Genitori e figli adolescenti

Genitori e figli adolescenti

 

 

 

 

Autore: Giuseppe Cesa

Tempo fa lessi il libro “Lettere a Lucilio” di Seneca, filosofo dell’antica Roma. In una delle lettere indirizzate ad un allievo immaginario, Seneca si chiedeva se fosse meglio, nell’educare una persona, che il saggio trasmettesse i principi generali o fosse meglio dare di volta in volta dei consigli pratici alla luce dei principi generali.

Seneca non arrivò a decidere quale fosse preferibile tra le due opzioni, ma certamente non venne meno il fatto che l’educatore dovesse avere lui per primo raggiunto quella saggezza che, poi, avrebbe dovuto in qualche modo trasmettere ad altri. Credo che queste considerazioni ci facciano riflettere su come genitori o educatori possano trasmettere solo ciò che hanno loro stessi effettivamente raggiunto.

 

 

Gli stadi evolutivi

La vita umana, al pari di tutte le altre forme di vita, si realizza attraverso una serie di passaggi evolutivi implicanti, ogni volta, un grado maggiore di libertà che comporta maggiore autonomia e minore dipendenza. L’espressione grado di libertà sta ad indicare il fatto che ad ogni passaggio dipendenza e autonomia non passano dal tutto al niente, e viceversa, ma che sono relative a tipiche funzioni di quella fase evolutiva.Ad esempio, al momento della nascita il neonato diviene totalmente autonomo dalla madre riguardo alcune funzioni come quella respiratoria e alimentare, ora è lui che respira e mangia, ma deve essere ancora la madre a preoccuparsi che l’aria sia sufficientemente pulita e tiepida e a fornire il cibo adeguato. Questo significa che è compito dell’adulto, di chi è più avanti, accogliere il nuovo grado di libertà ridimensionando in modo adeguato il proprio supporto. Se l’adulto non accetta – o non è in grado di accettare – il maggior grado di libertà e di ridimensionare la propria presenza, possono nascere problemi gravi che a seconda della fase evolutiva possono avere implicazioni fisiche, psicologiche o entrambe. Pensiamo, ad esempio, ad una mamma molto apprensiva che per paura di malattie o ferite restringe notevolmente la possibilità di muoversi e di uscire ad un bambino. Questo bambino crescerà molto gracile, con pochi anticorpi e con scarse competenze sociali.

Un’altra caratteristica dei passaggi evolutivi è rappresentata dal fatto che, in condizioni normali, sono passaggi inevitabili, attesi e provocati sia dall’individuo in evoluzione che dall’adulto. Se torniamo all’esempio della nascita, possiamo osservare che il bambino ha occupato tutto lo spazio a disposizione, ha meno libertà di movimento e il suo corpo è pronto per uscire; lui stesso è provvisto del riflesso podalico per cui è anche lui che ad un certo punto spinge con i piedini sulla parete per uscire. D’altro canto, la madre comincia a sentirlo pesante, lei stessa diviene impacciata nei movimenti e anche lei, con le contrazioni, spinge per far uscire il figlio, per sgravarsi. Cioè, la madre si toglie un peso e, contemporaneamente, il suo corpo è pronto per la fase successiva: il suo seno comincia a produrre prima il colostro e poi il latte.

Infine, l’individuo in evoluzione non sa cosa lo aspetta fuori, quando nasce lui nasce e basta. È compito dell’adulto creare un ambiente con dei limiti adeguati. Ad esempio, i bambini nel loro importante processo di esplorazione del mondo non possono toccare tutto, non possono portare tutto alla bocca; l’adulto organizza un ambiente con dei limiti, dei divieti; si pensi, ad esempio, al box.

Da questa breve premessa possiamo, quindi, sostenere che è compito preciso dell’adulto accogliere e favorire i vari passaggi evolutivi ridimensionandosi in modo adeguato alla fase evolutiva, nè troppo, nè troppo poco. Mentre, è compito dell’individuo in evoluzione seguire il proprio istinto, la propria spinta a crescere, esplorare il mondo e padroneggiarlo; fidandosi dei limiti posti da chi gli vuole bene.

Il passaggio dell’ adolescenza

L’essere umano ha una caratteristica importante: ci vogliono circa quindici sedici anni affinché un individuo sia completamente sviluppato; questo, almeno, in una società semplice come in un villaggio primitivo. Da noi, in una società complessa un ragazzo – anche se a quindici sedici anni è già fisicamente sviluppato – ha ancora molte cose da imparare e, indicativamente, oggi si dice che l’adolescenza finisce verso il mettere su casa. In una società intermedia, come ad esempio, l’Europa di cento o più anni fa, questo mediamente avveniva attorno ai ventidue ventitre anni. Oggi, qui da noi, avviene mediamente dopo i trent’anni.

Questo, significa che mentre centinaia di migliaia di anni di selezione naturale hanno potuto fornirci gli strumenti fisici e psichici adeguati per rispondere naturalmente ai passaggi evolutivi fino ai sedici anni, per gli anni successivi dobbiamo arrangiarci; dopo la natura arriva la cultura. Questo arrangiarsi fino a qualche decennio fa significava ripetere, magari con lievi aggiustamenti, quanto fatto dai propri genitori, di generazione in generazione. La limitata possibilità di spostamenti e la stabilità dei valori e delle gerarchie socioculturali lo permetteva; la mobilità sociale era abbastanza ridotta ed il figlio del falegname avrebbe fatto il falegname, il figlio del commerciante avrebbe fatto il commerciante e così via.

Oggi, invece, la cosa è un po’ più complicata, i grossi cambiamenti sociali e culturali degli ultimi decenni rendono alquanto improbabile poter trasferire direttamente ai propri figli le competenze acquisite dalle nostre generazioni precedenti, abbiamo a che fare con il nuovo che, a suo tempo, magari abbiamo un po’ intravisto ma è nuovo e richiede nuovi aggiustamenti del tiro. Per l’adulto che deve essere guida e freno dell’adolescente prorompente, oggi, può essere un po’ più complicato di ieri.

Negli anni precedenti l’adolescenza, genitori ed educatori hanno avuto la possibilità di “programmare” l’individuo in crescita; cioè educare e insegnargli i valori, gli atteggiamenti ritenuti validi. Questo processo si realizza sia attraverso l’insegnamento diretto, sia attraverso l’esempio del proprio comportamento. Nella fase dell’adolescenza il processo di “programmazione” esaurisce la propria funzione e inizia il processo di “rodaggio”. Questo significa che a questo punto l’individuo comincia a sperimentare nel mondo esterno i modelli appresi precedentemente e a confrontarne l’efficacia rispetto ad altri.

Nell’attuare questa sperimentazione, il ragazzo non vuole l’adulto tra i piedi, vuole provare a fare da solo, casomai sarà lui a tornare sui suoi passi, più o meno critico o riconoscente, e a chiedere ragguagli rispetto ai modelli appresi. Solo alla fine di questa sperimentazione si consoliderà la struttura della personalità e il carattere della persona.

Quanto sopra significa che in un mondo un po’ cambiato l’adolescente prova a vedere se quanto da noi adulti appreso funziona e, poi, ce lo verrà a dire a modo suo. Per genitori ed educatori è un vero esame, e non ci sono scappatoie.

L’aspetto educativo

In passato, pertanto, i ruoli genitoriali erano abbastanza ben definiti: per essere una buona madre e un buon padre era sufficiente ripetere più o meno quanto appreso dai propri genitori.

I cambiamenti sociali, culturali ed economici che hanno investito la nostra realtà comportano l’impossibilità a riproporre pari pari quanto appreso dai propri genitori. Ogni genitore, ma anche ogni educatore che accetti di assumersi la responsabilità che tale ruolo comporta, oggi più di ieri, deve accettare l’idea di mettersi in gioco in prima persona e proporsi all’individuo in crescita. Questo evitando di arroccarsi nel ruolo del genitore amico, del genitore autoritario o di chi ha già fatto abbastanza guadagnando molto, ecc.

Ora, se prendiamo in considerazione i tre punti evidenziati quando si parlava degli stadi evolutivi, possiamo facilmente dedurre che un genitore, se ci tiene a che il proprio figlio o figlia possa accedere adeguatamente al mondo adulto, riducendo al minimo le possibilità di tragici epiloghi, non può esimersi dall’assumersi la responsabilità di:

1. Accogliere le richieste evolutive che spingono ad allargare il raggio di autonomia e di esplorazione, spaziale, temporale ed esperienziale, senza per questo abbandonarlo a se stesso. Risulta, infatti, importante avviarsi nell’esplorazione con la benedizione del padre che resta un riferimento in caso di bisogno e, soprattutto, un riferimento affettivo vivo e presente in testa. Due sono gli errori tipici a questo riguardo: il genitore ansioso che blocca l’evoluzione; il genitore che la stimola eccessivamente provocando precocità e pseudo autonomia.

2. Saper capire quando il figlio è pronto e chiede ed anche stimolarlo alla curiosità. Da questo punto di vista è giusto trasmettere al figlio l’idea che è bello uscire con gli amici, divertirsi ed esplorare il mondo che non è area del male e del pericolo. Fuori non c’è solo un mondo ostile, ma tutto un mondo da scoprire in cui si può partecipare sia nella dimensione del goderne sia nella dimensione costruttiva.

3. Saper dare dei limiti. È molto bella a questo proposito la storia di Cenerentola; Cenerentola desiderava molto andare al ballo del principe, inebriarsi nel ballo ed essere le più bella di tutte, la preferita. La Fata l’accontentò perché le voleva bene e la considerava in grado di andarci; ma c’era un ma: a mezzanotte doveva rientrare; la magia, comunque sarebbe finita. La grande fiducia e riconoscenza verso la Fata implicò che Cenerentola a mezzanotte se ne andasse, pur sentendo prorompente l’impulso a restare e continuare a godere della serata al palazzo, bella tra le belle. Proprio il conflitto tra le due potenti forze, tra l’andare ed il restare, fece sì che perdesse la scarpetta, provocando il lieto epilogo che tutti sappiamo.

Quali siano i limiti che è giusto dare può variare molto in base all’età e alla cultura di appartenenza, ma è certo che il genitore deve accettare l’ansia dell’uscita del figlio ed essere presente in lui e attorno a lui. Concretamente il genitore deve accettare di sentire le tensioni emotive, positive e negative, le paure e le speranze, le vittorie e le sconfitte del figlio rendendolo partecipe, pensando con lui e per lui.

Proprio questa presenza adulta che accetta l’incombenza di sentire e di pensare assieme, di fronte a nuove ed inedite situazioni di vita, rappresenterà il nucleo dei modelli interiorizzati attorno cui si strutturerà la personalità. È ovvio che fare questo implica rivivere anche le proprie paure ed i propri limiti di genitore. Ciò implica che un genitore deve avere il coraggio di essere presente anche quando non sa bene come comportarsi e teme di sbagliare; per questo genitori ed educatori dovrebbero sempre coltivare e migliorare se stessi.

Sarebbe, infine, sbagliato un atteggiamento rinunciatario che porterebbe il figlio nella brutta situazione di dover scegliere di fronte a situazioni in cui anche i genitori si defilano creando terreno fertile per l’idealizzazione di surrogati non sempre ottimali.

Giuseppe Cesa

psicologo – psicoterapeuta

 

 

 

 

 

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