Meno figli? Non dipende solo dal Pil. E’ anche un problema culturale

Meno figli? Non dipende solo dal Pil.

E’ anche un problema culturale

 

Autore: Armando Savignano

Il drammatico calo demografico  che ha colpito il nostro paese rappresenta una questione cruciale per il nostro futuro forse più delle pur importanti sfide economiche. Non è il luogo per esaminare tutti gli aspetti del problema, per cui ci soffermiamo sul rapporto tra dinamiche economiche e risvolti etico-culturali.

 

 

A pesare sulla decisione di avere o non avere figli non è solo la ricchezza o il lavoro, conta anche il Bes (Benessere e Sviluppo). Con questo  acronimo si è cercato di elaborare un indice di benessere che non  consideri solo la ricchezza individuale e collettivo, ma anche   altri fattori che rendono la vita serena e interessante, tra i quali: costruire  buone relazioni sociali in un ambiente culturale vivace, godere di servizi pubblici di alta qualità, ecc. Quando si indaga sulle cause della denatalità, non bisogna guardare solo ai redditi, ma anche a  queste altre variabili. E’ quanto si sostiene in un saggio, “Avere figli in Italia: una questione di Bes”, pubblicato sul sito di demografia Neodemos. Il Bes è l’indicatore messo a punto dall’Istat per misurare il benessere della popolazione. In tal modo si cerca di misurare il benessere individuale e, soprattutto, collettivo, a condizione, però, di non confondere benessere con felicità. “E’ chiaro che dove c’è maggior benessere si mettono al mondo più figli. – dice A. De Rose, una delle autrici della ricerca – ma non si tratta solo di benessere economico, la gente fa i conti anche con la qualità della vita. Anche se quando c’è la crisi, il benessere strettamente economico incide di più rispetto agli altri aspetti”. Del resto il tasso di natalità, così come altri aspetti del Bes, non segue fortunatamente la suddivisione del Paese tra Nord e Sud. La mappa della fecondità in Italia non coincide con quella del reddito: alcune Regioni del Sud (a cominciare dalla Sicilia) sono leggermente più prolifiche di alcune del Centro e anche del Nord.

Ormai la maternità è diventata un obiettivo tra tanti a causa anche della crisi economica, che tuttavia ha un peso relativo rispetto alle questioni culturali e valoriali. Come è noto, sta emergendo una generazione di figli unici con molti nonni e qualche bisnonno, con i quali convive per un tempo sempre più lungo. Gli stessi valori su cui è fondata la nostra civiltà possono essere permeati da queste mutazioni. Così, ad esempio, il concetto di fratellanza è molto più difficile da apprendere in famiglia senza fratelli e sorelle.

Oltre ai fattori socio-economici, vi sono dunque   fattori culturali, che assumono un rilievo decisivo nell’opzione per la maternità. Dietro il calo delle nascite si cela il senso di sfiducia generalizzato, di pessimismo, che attanaglia ancora l’Italia. Osservando la loro condizione precaria ed incerta, i giovani di oggi rifiutano di mettere al mondo i giovani di  domani. E’ insomma la paura del futuro il fattore decisivo per la crisi di fecondità. E’ diffuso, infatti, il timore che per i figli non ci sarà un domani soddisfacente.Vi sarà un’inversione di tendenza solo quando ricominceremo a pensarci non in senso individualistico  ma come una comunità,  invece che come un agglomerato di interessi . E’ urgente riprendere a premiare chi investe sul futuro invece di dilaniarci per risorse sempre più limitate di spesa pubblica.

Armando Savignano

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