NEWS UCIPEM n. 561 – 30 agosto 2015

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ADOTTABILITÀ                             L’adottabilità di un minore è la soluzione estrema.

ADOZIONE INTERNAZIONALE  In calo le adozioni internazionali, gli esperti a confronto.

Griffini (Ai.Bi.): “Paesi che chiudono le adozioni internazionali?

                                                           Necessario rifondare tutto il sistema, qualità e quantità insieme.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    L’Africa le chiude perché non sa cosa sono veramente.

AFFIDAMENTO ESCLUSIVO        Affidamento esclusivo al padre.

CHIESA VALDESE                          Il Sinodo studia una liturgia per benedire le coppie omosessuali.

DALLA NAVATA                            22° domenica del tempo ordinario – anno B -30 agosto 2015.

DIRITTI DELL’EMBRIONE           Conforme a Convenzione il no alla ricerca sugli embrioni.

Dallapiccola: Verdetto giusto, per staminali esistono altre vie.

DIVORZIO                                       Divorzio breve: 50mila cause in più a giugno e luglio.

In vacanza con l’ex? Non è riconciliazione e non vale a bloccarlo.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Troppi ormoni fanno danni.

FORUM ASS. ni FAMILIARI      “Necessario un riconoscimento giuridico delle case famiglia”.

FRANCESCO VESCOVO ROMA   “Riusciamo a pensare Dio come la carezza che ci tiene in vita?”

GRAVIDANZA                                 Amniocentesi, una forma di diagnosi prenatale.

MINORI                                            Migranti, tutti i dati sui minori sbarcati.

SCIENZA & VITA                           La di Strasburgo ribadisce che l’embrione è qualcuno.

SEPARAZIONE                                La separazione consensuale può avere due tipi di pattuizioni.

UNIONI CIVILI                               Il Ddl Cirinnà a rischio d’ incostituzionalità.

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ADOTTABILITÀ

                                       L’adottabilità di un minore è la soluzione estrema.

            Corte di cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 16897, 19 agosto 2015.

Cassazione: no all’adozione se ci sono parenti entro il quarto grado. La dichiarazione dello stato d’adottabilità è l’estrema ratio, prima va valutata l’idoneità dei parenti entro il 4° grado

Per un minore, la dichiarazione dello stato di adottabilità è l’estrema ratio, prima della quale va valutata l’idoneità di tutti i parenti, entro il quarto grado, che possono prendersi cura di lui. Lo ha ribadito nei giorni scorsi la prima sezione civile della Cassazione, accogliendo le doglianze degli zii paterni che chiedevano l’affido etero-familiare delle nipoti, due bambine che i giudici di merito avevano dichiarato adottabili disponendo l’interruzione di ogni rapporto fra le stesse e i genitori e la collocazione presso una coppia in lista d’attesa per l’adozione nazionale.

            “Il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine, che trova il suo fondamento nel diritto italiano, convenzionale europeo e internazionale, comporta che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità è praticabile solo come soluzione estrema – hanno affermato, infatti, gli Ermellini – quando, cioè, ogni altro rimedio appaia inadeguato all’esigenza dell’acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l’esigenza del minore stesso”.

            Tale verifica va compiuta, hanno proseguito i giudici di piazza Cavour, con il medesimo “rigore” con il quale occorre accertare lo stato di abbandono del minore, anche in relazione alla manifestata disponibilità dei parenti “entro il quarto grado a supplire alla carente idoneità genitoriale fornendo un contesto familiare adeguato alla cura, all’educazione e alla crescita del minore che valga a consentire di non rescindere il legame con la famiglia di origine e di sperimentare, nel tempo, anche un recupero delle capacità genitoriali”.

Nella specie, nonostante il giudice delle seconde cure avesse ritenuto provate sia l’incapacità genitoriale che l’assenza di rapporti significativi tra le minori e gli zii paterni, per la Cassazione le verifiche necessarie non sono state affatto accurate.

            La Corte d’Appello, infatti, è arrivata ad escludere la significatività dei rapporti tra zii e nipoti, sulla base di circostanze riferite dal perito che attenevano soprattutto alla motivazione di una costituzione tardiva in giudizio. Una circostanza che, a detta della Cassazione, non è affatto idonea ad escludere le potenzialità di accudimento e cura delle minori, né la significatività del rapporto esistente tra gli zii e le bambine.

            La verifica del giudice di merito, in sostanza, per la S.C., doveva essere “diretta”, andando ad indagare le personalità degli zii, il loro rapporto con i figli, al fine di verificarne la capacità genitoriale e la relazione con le nipoti, potendo prescindere da un siffatto accertamento soltanto in presenza di elementi oggettivi “gravi e univoci” attestanti il contrario, come peraltro richiesto dal legislatore.

Marina Crisafi           studio Cataldi 24 agosto 2015   www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_19213_1.pdf

sentenza          studio Sugamele 29 agosto 2015       www.divorzista.org/sentenza.php?id=10550

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

                        In calo le adozioni internazionali, gli esperti a confronto

            Interrogarsi sulla crisi del sistema delle adozioni internazionali, per far sì che uno degli strumenti più importanti di protezione per i minori non venga a scomparire: è questo il cuore del convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, in programma a Gabicce Mare, in provincia di Pesaro Urbino, domani e dopodomani. L’evento, organizzato dall’associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi), vuole essere occasione di confronto e dialogo fra i rappresentanti di enti, istituzioni e associazioni familiari.

Intervista la giornalista e scrittrice, Paola Severini Melograni, da anni impegnata su tematiche sociali nel nostro Paese:

            R. – Questo incontro vuole essere il modo per accendere i riflettori su una situazione che sta diventando molto complicata: quella del calo esponenziale delle adozioni internazionali nel nostro Paese. Ai.Bi. ha pensato di invitare inoltre i rappresentanti delle istituzioni – soprattutto di Francia e Spagna, ma anche italiane – insieme con altre associazioni.

            D. – Quali sono le ragioni del calo delle adozioni internazionali?

            R. – Nel 2010, eravamo il secondo Paese nel mondo con il più alto numero di adozioni internazionali: queste erano 4.130. Questa caduta, assolutamente verticale, è certamente dovuta alla crisi, perché adottare costa, costa in modo spaventoso. Nonostante si possano dedurre il 50% delle spese riconosciute dalla dichiarazione dei redditi, si arriva a 40 mila. Poi, il numero degli enti: quelli riconosciuti in Italia sono 62. Ed è una cosa senza senso, perché si mettono vicino enti importanti – con una storia e un rapporto consolidato con tanti Paesi – ed enti che magari fanno una, due adozioni… E poi ci sono dei casi molto, molto sgradevoli che ancora non sono stati chiariti. Pensiamo al caso del Congo: in realtà, sembrava che fosse tutto a posto e invece ci sono ancora più di 100 bambini che aspettano.

            D. – Quali conseguenze ha per la famiglia lo scoraggiamento delle adozioni?

            R. – Il problema è che se si scoraggia l’adozione, evidentemente per i genitori le strade si riducono ad altri tipi di genitorialità: percorsi che probabilmente, in partenza, loro non volevano intraprendere. Allora, a questo punto, bisogna capire cosa vogliamo, oltre a riconoscere l’eroismo di questi genitori, perché l’iter è spaventoso e la parte economica – forse – è quella meno importante… Ci sono le truffe, i bambini venduti… Si crede di andare a prendere un certo bambino e te ne fanno trovare un altro, bambini in condizioni molto, molto complicate di salute… Il discorso delle adozioni internazionali segnala quindi il livello di civiltà di un Paese.

            D. – Come superare, quindi, l’attuale crisi del settore?

            R. – Tornando agli Enti riconosciuti. Bisognerebbe diminuirli drasticamente: da 62 possono essere tranquillamente ridotti a una ventina, non soltanto perché bisogna riconoscere la qualità, ma perché gli si darebbe più forza.

            D. – Che cosa vi attendete da questo incontro?

R. – Da questi due giorni mi aspetto un confronto con il governo e una risposta a tutte queste domande. Perché gli italiani hanno voglia di adottare e hanno voglia di famiglia: la famiglia è la cosa più importante per il nostro Paese. È compito del governo e dello Stato facilitare questa voglia di famiglia, e questa è un’occasione.

Maria Caterina Bombarda   Bollettino Giornale Radio vaticana  25 agosto 2015

                        http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

 

Griffini (Ai.Bi.): “Paesi che chiudono le adozioni internazionali?

La responsabilità è delle Autorità Centrali dei paesi di accoglienza ”

E’ corretto chiudere un Paese per paura che le adozioni internazionali si trasformino in un traffico di minori? Di chi è la responsabilità se un Paese di origine chiude le adozioni internazionali per traffico di minori? Delle autorità dei Paesi di origine, della loro mancanza di controllo, di eventuali connivenze o piuttosto delle autorità dei Paesi di accoglienza, del loro mancato controllo sugli enti autorizzati e delle famiglie? E ancora cosa fare per collaborare con i Paesi di origine per garantire una adozione internazionale assolutamente trasparente e sicura?

Questo il passaggio cruciale dell’intervento di Marco Griffini, presidente di Ai.Bi, amici dei Bambini che ha aperto i lavori del convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza” in programma da ieri e continua oggi a Gabicce Mare (Pesaro Urbino) nell’ambito della XXIV settimana di Studi e Formazione delle associazioni Ai.Bi. e La Pietra Scartata.

            “L’adozione internazionale ha ancora un futuro? – si è chiesto Griffini – O meglio i bambini abbandonati hanno ancora un futuro? Molte volte ci si dimentica che parlare di adozione vuol dire innanzitutto parlare di bambini. Sono loro i protagonisti della adozione, noi ne siamo solo i comprimari. Ma questo, molto spesso, viene dimenticato”. “Se così non fosse, se l’adozione fosse veramente considerata per quello che è, cioè l’ultima possibilità per un bambino abbandonato di essere chiamato con nome di figlio – ha continuato Griffini – allora non saremmo qui a parlare di futuro della adozione e cercare di salvarla. Perché tutti sarebbero dalla parte dei bambini. Chi non si darebbe da fare per salvare un bambino dal suo abbandono? Per salvarlo dalla perdita di un padre e una madre?”

Ma quello che “gioca contro”, è l’erronea e “moderna” concezione dell’adozione che viene vista dalle coppie sterili come uno dei “metodi” per avere un figlio, ovvero come una forma di genitorialità a pagamento. Un modo di vivere l’adozione non solo erroneo ma anche pericoloso. Perché “se non si trova una coppia disposta a pagare – si interroga Griffini – il diritto di quel bambino abbandonato non si avvera? Ma allora che diritto è? Un diritto che non esiste in stesso, che esiste solo sulla carta delle convenzioni internazionali”.

            Ecco che allora il presidente di Ai.Bi. pone ai relatori e protagonisti del convegno tre questioni ai quali si dovrà trovare una risposta alla fine della “due giorni” di dibattiti e confronto.

     “La crisi che ha colpito le adozioni internazionali in Italia – ha detto –  sembra da ascriversi ad altre cause rispetto a quelle che hanno colpito Francia, Spagna e USA. Sembra dipendere da un fatto ‘politico’: dalla fine del 2011 è cambiato qualcosa a livello ‘di scelta politica della accoglienza’. Si potrebbe pensare, dunque, che senza un governo che creda nelle adozioni internazionali, queste non hanno futuro”. Ma – ed è qui la prima domanda: “È sufficiente una scelta politica di ‘sostegno alle adozioni’, cioè ritornare al 2011, a quei governi per uscire dalla crisi odierna?”

     “Il calo delle richieste delle coppie è iniziato molto prima – ha aggiunto – di quello delle adozioni. E sembra inarrestabile: 500 copie all’ anno. Quindi le cause di questo calo sembrano non avere nulla a che fare con la ‘scelta politica’ Quali quindi la cause? Perché, e questa è la seconda domanda, le coppie italiane, francesi e spagnole fuggono dall’adozione internazionale?”

     Infine, terzo quesito: la EALA (Assemblea legislativa della Africa dell’Est, Uganda, Kenya, Tanzania, Rwanda e Burundi) dichiara l’intenzione dei Paesi africani di “programmare l’abolizione della adozione internazionale per evitare che i bambini finiscano nelle mani dei trafficanti “.

            “Ma è mai possibile – al giorno d’oggi – – si è chiesto Griffini – chiudere un Paese per paura che le adozioni internazionali si trasformino in un traffico di minori? Di chi è la responsabilità se un Paese di origine chiude le adozioni internazionali per traffico di minori? Delle autorità dei paesi di origine, della loro mancanza di controllo, di eventuali connivenze o piuttosto delle autorità dei paesi di accoglienza, dal loro mancato controllo, degli enti autorizzati, delle famiglie?”

Per quanto riguarda la CAI, il regolamento impone che, ogni due anni, ogni Ente autorizzato debba essere sottoposto a verifica “sulla permanenza dei requisiti di idoneità degli EA e sulla correttezza, trasparenza della loro azione”. Quindi essendo in Italia, noi Enti autorizzati (66), dovremmo assistere ogni anno a ben 33 verifiche. “Ora a quanto sappiamo sono solo due le verifiche in corso. Come si possono condurre adozioni internazionali se il sistema non viene rigidamente controllato? Che futuro può avere un sistema così delicato, ma fuori controllo?”

            “Allora di chi è quindi la responsabilità se un Paese di origine chiude le adozioni per delle irregolarità nelle procedure adottive – ha precisato – condotte dagli stranieri e cosa fare per collaborare con i paesi di origine per garantire una adozione internazionale assolutamente trasparente e sicura?”

            “Ecco, queste sono le tre questioni che pongo sul tavolo di questo convegno – ha concluso il presidente di Ai.Bi. – e credo che in base alle risposte che riusciremo a dare, dipenderà o meno la risposta alla “madre delle domande “qui posta: l’adozione internazionale ha ancora un futuro?

Ai. Bi.  27 agosto 2015                                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

“Necessario rifondare tutto il sistema, senza credere che qualità e quantità non possano stare insieme”

            Il dualismo tra qualità e quantità delle adozioni internazionali? Una bufala. Ne è certo Gianfranco Arnoletti, presidente di Cifa for Children – uno dei più grandi Enti autorizzati italiani – intervenuto giovedì 27 agosto a Gabicce Mare, nel corso della tavola rotonda svoltasi nell’ambito del convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, organizzato da Amici dei Bambini. Arnoletti è molto chiaro su questo tema: “Giustificare il calo delle adozioni affermando che si è cercato di privilegiare la qualità è come nascondersi dietro un dito ed è un insulto ai tanti bambini arrivati in Italia nel corso degli anni”. Insomma, secondo il presidente di Cifa, chi ritiene che non sia possibile coniugare qualità e quantità sbaglia. Al contrario, gli Enti grandi, che realizzato più adozioni, sono anche quelli chiamati ad avere più degli altri strutture adeguate e alte competenze. “Avere numeri significativi di adozioni realizzate – spiega Arnoletti – permette anche di avere un confronto interno su vari aspetti, da quello psicologico a quelli più tecnici”.

            Gli Enti maggiori, inoltre, rappresentano maggiormente il nostro Paese all’estero, soprattutto nell’ottica di un’adozione internazionale intesa come parte di un più ampio progetto di cooperazione. Senza nulla togliere agli enti piccoli, che hanno sicuramente le loro peculiarità positive – “possono certamente assicurare un maggiore calore familiare alle coppie”, ricorda Arnoletti – quelli grandi sono però gli unici che possono realmente fare rete e provare a coalizzare gli altri enti. È questo il punto da cui ripartire: fare rete e rifondare completamente un sistema che ha mostrato tutti i suoi limiti. A cominciare dalla frammentazione. “Sessantadue Enti sono troppi – dichiara Arnoletti -. Solo in Italia si crede che fare 100 o 200 adozione per un ente sia un grande risultato!”

Ai. Bi.  26 agosto 2015                                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

L’Africa le chiude perché non sa cosa sono veramente

L’avvocato Okende, tra i massimi esperti africani di adozioni internazionali, fa il punto sulla situazione del Continente, dove molti paesi stanno stringendo le maglie nei confronti dell’Occidente. «Da noi mancano cultura e sistemi di welfare, da voi c’è troppa arroganza. Così l’infanzia abbandonata è a rischio»

L’Africa e il futuro delle adozioni internazionali è uno dei temi al centro del convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, organizzato da Amici dei Bambini, che si chiude oggi a Gabicce Mare. Vita.it ha intervistato l’avvocato Martin Kasereka Musavuli Okende, esperto di adozioni, della Repubblica Democratica del Congo, per capire dove sta andando il Continente, soprattutto dopo il documento approvato dall’East African Legislative Assembly sulla protezione dei diritti dei bambini, che sembra introdurre una stretta sulle adozioni da parte dei paesi occidentali.

Avvocato Okende, lei ha definito la situazione delle adozioni in Africa drammatica. Quali sono le principali ragioni che l’hanno determinata?

Un’attenta analisi delle adozioni nel continente africano impone questa definizione, non trovo altri termini che possano rappresentarla in modo più appropriato. Le principali cause di questa situazione devono essere ricercate nella realtà e nella storia dell’Africa: la diffidenza, gli scandali, mancanza di un’efficace vigilanza, l’instabilità politica, le guerre continue, la povertà, il colonialismo e le sue conseguenze, la scarsa possibilità di sviluppo di adeguati sistemi di welfare, l’urbanizzazione ed il profondo mutamento dei legami famigliari nelle grandi città in costante espansione. Accanto a questi fenomeni di carattere macroscopico, ed è doveroso indicare che ogni singolo stato africano ha seguito un proprio percorso negli anni, posso affermare che sia mancata in Africa una vera cultura dell’adozione. Tutt’oggi una buona parte della popolazione del mio Paese ha idee confuse ed errate su cosa sia veramente l’adozione e questa mancanza di conoscenza genera diffidenza e la diffidenza porta alla chiusura.

            Quali sono le responsabilità dei governi africani e quali, invece, dei governi dei paesi occidentali?

Le responsabilità dei governi africani sono, a mio parere, di non essere ancora riusciti pienamente a riempire di significato il concetto di sussidiarietà, di non aver vigilato completamente sulla protezione dell’infanzia, di non aver sempre sviluppato un sistema di welfare capace di rispondere all’emergenza dell’abbandono presente nei propri Paesi ed anche purtroppo di non aver coinvolto i propri popoli nella conoscenza dell’adozione. Le responsabilità dei governi occidentali sono di non essere ancora riusciti a riempire di significato il concetto di sussidiarietà, la mancanza di una profonda comprensione e conoscenza dei Paesi africani, il desiderio di importare modelli inadeguati e purtroppo, in alcuni casi, un atteggiamento arrogante che aumenta le distanze.

            Quali soluzioni pratiche, immediate, si potrebbero adottare per migliorare la situazione?

La prima azione pratica che individuo è certamente una campagna accurata per promuovere la registrazione anagrafica dei bambini, poi è fondamentale la stretta collaborazione tra le istituzioni e il reciproco rispetto dei principi e delle regole dei Paesi, da ultimo ma non meno importate è iniziare a parlare a tutti di adozione e spiegare davvero cosa sia.

            Ci sono centinaia di famiglie italiane e non solo che attendono da anni di riabbracciare i propri figli adottati nel suo paese, la RDC. Secondo alcune fonti, sarebbero oltre 400 e non poco più di 100 come sostenuto da fonti ufficiali. A lei cosa risulta? E quali prospettive di una positiva soluzione della vertenza ci sono?

Purtroppo ritengo che la chiarezza su questo punto possa e debba doverosamente essere fornita da parte del governo italiano.

Gabriella Meroni                              vita.it  27 agosto 2015

www.vita.it/it/article/2015/08/27/adozioni-lafrica-le-chiude-perche-non-sa-cosa-sono-veramente/136280

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AFFIDAMENTO ESCLUSIVO

Affidamento esclusivo al padre.

Tribunale di Cosenza, seconda Sezione civile, decreto n. 778, 29 luglio 2015

Una madre ritenuta non adeguata come genitore perché dotata di personalità manipolativa ha spinto i figli ad odiare il padre, suo ex compagno.

sentenza          studio Sugamele 29 agosto 2015       www.divorzista.org/sentenza.php?id=10564

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CHIESA VALDESE

Il Sinodo valdese studia una liturgia per benedire le coppie omosessuali.

 Il dibattito del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, in corso a Torre Pellice (TO) dal 23 al 28 agosto, ha affrontato questa mattina il tema delle nuove famiglie. In particolare, i 180 deputati hanno ricevuto e inviato alle chiese locali affinché lo studino e lo valutino, un ampio documento redatto dalla Commissione famiglie delle chiese metodiste e valdesi. “Si tratta del primo documento di questo genere dopo quello sul matrimonio approvato dal Sinodo del 1971 e il testo sui matrimoni interconfessionali stilato insieme alla Conferenza episcopale italiana del 1997/2000”, ha precisato questa mattina Paola Schellenbaum, membro della Commissione famiglie, durante una conferenza stampa di presentazione del testo. “Nel documento, la famiglia fondata sul matrimonio rimane rilevante ma non può essere più considerata forma privilegiata o addirittura unica. Si tratta di includere altre forme di unioni”, ha affermato Schellenbaum che ha aggiunto: “Il testo è il frutto di un confronto di un dialogo con la società, di cui cerca di cogliere i cambiamenti e le novità”. Più in dettaglio, l’argomento delle famiglie e delle forme di unioni viene affrontato a partire da quattro prospettive: biblica, teologica, giuridica e liturgica; nel capitolo finale, propone poi alcune questioni per la discussione, come per esempio, la possibilità di procedere a benedizioni di coppie senza effetti civili. Le chiese locali dovranno far pervenire le loro osservazioni sul testo che verrà posto in discussione e votazione nel Sinodo 2016.

            Durante la stessa conferenza stampa la pastora Mirella Manocchio, coordinatrice della Commissione culto e liturgie delle chiese battiste, metodiste e valdesi ha illustrato a grandi linee il testo di una liturgia per la benedizione di coppie dello stesso sesso che sarà sottoposta al voto del Sinodo questa sera. “Nel 2010 il Sinodo ha introdotto la possibilità, per le chiese locali che abbiano fatto un opportuno percorso, di celebrare benedizioni di unioni di coppie dello stesso sesso. Successivamente il Sinodo ha dato mandato alla Commissione liturgie di definire una liturgia ufficiale”, ha spiegato Manocchio. Il testo della liturgia inizia con la citazione biblica di 1 Giovanni 4:7 che dice “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio”. “Questo – ha sottolineato Manocchio – per dire che ogni amore autentico, libero e sincero viene da Dio, indipendentemente dal fatto che si tratti di una coppia eterosessuale o omosessuale”. I testi delle due liturgie sono già stati sottoposti al giudizio del Corpo pastorale – l’organo teologico consultivo del Sinodo – che ha espresso il suo parere positivo.

 27 agosto 2015                     www.pinerolovaldese.org/news/culto-di-pasqua.php

La Chiesa antica ha chiamato “sacramenti” alcuni atti particolari ordinati dal Signore Gesù Cristo e li ha definiti “segni visibili della grazia invisibile”. Secondo la Chiesa valdese e le altre Chiese evangeliche, rispondono a questi requisiti soltanto due atti espressamente stabiliti da Gesù: il battesimo e l’eucaristia (che preferiamo chiamare col termine più comprensivo di “Cena del Signore” o “Santa Cena”). La cresima, la confessione auricolare e relativa assoluzione sacerdotale, il matrimonio, l’ordine sacro e l’estrema unzione in ambito evangelico non sono considerati “sacramenti”, anche se a diversi momenti e a diverse decisioni della vita dei credenti viene dato un opportuno rilievo: come la confermazione dei catecumeni, la celebrazione del matrimonio, la consacrazione di uomini e donne al ministero pastorale; mentre non si pratica affatto la confessione auricolare e l’estrema unzione.

www.valdesidipignano.it/cosa-crediamo/f-a-q-sui-valdesi/#I%20valdesi%20hanno%20i%20sacramenti

Conclusi i lavori del sinodo, un lungo applauso saluta l’elezione del pastore Eugenio Bernardini a moderatore della Tavola valdese “Solo accogliendo chi soffre si può accogliere Dio”

“Solo accogliendo chi soffre si può accogliere Dio” questo il messaggio centrale del discorso del pastore Eugenio Bernardini, eletto per il quarto anno consecutivo moderatore della Tavola valdese (organo esecutivo dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi) dal sinodo riunito a Torre Pellice (23-28 agosto). Prendendo spunto dal versetto biblico (Galati 5,22) Bernardini ha messo l’accento sull’infuocata polemica sull’accoglienza ai profughi: “L’uso strumentale che alcune forze politiche fanno di questo dramma umanitario planetario – rinfocolando così ciò che la predicatrice del culto inaugurale ci ha ricordato, e cioè che tutti noi siamo naturalmente predisposti a sentimenti di pregiudizio, razzismo, nazionalismo – si giudica da sé”.

Un sinodo particolarmente “intenso e produttivo”, ha affermato Bernardini: “Questo è il ‘mestiere’ dei cristiani, che noi svolgiamo sia con un servizio diretto di aiuto (diakonia) sia con un insegnamento (predicazione) con cui intendiamo scuotere i cuori e le coscienze di coloro che pensano che i drammi sociali e umanitari non ci riguardano e che voltano la testa, chiudono gli occhi, e passano dall’altra parte della strada, come ricorda appunto Gesù nella parabola del buon samaritano (Luca 15)”. Il moderatore si è soffermato anche sulla crisi economica che attraversa il nostro paese: “Come si fa ad essere nella gioia in situazioni così difficili? Quando i più giovani hanno difficoltà come non mai a trovare lavoro e quindi a progettare il loro futuro, quando lo stato sociale – di cui gli europei vanno giustamente fieri – riduce, a volte anche drasticamente, il proprio sostegno anche ai più fragili e deboli?”, ricordando che dovremo fare i conti stabilmente con la necessità di uno stile di vita più sobrio, con meno “cose”, con meno risorse economiche, con più precarietà: “’meno cose’ non esclude che si possano trovare ‘cose migliori’, ‘meno risorse economiche’ non esclude che si possano trovare ‘più risorse di socialità e di comunità’”.

            Il moderatore si è poi soffermato sul saluto di mons. Bruno Forte, presidente dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI in questi termini: “il discorso al Sinodo di mons. Bruno Forte, a nome dei vescovi italiani, ha confermato che un nuovo cammino è possibile, persino su questioni teologiche antiche e divisive, ricercando soluzioni fin qui non esplorate e troppo poco esplorate. Perché sarebbe possibile fare oggi quello che non è stato possibile fare ieri? Perché – ha concluso Bernardini – oggi ci anima una più intensa e rispettosa fraternità nutrita da decenni di confronto comune sulla Scrittura e da una pratica di preghiera e di servizio – nonostante i periodi di stanchezza che ci sono stati – che ci ha permesso di conoscerci per ciò che oggi siamo realmente e non per l’immagine che ci siamo fatti gli uni degli altri. Né vogliamo nascondere che il bagno di umiltà cui ci costringe la postmodernità è salutare nel contrastare orgogli confessionali o denominazionali che non hanno alcuna base evangelica.”

Comunicato stampa n. 14   28 agosto 2015   www.chiesavaldese.org/aria_press.php?ref=43

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    COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

La perdita del senso di collegialità della Cai dipende da una scelta politica di disinteresse.

Da chi più di ogni altro rappresenta le famiglie italiane, il mondo dell’accoglienza si aspetta una mobilitazione nei confronti di chi sta affossando l’adozione internazionale. È quanto emerso nel corso della tavola rotonda organizzata a Gabicce Mare, giovedì 27 agosto, nell’ambito del convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, promosso da Amici dei Bambini. Le famiglie presenti hanno chiesto ad Andrea Speciale, rappresentante del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari, che il Forum stesso si impegni in modo specifico a livello politico per garantire un futuro all’accoglienza adottiva e a milioni di bambini abbandonati.

            Un ruolo che il Forum attualmente fatica a portare avanti, essendo stato di fatto “messo fuori” – come afferma lo stesso Speciale – dalla Commissione Adozioni Internazionali. “La Cai non si riunisce da giugno 2014 – ricorda Speciale -. Quando il Forum ha sollecitato una nuova riunione della Commissione si è visto rispondere con l’indicazione di nuove norme per la nomina dei commissari che parevano fatte apposta per impedire la presenza, in Cai, di membri indicati dal Forum”. Insomma, sarebbero state modificate le regole in corsa. La risposta fornita al Forum sarebbe infatti in contrasto con il decreto del 2007 che il Forum potesse nominare un suo rappresentante in Commissione purché egli non fosse legato ad alcun Ente autorizzato. “Oggi invece – spiega Speciale – si dice che nella Cai non possono essere presenti rappresentanti di soggetti che hanno al loro interno figure legate agli enti”. E il Forum si trova proprio in questa situazione, avendo al suo interno associazioni, come la stessa Amici dei Bambini, che sono anche enti autorizzati per l’adozione internazionale.

            Una Cai che non si riunisce da più di un anno, del resto, è una Commissione in cui “il senso di collegialità si è perso. La responsabilità di questo malfunzionamento è politica: nessuno interviene per fare evolvere questa situazione e tutto ciò nasce da una scelta politica di disinteresse”. Un’ulteriore dimostrazione, quindi, di come al momento, a livello istituzionale, non si faccia nulla per facilitare la rinascita dell’accoglienza adottiva in Italia.

Ai. Bi.  27 agosto 2015                                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

Investire nuovamente nel Ministero della famiglia per sostenere le famiglie

 “Mettere al centro l’Adozione internazionale nell’agenda politica del Governo è un passaggio essenziale per realizzare il diritto dei bambini a una famiglia” Lo ha detto Monya Ferritti, presidente del Care, nel suo intervento con cui si sono chiusi i lavori del convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza” che si è svolto a Gabicce Mare (Pesaro Urbino) nell’ambito della XXIV settimana di Studi e Formazione delle associazioni Ai.Bi. e La Pietra Scartata. Per Ferritti “Occorre investire nuovamente nel Ministero della famiglia che non si occupi di questo tema ideologicamente ma metta in campo tutte le risorse per sostenere le famiglie italiane in particolare quelle fragili e accoglienti, adottive e affidatarie”.

            “E’ dunque essenziale non avere discontinuità al vertice politico della CAI – ha aggiunto – ma occorre che sia garantita una continuità longitudinale ai governi in carica”. “Una cabina di regia forte e costante nel tempo può garantire la circolarità della rete fra gli attori del sistema adozioni. Tra le politiche urgenti in merito alle quali le associazioni familiari chiedono che venga preso un impegno – ha continuato – ci sono la stabilizzazione del fondo adozioni e la creazione di un fondo per le situazioni di adozione critiche o in emergenza”.

            La presidente del Care, infine, ha anche fatto riferimento ai bambini special needs e alle attività in “cantiere”. “Le associazioni familiari chiedono, infine – ha concluso -, che siano stabiliti i criteri per la partecipazione dell’associazionismo familiare alla CAI. Il coordinamento Care inizierà prossimamente una sollecitazione al ministero della Salute che riguardi i tanti bambini special needs che arrivano in Adozione internazionale”.

Ai. Bi.  27 agosto 2015                                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

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DALLA NAVATA

22° domenica del tempo ordinario – anno B -30 agosto 2015.

Deuteronomio            04, 02  «Non aggiungete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osservate i comandamenti del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo».

Salmo                         15,02   «Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore».

Giacomo         01,22   «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi».

Marco             07, 07  «Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini».

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DIRITTI DELL’EMBRIONE

CEDU: conforme alla Convenzione il no alla ricerca sugli embrioni.

La sentenza della Grande Camera depositata il 27 agosto nel caso Parrillo contro Italia presenta due aspetti di particolare rilievo. Il primo, più immediato, quello relativo al riconoscimento dell’ampio margine di apprezzamento concesso agli Stati ai quali è attribuita la possibilità di scegliere, come ha fatto l’Italia, di vietare la ricerca scientifica sugli embrioni e, il secondo, riguardante la possibilità, per gli individui, di ricorrere alla Corte europea senza dover attivare e attendere un’eventuale pronuncia della Corte costituzionale considerando il carattere indiretto del ricorso alla Consulta che non incide, così, sull’obbligo del previo esaurimento dei ricorsi interni.

            A rivolgersi alla Corte europea è stata una donna che aveva utilizzato la procreazione assistita in vitro. I cinque embrioni erano stati sottoposti alla crioconservazione. Tuttavia, dopo la morte del proprio compagno, ucciso nella strage di Nassiriya prima dell’impianto degli embrioni, la donna aveva deciso di donarli in modo che potessero essere impiegati nella ricerca. La richiesta, però, era stata respinta in base al divieto di sperimentazione e di ricerca sugli embrioni fissato nella legge n. 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. E questo anche se gli embrioni erano stati ottenuti prima dell’entrata in vigore della legge. La donna, quindi, sin dal 2011, aveva fatto ricorso a Strasburgo. La Camera ha rinviato il caso alla Grande Camera sia perché si trattava di una questione di particolare rilievo sia perché era il primo caso del genere arrivato a Strasburgo. Due le violazioni contestate dalla donna: la lesione dell’articolo 8 della Convenzione, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e quella dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà.

            Prima di tutto, però, la Grande Camera ha risposto alle eccezioni del Governo italiano secondo il quale la ricorrente aveva violato l’obbligo del previo esaurimento dei ricorsi interni poiché non aveva promosso un ricorso alla Corte costituzionale. Una posizione respinta da Strasburgo che, per la prima volta, si è occupata del rapporto tra previo esaurimento dei ricorsi interni, condizione di ricevibilità dell’azione a Strasburgo a patto che essi siano effettivi sotto il profilo pratico e non solo teorico, e ricorso dinanzi alla Corte costituzionale. Ed invero, per la Corte europea, il ricorso alla Consulta non può essere considerato effettivo perché, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti, non si tratta di un ricorso diretto. E’, infatti, il giudice di merito che deve sollevare la questione di costituzionalità. Inoltre, in aggiunta al fatto che l’Italia non ha fornito alcun esempio di pronunce interne sulla donazione degli embrioni e che non si può contestare alla ricorrente di non aver presentato un ricorso per misure proibite dalla legge, a sostegno della propria conclusione, la Grande Camera si è soffermata sulle sentenze n. 348 e 349 del 2007, con le quali è stato chiarito il diverso ruolo tra le due Corti: Strasburgo interpreta e accerta le violazioni della Convenzione, mentre la Consulta verifica la conformità del diritto interno alle norme convenzionali, come interpretate dai giudici di Strasburgo. A conferma del diverso ruolo, la Grande Camera ricorda che la stessa Corte costituzionale italiana ha sospeso l’esame di un rinvio sugli embrioni, effettuato dal Tribunale di Firenze, in attesa della sentenza della Corte europea. La Grande Camera considera senza dubbio positivo quanto stabilito con le sentenze n. 348 e n. 349 riguardo al ruolo assegnato alla Convenzione nell’ordinamento italiano, mentre traspare qualche perplessità sulla sentenza n. 49/2015 con la quale la Corte costituzionale sembra limitare gli effetti delle pronunce di Strasburgo, stabilendo che il giudice interno non è tenuto a conformarsi alla giurisprudenza della Corte europea se non nei casi di sentenze pilota o di diritto consolidato.

            Respinta anche l’eccezione del mancato rispetto della condizione temporale che impone di presentare il ricorso entro sei mesi dalla definitività del provvedimento interno, la Corte europea è passata all’esame del merito del ricorso. Per la Grande Camera, il divieto di donazione di embrioni per la ricerca scientifica, fissato dall’articolo 13 della legge n. 40, non è contrario all’articolo 8. La Corte ha chiarito che gli embrioni contengono materiale genetico della ricorrente e, quindi, sono una parte costitutiva della sua identità. Questo vuol dire che l’articolo 8, nella parte in cui tutela la vita privata, è applicabile e include il diritto di decidere degli embrioni frutto della fecondazione assistita. Gli embrioni, quindi, sono parte dell’identità personale e del diritto di autodeterminarsi. Questo porta la Corte a ritenere che la legge che vieta la donazione degli embrioni è un’ingerenza nell’articolo 8. Detto questo, però, la Grande Camera ha stabilito che l’ingerenza, alla luce delle eccezioni previste dall’articolo 8, si può considerare “necessaria in una società democratica” anche perché raggiunge un giusto bilanciamento tra interessi dello Stato e diritti individuali. Inoltre, – ed è un aspetto che la Grande Camera considera centrale – sulle questioni sensibili dal punto di vista etico e morale e su aspetti sui quali manca ancora un’uniformità di orientamento degli Stati, i Paesi parti alla Convenzione godono di un ampio margine di apprezzamento. Se 17 Paesi ammettono la ricerca sugli embrioni, altri la vietano espressamente o la consentono solo per la protezione della salute dell’embrione. Non va dimenticato, inoltre, – scrive la Corte – che il partner non aveva espresso la propria volontà sugli embrioni prima della morte, tanto più che ciò non era possibile in base alla legislazione italiana.

            In ultimo, la Grande Camera ha escluso la possibilità di invocare l’articolo 1 del Protocollo n. 1. Chiarito che non è necessario esaminare la controversa questione relativa al momento in cui inizia la vita umana ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione, che assicura il diritto alla vita, la Corte europea ha escluso la violazione del diritto di proprietà perché gli embrioni non possono essere considerati dei beni nel senso stabilito dalla norma convenzionale che ha un’evidente connotazione patrimoniale.

Marina Castellaneta              28 agosto 2015

www.marinacastellaneta.it/blog/cedu-conforme-alla-convenzione-il-no-alla-ricerca-sugli-embrioni-previo-esaurimento-dei-ricorsi-interni-rispettato-anche-senza-il-ricorso-alla-consulta.html

Grande Camera                    Corte europea dei diritti dell’uomo              27 agosto 2015

                        www.giurcost.org/casi_scelti/CEDU/CEDU27-08-15

Ora la parola passa alla Corte Costituzionale che deve decidere sulla legittimità del divieto, ma che ha sempre tenuto in considerazione i verdetti dei giudici europei.

Dallapiccola: “Verdetto giusto, per avere staminali esistono altre vie“.

Un embrione in più o in meno non cambia molto, per la ricerca scientifica. «Il verdetto è giusto. Ne servono alcune decine per poter ricavare cellule staminali utili agli esperimenti» spiega Bruno Dallapiccola, genetista e direttore scientifico dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Ma gli embrioni umani sono ancora usati per la ricerca?

«Il panorama è molto cambiato rispetto a dieci anni fa, quando fu approvata la legge 40. Nei primi anni duemila c’era un grande entusiasmo per le potenzialità delle staminali ricavate dagli embrioni. Ma nel frattempo gli scienziati hanno imparato a riprogrammare le cellule adulte. Cioè a prendere una cellula adulta e riportarla allo stato di cellula embrionale. Queste staminali ottenute in laboratorio sono chiamate “Ips” e hanno permesso di bypassare in parte l’uso degli embrioni».

Ma c’è chi sostiene che la scoperta delle Ips è avvenuta grazie alla ricerca sugli embrioni.

«Ed è vero. Così come è vero che studiando solo gli embrioni di animali non avremmo potuto ottenere esattamente le stesse informazioni. Ma il percorso della ricerca sulle staminali dimostra che ogni tanto alla scienza fa bene fermarsi e riflettere su quel che sta facendo. All’epoca del referendum sulla legge 40, nel 2005, ero stato accusato di adottare un atteggiamento troppo prudenziale. Ma già allora si poteva prevedere quel che sarebbe avvenuto, cioè che prima di riuscire a usare le staminali ottenute distruggendo gli embrioni umani avremmo imparato a usare le cellule adulte

Giusto Ma c’è chi sostiene che la scoperta delle Ips è avvenuta grazie alla ricerca sugli embrioni.

“Ed è vero. Così come è vero che studiando solo gli embrioni di animali non avremmo potuto ottenere esattamente le stesse informazioni. Ma il percorso della ricerca sulle staminali dimostra che ogni tanto alla scienza fa bene fermarsi e riflettere su quel che sta facendo. All’epoca del referendum sulla legge 40, nel 2005, ero stato accusato di adottare un atteggiamento troppo prudenziale. Ma già allora si poteva prevedere quel che sarebbe avvenuto, cioè che prima di riuscire a usare le staminali ottenute distruggendo gli embrioni umani avremmo imparato a usare le cellule adulte”.

Che siano embrionali, adulte o riprogrammate, le staminali offrono ancora speranze concrete per la cura delle malattie?

“Certo. La ricerca cellulare segnerà una rivoluzione per il trattamento delle malattie che oggi sono incurabili. Ma la scienza deve muoversi con cautela, porsi domande ed evitare di creare illusioni. La storia della genetica è emblematica. Dieci anni fa, quando veniva trovato un nuovo gene si diceva: “Potremo curare questa o quella malattia”. Oggi molte di quelle promesse sono sfumate”.          

Perché?

“Perché la tecnologia ci permette di estrarre miliardi di dati dal DNA, ma poi non sappiamo interpretarli. La potenza delle macchine ha sovrastato la nostra capacità di trovare un significato all’interno di una mole enorme di informazioni”.

            Tornando agli embrioni congelati, secondo lei sono ancora vitali? E che futuro avranno?

“Ci sono state gravidanze con embrioni congelati da più di dieci anni. Teoricamente possono vivere all’infinito. Ma sul loro futuro nessuno al momento ha una soluzione”.

Elena Dusi                  la repubblica              28 agosto 2015

www.repubblica.it/salute/ricerca/2015/08/28/news/dallapiccola_verdetto_giusto_per_avere_staminali_esistono_altre_vie_-121794136

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DIVORZIO

Divorzio breve: 50mila cause in più a giugno e luglio. Boom di over 65.

L’effetto della nuova legge ha fatto impennare le domande di divorzio nei mesi estivi, ma il picco è previsto in autunno. Che la coppia scoppi soprattutto d’estate è un fatto notorio, del resto, lo dice anche il proverbio: “agosto, moglie mia non ti conosco”. Ma lo scoppio, quest’anno, è avvenuto a giugno e luglio ed è da attribuirsi al c.d. “effetto divorzio breve”.

            La nuova normativa, infatti, stando ai dati divulgati dall’Ami (l’Associazione matrimonialisti italiani), in vigore dal 26 maggio scorso, ha portato soltanto nei primi due mesi estivi a un’impennata di oltre 50mila addii rispetto allo scorso anno. La legge, si ricorda, ha accorciato a 12 mesi la durata minima del periodo di separazione per poter presentare domanda di divorzio e a 6 mesi per le consensuali. E, dunque, considerando il fatto che nei primi tre mesi dell’anno i numeri erano in discesa, l’aumento degli addii non può essere un caso.

            Un simile aumento infatti è spiegato dal fatto che “tutte le coppie che avevano richiesto la separazione negli anni precedenti” spiega ad AdnKronos il presidente dell’Ami, Gian Ettore Giussani, hanno potuto fruire della normativa.

            Tornando ai dati, a lasciarsi in media sono coloro che hanno da poco superato gli ‘anta” (44 anni per gli uomini e 41 per le donne), con pochi anni di matrimonio alle spalle e, mentre la separazione è richiesta nel 60% dei casi dalle donne, il divorzio nel 60% dei casi dagli uomini. Ma a spiccare, anche si prevede un aumento delle domande in tutte le fasce d’età, sono soprattutto gli over 65 che da soli coprono il 20% delle domande di divorzio presentate sinora, le cui cause potrebbero rintracciarsi sia nell’esigenza di provare una “seconda giovinezza” sia nell’”effetto” opposto all’aumento dei matrimoni (circa 3mila l’anno) tra anziani e giovani badanti.

            Forte è ancora, invece, la differenza tra Nord e Sud, probabilmente dovuta, secondo Giussani, all’influenza del “vento dell’Europa” che soffia forte nel Settentrione, portando circa 400 separazioni ogni 1.000 matrimoni, e meno nel Meridione, dove i dati si attestano su 190.

            E non è finita qui. Secondo le stime dell’Ami, il vero “picco” si attende ora in autunno, per poi stabilizzarsi, in base a quanto afferma il segretario della Lega italiana per il divorzio breve, Diego Sabatinelli, una volta esaurito l’effetto iniziale della nuova legge. Ma non è detto, perché potrebbe innescarsi anche un altro effetto, quello della pubblicazione della lista dei “traditori” che su Ashley Madison cercano avventure extraconiugali. Colpita dagli hacker di Impact Team, la piattaforma ha visto svelare i dati di oltre 20 milioni di “fedifraghi”, tra cui spiccano gli italiani e soprattutto gli uomini (l’85% degli iscritti).

Marina Crisafi           Studio Cataldi            25 agosto 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19234-divorzio-breve-50mila-cause-in-piu-a-giugno-e-luglio-boom-di-over-65.asp#

In vacanza con la ex? Non è riconciliazione e non vale a bloccare i termini per il divorzio.

Tribunale Caltanissetta, sentenza 23 giugno 2015

            La separazione si intende comunque protratta ininterrottamente se il riavvicinamento è temporaneo e occasionale. Anche se due ex vanno in vacanza insieme ciò non vale ad interrompere il decorso dei termini per ottenere il divorzio. Lo ha affermato una recente sentenza del Tribunale di Caltanissetta accogliendo la domanda di un uomo per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

A nulla sono valse le eccezioni formulate dall’ex moglie che si opponeva all’accoglimento della domanda, sostenendo che il marito era tornato ad abitare con lei per un’intera estate (dal giugno al settembre 2011) ricostituendo quindi “l’unione materiale e spirituale” della coppia, finché non aveva deciso nuovamente di abbandonare la casa familiare senza alcuna spiegazione.

Il tribunale nisseno ha ricordato, infatti, che in base all’art. 3 della l. n. 898/1970 per la proposizione della domanda di divorzio è necessario che la separazione (giudiziale) si sia protratta “ininterrottamente” dal momento della comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale. Alla vicenda è applicabile la vecchia formulazione dell’articolo, antecedente alla riforma del divorzio breve, e dunque il termine è di tre anni, ma in ogni caso il requisito della mancata interruzione (pur nei termini ridotti di 12 mesi per le separazioni giudiziali e di 6 mesi per le separazioni consensuali) è rimasto fermo anche nel testo attuale dell’art. 3, novellato dalla l. n. 55/2015.

            Inoltre, ha aggiunto il collegio, richiamando la sentenza n. 1227/2000 della Cassazione, lo stato di separazione tra i coniugi può dirsi legittimamente interrotto nel caso in cui “si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali sì da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneità e occasionalità”.

            Orbene, nel caso di specie, ha osservato il tribunale, è vero che i due ex coniugi nei mesi estivi avevano ripreso a convivere, come confermato anche da numerosi testimoni, ma, a detta dello stesso figlio della coppia “tale situazione non era stabile”, giacché alcune volte il padre rimaneva a casa della madre e altre volte, invece, andava via.

            In sostanza, si era trattato di un tentativo andato male, posto che ad appena un mese dalla fine della convivenza l’uomo aveva chiesto il divorzio, il che rappresenta per il giudice nisseno un “chiaro sintomo della mancata ricostituzione del vincolo coniugale e della natura e delle finalità del riavvicinamento intervenuto tra le parti”, tenendo conto peraltro “della brevità del periodo in questione”.

            Tutto ciò in definitiva esclude la sussistenza degli estremi dell’interruzione della separazione, per cui, domanda accolta e divorzio confermato, oltre alla condanna, per la donna, al pagamento di oltre 4mila euro per le spese di giudizio.

Marina Crisafi                       Studio Cataldi                        19 agosto 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19179-in-vacanza-con-l-ex-non-vale-a-bloccare-i-termini-per-il-divorzio.asp

sentenza                                  www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_19179_1.pdf

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Troppi ormoni fanno danni.

Un’eccessiva stimolazione ormonale alle donne per la fecondazione in vitro provoca danni al bebè, determinando fino al 30% in più di nati pretermine o con basso peso alla nascita. È quanto dimostra una ricerca clinica condotta da un gruppo di ricercatori dell’Aberdeen Fertility Centre (Gg) e del King’s College di Londra), che si è avvalsa anche della collaborazione di ricercatori dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Lo studio, pubblicato sulla rivista “Human  Reproduction”, si basa sui dati del database nazionale della Human Fertilisation and Embryology Authority, il registro inglese delle procedure di procreazione assistita più vasto al mondo. Su oltre 65.000 bambini nati da fecondazione in vitro si è notato che «la iper-risposta ovarica si associava ad un rischio aumentato del 15-30% di basso peso neonatale e parto prima del termine», spiega Antonio La Marca della Struttura complessa di Ginecologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena.

Gli autori hanno ipotizzato che gli eccessivi valori di estradiolo e progesterone, che si accompagnano alla iper-risposta ovarica (cioè quando si sviluppa un numero eccessivo di follicoli nelle ovaie) può alterare la mucosa uterina dove l’embrione si annida. Contro l’eccesso di ormoni si schiera anche un trial danese della Aarhus University. Lo studio randomizzato controllato, pubblicato, anche questo, su “Human Re production”, ha mostrato come il tasso di gravidanza può essere mantenuto invariato e mediamente buono anche riducendo il dosaggio totale dei farmaci da somministrare alla donna nei cicli di fecondazione.

«La terapia ormonale – commenta La Marca – va personalizzata. Non tutte le donne hanno bisogno della stessa quantità di ormoni, perché sono diverse l’una dall’altra. Pur avendo la stessa età, possono avere riserve ovariche molto differenti».

La Gazzetta di Modena         27 agosto 2015

www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2015/08/GazzettadiModena_27_08_15_Fecondazione_troppi_ormoni_fanno_danni.pdf

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

“Necessario un riconoscimento giuridico delle case famiglia”

            Nell’immaginario comune la casa famiglia è un luogo in cui vive una famiglia un po’ super. Niente di più lontano dalla realtà. “Nessuna supermamma o superpapà, ma solo due genitori normali con una vocazione particolare per l’accoglienza”. Parole di Cristina Riccardi, membro del consiglio direttivo di Amici dei Bambini e coordinatrice della Commissione relazioni familiari e diritto del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari. Intervenendo a Gabicce Mare nel corso della seconda giornata di lavori della XXIV Settimana di formazione e studi delle associazioni Ai.Bi. e “La Pietra Scartata”, Cristina Riccardi ha presentato il documento recentemente sottoscritto dalle associazioni che compongono il Forum e finalizzato a un riconoscimento giuridico della case famiglia. Riconoscimento che al momento ancora manca, con la conseguente confusione tra le diverse tipologie di strutture di accoglienza per minori fuori famiglia.

            “Che cosa c’è di più appropriato per un bambino se non una famiglia – spiega Riccardi -? Ma a volte non è solo una questione di ‘appropriatezza’. Entra in gioco il grado di familiarità”. Quest’ultimo è proprio il criterio adottato dal Forum per classificare le strutture di accoglienza. “Bisogna tener presente – si legge nel documento del Forum – che la prima risposta per ogni bambino allontanato dalla famiglia d’origine deve essere una famiglia affidataria. Quindi solo qualora non sia possibile l’inserimento in una famiglia affidataria, si deve, in seconda istanza, pensare a una struttura di accoglienza”. Ovvero, in ordine preferenziale: casa famiglia, comunità familiare e comunità educativa.

            L’obiettivo è quello di eliminare l’ambiguità contenuta nella legge 184/1983 che definisce genericamente “comunità di tipo familiare” tutte queste strutture, non distinguendo quindi tra quelle che sono davvero organizzate come una famiglia e le comunità gestite da educatori a turno. Operatori che, “pur validi dal punto di vista professionale, non rispondono pienamente ai bisogni di relazioni familiari”. Una carenza di precisione legislativa che porta migliaia bambini che necessitano della presenza stabile di figure genitoriali a essere invece collocati presso le comunità educative.

            “Il Forum Nazionale delle Associazioni Familiari – si legge ancora nel documento – ritiene opportuno che il ruolo della famiglia, come miglior risposta possibile per molti dei bambini che devono essere allontanati dalla loro famiglia d’origine, venga riconosciuto anche nella normativa, distinguendo con precisione le diverse tipologie di struttura d’accoglienza”. Solo la famiglia, infatti, è in grado di garantire, oltre a ciò che prevede la legge, anche l’amore tra i coniugi e tra loro e i figli affidatari. “Una ricchezza che contribuisce a restituire dignità filiale a chi l’ha persa”, conclude Cristina Riccardi.

Ai. Bi.  25 agosto 2015                                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

“Riusciamo a pensare Dio come la carezza che ci tiene in vita?”

Durante l’Udienza Generale, papa Francesco esorta i genitori ad insegnare ai figli a pregare e a vivere il rapporto con Dio con tenerezza e affetto. È in particolare in famiglia che si impara a pregare e non può esistere preghiera priva di amore e di affetto verso il Signore. Lo ha detto papa Francesco nella sua centesima Udienza Generale, tenuta stamattina in piazza San Pietro.

“Il lamento più frequente dei cristiani riguarda proprio il tempo: dovrei pregare di più…; vorrei farlo, ma spesso mi manca il tempo”, ha osservato il Santo Padre. Si tratta, ha detto, di un “dispiacere sincero” e chi lo prova, “non ha pace”, tuttavia la preghiera autentica richiede un “amore caldo” ed “affettivo” per Dio.

Non basta, secondo Francesco, “credere in Dio”, chiedere il Suo aiuto e ringraziarlo. “Tutto giusto – ha affermato -. Ma vogliamo anche un po’ di bene al Signore? Il pensiero di Dio ci commuove, ci stupisce, ci intenerisce?”. Poiché le Scritture (cfr. Dt 6,5; Mt 22,37) prescrivono l’amore a Dio, lo “spirito della preghiera” risiede nel “linguaggio intensivo dell’amore”, ha proseguito il Papa. “Riusciamo a pensare Dio come la carezza che ci tiene in vita, prima della quale non c’è nulla? Una carezza dalla quale niente, neppure la morte, ci può distaccare? Oppure lo pensiamo soltanto come il grande Essere, l’Onnipotente che ha fatto ogni cosa, il Giudice che controlla ogni azione?”, ha domandato il Pontefice.

È tuttavia soltanto “quando Dio è l’affetto di tutti i nostri affetti”, che “il significato di queste parole diventa pieno. Allora ci sentiamo felici, e anche un po’ confusi, perché Lui ci pensa e soprattutto ci ama!”. L’affetto per Dio dovrebbe essere qualcosa che “accende il fuoco” e lo spirito della preghiera qualcosa che “riscalda il tempo”, ha aggiunto il Santo Padre. “Un cuore abitato dall’affetto per Dio – ha detto – fa diventare preghiera anche un pensiero senza parole, o un’invocazione davanti a un’immagine sacra, o un bacio mandato verso la chiesa”. A tal proposito Francesco ha indicato l’esempio delle mamme che “insegnano ai figli piccoli a mandare un bacio a Gesù o alla Madonna”, trasformando il cuore dei bambini in un “luogo di preghiera”.

La preghiera è “un dono dello Spirito Santo” ed è “in famiglia che si impara a chiederlo e apprezzarlo”, sebbene il “tempo della famiglia” sia “un tempo complicato e affollato, occupato e preoccupato” e ci siano “sempre tante cose da fare”. A tal proposito, Bergoglio ha scherzato: “Chi ha una famiglia impara presto a risolvere un’equazione che neppure i grandi matematici sanno risolvere: dentro le ventiquattro ore ce ne fa stare il doppio! Così! Ci sono mamme e papà che potrebbero vincere il Nobel, per questo! In 24 ore fanno 48.”.

Lo spirito della preghiera, dunque, “riconsegna il tempo a Dio, esce dalla ossessione di una vita alla quale manca sempre il tempo, ritrova la pace delle cose necessarie, e scopre la gioia di doni inaspettati”, ha sottolineato il Papa, citando poi l’esempio di Marta e Maria (cfr Lc 10,38-42).

In quell’episodio evangelico, le due sorelle accolgono la visita di Gesù come una “festa”; Marta, in particolare, impara che “il lavoro dell’ospitalità, pur importante, non è tutto” e che la cosa “essenziale”, ovvero la “parte migliore” è proprio nell’ascolto di Gesù. È proprio dall’ascolto di Gesù, dalla lettura del Vangelo e dalla “confidenza con la parola di Dio”, che nasce la preghiera. Pertanto il Santo Padre ha esortato ancora una volta a leggere il Vangelo e a meditarlo “recitando il Rosario”. In particolare “il Vangelo letto e meditato in famiglia è come un pane buono che nutre il cuore di tutti”.

Il Pontefice ha poi esortato a pregare in famiglia “alla mattina e alla sera, e quando ci mettiamo a tavola”. Ai genitori in particolare, ha raccomandato di insegnare ai figli a “fare il segno della Croce”, poiché ci sono molti bambini che non hanno ancora imparato a farlo.  “Nella preghiera della famiglia, nei suoi momenti forti e nei suoi passaggi difficili, siamo affidati gli uni agli altri, perché ognuno di noi in famiglia sia custodito dall’amore di Dio”, ha poi concluso papa Francesco.

Luca Marcolivio        Zenit  26 Agosto 2015

www.zenit.org/it/articles/riusciamo-a-pensare-dio-come-la-carezza-che-ci-tiene-in-vita

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GRAVIDANZA

Amniocentesi, una forma di diagnosi prenatale

Volevo sapere cosa ne pensa la Chiesa dell’amniocentesi, una forma di diagnosi prenatale che viene proposta in casi particolari alle donne in gravidanza per accertare possibili malattie o malformazioni nel nascituro. Non rischia di essere un modo per spingere verso l’aborto?             Elena Paoli

Risponde padre Maurizio Faggioni, OFM, docente di Teologia morale

La amniocentesi è una delle più diffuse tecniche di diagnosi prenatale alle quali si ricorre per controllare l’andamento della gravidanza e lo stato di salute del nascituro. Alcune tecniche sono non invasive (es. triplo test ed ecografia) altre sono invasive (es. amniocentesi e villocentesi). La amniocentesi si esegue di solito fra l 15° e la 18° settimana di gravidanza e consiste nella introduzione in utero, sotto guida ecografica, di un ago e nel prelievo di un campione del liquido in cui è immerso il feto (liquido amniotico). Nel liquido amniotico prelevato si trovano moltissime cellule di desquamazione del feto e così è possibile fare ricerche su di esse per individuare eventuali patologie. L’indicazione più comune per l’esecuzione del test è un’età della madre superiore a 35 anni perché con l’aumento dell’età della madre aumenta il rischio di avere un bambino Down. Altre patologie diagnosticabili con questa tecnica sono la fibrosi cistica, la distrofia /muscolare di Duchenne, la sindrome della X fragile. L’esame può essere causa di aborto spontaneo in una percentuale che si aggira intorno all’1% in dipendenza dell’abilità di chi lo esegue l’esame stesso.

            In linea di principio l’amniocentesi, in quanto procedura diagnostica, è lecita perché è un esame destinato a darci informazioni sullo stato di salute del feto. L’Istruzione Donum vitae del 1987 e l’enciclica Evangelium vitae del 1995 contengono un insegnamento molto lineare su tutto l’insieme delle tecniche di diagnosi prenatale: «quando sono esenti da rischi sproporzionati per il bambino e per la madre -si scrive-, e sono ordinate a rendere possibile una terapia precoce o anche a favorire una serena e consapevole accettazione del nascituro, queste tecniche sono moralmente lecite» (Evangelium vitae, n. 63).

Giustamente, la lettrice chiede chiarimenti perché, di fatto, l’amniocentesi, come altre tecniche di diagnosi prenatale, invece che essere diretta a promuovere la salute del nascituro, sta assumendo sempre più il carattere di una ricerca sistematica dei bambini imperfetti allo scopo di sopprimerli. Lo strumento diagnostico dovrebbe essere un prolungamento e un potenziamento dello sguardo attento e premuroso della madre e dell’occhio benevolente del medico, ma sta diventando invece un occhio che invade il corpo della donna e che spia impietoso il nascituro. È vero che la scoperta di una patologia nel bambino non obbliga di per sé ad abortire, ma – in base ad un recente studio francese – risulta che nella sindrome di Down o la trisomia 21 viene abortito il 96% dei bambini affetti, nella sindrome di Turner il 100% (bambine con cariotipo X0) o nella sindrome di Klinefelter il 73% (bambini con cariotipo XXY).

            Il fatto è che l’amniocentesi, come altri strumenti offerti dalla medicina, venga ad essere usata in un contesto culturale segnato da uno strisciante eugenismo per cui le vite di qualità non corrispondente agli standard vengono ritenute di minor valore o addirittura si ritiene più ragionevole sopprimerle.

            Un secondo problema, di natura scientifica, è la grande discrepanza fra le nostre capacità diagnostiche e le possibilità di intervento. Nel caso della sindrome di Down, per esempio, non ci sono per il momento terapie specifiche. Alcuni moralisti, allora, hanno sostenuto che non ha senso praticare indagini mirate a diagnosticare patologie per le quali non esistono terapie. L’argomento ha una sua logica, ma nella realtà quotidiana noi ci troviamo spesso di fronte a donne in angoscia, anche perché sottoposte ad un bombardamento di informazioni spesso allarmistiche sui possibili danni dei loro bambini. Può dunque essere giustificata una amniocentesi anche se è mirata soltanto a tranquillizzare una donna in grave ansia o, in caso di diagnosi di patologia, se la aiuta ad accogliere la situazione, soprattutto se sostenuta da adeguato counselling.         Da Toscana Oggi                   Aleteia            24 agosto 2015

www.aleteia.org/it/salute/contenuti-aggregati/test-amniocentesi-in-gravidanza-che-ne-pensa-la-chiesa-6375996659859456?

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MINORI

Migranti, tutti i dati sui minori sbarcati.

Dal 1° gennaio al 24 giugno 2015 sono stati quasi 6.000 i minori arrivati via mare in Italia, tra cui più di 3.830 minori non accompagnati. Lo ricorda l’Ong Save the Children, che lancia l’allarme sul ritardo delle politiche europee nei confronti dei migranti, tra i quali moltissimi minori spesso in fuga da guerra e povertà.

“Ogni stato membro dell’Unione sta chiudendo la porta in faccia ad alcune centinaia di bambini, ragazze e ragazzi giovanissimi”, denuncia Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. “Parliamo di bambini estremamente vulnerabili, che hanno rischiato e rischiano la vita sperando in un futuro in Europa, il loro migliore interesse dovrebbe prevalere su qualunque politica migratoria,” aggiunge.

Avvenire         25 giugno 2015

www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/minori-in-italia-dati-save-the-children.aspx

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SCIENZA & VITA

La sentenza della corte di Strasburgo ribadisce che l’embrione è qualcuno, non qualcosa.        “Esprimiamo grande soddisfazione per la sentenza odierna della Corte di Strasburgo che riafferma come gli esseri umani, in qualunque fase della loro esistenza, non sono mai cose, ma persone e come tali non è possibile pensare di renderli oggetti di ricerca”, commenta Paola Ricci Sindoni, Presidente Nazionale dell’Associazione Scienza & Vita.

“I giudici europei hanno voluto ribadire che “gli embrioni umani non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall’articolo 1 protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. La vera violazione dei diritti umani sarebbe comportarsi come se dell’uomo si potesse disporre a piacimento sulla base di decisioni altrui. Non possono esistere, nelle relazioni umane, esseri umani su cui si possa esercitare una proprietà: in questo la grande campagna europea “Uno di Noi” ha sicuramente contribuito alla formazione di una rinnovata attenzione su questi temi”.

“Ricordiamo inoltre che con grande lungimiranza ed efficacia la legge 40 vieta esperimenti su embrioni umani. Non si può pensare di sacrificare migliaia di esseri umani alla ricerca scientifica, sia pure con la nobile finalità di trovare terapie innovative. Come già enunciato dal Cnb, non è possibile mettere sullo stesso piano come alternativi ed eticamente equivalenti la sperimentazione su cavie animali e sugli esseri umani. Proteggere gli embrioni vuol dire proteggere l’umanità”.

Comunicato n. 192    27 agosto 2015

www.scienzaevita.org/la-sentenza-della-corte-di-strasburgo-ribadisce-che-lembrione-e-qualcuno-non-qualcosa

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SEPARAZIONE

La separazione consensuale può avere due tipi di pattuizioni: quelle essenziali e quelle eventuali.

 Corte di cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 16909, 19 agosto 2015.

La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dagli accordi che i coniugi concludono in riferimento al regime di vita separata, in base alla situazione pregressa e riguardanti le altre statuizioni economiche.

            La corte d’appello ha ritenuto che le pattuizioni economiche inerenti la separazione fra i coniugi devono inerire o l’assegno di mantenimento, o l’assegnazione della casa familiare, mentre nella specie gli accordi si limitavano a disciplinare, in occasione della separazione, alcuni interessi economici relativi a pregressi rapporti tra le parti, non avendo la moglie chiesto alcunché circa il mantenimento personale, né essendovi luogo all’assegnazione dell’abitazione, in mancanza di figli minori o non autosufficienti conviventi. Per ritenere cessati detti accordi patrimoniali, pertanto, sarebbe occorsa una dichiarazione di volontà concorde dei coniugi.

Questa corte ha da tempo affermato (Cass. 12 settembre 1997, n. 9034; 15 maggio 1997, n. 4306; più di recente, v. Cass. 22 novembre 2007, n. 24321; 17 giugno 2004, n. 11342; 23 marzo 2004, n. 5741) che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione pregressa e concernenti le altre statuizioni economiche.

Pertanto, l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico predetto e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che sono ricollegati, si potrebbe dire, in via soltanto estrinseca con il patto principale, relativi a negozi i quali, pur trovando la, loro occasione nella separazione consensuale, no hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressioni di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare od estinguer rapporti giuridici patrimoniali: art. 1321 c.c.), a fine di regolare in modo tendenzialmente completi tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutti leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali e purché non ledano diritti inderogabili.

Dunque, i coniugi possono concludere accordi nel quadro della complessiva regolamentazione dei lori rapporti in sede di separazione consensuale.

Si è chiarito così che, in sede di separazioni personale dei coniugi (consensuale, ma anche giudiziale o di divorzio), è ammesso che venga sia assegnata la casa familiare in favore dell’altro coniuge, sia prevista la clausola istitutivi dell’impegno futuro di vendita dell’immobile adibito i casa coniugale (Cass. 22 novembre 2007, n. 24321, citata).

 

www.divorzista.org/sentenza.php?id=10549

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UNIONI CIVILI

«Il Ddl Cirinnà a rischio incostituzionalità»

La Corte Costituzionale ha fissato due pilastri. Uno: riconoscere giuridicamente le unioni civili e immaginare forme di garanzia che non vanno rinviate. Due: evitare la omologazione al matrimonio». Cesare Mirabelli, già presidente della Consulta, ragiona sul disegno di legge Cirinnà e prende in prestito un’immagine letteraria per aiutare a capire: «La Corte ha chiesto al Parlamento di navigare tra Scilla e Cariddi, ma quel braccio di mare è ricco di insidie e la barca ha già sbattuto.».

Troppi punti di contatto tra unioni civili e matrimonio?

Peggio, la legge pare fatta con la carta carbone messa sul matrimonio. Oggi si direbbe è stato fatto un “copia e incolla”. C’è un rinvio diretto alle norme del codice civile che riguardano il matrimonio. Ci sono troppe ambiguità.

Anche Renzi pare consapevole che il Ddl vada riscritto.

Sì, occorre uno sforzo di riscrittura per costruire una legge originale che sia conforme alla nostra Costituzione e che risponda ai due pilastri fissati dalla Corte.

Esiste l’ipotesi che si decida di andare avanti rinunciando a quello sforzo?

Andare avanti senza correggere mette la legge davanti a un serio rischio di costituzionalità. Ma dietro quella possibile scelta si agita un pericolo ben peggiore: se il Ddl non cambia introduce una profonda lacerazione in un’Italia che oggi ha un disperato bisogno di coesione.

Vede prevalere rigidità ideologiche?

Dico che bisogna navigare mettendole da parte. Eliminando le asprezze, facendo prevalere la ragionevolezza. E questo può avvenire anche a scapito di alcune convinzione personali. Anche profonde. È l’ora di costruire, di pensare al Paese e dunque di essere rispettosi di principi e di sensibilità di una parte e dell’altra. Per navigare tra Scilla e Cariddi bisogna esercitare la ragione e la ragionevolezza. Una buona riforma richiede anche fantasia e precisione tecnica.

Come ci si deve muovere in concreto? È necessario riscrivere l’impianto della legge o basta modificare gli aggettivi?

Riscrivere la legge potrebbe essere una strada. Penso a una riscrittura più ariosa, direi originale. La seconda via è intervenire emendando. Ma in maniera molto chiara su numerosi nodi essenziali.

Uno ovviamente è il rischio di assimilare unioni e matrimonio.

C’è anche il nodo adozioni: affrontare la questione nella legge Cirinnà potrebbe essere inappropriato e allora si potrebbe scegliere di discuterne nella disciplina specifica dell’adozione e della tutela dei minori.

Professore sta dicendo di “stralciare” le adozioni?

Esattamente questo. Affrontiamo prima il tema delle unioni civili che già è terribilmente complicato e l’altro tema quello della pretesa genitorialità para matrimoniale si tratti nel sistema che riguardi il minore. Scegliendo sempre la strada migliore per il minore, non per la coppia.

Crede che l’ascolteranno?

No, credo di no. Ma la vera sfida è spoliticizzare, è affrontare questa grande questione con una grande riflessione e senza pericolose accelerazioni.

Legato al nodo unioni civili, ma c’è anche quello della non attenzione alla famiglia.

La famiglia è capitolo a parte da scrivere. Mi chiedo sempre: per la famiglia che cosa facciamo? Ci sono norme costituzionali inattuate: il sostegno alla famiglia, il sostegno alla famiglia numerosa. C’è molto da fare, molto da inventare, anche perché paghiamo ritardi imperdonabili: c’era un grande lavoro da fare nella società, un lavoro culturale che è mancato e manca. Un lavoro anche questo di evangelizzazione.

In altri Paesi ci sono le unioni civili ma c’è un sostegno vero, forte alla famiglia.

È così. C’è una parallela e accentuata attenzione alla famiglia. Penso al sostegno alla maternità che c’è in Germania con servizi per le mamme, con scelte politiche. La famiglia prende per mano la società ma su quali agevolazioni conta? Vedo un deserto e non è una responsabilità di oggi, non è colpa di Renzi. Se ci guardiamo indietro vediamo lo stesso triste scenario. È vero, i sostegni costano, il limite delle risorse finanziarie impone rinunce; ma c’è anche una sottovalutazione della famiglia e del ruolo che svolge. Quanto di welfare svolge la famiglia? Quanto di formazione, di educazione? Ma non è questo il tema dell’intervista e non voglio correre il rischio di attenuare la forza del messaggio sul Ddl Cirinnà.

Apro una parentesi. Un gruppo di senatori Pd è pronto a presentare nel Ddl di riforma costituzionale un emendamento che prevede referendum di indirizzo sui temi etici. Che dice?

È giusto arricchire gli strumenti della democrazia, facciamo tanto affidamento sui sondaggi. Cerchiamo di avere anche un popolo adulto, che possa dire la sua sulle grandi questioni che riguardano direttamente l’idea di società.

Ci sono rischi che l’emendamento venga ritenuto inammissibile?

Siamo in sede di riforma costituzionale e il referendum di indirizzo, altamente democratico, potrebbe essere inserito nella Costituzione: arricchirebbe gli strumenti di democrazia diretta.

Arturo Celletti                      Avvenire                    28 agosto 2015

www.avvenire.it/Politica/Pagine/Il-ddl-Cirinn-a-rischio-incostituzionalit-.aspx

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