La gestione dell’adolescenza

LA GESTIONE DELL’ADOLESCENZA

 PAROLE CHIAVI: ADOLESCENZA/RAPPORTO GENITORI -FIGLI ADOLESCENTI/CONDIZIONI NECESSARIE PER GESTIRE L’ADOLESCENTE, RUOLO DEI PADRI  

 AUTORE: EMIDIO TRIBULATO

                                    

 

 

 Autore: Emidio Tribulato

 

La gestione dell’adolescenza è difficile.

E’ difficile perché il genitore avverte nella ricerca dell’indipendenza del figlio la perdita o la messa in discussione della sua autorità. In ogni cambiamento c’è una perdita ma c’è anche un’acquisizione. Quindi se i genitori perdono qualcosa, come la sua stima incondizionata, la fiducia illimitata, acquistano anche qualcosa: un rapporto più paritario, più maturo e responsabile.

Nei genitori vi è, inoltre, la paura per le esperienze che il figlio farà. Essi temono, e ne hanno tutti i motivi, le esperienze negative o traumatizzanti e pertanto nutrono il desiderio più o meno conscio che tutto torni come prima.

C’è spesso un’incapacità nel distinguere il normale dal patologico: a volte i genitori accentuano la patologia, altre volte sminuiscono di molto i problemi.

Nel primo caso corrono il rischio di vedere il cambiamento come anormalità: “Mio figlio prima era buono, affettuoso, ubbidiente, studioso, adesso sembra impazzito, tutto ciò che fa è sbagliato, abnorme.” Sicuramente l’adolescente fa delle cose eccessive, strane, diverse da quelle che faceva prima, ma tra l’anormalità vera e l’eccesso, la ribellione, la tensione fisiologica dell’adolescente, vi è una bella differenza.

Nel secondo caso i genitori non riescono ad accettare e ammettere la patologia presente.

Per evitare autocritiche, molti genitori non vedono o si rifiutano di vedere gli elementi patologici presenti nei loro figli, neanche quando degli specialisti li comunicano chiaramente. Se fuma o beve eccessivamente sono pronti a difenderlo: “ Una sigaretta non ha fatto mai male a nessuno; un poco d’alcool fa bene al cervello ed al cuore.”  Se usa droghe leggere commentano: “Adesso tutti i ragazzi fumano queste porcherie .” Se spaccia spinelli o droghe pesanti: “ E’ perché ha bisogno di soldi e suo padre, tirchio, non gliene dà a sufficienza .” Se si droga con l’eroina: “ E’ perché, poverino, non riesce a farne a meno.”  Non vedere la patologia evita le autocritiche, e protegge dalle risonanze emotive, ma non fa attivare nel cercare le cause del problema e nel trovare l’aiuto più efficace. Soprattutto vi è difficoltà a riconoscere le cause del disagio.

Spesso sono usati dei meccanismi di negazione dei propri comportamenti errati. Nel caso di separati, quasi sempre la colpa è dell’altro coniuge, che non segue il figlio, che si disinteressa della sua educazione o che è troppo debole o permissivo. Nelle coppie non separate la colpa è quasi sempre degli altri: le cattive compagnie, la televisione, gli altri adulti, la società. Che gli altri, gli adulti, i giovani, la società abbiano oggi delle responsabilità non c’è dubbio, ma questo non attenua la responsabilità individuale della coppia di genitori.

Affinché l’adolescenza si svolga in maniera serena, duri per il tempo indispensabile alla nascita di un nuovo uomo o di una nuova donna, sono necessarie diverse condizioni.

 

Che i minori siano portatori di una grande ricchezza interiore.

Una ricchezza fatta di benessere psicologico, serenità, equilibrio, adeguata maturità sessuale. Non siano portatori, quindi, di problematiche inconsce non risolte dovute a gravi e/ o frequenti errori educativi o a carenze affettive.

Quando ciò non avviene, notiamo, in questo periodo, un accentuarsi di tutti i segnali della sofferenza psicologica. Si evidenziano in modo evidente elementi patologici di tipo comportamentale, nevrotico o peggio, psicotico.

Le sofferenze psicologiche infantili si manifestano nell’adolescenza sotto forma di aggressività, disforia, fughe, tentativi di suicidio, anoressia, bulimia, abuso di alcool, uso di droghe oppure con paure, tic, ipocondria, somatizzazioni e, nei casi più gravi, sotto forma di depressione o schizofrenia. Ricordiamo, quindi, che un adolescente sereno nasce da un bambino sereno.

Che i genitori siano capaci di molta pazienza.

La santa cui tutti i genitori dovrebbero rivolgersi nelle loro preghiere del mattino e della sera è “Santa Pazienza!” Purtroppo non la trovate nel calendario, ma vi assicuro che è lei, e soltanto lei, che ci può soccorrere nelle mille disavventure domestiche che gli psicologi chiamano pomposamente “rapporto genitori – figli.”

Chi se non lei ci può sostenere quando i bimbi piccolissimi strillano a più non posso e noi dopo averli cullati, allattati, cambiati, fatto fare il ruttino di prammatica, non sappiamo più che cosa fare per farli stare buoni e per permettere a noi di dormire o almeno di riposare. Chi, se non lei, può fermare le nostre mani che cercano, per il giusto castigo il loro culetto quando, verso i due – tre anni perdono ogni rassomiglianza con mamma e papà per acquistare tutte le caratteristiche di un antico condottiero: Attila. Solo lei, solo questa umile santa che il Santo Padre dovrebbe studiare di portare sugli altari, durante il periglioso cammino dell’adolescenza, è capace di aiutare i genitori nella gestione del figlio brufoloso e della giovane contestatrice.

Solo lei potrà assistere i genitori mentre questi aspettano, trepidanti, che la bufera ormonale finisca e con essa l’altalena, tra momenti di allegria estrema e di estrema malinconia, tra momenti di affettuosità alternati ad altri di scontrosità, tra mutismo e desiderio di dialogo.

Che si riesca ad attuare un confronto sereno.

Vi sono vari modi per reagire alle contestazioni, alle critiche, al fiume d’idee, a volte poco coerenti, dell’adolescente:

  • Andare “ l’un contro l’altro armato.“ Genitori contro i figli e viceversa, con acredine e distruttività reciproca in modo tale da costringere l’altro a cambiare le proprie idee, le proprie opinioni, i propri comportamenti, Cioè iniziare una guerra all’ultimo sangue, dall’esito incerto, ma dalle sicure, distruttive conseguenze, nella relazione con il figlio.
  • Oppure accettare passivamente, e quindi uniformarsi acriticamente ai suoi pensieri, alle sue opinioni, ai suoi comportamenti. Accettarli, anche se li sentiamo errati, anche se avvertiamo chiaramente che da questi può derivare un danno per lui o per la famiglia. Accettarli anche se diversi, troppo diversi e lontani dai nostri, e dalla realtà; ed in tal modo farsi amico e alleato il figlio, trascurando le proprie idee ed il proprio compito.
  • Ci sembra invece più corretta una terza via, che è quella del confronto. Confronto per far capire idee e valori universali pur rispettando le sue idee ed i suoi valori. Confronto, senza colpi bassi, in maniera affettuosa, civile, amorevole, ma in modo fermo e deciso per tenere fede ai propri principi, alle proprie idee, al proprio ruolo. Confronto pur cercando di capire le idee dell’altro, pur ascoltando i bisogni e le idee dell’altro. Solo in questo modo è possibile sviluppare e educare nel ragazzo, le sue capacità di riflessione e critica, in modo tale che le informazioni che gli provengono dai mass-media, dagli altri giovani, dal mondo, non siano assorbite passivamente e accettate acriticamente ma vengano a poco a poco vagliate, analizzate e, quando è necessario, autonomamente respinte.

         Come dice P. Lombardo occorre distinguere i sentimenti dalle azioni.

“Bisogna abituarsi a rispettare i sentimenti e i giusti desideri di autonomia di un giovane, ma rimanere fermi ed intransigenti su alcuni dannosi comportamenti. Quando un’azione è inaccettabile, il ragazzo va ripreso e messo davanti alle sue responsabilità.”

C’è il rischio che il genitore, ricordando la sua sofferenza durante l’adolescenza, che comporta spesso qualche pena a causa delle problematiche di cui abbiamo parlato, leghi questa sofferenza all’atteggiamento dei propri genitori e quindi tenda ad avere nei confronti dei figli un comportamento totalmente diverso. Come dire: “Io nell’adolescenza ho sofferto, i miei figli non voglio che soffrano.” Come è possibile non farli soffrire? Accontentandoli di tutto, per esempio. Prevenendo addirittura i loro desideri. Accettando tutte le loro richieste. Sottovalutando i rischi. Dando loro tutto ciò che normalmente dovrebbe essere negato.

Che il dialogo genitori-figli, ma anche adulti – giovani sia continuo ed efficace.

Non è certamente facile il dialogo con i figli adolescenti e ciò per vari motivi:

  • spesso il linguaggio è ridotto a pochi monosillabi: “Sì”, “No”, “Forse” “Non so.” In altri casi il dialogo è soprattutto fatto di richieste sempre più numerose e pressanti cui è difficile dire sempre di sì; d’altra parte i “no” determinano, bronci e chiusure che portano il figlio ancora di più a chiudersi a riccio;
  • l’adolescente tende a vedere come unici soggetti di dialogo i propri coetanei discriminando in modo massiccio tutti i “matusa”;
  • la contestazione delle idee degli adulti è quasi un obbligo morale cui ogni adolescente sente di non dovere e non poter rinunciare;
  • le prospettive da cui si discute sono diverse. Sono diversi i ruoli, le responsabilità, i bisogni, le esperienze, le realtà interiori vissute. I figli vivono e scoprono il presente, i genitori portano oltre all’esperienza del presente anche quella del passato e devono essere attenti al futuro. I figli cercano di soddisfare i loro bisogni di affetto, sessualità, piacere, comunione e avventura con i coetanei, in un cocktail confuso, i genitori hanno il compito di mettere ordine in questi loro bisogni, in modo tale che il soddisfarli sia di utilità e non di danno, porti ad una crescita e non ad una regressione, porti alla vita e non alla morte, porti alla gioia e non a dolore, porti al futuro e non li imprigioni nel presente;
  • gli adolescenti vivono la realtà, immersi in una doccia ormonale che esalta e trasfigura la realtà. I genitori hanno il dovere di correggerne la rotta indirizzandone il corso verso acque più placide, sicure e tranquille.

 

Pertanto deve essere più intenso ma diverso il dialogo, tenendo presente la realtà psicologica in cui gli adolescenti vivono. Diverso perché più attento, pacato e delicato che nel passato. Diverso giacché dovrebbe tendere a capire e farsi capire pur mantenendo la chiarezza dei ruoli. Quando si afferma: “I genitori devono essere come degli amici per i figli”, bisognerebbe aggiungere: “Mantenendo il ruolo di genitori.” Per tale motivo è giusto ascoltare con pazienza ed apertura ma continuando ad educare e a guidare. Continuando a prospettare obiettivi e mete chiare. Continuando ad assumersi tutte le responsabilità necessarie nel dire di “no”, quando occorre, nel dare dei limiti, delle norme e anche delle punizioni, quando servono.

La condivisione di esperienze emotive è certamente utile per capire e farsi capire. Tale condivisione deve permettere all’adolescente, mediante esperienze maturanti fatte con gli adulti, di spiccare un salto di qualità: “ Tu adesso sei più grande: facciamo qualcosa insieme, aiutami nel mio lavoro, impara come si fa questa cosa, assumiti questa responsabilità, attivati in questa situazione.” Non deve, al contrario, trasformare noi in adolescenti, nell’illusione che serva a farci accettare.

Purtroppo, in questo periodo storico sembra che i genitori e gli educatori in genere, nei confronti degli adolescenti, abbiano effettuato una sorta di tregua e alleanza. Al figlio non sono fatte che delle richieste minime. I divieti, rari, riguardano solo richieste assurde. Si cerca, tenendo conto delle risorse economiche della famiglia, di vietare il meno possibile e di concedere il più possibile. I limiti e le concessioni spesso non s’inseriscono in un progetto educativo, e quindi non tengono presente le esigenze di crescita e maturazione del figlio, ma tengono conto solo della situazione economica della famiglia.

Il quadro dell’adolescente risulta come svuotato da quelle tensioni che ne avevano costituito la caratteristica tipica: non c’è l’adolescente arrabbiato, ma c’è l’adolescente sazio, pago dei mille piaceri che gli sono giornalmente offerti su un piatto d’argento. C’è l’adolescente annoiato, che passa da una cena all’altro, da un divertimento all’altro. Un adolescente in terapia così descrive la serata tipo del sabato sera: ci si incontra con gli amici in un bar del centro, per prendere un aperitivo, poi ci si mette d’accordo per la serata. Si va, ad esempio, alla festa di Giovanni che fa il compleanno, portando il regalo che la mamma ha comprato per l’occasione. Si balla, si mangia, si chiacchiera, poi, dopo mezzanotte, quando nei condomini non si può più far “caciara”, si va alla ricerca d’una discoteca. Naturalmente prima di entrare si fa rifornimento di pasticche “per tenersi su, per divertirsi di più”. In discoteca si balla, si bevono alcolici, ci si eccita con le cubiste, si cerca di “cuccare” qualche ragazza, ci si stordisce con la musica a tutto volume; poi, se ci si annoia, si cerca un altro locale “più da sballo”, dove si beve ancora e si consumano le ultime pasticche. Tra l’una discoteca e l’altra una “canna”, un po’ di sesso in macchina o sulla spiaggia, e dopo, è mattina, si comprano dei cornetti caldi prima di tornare a casa. Durante il tragitto, spesso una gara con la macchina, “così per tenersi svegli.”

 Eppure i nostri padri sapevano benissimo a cosa porta questo tipo di educazione. Collodi lo descrive molto bene quando Pinocchio e Lucignolo vanno nel paese dei balocchi.  Un paese in cui è sempre vacanza, un paese in cui ci si diverte sempre e a più non posso, ma da cui si esce “asini”. E cioè animali non solo stupidi e ignoranti, come vuole l’idea comune, ma animali pronti ad essere sfruttati fino alla loro morte, anzi anche dopo, essendo utilizzata la loro pelle per fare tamburi.

Che i genitori accettino e seguano i cambiamenti che avvengono nei rapporti con i figli.

 Mentre durante il periodo edipico la femminuccia è più legata al padre ed il maschio alla madre, durante il periodo adolescenziale vi dovrebbe essere un maggior legame con il genitore dello stesso sesso in modo tale che vi sia un completamento dell’identità sessuale, mediante l’introiezione della caratteristiche specifiche. Per tale motivo i genitori dovrebbero sapersi porre come modelli d’equilibrio, saggezza e serietà senza lasciarsi trascinare dal caos adolescenziale. La loro presenza, soprattutto quella del genitore dello stesso sesso, dovrebbe essere costante nel guidare, nel proporre valori, obiettivi e strade per raggiungerli nel modo più rapido ed efficace ma dovrebbe anche servire a trasmettere gli antichi e basilari valori, ricchi di saggezza e di valenze positive. L’adolescente ha bisogno di adulti per diventare uomo e non di altri adolescenti che lo condannerebbero in un limbo d’immaturità ed instabilità.

Per quanto riguarda il contrasto con i genitori, questo, se non eccessivo, è fisiologico. Il bambino, per diventare uomo, ha bisogno di confrontarsi, di sfidare, di contrastare i propri genitori per rompere definitivamente l’amore edipico in modo da potersi aprire ad altri affetti e altri amori, all’esterno della famiglia.

E’ un po’ quello che succede in tutti gli amori: essi si possono rompere con più facilità, quanto maggiore è lo scontro e quanto più il confronto è traumatico. È più difficile la rottura dolce di un grande amore! Quindi una certa tensione e aggressività, tra genitori e figli, fa parte della fisiologia dell’adolescenza. Questo non significa che genitori e figli, fisiologicamente, debbano odiarsi, ma non bisogna neanche avere paura di una certa tensione, proprio perché serve a rompere un legame e quindi permette un salto qualitativo.

Che i genitori sappiano affrontare il figlio adolescente con piena unità d’intenti.

L’adolescenza dei figli può attuare un cambiamento interiore e risvegliare problematiche inconsce sopite. Ciò può modificare, a volte profondamente, il rapporto di coppia.

Un figlio o una figlia adolescente possono far riemergere sentimenti di nostalgia per un periodo che si ricordava felice e spensierato e quindi spingere alla regressione adolescenziale uno o entrambi i genitori, nella ricerca dell’Eden perduto. Allo stesso risultato può portare un sentimento di rivalsa per ciò che non si è avuto o non si è vissuto bene o pienamente. “Io soffrivo perché mio padre o mia madre non mi permettevano di fare certe cose: non voglio che mio figlio/figlia viva la stessa sofferenza, perciò gli permetto di fare tutto ciò che a me fu negato.”

Nell’uno e nell’altro caso, l’adulto tende ad instaurare con i figli una complicità di amico/a più che di genitore. Un amico che tutto accetta, comprende e favorisce pur di ottenere la “felicità” del figlio.

 Spesso questo crea delle alleanze che prima non esistevano. Mentre fino a qualche mese prima i genitori si trovavano insieme nell’affrontare l’educazione del ragazzo, adesso si ritrovano su fronti opposti. Un genitore “amico”, confidente, pronto a lottare con e per i figli contro l’altro, “nemico”, che non capisce, che non accetta, che contrasta la ricerca della loto felicità.

Naturalmente questo non dovrebbe avvenire. I genitori dovrebbero continuare ad essere uniti quanto e più che nell’infanzia. Dovrebbero sostenersi a vicenda nell’affrontare gli ardui problemi educativi.  Nel momento in cui uno di essi, trascinato dall’emotività, dalle ansie o dalle paure, instaura un’alleanza con i figli adolescenti contro l’altro, non solo si perde come genitore, ma rende enormemente difficile se non impossibile il rapporto educativo.

Ogni genitore dovrebbe profondamente rispettare e amare i figli, ma deve anche, serenamente, riuscire ad analizzare i problemi ed i veri bisogni di quest’ultimo in modo tale da essere guida sicura, autorevole e stabile in ogni situazione.  Non è possibile un’azione educativa senza che vi siano delle tensioni, senza che vi sia un minimo di contrasto e quindi di sofferenza per i figli e per i genitori. Queste bisogna affrontarle serenamente, da adulti responsabili; senza lasciar trasformare il proprio ruolo di genitore in un ruolo filiale o amicale; ma soprattutto senza rompere l’unità della coppia, indispensabile alla vita familiare.

Vedere i genitori solidali nell’attività educativa, è per i figli fonte di sicurezza, equilibrio e stabilità. Vedere i genitori disuniti e non concordi provoca dubbi, incertezze, ma soprattutto inimicizia e frattura verso il genitore “cattivo.” “ Se papà mi dice una cosa e la mamma ne dice un’altra; se la mamma è d’accordo con me contro il papà, vuol dire che la mamma è buona e il papà è cattivo. Se la mamma, che è un adulto ed un genitore, la pensa come me ed in modo diverso da papà, vuol dire che tutto ciò che lui mi dice non è giusto e quindi io non sono tenuto a farlo. Se c’è qualcuno che sbaglia non sono io, non è la mamma ma è sicuramente papà.”

Nella mente dei figli si formano pensieri come questi; per tale motivo l’accettazione dell’autorità, dei limiti e delle norme diventa estremamente più difficile. La sofferenza di tutta la famiglia si accentua con danno irreparabile per tutti.

Che il padre si assuma pienamente e coraggiosamente l’onere derivante dal proprio ruolo.

Così come nella prima infanzia è prevalente e fondamentale il ruolo materno, poiché la donna ha maggiori capacità nell’accudimento e nell’allevamento della prole, nell’adolescenza dovrebbe essere in primo piano il ruolo paterno; e ciò per vari motivi:

  • per i padri è più facile assumere un ruolo autorevole, lineare, deciso, quando gli adolescenti assumono atteggiamenti aggressivi, petulanti, ricattatori. Atteggiamenti questi che, invece, mettono più facilmente in crisi la fragilità affettiva e l’emotività femminile;
  • i padri resistono meglio alle mode del momento. Per cui riescono, con più efficacia, a contrastare attività, comportamenti ed atteggiamenti incongrui o rischiosi, anche quando questi sono molto diffusi e quindi di moda, nell’ambito dei gruppi giovanili o sono presenti in molte famiglie;
  • il genitore maschio si fa meno coinvolgere dagli atteggiamenti seduttivi dei figli, quindi riesce meglio a resistere ai ricatti affettivi posti in essere dagli adolescenti.
  • l’uomo si identifica più difficilmente con i figli e quindi riesce ad essere più facilmente una guida autorevole e serena;
  • i padri, infine, hanno una visione educativa a più ampio respiro temporale e sociale. Per tale motivo, non vedono soltanto il benessere o il malessere dell’oggi, ma anche quello del futuro uomo o donna, non vedono solo il benessere individuale ma anche quello familiare e sociale.

 

Affinché i padri possano svolgere il loro compito sono però necessarie almeno tre condizioni:

  1. devono esserci,
  2. devono essere stati educati a svolgere nel migliore dei modi il loro ruolo paterno
  3. devono poterlo svolgere pienamente appoggiati dalle madri e dalla società.

 

 Purtroppo, come abbiamo già detto, oggi queste condizioni si avverano sempre più raramente. Spesso i padri mancano: perché i genitori sono separati, divorziati o la madre è una donna nubile; più spesso i padri sono assenti perché troppo impegnati nel lavoro e nelle attività al di fuori del contesto familiare. Per quanto riguarda la loro formazione non sempre avviene in maniera da valorizzare le caratteristiche maschili; ed infine, anche quando ci sono e sono bensì preparati e disponibili ad impegnarsi in senso educativo, sono spesso ostacolati da un ambiente sociale o da madri troppo permissive. 

Che la frequenza con il gruppo dei pari avvenga senza pericolosi eccessi.

La frequenza con il gruppo dei pari, così come avviene nel bambino, è un passaggio obbligato, per la conquista della propria autonomia e per la costruzione dell’identità personale. Essa può avvenire in un rapporto a due o in un gruppo. L’incontro con il gruppo dei pari, a sua volta, può essere di tipo formativo e quindi guidato oppure spontaneo o libero.

Il rapporto a due ha il significato di un dialogo con qualcuno che ha problemi e caratteristiche simili alle tue; è scambio di compagnia e d’affetto tra pari; è ricerca di complicità nel programmare incontri e avventure.

Spesso si cerca un amico che abbia caratteristiche simili alle proprie o complementari. Con lui si affrontano tutti o quasi i temi che fanno o molto soffrire o molto gioire: la scuola, l’amore, il futuro, la famiglia. Con l’amico del cuore si gioca, si ascolta musica, si vedono i film e le trasmissioni più esaltanti, si va alle partite. Queste amicizie a volte nascono nell’adolescenza, ma il più spesso sono la continuazione di un rapporto nato molti anni prima: nella fanciullezza. In un caso o nell’altro siamo felici quando notiamo nell’amico interesse, sostegno, aiuto, accettazione, mentre ci fanno soffrire i suoi tradimenti, l’incomprensione, o la sua indifferenza..

L’amico del cuore non può essere scelto dai genitori. Sia la scelta, che la gestione appartengono ai figli, ma, data l’importanza di queste amicizie nella formazione e nell’evoluzione verso l’età adulta, abbiamo il dovere di guidare queste scelte, favorendo le amicizie sane e disincentivando quelle pericolose o dannose. Dice un vecchio proverbio “ Chi pratica con lo zoppo, all’anno zoppica.” E questo proverbio non si riferiva agli handicappati!

Questa guida è più facile attuarla prima che queste amicizie nascano piuttosto che dopo che si è stabilito un forte legame affettivo. Per tale motivo l’attenzione nei confronti del figlio e delle persone e ambienti da lui frequentati dovrebbe essere costante e vigile.

I gruppi formativi.

Sono dei gruppi che aiutano a diventare più facilmente e rapidamente donne e uomini, attraverso l’esperienza e la guida di adulti maturi e responsabili, che sanno utilizzare positivamente la grande vitalità e creatività dei giovani e le loro immense energie, indirizzandole nella crescita e nel raggiungimento di traguardi che possono essere di tipo artistico, musicale, sociale, sportivo, culturale.

Questi gruppi hanno, a differenza dei gruppi spontanei, finalità, scopi ed indirizzi educativi ben precisi, giacché c’è un progetto, un programma, una metodologia già sperimentata nel tempo, finalizzata ad aiutare i ragazzi ed i giovani nella loro crescita.

Quando i partecipanti si incontrano non si parla a ruota libera, non si sta insieme solo per divertirsi o per scacciare la monotonia, ma s’impara a progettare e a perseguire obiettivi formativi, spirituali, culturali, artistici o di solidarietà sociale.

Gli adolescenti, quando il gruppo è ben gestito, si abituano a dare più che a ricevere; a proporre positivamente, più che a lasciarsi trascinare dagli altri; a partecipare, più che a chiudersi nel proprio Ego.

È bene quindi scegliere quei gruppi e quelle associazioni che hanno finalità educative trasmesse mediante l’aiuto, il sostegno, l’amore nei confronti delle persone più bisognose: handicappati, anziani, poveri, emarginati. “ Ma deve trattarsi di un gruppo educante, dove si impara a ridimensionare le proprie utopie, ad onorare la parola data, a farsi perdonare per gli errori che si commettono, ad accettare l’altro e se stesso e le rispettive sconfitte, a costruire insieme”; deve, inoltre, essere un gruppo che abbia delle regole e che insegni a rispettare le regole.

I gruppi spontanei.

Questi si formano per aggregazione di uno o più soggetti al fine di vivere momenti di dialogo o di divertimento. In questi, non essendoci un progetto educativo che li sostenga, né una guida efficace la spinta maturativa è scarsa, anzi, poiché seguono le leggi dei gruppi spontanei, c’è il grave rischio, nel caso in cui siano frequentati in maniera eccessiva da parte degli adolescenti, di una loro involuzione in atteggiamenti più immaturi, più irresponsabili e deteriori rispetto alla media dei partecipanti.

Nella psicologia dei gruppi spontanei il ruolo di leader, anche se non riconosciuto, è spesso attuato dalla persona più immatura ed irresponsabile, in quanto è l’elemento che fa più divertire, che fa le proposte più strane ed inusuali. In altri casi, quando non c’è un vero leader il gruppo si muove ed opera mettendo in comune gli elementi deteriori ed infantili di ogni partecipante. Questo comporta spesso un peggioramento nei comportamenti e negli atteggiamenti sia dei singoli sia del gruppo nel suo insieme; si corre il rischio d’una sua trasformazione in banda giovanile, ”il branco”, che utilizza la forza e la violenza del gruppo per commettere azioni antisociali, sciocche e distruttive. Poiché queste bande non hanno contenuti o ideali, gli adolescenti ed i giovani, per farne parte, per paura di non essere accettati, per istintiva omologazione, per emergere, accettano di compiere le azioni più assurde ed imprevedibili.

Succede allora che giovani “normali”, inseriti in un gruppo composto da soggetti “normali”, figli di famiglie altrettanto “normali”, compiano delle azioni di vandalismo: come rompere i vetri delle auto, o i lampioni, incendiare i cassonetti, imbrattare i muri delle case o dei vagoni o peggio, si uniscano per fare violenza ad altri adolescenti o ad adulti. In queste situazioni violentare una ragazza che si è appena incontrata, lanciare pietre dai cavalcavia dell’autostrada per colpire qualche ignaro automobilista, dare fuoco ad un barbone, rubare nei supermercati, costringere a drogarsi, diventa divertimento e gioco entusiasmante.

In altre bande prevalgono giochi di emulazione estremamente rischiosi: come le gare di moto o di auto, il saltare sui treni, lo sdraiarsi sui binari o sull’asfalto per allontanarsi all’ultimo istante prima di essere travolti, il lanciarsi contro un muro per poi fermarsi all’ultimo momento. Dice infatti P. Lombardo: “  Rifugiandosi nella massa, l’uomo perde ciò che è più essenziale al suo essere uomo, alla sua umanità: cioè la sua responsabilità. Non appena uno agisce come fosse soltanto la parte di un tutto e quando in questo tutto si identifica, immediatamente avverte il sentimento di essersi liberato da ogni responsabilità…. La massa è una somma di esseri spersonalizzati”

Come esito del cambiamento nei rapporti tra maschi e femmine, gli adolescenti di entrambi i sessi tendono a vivere insieme la vita dei gruppi sia spontanei sia organizzati, con conseguenze che avrebbero dovuto essere facilmente immaginabili. Sia alle ragazze che ai ragazzi viene a mancare quel confronto, quella scoperta, ricerca, valorizzazione e approfondimento delle proprie caratteristiche sessuali che si ottiene quando giornalmente si è immersi e ci si confronta con coetanei dello stesso sesso.

Pertanto si vengono a svilire, sfumare e perdere, importanti elementi culturali e comportamentali legati alle caratteristiche sessuali specifiche. Diminuiscono i giochi, le fantasie, i dialoghi, i pensieri legati alla propria femminilità o mascolinità, mentre si vivono e acquisiscono elementi dell’altro sesso. Inoltre il cameratismo e la fratellanza, dovuti alla frequenza continua, fanno diminuire di molto l’interesse. L’altro non è più vissuto come ideale e sogno, immaginario e magnifico che, per essere accettati, spinge e stimola alla crescita e al miglioramento personale, ma è vissuto spesso come “seccatura”, a volte con noia, altre volte con modesto interesse sessuale ma sempre, senza grandi entusiasmi.

Che il tempo libero sia limitato e proporzionato alla capacità di farne buon uso.

Come abbiamo già detto precedentemente il buon uso del tempo libero è inversamente proporzionale alla sua quantità. Maggiore è il tempo libero più difficile è usarlo bene. Questo è tanto più vero quanto più il tempo libero si trascorre, durante la notte, in ambienti a rischio come le discoteche, insieme con gruppi spontanei.  Purtroppo, il tempo libero degli adolescenti si è allargato a dismisura, in quanto le richieste d’impegno nell’ambito familiare e scolastico, si sono ridotte al lumicino. Si ha quasi paura di chiedere ai figli di collaborare alla gestione familiare e di partecipare agli impegni sociali della famiglia nell’ambito della rete parentale, poiché si pensa di distrarli da quelli che sono visti come i compiti basilari e cioè lo studio e la scuola. Questo è un errore grossolano. Lo studio dovrebbe rappresentare solo uno degli impegni dei figli, per tale motivo non dovrebbe totalizzare le loro energie. Il rischio è di limitare le loro esperienze, ma anche la loro capacità di donazione. D’altra parte l’impegno scolastico è attualmente molto limitato e limitante: le bocciature sono sempre più rare, il numero di vacanze o di giorni utilizzati come vacanze è notevole.

Che i genitori e gli educatori propongano mete e obiettivi ricchi di valori umani, sociali e spirituali.

Un bambino è l’essere che tende a chiedere: affetto, amore, protezione, conforto, giocattoli.

L’adulto si caratterizza per la grande possibilità di scambio con gli altri, sia a livello affettivo, che sociale ed economico. Anche il bambino scambia, ma soltanto a livello affettivo. I suoi baci, le carezze, le attenzioni, le parole d’affetto e di amore contraccambiano quello che l’adulto dà. Quando, come succede nella nostra società, gli adulti lasciano che persista nel ruolo infantile, l’adolescente e poi il giovane continuano a chiedere. Chiedono, mai sazi, giocattoli più evoluti e costosi: come la moto, la macchina sportiva, la chitarra elettrica; chiedono giochi e piaceri eccessivi nella quantità ma soprattutto di basso livello come qualità; mangiare la pizza ogni sabato sera, scherzare per ore con gli amici, andare nelle discoteche e nelle paninoteche, vivere la sessualità senza responsabilità. Chiedono senza dare, in contraccambio, neanche la tenerezza e l’affettività che davano da bambini.

Sarebbe invece importante che gli educatori proponessero mete e obiettivi ricchi di valori umani, sociali e spirituali. Sarebbe importante che la vita dei minori si aprisse agli altri uomini e alle altre donne più che agli oggetti ed ai piaceri. Sarebbe importante proporre dei punti di riferimento scelti tra i grandi personaggi, di grosso spessore umano e sociale sia del presente che del passato, in modo tale da aiutarli ad andare al di là della corporeità, per ricercare gli elementi spirituali del nostro essere. Il tutto si dovrebbe tradurre in un impegno massiccio per gli altri; per i più deboli e indifesi: per gli handicappati, gli anziani, i bambini.

Come dice Don Antonio Mazzi i giovani cercano qualcuno in cui avere fiducia, per avere un indirizzo. “Il primo problema che sentono è quello spirituale. Avvertono dentro di sé un gran desiderio di fare qualcosa di buono della propria vita, ”

Che la possibilità di usare denaro e beni materiali sia molto limitata.

L’uso di beni e di denaro dovrebbe essere molto parco durante tutta la vita del bambino ma soprattutto dovrebbe essere limitato al massimo durante l’adolescenza in quanto, in questo periodo, il rischio di usare male il denaro o gli oggetti ludici aumenta considerevolmente.

La nostra società dei consumi vede la gioia legata al soddisfacimento dei beni materiali, per cui continua a ripetere come un ritornello: “Più denaro avete, più spendete, di più oggetti vi circondate, più sarete felici e soddisfatti.” Ci si accorge troppo tardi che questa affermazione è fondamentalmente falsa; la vera gioia e serenità nascono dall’interno, non dal denaro, né tanto meno dagli oggetti posseduti. 

La maggiore ricchezza, l’abbondanza di beni materiali, lo scarso numero di figli, ha ampliato notevolmente la possibilità di utilizzare da parte del giovane una gran quantità di beni e di denaro: il telefonino, lo stereo, i videogiochi, il televisore in camera, il videoregistratore, il computer, il collegamento con internet, la moto da città, il fuoristrada, la macchina fotografica digitale, la telecamera; sono solo alcuni degli oggetti di cui il giovane si circonda giorno e notte. A volte sono stati comprati direttamente, altre volte sono regali di parenti, nonni, zii e amici compiacenti.

Insieme a questi oggetti il giovane possiede spesso anche notevoli somme in denaro liquido, dovute ai regali o ad una ricca paghetta settimanale. Avere in tasca molti soldi è un notevole rischio per l’adolescente in quanto li può utilizzare male: per il fumo, l’alcool, la droga, la pornografia, la prostituzione. Tra l’altro il denaro gli permette di fare quelle gare e quelle bravate che richiedono moto ed auto particolarmente veloci e costose. Avere troppo denaro in tasca, senza averlo sudato, porta il giovane a cullarsi nella sua condizione attuale per cui non avrà alcuna preoccupazione di finire gli studi e di iniziare a lavorare. Infine avere troppi soldi da spendere frequentemente per i suoi capricci, gli fa perdere il gusto delle cose, che, come abbiamo detto, sono tanto più belle quanto più sono rare e difficili da conquistare.

Che agli adolescenti arrivino dei messaggi chiari e lineari.

Non sempre agli adolescenti arrivano dei messaggi chiari e lineari.

  • Si vuole da loro che siano maturi globalmente, ma poi, quasi sempre, quello che interessa e preoccupa i genitori è il profitto scolastico.
  • Si vuole che maturino come futuri padri e madri, ma, contemporaneamente, nulla o quasi si fa per prepararli a questo ruolo, che implica grandi capacità di sacrificio, ascolto e dono, ma anche tanta capacità gestionale indispensabile in ogni famiglia: saper cucinare, cucire, educare e allevare un bambino, pulire, usare gli elettrodomestici, gestire gli introiti, programmare ed affrontare le spese, riparare, dipingere ecc.. La possibilità di creare una nuova famiglia è allontanata sempre di più e mantenuta in una specie di limbo, nell’attesa che finiscano i lunghi decenni di studio che precedono, a loro volta, un’improbabile sistemazione lavorativa.
  • Si vuole che i maschi abbiano caratteristiche di dolcezza, tenerezza e massima disponibilità e collaborazione con le donne nei lavori femminili, per “alleggerire” queste dei lavori domestici, ma poi ci si meraviglia se in loro, mentre si sviluppano alcune capacità in più nella cura e nell’allevamento, si perdono determinazione, forza, coraggio e sicurezza mentre nel contempo aumentano le tendenze omosessuali.
  • Alle ragazze, da una parte si chiede di essere belle, femminili, seducenti e materne, dall’altra si vuole da loro efficienza, controllo, competizione, aggressività.
  • Si vorrebbe che la coppia che si forma vada incontro ad un matrimonio felice, ma poi, soprattutto nelle donne, si instilla il sospetto che l’uomo sia pronto a sopraffare e ad approfittare di lei, per cui bisogna saper affilare le armi “per difendere i propri diritti contro tutto e contro tutti”, e perché no, anche per sapersi imporre quando è possibile. Pertanto nulla bisogna sacrificare a beneficio della famiglia e al benessere di coppia.

 

Che l’obiettivo degli educatori e della società sia il rapido superamento dell’adolescenza.

L’adolescenza dovrebbe essere una condizione di rapido passaggio verso la fase adulta ed invece, nella nostra società, si sono inseriti mille motivi per rallentarla, e prolungarla  all’infinito. Statisticamente un diplomato guadagna di più di un lavoratore che ha solo la licenza media. Un laureato guadagna di più di un diplomato; un laureato che ha una specializzazione, che conosce bene l’inglese, che ha frequentato un corso per computer e ha partecipato a qualche master guadagna di più di un semplice laureato; per cui i segnali sono chiari: per arrivare ad una vera sistemazione che permetta di guadagnare molto bisogna essere laureati, specializzati, aver fatto un corso di inglese, uno per computer e se possibile anche un master. Non importa poi se a questo traguardo si arriva stanchi, senza alcuna voglia di mettere su famiglia e ad un’età in cui i nostri nonni andavano in pensione! Non importa se il matrimonio è celebrato quando le cicogne non riescono più a posarsi sui comignoli neanche se vi sono portate dai pompieri, perché l’artrosi impedisce loro di volare! 

PAROLE CHIAVI: ADOLESCENZA/RAPPORTO GENITORI -FIGLI ADOLESCENTI/CONDIZIONI NECESSARIE PER GESTIRE L’ADOLESCENTE, RUOLO DEI PADRI  

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