UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
La vita è bella! Nonostante.
Autore: Riccardo Lonardi
Quando si tratta di problemi di cuore d’ordine affettivo o fisico, uno cerca d’individuare il punto critico focale, per trovare la soluzione ottimale che sia altresì la più indolore. Ebbene, il mese scorso mi trovo con il fiatone dopo settecento metri a passo lento. Subito test da sforzo e coronarografia. Sentenza: coronarie pressoché ostruite. Si prospetta l’intervento chirurgico. Ricovero preparativo. Visita routinaria.
Chiedo al medico circa il successo dell’intervento. Risposta: «Può andar male. Ma non farlo è peggio!» E’ questo il peggior modo d’indurre il paziente ad accettare l’intervento.
Già preoccupato di mio circa l’aspettativa di vita, passo dalla tensione all’ansia persistente. Mi cresce a dismisura il tasso di fifa. Del resto «Il coraggio uno non se lo può dare», dice il don Abbondio del Manzoni.
Quindi, ci penso su per cercare la differenza tra “male” e “malissimo”. Si, perché, parliamoci chiaro, alla fine il risultato è sempre lo stesso: ovvero il decesso. La differenza sta in ciò: se va male l’intervento, passi dalla vita direttamente alla morte, senza provare dolore grazie all’anestesia. Malissimo significa la certezza di crepare, non si sa quando, ma con l’aggiunta di una feroce sofferenza da infarto.
Capisco che il medico deve stare aderente alla realtà, senza edulcorarla d’illusioni. Ma non è certo questo il modo di convincere il paziente ad accettare l’intervento.
Sul problema consulto un primario, che tenta di riportarmi alla calma: «Guardi, le probabilità d’insuccesso dell’intervento sono dell’1 per cento. Vada tranquillo!»
Caricato d’ansia nei precedenti consulti, percepisco quanto mi dice il primario che vado incontro ad una sorta di roulette russa: il primo colpo può essere fatale, come invece può prolungarmi la vita.
La realtà dunque è che l’intervento va comunque fatto. Sennonché nel cervello ti ruga quel “probabilità”. Insomma, tranquillo non sono e per di più debbo sforzarmi d’esserlo per non accrescere l’ansia della moglie.
Intervengono gli amici, soprattutto quelli che l’intervento l’hanno già subìto. Cercano d’infondere coraggio, perché loro sono la realtà diretta di ciò che può accadere. Ovvero, la prosecuzione della vita.
Grato. Ma la fifa rimane intatta.
La sera d’abitudine prego. Allora mi ricordo d’essere credente nel Dio creatore della vita. Un Dio che per noi cattolici è Padre. Come tale non può certo volere il male dei suoi figli, ma soltanto il bene. Sennonché logica e progettualità divine non coincidono con logica e progettualità umane. Ecco allora la fede che concorre ad instaurare la connessione tra Dio Padre e me fragile e timoroso figlio.
Subentra la serenità che mi permette di entrare in sala operatoria più calmo. Sono nelle mani di Dio. E dei cardiochirurghi, naturalmente. Equipe molto giovane, che però, stando al risultato, infonde sicurezza.
Sennonché, quale incallito fifone, dopo l’intervento, pur controllandomi, comincio a lagnarmi. Ohè, sia chiaro! L’intervento non é una passeggiata! E non é nemmeno lontanamente equiparabile ad una appendicectomia!
Come compagno di camera ho uno un po’ più anziano di me. E’ parrocchiano di don Marco Cerutti, già parroco del mio paese, Pegognaga, per diciannove anni. Costui, il mio compagno di camera, in contrapposizione al mio lagnarmi esclama: «Però! Nonostante tutto la vita é bella!»
Ma come!? Io sto soffrendo e, stando all’intervento dovrebbe soffrire anche quello lì, eppure dice che la vita é bella?
Vengo a sapere che lui aveva già programmato l’intervento al cuore, ma in casa sua è accaduto qualcosa che l’ha costretto a posticiparlo: la moglie colpita da ictus é diventata prioritaria nelle cure. Una volta che costei ha raggiunto un certo recupero, é la volta del figlio muratore che si frattura un ginocchio ed è quindi sottoposto ad intervento urgente. Messo a posto anche il figlio, finalmente e’ il turno del padre di famiglia per l’intervento cardiologico. Più serio del mio. «La vita è bella!», dice lui, mentre dalla sala di rianimazione lo portano in camera.
Si, è vero. Anzi, verissimo. La vita è bella.
Purtroppo fragilità e personale egoismo impediscono non già di ammetterlo, ma di vederlo.
Riccardo Lonardi, Pubblicista