Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione

Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione

 

Oristano 2016 – Congresso Ucipem

Autrice: Alice Calori

 

Negli ultimi anni il fenomeno immigratorio si è imposto come una questione cruciale per l’Europa intera e, per l’Italia, ha rappresentato un’occasione per sperimentarsi come terra di immigrazione e non solo come terra di emigrazione.

 

Oggi possiamo distinguere tra immigrati rifugiati in cerca di asilo, ovvero i migranti forzati che non hanno altra scelta per salvare la vita e migranti così detti “economici” cioè persone che partono per libera scelta nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita.

Ciò che accomuna i migranti è quello che possiamo chiamare “desiderio di futuro” la ricerca di nuove prospettive e di un nuovo contesto nel quale poter realizzare il loro progetto di vita.

 

 

Dicono le ricerche che nel prossimo futuro le migrazioni dovranno essere concepite non come una emergenza da contenere ma come un fenomeno strutturale destinato a ridefinire non solo le politiche migratorie ma l’intero assetto dei nostri sistemi politici.

Con i migranti e i rifugiati cammina la storia

Si avverte, quindi, l’esigenza di collocare le migrazioni in una prospettiva di medio/lungo periodo che coinvolge, sia pure in modi differenti, tutte le regioni del nostro paese.

 

La famiglia nel processo migratorio

 

 

 

 

 

I processi migratori non sono solo individuali ma coinvolgono le famiglie: non in un transito ma in un progetto di permanenza.

Da alcune decine di anni a questa parte sono le donne del sud del mondo o dell’Europa orientale ad avere accesso al mercato del lavoro in Italia: l’offerta si è concretizzata e si concretizza nel lavoro con gli anziani, i bambini, i disabili.

Queste donne sono entrate nelle famiglie italiane, nel cuore della cultura occidentale con il loro mondo di valori e di costumi. Il contatto non significa integrazione, ne apre solo la strada nell’area dell’impiego domestico. L’incidenza sulla famiglia di origine non è indolore, e al guadagno economico fa riscontro un costo spesso elevato nei legami familiari: l’affidare i figli al padre, ai nonni, alla famiglia allargata per anni, con brevi visite è quello che possono consentirsi.

Quando dopo anni di separazione maturano le condizioni per ricongiungersi si trovano a doversi conoscere di nuovo, a sentirsi estranei gli uni agli altri, a un cambio di ruoli tra l’uomo e la donna che ha creato spesso disorientamento e disfunzionalità familiare.

Evidentemente è mancata e manca a tutt’oggi una preparazione realistica a questo cambiamento.

Ci sono famiglie nelle quali ad emigrare per primi sono stati uno o due dei suoi membri: questo evento è stato generatore di una catena migratoria: famiglie complete o incomplete, reti familiari intere.

 

 

 

 

Nonostante le differenze ci sono aspetti comuni che caratterizzano queste famiglie: mantenere i valori e le radici culturali di origine integrando valori e radici di altra cultura senza perdere identità.

Nel processo migratorio molti problemi familiari che riguardano la coppia, i ruoli, l’educazione dei figli, la cura degli anziani creano un conflitto tra i valori della cultura d’origine e quelli della cultura di accoglienza e questo genera nella famiglia migrante situazioni di insicurezze, di timore dovuti al cambiamento e allo sforzo per mantenere l’essenziale della loro identità.

D’altra parte l’arrivo di stranieri produce nella società che li riceve il timore della perdita della propria identità sociale e può sviluppare sentimenti di diffidenza, di rifiuto, di esclusione fino a rendere complesso il percorso di inclusione e di integrazione.

Il fenomeno della separazione alla partenza e dei ricongiungimenti quando il lavoro è divenuto solido avvengono senza una preparazione adeguata e questo può portare a fallimenti prevedibili ma non previsti.

L’adolescente che per ricongiungersi alla propria madre lascia un mondo di relazioni e si incontra con una madre assente perchè oberata di lavoro, senza i supporti che aveva nel paese di origine non sempre ha risorse per superare la crisi del cambiamento. Può cadere nella depressione sentendosi solo o unirsi alle bande di “latinos” o di adolescenti disorientati può in non pochi casi volere ritornare nel paese di origine con il peso di un fallimento che grava sul suo futuro e su quello della famiglia: dopo tanto lavoro dopo tanta fatica dicono le madri, una famiglia disfatta.

Un calo della richiesta di ricongiungimento familiare in favore degli ultraquattordicenni è segno evidente di esperienze fallimentari.

Anche la coppia coniugale vive le sue difficoltà che talvolta non è in grado di superare. Quando la donna lavora e guadagna e l’uomo deve badare alla casa e ai figli, si verifica un’inversione di ruoli che trova la coppia impreparata, al di fuori della sua cultura di origine e spesso incapace di tolleranza con le conseguenze di rotture di equilibrio.

Sono queste alcune situazioni che interpellano i nostri consultori e alle quali dobbiamo risposte cariche di umanità e di competenza.

 

 

I minori non accompagnati

Tra i migranti economici possiamo considerare anche i minori non accompagnati.
Si trovano in Italia arrivati da qualche anno e nella maggior parte nei mesi scorsi a seguito dell’emergenza migranti.

Hanno un’età tra i 16 e i 17 anni e un gruppo tra gli 11 e i 14 anni.

Provengono dall’Egitto, dall’Albania, dal Bangladesh e da alcuni paesi dell’Africa. Poiché sono minorenni, l’accoglienza e l’assistenza devono essere assicurati dai comuni.

Quali gli obiettivi delle famiglie di origine – quando ci sono ancora – nei loro confronti? Salvarli dalla guerra, guadagnare e mandare soldi alla famiglia. Ma a 11, 14 anni? Contano su istituzioni e famiglie che li facciano crescere per essere capaci di lavoro e di guadagno.

Il loro posto non è nelle strutture di accoglienza dalle quali se inseriti spesso scappano. Questo suppone disporre di strutture che non privilegino i grandi numeri ma una struttura a misura di adolescente con piccoli gruppi, in spazi adeguati, che abbiano come obiettivo offrire ai ragazzi non solo un tetto, ma anche un’opportunità di crescita che li collochi nel territorio integrandosi con la comunità locale. Alcune regioni sono arrivate ad attivare lo strumento dell’affido temporaneo: un servizio delle famiglie perle famiglie. Ci si prospetta una nuova pagina di storia nella quale reti di solidarietà e di sussidiarietà consentono allo stato il compito di regia del volontariato.

Si impone quindi una nuova cultura dell’accoglienza fondata non su un generico buonismo ma su strutture in grado di agevolare il passaggio da una logica di emergenza a un sistema ordinato di gestione del fenomeno.

Il progetto emanato dal garante per l’infanzia e l’adolescenza suppone un piano individualizzato di accoglienza di ogni minore.

Le esperienze finora in atto dicono l’enorme complessità del problema a fronte della scarsità delle risorse disponibili.

 

 

I servizi del Consultorio familiare per le famiglie immigrate

 

La persona e la famiglia migrante porta con se bisogni e domande che vanno, scoperte e individuate prima che diventino drammi, in rete con quanti hanno a cuore il futuro delle nuove generazioni a cominciare dalla scuola.

La scuola è vista come agente di coesione. Può favorire la creazione di una società inclusiva posto che rappresenta la principale opportunità per i figli delle comunità immigrate e quelle del paese di accoglienza, di accogliersi, di conoscersi, di rispettarsi mutuamente, di crescere insieme.

Dai bisogni che emergono nella scuola deve poter partire una rete di servizi di appoggio nei paesi di accoglienza, ognuno secondo le proprie finalità e insieme per realizzare risposte globali capaci di generare integrazione.

Non possiamo illuderci che sia la famiglia migrante con difficoltà di ricongiungimento e di inclusione a venire al Consultorio, almeno agli inizi.

E’ il Consultorio che deve saper uscire nel territorio e operare, in sinergie con altri servizi, progetti educativi in loro favore, con l’animazione di gruppi di confronto, sollecitando progetti politici condivisi in grado di far dialogare le differenze in modo costruttivo e creativo.

In fondo, a noi è chiesto di uscire per fare la nostra parte e per condividere la costruzione di ponti come metafora di pace, di vita.

Papa Francesco ripete anche a noi “Sogno un nuovo umanesimo europeo a cui servono memoria, coraggio e sana e umana utopia. Sogno un Europa delle famiglie con politiche incentrate più sui volti che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni”.

 

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