aver intrapreso una nuova convivenza, era in attesa di un figlio dalla nuova compagna. In un momento particolarmente importante per il bambino, quale l’avvio della scolarizzazione, sarebbe stato preferibile la permanenza stabile nel nucleo familiare della madre, composto da figli ormai maggiorenni e adulti, poiché le attenzioni del padre sarebbero state prevalentemente concentrate verso il nascituro.

            Per gli Ermellini il ricorso del padre va respinto. Ricordano i giudici della Corte che i provvedimenti riguardanti i figli minori vengono adottati nell’esclusivo interesse morale e materiale della prova privilegiando tra più soluzioni possibili quella che appaia più idonea a ridurre al minimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il miglior sviluppo della personalità del minore.

            L’affidamento condiviso appare un rimedio idoneo, stante i buoni rapporti intrattenuti da ciascuno dei genitori nei confronti del piccolo, dimostrando di comprendere e soddisfare adeguatamente le sue esigenze, superando il personale conflitto e le reciproche rivendicazioni. La collocazione presso la madre, tuttavia, appare giustificata in relazione alle maggiori attenzioni di cui potrebbe beneficiare il minore in un momento particolarmente delicato per il suo sviluppo, quello dell’avvio alla scolarizzazione.

            Non rilevano a tal fine le doglianze del padre secondo cui il rapporto genitoriale si ridurrebbe ad una “mera apparenza” vista la distanza tra la sua residenza (Rimini), rispetto a quella della madre (Roma). Per i giudici, l’intensità del rapporto genitoriale va valutata non solo in termini quantitativi, sulla base del tempo complessivamente trascorso con il minore, ma anche e soprattutto in termini qualitativi in relazione all’impegno profuso dal genitore per comprendere i bisogni del figli e per collaborare con l’altro genitore individuando i mezzi più appropriati per farvi fronte.

            È questo l’impegno che caratterizza la c.d. bigenitorialità, con una presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e nella cooperazione per adempiere i doveri genitoriali.

Risulta quindi congrua l’organizzazione dei periodi di visita, stabiliti in determinati giorni mensili con prolungamento durante le vacanze e le festività. Ricorso rigettato per il padre, condannato poi alle spese processuali.

Lucia Izzo      Newsletter Giuridica 28 settembre 2015 – www.StudioCataldi.it

www.studiocataldi.it/articoli/19561-il-minore-va-trasferito-presso-la-madre-se-il-padre-aspetta-un-bambino-dalla-nuova-compagna.asp

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AFFIDO ESCLUSIVO

No all’affido alla madre che abbandona figlia e marito per andare a vivere con l’amante.

Corte d’Appello di Lecce, sezione civile, sentenza n. 171/2015

Chiarimenti sulla scelta del genitore collocatario in una sentenza della Corte d’Appello di Lecce. In tema di affidamento del minore, nello scegliere il genitore collocatario più idoneo, tenendo in considerazione l’interesse preminente del minore, si deve avere riguardo anche alle consuetudini di vita già acquisite dal minore medesimo. Lo precisa la sul gravame proposto da una donna per rivendicare l’affidamento esclusivo della figlia convivente con il padre, nonché per contestare l’addebito della separazione nei suoi confronti.

In aggiunta alla collocazione della figlia presso di lei, la donna ha richiesto ai giudici l’addebito della separazione al marito, l’assegnazione della casa coniugale e un congruo assegno di mantenimento. I giudici, tuttavia, negano alla donna le richieste avanzate, considerando che costei aveva abbandonato il marito e la figlia a causa di una relazione extraconiugale.

È questa la vicenda che i giudici considerano determinante per la separazione, in quanto la ricorrente, ancora sposata e senza che vi fossero litigi tra lei e l’ex, aveva intrapreso una relazione fuori dal matrimonio culminata nella nascita di un figlio. Questo aveva inevitabilmente portato alla separazione e alla convivenza di lei con la nuova famiglia.

All’epoca dei fatti, la figlia aveva sette anni e si è ritrovata a vivere con il padre, con il quale ha sempre intrattenuto un ottimo rapporto. Ancora, sono prive di fondamento le rimostranze della madre, che riteneva di aver incontrato spesso la bambina interessandosi a lei, mentre invece risultava che la piccola veniva costantemente affidata alle cure del padre e dei nonni materni. Rigettate, dunque, le richieste di parte attrice: gli anni trascorsi hanno segnato un solco nei rapporti tra lei e la figlia e decidere di affidare alla donna la bambina, ormai adolescente, finirebbe inevitabilmente per stravolgere i suoi consolidati equilibri di vita.

Lucia Izzo      Newsletter Giuridica 28 settembre 2015 – www.StudioCataldi.it

www.studiocataldi.it/articoli/19582-affidamento-rilevanti-le-consuetudini-di-vita-del-minore-nella-scelta-del-genitore-collocatario.asp

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

No alla riduzione al figlio, se il genitore dichiara un reddito che non basterebbe neanche per lui.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 19103, 28 settembre 2015.

Per la Cassazione si presume un minimo di entrate sulle quali calcolare il contributo a carico dell’onerato, intestatario anche di immobile dal valore rilevante. No alla riduzione del contributo per il mantenimento del figlio se il genitore dichiara un reddito talmente basso da non poter bastare neanche alla sua di sussistenza. Di fronte ad un reddito così inverosimile, infatti, si deve presumere un’entrata minima sulla quale calcolare l’importo del contributo. Così ha stabilito la Cassazione, rigettando il ricorso di un padre che chiedeva la riduzione dell’assegno di mantenimento della figlia dall’importo originario di 500 euro mensili fissato dai giudici di merito a 300 euro.

Perdendo sia in primo grado che in appello, l’uomo si era rivolto alla Cassazione dolendosi che la corte territoriale avesse ritenuto prevalente, senza spiegarne le ragioni, la presunzione di un maggior livello reddituale rispetto alle risultanze delle dichiarazioni fiscali (comprovate, a detta del ricorrente, anche dalla non revocata ammissione al patrocinio a spese dello Stato fondata sulla esiguità del suo reddito) senza valutare altresì l’irrilevanza dell’immobile di sua proprietà, privo di qualsiasi redditività, ereditato dai genitori.

Ma per la sesta sezione civile la tesi è infondata. Come giustamente chiarito dalla Corte d’Appello, infatti, ha ribadito il Palazzaccio, i redditi dichiarati al fisco da parte dell’uomo “non solo non gli consentirebbero qualsiasi contribuzione al mantenimento della figlia ma sarebbero insufficienti anche al mantenimento dello stesso ricorrente”.

Per cui, anche in relazione all’esistenza di un patrimonio intestato all’uomo “con rilevante valore catastale”, la Corte ha dedotto “l’inverosimiglianza dei redditi dichiarati e ha presunto un reddito minimo sulla base del quale ha determinato l’ammontare dell’assegno”. Quanto alla circostanza dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non risulta, ha sottolineato inoltre la S.C., che la stessa “sia stata discussa nel giudizio di merito al fine di comprovare la verosimiglianza del reddito dichiarato al fisco, né comunque può ritenersi di per sé che tale ammissione sia rilevante ai fini del giudizio e tale da inficiare la logicità della motivazione circa la presunzione di un maggior reddito”. Pertanto, rilevato che nelle more il ricorrente ha depositato dichiarazione di rinuncia al ricorso, la S.C. ha dichiarato estinto il processo.

Marina Crisafi           Newsletter Giuridica studio Cataldi 28 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19573-mantenimento-no-alla-riduzione-dell-assegno-al-figlio-se-il-genitore-dichiara-un-reddito-inverosimile-che-non-basterebbe-neanche-per-lui.asp

            Viene prima l’assegno di mantenimento, poi i debiti.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 19107, 25 settembre 2015.

Separazione e divorzio: anche se in crisi e col rischio pignoramenti, il genitore deve comunque versare il mantenimento all’ex coniuge e ai figli. Il padre che non versa il mantenimento ai figli non può invocare, a propria discolpa, la crisi economica e i debiti incombenti col rischio di pignoramenti: vengono infatti prima le obbligazioni familiari che quelle con gli altri privati. Lo ha detto la Cassazione con una recente ordinanza. Le difficoltà economiche non possono giustificare la riduzione dell’assegno di mantenimento e, quindi, una sentenza civile di modifica delle condizioni di separazione e divorzio.

            Peraltro, la giurisprudenza concorda anche che il procedimento penale, per violazione degli obblighi di assistenza familiare, a carico dell’ex che non versi l’assegno periodico, non può essere evitato scaricando la colpa dell’inadempimento sulla crisi o anche sull’intervenuta disoccupazione (anche il disoccupato ha l’obbligo di trovare un modo per collocarsi e mantenere la prole). Al contrario è necessario dimostrare una causa oggettiva di impossibilità, contraria alla propria volontà (basterebbe, per esempio, la prova dei vari tentativi di ricerca di un posto, tutti naufragati; o ancora una grave malattia che ha reso invalidi al lavoro).

Redazione       LpT     28 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/97769_viene-prima-lassegno-di-mantenimento-poi-i-debiti

Possibilità professionali limitate per problemi di salute.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 19106, 24 settembre 2015.

Cardiologo colpito da una fibrillazione atriale. Se il problema di salute limita le possibilità professionali il contributo di mantenimento alla figlia va parimenti ridotto.

Servizio newsletter Sugamele.it.       27 settembre 2015    www.divorzista.org/sentenza.php?id=10679

Il genitore non deve mantenere il figlio sposato.

Tribunale di Perugia, prima Sezione civile sentenza 27 luglio 2015.

Separazione e divorzio: assegno di mantenimento per il figlio che ha contratto matrimonio solo a condizione che questo sia in giovanissima età e ancora studente.

Nel caso in cui, a seguito di separazione o divorzio, l’ex coniuge sia stato condannato al versamento di un assegno di mantenimento in favore dei figlio, qualora quest’ultimo si sposi cessa anche l’obbligo del mantenimento. Non si interrompe però in automatico, ma è sempre necessaria una sentenza di revisione delle condizioni di separazione/divorzio nel cui giudizio il genitore ha l’onere di provare “che il figlio ha raggiunto l’indipendenza”, oppure “è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua (discutibile) scelta”. A chiarirlo è stata una recente sentenza del tribunale di Perugia.

In generale i genitori sono tenuti a mantenere i propri figli fino alla loro indipendente economica che non necessariamente coincide con i 18 anni, ma con il momento in cui diventano autonomi. L’obbligo, infatti, cessa quando il figlio percepisca un reddito sufficiente a mantenersi. Non vuol dire quindi la semplice “potenzialità” a lavorare (che si potrebbe avere, per esempio, con l’acquisizione delle conoscenze e della competenza: dopo la laurea, un corso di specializzazione, un master, un tirocinio), ma l’effettiva percezione di un reddito stabile (anche se con contratto precario, a termine). Non quindi sporadici lavoretti, ma neanche un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

            Tuttavia, si legge nella sentenza in commento, nel momento in cui il figlio maggiorenne, già beneficiario dell’assegno di mantenimento, si sposa, questi perde il diritto al mantenimento. Infatti, il matrimonio dà vita a una nuova famiglia, nell’ambito della quale ciascuno dei due coniugi ha giurato di assistere (moralmente, ma anche economicamente) l’altro. Insomma, non è più la “borsetta di mammà” a doversi prendere cura del giovane o della giovane, ma il nuovo familiare più diretto, ossia il coniuge.

            La Cassazione in passato ha riconosciuto eccezionalmente la persistenza dell’obbligo di mantenimento in favore dei figli, a carico dei genitori, solo in caso di giovani sposi di tenerissima età e ancora studenti universitari.

Redazione   LpT        www.laleggepertutti.it/97904_il-genitore-non-deve-mantenere-il-figlio-sposato

                        Il figlio sposato può essere a carico?

Detrazioni fiscali per il figlio che non vive coi genitori e che è sposato: limiti di reddito. È possibile indicare come “a carico”, e quindi usufruire per essi delle relative detrazioni fiscali, i seguenti soggetti:

– coniuge (marito o moglie), anche se non conviventi. Invece, se separati o divorziati, è possibile portarli “a carico” a condizione che siano conviventi;

– figli, a prescindere dall’età, dalla residenza e dalla convivenza con i genitori. Dunque, anche il figlio che non viva più con mamma e papà può essere portato “a carico” e per esso spettano le detrazioni fiscali;

– genitori, nonni, nipoti, fratelli e sorelle a condizione che siano conviventi.

Per poter essere considerati “a carico” è necessario inoltre avere un requisito di reddito: il soggetto (coniuge, figlio, genitore, nonno, nipote, fratello o sorella) non deve cioè avere un reddito superiore a € 2.840,51 al lordo degli oneri deducibili.

            Anche il figlio sposato non convivente coi genitori può essere ugualmente portato “a carico”. Il chiarimento è stato fornito dalla stessa Agenzia delle Entrate [circolare n. 95/E/2000 punto 3.1.4.]. È necessario, anche in tale ipotesi, che il figlio abbia un reddito complessivo non superiore a € 2.840,51.

            Di recente poi, il Tribunale di Perugia [7 luglio 2015] ha detto che il genitore separato non ha l’obbligo di mantenere il figlio che si sposa, neanche se questo ha un reddito minimo. È vero: i figli hanno diritto di essere mantenuti dai genitori anche dopo il raggiungimento della maggiore età e sino a quando diventano autonomi. Tuttavia, le nozze del figlio maggiorenne, beneficiario dell’assegno di mantenimento, determinano – prosegue la sentenza – l’automatica cessazione dell’obbligo di contribuzione. Questo perché “il matrimonio dà vita a un nuovo organismo familiare distinto e autonomo, nell’ambito del quale i coniugi sono, tra l’altro, legati dall’obbligo alla reciproca assistenza morale e materiale”, che costituisce “il necessario svolgimento di quell’impegno di vita assieme che hanno assunto” con il loro “sì”. La stessa Cassazione ha affermato la persistenza dell’obbligo di mantenimento in favore della prole sposata nel caso di una ragazza di “giovanissima età” (come il marito) e ancora studentessa universitaria [sent. n. 1830/2011].

Redazione LpT 30 settembre 2015   www.laleggepertutti.it/97895_il-figlio-sposato-puo-essere-a-carico

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: se l’ex ha casa e lavoro no all’assegno. 

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 18816, 23 settembre 2015.

Per la Cassazione ciò basta a garantirle un’esistenza dignitosa per cui niente assegno, salvo provare un più elevato tenore di vita. No all’assegno all’ex che ha una casa di proprietà e gode di un reddito da lavoro sufficiente ad assicurarle un’esistenza dignitosa. Lo ha stabilito la Cassazione, con la recente ordinanza n. 18816/2015 (qui sotto allegata), confermando la valutazione dei giudici di merito che avevano rigettato la richiesta della donna di assegno divorzile a carico dell’ex marito.

            Per la S.C., nessuna censura merita la decisione della corte territoriale, in quanto, data la posizione economica della donna, non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, anche perché la stessa non ha dimostrato di aver goduto di un più elevato tenore di vita in costanza di matrimonio.

 

Ritenute, infine, inammissibili (in quanto non provate e caratterizzate da assoluta genericità) anche le altre doglianze della donna, sulla mancata valutazione del miglioramento delle condizioni economiche del coniuge onerato intervenute dopo la separazione e la richiesta di risarcimento per i danni morali subiti dall’asserito “totale disinteresse” del marito nei confronti suoi e dei figli.

            Per cui ricorso rigettato e sospiro di sollievo per l’ex marito che si vede parzialmente liberato anche dal contributo al mantenimento di uno dei due figli, che aveva deciso di andare a vivere con lui.

            Marina Crisafi – Newsletter Giuridica studio Cataldi 28 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19563-divorzio-se-l-ex-ha-casa-e-lavoro-no-all-assegno.asp

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CASA FAMILIARE

Anche se la casa è in comproprietà con la ex moglie, lui se ne deve andare.

Corte di Cassazione, seconda Sezione civile, ordinanza n. 19488, 30 settembre 2015.

Confermato dalla Suprema Corte l’obbligo di rilascio da parte dell’uomo con la condanna al risarcimento di 16mila euro a favore della ex. Il coniuge che occupa la casa in comproprietà con l’ex è tenuto a rilasciarla e a risarcire i danni. È questo in sintesi quanto emerge dalla sentenza n. 19488/2015, pubblicata ieri con la quale la Cassazione ha respinto il ricorso di un uomo cui l’ex moglie chiedeva il rilascio della casa, già adibita ad abitazione familiare, e a pagarle un’indennità per l’occupazione.

            Vedendo rigettate le proprie istanze dal tribunale di Napoli in primo grado e dalla Corte d’appello in secondo – che ordinavano il rilascio del bene nella libera disponibilità di entrambi i partecipanti alla comunione e lo condannavano al pagamento di 16mila euro (pari al 50% del valore locativo dell’immobile dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio alla data della pronuncia) – l’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo l’inammissibilità della richiesta di rilascio di un bene comune avanzata da un comproprietario nei confronti dell’altro che è nel godimento del bene.

            Ma la Cassazione la pensa diversamente e dichiara le istanze infondate.

La Corte d’appello partenopea, infatti, per i giudici di legittimità si è espressa in linea con i principi di diritto da tempo invalsi in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 7197/2014; Cass. n. 19929/2008). Invero, hanno affermato gli Ermellini, “nel caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprietari, venuto a conclusione il rapporto locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore, il predetto bene deve essere restituito alla comunione per consentire alla stessa di disporne e, attraverso la sua maggioranza, di esercitare la facoltà di goderne direttamente o indirettamente”. Ne consegue che il conduttore-comproprietario può essere condannato al rilascio del bene medesimo in favore della comunione.

            La situazione che viene a crearsi, hanno ragionato da piazza Cavour, “è identica a quella in cui sia venuta meno la ragione giustificatrice di un uso autonomo da parte di uno dei due comproprietari e tuttavia questi sia rimasto nel godimento esclusivo del bene”. In una tale situazione, ad essere ordinato non è il rilascio di una “quota ideale” da un comproprietario all’altro, ma il rilascio in favore della comunione, “condizione che legittima, con l’accertamento dell’inesistenza di un titolo a detenere autonomamente il bene, la successiva assunzione, da parte della comunione, delle determinazioni possibili, anche con lo strumento di cui all’art. 1105 c. c.”. Né regge, per gli Ermellini, la tesi sostenuta dall’uomo di un “uso legittimo della cosa comune”, teso non certo a impedire all’ex di godere dell’immobile secondo il suo diritto, la quale invece non lo aveva mai esercitato, non chiedendo la divisione o lo scioglimento della comunione o la suddivisione del godimento. Per la S.C. si tratta, invero, di una tesi “grottesca”, considerato che l’uomo si era praticamente installato nella dimora insieme al nuovo nucleo familiare, rendendo di fatto improponibile l’uso congiunto da parte dell’ex moglie, visto e considerato che tra l’altro si trattava di un appartamento di 100 mq, con una cucina e un solo bagno.

Per cui, hanno concluso dal Palazzaccio, l’ex marito ha fatto “abuso e non uso legittimo del suo diritto di comproprietario”, travalicando le facoltà di cui all’art. 1102 c.c. e impedendo con la sua condotta all’ex moglie di far parimenti uso del bene, mentre bene ha fatto la donna a chiedere il rilascio dell’alloggio oltre al pagamento di un’indennità per l’occupazione con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. All’uomo, quindi, non rimane che pagare i 16mila euro all’ex moglie oltre alle spese di lite.

Marina Crisafi – Newsletter Giuridica studio Cataldi 28 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19621-se-l-appartamento-e-in-comproprieta-con-l-ex-il-coniuge-deve-rilasciarlo-o-paga-i-danni.asp

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CHIESA CATTOLICA

                        Due secoli di Magistero pontificio in una biblioteca online.

Grazie al sito www.chiesaecomunicazione.com, con un clic saranno a disposizione tutte le Encicliche della storia. Un grande archivio online sul magistero pontificio gratuito e alla portata di chiunque, anche di chi non ha grande dimestichezza con il web. Visitando il sito sarà possibile ottenere i testi integrali di encicliche ed altri documenti pontifici, con la semplice digitazione del titolo.

www.chiesaecomunicazione.com/docs-list

Attraverso la ricerca avanzata si potranno altresì selezionare documenti in base al pontificato, all’arco temporale, all’autore, al titolo o al tipo di documento. I testi a disposizione degli utenti online sono oltre 1100, in varie lingue, dal primo al ventunesimo secolo.

I destinatari sono tutte le persone interessate al tema ma, soprattutto quanti lavorano in centri di studio e di formazione della Chiesa ma non dispongono di una biblioteca cartacea. Promosso dal Pontificio Consiglio della Comunicazione Sociale, il progetto è curato da don Franco Lever e Paolo Sparaci, docenti della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana, che si sono avvalsi del sostegno della propria Università e della preziosa collaborazione della Libreria Editrice Vaticana e del sito Vatican.va. (…).                   Zenit            30 settembre 2015

www.zenit.org/it/articles/due-secoli-di-magistero-pontificio-in-una-biblioteca-online

[il sito di papa Francesco è     http://w2.vatican.va/content/vatican/it.html]

                        Che cosa aspettarsi dal Sinodo.

Per decenni, nella Chiesa post-Vaticano II, un sinodo dei vescovi è stato un capolavoro di noia rappresentato a Roma, di cui tutti conoscevano già il copione e dove si sapeva che non sarebbe successo nulla. Ma ora non più – non con papa Francesco. Con il Sinodo che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre 2015, sta per cominciare la seconda tappa di un nuovo viaggio sinodale. Certo, un sinodo non è un Concilio ecumenico, tuttavia preannuncia davvero qualcosa di non molto diverso da quello che accadde al Vaticano II. I vescovi e la chiesa nel suo complesso esamineranno obiettivamente la distanza tra lo status ecclesiae – quello che la chiesa è chiamata ad essere e che non può essere cambiato – e gli statuta ecclesiae, le leggi e le pratiche della chiesa, che possono e talvolta dovrebbero essere cambiate. In questo senso, il pontificato di Francesco ha già spostato significativamente le regole del gioco del dibattito cattolico.

Quello a cui abbiamo assistito dalla sua elezione, e in particolare dalla sua decisione di tenere due sinodi in dodici mesi sul tema del matrimonio e della famiglia, è un nuovo clima di dibattito in una chiesa non abituata all’ethos del discernimento ecclesiale. Il sinodo dell’autunno scorso ha mostrato un notevole grado di sincerità nell’affrontare il problema della famiglia moderna di fronte alla dottrina e alla prassi pastorale cattolica. È anche importante notare come la prima sessione si sia sviluppata in fasi successive: una prima settimana di dibattito, seguita dalla relatio post disceptationem – una specie di relazione di metà periodo contenente significative aperture (su omosessualità, convivenza prematrimoniale, altri tipi di unioni matrimoniali); poi la marcia indietro della seconda settimana e il restringimento di quelle aperture nella relatio synodi finale. La decisione di Francesco di pubblicare la relatio, compresi i voti ricevuti da ogni paragrafo, è stata un segno della sua intenzione di mostrare il grado di consenso raggiunto al sinodo. La mossa era intesa chiaramente per mantenere aperto il dibattito durante il periodo tra gli incontri sinodali, cosa che ricorda il ruolo chiave svolto dai dibattiti informali tenuti tra ognuna delle quattro sessioni autunnali del Vaticano II. Il motu proprio papale del settembre 2015 che ha riformato il processo di nullità, è un’ulteriore testimonianza di una dinamica molto interessante tra l’iniziativa papale e l’inerzia dei vescovi nel dar forma all’agenda dell’incontro. (E no, caro vaticanista John Allen, la riforma non significa che la questione della comunione ai divorziati risposati non è più all’ordine del giorno.)

Naturalmente, sarebbe un errore aspettarsi cambiamenti radicali durante il periodo tra le due tappe del sinodo. Il dibattito ecclesiale fino ad ora non è stato all’altezza delle aspettative di molti cattolici che vedevano il questionario di dicembre come un segno che grandi cambiamenti sarebbero arrivati subito. In pochissime diocesi c’è stato un reale scambio di opinioni tra i laici e il clero. Ma l’instrumentum laboris per il sinodo 2015, pubblicato dal Vaticano in giugno, è un passo avanti. Mostra che c’è un ampio accordo su molti temi, specialmente quando giunge alla proposta del cardinale Walter Kasper: “C’è un comune accordo sulla ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale, sotto l’autorità del Vescovo, per i fedeli divorziati risposati civilmente, che si trovano in situazione di convivenza irreversibile”.

I lineamenta del dicembre 2014 invitavano ad un ampio contributo in preparazione del Sinodo del 2015 e chiedeva alle conferenze episcopali di coinvolgere tutti i gruppi all’interno della chiesa. Tuttavia solo poche conferenze episcopali hanno lavorato sistematicamente per preparare il sinodo, e ancor meno hanno mobilitato le associazioni di laici e le istituzioni accademiche. Lo stato del dibattito pre-sinodale nella chiesa globale è indicativo della relativa disponibilità di vescovi, teologi e laici di affrontare questi temi. Mentre le conferenze episcopali italiane e statunitensi, ad esempio, non hanno organizzato attività correlate al sinodo, teologi e vescovi di Germania, Francia e Svizzera si sono incontrati il 25 maggio all’Università Gregoriana a Roma per una giornata di studio. Gli atti, pubblicati sul sito della conferenza episcopale tedesca, mostrano una posizione vicina a quella di Kasper, a sostegno di un’interpretazione onesta di ciò che ora significa “matrimonio”. “L’etica cristiana oggi sta riscoprendo il matrimonio e la famiglia nella sua forma attuale come una forma di vita nella fede, senza che sia discriminante rispetto ad altre forme di vita”, dice la conclusione. “È chiaro che il prossimo sinodo non può limitarsi a ripetere gli insegnamenti precedenti e ciò che è già stato detto”.

E questa non è stata affatto l’unica iniziativa. Un gruppo di ventisei teologi di Francia, Belgio e Svizzera hanno pubblicato un appello per cambiamenti significativi nell’interpretazione teologica e nelle pratiche pastorali su temi riguardanti la famiglia. In maggio, un convegno di un giorno alla Facoltà Teologica di Milano ha riunito alcuni dei migliori teologi italiani, la cui posizione, pur non del tutto in linea con la proposta di Kasper, evidenziava l’inconsistenza dell’interpretazione tradizionale dell’indissolubilità del matrimonio alla luce del peso attuale attribuito alla coscienza. In agosto, un gruppo di venti noti teologi spagnoli cattolici ha preso posizione, affermando che “la prudenza pastorale oggi non solo permette, ma anche richiede un cambiamento di atteggiamento”. Il mese scorso la comunità monastica ecumenica di Bose vicino a Torino – l’élite intellettuale del cattolicesimo italiano – ha tenuto un convegno ecumenico internazionale su misericordia e perdono, con l’intervento introduttivo del cardinal Kasper. E il forum conosciuto come Catholic Women Speak Network ha prodotto un libro ricco (con articoli di Tina Beattie, Elizabeth Johnson, Lisa

Cahill e Margaret Farley, ed altre) che sarà presentato pubblicamente a Roma alcuni giorni prima del sinodo.

A causa dello stile di governo di Francesco, che si avvale del Consiglio di nove cardinali che si incontrano ogni due mesi, la Curia romana è stata messa in secondo piano durante questo dibattito tra i due sinodi. Non sorprende che molta parte della Curia non sostenga la direzione verso cui Francesco sta portando la chiesa, specialmente quando si tratta della teologia di famiglia e matrimonio. Si dice che il papa sia stato contrariato dalla pubblicazione di un libro della Ignatius Press lo scorso autunno, Remaining in the Truth of Christ: Marriage and Communion in the Catholic Church (“Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, ed. Cantagalli), nel quale diversi vescovi – compresi cinque cardinali – criticavano la posizione di Kasper sulla comunione ai divorziati risposati. La casa editrice Ignatius sta per pubblicare un altro libro sulla stessa linea, con saggi di diciassette cardinali, compresi quattro che sono attivi in curia. Il cardinal Gerhard Müller, prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha contribuito con un suo saggio nel libro dell’anno scorso, ha espresso in diverse interviste la sua opposizione alla proposta di Kasper. Perfino Benedetto XVI è intervenuto dopo il sinodo. Nella sua opera completa recentemente pubblicata, ha modificato un articolo del 1972 sull’indissolubilità, cambiando la sua posizione per renderla meno aperta a proposte come quella di Kasper.

Vi sono però altri a Roma più vicini a Francesco. Anche se i gesuiti mantengono una certa distanza da questo papa gesuita (che tra l’altro non ha ancora visitato l’Università Gregoriana, diretta dai gesuiti), la Compagnia di Gesù rappresenta la linea teologica più vicina al modo di pensare di Francesco. L’Università Gregoriana ha ospitato un convegno su A Secular Age di Charles Taylor, che ha visto la presenza di intellettuali da tutto il mondo, compreso il cardinale Gianfranco Ravasi. Ancor più importante è la posizione della voce semi-ufficiale del Vaticano, La Civiltà Cattolica, diretta da Antonio Spadaro, SJ, il cui ruolo con Francesco è davvero simile a quello di Roberto Tucci, SJ (morto lo scorso aprile, cardinale) con Giovanni XXIII durante il Vaticano II.

Durante lo scorso anno, La Civiltà Cattolica ha pubblicato una serie di articoli su matrimonio e famiglia che offrivano importanti contributi al dibattito pastorale, teologico e biblico. Gli articoli sono stati ripubblicati come libro, Famiglia, un ospedale da campo, con un’introduzione di Spadaro. Francesco ha invitato il gruppo che si è occupato del sinodo del 2014 a gestire l’incontro di quest’anno, respingendo implicitamente le teorie del complotto diffuse da alcuni critici conservatori, come Edward Pentin, che ha appena pubblicato un libro dal titolo The Rigging of a Vatican Synod (I brogli di un sinodo vaticano). La posizione di importanti personaggi non è cambiata significativamente: non c’è stata alcuna “conversione sinodale” di spicco di leader della chiesa e nessun tentativo visibile di superare la distanza tra sostenitori di posizioni riformiste e tradizionaliste. Semmai, le posizioni si sono consolidate, con i riformatori che richiamano l’attenzione sui diversi modelli di famiglie bibliche e cristiane che si sono evidenziate nella storia e nella dottrina cattolica, mentre i loro oppositori difendono una teologia del matrimonio che essi ritengono conclusivamente definita da Giovanni Paolo II. Il fatto molto semplice è che il sinodo è il primo dibattito collegiale nella Chiesa cattolica sul matrimonio dopo il Concilio di Trento, quando il decreto Tametsi del 1563 “creò” il matrimonio moderno come un contratto sotto l’autorità della Chiesa (e in seguito dello Stato).

Francesco ha già scritto la prima pagina della storia post-sinodale con la sua decisione di inaugurare un “Giubileo Straordinario della Misericordia” alcune settimane dopo la chiusura del Sinodo. Cinquant’anni dopo il Concilio Vaticano II, e quindici anni dopo l’esplosione della crisi degli abusi sessuali, ciò che è in ballo non è solo il pontificato di Francesco, ma proprio l’idea di una chiesa in grado di gestire il cambiamento senza la minaccia di scisma. Il successo del sinodo non sarà valutato in base a revisioni da un giorno all’altro della dottrina ufficiale, ma piuttosto all’abilità della chiesa di procedere sulla base di un consenso, senza essere ossessionata dall’unanimità. Perché, se una riforma richiede l’unanimità, nessuna riforma passerà. In questo senso, l’agenda di questi sinodi è parte dell’attività non completata del Vaticano II, e il risultato di una resa dei conti, ostinatamente rinviata, con i temi della sessualità e della “vocazione” del matrimonio. Come ha rilevato recentemente Stephen Schloesser, SJ, il Vaticano II ha dichiarato “un armistizio con la modernità”. I “guerrieri culturali” cattolici hanno dichiarato la fine dell’armistizio immediatamente dopo il Vaticano II. Ma Francesco non è un “guerriero culturale” e vuole che l’armistizio del Vaticano II sia rinnovato.

Esattamente cinquant’anni fa, all’inizio della sessione finale del Vaticano II, il teologo Yves Congar,

OP, criticò Paolo VI per la mancanza di una teologia articolata per i suoi gesti ecumenici pionieristici ed innovativi. Il grande ecumenista Fr. Pierre Duprey ha dato una risposta intelligente e saggia: “Bisogna lasciare che il papa faccia gesti e mandi messaggi”, disse Duprey. “Se si dovessero formulare oggi le implicazioni di quei gesti e di quei messaggi, è probabile che Roma arretrerebbe rispetto a una simile formulazione di idee”. E concluse: “I gesti creeranno una consuetudine e quando si vedrà la cosa fatta, un giorno le formule potranno essere accettate”.

Il momento attuale non è molto diverso. Il pontificato di Francesco è in larga misura un tentativo di portare avanti l’ecumenismo all’interno della chiesa, suscitando misericordia tra cattolici di diverse sensibilità e filosofie. Riguarda la formulazione di un approccio a idee teologiche inserite nella realtà della vita coniugale e familiare moderna. I gesti di accettazione e di accoglienza che prefigurano quella eventuale formulazione teologica oggi non vengono solo dal papa, ma da genitori cattolici, da mariti e mogli, da figli e figlie, da fratelli e sorelle – e, spesso, da preti e suore che li conoscono e vivono in mezzo a loro. In questo particolare momento, il papa conta sul popolo di Dio tanto quanto sui suoi vescovi. Il sinodo è il modo scelto da Francesco per obbligare i vescovi ad ascoltarsi l’un l’altro – e ad ascoltare coloro che sono sposati e hanno famiglia. In questo senso, esso può forse segnare l’inizio di una chiesa più accogliente, una chiesa più collegiale e più sinodale di quanto qualsiasi lavoro di ingegneria ecclesiologica possa concepire. Questo può spiegare perché, nell’intraprendere una vera riforma della Chiesa, il papa ha deciso di cominciare con la famiglia – e allestire il più importante momento di discernimento ecclesiale dal Vaticano II.

prof. Massimo Faggioli www.commonwealmagazine.org, del 28 settembre 2015  con note

Traduzione     fine settimana 30 settembre 2015

finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=mese201509

            Una Chiesa farisaica?

            “Per i religiosi e le religiose, l’impegno ha un grande valore, anche se non ricevono un sacramento specifico. Perché non proporre l’impegno del matrimonio sotto un registro diverso da quello del sacramento? Non so se questa ipotesi sia praticabile nel caso di una seconda unione che, senza essere “sacramentale”, potrebbe dare il segno di un impegno reciproco duraturo”

Da diversi mesi la Chiesa è entrata in un percorso di riflessione sul tema della famiglia. Il metodo di lavoro messo in atto è complesso, ha bisogno di tempo, perché la Chiesa vuol dare la parola a tutte le persone coinvolte e sentire quello che si vive sul campo. Tra i grandi problemi, quello dell’accoglienza dei divorziati risposati è uno dei più dolorosi. Ecco ciò che fa problema: quando una coppia sposata in chiesa si separa e uno dei due coniugi vive una nuova storia affettiva con un’altra persona, non può ricevere una seconda volta il sacramento del matrimonio perché esso ha vocazione di esprimere l’impegno irrevocabile di Dio. Ma se una seconda unione non può ricevere di nuovo questa vocazione, non può in nessun modo diventare alla sua maniera e a certe condizioni, un luogo di grazia e di benedizione? La domanda dovrebbe essere posta.

Una questione dolorosa. Secondo aspetto del problema: la nostra Chiesa non ammette alla comunione eucaristica i divorziati risposati per la ragione che la loro nuova unione li mette oggettivamente in contraddizione con l’impegno che avevano preso l’uno verso l’altro davanti a Dio. Ci si può tuttavia chiedere se nessun possibile quando è diventato impossibile tornare alla prima unione. La non-ammissione ai sacramenti del perdono e della comunione non pone alcun caso di coscienza per le persone per le quali la pratica religiosa non ha importanza. Ma per gli altri, per coloro che si ritrovano nel messaggio cristiano, che si alimentano della Parola di Dio, che vengono a cercare la forza di affrontare la loro esistenza alla fonte dei sacramenti… Quale strazio sentirsi messi da parte dalla Chiesa, anche se si cerca di far ingoiare la pillola parlando di comunione di desiderio per dire che Dio non ha bisogno che si inghiotta un’ostia per essere presente nelle nostre vite. Il dramma è che coloro che si sentono feriti sono coloro per i quali la Buona Notizia è importanza e che cercano di viverla.

Tra fedeltà e perdono. Si può capire che non è possibile sottovalutare i sacramenti e dire che quello del matrimonio non ha valore, ma, come contrappeso a questa posizione di fedeltà al sacramento, come fare spazio alla dimensione del perdono e della misericordia? Quello che rimane impresso alle persone che si sentono condannate dalla Chiesa è che esse non sono più amabili agli occhi di Dio poiché sono simbolicamente escluse dai sacramenti. C’è una sorta di ingiustizia quando si sa che si può dare la comunione ad un assassino che si pente dei suoi crimini, ma non a una persona divorziata-risposata.

Può sembrare che ci sia una grande ipocrisia nel fatto che le persone infedeli o che vivono fuori dalla morale cristiana possono comunicarsi, mentre i divorziati risposati la cui situazione è pubblica e ufficiale, non possono. Di conseguenza si può supporre che una parte del problema sia nella notorietà pubblica. Ma che tristezza immaginare che è una questione di convenienze a dirigere la nostra vista sacramentale. Saremmo membri di una Chiesa farisaica, e sappiamo bene quanto Cristo sia entrato in conflitto con coloro che davano alle convenienze sociali e alle apparenze pubbliche la precedenza sulla Buona Notizia dell’amore di Dio offerto a tutti.

Quale segno dare? Ricordo che quando studiavo per diventare prete, il vescovo di Marsiglia, cardinale Robert Coffy, aveva confidato ad un piccolo gruppo di seminaristi, durante un incontro, il suo dolore per questo problema. Ci faceva notare la particolarità del sacramento del matrimonio: è l’unico sacramento che impegna due persone libere con Dio, mentre tutti gli altri sacramenti riguardano una sola persona di fronte a Dio. Il che comporta che, se il sacramento del matrimonio è rimesso in discussione da una delle due persone, l’altra si ritrova come una vittima collaterale della rottura del sacramento. Parlava perfino di una soluzione radicale: proporre che il matrimonio non fosse un sacramento, ma una benedizione, il che semplificherebbe molte cose. Per i religiosi e le religiose, l’impegno ha un grande valore, anche se non ricevono un sacramento specifico. Perché non proporre l’impegno del matrimonio sotto un registro diverso da quello del sacramento? Non so se questa ipotesi sia praticabile nel caso di una seconda unione che, senza essere “sacramentale”, potrebbe dare il segno di un impegno reciproco duraturo. Occorrerebbe in questo caso promuovere e accompagnare un cammino di conversione, pieno di speranza perché sfocerebbe sul sacramento del perdono e su quello dell’eucaristia.

La nostra missione. Vorrei che contribuissimo nella Chiesa a far sì che la Buona Notizia lo sia davvero per coloro che ne hanno maggiormente bisogno. Cerchiamo di assumere anche noi l’atteggiamento di Cristo che è venuto a vivere con ciascuno una relazione d’amore e di compassione. È la missione di tutti coloro che desiderano che Dio sia presente al mondo. Un bel programma.

Olivier Passela e Paul Bony, “www.baptises.fr” del 22 settembre 2015

Traduzione     fine settimana 30 settembre 2015

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=mese201509

Eucaristica e impedimenti canonici. Le persone divorziate nella comunione ecclesiale.

            Nell’attuale periodo storico, assume significative proporzioni un dibattito in merito alla situazione dei fedeli divorziati nella vita della Chiesa in generale, e in quella sacramentale in particolare. Ciò che addolora molte persone – questo è il punto cruciale – è il fatto di non poter ricevere la comunione avendo divorziato. Per la Chiesa, infatti, un fedele che si è sposato con matrimonio concordatario (religioso, con effetti civili), anche se ottiene il divorzio sul piano civile, non riceve dalla Chiesa alcun riconoscimento di nullità riguardo alla celebrazione del sacramento. Di conseguenza, egli non può – per la Chiesa – risposarsi, e non può ricevere la comunione versando in uno stato di peccato (non rispetto dell’indissolubilità del matrimonio). Inoltre, i divorziati risposati non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali.

Questa situazione, allo stato, è immutata. Sul piano pastorale, se si ammettessero i divorziati risposati all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.

In tale contesto, la riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che non si trovano in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi, e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza.

In tale contesto, da più parti, si tende a sollecitare una rilettura di tale realtà interna alla Chiesa, alla luce di varie considerazioni. Si chiede, in particolare, di discernere meglio le situazioni. Esiste, infatti, una differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.

A questo punto, avendo ricevuto molteplici richieste sull’argomento, abbiamo rivolto al prof. Pier Luigi Guiducci, storico della Chiesa, alcune domande. Queste le risposte.

D. Qual è la situazione dei separati riguardo alla comunione eucaristica?

Se rimangono single (non hanno in corso una convivenza), non ci sono impedimenti alla comunione. Specie per chi ha subìto la separazione. Con delle precisazioni.

            D. Quali?

Se una persona separata è responsabile in modo grave della situazione creatasi, ha l’obbligo di percorrere un itinerario di pentimento. Se nel suo agire ha causato sofferenze all’altro coniuge e ai figli, deve tentare – in qualche modo – di riparare a quanto commesso. Lo stesso soggetto, inoltre, non deve venir meno ai doveri verso i propri figli. Unitamente a ciò, se una persona separata, pur non convivendo, conduce uno stile di vita moralmente non approvato dalla Chiesa, non può ricevere l’Eucaristia.

D. E la situazione dei divorziati?

Esistono divorziati che non hanno iniziato una nuova convivenza o che non si sono sposati di nuovo con rito civile, e divorziati che lo hanno fatto.

            D. Il divorziato senza nuova convivenza o matrimonio civile.

Deve tener presente che il matrimonio religioso è un sacramento. Non può essere annullato. Può essere dichiarato nullo, ma si devono dimostrare i motivi. Ci si trova allora davanti a due realtà.

            D. Quali?

La prima, è legata alla persona che ha preso l’iniziativa. Che ha voluto divorziare per cancellare il suo matrimonio senza alcun ripensamento. Tale soggetto, con il suo comportamento, ha provocato dolore nell’altro coniuge. Può aver fatto soffrire anche i figli. Per comunicarsi deve dimostrare pentimento. E disponibilità ad affrontare percorsi di riparazione.

            D. Invece, chi ha subìto il divorzio.

Il coniuge che ha subìto il divorzio, o che ha dovuto accedervi per tutelare legittimi interessi propri o dei figli (senza avversione verso il matrimonio che venne celebrato, e nella convinzione di essere ancora davanti a Dio e alla Chiesa), può comunicarsi. Non deve, però, vivere more uxorio con un partner.

            D. Ma l’impedimento effettivo qual’è: il divorzio in sé, o la convivenza con altra persona post-divorzio?

L’aspetto nodale è uno: l’esistere di una convivenza o di un matrimonio civile. Tale scelta, ulteriore rispetto alla separazione o al divorzio, pone in una condizione di non sintonia con l’insegnamento del Signore Gesù sull’amore tra un uomo e una donna (santificato dal sacramento del matrimonio).

            D. Ne deriva un’esclusione dalla vita ecclesiale?

No. Prima di tutto non si giudica il foro interiore. Solo Dio scruta i cuori.

            D. E poi.

E poi, il fatto di non comunicarsi non implica un’esclusione dalla vita ecclesiale. Anche i divorziati risposati possono continuare a percorrere dei cammini di fede e a seguire le iniziative della propria comunità religiosa.

D. Perché non si può comunicare il coniuge che, pur non avendo alle spalle un matrimonio religioso, ha sposato civilmente una persona divorziata?

Perché il passo compiuto, accantona volutamente il precedente matrimonio religioso di un membro della coppia. Lo considera un fatto irrilevante.

            D. Prof. Guiducci, l’omicida, pentito e confessato, si può comunicare. Il divorziato risposato no. Anche se si rivela buon marito e valido genitore.

Sono due situazioni diverse. Nel primo caso, si presume pentimento, conversione, cambiamento (solo Dio conosce veramente l’intimo di ogni persona). Nella seconda situazione, non si ravvisa un pentimento. Esiste al contrario un “no”, responsabile e duraturo, al valore e agli effetti del sacramento.

D. Se il divorziato risposato cessa la convivenza con la persona sposata in seconde nozze civili che succede?

Se cessa la convivenza, se c’è separazione o divorzio dal matrimonio civile, o se muore uno dei partner, è possibile comunicarsi.

D. Se cessa la convivenza con la persona sposata in seconde nozze civili, ma il soggetto mantiene notoriamente relazioni extraconiugali, che succede?

In questo caso si valuta in termini di chiarezza. Di serietà. Di coerenza. Esiste una vita morale e religiosa in questa persona? Si riscontra un reale cammino di conversione?

D. Se il medesimo soggetto si trova in una situazione di notorietà personale tale da suscitare scandalo nella comunità ecclesiale.

Valgono gli interrogativi già detti.

D. Perché oggi esiste un dibattito sulla comunione ai divorziati? Sta cambiando qualcosa?

Non esiste un mutamento. C’è, al contrario, il desiderio di comprendere meglio i vissuti di ogni persona alla luce della Parola di Dio. La Chiesa è maestra. Ma è anche madre.

            D. Questa comprensione segue dei criteri?

Si cerca, prima di tutto, di non considerare i divorziati delle persone uscite dalla comunione ecclesiale. In forza del loro battesimo sono incorporati a Cristo.

D. E quindi.

Da qui l’esigenza di una vicinanza, di una prossimità, di mantenere porte aperte, evitando espressioni che possono ferire la dignità di ogni persona.

            D. Quindi l’accoglienza.

Non solo l’accoglienza. Si tratta di rivedere con queste persone l’iter dei loro vissuti. Dei passi compiuti. Degli ostacoli affrontati. Delle sofferenze subìte. Di individuare possibili cause di nullità matrimoniale. Di accompagnarle in un percorso di revisione del proprio stato di vita. Di star loro vicini nel colloquio con Dio Creatore e Padre.

            D. Quindi misericordia.

Vede, qui non si tratta di disegnare l’equazione misericordia=chiudere gli occhi su tutto. Misericordia vuol dire farsi carico dell’umanità dell’altro e, insieme a quest’ultimo, costruire un progetto di vita.

            D. In questa prospettiva, sono emerse delle voci che hanno offerto contributi.

Sì. È vero.

            D. Può tentare di riassumerle?

1] Esistono famiglie ferite bisognose di aiuto;

2] la comunione sacramentale, cui l’assoluzione apre di nuovo la strada, deve dare alla persona che si trova in una difficile situazione la forza per perseverare nel nuovo cammino;

3] sono i cristiani in situazioni difficili ad avere maggiore necessità di questa sorgente di forza che è per loro il Pane di Vita;

4] la via della misericordia ispira e non cancella la dottrina tradizionale della Chiesa anche in tema di famiglia e di matrimonio.

            D. Tali punti sono legati da un’idea centrale.

Sì. È questa: i sacramenti sono doni che Dio, attraverso Gesù, elargisce ai Suoi figli. Specie a quelli che vivono in situazioni di difficoltà e disagio a causa di fallimenti. Dolorose rotture. Cadute.

            D. Prof. Guiducci, esistono comunque anche altri contributi di pensiero che si orientano in modo diverso…

Sì. È vero.

            D. Può riassumerli…

In questi apporti si parte da un’idea: esiste un rapporto costitutivo tra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile.

            D. Questa linea ha degli sviluppi.

Sì, certamente.

1] La persona che ha compiuto scelte non approvate dalla Chiesa, e che vive in una realtà negativa per la Chiesa (errore), ha necessità di essere indirizzata verso il riconoscimento del valore del sacramento;

2] la Chiesa deve aiutare a guarire, non limitarsi a lenire in qualche modo delle ferite;

3] se c’è conversione personale, c’è un ritorno a una fedeltà coniugale. Ciò significa tornare indietro. E confermare il matrimonio-sacramento.

            D. Qualcuno afferma che siamo in presenza di uno scontro.

Non mi sembra. Siamo davanti a una lettura dei vissuti. E, contemporaneamente, nel silenzio orante, siamo in un momento di meditazione della Parola di Dio.

            D. Allora, c’è una possibilità di incontro tra tesi non omogenee?

I tanti ruscelli che dissetano le vite spirituali sgorgano tutti da un’unica fonte.

            D. Concretamente.

Vede, da una parte è stato evidenziato l’aspetto della “medicina” (l’Eucaristia dona forza spirituale). Dall’altra, è stato ricordato che il matrimonio-sacramento costituisce una realtà seria (i ministri del matrimonio religioso sono gli sposi; il loro “sì” è davanti a Dio; ci sono responsabilità reciproche e verso i figli).

Si tratta, allora, di coniugare insieme questi due aspetti. Percorrendo possibili strade:

-la verifica dei casi di nullità;

-l’approfondimento della vita religiosa di ogni persona;

-l’analisi dei crolli personali legati a responsabilità altrui;

-la comunione spirituale;

-l’individuazione di itinerari di riconciliazione o vie penitenziali. Ciò potrebbe condurre a una possibilità.

            D. Quale?

Il cammino penitenziale, coinvolgendo la responsabilità del vescovo diocesano, potrebbe condurre a un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari, ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste.

Intervista di Carlo Mafera   21 settembre 2015

https://carlomafera.wordpress.com/2015/09/21/vita-eucaristica-e-impedimenti-canonici-le-persone-divorziate-nella-comunione-ecclesiale/?utm_campaign=quotidiano&utm_content=[ZI151002]%20Il%20mondo%20visto%20da%20Roma&utm_medium=email&utm_source=dispatch&utm_term=Classic

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

            Milano 2. Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli.    Progetti e ricerche.

Il 2015 sarà l’ultimo anno del progetto cofinanziato dal CAV e dalla Fondazione Stavros Niarchos. Avviato nel gennaio 2013, ha sostenuto dapprima 50 nuclei familiari in difficoltà, quindi 75 famiglie bisognose nel 2014. Quest’ultimo anno si chiuderà in bellezza col sostegno psicologico ed economico di ben 100 nuclei familiari.

            Delle donne assistite nel 2014, il 90% è rappresentato da extracomunitari (provenienti da 16 paesi del mondo), mentre il 10% da donne italiane.

Pubblicato lo studio sulla depressione post-partum. Già inserita a febbraio in Expo, l’importante relazione è stata presentata ufficialmente a luglio al Congresso Internazionale EMDR di Milano

            E’ stato pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Advanced Nursing Studies uno studio effettuato dall’Unità di Psicologia Perinatale del CAV Mangiagalli, sotto la supervisione della dott.ssa M. Caterina Cattaneo. Lo studio è finalizzato a individuare in fase precoce un rischio di depressione post-partum e dimostrare l’importanza della scala EPDS (Edimburgh Postnatal Depression Scale).

            Da circa un anno, all’interno dei reparti Nido e Puerperio della clinica Mangiagalli, è in corso la sperimentazione dell’approccio terapeutico EMDR (Eye Movement Desensitization And Reprocessing) applicato all’allattamento e al trauma da parto. L’EMDR è una nuova, valida via per implementare le risorse di una persona impegnata in una prestazione topica come l’allattamento. Permette di sciogliere i nodi emotivi che possano ostacolare la costruzione di una buona relazione mamma-bambino.         Lo studio è stato citato all’intero della Carta dei Servizi Expo ed è stato presentato al 16° Congresso Internazionale EMDR che si è svolto a Milano l’11 luglio 2015 presso MiCo, via Gattamelata.

            Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli  Newsletter n. 96     2 ottobre 2015

vedi inoltre       www.cavmangiagalli.it/#!news/ca3z

            Parma. Essere genitori.

Incontriamoci e condividiamo pensieri sull’essere genitori per far star bene i nostri figli.

Famiglia più Onlus sostiene le famiglie nel loro percorso di crescita. Promuove incontri individuali gratuiti e di gruppo finalizzati alla comprensione delle esperienze emotive che si vivono in famiglia.

Ciclo di tre incontri dedicati alle giovani famiglie (Laboratorio Famiglia in Oltretorrente vicolo Grossardi 4/A,

alle ore 17,30.

  1. 14 ottobre prof. Margherita Campanini “Come sopravvivere alla nascita di un figlio”
  2. 21 ottobre dr Micaela Fusi “Essere in relazione con i propri figli nel percorso di crescita”
  3. 29 ottobre dr Silvia Levati “Che bambino sono stato io e che bambino sarai tu…”

                                                                                                                     http://www.famigliapiu.it/

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DALLA NAVATA

27° domenica del tempo ordinario – anno B -4 ottobre 2015.

Genesi               02.18 «Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda.”.»

Salmo              128, 08 «Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!»

Ebrei                 02, 11 «Per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.»

Marco               10, 16 «E, prendendoli tra le braccia [i bambini], li benediceva, imponendo le mani su di loro

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DIRITTI E DOVERI

Servizi sociali in Europa: interesse del minore prima di tutto.

            Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato, il 18 settembre 2015, la risoluzione CM/AS(2015)2068 sui “servizi sociali in Europa: legislazione e pratiche relative all’allontanamento dei bambini dalle famiglie nei Paesi membri del Consiglio d’Europa”(CM). Il Comitato segue quanto deciso dall’Assemblea parlamentare e il rapporto presentato il 13 marzo 2015 (Doc. 13730, social services report) nel quale, affermato il diritto del bambino ad essere protetto da tutte le forme di violenza, fisica, sessuale o psicologica, si riconosce il diritto a non essere separato dalla propria famiglia.

In quasi tutti i Paesi il minore è ascoltato dalle autorità competenti ma in alcuni Stati come Germania, Italia, Estonia, Lituania, Polonia e Serbia non è consentito il ricorso giurisdizionale avverso le decisioni dei servizi sociali. Nel rapporto, che si sofferma anche sull’adozione, si sottolinea l’assenza di statistiche complete da parte degli Stati anche se è possibile individuare due diverse tendenze: da un lato, i servizi sociali talvolta adottano decisioni di allontanamento troppo rapidamente senza fornire un sostegno adeguato e preliminare a famiglie e genitori, disponendo in alcuni casi l’adottabilità, dall’altro lato i servizi sociali sono in alcuni casi lenti e o restituiscono i minori con troppa fretta alle famiglie. Se, poi, sul piano formale gli Stati hanno legislazioni adeguate agli standard internazionali, sul piano pratico si evidenziano lacune sul piano dell’effettività, che devono essere risolte proprio per proteggere minori e famiglie.

            Marina Castellaneta.             2 ottobre 20915

www.marinacastellaneta.it/blog/servizi-sociali-in-europa-interesse-del-minore-prima-di-tutto.html

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Fecondazione: embrione ‘comunica’ con madre anche se ovuli donati.

            L’embrione ‘parla’ con la mamma e interagisce con lei a livello genetico, anche se gli ovuli sono stati donati da un’altra donna. Questo il risultato di uno studio della Fondazione Ivi, secondo cui la futura madre è in grado di modificare il genoma del figlio anche quando l’ovulo è di un’altra donna.

            Le abitudini materne sono quindi fondamentali nello sviluppo embrionale e possono portare ad alterazioni nel genoma dell’embrione, spiegano su ‘Development’ Felipe Vilella e Carlos Simón di Ivi.

            “Questa scoperta ci dimostra che esiste uno scambio tra endometrio ed embrione, cosa che già sospettavamo a causa della coincidenza tra alcune caratteristiche fisiche tra madri e figli nati da ovo-donazione e dell’incidenza di alcune malattie infantili legate a patologie materne durante la gestazione come obesità o tabagismo”, afferma Daniela Galliano, direttore del centro Ivi di Roma.

            Alcune condizioni nelle quali si possono trovare le donne finiscono per modificare le loro cellule, anche quelle dell’endometrio. Questo fa sì che il fluido endometriale cambi e che nella sua secrezione venga rilasciata l’informazione genetica della madre assorbita poi dall’embrione. “Questa comunicazione può portare al fatto che nell’embrione si esprimano o si inibiscano specifiche funzioni, dando così luogo a delle modifiche. Il che spiega il processo di trasmissione di malattie come il diabete o l’obesità”, sottolinea Galliano.

            “Questa pubblicazione apre la porta alla possibilità di evitare alcune tipologie di malattie, quando la loro causa è epigenetica. Sapendo che esiste questo tipo di trasmissione – conclude – in futuro saremo in grado di evitarla. Nei Paesi nei quali è permessa la maternità surrogata, inoltre, si potrà dare più importanza alla conoscenza delle abitudini, precedenti alla gestazione, della madre”.

AdnKronos Salute     22 settembre 2015     www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=30294

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FIGLI MINORI

Separazione: i figli minori vanno sempre ascoltati.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 19327, 29 settembre 2015.

Anche al di sotto di 12 anni, i figli minori che dimostrino capacità di discernimento devono essere ascoltati in tutti i procedimenti giudiziari che li riguardano, compresa la causa di separazione dei genitori.

            Nell’ipotesi di una causa di separazione tra i genitori, il figlio minore, anche se di età inferiore a 12 anni (in questo caso, però, solo se il giudice lo ritenga capace di discernimento), deve essere ascoltato. E questo perché egli ha il diritto di dire la sua in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Lo ricorda la Cassazione.

            La riforma dell’adozione del 2001 e quella sull’affidamento condiviso del 2006 hanno stabilito espressamente l’obbligo, per il giudice, di disporre l’audizione del minore dai 12 anni in su, ma anche di età inferiore, se capace di discernimento (per capacità di discernimento si intende consapevolezza e comprensione limitatamente all’audizione stessa, e una vera e propria capacità). Dunque, il magistrato è tenuto necessariamente a tale incombenza, non trattandosi di una semplice facoltà.

            In passato la stessa Cassazione ha confermato la sussistenza di tale obbligo a pena di nullità della sentenza; è comunque possibile che il minore venga sentito da un consulente o dal personale dei servizi sociali [sentenza n. 11687/2013].

Oggi il codice civile prevede una norma apposita per l’ascolto del minore [art. 336 bis cod. civ.]: il minore dodicenne o di età inferiore, se capace di discernimento secondo il giudice, viene ascoltato da quest’ultimo in tutti i procedimenti in cui si assumono provvedimento che riguardano il bambino, salvo che l’audizione sia in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superflua, ma in tali ipotesi il giudice dovrà dare atto con provvedimento motivato.

            E così il figlio ha diritto di dire la sua su quale dei due genitori preferisce per la sua stabile collocazione (ossia la convivenza e la residenza); le sue dichiarazioni, poi, saranno importanti ai fini della decisione sull’affidamento, per valutare eventuali colpe o meriti di uno o di entrambi i genitori.

Redazione LpT          30 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/97927_separazione-i-figli-minori-vanno-sempre-ascoltati

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

                        Papa: difendiamo la famiglia, lì si gioca il nostro futuro.

Curiamo, difendiamo la famiglia perché lì si gioca il nostro futuro. Così il Papa alla grande festa delle famiglie nel Meeting Mondiale di Philadelphia e nella Veglia di preghiera. Per Francesco la famiglia è fabbrica di speranza, di vita e di resurrezione perché voluta da Dio. “Senza la cura di bambini e nonni” – dice – non c’è forza e memoria. Migliaia le persone presenti che hanno acclamato il Pontefice lungo tutto il tragitto che lo ha portato dal Seminario San Carlo Borromeo fino al grande palco del Benjamin Franklin Parkway. Una festa dello spirito immersa nella musica, colori, balli e testimonianze. Il calore, l’amore, la gioia delle famiglie di tutto il mondo si sono riflessi nella commozione e nei sorrisi del Papa che ha ascoltato e pregato anche attraverso la vita di uomini e donne guidati dalla fede. (…)

Ha letto davanti al Papa Gianna Emanuela Molla, la figlia della santa Gianna Beretta Molla che, insieme a san Giovanni Paolo II, è patrona del Meeting Mondiale delle Famiglie. (…)

Società forte e famiglia. Il Papa, in un discorso tutto a braccio, subito esprime gratitudine per le testimonianze autentiche, per l’arte: “vie che portano a Dio”. “Dios es bueno, Dios es bello, Dios es verdad.

Dio è buono, bello, e verità – ha rimarcato – La famiglia è voluta da Dio”: “Una sociedad crece fuerte, crece buena, crece hermosa y crece verdadera si se edifica sobre. Una società cresce forte, buona, bella e vera se è costruita sul fondamento della famiglia”.

Creazione e la famiglia. Il Papa condivide una domanda che una volta gli pose un bambino: “Cosa faceva Dio prima di creare il mondo”? “Antes de crear el mundo, Dios amaba porque Dios es amor, …

Prima di creare il mondo, Dio ha amato, perché Dio è Amore”. “Un amore così grande e travolgente” “che creò il mondo”. Una meraviglia – dice il Papa – che stiamo anche “distruggendo”. “Dio ha dato tutto” all’uomo: “Todo el amor que Dios tiene en sí, toda la belleza que Dios tiene en sí, …Tutto l’amore che Dio ha in sé, tutta la bellezza che Dio ha in sé, tutta la verità che Dio ha in sé, li consegna alla famiglia”.

Le braccia aperte della famiglia. Francesco spiega che una famiglia è veramente tale quando è in grado di “aprire le braccia” e ricevere tutto questo amore. Il Papa parla della divisione posta nell’uomo: il “primo fratricidio”, le guerre … “ma sta a noi – prosegue – decidere”, “scegliere” quale strada percorrere.

Dio non abbandona, e anche dopo il tradimento di Adamo ed Eva accompagna l’umanità fino a donare suo Figlio. Il Papa parla della “bellezza” del cuore aperto, come quello di Maria e Giuseppe: “una famiglia che aveva un cuore aperto all’amore”:

Dio cerca la famiglia. “Dios siempre golpea las puertas de los corazones. Dio sempre bussa alle porte dei cuori”. A Dio – aggiunge – “piace bussare alle porte delle famiglie”, trovarle “insieme” e desiderose di cercare altre famiglie: così si crea una società “di bontà, verità e bellezza”. Per Francesco, la famiglia ha una lettera di “cittadinanza divina” ed è fondata “sull’amore, la bellezza e la verità”.

“En la familia hay dificultades, Nella famiglia ci sono difficoltà …”. … le liti, la “stanchezza” – aggiunge – ma è sempre una “fabbrica di speranza, risurrezione e vita”, perché voluta da Dio.

I bambini e nonni. Parla poi dei “bambini e giovani” che sono il futuro, e dei nonni che sono memoria: “Son los que nos dieron la fe, … Sono loro che ci hanno dato la fede, che ci hanno trasmesso la fede”. “Cuidar a los abuelos y cuidar a los niños es la muestra de amor, … La cura dei nonni – dice – e la cura dei bambini sono il segno dell’amore. Un popolo che non sa come prendersi cura dei bambini e dei nonni è senza futuro, perché – spiega – “non ha la forza e non ha la memoria”.

Defendemos la familia porque ahí se juega nuestro futuro. Noi difendiamo la famiglia, perché è in gioco il nostro futuro”. Il Papa ancora una volta accarezza e consiglia: “Mai bisogna chiudere la giornata con la lite”, fiduciosi che Dio ci incoraggia e ci protegge.

Dopo l’intervento del Papa, l’arcivescovo della città della Liberty Bell e dei murales, mons. Charles Joseph Chaput, ha parlato di “momento speciale nel tempo, che mai sarà dimenticato”. Sul palco sono stati portati tre pannelli di un gigantesco murale, al quale uomini, donne, bambini e anziani hanno lavorato tutta l’estate e che sarà montato sulla facciata della scuola “San Malachia”.

Il Papa ha completato l’opera dando l’ultima pennellata e apponendo la sua firma. Poi l’emozionante esecuzione del Padre Nostro di Andrea Bocelli.

Lottare per la famiglia. Prima della benedizione il Papa ha pregato la Vergine Maria e invocato la protezione di San Giuseppe per le “famiglie” perché – ha detto – “ci aiutino a credere che vale lottare per la famiglia”.

Massimiliano Menichetti       27 settembre 2015    http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Papa in aereo: muri non sono soluzione, obiezione coscienza è diritto.

(…)      . “Mi ha sorpreso il calore della gente”. Papa Francesco esordisce così nella conferenza stampa ritornando all’accoglienza ricevuta negli Stati Uniti. Sono stato colpito, ha detto, “dalla bontà, dall’accoglienza” nelle cerimonie religiose e anche “dalla pietà, dalla religiosità”, si “vedeva pregare la gente – ha detto – e questo mi ha colpito molto”. (…)

Gli abusi sessuali sono un “sacrilegio”, non coprirli mai più. Francesco ha dunque risposto ad una domanda sugli abusi sessuali perpetrati da parte di membri del clero. Il Pontefice mette l’accento sulla “grande tribolazione” che ha colpito l’episcopato americano al quale si è rivolto a Washington. Tanti di loro, commenta, “hanno sofferto” per questa “cosa bruttissima”, “uomini di Chiesa, di preghiera, veri pastori”. Quindi, ribadisce con parole inequivocabili quanto siano gravi questi abusi che definisce “un sacrilegio”. Quando “un sacerdote commette un abuso – avverte – è gravissimo, perché la vocazione del sacerdote è far crescere quel bambino” verso “l’amore di Dio, verso la maturità affettiva, verso il bene” e invece di fare questo lo schiaccia: “E per questo è quasi un sacrilegio. E lui ha tradito la vocazione, la chiamata del Signore. Per questo la Chiesa, in questo momento, è forte, in questo: anche non si deve coprire, anche sono colpevoli quelli che hanno coperto queste cose! Anche alcuni vescovi che hanno coperto questo! E’ una cosa bruttissima. E le parole di conforto, non sono a dire: ‘Ma, stai tranquillo, non è niente!’: no, no, no! Sono state quello, ma ‘è stato tanto brutto e io mi immagino che voi abbiate pianto tanto’: in quel senso sono state le parole. E oggi ho parlato duro”.

Comprendere chi non riesce a perdonare gli abusi Francesco non manca poi di parlare del perdono in queste drammatiche situazioni. A riguardo dei sacerdoti che non chiedono perdono per i proprio crimini, il Papa sottolinea che se un “sacerdote è chiuso al perdono, non lo riceve perché ha chiuso la porta a chiave da dentro, e quello che resta è pregare, perché il Signore apra quella porta”. Diversa è la questione per chi è stato abusato o i familiari che non riescono a perdonare. “Li comprendo – afferma – prego per loro e non li giudico. Non li giudico, prego per loro”. Una volta, confida, ho incontrato diverse persone, e una donna mi ha detto: “Quando mia madre è venuta a sapere che avevano abusato di me, ha bestemmiato contro Dio, ha perso la fede ed è morta atea”. “Io – dice il Papa – comprendo quella donna. La comprendo. E Dio che è più buono di me la comprende.” (…).

Non esiste un “divorzio cattolico”, matrimonio è indissolubile. Il Pontefice parla ampiamente della famiglia, in vista del prossimo Sinodo, e in particolare della riforma sulla nullità matrimoniale. “Quelli che pensano al ‘divorzio cattolico’ – sottolinea Francesco – sbagliano perché questo ultimo documento ha chiuso la porta al divorzio che poteva entrare – era più facile – per la via amministrativa. Sempre ci sarà la via giudiziale”. I processi, aggiunge, “cambiano”, la “giurisprudenza cambia in meglio, si migliora sempre”. “I Padri sinodali – ribadisce – hanno chiesto questo: lo snellimento dei processi di nullità matrimoniale”:

“Questo documento, questo Motu Proprio facilita i processi nei tempi, ma non è un divorzio, perché il matrimonio è indissolubile quando è sacramento, e questo la Chiesa no, non lo può cambiare. E’ dottrina. E’ un sacramento indissolubile. Il procedimento legale è per provare che quello che sembrava sacramento non era stato un sacramento: per mancanza di libertà, per esempio, o per mancanza di maturità o per malattia mentale … tanti sono i motivi che portano, dopo uno studio, un’indagine, a dire: ‘No, lì non è stato sacramento, per esempio, perché quella persona non era libera’.”.

A Buenos Aires, rileva, per molti quando una fidanzata rimaneva incinta doveva sposarsi. Io, rammenta, “ai sacerdoti consigliavo – ma con forza, quasi proibivo di fare il matrimonio in queste condizioni. Noi li chiamiamo ‘matrimoni di fretta’ per salvare le apparenze”. Rivolge poi l’attenzione al “problema delle seconde nozze, dei divorziati che fanno una nuova unione”. “A me – annota il Papa – sembra un po’ semplicistico” dire che “la soluzione per questa gente è che possano fare la Comunione. Questa non è la soluzione”. Anche il problema delle “nuove unioni dei divorziati: non è l’unico problema”, ammonisce e invita a leggere l’Instrumentum Laboris. “Per esempio: i giovani non si sposano, non vogliono sposarsi. E’ un problema pastorale per la Chiesa. Un altro problema: la maturità affettiva per il matrimonio”.

Il Sinodo, riprende, “deve pensare bene come fare la preparazione al matrimonio: è una delle cose più difficili”: “E ci sono tanti problemi … Ma, tutti sono elencati nell’Instrumentum Laboris. Ma mi piace che lei mi abbia fatto la domanda sul ‘divorzio cattolico’: no, quello non esiste. O non è stato matrimonio – e questa è nullità, non è esistito – e se è esistito è indissolubile. Quello è chiaro”. (…)

 “Io amo il popolo cinese; gli voglio bene. Io mi auguro che ci siano le possibilità di avere buoni rapporti… Buoni rapporti! Ne abbiamo contati, ne parliamo… Andare avanti. Ma per me avere un Paese amico come la Cina, che ha tanta cultura e tanta possibilità di fare bene, sarebbe una gioia”.

Alessandro Gisotti  28 settembre 2015        http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Valori ma anche attenzione a umanità ferita: così il Papa apre il Sinodo.

La Chiesa difende i valori fondamentali, senza dimenticare l’umanità ferita: questo, in sintesi, il cuore dell’omelia di Papa Francesco per la Messa inaugurale del XIV Sinodo generale ordinario sulla famiglia, celebrata nella Basilica Vaticana, insieme con numerosi Padri Sinodali. Il Papa ha ribadito l’indissolubilità del vincolo coniugale, esortando al contempo la Chiesa ad accogliere con misericordia le coppie ferite.

Nel mondo globalizzato, i cuori sono sempre più vuoti. Il dramma della solitudine, l’amore tra uomo e donna, la famiglia: sono i tre assi portanti dell’omelia del Papa. Nel “paradosso di un mondo globalizzato”, dice, ci sono tante abitazioni lussuose, ma sempre meno il calore della casa e della famiglia; tanto divertimento, ma sempre più vuoto nel cuore; tanti piaceri, ma poco amore; tanta libertà, ma poca autonomia. Ecco, allora, che la solitudine colpisce gli anziani, i vedovi, i coniugi abbandonati, le persone incomprese ed inascoltate, quelle chiuse nell’egoismo, nella violenza, dello schiavismo del ‘dio denaro’; i migranti ed i profughi in fuga da guerre e persecuzioni, i giovani vittime della cultura del consumismo e dello scarto. E la famiglia, sottolinea il Pontefice, è l’icona di questa realtà in cui c’è “sempre meno serietà nel portare avanti un rapporto solido e fecondo di amore”: Dio ha creato l’uomo per la felicità e l’amore “L’amore duraturo, fedele, coscienzioso, stabile, fertile è sempre più deriso e guardato come se fosse roba dell’antichità. Sembrerebbe che le società più avanzate siano proprio quelle che hanno la percentuale più bassa di natalità e la percentuale più alta di aborto, di divorzio, di suicidi e di inquinamento ambientale e sociale”.

Al contrario – spiega il Pontefice – è proprio l’amore tra uomo e donna a cancellare la solitudine, perché Dio ha creato l’essere umano “per la felicità”, “per vivere la stupenda esperienza dell’amore, cioè amare ed essere amato”, “per vedere il suo amore fecondo nei figli”: “Nulla rende felice il cuore dell’uomo come un cuore che gli assomiglia, che gli corrisponde, che lo ama e che lo toglie dalla solitudine e dal sentirsi solo (…) Ecco il sogno di Dio per la sua creatura diletta: vederla realizzata nell’unione di amore tra uomo e donna; felice nel cammino comune, feconda nella donazione reciproca”.

Obiettivo della vita coniugale è amarsi per sempre. “Di fronte alla folla che lo seguiva e che praticava il divorzio come realtà consolidata e intangibile” continua il Papa, Gesù insegna che “Dio benedice l’amore umano” e unisce “nell’indissolubilità” i cuori di “un uomo ed una donna che si amano”: “Ciò significa che l’obiettivo della vita coniugale non è solamente vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre!”

Matrimonio non è utopia adolescenziale. L’uomo sogna amore autentico. Solo alla luce dell’amore insegnato da Gesù, quell’amore folle di gratuità, appare comprensibile anche “la follia della gratuità di un amore coniugale unico e fino alla morte”, che supera individualismo, gretto egoismo e legalismo, perché in fondo gli uomini hanno “sete di infinito”: “Per Dio il matrimonio non è utopia adolescenziale, ma un sogno senza il quale la sua creatura sarà destinata alla solitudine! (…) Paradossalmente anche l’uomo di oggi – che spesso ridicolizza questo disegno – rimane attirato e affascinato da ogni amore autentico, da ogni amore solido, da ogni amore fecondo, da ogni amore fedele e perpetuo. Lo vediamo andare dietro agli amori temporanei ma sogna l’amore autentico; corre dietro ai piaceri carnali ma desidera la donazione totale”.

Difendere indissolubilità matrimonio, accogliere con misericordia coppie ferite. In questo “contesto sociale e matrimoniale assai difficile”, dunque, il Papa ricorda che la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione “nella fedeltà, nella verità e nella carità”. “Vivere la sua missione nella fedeltà al suo Maestro (…) per difendere la sacralità della vita, di ogni vita; per difendere l’unità e l’indissolubilità del vincolo coniugale come segno della grazia di Dio e della capacità dell’uomo di amare seriamente. Vivere la sua missione nella verità che non si muta secondo le mode passeggere o le opinioni dominanti, che protegge l’uomo e l’umanità dalle tentazioni dell’autoreferenzialità e dal trasformare l’amore fecondo in egoismo sterile, l’unione fedele in legami temporanei. (…) E la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri, ma – fedele alla sua natura di madre – si sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia”.

Chiesa ospedale da campo: porte aperte per chi bussa e chiede aiuto. La Chiesa deve essere “ospedale da campo” – dice ancora il Papa – avere le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; deve “uscire dal proprio recinto” per “camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente di salvezza”: “Una Chiesa che insegna e difende i valori fondamentali (…) Una Chiesa che educa all’amore autentico, capace di togliere dalla solitudine, senza dimenticare la sua missione di buon samaritano dell’umanità ferita”.

Chi sbaglia va compreso ed amato. Chiesa sia ponte e non barriera. “L’errore ed il male devono essere sempre condannati e combattuti; ma l’uomo che cade o che sbaglia deve essere compreso ed amato”, conclude il Pontefice, citando san Giovanni Paolo II. La Chiesa, allora, deve cercare, accogliere ed accompagnare “l’uomo del nostro tempo” per non tradire se stessa e la sua missione di essere ponte, e non barriera. Infine, il Papa affida i lavori del Sinodo all’intercessione della Vergine Maria e di San Giuseppe.

Isabella Piro   Radio vaticana – 4 ottobre. 2015   http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

            I testi ufficiali del viaggio nell’America del nord in

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/travels/2015/outside/documents/papa-francesco-cuba-usa-onu-2015.html

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september.index.html

Sei consigli imperdibili di papa Francesco alle famiglie durante il suo viaggio negli USA

Si è da poco conclusa la visita di papa Francesco negli Stati Uniti, nella quale ha partecipato all’Incontro Mondiale delle Famiglie di Philadelphia. Durante la sua visita, il pontefice ha espresso chiaramente l’atteggiamento della Chiesa nei confronti del matrimonio come istituzione, sottolineandone l’importanza in molti dei suoi discorsi, nelle omelie e nella conferenza stampa sul volo di ritorno a Roma (che raccomando di leggere perché sia chiaro il tema del “divorzio cattolico” di cui si è parlato tanto in quest’ultimo periodo). Vi lascio una pista: “(…) il matrimonio è indissolubile quando è sacramento, e questo la Chiesa no, non lo può cambiare. È dottrina. È un sacramento indissolubile”.

Il tema della famiglia è sulla bocca di tutti e ci sono moltissime aspettative al riguardo, in vista del Sinodo della famiglia che si svolgerà a ottobre. Vogliamo anticipare un po’ questa riunione importante presentando alcune delle frasi di maggior rilievo pronunciate dal papa a Philadelphia. Preghiamo molto per il prossimo Sinodo della famiglia!

  1. Dio bussa alle porte della famiglia. “Dio bussa sempre alle porte dei cuori. Gli piace farlo. Gli viene da dentro. Ma sapete quello che gli piace di più? Bussare alle porte delle famiglie. E trovare le famiglie unite, trovare le famiglie che si vogliono bene, trovare le famiglie che fanno crescere i figli e li educano, e che li portano avanti, e che creano una società di bontà, di verità e di bellezza”.
  2. La famiglia ha la carta di cittadinanza divina. “Siamo alla festa delle famiglie. La famiglia ha la carta di cittadinanza divina. E’ chiaro? La carta di cittadinanza che ha la famiglia l’ha data Dio perché nel suo seno crescessero sempre più la verità, l’amore e la bellezza. Certo, qualcuno di voi mi può dire: ‘Padre, Lei parla così perché non è sposato. In famiglia ci sono difficoltà. Nelle famiglie discutiamo. Nelle famiglie a volte volano i piatti. Nelle famiglie i figli fanno venire il mal di testa. Non parliamo delle suocere…’. Nelle famiglie sempre, sempre c’è la croce. Sempre. Perché l’amore di Dio, il Figlio di Dio ci ha aperto anche questa via. Ma nelle famiglie, dopo la croce, c’è anche la risurrezione, perché il Figlio di Dio ci ha aperto questa via. Per questo la famiglia è – scusate il termine – una fabbrica di speranza, di speranza di vita e di risurrezione, perché è Dio che ha aperto questa via”.
  3. I bambini e i nonni: due aspetti della famiglia che dobbiamo tenere in una considerazione speciale. “I bambini e i giovani sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza. I nonni sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno dato la fede, ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore, non so se più grande, ma direi più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e un popolo che non sa prendersi cura dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti”.
  4. Come la felicità, la santità è sempre legata ai piccoli gesti. “’Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome – dice Gesù, piccolo gesto – non perderà la sua ricompensa’ (Mc 9,41). Sono gesti minimi, che uno impara a casa; gesti di famiglia che si perdono nell’anonimato della quotidianità, ma che rendono ogni giorno diverso dall’altro. Sono gesti di madre, di nonna, di padre, di nonno, di figlio, di fratello. Sono gesti di tenerezza, di affetto, di compassione. Gesti come il piatto caldo di chi aspetta a cenare, come la prima colazione presto di chi sa accompagnare nell’alzarsi all’alba. Sono gesti familiari. E’ la benedizione prima di dormire e l’abbraccio al ritorno da una lunga giornata di lavoro. L’amore si esprime in piccole cose, nell’attenzione ai dettagli di ogni giorno che fanno sì che la vita abbia sempre sapore di casa. La fede cresce quando è vissuta e plasmata dall’amore. Perciò le nostre famiglie, le nostre case sono autentiche Chiese domestiche: sono il luogo adatto in cui la fede diventa vita e la vita cresce nella fede… Come stiamo lavorando per vivere questa logica nelle nostre famiglie e nelle nostre società?”
  5. Aprirsi per il bene della famiglia ai miracoli dell’amore. “Magari fossimo tutti profeti! Magari ciascuno di noi si aprisse ai miracoli dell’amore per il bene della propria famiglia e di tutte le famiglie del mondo – e sto parlando di miracoli d’amore –, e per poter così superare lo scandalo di un amore meschino e sfiduciato, chiuso in sé stesso, senza pazienza con gli altri! Vi lascio come domanda, perché ciascuno risponda – perché ho detto la parola ‘impaziente’: a casa mia, si grida o si parla con amore e tenerezza? E’ un buon modo di misurare il nostro amore”.
  6. Le famiglie siano profeti della gioia del Vangelo. “Dio conceda a tutti noi di essere profeti della gioia del Vangelo, del Vangelo della famiglia, dell’amore della famiglia, essere profeti come discepoli del Signore, e ci conceda la grazia di essere degni di questa purezza di cuore che non si scandalizza del Vangelo

Aleteia 30 settembre 2015

http://it.aleteia.org/2015/09/30/6-consigli-imperdibili-di-papa-francesco-alle-famiglie-durante-il-suo-viaggio-negli-usa/?utm_campaign=NL_it&utm_source=topnews_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-10/01/2015

Famiglia: da “valore non negoziabile” a “negozio di quartiere”.

I “discorsi americani” di Francesco e i registri del linguaggio magisteriale. Tra le sorprendenti esperienze scaturite dal Viaggio Apostolico a Cuba e negli USA, molto abbiamo potuto scoprire della forza della “retorica” di Francesco. I suoi discorsi sono caratterizzati da una grande potenza di immagini, nelle quali la fede e la cultura trovano modo di dialogare, ora seriamente, ora ironicamente, ora in modo “alto” e ora in modo “basso”. Molti possono essere gli esempi e forse per comprenderli bisognerebbe ricordare con quanta cura Jorge Mario Bergoglio abbia studiato e frequentato i classici della letteratura e abbia collaborato con J. L. Borges. Ma basti citare un esempio. Nel discorso ai Vescovi nel Seminario San Carlo di Philadelphia, Francesco ha proposto una “lunga similitudine”, per spiegare in che modo i mutamenti sociali – e commerciali – hanno cambiato il modo di concepire i legami familiari. Ecco il testo integrale di quel lungo passaggio, comprese anche le parole dette “a braccio”:

 https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-francesco_20150927_usa-vescovi-festa-famiglie.html

“Naturalmente, la nostra comprensione, plasmata sull’integrazione della forma ecclesiale della fede e dell’esperienza coniugale della grazia, benedetta dal sacramento, non deve farci dimenticare la profonda trasformazione del quadro epocale, che incide sulla cultura sociale – e ormai purtroppo anche giuridica – dei legami familiari e che ci coinvolge tutti, credenti e non credenti. Il cristiano non è “immune” dai cambiamenti del suo tempo, e questo mondo concreto, con le sue molteplici problematiche e possibilità, è il luogo in cui dobbiamo vivere, credere e annunciare. Tempo fa, vivevamo in un contesto sociale in cui le affinità dell’istituzione civile e del sacramento cristiano erano corpose e condivise: erano tra loro connesse e si sostenevano a vicenda

Ora non è più così. Per descrivere la situazione attuale sceglierei due immagini tipiche delle nostre società: da una parte, le note botteghe, piccoli negozi dei nostri quartieri, e dall’altra i grandi supermercati o centri commerciali. Qualche tempo fa si poteva trovare in un medesimo negozio tutte le cose necessarie per la vita personale e familiare – certo esposte poveramente, con pochi prodotti e quindi con poca possibilità di scelta. Ma c’era un legame personale tra il negoziante e i clienti del vicinato. Si vendeva a credito, cioè c’era fiducia, c’era conoscenza, c’era vicinanza. Uno si fidava dell’altro. Trovava il coraggio di fidarsi. In molti luoghi lo si conosce come “la bottega del quartiere”. In questi ultimi decenni si sono sviluppati e ampliati negozi di altro tipo: i centri commerciali. Il mondo pare che sia diventato un grande supermercato, dove la cultura ha acquisito una dinamica concorrenziale. Non si vende più a credito, non ci si può fidare degli altri.

Non c’è legame personale, relazione di vicinanza. La cultura attuale sembra stimolare le persone a entrare nella dinamica di non legarsi a niente e a nessuno. A non dare fiducia e non fidarsi. Perché la cosa più importante oggi sembrerebbe essere andare dietro all’ultima tendenza all’ultima attività. E questo anche a livello religioso. Ciò che è importante oggi sembra determinarlo il consumo. Consumare relazioni, consumare amicizie, consumare religioni, consumare, consumare… Non importa il costo né le conseguenze. Un consumo che non genera legami, un consumo che va al di là delle relazioni umane. I legami sono un mero “tramite” nella soddisfazione delle “mie necessità”. Il prossimo con il suo volto, con la sua storia, con i suoi affetti cessa di essere importante. E questo comportamento genera una cultura che scarta tutto ciò che “non serve” più o “non soddisfa” i gusti del consumatore. Abbiamo fatto della nostra società una vetrina multiculturale amplissima legata solamente ai gusti di alcuni “consumatori”, e, d’altro canto, sono tanti, tantissimi gli altri, quelli che «mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (Mt 15,27). Questo produce una grande ferita, una ferita culturale molto grande. Oserei dire che una delle principali povertà o radici di tante situazioni contemporanee consiste nella solitudine radicale a cui si trovano costrette tante persone. Inseguendo un “mi piace”, inseguendo l’aumento del numero dei “followers” [seguaci] in una qualsiasi rete sociale, così le persone seguono – così seguiamo – la proposta offerta da questa società contemporanea. Una solitudine timorosa dell’impegno in una ricerca sfrenata di sentirsi riconosciuti.

Dobbiamo condannare i nostri giovani per essere cresciuti in questa società? Dobbiamo scomunicarli perché vivono in questo mondo? Essi devono sentirsi dire dai loro pastori frasi come: “una volta era meglio”; “il mondo è un disastro e, se continua così, non sappiamo dove andremo a finire”? Questo mi suona come un tango argentino! No, non credo, non credo che sia questa la strada. Noi pastori, sulle orme del Pastore, siamo invitati a cercare, accompagnare, sollevare, curare le ferite del nostro tempo. Guardare la realtà con gli occhi di chi sa di essere chiamato al movimento, alla conversione pastorale. Il mondo oggi ci chiede con insistenza questa conversione pastorale. «E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugi, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno» (Evangelii gaudium, 23). Il Vangelo non è un prodotto da consumare, non rientra in questa cultura del consumismo.”

Questo lungo brano presenta una serie di considerazioni molto importanti. Ma su una soltanto vorrei soffermarmi. Il “negozio” diventa, in questo ragionamento per similitudine, uno dei “luoghi di comprensione della famiglia”. E’ evidente che, nel discorso di papa Francesco, si possono trovare diversi strati:

  1. L’uso “parabolico” della immagine: entrando nelle dinamiche dei diversi tipi di “negozi” si capiscono in modo non moralistico, ma realistico, le nuove difficoltà che i legami apprendono dall’aria che respirano;
  2. Il gusto di mostrare sorprendenti corrispondenze tra le forme elementari del vivere e le sorti della vocazione e della fede: il primato della realtà sulla idea è affermato anche con queste scelte linguistiche, che indicano un metodo di comprensione e un rapporto vivo col reale;
  3. Un uso “ironico” del linguaggio: se ci si dispone in modo “astratto” di fronte alla famiglia, il meglio che si riesce a dirne è “valore non negoziabile”. Dicendo così, però, la si fissa in una idea. Ma questa definizione assomiglia molto a quel difetto, che lo stesso Francesco ha formulato così: “Un cristianesimo che “si fa” poco nella realtà e “si spiega” infinitamente nella formazione, sta in una sproporzione pericolosa. Direi in un vero e proprio circolo vizioso”.

Ma per contestare questo stile “astratto” la via scelta da Francesco non è quella “teorica”, ma quella “ironica”. Egli non usa il “negozio” come “negazione della famiglia”, ma lo introduce come “analogatum” per comprenderla! Questo passaggio magistrale cambia tutto, anche se non risolve tutto, evidentemente. Cambia tuttavia l’approccio, prepara l’incontro, induce un ascolto interessato, rispetta la libertà e annuncia il bello della comunione. Assume la esperienza del soggetto come passaggio obbligato per accedere alla tradizione ecclesiale e per renderla viva.

Forse, al fondo di queste scelte linguistiche, il magistero americano di Francesco sulla famiglia consiste in questo: annunciare la bellezza della comunione non con lo stile della autorità, ma con quello della libertà. Per mostrare che, ultimamente, è della autorità della comunione che ha bisogno ogni libertà per essere se stessa! Come postilla è utile ricordare che il magistero di Francesco è “americano” non soltanto perché espresso in America, ma perché frutto dell’esperienza di un americano. Figlio di immigrati, come quasi tutti gli americani.

Andrea Grillo      in “Come se non” – munera – del 28 settembre 2015

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-famiglia-e-il-negozio-quale-rapporto/

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GENITORIALITÀ

Maternità e paternità ora anche per i liberi professionisti.

Con la nuova riforma del lavoro sono previsti diritti a tutela della maternità anche a favore dei padri professionisti. L’indennità di maternità è corrisposta per 2 mesi antecedenti la data del parto e per i 3 mesi successivi ed è pari all’80% di 5/12 del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo della libera professionista nel secondo anno precedente a quello della nascita del bambino [D.Lgs n. 80/2015].

            La misura dell’indennità è comunque contenuta entro un importo minimale non inferiore a 5 mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80% del salario minimo giornaliero di un impiegato [D.L. n. 402/1981] e un limite massimale non superiore a 5 volte l’importo minimo della prestazione.

            Nel caso di associazione professionale la misura dell’indennità deve essere parametrata al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali senza che assuma alcun rilievo la forma in cui viene in concreto svolta l’attività professionale e quindi anche nell’ipotesi di associazione professionale con ripartizione del reddito complessivo tra gli associati in quote.

L’indennità di maternità spetta in misura intera anche nel caso in cui, dopo il compimento del 6° mese di gravidanza, questa sia interrotta per motivi spontanei o volontari.

            Qualora entrambi i genitori siano liberi professionisti, il padre può fruire dell’indennità che sarebbe spettata alla madre quando questa muoia o sia colpita da grave infermità ma anche quando questa abbandoni la famiglia e/o in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

            L’indennità è erogata previa domanda al competente ente previdenziale, corredata dalla relativa certificazione, e spetta per il periodo previsto per il lavoro dipendente (5 mesi per l’adozione e 3 mesi per l’affidamento) anche in caso di adozione o affidamento da parte dei liberi professionisti.

            Viene corrisposta previa presentazione di apposita domanda in carta libera da parte della professionista all’ente di appartenenza a partire dal compimento del 6° mese di gravidanza ed entro il termine di 180 giorni dal parto.

            La domanda deve essere corredata da certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto nonché dalla dichiarazione attestante l’inesistenza del diritto alle indennità di maternità per lavoro dipendente (privato/pubblico) o autonomo.

            Successivamente, gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti dovranno provvedere ai necessari accertamenti.

            In caso di interruzione della gravidanza la domanda (che deve essere presentata all’ente competente entro 180 giorni dalla data dell’interruzione della gravidanza) va corredata da certificato medico rilasciato dall’Ausl che ha fornito le prestazioni sanitarie comprovante il giorno dell’avvenuta interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria.

            In caso di adozione o affidamento la domanda deve essere presentata dalla madre all’ente competente entro 180 giorni dall’ingresso del bambino nella famiglia e deve essere corredata da idonee dichiarazioni attestanti l’inesistenza del diritto all’indennità di maternità per qualsiasi titolo e la data dell’effettivo ingresso del bambino nella famiglia allegando inoltre copia autentica del provvedimento di adozione e/o affidamento.

            Alessandro Marescotti  LpT    29 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/97784_maternita-e-paternita-ora-anche-per-i-liberi-professionisti        

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MATERNITÀ

Se la lavoratrice madre rinuncia ai riposi giornalieri.

La lavoratrice madre può scegliere se beneficiare o meno dei permessi orari ma l’eventuale rinuncia deve essere spontanea, altrimenti il datore di lavoro è sanzionabile.

            Il datore di lavoro non rischia di essere sanzionato se la lavoratrice madre ha chiesto i permessi giornalieri ma poi non ne ha usufruito per spontanea volontà. È quanto chiarito dal Ministero del Lavoro [interpello n. 23/2015] interpellato dai consulenti del Lavoro sulla questione delle conseguenze della rinuncia ai riposi giornalieri già richiesti.

            Il dubbio interpretativo è sorto in quanto la legge [art. 39, D. Lgs. 151/2001.] prevede che il datore di lavoro deve consentire dei periodi giornalieri di riposo alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino. Si tratta di due periodi di risposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. I periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda.

I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

            La violazione della norma sui riposi giornalieri comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria [Art. 46, D.Lgs. 151/2001]. Ci si è chiesti se il datore di lavoro è sanzionabile anche quando sia la donna a decidere di rinunciare ai permessi.

            Ebbene la sanzione è certamente legittima qualora il datore di lavoro neghi o comunque ostacoli la fruizione dei permessi richiesti dalla lavoratrice. Quando, invece, è quest’ultima a decidere spontaneamente di non godere dei permessi già concessi, il datore di lavoro non è punibile in quanto non ha violato alcun diritto della donna ma è stata lei stessa a rinunciarvi.

            Il Ministero del Lavoro ha infatti precisato che il diritto ai riposi giornalieri è un diritto potestativo, cioè un potere della donna di scegliere se beneficiare o meno dei permessi; a fronte di tale diritto, vi è una situazione di soggezione del datore di lavoro, il quale deve consentire il godimento dei permessi laddove appositamente richiesti. Da questo punto di vista, i permessi giornalieri si distinguono nettamente dall’astensione obbligatoria per maternità per la quale non c’è un potere di scelta; al diritto irrinunciabile della donna corrisponde infatti un vero e proprio obbligo del datore di rispettare il periodo di astensione dal lavoro.

            Dunque, se la donna decide di non godere dei permessi, il datore di lavoro non è in alcun modo sanzionabile. Occorre però che la decisione sia spontanea e non indirettamente condizionata dal datore.

            A questo proposito sembra opportuno giustificare la rinuncia ai permessi con ragioni strettamente riconducibili ad un interesse della lavoratrice. Per esempio, mancata fruizione del riposo orario per sciopero dei mezzi pubblici e impossibilità di raggiungere la propria abitazione.

            Resta ferma in ogni caso la possibilità per gli organi di vigilanza di effettuare eventuali verifiche sulla spontaneità della rinuncia ai riposi giornalieri.

            Maria Monteleone     LpT     3 ottobre 2015

www.laleggepertutti.it/98046_se-la-lavoratrice-madre-rinuncia-ai-riposi-giornalieri

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NONNI

Italia. Festa nonni, un milione di angeli custodi in famiglia.

Sono quasi un milione le nonne e i nonni impiegati a tempo pieno nelle famiglie per aiutare i figli e i nipoti, con un contributo che ammonta a oltre 29 miliardi di euro. E’ quanto emerge da un’analisi elaborata da Federanziani in occasione della Festa dei nonni, che si ricorda oggi in concomitanza con la ricorrenza liturgica degli Angeli Custodi. Ma oggi il ruolo dei nonni può essere considerato proprio quello di angeli custodi delle famiglie? Intervista a Mario Pollo, docente di Pedagogia sociale alla Libera Università Maria Santissima Assunta

R. – Lo sono se, però, oltre a queste funzioni di accudimento dei nipoti vicariando i genitori –di sostegno economico che spesso danno ai nipoti stessi quando sono più grandicelli – svolgono quelle che erano le funzioni classiche, tradizionali, antropologiche che sono, a mio avviso, ancora più importanti di queste funzioni che appartengono alla gestione della vita quotidiana. Sono, ad esempio, il far sperimentare ai ragazzi la saggezza che diventa sempre più rara: l’anziano che ti dà le chiavi per entrare in un rapporto più armonico con il mondo, con la natura, con gli altri esseri umani. C’era l’esperienza di un amore fatto di grande gratuità, che caratterizza l’amore dei nonni. Se queste funzioni che io definisco “classiche” si uniscono a queste di sostegno alla vita quotidiana dei figli e dei nipoti, ecco che allora la figura dei nonni diventa quella degli “angeli custodi”.

D. – I nonni oggi nelle famiglie hanno un ruolo sempre più importante. Ma quanto dovrebbero essere aiutati di più?

R. – Il problema è che dovrebbero essere previste forme di sostegno alla famiglia che sono abbastanza rare nel nostro Paese. Ed è chiaro che, se ci fosse un sostegno alla famiglia, questo potrebbe essere un sostegno al ruolo che i nonni svolgono.

D. – Come poter garantire una qualità di vita migliore ai nostri nonni?

R. – La qualità di vita migliore è garantita se si accetta che siano vecchi. Oggi, c’è una difficoltà ad accettare l’età della vita: sembra che si vogliano abolire tutte le età della vita perché le persone ne vivono una sola, quella della giovinezza, mentre ogni età deve essere vissuta per ciò che ti dà e per ciò che ti toglie, quindi anche l’età anziana. Allora, penso sia un grande sostegno aiutare le persone a essere anziane, quindi a vivere la propria età come deve essere vissuta, accettandone da un lato i limiti ma dall’altro anche le risorse che questa ha. Ed è questo l’elemento: spesso si riconosce il valore all’anziano solo se è utile, non dell’anziano in sé per ciò che rappresenta anche dal punto di vista antropologico. Quindi, sostenere il mondo significa aiutarli a vivere la propria età integralmente senza chiedere loro di non essere anziani.

D. – In che modo si può creare un incontro generazionale, una maggiore solidarietà tra i nipoti e i nonni?

R. – Questo è un rapporto che scatta facilmente, ma a condizione che il nonno, la nonna, siano loro stessi e che quindi siano capaci dentro di loro di riconnettersi a quell’età della vita che loro hanno vissuto nella loro infanzia. Ad esempio, un nonno che racconta storie, che mette il bambino in contatto con un tempo diverso, anche legate alla propria vita passata, è un nonno che affascina il bambino, e questo nonostante tutti i media elettronici. Questa capacità ancora di raccontare ha un forte significato. È chiaro che se invece i nonni fanno di tutto per essere più moderni dei genitori, più aperti dei nipoti, il dialogo non scatta.

Marina Tomarro Notiziario Radio vaticana – 2 ottobre. 2015   http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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NULLITÀ MATRIMONIALE

Matrimonio concordatario nullo: la cassazione ribadisce il limite dei tre anni di convivenza.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 18695, 22 settembre 2015.

I caratteri che deve assumere la convivenza coniugale, sotto il profilo della riconoscibilità dall’esterno – attraverso fatti e comportamenti che vi corrispondano in modo non equivoco -, nonché della stabilità – individuando, sulla base di specifici riferimenti normativi (artt. 6, commi 1 e 4 della l. n. 184 del 1983) una durata minima di tre anni. Il suddetto limite di ordine pubblico opera in presenza di qualsiasi vizio genetico posto a fondamento della decisione ecclesiastica di nullità e che la convivenza triennale “come coniugi”, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

http://renatodisa.com/2015/09/28/corte-di-cassazione-sezione-i-sentenza-22-settembre-2015-n-18695-i-caratteri-che-deve-assumere-la-convivenza-coniugale-sotto-il-profilo-della-riconoscibilita-dallesterno-attraverso-fatti-e/

La Cassazione affronta ancora il tema della nullità del matrimonio concordatario e, con la sentenza in commento, conferma l’orientamento sviluppatosi con le Sezioni Unite del luglio 2014 (17 luglio 2014. n. 16379 e 16380), secondo cui la stabile convivenza tra i coniugi rappresenti il carattere essenziale del “matrimonio-rapporto” e se tale convivenza si protrae per più di tre anni, non può aversi nullità del vincolo.

La questione trae spunto da una sentenza della corte di appello di Firenze relativa al riconoscimento della sentenza emessa nel 2011 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Flaminio, con la quale era stata dichiarata la nullità, per esclusione dell’elemento dell’indissolubilità del vincolo da parte dell’uomo, del matrimonio concordatario contratto da due coniugi nel 1985. La Corte territoriale, a fronte della eccezione proposta dalla convenuta circa la necessità di tutela del principio di ordine pubblico dell’affidamento incolpevole, ha osservato che nel caso di specie risultasse provato in maniera adeguata, sulla base delle deposizioni acquisite nell’ambito del giudizio ecclesiastico e delle dichiarazioni rese dalla stessa donna, le convinzioni del coniuge, persona non credente, circa il rifiuto del matrimonio inteso come sacramento caratterizzato dal vincolo di indissolubilità.

È utile analizzare il dispositivo della sentenza, in base al quale il “matrimonio-rapporto”, al quale va ricondotta la situazione giuridica “convivenza fra i coniugi” o “come coniugi”, trova un solido fondamento “nella Costituzione, nelle Carte Europee dei diritti e nella legislazione italiana”, in maniera tale da costituire la rappresentazione “di molteplici aspetti e dimensioni dello svolgimento della vita matrimoniale, che si traducono, sul piano rilevante per il diritto, in diritti, doveri, responsabilità”.

In tale quadro la convivenza fra i coniugi costituisce elemento essenziale, che lo connota “in maniera determinante”; anche alla luce di significativi interventi della Corte costituzionale, della Corte EDU e della Corte di giustizia UE, il complesso dei diritti, dei doveri, delle aspettative correlati, in maniera autonoma, al rapporto matrimoniale rappresentano una situazione giuridica che, “in quanto regolata da disposizioni costituzionali, convenzionali ed ordinarie, è perciò tutelata da norme di ordine pubblico italiano, secondo il disposto di cui all’art. 797 cod. proc. civ., comma 1, n. 7”.

Le Sezioni unite hanno altresì specificato i caratteri che deve assumere, per i fini che qui interessano, la convivenza coniugale, sotto il profilo della riconoscibilità dall’esterno, attraverso fatti e comportamenti che vi corrispondano in modo non equivoco, nonché della stabilità, individuando, sulla base di specifici riferimenti normativi (artt. 6, commi 1 e 4 della l. n. 184 del 1983) una durata minima di tre anni.È stato poi rilevato che il suddetto limite di ordine pubblico opera in presenza di qualsiasi vizio genetico posto a fondamento della decisione ecclesiastica di nullità e che la convivenza triennale “come coniugi”, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

Si è quindi ulteriormente precisato, distinguendo opportunamente le ipotesi, che detto limite non può operare in presenza di domanda di delibazione presentata congiuntamente dalla parti e che, nel caso di domanda proposta da uno solo dei coniugi, “l’altro – che intenda opporsi alla domanda, eccependo il limite d’ordine pubblico costituito dalla “convivenza coniugale”. – ha l’onere, a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., commi 1 e 2, (si veda l’art. 343 cod. proc. civ., comma 1): 1) di sollevare tale eccezione nella comparsa di risposta; 2) di allegare i fatti specifici e gli specifici comportamenti dei coniugi, successivi alla celebrazione del matrimonio, sui quali l’eccezione medesima si fonda, anche mediante la puntuale indicazione di atti del processo canonico e di pertinenti elementi che già emergano dalla sentenza delibanda; 3) di dedurre i mezzi di prova, anche presuntiva, idonei a dimostrare la sussistenza di detta “convivenza coniugale”, restando ovviamente salvi i diritti di prova della controparte ed i poteri di controllo del giudice della delibazione quanto alla rilevanza ed alla ammissibilità dei mezzi di prova.

Persona e danno                    30 settembre 2015

www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48473&catid=234&Itemid=486&contentid=48473&mese=09&anno=2015

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ONLUS

Associazioni: come viene tassato il reddito?

Un’associazione è un ente non commerciale di tipo associativo, noto comunemente come non profit: fanno parte di questa categoria le Associazioni culturali, quelle ricreative e di volontariato, le Associazioni di promozione sociale (APS), quelle sportive dilettantistiche(ASD), e le Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (Onlus).

            Proprio perché si tratta di un ente non lucrativo, alcuni redditi non sono tassabili e non devono essere dichiarati. Per godere di questo beneficio, però, è necessario che l’associazione rispetti determinati requisiti riguardo all’attività svolta: se l’attività esercitata prevalentemente è di natura commerciale, l’organizzazione perde la qualifica di ente non lucrativo, e tutti i redditi sono dunque considerati imponibili.

            Non sono considerate commerciali le prestazioni di servizi, effettuate senza fine di lucro, che siano conformi alle finalità istituzionali dell’ente: devono, cioè, rispettare quanto stabilito nello statuto dell’associazione. Inoltre, l’attività deve essere organizzata in modo non professionale (ad esempio, con locali destinati a commercializzare prodotti o servizi, insegne luminose, pubblicità e marchi di riferimento), ed i corrispettivi devono prevedere solo la remunerazione dei costi.

            I redditi non tassabili. Una volta accertata la natura non commerciale dell’ente, vediamo quali sono i redditi non tassabili, per le associazioni:

– i fondi raccolti durante eventi e manifestazioni (purché gli avvenimenti siano organizzati occasionalmente);

– i contributi pubblici a fondo perduto, o i proventi che costituiscono corrispettivi per convenzioni con un ente pubblico;

– la cessione di pubblicazioni, se effettuata prevalentemente nei confronti dei propri associati;

– le cessioni di beni e prestazioni di servizi (diverse da quelle considerate sempre commerciali), effettuate secondo gli scopi istituzionali, dietro pagamento di corrispettivi specifici e svolte nei confronti di: iscritti, associati, partecipanti, tesserati della stessa organizzazione nazionale facente capo all’ente, altre associazioni che svolgono la stessa attività, facenti parte della medesima organizzazione locale o nazionale, e loro associati o partecipanti;

– le prestazioni di servizi conformi ai fini istituzionali dell’associazione, remunerate in misura non eccedente alla copertura dei costi, ed organizzate in modo non professionale;

– le quote ed i contributi corrisposti dai soci o dai partecipanti;

– i redditi consideranti esenti da imposta per tutti i contribuenti, ed i redditi soggetti a imposta sostitutiva o ritenuta alla fonte definitiva (ad esempio, gli interessi sul conto corrente);

– sono inoltre considerante esenti le attività svolte marginalmente, rispetto a quelle istituzionali.

I redditi tassabili. Sono comunque considerati imponibili, anche per gli enti non commerciali, i redditi di terreni e fabbricati, di capitale e d’impresa.

Associazione che svolge attività commerciale. Un’associazione può svolgere, ad ogni modo, un’attività commerciale, purché secondaria rispetto all’attività istituzionale: i proventi derivanti dalle prestazioni commerciali sono considerati imponibili, in quanto reddito d’impresa. Inoltre, l’ente dovrà aprire la partita Iva, e sarà obbligato alla tenuta delle scritture contabili ed alla presentazione della dichiarazione dei redditi (Unico Enc).

            Per legge, sono sempre considerati commerciali:

– la cessione di beni nuovi prodotti per la vendita;

– l’erogazione di servizi essenziali (acqua, fognatura e depurazione, elettricità, gas, vapore);

– la gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;

– la gestione di spacci aziendali, di mense e di servizi di somministrazione di pasti;

– il deposito e trasporto di merci, di persone, l’organizzazione di viaggi, soggiorni e lo svolgimento di prestazioni alberghiere o di alloggio, di servizi portuali o aeroportuali;

– lo svolgimento di servizi di telecomunicazione e radiodiffusione;

– la sponsorizzazione di eventi.

            Il regime agevolato per le associazioni. Se un’associazione svolge anche attività commerciale, pur essendo i proventi derivanti da tale attività soggetti a tassazione, quando essi non superano 250.000 Euro l’anno può fruire di un regime fiscale agevolato, il cosiddetto regime Legge 398\1991. Tale regime prevede l’applicazione dell’Iva in misura ridotta, oltre a specifiche modalità per determinare il reddito d’impresa, e semplificazioni degli adempimenti contabili e fiscali.

Noemi Secci                LpT     29 settembre 2015

http://business.laleggepertutti.it/5660_associazioni-come-viene-tassato-il-reddito

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PARLAMENTO

Camera 2° Assemblea                       Affido Familiare

Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare.

C. 2957 approvata dal Senato, C. 2040 Santerini, C. 350 Pes, C. 3019 Marzano e C. 910 Elvira Savino.

28 settembre 2015. Discussione sulle linee generali della proposta di legge, già approvata dal Senato.

            Walter Verini, relatore. Questa proposta di legge viene dal Senato, che l’ha approvata mesi fa, e interviene sulla legge n. 184 del 1983 per ridefinire il rapporto tra procedimento di adozione e istituto dell’affidamento familiare, allo scopo di garantire il diritto alla continuità affettiva dei minori.

Il Senato l’ha approvato con un largo consenso, dopo un dibattito serio e, del resto, la materia è importante e delicata e dico subito che, a mio giudizio, la sintesi che il Senato ha trovato è soddisfacente.

Questo progetto di legge riguarda il diritto dei bambini e delle bambine in affido familiare alla continuità degli affetti. Non è un provvedimento per trasformare l’affido in adozione, come qualcuno ha detto, ma un punto di civiltà per tutelare le relazioni significative maturate da un minore in un prolungato periodo di affidamento con la famiglia affidataria.

Qualche dato. Secondo quanto emerge dal rapporto «Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31 dicembre 2012», redatto nel dicembre 2014 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i bambini e i ragazzi di 0-17 anni Pag. 19fuori dalla famiglia di origine sono stimabili in circa 28.500. Tra questi, i minori accolti in famiglie affidatarie sono leggermente diminuiti e arrivano a 14.200 circa, mentre quelli accolti nelle comunità residenziali sono calati in misura maggiore e si calcolano, a fine 2012, in 14.255. Di questi, 6.750 sono affidati a parenti e 7.444 a terzi, persone singole o famiglie, appunto, che hanno dato la loro disponibilità con grande generosità.

Un altro dato molto significativo è rappresentato dalla durata degli affidi: il 31,7% dura più di quattro anni e il 25% di questi da due a quattro anni. Quindi, si può affermare che proprio per questa ragione una legge che riconosca il diritto alla continuità degli affetti è di enorme importanza, soprattutto nell’interesse dei minori, che sono sempre il soggetto che va più tutelato. È un interesse che sa riconoscere e coniugare non solo e non tanto un assunto giuridico, ma soprattutto le implicazioni psicologiche e sociologiche legate a una crescita quanto più possibile armonica e integrata per questi bambini o minori che, per motivi diversi, non hanno purtroppo conosciuto o hanno perso la possibilità di vivere nelle famiglie di origine.

Va comunque ricordato – e lo dico a scanso di equivoci – che i due istituti, affido e adozione, restano distinti per requisiti e motivazioni. I requisiti per l’affido e l’adozione sono infatti diversi. In pratica, però, più della metà degli affidi sono altra cosa rispetto a ciò che la teoria vorrebbe. A volte i problemi delle famiglie di origine dei bambini non si risolvono. Troppo spesso, purtroppo, non si risolvono; a volte si aggravano, si complicano, e un bambino dopo molto tempo che è stato in affido diventa adottabile.

Anche la motivazione che spinge a richiedere l’affido o l’adozione è spesso molto diversa. Quando si chiede l’accesso all’istituto dell’adozione la motivazione è molto semplice: il desiderio di un figlio o di aggiungere alla propria famiglia un altro figlio rispetto a quelli che già vivono lì, che sono figli di quella famiglia. La motivazione dell’affidamento parte, invece, dalla capacità e volontà generosa di aiutare un bambino in un momento di grande difficoltà. È un atto di grande generosità e responsabilità.

Anche su questo dico una cosa. Chi dovesse pensare di aggirare le norme sull’adozione utilizzando la via dell’affido compirebbe, con altissima probabilità, un atto volto ad arrecare del male innanzitutto a se stesso e anche al minore e, soprattutto, avrebbe una scarsa – pressoché nulla, direi – probabilità di aggirare il lavoro e la responsabilità dei servizi sociali e dei tribunali. Quindi, se si può comprendere il timore, che da qualche parte è stato manifestato, di un utilizzo dell’affido in modo strumentale da parte di singoli per poi accedere all’adozione, credo si possa dire che si tratti di un timore legittimo ma non motivato.

Molti minori stanno aspettando questa legge per vedere rispettata l’integrità dei propri affetti e della propria storia. È propria a loro che abbiamo guardato nell’affrontare il provvedimento al Senato, prima, e in Commissione, qui alla Camera, poi. Abbiamo guardato ai tanti altri minori che sono stati allontanati dalle persone che li avevano cresciuti, amati e accompagnati per mancanza di una legge.

Anche il dibattito in Commissione è stato serio. Tra l’altro, la Camera vanta, come dire, dei precedenti di attenzione al tema, con la presentazione, anche in questo ramo del Parlamento, di provvedimenti di legge. Vedo qui in Aula l’onorevole Elvira Savino che già nel 2010 presentò una proposta di legge in questo senso. Questo provvedimento tenta, allora, di sanare alcuni meccanismi che non sono stati in grado fino ad oggi di tutelare pienamente, quale soggetto primario, i minori coinvolti in una situazione di abbandono o di difficoltà. Lo sappiamo bene: ci sono situazioni dolorose che nella vita non si possono evitare, come il dolore di un distacco o di un abbandono.

Poi, però, ci sono distacchi, altrettanto dolorosi, che possono essere causati da una cattiva legge o da una legge ambigua; una legge che ora stiamo correggendo con le norme che sono in esame. È questo che accingiamo a fare, per garantire a tutti i minori in affido familiare il diritto alla continuità dei propri affetti.

Come accennato, nel caso dell’affido la famiglia o la persona che si rendano disponibili ad accogliere il minore sono ben consapevoli di offrirgli una casa e un ambiente affettivo temporanei, in quanto la responsabilità genitoriale permane in capo alla famiglia di origine o all’autorità che ha provveduto al suo provvisorio allontanamento, e l’obiettivo cui punta l’istituto dell’affido è quello di verificare fino in fondo la possibilità di reintegrare il minore nella sua famiglia di origine.

Nel caso dell’adozione, invece, la famiglia che accoglie il minore è consapevole di assumere in tutto e per tutto, al termine del periodo di affidamento preadottivo, la responsabilità genitoriale in maniera definitiva e non reversibile.

Ciononostante, la prassi ha dimostrato che l’affidamento talvolta perde, nel corso del suo svolgimento, il carattere di soluzione provvisoria e temporanea che la legge, invece, gli attribuisce. Come noto, il periodo massimo della legge è pari a due anni, prorogabile da parte del tribunale dei minorenni, laddove se ne riscontri l’esigenza. Questo termine è quindi la soglia di riferimento circa la durata che dovrebbe avere la permanenza in accoglienza del minore.

Accade che in un numero elevato di casi la situazione critica che aveva giustificato l’allontanamento dalla famiglia originaria si risolva negativamente e che il minore sia quindi dichiarato adottabile. A questo punto è possibile e capita non di rado che bambini o minori comunque già provati da una prima separazione, quella dalla famiglia di origine, e quindi da un distacco, da un dolore, siano sottoposti a una seconda dolorosa separazione e trasferiti a una terza famiglia, perché la famiglia affidataria, che se ne è presa cura, spesso, come abbiamo visto, per diversi anni, consolidando affetti e relazioni, magari non ha la possibilità di procedere all’adozione.

Durante l’esame in Commissione, e mi avvio a concludere, Presidente, con l’ultima parte di questo intervento, sono stati respinti tutti gli emendamenti presentati o abbiamo invitato al ritiro, perché abbiamo ritenuto che il testo, così come approvato dal Senato, fosse già frutto di un lavoro complesso, completo e organico, già svolto anche con il contributo di tante associazioni e di tante voci competenti sulla materia.

Per quanto riguarda due emendamenti, uno dell’onorevole Iori e un altro dell’onorevole Marzano sulla cosiddetta «adozione mite», vi è stato un invito, ma con una disponibilità a trasformare e a votare un ordine del giorno.

Voglio ripeterlo anche qui in Aula: tutti gli emendamenti – tutti, a mio giudizio, di tutti i parlamentari di ogni gruppo – nascevano, secondo me, da un sincero proposito di migliorare il testo, ciascuno secondo le proprie opinioni ed i propri convincimenti; non ho dubbi su questo. E, tuttavia, per le motivazioni già dette, per l’equilibrio e il valore dei contenuti, per il parere positivo dei tecnici e degli esperti dello stesso Ministero della giustizia, voglio ripetere, anche in sede di relazione, un auspicio: che l’Aula valuti positivamente l’idea di approvare il testo senza modifiche, per evitare un ritorno al Senato, ulteriori letture, allungamento inesorabile dei tempi, forse sine die.

Sarà possibile, naturalmente, deve essere possibile e giusto prevedere fin d’ora monitoraggi, controlli sull’applicazione e le ricadute delle nuove norme, eventuali, come si dice, «tagliandi», ma questo è l’auspicio che mi sento di ribadire: che il provvedimento non venga, nella sua formulazione attuale, cambiato, per averlo in Gazzetta Ufficiale il più presto possibile, quando l’Aula vorrà, nella sua autonomia, approvarlo e nelle modalità in cui vorrà approvarlo.

Le ultime cose più di dettaglio: il provvedimento si compone di quattro articoli e intende, in particolare, introdurre un favor, cosiddetto, per la considerazione positiva dei legami costruiti in ragione dell’affidamento, avendo cura di specificare che questi hanno rilievo solo ove il rapporto instauratosi abbia di fatto davvero determinato una relazione profonda, proprio sul piano affettivo, tra minore e famiglia affidataria. (…)

Presidente, erano queste le mie considerazioni e questi i contenuti, sia pure esposti in sintesi, di norme che, diventate efficaci, potranno – crediamo davvero si possa dire – contribuire a risolvere situazioni nell’interesse di quei soggetti che meritano più attenzione e tutela: i minori.

Cosimo Maria Ferri, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il Governo concorda, anzi ringrazia il relatore, per la relazione e per gli spunti che ha voluto fornire e pensa che sia opportuno mantenere il testo così come è stato licenziato dalla Commissione, in quanto è stato trovato davvero un punto di equilibrio. Con questo provvedimento si vuole, infatti, valorizzare il ruolo degli affidatari e non disperdere il legame affettivo che si era instaurato tra gli affidatari e il minore affidato, purché, però, il mantenimento di tale legame corrisponda all’interesse del minore la cui tutela è lo scopo primario della proposta di legge in esame.

Quindi, la stella polare è la tutela del minore e il Governo è d’accordo con il lavoro svolto in Commissione, dove si è trovato questo equilibrio per mettere al centro il minore, rafforzare l’interesse del minore e nello stesso tempo trovare un equilibrio tra i soggetti, sia i genitori naturali, che gli affidatari, per quanto riguarda la continuità affettiva.

Nell’ottica di salvaguardare la cosiddetta continuità affettiva, e non disperdere il bagaglio di relazioni e i legami interpersonali creatisi nel periodo dell’affidamento, il testo prevede il coinvolgimento degli affidatari nei procedimenti che riguardano il minore. Anche questo è importante perché viene espressamente tutelata anche la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento, anche nel caso in cui il minore faccia rientro nella sua famiglia di origine o sia adottato da altra famiglia.

Questo è un punto importante a cui mi riferivo proprio quando parlavo di equilibrio tra i diversi protagonisti nella vita e nella crescita del minore: si vuole salvaguardare ogni tipo di posizione, laddove ci sia però l’interesse del minore e laddove sia importante per la crescita del minore.

            www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0491&tipo=stenografico#sed0491.stenografico.tit00030

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SINODO SULLA FAMIGLIA

La parola al sinodo. Ma a decidere sarà Francesco.

Rientrato a Roma dal viaggio a Cuba e negli Stati Uniti, coronato dall’incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia, papa Francesco ha ora di fronte l’impegno ben più gravoso del sinodo, che si aprirà il 4 ottobre, la domenica dell’anno liturgico nella quale – come in un gioco della provvidenza – nelle chiese cattoliche di tutto il mondo risuoneranno le parole di Gesù: “L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.

            Il sinodo durerà tre settimane e ancora non sono state rese note le procedure che vi si adotteranno, pur così influenti sull’esito dei lavori. Di certo non vi sarà un messaggio finale, non essendo stata costituita alcuna commissione deputata a scriverlo. Un altro dato certo, anticipato da papa Francesco, è che “si discuterà un capitolo alla settimana” dei tre nei quali è suddiviso il documento preparatorio:

Quindi non vi sarà questa volta nessuna “Relatio post disceptationem” a metà dei lavori, dopo una prima fase di libera discussione su tutto, come nel sinodo dell’ottobre 2014. La discussione si scomporrà subito in ristretti gruppi linguistici, ciascuno dei quali riassumerà i propri orientamenti in rapporti. Al termine delle tre settimane si voterà una “Relatio” finale e il papa terrà il discorso conclusivo. Nemmeno si prevede che come in passato, a distanza di qualche mese, una esortazione apostolica postsinodale arrivi a chiudere il tutto. La discussione resterà aperta a sviluppi futuri. A fare testo delle conclusioni provvisorie basterà il discorso del papa al termine dei lavori, che di fatto sovrasterà e oscurerà tutte le altre voci.

            Nonostante la conclamata valorizzazione della collegialità, infatti, anche la prossima tornata del sinodo vedrà all’opera in Francesco un esercizio monocratico dell’autorità papale, come già nella sessione di un anno fa, al termine della quale il papa ordinò che fossero mantenute in vita anche le proposizioni che non avevano ottenuto i voti necessari per essere approvate. Ed erano proprio quelle relative ai punti più controversi, divorzio e omosessualità.

Un segno indiscusso di questo esercizio monocratico dell’autorità papale è stata la pubblicazione, lo scorso 8 settembre, dei due motu proprio con i quali Francesco ha riformato i processi di nullità:

Una riforma delle cause matrimoniali era attesa da tempo. Ma Francesco l’ha messa in opera tenendone fuori il sinodo riunito per discutere proprio di famiglia, che sapeva non incline ad approvare ciò che egli aveva in mente.  Ha costituto la commissione preparatoria nell’agosto del 2014, prima della convocazione della prima sessione del sinodo. E ha firmato i motu proprio lo scorso 15 agosto, prima della seconda sessione dello stesso, fissandone l’entrata in vigore il prossimo 8 dicembre.

            La novità più rilevante delle nuove procedure è che per ottenere la dichiarazione di nullità avrà “forza di prova piena” la semplice parola dei richiedenti, senza necessità di altre convalide, e la presunta “mancanza di fede” farà da passe-partout universale non più per migliaia, ma per milioni di matrimoni decretati nulli, con procedura ultrarapida e con il vescovo del luogo come giudice unico.

            Su questo, i padri sinodali si trovano quindi di fronte a un fatto compiuto. Ma è difficile che non ne discutano. Lo storico della Chiesa Roberto de Mattei ha addirittura ipotizzato che alcuni padri sinodali possano chiedere l’abrogazione di questo atto di governo di papa Francesco, “fino a questo momento il suo più rivoluzionario”. E ha citato il precedente storico della ritrattazione fatta nel 1813 da Pio VII – imprigionato da Napoleone Bonaparte – di un suo atto di sottomissione della Santa Sede alla sovranità dell’imperatore: ritrattazione invocata pubblicamente dal cardinale Bartolomeo Pacca, pro-segretario di Stato, e da altri cardinali “zelanti”, oltre che da un grande maestro spirituale come Pio Brunone Lanteri, futuro venerabile:

            Si possono discutere gli atti di governo del papa? Intanto un appello è stato lanciato sulla testata americana “First Things” da un nutrito numero di teologi, filosofi e studiosi di vari paesi affinché i padri sinodali rigettino il paragrafo 137 del documento preparatorio, giudicato contrario al magistero della Chiesa e foriero di confusione tra i fedeli: l’appello riguarda l’insegnamento dell’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae” sul controllo delle nascite – enciclica che lo stesso papa Francesco ha definito “profetica” – e conta tra i suoi estensori e firmatari un buon numero di docenti del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: i professori Stephan Kampowski, Livio Melina, Jaroslav Merecki, José Noriega, Juan José Pérez-Soba, Mary Shivanandan, Luigi Zucaro, oltre a luminari come il filosofo tedesco Robert Spaemann e il moralista svizzero Martin Rhonheimer. A giudizio dei sottoscrittori dell’appello, il paragrafo 137 del documento preparatorio assegna un primato assoluto alla coscienza individuale nella scelta dei mezzi di controllo delle nascite, anche contro l’insegnamento del magistero della Chiesa, con in più il rischio che tale primato venga esteso anche ad altri ambiti, come l’aborto e l’eutanasia.

            In effetti, proprio sul primato della coscienza individuale “al di là di ciò che oggettivamente direbbe la regola” fanno leva i sostenitori della comunione ai divorziati risposati, come ha spiegato uno di questi, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn, in un’intervista a “La Civiltà Cattolica” del 26 settembre:

            “Ci sono situazioni in cui il prete, l’accompagnatore, che conosce le persone, può arrivare a dire: ‘La vostra situazione è tale per cui, in coscienza, nella vostra e nella mia coscienza di pastore, vedo il vostro posto nella vita sacramentale della Chiesa’”. La scissione tra la coscienza individuale e il magistero della Chiesa è analoga a quella che separa la pratica pastorale dalla dottrina: un pericolo che a giudizio di molti incombe sul sinodo e contro il quale ha detto parole molto forti il cardinale Gerhard Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, in una lezione tenuta il 1 settembre a Ratisbona in occasione dell’uscita dell’edizione tedesca del libro del cardinale Robert Sarah “Dio o niente”: secondo Müller, “la separazione tra l’insegnamento e la pratica della fede” fu proprio ciò che nel XVI secolo portò allo scisma nella Chiesa d’Occidente. Con l’ingannevole pratica delle indulgenze la Chiesa d Roma ignorò di fatto la dottrina e “l’iniziale protesta di Lutero contro la negligenza dei pastori della Chiesa era giustificata, poiché non si può giocare con la salvezza delle anime, nemmeno se l’intenzione dell’inganno è quella di fare del bene”. E oggi – ha proseguito il cardinale – la questione è la stessa: “Non dobbiamo ingannare il popolo quando esso si accosta alla sacramentalità del matrimonio, alla sua indissolubilità, alla sua apertura ai figli e alla fondamentale complementarità tra i due sessi. La cura pastorale deve avere come fine la salvezza eterna e non deve cercare di essere superficialmente gradita ai voleri della gente”. (…)

Sandro Magister                    28 settembre 2015

            http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351139oc=SommComm&leg=17&id=939844

                        Le eccezioni sono nel Vangelo.

Presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il cardinale Walter Kasper è stato il primo, durante il Concistoro straordinario del febbraio 2014, ad aprire alla comunione per i divorziati risposati. Ieri, a margine della presentazione del suo ultimo libro Testimone della misericordia (Garzanti), scritto con Raffaele Luise, torna sull’argomento a pochi giorni dall’apertura del Sinodo sulla famiglia.

Eminenza, alcune personalità della Chiesa hanno contestato le sue aperture, come risponde?

“Non voglio ora entrare in queste controversie. Siamo al Sinodo per discutere e confrontarci. I problemi della famiglia ci sono e sono tanti. Personalmente ritengo che prendere una parola del Vangelo per difendere una propria tesi è una sorta di fondamentalismo, un nuovo fondamentalismo che si fa con una parola. Che non si può sciogliere il matrimonio è cosa chiara e assodata, eppure ci sono passi biblici che menzionano una qualche “eccezione” alla parola del Signore sull’indissolubilità del matrimonio, e cioè nel caso di pornèia (il capitolo 19 di Matteo) e nel caso di separazione a motivo della fede (la prima lettera ai Corinzi, capitolo sette). Tali testi indicano che i cristiani in situazioni difficili hanno conosciuto già nel tempo apostolico un’applicazione flessibile della parola di Gesù”.

            C’è chi sostiene che concedere l’eucaristia ai divorziati risposati è “tradire il Vangelo”.

“Ognuno vuole conservare il Vangelo, questa è la base comune di tutti ma qui si tratta di come applicare lo stesso Vangelo alle situazioni concrete. Nessuno di noi dice che esiste una soluzione generalizzata, si devono guardare le situazioni complesse e particolari. Questo è anche quello che diceva Giovanni Paolo II, e cioè che bisogna discernere le situazioni caso per caso. Fra l’altro l’eucaristia non è per i perfetti. Quando celebriamo la messa preghiamo “per la remissione dei peccati”. L’eucaristia è per i peccatori. Gesù stesso condannava il peccato ma giustificava i peccatori. Il fine della misericordia è la salvezza delle anime, occorre non dimenticarlo mai. La misericordia arriva fino ad amare il proprio nemico. Gesù è morto in croce per la misericordia”.

            Corrisponde a verità la visione di un Sinodo diviso fra progressisti e conservatori?          

“La misericordia è il primo attributo di Dio e per questo Francesco è senz’altro un conservatore, ma questa contrapposizione tra oppositori del papa e progressisti dall’altra parte non ha alcun senso. Il Sinodo segue l’eterna novità del Vangelo che è la misericordia. C’è oggi un vuoto di misericordia e di tenerezza. È questo vuoto che il Papa chiede di colmare”.

            Arrivare al Sinodo con delle tesi precostituite non può chiudere da subito ogni discussione?

“Il Sinodo è convocato per discutere e confrontarsi sulle sfide della famiglia. Le dispute sono necessarie perché senza di esse non si crea nulla. Ci sono tanti problemi di cui parlare. Occorre adattare la dottrina alle situazioni particolari. Incarnare la dottrina è il Vangelo”.

            Nel suo libro spiega che la genialità di Francesco è stata quella di aver capito l’immenso bisogno di misericordia dell’uomo.

“Per Francesco la misericordia deve costituire il nuovo volto della Chiesa “ospedale da campo” nel panorama tragico della modernità. Francesco ha cambiato radicalmente l’immagine del papa, portandola in mezzo alla gente, e così il popolo si stringe attorno a lui”.

            Il Papa vuole correggere la visione di Dio veterotestamentaria per cui Egli è geloso, cattivo e pericoloso come sosteneva Nietzsche?

“Francesco non smette di ricordare che Dio è amore, che concede sempre una nuova possibilità, che vuole fortemente la libertà e la felicità dell’uomo. Il sogno di Francesco è una Chiesa che abbraccia la terra senza catturarla, e una fede autentica che include sempre il profondo desiderio di cambiare il mondo”.

            Paolo Rodari  Pubblicato da Repubblica      1 ottobre 2015.

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E’ possibile un’«economia» cattolica per i matrimoni falliti?   

Molte volte e in vari momenti si è guardato a Oriente, alla prassi ortodossa dell’«economia» (della condiscendenza pastorale) nei riguardi dei matrimoni falliti, alla ricerca di una soluzione praticabile anche da parte della Chiesa cattolica. Se percorriamo rapidamente gli ultimi decenni, dai vescovi melchiti in Concilio ai padri sinodali del Sinodo del 1980, dal padre B. Häring fino ai recenti testi preparati per il Sinodo straordinario del 2014 e per il Sinodo ordinario del 2015 (cf. il n. 129 dell’Instrumentum laboris), troviamo numerosi riferimenti all’«economia», più o meno precisi, ma sempre ritornanti. Infatti, da quando è cresciuta nella Chiesa la consapevolezza dell’inevitabilità di tanti fallimenti coniugali e della necessità di dare a essi adeguate risposte pastorali, il modello ortodosso, che sembra mettere insieme affermazione dell’indissolubilità e possibilità di nuove nozze nella Chiesa, ha sempre attratto l’attenzione e talvolta anche l’invidia in alcuni cattolici. Ciò ha quasi inevitabilmente portato anche ad alcune rapide letture della prassi ortodossa, facilitate per altro dal fatto che nell’Ortodossia molte sono le voci, pur nell’unità fondamentale.

            E’ in ogni caso chiaro che alcune cose caratterizzano la prassi economica ortodossa: l’ideale coniugale (ovvero la acribeia, la forma coniugale nel disegno divino) è quello dell’unione di un uomo con una donna per sempre, anche oltre la morte; l’ammissione delle nozze vedovili si basa sull’economia pastorale dell’apostolo Paolo; le eccezioni matteane sono state considerate fin dall’inizio come vere eccezioni, cosicché il primo a consentire nuove nozze per una giusta causa (adulterio) è stato il Signore Gesù; l’indissolubilità è stata di conseguenza sempre pensata come un dono di grazia (nel senso orientale della grazia) da accogliere e da realizzare fedelmente ma che può essere ferito (e tradito) dal peccato e dalla fragilità dell’uomo; per economia sono state ammesse nel tempo altre giuste cause di divorzio; dato il carattere economico delle nuove nozze tanto dopo divorzio quanto dopo morte del coniuge, si è giunti all’esclusione assoluta delle quarte nozze nella Chiesa: c’è un limite all’accettazione che la Chiesa può esercitare nei confronti del fallimento morale e della fragilità dell’uomo altrimenti rischia semplicemente di accettare il male e l’imperfezione.

            Da tutto questo appare chiaro che l’economia ortodossa è appunto un’economia “ortodossa”: la sua modalità di articolazione è comprensibile solo nel contesto della teologia e della storia ortodosse e, come tale, non è applicabile in contesti diversi. Il suo nucleo sostanziale, tuttavia, va al di là dell’identità ortodossa e connota anche la Chiesa occidentale; mi riferisco all’attitudine di condiscendenza pastorale che media tra verità ideale e realtà, tenendo conto della fragilità/del peccato dell’uomo e guardando al bene possibile delle persone nella loro concreta realtà. Basterebbe guardare alla storia del diritto canonico e della praxis confessarii occidentali per rendersi conto di quanto questo cuore economico sia ben presente anche nella tradizione occidentale.

            La Chiesa cattolica dunque condivide il nucleo sostanziale dell’economia ortodossa ma, se vuole risolvere economicamente (con condiscendenza pastorale) la questione dei matrimoni falliti, deve elaborare una forma “cattolica” dell’economia che da una parte non rechi danno alla fede della Chiesa, dall’altra non ferisca radicalmente la visione cattolica del matrimonio e della vita sessuale. Per la Chiesa cattolica, infatti, il matrimonio “naturale” dei battezzati è il sacramento; la vita sessuale poi è vera quando diventa l’espressione – attraverso il linguaggio del corpo – dell’amore degli sposi, della loro totale e reciproca donazione, della condivisione piena delle loro esistenze.

            Ebbene, c’è un punto della visione cattolica del matrimonio che è tipicamente suo – non ortodosso – e che potrebbe consentire l’applicazione attuale di una opportuna attitudine economica. Secondo la dottrina cattolica tradizionale il legame coniugale sacramentale consumato è sciolto dalla morte. Con la morte fisica di uno dei due coniugi il vincolo è distrutto, viene a finire: chi rimane può risposarsi quante volte è necessario; chi non rimane non ha più alcun legame autenticamente coniugale.

            Il vincolo coniugale infatti non va oltre la morte fisica di uno dei coniugi. Molti cattolici – laici e non – non ne sono consapevoli ma basta andare a vedere alcuni autorevolissimi testi – emanati da Giovanni Paolo II sulla base della tradizione – per rendersi conto della forza di tale dottrina cattolica: Codice di diritto canonico, can.1141; Codice dei canoni delle Chiese orientali, 853. Alla base di tale dottrina vi è storicamente la prassi pastorale paolina ma anche l’idea medievale che considerava essenzialmente il matrimonio cristiano in fieri come un contratto tra battezzati finalizzato alla procreazione. Come si sa, questa idea contrattuale è rimasta dominante nel Codice di diritto canonico del 1917 e nella teologia fino alla soglia del Concilio Vaticano II. Ebbene, oggi la Chiesa non insegna più che il matrimonio cristiano è un contratto tra battezzati in ordine alla procreazione; insegna che esso è la donazione personale totale e reciproca dei coniugi nell’amore coniugale, segno dell’amore di Cristo e della Chiesa, una donazione tesa all’unità più grande tra le persone dei coniugi (unidualità). Oggi possiamo dunque ben dire che la morte fisica non distrugge per sé la donazione tra le persone perché le persone vivono oltre la morte e sono destinate alla risurrezione. Il ruolo decisivo attribuito tradizionalmente alla morte e il cambiamento della comprensione del matrimonio offrono lo spazio per la possibile realizzazione di una “economia cattolica”.

            La Chiesa cattolica cioè potrebbe per economia considerare l’interruzione causata dall’irreversibile frattura esistenziale e relazionale tra i coniugi come equivalente all’interruzione determinata dalla morte fisica di un coniuge applicando ad essi una modalità di trattamento simile. Dovrebbe esserci però una differenza: tale economia andrebbe attuata entro un percorso di conversione e di accompagnamento pastorale delle persone che vengono dal fallimento coniugale, un percorso non uniforme ma modulato sulle storie personali e di coppia. La determinazione della irreversibile frattura esistenziale potrebbe essere affidata agli stessi organi che secondo le regole procedurali aggiunte ai recenti motu proprio di papa Francesco hanno il compito di condurre “l’indagine pregiudiziale o pastorale” (art. 2), un’indagine presumibilmente già tesa anche a valutare l’irreparabile fallimento della prima unione richiesta dagli stessi motu proprio.

            Si tratterebbe di vera economia, di un’economia vera e “cattolica”, del tutto compatibile con la teologia, la prassi e la storia cattoliche.

Basilio Petrà   1 ottobre 2015

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Che il Sinodo rivaluti la dimensione sessuale nella vita di coppia.

            Mi sbaglierò, forse mi sbaglierò. Ma rileggendo tutto quello che il primo Sinodo sulla famiglia ha prodotto, mi è rimasta la sensazione che nei dibattiti e nei documenti non sia stata data una sufficiente attenzione all’amore. L’amore – intendo dire – che si esprime in quell’aspetto così importante per la vita di coppia che è la sessualità. E che, pur non essendo sempre e necessariamente orientata alla procreazione, aiuta ugualmente gli sposi a crescere nel loro rapporto intimo, nella loro complicità affettiva. Trovando ciascuno la propria identità nella reciprocità relazionale con l’altro, nel donarsi all’altro, nel diventare “uno” con l’altro. “I due si uniranno e formeranno una carne sola”.

            Non è che nell’assemblea sinodale la questione non sia stata affrontata. Ma come si è fatto generalmente per la famiglia (proponendo più le sfide pastorali, più le nuove difficoltà, che non il modello ideale di matrimonio cristiano), se ne è trattato sul piano delle cose-che-non-vanno, degli elementi negativi che oggi segnano pesantemente la vita di coppia, come la fragilità e la carenza di maturità dei soggetti, il narcisismo, l’individualismo, l’egoismo, l’instabilità sentimentale. Insomma, come si leggeva nelle conclusioni del Sinodo, “molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale”.

       Era una diagnosi indiscutibilmente precisa, obiettiva. Però, poco o niente si diceva del senso profondo della sessualità, del suo grande valore per la relazione di coppia, non solo come atto fisico, passionale, ma anche come esperienza sentimentale, psicologica, spirituale. E che si dicesse poco o niente di tutto questo, mentre si insisteva – giustamente, per carità, ma in modo pressoché esclusivo – sull’apertura alla vita e sulla responsabilità educativa dei genitori, ebbene, una simile disparità di “trattamento” non poteva non indurre a domandarsi se sulla dottrina morale non continuasse a pesare un lungo passato di sospetti, di pregiudizi e di paure nei riguardi del rapporto sessuale all’interno del matrimonio.

            Per secoli, tra i componenti la gerarchia della Chiesa, aveva dominato un diffuso ostracismo verso la sessualità, verso la corporeità. Ostracismo dovuto via via alla progressiva rivendicazione della superiorità del celibato ecclesiastico, ai tanti (futuri) Padri della Chiesa i quali avevano ripreso e sostenuto il dualismo platonico anima-corpo, spirito-carne; e poi, al Concilio di Trento, che aveva presentato il matrimonio, oltre che marcato da uno status giuridico-sacramentale, come se fosse un “sacrificio” nei confronti della verginità; per finire a papa Innocenzo XI, il quale aveva definito il piacere nell’atto coniugale come “remedium concupiscentiae”.

            Qualcosa cominciò a cambiare soltanto con il Concilio Vaticano II. I padri conciliari si divisero in due tendenze: quella classica, rimasta ancora a Sant’Agostino e a Innocenzo XI; e quella che si ispirava alle nuove correnti teologiche, e chiedeva che la morale sessuale si aprisse maggiormente alla libertà di coscienza degli sposi cristiani. Inevitabilmente, finì con un compromesso. Nella costituzione “Gaudium et spes”, non venne ribadita la gerarchia dei “fini” e, conseguentemente, neanche il primato della procreazione e dell’educazione della prole sul “fine” secondario, cioè l’aiuto vicendevole e il mutuo amore. Ma neppure si arrivò ad affermare che l’amore coniugale, benché riconsiderato in una visione personalistica, fosse un vero “fine” dell’unione intima degli sposi, e dunque un bene per se stesso.

            Rimasero così diversi punti oscuri o perlomeno irrisolti: ad esempio, sulla libertà dei genitori – una libertà comunque riconosciuta – di decidere il numero dei figli da avere; oppure, sulla moralità dell’atto coniugale, compiuto in modo da escludere il concepimento. Più tardi, uscita l’Humanae vitae, e giudicata l’enciclica solo per il no alla “pillola cattolica”, e non anche per le sue affermazioni sulla paternità e la maternità responsabili, e sullo sviluppo integrale della persona e della coppia, molti sposi cristiani entrarono in crisi, e non pochi si allontanarono dalla pratica religiosa. All’origine di quello “scisma silenzioso”, come lo chiamarono i sociologi, c’era sicuramente una grande ignoranza del vero insegnamento della Chiesa. Ma c’era anche l’evidente difficoltà della dottrina morale di sganciarsi da una impostazione troppo giuridica, troppo condizionata dalla logica dei “divieti”, dei “doveri”, e da una fedeltà ai principi talmente rigorosa, talmente formale, da perdere di vista non solo l’esperienza umana ma la stessa carità evangelica. In più, contemporaneamente, si registrava un rapidissimo processo di imbarbarimento della società, sempre più permissiva, e pervasa da una cultura soggettivistica, da una commercializzazione del corpo: così che il sesso veniva ridotto a merce di consumo, a pura esibizione, a ignobile strumento per gente depravata.

            Frattanto, per la verità, il magistero pontificio non era rimasto fermo all’insegnamento tradizionale. Giovanni Paolo II, per quattro anni, ha dedicato la catechesi settimanale all’amore umano, riformulando le coordinate antropologiche e teologiche della sessualità cristiana; e arrivando a sostenere come il piacere sessuale possa essere considerato il frutto della mutua donazione di sé nell’incontro tra l’uomo e la donna. Benedetto XVI, nell’enciclica “Deus caritas est”, ha messo insieme passione e dono, eros e agape, sanando la frattura che si era creata nel cristianesimo tra queste due dimensioni dell’amore.

            Tuttavia, questo straordinario sviluppo magisteriale ha fatto sinora fatica a entrare nella teologia morale, nella prassi ecclesiale, negli stessi corsi prematrimoniali. E adesso, della sessualità, come si diceva, se ne è parlato poco anche al Sinodo sulla famiglia. Se ne è parlato poco e in maniera molto astratta, senza cioè ancorare il discorso morale al disegno di salvezza di Dio Padre: un disegno – come ricorda spesso papa Francesco – di misericordia, di comprensione della situazione concreta in cui vivono l’uomo e la donna, e di accompagnamento nell’aiutarli a uscire dalle inevitabili difficoltà della vita matrimoniale.

            C’è da sperare, perciò, che la seconda assemblea sinodale sulla famiglia – l’assemblea ordinaria, ormai imminente – sappia coraggiosamente proclamare la verità dell’amore umano. Spazzando via i tanti tabù, che per troppo tempo hanno dato a credere che esistesse una antitesi tra lo spirito e l’eros. E poi, superando preconcetti e timori che ancora oggi resistono nei confronti della sessualità, solo perché la sessualità è diventata, suo malgrado, una parola ambigua, infangata, riprovevole, peccaminosa; o anche perché, negli ambienti ecclesiastici, c’è chi ne teme una separazione dalla genitorialità.

            Dunque, c’è da sperare che, nell’affrontare i problemi della famiglia e del matrimonio, il Sinodo dei Vescovi sappia ridare significato e dignità alla dimensione sessuale del corpo: come del resto si faceva nella Sacra Scrittura, che la considerava una “benedizione”, un aspetto fondamentale della natura umana. “Il Creatore ha assegnato all’uomo come compito il corpo”, diceva Giovanni Paolo II. E questo corpo è fatto per il “dono”, per consentire la comunione delle persone: e, in quanto tale, “è in grado di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino”.

            Gian Franco Svidercoschi, vaticanista, già vice direttore de “L’Osservatore Romano”, biografo di san Giovanni Paolo II, con cui ha collaborato alla stesura del libro “Dono e Mistero”.

Aleteia 1 ottobre 2015

http://it.aleteia.org/2015/10/01/che-il-sinodo-rivaluti-la-dimensione-sessuale-nella-vita-di-coppia

Per l’accoglienza di coppie omosessuali nel seno della Chiesa.

            Il prossimo Sinodo sulla famiglia è chiamato a riflettere anche su “L’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale”. A riguardo, i Lineamenta n. 40, del 9 dicembre 2014, chiedevano: “Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?”. L’Instrumentum laboris n. 130-132, del 23 giugno 2015, aggiunge alla preoccupazione pastorale un monito contro l’assimilazione delle unioni omosessuali al matrimonio. L’attuale posizione della Chiesa, compendiata nel Catechismo, riconosce che gli omosessuali “non scelgono la loro condizione omosessuale” (n. 2359), ma ribadisce che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” (n. 2357). Poiché l’agire è determinato dall’essere (agere sequitur esse), in verità questa posizione assimila l’essere omosessuale a una condizione di disordine che implica una valutazione di stato di peccato assimilabile al vizio della sodomia: per questo all’omosessuale è richiesto di non porre “atti di omosessualità”, cioè di non vivere la sua “condizione” di vita!

            Questa posizione priva la persona omosessuale della possibilità di scegliere l’orientamento della sua vita, restringendo la scelta al celibato — sia esso consacrato o meno —, e pone così una discriminazione rispetto alle persone eterosessuali. La mia ricerca, pubblicata recentemente [A. Oliva, L’amicizia più grande. Un contributo teologico alle questioni sui divorziati risposati e sulle coppie omosessuali], intende offrire motivi perché il dibattito sinodale giunga a maturare una posizione che vada oltre tale visione, per evitare “ogni ingiusta discriminazione” e “accogliere con sensibilità e delicatezza” le persone omosessuali.

            Molti studi attuali indicano le motivazioni e la direzione per dissociare gli “atti di omosessualità” dal peccato della sodomia. Già una intuizione geniale di san Tommaso d’Aquino (c. 1226-1274) offre la possibilità di separare il peccato della sodomia dall’espressione e dall’esercizio dell’omosessualità. Il modo in cui egli si accosta a tale questione è proprio di un pensiero che ricerca il senso profondo delle cose e della vita e si pone quindi in un orizzonte metafisico, a molti nostri contemporanei lontano per linguaggio e per metodologia, ma che rimane ricco di contributi anche per un interrogarsi esistenziale. Tommaso d’Aquino infatti non parla di omosessualità quale la concepiamo oggi e, come i suoi contemporanei, tratta del peccato e del vizio della sodomia. Ma quando egli lascia l’ambito morale per chiedersi, da un punto di vista metafisico, se possa esistere un “piacere innaturale”, allora afferma che l’origine di tale piacere, e quindi dell’inclinazione, anche sessuale, verso persone dello stesso sesso, pur essendo contro la natura specifica e generale dell’essere umano, è, tuttavia, “secondo la natura” di questa persona presa nella sua individualità, è “connaturale” alla persona che noi chiamiamo omosessuale. Questa inclinazione, su cui il piacere si fonda, ha origine nella concretizzazione della natura umana, generale e specifica, in questa persona particolare. Egli sottolinea in particolare che non si pone quale inclinazione dalla parte del corpo, da cui hanno origine i piaceri venerei, ma dalla parte dell’anima (Summa theol., Ia-IIae, 31, 7). Tale inclinazione ha quindi la sua origine in ciò che costituisce e qualifica l’essere umano in quanto essere umano, l’anima razionale, e da essa si dispiega a tutta la persona: questa, però, non è concepita da lui come una somma di anima più corpo, e ancor meno come un’anima incarnata in un corpo, ma come una “unità anima-corpo”, principio dell’agire umano.

            La spiegazione di Tommaso, essendo d’ordine metafisico, non è assimilabile a un’interpretazione “genetica” o “culturale” dell’origine dell’omosessualità, ma rivela elementi che la rendono compatibile con entrambe. Nei suoi scritti, san Tommaso non sviluppa ulteriormente questa sua intuizione e continua a considerare l’atto sodomitico come peccato in quanto contrario al comandamento di Genesi 1,28: “crescete e moltiplicatevi”.

            A tal riguardo è da considerare lo sviluppo attuato nell’insegnamento della Chiesa relativamente alla concezione dell’amore, della sessualità e del matrimonio stesso. Proprio recuperando alcuni elementi della dottrina di Tommaso sull’amore umano, la Chiesa, dopo il Vaticano II, ha riconosciuto il primato della dimensione unitiva su quella procreativa nel considerare anche l’esercizio della sessualità degli sposi, slegandolo dalla necessità di procreare (Humanae vitae 10; cf. Gaudium et spes 48-49).

            A partire dall’intuizione di san Tommaso, che va letta nel quadro del sistema filosofico e teologico che era il suo, ho cercato di elaborare una comprensione dell’omosessualità e delle possibilità di vita cristiana che si aprono alle persone che si scoprono omosessuali. L’affermazione della naturalità e connaturalità dell’inclinazione omosessuale (applicabile alla bisessualità e alla transessualità), permette infatti di distinguere, da un lato, i peccati di sodomia — atti sessuali praticati senza un amore unico, fedele e gratuito (e per questo “contro la loro natura”, che implica un tale amore), contrari alla castità, che modera i piaceri sessuali, e condannati dalla Bibbia —, e, dall’altro lato, l’esercizio di una sessualità tra persone dello stesso sesso, in un contesto di amore unico, fedele e gratuito, che può essere proprio di una coppia omosessuale come di una eterosessuale. In tale impostazione della questione, riconosciamo che Tommaso attua un approccio che prende sul serio la dimensione della realtà, della vita concreta e storica delle persone. Infatti, non esiste per lui la natura umana considerata in astratto ma soltanto concretizzata nelle persone prese nella loro individualità. E questa individualità, spiega Tommaso, permette di orientare la propria vita secondo le inclinazioni personali, come scegliere di sposarsi o di vivere nel celibato. La legge naturale, che comporta diversi livelli di obbligatorietà, contempla delle eccezioni proprio al livello delle inclinazioni individuali, quale è l’omosessualità. E la legge divina, che condanna i peccati di sodomia, riconosce che l’atto sessuale ha un valore di amore in se stesso, se inserito in una relazione che comporti unicità, fedeltà e gratuità. Gli atti umani, che procedono dalle inclinazioni, e i piaceri, che li coronano, sono detti buoni o cattivi a partire dalla bontà o malizia dei loro oggetti e dal tipo di relazione con essi. La persona amata da un omosessuale, considerata in quanto persona, rende buono l’amore tra i due, se esso è unico, fedele e gratuito: amore che emana dall’anima e che realizza pienamente l’esistenza delle persone omosessuali, senza frustrare le loro capacità di amare. Una coppia omosessuale, che vive nella propria relazione la scelta consapevole di un amore unico, fedele e gratuito, non è assimilabile direttamente ad un matrimonio perché non è aperta di per sé alla procreazione, ma è fondata sulla naturalità dell’inclinazione omosessuale di persone prese nella loro singolarità, che vivono l’amore loro connaturale. Questo stesso amore, con la sua reciprocità, è aperto all’accoglienza della grazia in un cammino possibile di santificazione, attraverso la partecipazione ai sacramenti, e inserito nella comunione ecclesiale.

            Il riconoscimento giuridico, da parte degli Stati, di diritti propri alle unioni omosessuali, sul piano della legislazione civile può trovare motivo di giustificazione e di approvazione in tali osservazioni derivanti da un approccio di genere metafisico, nel quadro di una riflessione propria della tradizione teologica cristiana. Il riconoscimento di diritti alle unioni omosessuali è infatti esigito dalla naturalità dell’inclinazione della persona omosessuale. Senza la possibilità di essere equiparabile, in quanto tale, ad un matrimonio eterosessuale, tuttavia la coppia omosessuale deve essere inserita nel contesto del diritto famigliare, in cui sono inseriti i singoli individui, indipendentemente dalla possibilità o no di adozioni da parte di coppie omosessuali, possibilità che richiede l’esame di altri aspetti del diritto famigliare[6], da trattare a parte rispetto all’oggetto specifico del nostro studio.

Adriano Oliva op       3 ottobre 2015                       con note

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VIOLENZA

Il nuovo congedo per le donne vittime di violenza.

Il periodo di congedo non deve essere per forza continuativo ma se ne può usufruire anche su base oraria o giornaliera per un massimo di 3 mesi nell’arco di 3 anni.

            Nel 2014 il numero verde antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ricevuto segnalazioni di violenza da parte di oltre 8.000 donne di cui 1/3 lavoratrici dipendenti. Quindi, anche se in via sperimentale solo per l’anno 2015, con il Jobs Act [D.Lgs n. 80/15] è stato introdotto un particolare tipo di congedo proprio per le lavoratrici dipendenti vittime di violenza, a condizione però che siano inserite in programmi e/o percorsi di protezione debitamente certificati dai servizi sociali del Comune di residenza o dalle Case di rifugio o dai Centri antiviolenza sia pubblici che privati.

            In questi casi è previsto il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in tempo parziale nonché la successiva nuova trasformazione a tempo pieno, sempre su richiesta della lavoratrice e a condizione che vi sia disponibilità in organico.

Possono beneficiare di questo tipo congedo le lavoratrici dipendenti e quelle titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; sono però escluse le lavoratrici domestiche.

            Il periodo di congedo non deve essere per forza continuativo ma può essere fruito anche su base oraria o giornaliera per un periodo massimo di 3 mesi da godersi nell’arco temporale di un triennio.

            La fruizione su base oraria (possibile solo per le lavoratrici dipendenti) è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga mensile precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo.

            La lavoratrice (salvo che non sia impossibilitata) deve comunicare al datore di lavoro o al committente la propria volontà di usufruirne con almeno 7 giorni di preavviso indicando inizio e fine del periodo richiesto e producendo l’idonea certificazione rilasciata dai predetti enti pubblici o privati.

            Durante il periodo di congedo la lavoratrice ha diritto di percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione che è corrisposta dal datore di lavoro.

            Il periodo di congedo è computato ai fini dell’anzianità di servizio, della maturazione delle ferie, della tredicesima e del trattamento di fine rapporto.

Alessandro Marescotti          LpT     29 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/97782_il-nuovo-congedo-per-le-donne-vittime-di-violenza

Il Tribunale di Milano definisce le caratteristiche della “truffa sentimentale”.

Tribunale di Milano, terza Sezione, sentenza 14 luglio 2015

Si tratta di una fattispecie astrattamente concepibile ma difficilmente ravvisabile in concreto. Il reato di truffa sentimentale è una fattispecie astrattamente concepibile ma difficilmente ravvisabile in concreto. Così si è espresso il Tribunale di Milano, decidendo per la mancata sussistenza del reato de quo, in una vicenda in cui un uomo si era fatto prestare del denaro dalla compagna, promettendole in cambio una vita assieme e la restituzione di quanto dalla stessa prestatogli. I reati ipotizzati nel caso di specie sono due: truffa e appropriazione indebita, ex artt. 81, co. 2, 640, 646 Codice Penale, aggravati ai sensi dell’articolo 61, n. 7, c.p.

Il Tribunale sostiene che, affinché si configuri la fattispecie di cui all’articolo 640 del Codice Penale è necessaria una condotta fraudolenta finalizzata ad indurre in errore la vittima, nel caso concreto la donna, circa le proprie intenzioni di realizzare un focolare familiare nonché su quelle lavorative future, in modo da convincerla a farsi dare del denaro con l’iniziale e perdurante obiettivo non solo di ingannarla, ma anche di non restituirle la somma.

            La vicenda deve essere contestualizzata nel tema della truffa sentimentale, termine con il quale il giudice meneghino si riferisce a tutti quei casi in cui un partner inganni l’altro sulla veridicità dei propri sentimenti al solo scopo di ottenere un vantaggio patrimoniale con l’altrui danno. Una volta ritenuta ipotizzabile la truffa sentimentale, il tribunale ha individuato quindi tre importanti da valutare al fine di poter considerare la condotta penalmente rilevante: 1) portata fraudolenta della condotta; 2) dolo iniziale; 3) rapporto causale-consequenziale tra errore ed atto di disposizione patrimoniale.

Per quanto riguarda la portata fraudolenta della condotta, essa si riferisce alla concreta esistenza di artifici e raggiri, considerando che la nuda menzogna, ossia il mentire circa la veridicità dei propri sentimenti non integra la fattispecie di cui all’articolo 640 del Codice Penale.

            Quanto invece al dolo iniziale, esso, di difficile dimostrazione probatoria, si concretizza ogni qual volta l’agente ha voluto, fin dall’inizio della relazione, ingannare la vittima ottenendo dalla stessa una prestazione patrimoniale.

            Quanto, infine, al rapporto causale-consequenziale tra errore ed atto di disposizione patrimoniale, non sussiste il reato di cui all’articolo 640 del Codice Penale se l’errore non è stato concretamente la causa dell’atto dispositivo e ove non si dimostri che, in mancanza di questo, quell’atto non sarebbe stato posto in essere.

            Alla luce di queste tre importanti componenti il Tribunale di Milano ha statuito, nel caso de quo, che non essendo generalmente possibile conoscere tutte le componenti di una relazione di coppia, cioè non essendo possibile conoscere tutte le dinamiche che intercorrono in una relazione sentimentale, è necessario ritenere normalmente impossibile provare che non sussistono altre cause di per sé sufficienti a giustificare l’atto dispositivo, che nella fattispecie in esame si concretizza nell’essersi fatto prestare del denaro.

            In virtù di quanto esposto ha escluso la sussistenza della truffa sentimentale. Per quanto riguarda, invece, il reato di appropriazione indebita, ex art. 646 del Codice Penale, anche in tal contesto il giudice non ha ravvisato estremi di responsabilità penale, osservando che la mancata restituzione del prestito è penalmente irrilevante, in quanto difetta dell’altruità della cosa oggetto della condotta, spostando la questione su un piano civilistico relativamente ad una violazione contrattuale. Infatti, le parti, imputato e persona offesa, avendo pattuito la restituzione della cosa, hanno giuridicamente inquadrato la condotta nel “contratto di mutuo”, in virtù del quale l’imputato, mutuatario, ne acquista la proprietà ai sensi dell’articolo 1814 del Codice Civile, essendone vincolato alla restituzione. Ne deriva che quanto consegnato a titolo di mutuo (e richiesto dalla persona offesa mediante lettere raccomandate) non è inquadrabile nella fattispecie dell’appropriazione indebita alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale in virtù del quale è altrui la cosa che è in proprietà degli altri secondo le norme del diritto civile. Ma anche volendo analizzare l’altro approccio giurisprudenziale, secondo il quale la nozione di altruità sarebbe riconducibile ai sensi dell’art. 646 c.p. nel caso in cui su di essa vi sia un vincolo attuale di destinazione ad uno scopo cui altri ha interesse, in ogni caso tale vincolo nel caso in esame non è stato ravvisato dal tribunale.

avv.- Francesca Servadei Studio Legale Servadei

Newsletter Giuridica Studio Cataldi    28 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19543-il-tribunale-di-milano-definisce-le-caratteristiche-della-truffa-sentimentale.asp

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