L’attaccamento: un evento fondamentale per lo sviluppo del bambino

L’attaccamento: un evento fondamentale per lo sviluppo del bambino

Si può definire l’attaccamento come quel forte legame avvertito dal bambino nei confronti di uno o di entrambi i genitori o verso persone che attuano nei suoi confronti delle cure continue e particolari. Questo legame speciale ha negli animali una funzione biologica, in quanto permette di preservare i piccolo dai pericoli esterni. Negli esseri umani le funzioni sono più complesse e numerose in quanto i genitori che hanno cura di un bambino non solo lo proteggono dai pericoli fisici, ma altresì nutrono il suo corpo di cibo, la sua mente di informazioni, riempiono il suo cuore di tenerezza e amore.

Pertanto chiunque, più degli altri, si prende cura del bambino, diverrà nei confronti di questi, la figura principale alla quale rivolgersi in caso di bisogni fisici, pericolo o necessità affettive ed emotive. Naturalmente questo legame è maggiore verso la madre quando questa riesce ad instaurare con il figlio, fin dalla nascita, una buona relazione. L’attaccamento può avvenire anche nei confronti di più persone ma in questo caso vi è un preciso ordine di preferenza (specificità dell’attaccamento).

La realtà dell’attaccamento è evidente: chi non ha notato come il bambino si leghi fisicamente al corpo paterno o materno quando si ritrova con estranei o in situazioni insolite che giudica pericolose? Quando ancora i bambini venivano ricoverati in ospedale senza le madri, Bowlby (1982, p. 10) aveva notato che quando i piccoli venivano ammessi in reparto, esprimevano un’intensa inquietudine e agitazione. Con il ritorno a casa poi, se inizialmente manifestavano aggressività e rifiuto verso le loro madri, quando le rivedevano, come se le accusassero pesantemente in cuor loro per averli abbandonati,[1] successivamente a questi traumatici distacchi, i bambini tendevano a seguire costantemente le loro mamme, come per paura di perderle nuovamente e ad esse si aggrappavano aumentando le loro richieste di coccole e gratificazioni.

In questi casi, se le madri davano ai bambini per qualche tempo segnali di comprensione del loro turbamento, amore, affetto e vicinanza, i piccoli, dopo qualche tempo, riacquistavano una maggiore serenità interiore, la quale permettevano loro di fare a meno della costante protezione materna, ma se le madri rifuggivano da queste richieste affettive e protettive, ritenute eccessive, questo rifiuto suscitava in loro un comportamento ancora più ostile, negativo, o ancor peggio regressivo.

L’attaccamento è reciproco: del bambino verso la madre e della madre verso il bambino. Questi sentimenti materni e filiali si sviluppano in modo pieno e ricco non solo se tra i due vi è una continua vicinanza ma, soprattutto, se tra i due vi è una reciproca intesa, dialogo e scambio affettivo.

Questo legame, che è molto forte dopo la seconda metà del primo anno e durante tutto il secondo e terzo anno, dal quarto anno in poi è suscitato un po’ meno facilmente di prima, anche se il cambiamento è di entità minima. In questa relazione particolare è presente una dipendenza reciproca: del figlio nei confronti della madre, per ragioni di sopravvivenza e della mamma nei confronti del figlio, in quanto questi diventa un suo importante e fondamentale oggetto d’amore. È importante che tra il bambino e la madre si instauri l’attaccamento, in quanto il bambino, rassicurato da questo legame speciale, può avere fiducia negli altri, in se stesso e nel mondo. Dice Bowlby (1988, p. 59):

“I legami cui la psichiatria dello sviluppo è principalmente interessata sono quelli dei bambini verso i genitori e quello complementare dei genitori verso il bambino. L’ipotesi chiave è che le variazioni nel modo in cui questi legami si sviluppano e organizzano durante l’infanzia e la fanciullezza di ognuno, costituiscono le varabili principali, in grado di determinare se un individuo crescerà mentalmente sano o no”.

D’altra parte solo il bambino forte e sicuro dell’amore dei suoi genitori è capace di camminare spedito verso l’indipendenza psicologica e materiale. La sua sicurezza gli consente di esplorare il mondo, di allontanarsi da schemi infantili o dalle persone che fino a quel momento costituivano i suoi fondamentali punti di riferimento affettivo. È, quindi, l’attaccamento che gli permette di affrontare le difficoltà della vita con forza ed equilibrio e di esplorare il mondo partendo da una base sicura. (Bowlby 1988, p. 59).

Per Bowlby (1988, p. 59): “Quando un individuo di qualsiasi età si sentirà sicuro, è probabile che comincerà ad esplorare lontano dalla figura di attaccamento . Quando invece sarà allarmato, ansioso, stanco e malato sentirà un bisogno di vicinanza.”..

Questo legame quando è solido, sicuro e condotto in maniera fisiologica, non solo conduce verso una maggiore autonomia ma sviluppa anche nel bambino e poi nel giovane e nell’adulto, una maggiore capacità di affrontare e resistere agli eventi stressanti o traumatici. Questa capacità, chiamata resilienza, è nettamente superiore quando il bambino ha potuto sviluppare legami affettivi significativi nella prima infanzia (Ovadia, 2010, p. 52).[2] La funzione dell’attaccamento si prolunga per tutta la vita dell’individuo in quanto questi non solo sarà più sicuro e forte ma avrà imparato nella relazione con la madre le strategie necessarie ad instaurare e a proteggere le relazioni umane.

Questo legame particolare può durare, anche se con intensità diversa, per tutta la vita. I primi attaccamenti non sono mai definitivamente abbandonati.

Come in tutte le relazioni il legame dell’attaccamento può non instaurarsi o può andare in crisi per i motivi più vari, che possono riguardare l’uno o l’altro elemento della relazione o entrambi.

Sono descritti da Bowlby (1988, p. 61) vari tipi di attaccamento:

Attaccamento sicuro: il bambino che presenta un attaccamento sicuro mostra fiducia nella disponibilità, nella comprensione e nell’aiuto della figura di attaccamento nelle situazioni di difficoltà o quando ha paura. Si ha un attaccamento sicuro quando il genitore ha buone capacità empatiche, è facilmente disponibile, attento e reattivo ai segnali del bambino e sa essere affettuoso nei momenti in cui questi necessita di conforto e coccole. Un bambino che ha un attaccamento sicuroè un bambino più felice e raggiunge più facilmente una buona autonomia. L’accudirlo è più gratificante in quanto è meno esigente di un bambino ansioso.

Si ha un attaccamento ansioso resistente quando il bambino è incerto se il suo genitore sarà disponibile o presente o attivo nel dare aiuto quando gli è richiesto.

Si ha un attaccamento ansioso-ambivalente quando il bambino, avendo constato che il genitore è troppo esigente, intrusivo e minaccioso, ma anche incostante nel dargli aiuto e non sempre gli è vicino come egli vorrebbe, non è affatto sicuro che questi sarà pronto ad aiutarlo o a consolarlo in caso di bisogno. Questa incertezza gli procura una forte angoscia ogni qualvolta è costretto ad allontanarsi dalla madre o dalla figura di riferimento. Questi bambini sono di solito piagnucolosi, poco autonomi. La loro sofferenza si comunica ben presto a chi li accudisce in quanto sono più difficili da gestire e raggiungono più tardivamente una discreta autonomia.

Si ha un attaccamento ansioso- evitante: quando i genitori sono costantemente e fortemente rifiutanti nei confronti del bambino, per cui non solo non lo consolano e non lo coccolano, quando questi ne ha bisogno, ma lo scacciano e allontanano. In questi casi il piccolo non avrà alcuna fiducia che quando cercherà protezione riceverà una risposta pronta ma anzi si aspetta che sarà rifiutato ( Bowlby 1988, p. 61). In questo caso reagirà inibendo i suoi sentimenti, mentre nel contempo cercherà di diventare il più presto possibile autosufficiente. Tenderà, inoltre ad essere aggressivo e prepotente nei confronti degli altri bambini e a mantenere le distanze nei confronti di tutti gli esseri umani.

Attaccamento disorientato – disorganizzato: in questo tipo di attaccamento si mischiano aspetti evitanti e fortemente angosciosi, per cui il bambino ha difficoltà ad esibire un qualunque pattern di comportamento organizzato tendente ad un fine e mostra atteggiamenti incoerenti e paradossali.

Vi può essere infine un non attaccamento quando il bambino non trova nella madre o nelle altre persone che l’accudiscono un minimo di interesse ed impegno nei suoi confronti. La mancanza di attaccamento interviene sempre per gravi motivi: intensa ansia o depressione nella madre; rifiuto di un figlio non voluto, non desiderato, non amato o considerato come un intralcio ai suoi interessi e obiettivi del momento; notevole inettitudine o impreparazione al ruolo materno; insufficienti capacità nell’instaurare una comunicazione efficace. In tutte queste circostanze il piccolo avverte le gravi difficoltà e limiti della madre per cui prevale nel suo animo delusione, rabbia e sfiducia in lei e quindi nel mondo che lei rappresenta. Gli altri ed il mondo saranno avvertiti dal piccolo con sospetto ma anche come fonte di pericolo, in quanto ritenuti incapaci di ascolto e cure adeguate. Se queste emozioni negative si ripetono frequentemente nel tempo o sono particolarmente intense e dolorose, non solo non vi sarà alcun attaccamento ma insorgerà nel piccolo rabbia, stizza e aggressività sia verso gli altri sia verso se stesso oppure, nelle situazioni più gravi che purtroppo nella nostra società attuale sono diventate molto frequenti, si può arrivare alla chiusura in se stesso (chiusura autistica), quando il bambino non ha più alcuna fiducia negli altri e si chiude al mondo. L’attaccamento può non instaurarsi o fallire anche per cause riguardanti il bambino, quando questi presenta notevole fragilità psichica, con conseguente eccessiva debolezza di fronte alle indispensabili piccole frustrazioni presenti in ogni relazione.

I pattern di attaccamento una volta sviluppatesi tendono a persistere in quanto i comportamenti dei genitori tendono a persistere nel tempo e sono difficilmente modificabili (Bowlby 1988, p. 62). Questa persistenza non è data da caratteristiche innate del bambino. Dice lo stesso autore ( Bowlby 1988, p. 62): “ I dati relativi a questi cambiamenti raccolti da Stroufe, dimostrano come la stabilità dei partner, se presenti, non possa essere attribuita alle caratteristiche innate del bambino, come invece è stato spesso affermato. Al contrario, l’osservazione conduce infallibilmente alla conclusione che una serie di caratteristiche personali, tradizionalmente attribuite al carattere e spesso ascritte all’ereditarietà, sono indotte dall’ambiente. Ripetuti studi evidenziano chiaramente come neonati descritti come difficili durante i primi giorni di vita, sono diventati, grazie alle sensibili cure materne, bambini più tranquilli e sereni”.

A volte i genitori e i familiari utilizzano l’attaccamento in modo incongruo: pur di sentirsi sicuri e sereni loro, cercano in ogni modo di impedire al figlio di muoversi in modo autonomo nell’ambiente, legandolo a sé mediante le loro ansie o le loro paure. Alcuni genitori, soprattutto le madri, vorrebbero che il figlio restasse piccolo e quindi lavorano contro il processo di maturazione, nel tentativo di mantenere il figlio in una condizione infantile per un periodo il più lungo possibile.

Fino al tre anni e mezzo l’attaccamento permane in modo intenso, pertanto è altrettanto negativo il comportamento opposto di quei genitori, e oggi sono tanti, che prematuramente spingono o costringono il figlio ad una autonomia e ad una responsabilità non adeguate e non confacenti alla sua età o al suo sviluppo psicoaffettivo. Solo dopo questa età (tre anni e sei mesi) “… un bambino sicuro comincerà a diventare abbastanza fiducioso da aumentare il tempo e la distanza in cui può stare lontano, all’inizio per mezza giornata e più tardi per l’intero giorno” (Bowlby 1988, p. 59).

Questi genitori spesso ottengono l’effetto opposto, in quanto il figlio che non si sente supportato dall’attaccamento genitoriale ha maggiori difficoltà ad affrontare il mondo circostante; pertanto rimane ancorato ad un livello di sviluppo non adeguato alla sua età cronologica.

Il caso di Luisa dimostra bene questo errato comportamento.

Un fallimentare piano pedagogico

Luisa, una giovane madre che insegnava in una scuola elementare, quando seppe di aspettare un bambino studiò un preciso piano pedagogico per stimolare nel figlio, il più rapidamente possibile, una buona autonomia, così da potersi dedicare tranquillamente al suo lavoro e continuare i suoi studi. Il suo piano prevedeva intanto di evitare di stare sempre con il bambino anche nei primi giorni di vita. Voleva che lui si “abituasse” a prendere il latte e ad essere curato, non solo da lei ma anche dagli altri familiari, così da scongiurare proprio uno specifico attaccamento.

Inserendolo poi, dopo il primo anno, in un ambiente estraneo come quello di un asilo nido e poi, a due anni e sei mesi, in una scuola materna, pensava di aver raggiunto l’obiettivo che si era prefissato: far maturare rapidamente l’autonomia del suo bambino. Ma a cinque anni, mentre ancora il figlio frequentava la scuola materna, le insegnanti con molto tatto, trattandosi di una collega, cominciarono a riferirle che ‹‹il bambino aveva forse qualche problema: non socializzava con gli altri, giocava da solo in un angolo, e si avvicinava ai suoi compagnetti solo per strappare loro qualche giocattolo che lo interessava particolarmente, ma non riusciva a costruire con questi un vero gioco. Anche il suo linguaggio era strano. Ripeteva benissimo ogni parola che sentiva ma la inseriva in contesti non idonei. Vi erano poi delle frasi che ripeteva di continuo››. Inoltre quando era a casa bastava poco per farlo gridare, per cui sia la madre che i nonni, “per farlo stare buono” lo mettevano spesso davanti alla tv, dove egli preferiva vedere sempre le stesse cassette, con gli stessi cartoni animati, per ore e ore. La notte poi, non si voleva assolutamente staccare dal letto dei genitori e stava abbracciato alla madre come ad un’ancora di salvezza ma, contemporaneamente, la tormentava tirandole i capelli e le ciglia.

È evidente che il piano materno era fallito su tutta la linea! Lo sviluppo dell’autonomia di un bambino non può essere accelerato di molto. Ma soprattutto non si può ottenere questo obiettivo senza tenere nella giusta considerazione i suoi bisogni primari. In caso contrario si rischia di conseguire l’effetto opposto.


[1] Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, cit., p 10.

[2] D. OVADIA , Mi piego ma non mi spezzo, in “Mente e cervello”,n° 67, 2010, p. 52.

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