NEWS UCIPEM n. 562 – 6 settembre 2015

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ACCOGLIENZA                              Accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MiSNA).

ADOZIONE                                      Papa Francesco: “L’adozione di un bambino abbandonato.

Lo “Speciale” di Aibinews: i risultati del convegno di Gabicce

Fecondazione artificiale; il problema è il calo delle adozioni.

ADOZIONI INTERNAZIONALII bambini russi saranno adottati solo da coppie eterosessuali.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO Se il marito non versa il mantenimento a moglie e figli: il reato.

DIVORZIO                                       Il giudice decide in base a prove testimoniali e al tenore di vita.

Centro Italiano di Sessuologiaq        Seminario: Intorno al genere.

CHIESA CATTOLICA                    Il cammino verso il Sinodo, una rilettura in corso d’opera.

Divorziati risposati. Tutte le spine della riconciliazione.

CommissioneAdozioniInternazionali           Adozioni in Congo

DALLA NAVATA                            23° domenica del tempo ordinario – anno B -6 settembre 2015.

DIRITTI DEI MINORI                    Cittadinanza italiana per il bambino straniero nato in Italia?

EMBRIONE                                      Svezia – Scoperta chiave d’accensione embrione umano.

FRANCESCO VESCOVO ROMA   La scelta informale di Francesco, ma la dottrina non cambia.

Teologo è figlio del suo popolo, non separare dottrina e pastorale.

RAGAZZA MADRE                         A lei nessun mantenimento, ma solo i soldi per i figli.

Usa, Papa a ragazza madre in collegamento tv: “Sii orgogliosa”

SINODO SULLA FAMIGLIA          Tradizione e modernità: intervista a Andrea Grillo

Si rischia la miopia e l’ingiustizia

5La fine del matrimonio secondo il papa.

UCIPEM                                            Assemblea dei Consultori Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

WELFARE                                        II welfare sarà rinnovato: Piano per famiglie e infanzia.

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ACCOGLIENZA

Accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MiSNA).

Sono circa 9mila i minori stranieri non accompagnati sbarcati in Italia negli ultimi mesi e ancora presenti nei centri di accoglienza. Ma almeno altri 5mila mancano all’appello. Nell’emergenza migranti, quello dei minorenni è un capitolo particolarmente delicato che va a inserirsi in un quadro già abbastanza complesso dell’accoglienza degli adulti. Uomini e donne, profughi, richiedenti asilo, o ‘semplici’ migranti, gente disperata che fugge da miseria, guerra e fame e tra cui si mescolano anche delinquenti e persone con pochi scrupoli. Tante vite, tanti “profili” che indistintamente vengono ammassati nei grandi centri di accoglienza che in poche ore vanno in tilt. Tutto questo sotto gli occhi di bambini, a volte di pochi anni. Strutture che, per loro stessa natura, non possono garantire ai minori soli un contesto adeguato alla loro età ed esigenze. E da qui il siparietto dei proclami e inviti di politici, istituzioni e membri della società civile ad accogliere i migranti in chiese, trasformare aree e piste di atterraggio in hub e a ‘convertire’ grandi spazi in altrettanti grandi centri di accoglienza. Per la legge dei grandi numeri. Per poi stupirsi davanti al proliferare di atti di violenza e forme varie di illegalità.

Sarà che la “soluzione” dei grandi centri di accoglienza non è quella giusta? Sarà che se si ‘stipano’ centinaia o migliaia di persone in stanzoni senza le minime e basilari misure di accoglienza umana, è inevitabile esasperare atteggiamenti non ‘consoni’? Fino alle forme di illegalità estrema?

Se non ci fossero delle alternative ai grandi centri di accoglienza, ‘obtorto collo’ si dovrebbe accettare. Ma l’alternativa c’è: sono i piccoli centri di accoglienza per i profughi e le famiglie per i minori stranieri non accompagnati. Perché allora non servirsene? Perché lasciarli fermi al palo e fare morire un grande potenziale che potrebbe, invece, dare grandi risultati (come insegna la Germania che si prepara ad accogliere circa 750mila rifugiati con una rete di accoglienza che raccoglie le domande di tutti coloro che si mettono a disposizione per dare una mano ai profughi in arrivo). Perché si continua a promuovere i grandi centri di accoglienza, alcuni ‘protagonisti’ di un affarismo cinico e criminale che da un lato arricchisce chi se ne aggiudica la gestione e chi decide gli appalti e dall’altra mortifica i diritti dei migranti e le speranze di chi, onestamente, ha offerto la propria disponibilità a un’accoglienza genuina e a misura d’uomo (vedi il caso del Cara di Mineo ndr)? Proprio sul Cara di Mineo, rivelatosi un business milionario, ci sono inchieste aperte e non solo per mafia capitale. Inoltre, risulterebbe che su tremila occupanti coloro che arrivano da Eritrea e Siria, che sono zone di guerra, sarebbero poche decine. Tutti gli altri arriverebbero da zone del mondo dove non ci sono guerre in corso.

Mentre, dunque, progressivamente si delinea la speculazione sull’emergenza migranti, sembrano venire alla luce anche le reali motivazioni per cui così poco credito si è dato, fino a oggi, all’affido familiare dei minori stranieri non accompagnati. Una forma di accoglienza, questa, che avrebbe garantito un’ospitalità a misura di bambino ai tanti piccoli migranti che sbarcano ogni giorno sulle nostre coste. Amici dei Bambini ha raccolto la disponibilità di 1.800 famiglie italiane per l’ospitalità di questi giovanissimi profughi, ma le speranze di queste coppie di aspiranti genitori affidatari sono quasi sempre state frustrate. Si è preferito “parcheggiare” i Misna in centri di accoglienza non idonei a ospitare dei minorenni, che molto spesso hanno preferito la via della fuga, facendo perdere le proprie tracce e rischiando di finire nel tunnel dell’illegalità, dello sfruttamento, della tratta di esseri umani.

A chi giova mantenere questo status quo? Le istituzioni, per prime, sembrano non credere molto in questa forma di accoglienza. Quasi sempre preferiscono ricorrere a strutture non adeguate e spesso al collasso, piuttosto che valorizzare una risorsa già disponibile, come la famiglie. Lo prova che poche decine delle 1800 famiglie sono state chiamate per accogliere in casa un Misna. Ma Ai.Bi. non demorde e rimane sempre fedele alla propria mission: dare una casa e del calore ai bambini fragili e vulnerabili. Per questo rilancia il progetto “Bambini in Alto Mare” che ha come scopo proprio quello di garantire un’accoglienza giusta, a misura di bambino, ai tanti minori stranieri. Per chi non potesse aprire le porte di casa propria può sempre attivare un Sostegno a Distanza: grazie a un piccolo contributo mensile, è possibile sostenere le attività del centro servizi alla famiglia “Pan di Zucchero” di Messina e a rafforzare la rete di famiglie di pronta accoglienza di Lampedusa, coadiuvata da personale qualificato. In entrambi i casi l’obiettivo è garantire formazione e accompagnamento alle famiglie che si occupano dell’accoglienza dei Misna.

Ai. Bi.  2 settembre 2015                                          www.aibi.it/ita/category/archivio-new

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ADOZIONE

Papa Francesco: “L’adozione di un bambino abbandonato.

Come si può combattere la desertificazione comunitaria della città moderna? Con l’amore della famiglia.  Nessuna ingegneria economica e politica è in grado di sostituire l’apporto delle famiglie. “Il progetto di Babele edifica grattacieli senza vita. Lo Spirito di Dio, invece, fa fiorire i deserti (cfr Is 32,15). Dobbiamo uscire dalle torri e dalle camere blindate delle élites, per frequentare di nuovo le case e gli spazi aperti delle moltitudini, aperti all’amore della famiglia”.

A rimarcare il valore e l’importanza della famiglia è Papa Francesco che all’udienza generale in Piazza San Pietro, proseguendo la sua catechesi sulla famiglia, ha illustrato la modalità in cui essa vive la responsabilità di comunicare la fede, di trasmettere la fede, sia al suo interno che all’esterno.

“La circolazione di uno stile famigliare nelle relazioni umane – ha detto – è una benedizione per i popoli: riporta la speranza sulla terra”.

            E’ necessario però che gli affetti famigliari si lascino convertire alla testimonianza del Vangelo, perché così “diventano capaci di cose impensabili – ha aggiunto -, che fanno toccare con mano le opere di Dio, quelle opere che Dio compie nella storia, come quelle che Gesù ha compiuto per gli uomini, le donne, i bambini che ha incontrato”. Ed è proprio ai bambini, e in particolare ai bambini abbandonati, che il Papa fa un preciso ed esplicito riferimento. “Un solo sorriso miracolosamente strappato alla disperazione di un bambino abbandonato – ha precisato -, che ricomincia a vivere, ci spiega l’agire di Dio nel mondo più di mille trattati teologici”.

“Un solo uomo e una sola donna – ha continuato il Papa -, capaci di rischiare e di sacrificarsi per un figlio d’altri, e non solo per il proprio, ci spiegano cose dell’amore che molti scienziati non comprendono più”.

            Se ridaremo, dunque, protagonismo – a partire dalla Chiesa – alla famiglia che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica, “diventeremo come il vino buono – ha detto – delle nozze di Cana, fermenteremo come il lievito di Dio! In effetti, l’alleanza della famiglia con Dio è chiamata oggi a contrastare la desertificazione comunitaria della città moderna. Ma le nostre città sono diventate desertificate per mancanza d’amore, per mancanza di sorriso”.

            Perché il sorriso di una famiglia è capace di vincere questa desertificazione: questa è la vittoria dell’amore della famiglia. “Andiamo avanti su questa strada, non perdiamo la speranza – ha concluso Papa Francesco -. Dove c’è una famiglia con amore, quella famiglia è capace di riscaldare il cuore di tutta una città con la sua testimonianza d’amore”.

            Una speranza che soprattutto non devono perdere i milioni di bambini abbandonati nel mondo: a loro siamo chiamati a dare la testimonianza d’amore.  Accogliendoli in casa nostra, aprendo loro le porte del nostre cuore. Per strappargli quel sorriso di cui parla il Papa.

            Fonte: avvenire                       Ai. Bi.  3 settembre 2015

www.aibi.it/ita/papa-francesco-ladozione-di-un-bambino-abbandonato-che-ricomincia-a-vivere-ci-spiega-lagire-di-dio-nel-mondo-piu-di-mille-trattati-teologici

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150902_udienza-generale.html

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Il nuovo “Speciale” di Aibinews: ecco i risultati del convegno di Gabicce

Si è affrontato il mondo dell’adozione a 360 gradi, ascoltando il punto di vista di tutti gli attori del sistema. È stata l’occasione di un proficuo confronto tra la realtà italiana e quella di altri Paesi, sia di origine che di accoglienza dei minori adottati. Si è partiti dall’analisi dell’attuale situazione di crisi per rivolgere poi lo sguardo alle prospettive future dell’accoglienza adottiva. Quanto emerso dalla XXIV Settimana di formazione e studi delle associazioni Amici dei Bambini e “La Pietra Scartata” e soprattutto dal convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza” deve costituire ora un valido punto di partenza per arrivare alla rinascita dell’adozione internazionale. Per questo è quantomeno necessario che i risultati raggiunti nei 5 giorni di confronto e dibattito tenutosi a Gabicce Mare dal 24 al 28 agosto 2015 non vadano persi. A questo scopo Aibinews ha deciso di realizzare uno dei suoi “speciali”, raccogliendo tutti gli articoli pubblicati prima e durante il convegno di Gabicce.

            Nei giorni precedenti, infatti, i diversi relatori che avrebbero preso parte al convegno sono stati intervistati al fine di presentare se stessi e i temi che avrebbero poi trattato a Gabicce. Dal 24 al 28 agosto, poi, Aibinews ha seguito passo dopo passo i lavori della Settimana di formazione e studi e del convegno stesso, fornendo aggiornamenti in tempo reale. Tantissime testate giornalistiche – nazionali, locali e di settore –, sia cartacee che online, hanno scritto sui temi che venivano trattati nel corso del convegno sull’adozione internazionale. I “pezzi” più significativi sono stati anch’essi raccolti all’interno dello “speciale” che da oggi Aibinews mette online sul sito www.aibi.it.

            Quali difficoltà affronta la realtà dell’adozione internazionale in Francia? Come è organizzato il sistema spagnolo? Perché è così difficile adottare in Africa? Che cosa spinge a ipotizzare, in Italia, un sistema gestito su base regionale? Che cosa pensano della situazione attuale e del futuro dell’adozione internazionale gli enti autorizzati, le associazioni familiari, i rappresentanti delle istituzioni? E soprattutto: che risposte intende dare alla crisi dell’adozione internazionale l’apparentemente inerme mondo della politica? La settimana di Gabicce ha provato a fornire risposte a queste e ad altre domande. Risposte che si possono leggere a partire da oggi nello “Speciale Gabicce 2015”.

Ai. Bi.  31 agosto 2015                                              www.aibi.it/ita/category/speciale-gabicce-2015       Si discute di fecondazione artificiale, quando il vero problema è il calo delle adozioni.

 Il mese di settembre segna l’inizio di molte attività lavorative, compresa quella parlamentare. Prima della chiusura delle Camere per la pausa estiva, si è ventilata l’ipotesi della discussione in aula del decreto Cirinnà, che vorrebbe estendere il diritto all’adozione per le coppie omosessuali.

I sostenitori di questa legge rivendicano il diritto della laicità dello Stato, come se la questione dell’adozione dei bambini a coppie omosessuali fosse esclusivamente un problema religioso e non prima di tutto una questione naturale. Molti rappresentanti del governo ed alcuni partiti dell’opposizione spingono verso l’approvazione di questa legge. I vari esponenti politici rivendicano l’urgenza di questo decreto per allinearsi giuridicamente con le nazioni del mondo “cosiddette più evolute” ed uscire da una presunta situazione di oscurantismo che caratterizza il nostro Paese.

La questione della drastica riduzione del numero delle adozioni per le famiglie naturali fondate sul matrimonio tra un uomo e una donna, è una problematica di cui nemmeno si discute. Il disinteresse per l’adozione delle famiglie naturali è comprovato dal fatto che la CAI (Commissione per le Adozioni Internazionali) non ha ancora pubblicato, ad oggi, il rapporto statistico per l’anno 2014, reportistica che ogni anno veniva redatta al massimo entro la fine del mese di febbraio dell’anno successivo.

Il ritardo della pubblicazione di questo documento, apparentemente è imputabile ad un inceppo della macchina burocratica. In realtà traspare un disinteresse verso una missione umana e sociale che ha visto negli ultimi decenni le famiglie italiane protagoniste apprezzate in tantissimi paesi del mondo.

 È evidente allora che il disinteresse della pubblicazione di questo documento sia strettamente legato all’intenzione di approvare la legge Cirinnà, con lo scopo di acconsentire l’adozione alle coppie omosessuali. È in corso da parte del parlamento italiano un tentativo di alterare la natura della missione adottiva, distruggendo la volontà e l’interesse della famiglie, lasciando inalterati i lunghi tempi di attesa e gli alti costi da sostenere per l’espletamento delle pratiche adottive.

È interessante notare come la questione dei costi è stata affrontata e risolta molto rapidamente per la situazione della fecondazione eterologa. Ancora prima dell’uscita della legge, è stata redatta dall’assemblea delle regioni una proposta che fissava a qualche centinaia di euro il costo della prestazione sanitaria della fecondazione eterologa, assegnando la quasi totalità dei costi alla spesa sanitaria regionale.

 I conti economici di una famiglia, che vuole intraprendere il percorso dell’adozione internazionale, sono rimasti identici ed ogni anno si riduce la quota di rimborso da parte dello Stato, che comunque copre solo una minima parte delle spese sostenute dalle famiglie all’estero.

 Visto questo squilibrio di volontà (ancora prima di essere legislativo), è urgente che ci sia un risveglio nazionale delle coscienze per far risaltare la bellezza del progetto adottivo di un padre e una madre. Tante famiglie scelgono le pratiche della fecondazione assistita omologa o eterologa sia perché la burocrazia ha ostacolato l’adozione con lunghi tempi di attesa e alti costi da sostenere, sia perché è in corso un tentativo di svalutazione del valore della forma dell’accoglienza di una vita abbandonata.

La mentalità relativista dei nostri tempi sembra non riuscire a comprendere quale sia la risposta più naturale davanti alla dolorosa situazione della sterilità biologica. Dopo aver fatto ricorso alla pratiche mediche non invasive per la salute della donna e dell’uomo, una scelta si pone davanti alla coppia che desidera diventare madre e padre: l’adozione o la fecondazione.

 Perché le coppie scelgono sempre più spesso la fecondazione? Perché l’idea dell’adozione provoca così tanta sfiducia e scoraggiamento? Il desiderio di accogliere un bambino che ha sofferto il trauma dell’abbandono è frutto di quella fecondità spirituale che contiene la forza di vincere la sterilità fisica. Un uomo e una donna che scelgono l’adozione, hanno chiara l’idea che l’essere padre e madre è una missione aggiuntiva rispetto all’essere genitori, ossia coloro che hanno dato la vita fisica al bambino.

Figli si nasce, madri e padri si diventa. Il padre e la madre adottivi hanno la consapevolezza che il figlio è un dono da accogliere prima di un essere una vita da generare. Coloro che non hanno ricevuto la grazia di donare la vita biologica, hanno l’immensa vocazione di educare, accompagnare e condividere la vita, che ha la forza intrinseca di generare sulle macerie dall’abbandono e dall’infertilità il nuovo edificio feconda ed accogliente della famiglia adottiva.

Difendere la missione adottiva non riguarda solo poche persone ma è un progetto che merita di essere custodito e promosso da tutti, perché richiama una figliolanza che esula le regole della carne, e rimanda ad una paternità e ad una maternità dalla quale traspare quella gratuità e quell’accoglienza che rende presente in questo mondo l’immagine viva del trascendente.

Osvaldo Rinaldi         Zenit.org                    01 Settembre 2015

www.zenit.org/it/articles/si-discute-di-fecondazione-artificiale-quando-il-vero-problema-e-il-calo-delle-adozioni

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

 I bambini russi potranno essere adottati solo da coppie eterosessuali: sì all’unanimità della Duma.

I bambini russi potranno essere adottati solo da coppie eterosessuali. Lo ha stabilito il parlamento di Mosca che a fine agosto ha approvato all’unanimità una legge che concede l’esclusività dell’accoglienza dei minori provenienti dalla Federazione Russa alle sole coppie composte da coniugi di sesso diverso. La ratio della nuova norma è quella di garantire a ogni bambino il diritto di avere un padre e una madre e quindi di crescere ed essere educato da una famiglia tradizionale.

            La decisione della Duma rafforza una legge già in vigore in Russia dal giugno 2013. In quella data il Parlamento di Mosca stabilì di vietare l’adozione di minori russi da parte di cittadini provenienti da Paesi in cui è consentito il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In conseguenza di questa decisione, venne sancito l’annullamento degli accordi bilaterali in materia di adozioni internazionali tra la Federazione Russa e quei Paesi in cui il matrimonio gay è legalmente consentito. A partire da allora, per poter adottare in Russia, tali Paesi devono chiedere a Mosca di poter firmare nuovi accordi bilaterali specifici. Il primo Paese ad aderire alla richiesta del Cremlino fu la Spagna, che nel luglio 2014 firmò con la Russia un accordo che avrebbe permesso per i 5 anni successivi, rinnovabili alla scadenza, di realizzare adozioni in modo che fossero perfettamente legali e accettabili per entrambe le legislazioni. Ovvero anche per quella di Mosca che non ammette il riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali.

            Oltre a concedere a migliaia di coppie la possibilità di avere un figlio e a migliaia di piccoli Russi quella di avere un padre e una madre come punti di riferimento, la legge approvata dalla Duma contribuisce a prevenire il fenomeno del cosiddetto re-homing: una pratica presente in alcuni Paesi come gli Stati Uniti per cui alcuni bambini adottati da famiglie eterosessuali venivano poi lasciati da queste e adottati nuovamente da coppie omosessuali.

L’approvazione della nuova legge è senza dubbio una buona notizia per l’Italia, uno dei pochi Paesi europei che ancora non ammette legalmente il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La legislazione simile, in questo caso, tra il nostro Paese e la Russia ha già permesso in passato di vedere rafforzata la fiducia di Mosca nei confronti dell’Italia. Già a novembre 2013, infatti, dopo l’entrata in vigore della legge con cui la Russia vietava l’adozione in Paesi che ammettevano il matrimonio gay, il rappresentante del Cremlino per i diritti dell’infanzia, Pavel Astakhov, affermò: “Ci risulta che l’Italia sia l’unico Paese i cui cittadini hanno la possibilità di adottare bambini russi perché questo Paese non riconosce il matrimonio omosessuale e, di conseguenza, non dobbiamo cambiare nulla nell’accordo vigente”.

Ma è soprattutto una buona notizia per tanti bambini russi che attendono una famiglia: sanno che, quando la troveranno, potranno contare su una famiglia vera, con due punti di riferimento ben definiti che potranno chiamare tranquillamente ‘mamma’ e ‘papà’.

Ai. Bi.  1 settembre 2015                                          www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Se il marito non versa il mantenimento a moglie e figli: il reato.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale – Sentenza n. 53607, 23 dicembre 2014.

Non sempre scatta il “penale” quelle volte in cui il genitore separato omette di versare il mantenimento a moglie e figli. Secondo la giurisprudenza è necessario fare una distinzione.

1 Inadempimento totale all’obbligo di mantenimento. Nel caso di inadempimento totale agli obblighi di mantenimento (è il caso del padre che non versa neanche un euro alla moglie e ai figli), il reato scatta sempre. Scatta anche se l’altro genitore provvede al mantenimento della prole con cui convive [Cass. sent. n. 53607/2014]. È vero che il reato previsto dal codice penale [Art. 570 cod. pen.] presuppone lo stato di bisogno dei figli, ma è anche vero che, se l’inadempimento è totale, l’illecito penale scatta a prescindere dalla prova dello stato di bisogno del minore: infatti, la minore età viene considerata dai giudici una “condizione oggettiva dello stato di bisogno”. Per cui non rileva, in tale caso, l’eventuale aiuto dei familiari tenuti in via sussidiaria alla corresponsione degli alimenti. L’unico modo, per il padre, per evitare la condanna è di dimostrare una oggettiva impossibilità a versare l’assegno, che non corrisponde al semplice stato di disoccupazione, ma richiede qualcosa in più e di maggiormente impeditivo (si pensi all’impossibilità di lavorare per via di una grave malattia).

2 Inadempimento parziale all’obbligo di mantenimento. Nel caso di inadempimento parziale (è il caso del padre che si riduca l’assegno mensile perché non ha i soldi per corrispondere l’intero importo) il reato non scatta automaticamente, ma sarà il giudice a valutare, caso per caso, se la cifra versata, seppur inferiore a quella stabilita dal tribunale in sede di separazione tra i coniugi, sia sufficiente a garantire la i mezzi di sussistenza. Non esiste, quindi, un limite numerico fissato dalla legge, ma la valutazione viene fatta in base alle singole esigenze e, soprattutto, tenendo conto di due elementi: Le necessità paterne che lo hanno portato a diminuire la somma versata (per es. un grave stato di malattia, la disoccupazione improvvisa, ecc.)

La condizione oggettiva di eventuale bisogno in cui si sono trovati i figli. In questo caso, dunque, potrebbe rilevare l’eventuale aiuto a questi prestato dagli altri parenti, che non li abbia lasciati completamente privi dei mezzi di cui vivere.

Attenzione però: i “mezzi di sopravvivenza” che il genitore deve sempre garantire (anche in caso di assegno ridotto) non sono ormai più solo vitto e alloggio, ma anche gli strumenti che consentano, in base alle capacità e al regime di vita del genitore “un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana” (si pensi all’abbigliamento, ai libri scolastici, mezzi di trasporto, computer, cellulare, ecc.) [Trib. Trento sent. del 26.03.2015]. Di recente tanto la Corte di Appello di Napoli [C. App. Napoli, sent. n. 1055 del 23.02.2015], quanto quella di Roma [C. App. Roma, sent. n. 984 del 24.02.2015] hanno sposato l’interpretazione appena riferita, ossia la differenza tra inadempimento totale agli obblighi di mantenimento e inadempimento parziale. Il primo fa sempre scattare il reato, a prescindere dal bisogno del minore; nel secondo caso, invece, il giudice dovrà verificare se la somma versata, seppur inferiore a quella stabilita, sia sufficiente a garantire al figlio i mezzi di sussistenza escludendo così il reato e la pena se il padre si è trovato difronte a delle proprie necessità di sopravvivenza (a cui, comunque, non sono mancati i mezzi di sussistenza).

 la legge per tutti 1 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/96141_se-il-marito-non-versa-il-mantenimento-a-moglie-e-figli-il-reato

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ASSEGNO DIVORZILE

Sulla somma, il giudice può decidere in base alle prove testimoniali e al tenore di vita.

Corte di cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 16909, 1 settembre 2015.

Non devono essere considerati necessariamente tutti i parametri, basta la disparità economica tra i coniugi

È vero che l’assegno divorzile e quello di mantenimento sono autonomi e indipendenti, tuttavia quest’ultimo può costituire elemento utile di valutazione anche per il primo e dunque essere calcolato sulla base del parametro della disparità di posizioni economiche tra i coniugi, che costituisce indice del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. A stabilirlo è la Cassazione, rigettando il ricorso di un ex marito avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli che poneva a suo carico un assegno divorzile di 450 euro mensili a favore dell’ex moglie. Per gli Ermellini la Corte territoriale ha ben operato, con motivazione adeguata e non illogica, nel quantificare l’assegno tenendo conto dei miglioramenti economici della moglie, abbassando peraltro notevolmente la cifra da versare in suo favore, rispetto a quella disposta in sede di separazione.

Circa la quantificazione dell’assegno, inoltre, ha aggiunto la S.C., il giudice del divorzio non deve necessariamente considerare tutti i parametri di riferimento, potendone valorizzare uno o alcuni, come, nel caso di specie, la condizione economica dei coniugi.

Infine, ha precisato il collegio rigettando il ricorso, anche le prove testimoniali, la cui valutazione spetta al giudice di merito, possono incidere sul quantum dell’assegno.

Marina Crisafi                                   studio Cataldi             2 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19323-assegno-divorzile-sulla-somma-il-giudice-puo-decidere-in-base-alle-prove-testimoniali-e-al-tenore-di-vita.asp

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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA

Seminario: Intorno al genere.

È il titolo che la Rete informale dei consultori familiari della Toscana, il Consultorio familiare Il Campuccio  della Misericordia di Firenze Onlus, in collaborazione con il Centro  Italiano di Sessuologia, hanno voluto dare a questo nuovo ciclo di seminari di formazione e aggiornamento .

Genere è un tema che, negli ultimi anni, è spesso stato oggetto di discussioni in ambiti quali sociale, pedagogico, politico, etico-religioso, filosofico, ecc…-Con questo ciclo d’incontri si intende offrire ad ogni operatore l’opportunità di approfondire, in base alle attuali conoscenze, queste tematiche dando anche l’occasione di confrontarsi con altri  professionisti, in modo da accrescere le proprie competenze professionali in un ambito multidisciplinare. 

Gli eventi sono rivolti agli operatori dei Consultori Familiari pubblici e privati, ai soci del Centro Italiano di Sessuologia, alle associazioni laiche e religiose interessate ai problemi correlati al genere e alla sessualità, ad operatori socio-sanitari pubblici e privati, medici, psicologi, avvocati, associazioni del volontariato e del privato sociale impegnate nella promozione e sostegno dell’individuo e della famiglia.

Ciclo di Seminari formativi Intorno al genere

  1. 31 Ottobre 2015 – Identità, orientamenti e ruoli sessuali
  2. 9 Aprile 2016 – Essere madre, essere padre di…… Genitorialità e genere
  3. 5 Ottobre 2016 – Professionisti e genere: il docente, il consulente ecc…

L’A.I.C.C.eF rilascia ai consulenti familiari iscritti 15 Crediti Formativi Professionali (CFP).

La partecipazione è gratuita.  Per l’iscrizione compilare la scheda e inviarla, per posta o per posta elettronica, a: consultorio familiare il Campuccio della Misericordia di Firenze Onlus, via Villani 21/A 50125 Firenze; · ilcampuccio@gmail.com

Il seminario si svolge presso la Residenza Il Bobolino Via Dante da Castiglione, 13 Firenze

Programma del 31 Ottobre 2015 ore 9.30-16,30 – Identità, orientamenti e ruoli sessuali

  • Carlo Conti, Past-President del Centro Italiano di Sessuologia. Oltre il genere
    • Elisabetta Pelo, genetista. Sviluppo individuale e sessuale
    •  Rosanna Intini, medico psicoterapeuta. Sviluppo ed evoluzione dell’identità: genere e sessualità
    •  Laboratorio su un caso. Confronto, discussione

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CHIESA CATTOLICA

Il cammino verso il Sinodo sulla famiglia, una rilettura in corso d’opera.

Si apre il 4 ottobre, in Vaticano, l’Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi su «vocazione e missione della famiglia». Un evento molto atteso, dentro e fuori la Chiesa, anche a motivo delle diversità di vedute emerse prima, durante e dopo il Sinodo straordinario, svoltosi sugli stessi temi nell’ottobre 2014.

Nel numero di agosto-settembre di Aggiornamenti Sociali, Giuseppe Trotta, gesuita della redazione, propone una rilettura del percorso fatto sinora, a partire dalle questioni teologiche e pastorali relative al matrimonio.

Lasciando cadere la logica degli schieramenti contrapposti con cui, specie a livello mediatico, viene spesso letto il dibattito in corso, e cercando, invece, di cogliere il nucleo essenziale delle questioni, si osserva – scrive Trotta – che «nel cammino sinodale le discussioni più animate hanno riguardato non tanto la famiglia, quanto la relazione coniugale, la cura delle unioni ferite o irregolari e la relativa prassi pastorale e sacramentale. Una chiave di lettura più adatta, allora, ci sembra la distinzione fra due modi con cui si può guardare al matrimonio: dal punto di vista giuridico, ponendo in primo piano la dimensione istituzionale oggettiva, che contempla diritti e doveri; e da quello della relazione interpersonale, osservandone la qualità e subordinandovi l’istituzione».

Dopo una sintetica ricostruzione di come, in Occidente, si è evoluta nei secoli la concezione del matrimonio, l’Autore spiega che «quanti partono da una visione giuridica di tale consenso danno la priorità ai diritti e ai doveri che conseguono al rapporto così istituito, retto al contempo dal diritto divino e canonico. (…) Quanti, invece, partono da una concezione personalistica del matrimonio, tendono piuttosto a vederlo come “un’unione personale nella quale i coniugi si donano e si accolgono reciprocamente” e in quest’ottica “recuperano” gli “aspetti ‘oggettivi’ ed istituzionali”».

Concentrando l’attenzione sull’Instrumentum Albori e sulle novità che potrà ispirare nell’Assemblea del prossimo ottobre, padre Trotta ne sottolinea l’insistenza sull’importanza della relazione interpersonale: «Questa prospettiva non era certo assente nei precedenti documenti del Magistero, ma non era ancora il punto focale da cui discernere limiti e potenzialità delle diverse situazioni, anche quelle cosiddette “irregolari”. Infatti, uno dei punti più controversi della Relato Synodi è stata l’affermazione di una nuova sensibilità pastorale, che porta a “cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze”».

Andando oltre la distinzione mediatica e semplicistica fra conservatori e progressisti, conclude l’articolo, il Sinodo potrebbe essere il punto di partenza per una più ampia revisione della pastorale sacramentale della Chiesa, chiarendo anche meglio il rapporto fra i sacramenti, in particolare matrimonio, riconciliazione ed eucarestia».

Aleteia                                    4 settembre 2015

http://it.aleteia.org/2015/09/04/il-cammino-verso-il-sinodo-sulla-famiglia-una-rilettura-in-corso-dopera/?utm_campaign=NL_it&utm_source=topnews_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-05/09/2015

il testo pubblicato

www.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=AGSO&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=12953

Divorziati risposati. Tutte le spine della riconciliazione.

Non smettono di alimentare il dibattito le proposte dei teologi chiamati nei mesi scorsi dal Pontificio consiglio per la famiglia ad animare due convegni sui temi del Sinodo. Su tali proposte diamo oggi spazio a una serie di osservazioni da parte dell’Associazione famiglie separate cristiane (ing. Ernesto Emanuele) e a una replica di don Giampaolo Dianin.

I Come integrare nuovamente nella comunità i “separati in nuova unione”? Come immaginare un “percorso discrezionale” per la riammissione ai sacramenti? Proposte e repliche da consegnare alla valutazione dei padri sinodali Divorziati e “matrimoni” bis Le spine della riconciliazione Via penitenziale? Associazioni e teologi a confronto on smettono di alimentare il dibattito le proposte dei teologi chiamati nei mesi scorsi dal Pontificio consiglio per la famiglia ad animare due convegni sui temi del Sinodo. Secondo le indicazioni di papa Francesco, che aveva espressamente chiesto di utilizzare questo periodo intersinodale per riflettere e discutere, il dicastero guidato dall’arcivescovo Vincenzo Paglia aveva organizzato due seminari sulle grandi questioni che, tra meno di un mese, saranno nell’agenda dei padri sinodali. Tre le grandi aree dibattute: fede e sacramento del matrimonio; sessualità e generazione; famiglie ferite e unioni irregolari.

Sul tema della sessualità cioè sul rapporto tra sponsalità, fecondità e contraccezione -abbiamo già pubblicato due approfondimenti, il 29 luglio e l’8 agosto. E torneremo a dare spazio alle opinioni dei lettori la prossima settimana. Oggi è la volta dei divorziati risposati o, meglio, secondo la dizione teologicamente più corretta, dei “separati in nuova unione”. Durante la sessione di studi, don Giampaolo Dianin, docente di pastorale della famiglia e di morale familiare, rettore del seminario di Padova, aveva formulato una proposta per una “via discrezionale” in nove punti, dando concretezza a quella richiesta di percorso penitenziale auspicato anche dall’Instrumentum laboris. In estrema sintesi, don Dianin aveva ipotizzato:

  1. la formazione in ogni diocesi di un’equipe guidata dal vescovo;
  2. l’accertamento delle motivazioni della coppia;
  3. la verifica della possibilità di vivere “come fratello e sorella”;
  4. la proposta di un percorso penitenziale alternativo
  5. la distinzione tra coniuge “innocente” e coniuge “colpevole”;
  6. la verifica del cammino di fede:
  7. la responsabilità da parte del sacerdote-guida di fissare inizio e fine del cammino;
  8. la possibilità di una riammissione anche parziale ai sacramenti;
  9. la necessità che la nuova unione non abbia alcun carattere sacramentale, pur riconoscendone il valore umano e spirituale.

Sulle proposte diamo spazio oggi a una serie di osservazioni da parte dell’Associazione famiglie separate cristiane e a una replica dello stesso don Giampaolo Dianin.                       segue

Luciano Moia                       Avvenire 5      settembre 2015

www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_35539.pdf

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    COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Adozioni in Congo

La Commissione Adozioni Internazionali ha convocato le famiglie che hanno procedure di adozione internazionale in Repubblica Democratica del Congo già definite con sentenza di adozione.

Gli incontri con le famiglie avverranno unitamente agli Enti che seguono le loro procedure adottive.

Comunicato stampa 31 agosto 2015

www.commissioneadozioni.it/IT.aspx?DefaultLanguage=IT

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DALLA NAVATA

23° domenica del tempo ordinario – anno B -6 settembre 2015.

Isaia                  35, 05            «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.»

Salmo                         146, 08            «Il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, Il Signore ama i giusti.»

Giacomo           02,22 «Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali.»

Marco               07, 33            «Lo prese in disparte dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua.»

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DIRITTI DEI MINORI

Cittadinanza italiana per il bambino straniero nato in Italia?

La normativa italiana [L. 5 febbraio 1992, n. 91] che disciplina la delicata materia della cittadinanza, in relazione agli immigrati, si basa essenzialmente sul principio che il bambino straniero, seppur nato in Italia, conserva la sua cittadinanza di origine, ossia quella dei propri genitori. La stessa legge evidenzia inoltre che è cittadino italiano per nascita:

          il bambino nato da padre e madre italiani;

          il bambino che nasce nel territorio italiano da genitori ignoti o apolidi (privi di cittadinanza);

          il bambino che nasce da genitori stranieri che non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono;

          il bambino nato da ignoti in territorio italiano non in possesso di altra cittadinanza.

Il bambino straniero che nasce in Italia, in base alla normativa attuale, può ottenere la cittadinanza in due modi:

1.         in seguito alla cittadinanza attribuita, eventualmente, ai genitori, dopo dieci anni di residenza legale, mediante trasferimento diretto;

 2.        con una richiesta di cittadinanza effettuata al compimento del diciottesimo anno di età.

È bene evidenziare che, in ambedue i casi, il conferimento della cittadinanza non è automatico ma è soggetto alla verifica della presenza di determinati requisiti, come ad esempio la dimostrazione di avere vissuto ininterrottamente sul territorio italiano. Si tratta di procedure, dal punto di vista burocratico, molto complesse.

In altre Nazioni, come ad esempio negli Stati Uniti d’America, chi nasce nel territorio dello Stato è automaticamente cittadino, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori, prevale dunque il diritto che sancisce la cittadinanza in base al luogo di nascita. In Italia, al contrario, è prevalente il diritto che sancisce la cittadinanza in base al vincolo di sangue e alla nazionalità dei genitori. Negli ultimi tempi si è molto parlato di diritto di cittadinanza, con la finalità di smuovere il Legislatore riguardo un argomento così delicato e che per molti viene considerato un principio di civiltà più che un diritto. Il dibattito sul tema è molto acceso in quanto secondo un orientamento, attribuire alla nascita la cittadinanza italiana potrebbe favorire maggiormente l’integrazione degli stranieri nel tessuto nazionale, creando quella società multietnica presente ad esempio in Gran Bretagna o in Francia, secondo un opposto orientamento invece, concedere la cittadinanza italiana alla nascita potrebbe provocare un aumento considerevole delle presenze straniere sul territorio ai danni dell’identità nazionale. Entrambi i punti di vista meritano di essere approfonditi e chiariti dalla politica che, soprattutto sul tema dell’immigrazione, è chiamata a dare delle risposte concrete.

Avv. Rossella Blaiotta                       la legge per tutti         4 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/96284_cittadinanza-italiana-per-il-bambino-straniero-nato-in-italia

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EMBRIONE

Svezia – Scoperta chiave d’accensione embrione umano.

Un team internazionale di scienziati guidato dal Karolinska Institutet svedese ha per la prima volta ‘mappato’ tutti i geni che si attivano nei primi giorni in cui un ovulo umano viene fecondato. Lo studio, che è stato pubblicato sulla rivista ‘Nature Communications’, fornisce una comprensione approfondita dello sviluppo embrionale precoce nell’uomo e gli scienziati ora sperano che i risultati possano essere di aiuto per trovare nuove terapie contro l’infertilità. All’inizio l’ovocita è formato da una singola cellula. Un giorno dopo la fecondazione ci sono due cellule, dopo due giorni quattro, dopo tre giorni otto e così via, fino a quando vengono a crearsi miliardi di cellule. L’ordine in cui i nostri geni vengono attivati dopo la fecondazione era però rimasto uno degli ultimi territori inesplorati dello sviluppo umano. I geni umano sono circa 23.000 in totale. In questo studio, gli scienziati hanno scoperto che solo 32 di questi geni si ‘accendono’ due giorni dopo la fecondazione, mentre dopo tre giorni ve ne sono 129 attivati. Sette erano sconosciuti. “Questi geni sono la ‘chiave di accensione’ necessaria per attivare lo sviluppo embrionale umano. E’ come far cadere un sasso nell’acqua e poi guardare le onde diffuse su tutta la superficie”, spiega il ricercatore principale Juha Kere. “Abbiamo identificato nuovi fattori che potrebbero essere utilizzati per riprogrammare le cellule nelle cosiddette staminali pluripotenti, per l’eventuale trattamento di una serie di malattie, e potenzialmente anche della sterilità”, afferma un altro scienziato, Outi Hovatta.

Aduc               3 settembre 2015

www.focus.it/scienza/salute/fecondazione-scoperta-chiave-d-accensione-embrione-umano

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

                        La scelta informale di Francesco, ma la dottrina non cambia.

Un testo informale per decisioni forti: la lettera di ieri sull’indulgenza giubilare ha il tono dimesso e nuovo dell’apparizione di Francesco al balcone dopo l’elezione. Come quando scrive ai nuovi cardinali per richiamarli alla sobrietà, o quando dice a braccio ai vescovi italiani che occorre ridurre il numero delle diocesi, così per il «perdono» giubilare (indulgenza vuol dire perdono) dice di più dei predecessori senza ricorrere al latino e senza citare i sacri canoni.

Le decisioni che comunica con un testo in italiano, firmato «Francesco», sono tutte nel segno dell’avvicinamento della Chiesa all’umanità tribolata (donne che hanno abortito, malati, persone sole e anziani, carcerati) e nel segno della semplificazione del linguaggio e delle norme. Ma non è una bolla, non è un motu proprio , non è una «lettera apostolica», esce da tutte le forme della tradizionale decretazione pontificia: è una lettera all’arcivescovo Fisichella, responsabile organizzativo del Giubileo. In pratica, una comunicazione di servizio.

Per l’aborto c’è la scomunica e dunque ordinariamente il confessore dirà alla donna che ha interrotto la gravidanza: non posso assolverti, vai dal vescovo. Già i vescovi potevano concedere (ai penitenzieri) a tutti i sacerdoti, negli Anni Santi e in altre occasioni, la facoltà di assolvere quel peccato. Ma qualcuno lo faceva e qualcuno no: con la decisione di ieri il Papa ha dato a quella facilitazione la massima estensione.

«Non dobbiamo porre dogane, dobbiamo essere facilitatori della Grazia», ha detto una volta Francesco. Con questa disposizione non tocca la dottrina sulla gravità del «peccato d’aborto», che qualifica come un atto «profondamente ingiusto», ma vuole che nei mesi del Giubileo si dia un segno più ampio di comprensione per chi ne sia pentito.

Lo stesso per i carcerati: non possono andare in pellegrinaggio, ma forse possono andare alla cappella del carcere, o comunque hanno una porta che chiude la loro cella; ebbene, dice Francesco con un salto simbolico di straordinaria efficacia: ogni volta che passeranno per la porta della cella, «possa questo gesto significare il passaggio della Porta Santa». Per le carceri Francesco non chiede formalmente «una grande amnistia», pur usando queste parole, ma forse la chiederà prossimamente. Il documento di ieri si limita a ricordare che la tradizione vedeva legati fra loro i giubilei e le amnistie: ieri parlava alla Chiesa, forse un giorno parlerà alle autorità degli Stati, come già Wojtyla nel 2000 e chiederà «un gesto di clemenza».

La lettera di Francesco è il documento papale con meno forma e più sostanza che sia mai stato fatto sul perdono giubilare, che una volta era anche detto «perdonanza». Esso potrebbe anche avere un effetto liberante rispetto allo spinoso tema delle indulgenze, che sono state all’origine della «protesta» di Lutero e che divide oggi gli stessi teologi cattolici tra quanti le ritengono imprescindibili e quanti le vorrebbero abbandonare. Francesco le propone, ma con tale novità di linguaggio e di contenuti da sottrarle, almeno in parte, alla polemica. Non dice «lucrare» o «acquistare l’indulgenza», come voleva il linguaggio tradizionale, non distingue tra indulgenza parziale o «plenaria», usa la parola indulgenza come sinonimo di «grazia del Giubileo». Insomma riduce ancora, più di quanto non avessero fatto gli ultimi Papi, gli elementi rituali e normativi di questo aspetto della prassi penitenziale cattolica che arriva con il secondo millennio della storia cristiana e che risulta ostica ai cristiani che non appartengono alla Comunione cattolica

Luigi Accattoli, vaticanista    corriere della sera     2 settembre 2015

http://archiviostorico.corriere.it/2015/settembre/02/scelta_informale_Francesco_dottrina_non_co_0_20150902_0cfa95ce-5134-11e5-ba35-eac0f0f9762d.shtml

 

Lettera del Santo Padre Francesco al Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione all’approssimarsi del Giubileo Straordinario della Misericordia

Bollettino n° 0637 del 1° settembre 2015

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/01/0637/01386.html

 

Papa: teologo è figlio del suo popolo, non separare dottrina e pastorale.

Dottrina e pastorale sono legate come la preghiera e la vita. Così, in sintesi, Papa Francesco nel videomessaggio inviato al Congresso Internazionale di Teologia a Buenos Aires, svoltosi nel centenario della Facoltà di teologia dell’Università Cattolica Argentina e nel 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II. Nel suo intervento, per la tre giorni di lavori, il Pontefice ha sottolineato l’importanza della memoria delle origini per poter affrontare con dinamismo le sfide del quotidiano, gioiosi nell’amore di Cristo.

Teologo è del popolo, credente, profeta. Memoria, studio e preghiera intrecciati alla concretezza della vita, dell’annuncio di Cristo. E’ la sfida che Papa Francesco ha ribadito ai tanti teologi riuniti per il Congresso Internazionale a Buenos Aires. Il teologo è principalmente figlio del suo popolo – ha spiegato – che “incontra le persone, le storie”, conosce “la tradizione”. “E’ l’uomo che impara ad apprezzare quello ha ricevuto come un segno della presenza di Dio”. Il teologo “è un credente” – ha proseguito – “che ha esperienza di Gesù Cristo e ha scoperto che senza di lui non può vivere”. Il teologo è un profeta perché riflettendo “la tradizione che ha ricevuto dalla Chiesa”, “mantiene viva la consapevolezza del passato”, creando l’invito al futuro in cui Gesù sconfigge l’autoreferenzialità e la mancanza di “speranza”. Centrale è la preghiera, via e realtà “tra passato e presente, tra il presente e il futuro”.

La memoria della Tradizione. Francesco ha sottolineato l’importanza di recuperare “la memoria del passaggio di Dio” nella “vita della Chiesa”, per sconfiggere divisioni e tentazioni. Guardando ai 100 anni della Facoltà teologica e ai 50 dal Concilio Vaticano II ha tracciato il legame tra tradizione e presente, tra studio e testimonianza in un “Cattolicesimo” che abbraccia tutto il tempo per poter essere “vero” e “autentico”. Ha spiegato che non può esistere una “Chiesa particolare isolata”, con la “pretesa di essere proprietaria e unica interprete della realtà e dell’azione dello Spirito”; così come – ha detto – non ci può essere una Chiesa universale che “ignora”, “rinnega” la realtà locale. Centrale è la tradizione della Chiesa definita “fiume vivo” che risale alle origini e si proietta verso il futuro, che “irriga” terre diverse, e “alimenta” varie aree geografiche del mondo”. Così – ha detto Francesco – si continua a ad “incarnare il Vangelo in ogni angolo” del pianeta in un modo “sempre nuovo”.

Relativismo e dignità della persona.In questo senso il compito del teologo è “di discernere”, “riflettere” su cosa significhi essere un cristiano di oggi. Perché – spiega il Papa – il cristiano di oggi in Argentina non è lo stesso di 100 anni fa e non lo è allo stesso modo “in India, in Canada, a Roma”. Volgendo lo sguardo in particolare alle sfide che affronta l’Argentina ha parlato di multiculturalismo, relativismo e globalizzazione, che a volte “minimizzano” la dignità della persona “rendendola un bene di scambio”. Ha ribadito la via del Vangelo, che “continua ad essere presente per placare la sete” “del popolo” e che permette di allontanare due grandi “tentazioni”: quella che condanna ogni cosa rifugiandosi “nel conservatorismo o nel fondamentalismo” e quella che consacra tutte le novità, tutto ciò che ha un “nuovo gusto”, relativizzando “la saggezza”.

Dottrina e pastorale. In vacanza con la ex? Non è riconciliazione e non vale a bloccare i termini per il divorzio. In questo contesto – ha proseguito – lo studio della teologia acquista un valore di primaria importanza”, ma ha chiarito che non può esistere il concetto di mera “dottrina” “staccata dalla pastorale” e indicando i padri della Chiesa come “Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio” ha rimarcato che “sono stati grandi teologi perché erano grandi pastori”. Quindi è tornato a ribadire la necessità dell’incontro, con le famiglie, i poveri, gli afflitti, le periferie, vie per una “migliore comprensione della fede”. “Una teologia che nasce al suo interno – ha sottolineato – ha il sentore di una proposta che può essere bella, ma non reale”. Le “domande del nostro popolo – ha aggiunto -, la loro angoscia, i loro sogni, le loro lotte, le loro preoccupazioni hanno un valore ermeneutico”, che non “possiamo” ignorare.

Massimiliano Menichetti

Bollettino radiogiornale radio vaticana. 4 settembre 2015            http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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RAGAZZA MADRE

Alla ragazza madre nessun mantenimento, ma solo i soldi per i figli.

Corte di cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 16657, 22 luglio 2015.

            In realtà bisogna fare una distinzione molto importante tra i contributi da versare all’ex partner e quelli, invece, necessari per il mantenimento del figlio.

Alla donna che abbia avuto un figlio da una relazione “di fatto”, ossia non basata sul matrimonio, non spetta alcun mantenimento, neanche nel caso in cui la relazione sia stata basata sulla convivenza. Scopo, infatti, dell’assegno di mantenimento è garantire all’ex coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita di cui aveva goduto durante il matrimonio, e dunque parificare – in linea tendenziale – le disparità economiche tra chi si è sposato e poi ha deciso di separarsi. Ne consegue, pertanto, che, nel caso di separazione di una coppia di fatto, non scatta alcun diritto all’assegno di mantenimento in favore dell’ex partner economicamente più debole.

            Pertanto, la donna che venga “abbandonata” dall’uomo con il quale ha avuto uno o più figli, può agire nei confronti di quest’ultimo, davanti al tribunale, affinché vengano accertati (e quantificati in termini monetari) i suoi doveri ed, eventualmente, lo condanni al pagamento di una somma periodica a titolo di mantenimento ordinario, cui di norma si accompagna anche l’obbligo della contribuzione al 50% per le spese straordinarie di mantenimento (visite mediche, viaggi, istruzione, ecc.).

Se, nonostante la sentenza, il padre non dovesse adempiere agli obblighi derivanti dalla sentenza, la donna potrebbe agire tanto in via esecutiva (pignoramento) per il recupero dei crediti spettanti al figlio, in nome e per conto di quest’ultimo, tanto – come si diceva prima – in sede penale, con denuncia alle autorità per violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Un’importante precisazione: il fatto che il padre non voglia contribuire al mantenimento del figlio non toglie che, salvo ulteriori e più gravi ragioni, il giudice disporrà il cosiddetto affidamento condiviso, regolando la potestà genitoriale (diritti e doveri sulla prole) in modo paritetico tra i due genitori. Entrambi, quindi, avranno il diritto-dovere di gestire la crescita e la formazione del minore, assumendosene tuttavia anche le relative responsabilità. In tale sede, il giudice disporrà anche i giorni e gli orari di visita del padre.

 In ultimo, quanto al caso di mancato riconoscimento del figlio da parte del genitore, sono ormai numerose le sentenze che attribuiscono alla prole, ormai divenuta maggiorenne, il diritto al risarcimento del danno nei confronti del padre completamente assente, il quale non abbia riconosciuto il proprio figlio. Secondo la Cassazione [Cass., sent. n. 5652/2012], l’uomo, che non riconosca i figli e che abbandoni gli stessi, senza occuparsi delle spese per il loro mantenimento, deve rimborsare alla moglie le spese sostenute per il sostentamento della prole e deve risarcire il danno non patrimoniale ai figli per averli privati del rapporto parentale. Pertanto, privare i figli della figura genitoriale paterna, fondamentale nella crescita, è un comportamento che rileva responsabilità ed è idoneo ad integrare un fatto generatore di responsabilità. La particolare tipologia di danno non patrimoniale, consistente nella perdita totale del rapporto parentale che ogni figlio ha diritto di realizzare con il proprio genitore, deve essere risarcita per il fatto in sé della lesione [Cass., sent. n. 7713/2000].

In un altro caso giudiziario [Cass. sent. n. 51215/2014], la Suprema Corte ha rilevato la responsabilità del padre posta la sua piena consapevolezza circa la nascita del figlio e la sua paternità: la madre gli aveva dato notizia della gravidanza fin dalla fase iniziale ed in seguito il ricorrente si era sottratto agli accertamenti sanitari idonei a fare chiarezza sulla paternità. Era, quindi, sussistente il dolo del reato, riconducibile alla consapevolezza della nascita di un proprio figlio, che aveva dovuto attendere la sentenza di accertamento per il riconoscimento formale.

 Redazione la legge per tutti 30 agosto 2015

www.laleggepertutti.it/96025_alla-ragazza-madre-nessun-mantenimento-ma-solo-i-soldi-per-i-figli

Usa, Papa a ragazza madre in collegamento tv: “Sii orgogliosa”    estratto

CITTA’ DEL VATICANO – “Dio ti benedica per quello che hai fatto. Sono orgoglioso di te, cammina a testa alta”. Mai un papa si era rivolto pubblicamente con queste parole ad una ragazza-madre. Papa Francesco lo ha fatto, stanotte, rompendo antichissimi tabù clericali nel corso di un lungo collegamento con la emittente televisiva americana Abc per illustrare i “motivi salienti” del suo prossimo viaggio che farà a Cuba e negli Usa dal 19 al 28 settembre prossimi. E come è suo solito fare nei video-collegamenti, ha dialogato a lungo con la gente comune. Come ha fatto con una ragazza-madre di una parrocchia di Sant’Antonio, nel Texas, alla quale ha espresso “affetto e ammirazione” per aver avuto “il coraggio” di far nascere due sue figlie pur non essendo sposata e da sola. Una delle due bambine della ragazza-madre, di nome Alice di 11 anni, era presente durante il video-collegamento ed è stata presentata al Pontefice.

“Sei una donna coraggiosa – ha detto papa Bergoglio rivolgendosi con tono paterno ed accogliente alla donna che, oltre a raccontargli la sua storia, gli aveva chiesta di essere benedetta. A sorpresa, Francesco le ha spiegato con naturalezza che secondo lui il suo coraggio nasceva dal fatto che “sei stata capace di portare queste due figlie al mondo. Avresti potuto ucciderle nel tuo grembo con l’aborto, ma hai rispettato la vita, hai rispettato la vita che cresceva dentro di te e questo Dio te lo premia. Non ti devi vergognare, commina con la fronte alta e ripeti serena ‘Io non ho ucciso le mie figlie, le ho portato al mondo’. Mi complimento con te. Mi complimento con te e che Dio ti benedica”. (…)

Orazio La Rocca, vaticanista                        la repubblica              5 settembre 2015

www.repubblica.it/vaticano/2015/09/05/news/usa_papa_a_ragazza_madre_in_videoconferenza_sii_orgogliosa_-122280112/?ref=HREC1-10

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SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

            Tradizione e modernità: intervista a Andrea Grillo

Sotto quali aspetti lei pensa che la Chiesa sia autoreferenziale?

Il tema della autoreferenzialità ecclesiale, come questione di fondo, è stato sollevato da papa Francesco immediatamente dopo la sua elezione. Anzi, potremmo dire che questo è il tema fondamentale che ha segnato anche il discorso che Jorge Mario Bergoglio ha pronunciato alla Congregazione dei Cardinali, durante la preparazione del Conclave. E’ forse il tratto decisivo che qualifica il suo pontificato. E indica la esigenza di superare una tendenza che potremmo riconoscere collocata alla base del rapporto della Chiesa cattolica con il mondo moderno. Sia con la “prima modernità”, nel conflitto con il protestantesimo, sia nella “seconda modernità”, nel conflitto con la società liberale. Una Chiesa antiprotestante e antimoderna, inevitabilmente, ha accresciuto largamente una “sindrome di chiusura” che le ha fatto perdere quasi ogni fiducia verso l’altro”. In tal modo, chiudendosi progressivamente in se stessa, la Chiesa ha perso non solo la propria identità, ma anche la propria vocazione. Il rimedio alla autoreferenzialità è la “uscita”, altra parola chiave del pontificato.

Il Sinodo riflette quest’immagine autoreferenziale di Chiesa?

Di per sé, il Sinodo avrebbe dovuto essere la continuazione della esperienza conciliare di “apertura all’altro”. Questa era la sua funzione originaria. Ma bisogna dire che la sua disciplina e la sua gestione, nel periodo post-conciliare, ha fatto del Sinodo dei Vescovi uno strumento di progressiva autoreferenzialità, almeno in due sensi. In primo luogo a causa di una mancanza di libertà che ha caratterizzato i lavori delle diverse Sessioni, dove quasi tutto era predeterminato in anticipo. In secondo luogo per “mancanza di autorità”: a ben vedere, infatti, oggi il Sinodo dei Vescovi è dotato di minori poteri rispetto ad un qualsiasi Consiglio Pastorale diocesano. Questa mancanza di autorità si presenta come una questione di fondo, che occorrerà affrontare con tutta la determinazione necessaria.

Oggi esiste un senso comune per cui la Chiesa è autoreferenziale e che dovrebbe essere più aperta ai cambiamenti in tutto il mondo. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi per la Chiesa nel “modernizzarsi”, per così dire, ripensando anche i suoi sacramenti, come il matrimonio?

Vorrei precisare che proprio su questo piano, ossia sul modo di intendere la autoreferenzialità, si crea spesso un equivoco pericoloso. La autoreferenzialità certamente si manifesta come una “distanza dal mondo”, progressiva e grave, ma anche – e direi in modo ancora più rischioso – come una distanza da Dio, dalla sua imprevedibile autorità e dalla libertà del suo Spirito. Se una Chiesa è autoreferenziale, anzitutto si chiude a Dio e alla sua Parola. Una Chiesa chiusa in se stessa, fallisce perché non si lascia più guidare dallo Spirito, ma dai suoi codici, dalle sue regole e dalle sue abitudini. Tuttavia, proprio per poter ascoltare la parola che Dio le rivolge, la chiesa deve vivere la esperienza degli uomini e delle donne, fino in fondo e senza paura. Non esiste possibilità di comprendere gli stessi sacramenti separandosi dalla esperienza degli uomini e delle donne. Per questo la “autoreferenzialità” è un problema anzitutto per la teologia, oltre che per la pastorale.

È possibile che la Chiesa ripensi i propri sacramenti e mantenga in ogni modo le sue posizioni?

E’ chiaro che la tradizione ecclesiale ha una grande urgenza di ripensare tutti i sacramenti, dal

battesimo, alla eucaristia al matrimonio. Può mantenere le proprie posizioni solo se è capace di lasciarle illuminare dalla Parola di Dio e dalla esperienza degli uomini e delle donne. In altri termini, la Chiesa può restare fedele alle proprie tradizioni solo se, per certi versi, è capace di leggerle in modo diverso, più acuto e più profondo. Una mera ripetizione non salva la tradizione, ma la affossa. La Chiesa non è un museo, ma un giardino.

Lei critica la Chiesa quando essa tocca vari temi, come quelli presenti nel dibattito del Sinodo, puntando a se stessa, nella forma del riferimento al Magistero e a documenti precedenti. Che ruolo il ricorso al Magistero deve avere nel dibattito?

Come è evidente, la Chiesa non può non fondarsi su una tradizione che il Magistero interpreta con la massima autorevolezza. Quindi non vi può essere nulla di strano nel fatto che, anche nel Sinodo sulla famiglia, vi sia un forte richiamo alla tradizione magisteriale, antica e recente. Il problema è piuttosto rappresentato da quelle forme riferimento al magistero che pretenderebbero di “fossilizzare” la esperienza di fede e la vita dei soggetti nelle categorie fissate dal Magistero, ma non in modo irreformabile. Oggi, dobbiamo ammetterlo, ci sono posizioni del Magistero antico e recente, che non risolvono i problemi, ma, anzi, contribuiscono a complicarli o a renderli assolutamente privi di soluzione. Faccio solo due esempi. Il primo è quello della “identificazione di contratto e sacramento”, con cui la tradizione tardo moderna ha cercato di salvare non solo la verità del matrimonio, ma anche la competenza ecclesiale su di esso. Oggi, questa soluzione appare non solo forzata, ma come la causa di molti imbarazzi giuridici e pastorali. Altrettanto dovremmo dire per l’uso disinvolto con cui si fa ricorso alla “mistica nuziale”, utilizzando un linguaggio da profeti, ma per fare gli interessi dei re. Spesso questo riferimento “mistico” serve soltanto a dare una parvenza di argomentazione a regole o a discipline nate da mondi ormai tramontati e privi di realtà.

Si può approfittare di ciò che dice il Magistero senza cadere nell’autoreferenzialità?

Io sono convinto di sì. Purché si riconosca che il Magistero non parla solo al passato, ma anche al presente e al futuro. Se il Sinodo dei Vescovi fosse del tutto cosciente di “essere parola magisteriale”, avrebbe il coraggio e la fedeltà della tradizione e potrebbe assumere anche il compito di “dire cose nuove”: nella storia è stato fatto molte volte e non si capisce perché oggi non dovrebbe essere possibile! Se guardiamo anche al recente passato, la Esortazione Apostolica Familiaris Consortio ha introdotto nella Chiesa, nel 1981, alcune parole nuove. Io non capisco perché, 35 anni dopo, non dovrebbe essere possibile continuare su quella strada, anche accollandosi alcune novità necessarie rispetto a quel testo. Altrimenti dovremmo pensare che Giovanni Paolo II fosse autorizzato ad arricchire la tradizione, mentre Francesco no!

Lei ha citato in un recente articolo che per capire meglio l’esperienza familiare, per quanto riguarda il Sinodo, sarebbe meglio elaborare categorie più adeguate che potrebbero essere tratte dall’esperienza liturgica. Quali categorie sono?

Le categorie con cui spesso parliamo del matrimonio hanno avuto origine da interessi e da questioni di carattere giuridico e morale. Per questo il linguaggio con cui vengono formulate spesso risente di questa origine. Oggi abbiamo bisogno di non perdere queste ricchezze, ma di riformularle secondo linguaggi diversi, forse meno chiari, ma molto più potenti e radicali. L’esperienza liturgica della “comunione” non è anzitutto una esperienza giuridica o morale, ma è esperienza di “pasto”, di “parola”, di “raduno”, di “cura per l’altro”. A mio avviso non è privo di utilità interrogarsi sulla esperienza familiare con l’aiuto di queste categorie-limite: la tavola, il talamo e la toilette (sic!) come luoghi della comunione familiare. Questo aiuta molto a non ideologizzare la famiglia, a riconoscerla come luogo di comunione elementare, nel mangiare insieme, nel dormire insieme, nel prendersi cura della pulizia altrui!

Particolarmente a proposito del matrimonio, lei dice che “le categorie classiche intorno al matrimonio, non hanno più elasticità”. Perché? Quali categorie dovrebbero sostituirle per “dire” il matrimonio, allora?

In questo compito di riformulazione non dobbiamo iniziare da zero. La storia della teologia è la lunga storia di una progressiva precisazione delle categorie con cui la Parola di Dio sulla unione tra uomo e donna diventa vivibile, si fa cultura, in rapporto alla natura e al compimento in Dio. Io vorrei che si evitasse di pensare – come spesso accade – che per 2000 anni abbiamo avuto sempre le stesse parole, e ora le vorremmo cambiare. Non è affatto così. Nella storia le categorie di comprensione del matrimonio si sono evolute tante volte. Alla comprensione “romana” si è ben presto affiancata la lettura “barbarica” del matrimonio. Una prima sintesi tra queste due “culture” è avvenuta nel Medioevo. Ma poi con Trento si è riconosciuto un valore alla “forma canonica”, per poi arrivare, con il Codice del 1917, ad una formulazione complessiva e rigida del rapporto tra contratto e sacramento. Ma, parallelamente, nasceva l’esigenza di dare spazio alla “persona”, al “soggetto”, al “sentimento”, di cui è testimone il Concilio Vaticano II. Tutto questo è avvenuto nel contesto di una società che, anzitutto in Europa, prendeva nuovi stili di vita, scopriva la mobilità, i diritti dei soggetti (e delle donne) e ripensava le forme della comunione.

Lei ha anche citato che la categoria del matrimonio è entrata in crisi dal XIX secolo. Questa crisi indica, in parte, che non vi è più un’adesione alla concezione cristiana del matrimonio da parte della società. Tuttavia, che cosa dice questa crisi o dovrebbe dire sul valore della verità della concezione del matrimonio in se stessa?

Credo che sia utile distinguere bene le questioni. Anzitutto vi è uno sviluppo delle forme civili del vivere che non si può mai ridurre soltanto alla “adesione a valori”. La fedeltà tra i coniugi, per moltissimi secoli, non era solo un valore, ma una necessità. Bisogna ricordare che fino al XX secolo la condizione di “separazione” tra i coniugi determinava per uno dei due – e spesso per entrambi – la impossibilità di vivere. L’idea della “autonomia finanziaria” di ogni soggetto è recentissima e condiziona strutturalmente la possibilità di “seconde unioni”. Dire la “verità del matrimonio” significa dare gli strumenti ideali, materiali, psicologici ed esperienziali per rendere possibile la fedeltà, la indissolubilità e la fecondità nelle condizioni della società “aperta” e addirittura “liquida”. D’altra parte, non tutto il mondo è uniforme. Per questo sarà inevitabile che la Chiesa differenzi la propria disciplina almeno per “grandi continenti”, o comunque per grandi regioni ecclesiastiche, dove il rapporto tra natura, cultura e fede subisce inevitabili differenze, legate alla storia e a diverse tradizioni culturali.

Nel suo libro “Sinodo approssimato”, lei cita il seguente brano: “San Vincenzo di Lerino fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione di un’epoca ad altra del depositum fidei , che cresce e si consolida con il passare del tempo”. Detto questo, quali aspetti dell’uomo sono cambiati e devono essere considerati dalla Chiesa nella realizzazione del Sinodo per quanto riguarda la famiglia e l’idea di famiglia?

Accettare ciò che dice S. Vincenzo di Lérins significa non illudersi di poter guardare alla storia “da fuori”. Questo è, in fondo, il vero pericolo della autoreferenzialità: di credere di stare a guardare la storia “dal balcone”. Come ha detto papa Francesco, abbiamo bisogno di teologi e di pastori che non stiano “al balcone”, ma che scendano in strada, che lavorino “in uscita”. Per parlare della “comunione” tra uomo e donna, che si apre alla vita e che diventa autorevole, dobbiamo oggi elaborare categorie più fini e più acute. Abbiamo una lunga tradizione che ha vissuto la “autorità paterna” o “maritale” come una evidenza talmente grande, diventare anche motivo di sopruso e di violenza. Oggi essere “padri”, “madri”, “mariti”, e “mogli” ha bisogno di una grammatica in parte nuova, che sappia coniugare la autorità con la libertà, la differenza con la eguaglianza. Una famiglia che oggi volesse sostituire o soppiantare la libertà dei soggetti e la loro coscienza sarebbe solo una nuova forma di oscurantismo. Esattamente come lo è il tentativo di pensare il soggetto liberandolo dalla comunione originaria che deve riconoscere iscritta nella propria libertà.

D’altro canto, nonostante i cambiamenti, quali aspetti dell’uomo si mantengono? Considerando questi aspetti che restano, come la Chiesa deve disporsi a proposito del Sinodo?

Proprio questo è il punto delicato: noi non dobbiamo affatto rinunciare a nulla del “vangelo della famiglia”, ma non dobbiamo confonderlo con un assetto storico particolare. La storia cambia, e non cambiamento non c’è solo perdita, crisi, mancanza. Le cose cambiano anche per migliorare, per progredire, per affinare le esperienze. Spesso mi capita di pensare al passato, ad es. a quanto avveniva nelle famiglie 100 anni fa. Potremmo essere tentati di pensare che “allora” – e non oggi – vi fosse una vera unità familiare. Ma a quale prezzo questo avveniva? Spesso i soggetti (magari le donne, o i figli non primogeniti) pagavano un prezzo altissimo a questa unità. Dovevano rinunciare ad una identità, alla formazione, alla educazione, alla scelta del partner per il “bene comune”. Oggi non è più possibile conseguire il bene comune a questo prezzo. E qui vi è la sfida alla Chiesa e alla società. Che non si risolve solo con gli slogan o con gli irrigidimenti.

In quali aspetti Lei vede la necessità di una migliore formulazione dottrinale?

Vorrei augurarmi, anzitutto, che nella formulazione dottrinale si evitasse, con grande accuratezza, quella mescolanza non controllata tra “disciplina giuridica” e “mistica nuziale” che rischia di compromettere la credibilità teologica e antropologica della tradizione. Sotto questo aspetto abbiamo molto da imparare dalla tradizione medioevale, che sapeva della complessità di questo sacramento. Tommaso, nella Summa contra Gentiles, ricordava che si è generati “per la natura”, “per la società” e “per la chiesa”, secondo logiche diverse, che non possono essere semplicemente unificate. Rispettare queste tre dimensioni del matrimonio e della famiglia – quella naturale, quella civile e quella religiosa – aiuterebbe non solo la Chiesa a recuperare queste preziose distinzioni, che hanno fatto tanto ricca e tanto accurata la sua tradizione in materia matrimoniale. D’altra parte, il superamento di una” mentalità legale classica” può essere bene illustrato da un esempio. La tradizione ecclesiale fa fatica a comprendere che la “legge” non è solo “pedagogia del dovere”, ma anche “riconoscimento del diritto”. Vorrei fare un esempio illuminante. Nella recente legislazione civile italiana abbiamo acquisito la “piena equiparazione del figlio naturale” al “figlio legittimo”. La eguaglianza supera ogni discriminazione. Ora è possibile giudicare questo provvedimento da un punto di vista “classico”: ossia, con la equiparazione del figlio naturale al figlio legittimo viene meno uno dei motivi classici del matrimonio “riparatore”. In un certo senso, con questa legge, diminuiscono i motivi a favore del matrimonio. Una lettura solo pedagogica della legge sarebbe anche oggi contraria alla equiparazione del figlio naturale al figlio legittimo: metterebbe il “bene comune” comunque al di sopra del diritto del soggetto. E lo si potrebbe sostenere anche “per favorire la indissolubilità del matrimonio”.

Vorrebbe aggiungere qualcosa?

Una Chiesa non autoreferenziale è chiamata, anzitutto, a restituire al matrimonio e alla famiglia la sua logica “altra”. Se il matrimonio diventa “autoreferenziale” perde se stesso. Per non essere autoreferenziale il matrimonio deve restare aperto alla complessità. La sfida del matrimonio è dunque, per la Chiesa di oggi, una “prova di coraggio”. Per difendere la famiglia c’è una sola via: scoprire quanta comunione è meravigliosamente nel benedetto affidarsi di un uomo e di una donna, che si apre al terzo e che rappresenta, in questa semplice esperienza, il paradigma più alto di Dio con il suo popolo e di Cristo con la sua Chiesa. Questo paradigma può essere tradotto nella cultura tardo-moderna della società aperta e del “soggetto di diritti”. Dopo Dignitatis Humanae il matrimonio ha bisogno di un linguaggio in parte profondamente nuovo.

Por Patricia Fachin | Tradução de Sandra Dall’Onder

http://ihu.unisinos.br/entrevistas/546208-sinodo-sobre-a-familia-entre-a-tradicao-e-a-modernidade-entrevista-especial-com-andrea-grillo

“Come se non” – – del 29 agosto 2015

www.cittadellaeditrice.com/munera/tradizione-e-modernita-intervista-sul-sinodo-sulla-famiglia/www.cittadellaeditrice.com/munera

            Si rischia la miopia e l’ingiustizia

Il Pontificio consiglio per la famiglia ha dato alle stampe il volume che raccoglie relazioni e interventi interdisciplinari in vista del Sinodo. S’intitola Famiglia e Chiesa, un legame indissolubile, LEV 2014. E’ un bel volume di 552 pagine. ben curato e al quale hanno contribuito a vario titolo alcun nomi tra i più prestigiosi della teologia cattolica odierna (specie italiana).

            Particolare interesse ha suscitato la proposta della via discretionis (è la forma latina di quella via del discernimento pastorale che già da non pochi anni è stata proposta), presentata formalmente da Giampaolo Dianin, con chiarezza e onestà. Tale via dovrebbe portare in alcune circostanze ad ammettere ai sacramenti i cristiani battezzati in seconda unione dopo la prima unione valida e sacramentale.

            Il motivo per cui mi chiedo se non sia piuttosto – nella forma qui presentata – una via in-discretionis spero apparirà chiaro alla fine, dopo aver detto qualcosa sui rischi di essa.

            Innanzitutto il rischio della miopia. Come si sa, la miopia è quel difetto per il quale non si vedono bene gli oggetti lontani; metaforicamente, indica l’insufficiente valutazione delle conseguenze di un’azione. Ebbene, la via discretionis (com’è specialmente presentata alle pp. 540-545) appare miope quando afferma l’accettazione pacifica (anzi “unanime”) del fatto che la ”seconda unione” non è “un’unione sacramentale” e sembra proporre il “secondo legame” come dotato di un “profilo antropologico e sponsale importante soprattutto quando si apre alla vita” tale da consentire la liceità dei rapporti sessuali e dunque ultimamente, almeno per questo aspetto, l’assoluzione sacramentale e l’ammissione ai sacramenti.

            Ciò significa che con tale via la Chiesa ammetterebbe la validità ecclesiale di fatto delle nuove unioni tra due battezzati purché riconducibili a quel “profilo”, in un modo o in un altro. Anche se tale posizione giunge solo al termine del percorso pastorale (qualunque sia la sua scansione) essa legittima una valutazione morale positiva dei rapporti sessuali del secondo legame ogni qual volta si dia un “profilo antropologico e sponsale importante”. Il termine “importante” non è chiaro; tuttavia, si può presumere che indichi anche il fatto di essere ‘importante’ nella percezione della coppia.

            Ora, se tali conseguenze fossero lucidamente previste e assunte, non sarebbe corretto parlare di miopia; se, però, come pare, tali conseguenze non sono molto considerate allora si può correttamente parlare di miopia. Mi sia permessa un’annotazione: se questa prospettiva – ancorché miope – fosse recepita nella Chiesa cattolica, i confessori potrebbero accogliere in modo assai più sereno persone viventi in esperienze “importanti” di coppia.

            Il rischio poi della ingiustizia può emergere chiaramente se si considera che in questo volume è ben poco presente un personaggio che la Chiesa non dovrebbe dimenticare e che peraltro il Sinodo non dimentica: il coniuge rimasto fedele. Supponiamo due sposi: Anna e Gerardo. Cresciuti nei gruppi parrocchiali, si sposano con un bel matrimonio in chiesa. Dopo dieci anni, pur avendo figli, Gerardo si separa, poi divorzia unendosi civilmente a Giovanna con la quale ha anche un figlio. Ad un certo punto sente (sentono) il bisogno di recuperare un rapporto con la Chiesa e cerca (cercano) di poter essere riammessi ai sacramenti. Intanto, Anna è rimasta fedele, prega ogni giorno per suo marito, padre dei suoi figli ma anche unita a lei dinanzi a Dio. Così le insegna la Chiesa. Poi un giorno viene a sapere che la stessa Chiesa ha riammesso Gerardo alla comunione riconoscendo il significato antropologico-sponsale della nuova unione. Va dal sacerdote che li ha sposati e gli chiede: posso cercare allora anch’io una nuova unione? Cosa dovrà rispondere il sacerdote a nome della Chiesa?

            Per chi scrive queste righe se il sacerdote risponde di no, sarà ingiusto (sia pure a nome della Chiesa); se risponde sì, farà una cosa buona ma sarà in contraddizione con la dottrina della Chiesa che continua a dire ad Anna di essere unita nel sacramento con Gerardo. Evidentemente, se la scelta è tra l’ingiustizia e la contraddizione, qualcosa non funziona.

            Miopia e ingiustizia sono inevitabili fino a che non viene affrontata adeguatamente la questione dell’indissolubilità del matrimonio cattolico, della sua realtà e della sua retorica. Questo limite appare chiaro nel volume, che partito con l’intenzione di unificare la dottrina del matrimonio oltre ogni dualismo genera di fatto nuovi problemi e nuove contraddizioni.

Basilio Petrà                                      l’indice del sinodo                              31 agosto 2015

http://ilregno-blog.blogspot.it/2015/08/si-rischia-la-miopia-e-lingiustizia.html

           

La fine del matrimonio secondo il papa.

Come sempre, anche nel corso dell’udienza del 5 agosto 2015, papa Francesco ha tenuto un breve discorso, riprendendo il filo delle sue riflessioni sulla famiglia, interrotto alla fine di giugno. Lo ha ripreso in modo preciso e per certi aspetti sorprendente: “Dopo aver parlato, l’ultima volta, delle famiglie ferite a causa della incomprensione dei coniugi, oggi vorrei fermare la nostra attenzione su un’altra realtà: come prenderci cura di coloro che, in seguito all’irreversibile fallimento del loro legame matrimoniale, hanno intrapreso una nuova unione”.

Molti hanno notato la novità, in bocca di un papa, di questo tipo di linguaggio. In effetti esso non attribuisce la connotazione del “fallimento irreversibile” all’unione coniugale, cosa molte volte e da molti detta, ma al “legame matrimoniale”. La distinzione può sembrare irrilevante; in realtà, secondo la disciplina attuale del matrimonio cattolico il legame matrimoniale non può fallire: o c’è o non c’è. E non può fallire perché nel matrimonio valido esso indica un vincolo oggettivo tra i due che rimane qualsiasi cosa accada tra loro, tranne la morte. Il papa sembra pensare che le cose non stiano esattamente così e che lo stesso legame dunque può venir meno, indipendentemente dalla morte.

            Non solo, il papa procedendo nella sua giusta sottolineatura che da molto tempo la Chiesa non considera scomunicati i divorziati risposati, ribadisce quanto ha appena detto sul fallimento coniugale in un modo che non può non colpire fortemente. Egli infatti dice: “Grazie all’approfondimento compiuto dai pastori, guidato e confermato dai miei predecessori, è molto cresciuta la consapevolezza che è necessaria una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale; in effetti, queste persone non sono affatto scomunicate: non sono scomunicate!, e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della Chiesa”.

            Dunque, non solo fallisce il legame matrimoniale; per il papa fallisce anche il matrimonio sacramentale. Ma anche il matrimonio sacramentale valido non può propriamente fallire: può solo darsi o non darsi, almeno finché non si abbia la morte di uno dei coniugi. Il papa sembra pensare che si possa parlare di un venir meno del sacramento, indipendentemente dalla morte fisica di uno dei coniugi. Se si considera che finora solo la morte fisica del coniuge è ritenuta causa del venir meno del legame matrimoniale e del matrimonio sacramentale, le parole del papa sembrano suggerire che l’effetto dell’irreversibile fallimento dell’unione coniugale possa essere considerato analogo a quello determinato dalla morte del coniuge.

            Certo, tra fallimento dell’unione e morte fisica di uno dei coniugi c’è diversità: tuttavia, la situazione che ne deriva è simile, giacché in ambedue i casi diventa impossibile la continuazione intraterrena di una determinata unione. Anzi, per certi aspetti, l’effetto divisivo di alcune rotture umane tra coniugi è maggiore di quello causato dalla morte.

            L’analogia implicata dalle parole del papa potrebbe aprire alla analogia dell’azione pastorale. La Chiesa cattolica, come si sa, pur sapendo che la morte non è la fine delle persone umane e che l’esistenza cristiana si compie pienamente nel Regno, consente tuttavia le nuove nozze dopo la morte del coniuge, seguendo da sempre la saggia decisione pastorale di Paolo. La stessa saggezza pastorale la Chiesa potrebbe attuare nei confronti delle unioni che ad essa appaiono irreversibilmente fallite, aprendo alle persone coinvolte un futuro umanamente ed ecclesialmente pieno, in un serio contesto di conversione e di riconciliazione.

Basilio Petrà                                      l’indice del sinodo                              2 settembre 2015

                        Paolo Tax commenta

            Credo meriti molta attenzione ciò che ha detto il Papa in quell’udienza, ma anche ciò che non ha detto. Francesco ha parlato di coloro che, battezzati, “hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale”; questa espressione sorprendente – “fallimento del matrimonio sacramentale” – non si trova nell’enciclica Familiaris Consortio (dove la parola “fallimento” è semplicemente assente, a meno che word mi tradisca!), non si trova nemmeno in questo senso nel Direttorio di Pastorale Familiare (al num. 104 c’è “fallimento”, ma il discorso è un altro). Sarebbe interessante ricercarne traccia nel magistero dei precedenti Pontefici.

Trovo singolare questa espressione (ma anche “l’irreversibile fallimento del loro legame matrimoniale”), che, forse, raccoglie spinose questioni dibattute in questo tempo inter-sinodale da varie facoltà teologiche, anche pontificie: un matrimonio sacramentale è fallibile?

Nelle parole del Papa, per riferirsi a coloro che “hanno intrapreso una nuova unione”, mancano espressioni presenti in abbondanza nei testi che ho indicato prima: tra le tante, Francesco non parla di divorziati risposati e situazioni matrimoniali irregolari; si è dimenticato?

Guarda poi a questi “genitori” mettendosi dalla parte dei figli, per chiedere alla comunità cristiana “accoglienza” (ricordando il grande lavoro compiuto in questi decenni, dove per davvero la Chiesa “non è stata né insensibile né pigra”), perché queste coppie “non sono scomunicate”, cioè “fuori” dalla comunione ecclesiale, anche se purtroppo molti di loro si vivono così, e molti di noi li vivono così!

Però mi chiedo: se dopo quasi 35 anni che è stato scritto e detto “non sono scomunicati”, abbiamo ogni tanto bisogno di ricordarlo, non sarà per caso che alcune scelte pastorali passate ci hanno condotto a pensare che, in realtà, non è così

L’indice del sinodo                            2 settembre 2015

http://ilregno-blog.blogspot.it/2015/09/la-fine-del-matrimonio-secondo-il-papa.html#more

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Assemblea dei Consultori familiari Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

E’ convocata l’Assemblea ordinaria dell’ U.C.I.P.E.M. ex art. 9 dello statuto, a Roma venerdì 02 ottobre 2015 ore 21 presso la Casa per ferie “Giovanni Paolo II” Opera Don Orione in Via della Camilluccia, 120 Roma, sede dell’ospitalità del Convegno C.F.C. – U.C.I.P.E.M. 2/3 Ottobre 2015 – Università Cattolica del Sacro Cuore – Largo Francesco Vito 1

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WELFARE

II welfare sarà rinnovato: Piano per famiglie e infanzia.

Nella legge di stabilità sono pronte una serie di misure. I servizi per l’infanzia saranno rafforzati, specie al Sud, sperimentando nuove forme di nido. Via alle consulenze per le separazioni.

            Se in Italia la povertà pare essersi fermata, andando a leggere la composizione sociale e anagrafica ci sono ancora numeri da spavento. Sono quelli che riguardano i minori. Lo certifica l’ultimo rapporto dell’Istat: 1 milione e 434mila sono i bambini e adolescenti, pari al 10% della popolazione, che vivono in una condizione di povertà assoluta. Il governo ha deciso di affronta questa emergenza già dalla prossima legge di stabilità con un obiettivo molto ambizioso: rinnovare il sistema di welfare attuale del nostro paese per destinare più risorse all’infanzia e all’adolescenza. Si tratta di un tema assolutamente trasversale a tutti gli interventi di spesa sociale in Italia. Siva naturalmente dal capitolo scuola e formazione ad altri meno immediati come la salute e la famiglia con gli innumerevoli servizi che hanno come riferimento il nucleo familiare. Senza dimenticare l’immigrazione, sulla bocca di tutti in questi giorni.

Non si parte certo da zero. Già nella scorsa legge di stabilità e nelle varie riforme già portate a casa e implementate dal governo si sono portati a termine interventi significativi in tema di infanzia e adolescenza. Ad esempio nella “Buona scuola” sono stati previsti «Buoni per nuclei familiari numerosi e indigenti», mentre ben 112 milioni saranno a disposizione di “Interventi a favore della famiglia” nel 2015 di cui 100 espressamente destinati al «rilancio del piano per lo sviluppo del sistema del sistema territoriale dei servizi socioeducativi per la prima infanzia», per chiudere infine con 5 milioni di incremento del Fondo per le politiche della famiglia specificamente per favorire le adozioni internazionali.

Del resto lo stesso Matteo Renzi premier ripete sottovoce dieci parole che spiegano più di tanti titoli: «Abbiamo il dovere di sostenere il peso economico della procreazione». Ancor più esplicito il sottosegretario all’Economia Enrico Morando: «II governo sta ragionando su un intervento per le situazioni di povertà assoluta nelle famiglie che hanno figli a carico. Quei bambini sono gli esclusi di domani, sono loro la nostra priorità». Gli interventi non sono ancora stati decisi con precisione. Uno spartito esiste però. Si tratta del piano messo a punto da Vanna Iori, deputata reggiana del Pd e responsabile nazionale del partito per l’infanzia e l’adolescenza che ha per titolo «I figli della crisi e il diritto al futuro». «Come partito abbiamo deciso di partire incontrando le principali realtà associative laiche e cattoliche sul territorio. In tre incontri abbiamo discusso con Save the children, la Fondazione Zancan, Arci ragazzi, Istituto Don Bosco. Con L’Europa chiede il 30% di copertura degli asili nel 2020 Mini-nidi e part time per arrivarci loro abbiamo costruito un progetto con una serie di interventi e linee di progettualità definite che poi abbiamo discusso con i ministri Boschi e Poletti», spiega Vanna Iori.

Il punto di partenza è la lotta alla povertà investendo un sviluppo sociale. Le tre priorità individuate dal piano sono altrettanto trasversali.

  1. «La prima è certamente la povertà educativa: serve una interventi per rafforzare i servizi all’infanzia: per quanto riguarda l’età prescolastica per raggiungere l’obiettivo europeo del 33 per cento di copertura degli asili per il 2020 servono, soprattutto al Sud, micro-nidi, nidi part time, Tagesmutter (mamma di giorno). In più –continua Iori -servono centri famiglia per diffondere i modelli positivi già esistenti come quelli di sicurezza stradale nel percorso casa-scuola, di cui c’è gran bisogno al Nord, o i servizi di consulenza per separazioni a difesa dei figli».
  2. Quest’ultimo esempio si lega al secondo fronte di priorità: la “genitorialità”. “Servono soprattutto nuovi servizi di preparazione e accompagnamento alle coppie che stanno per avere figli”.
  3. L’ultima priorità riguarda l’aspetto salute: specie in tema di nutrizione a partire dalla lotta all’obesità”.

L’idea di fondo è quella “di tornare a fornire servizi”. Ad oggi l’assistenza sociale comporta una spesa che al 90 per cento va in benefit monetari (a partire dall’indennità di accompagnamento) e solo per il 10 per cento in servizi veri e propri. La cosiddetta ” monetizzazione delle prestazioni” genera assistenzialismo mentre la creazione di nuovi servizi porterebbe innumerevoli vantaggi: creazione diretta di occupazione, emersione del sommerso e maggiori entrate tributarie per lo Stato.

            Massimo Franchi       L’Unità                       1 settembre 2015

www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_35488.pdf

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