Centro di gravità permanente” – La nascita di una molteplicità di sub-culture

Centro di gravità permanente”

 

La nascita di una molteplicità di sub-culture

 

Autore: Giuseppe Cesa

 

 

Durante il recente festival della letteratura di Mantova ho avuto l’occasione di seguire un evento del prof. Massimo Ammaniti.

In questo incontro parlava dei giovani, gli adolescenti, e da esperto qual è ha spaziato molto sul tema ed è stato un piacere risentirlo. Durante la sua interessante presentazione, ad un certo punto, ha sottolineato come il termine adolescenza e tutto il discorso sull’adolescenza stessa abbia preso piede negli Stati Uniti nel dopo guerra.

In Europa ed in altre culture più semplici (vedi le ricerche di Margaret Mead a Bali) il periodo della cosiddetta adolescenza scivolava via relativamente tranquillo con giovani che transitavano verso i modelli adulti stabili e predefiniti della rispettiva realtà socioculturale.

A quei tempi gli Usa (soltanto in seguito i paesi europei e poi altri) si trovavano di fronte ad un’evoluzione socio economica particolare, accentuata anche per la presenza di forti flussi migratori. In questa realtà in cambiamento e multietnica i “vecchi” modelli perdevano la loro pregnanza e la loro attrattiva, ma soprattutto non risultavano più funzionali nel processo di inserimento nel mondo adulto.

In una simile fase prendeva piede la cultura e l’identità giovanile non più come area di passaggio per aspirare a… ma come area identitaria in sé, in cui essere in un certo modo o, meglio, in certi modi: al plurale, visto il contemporaneo proliferare di diverse subculture.

Si è assistito, quindi, alla formazione di culture alternative per cui il giovane – più che avere come modello della sua crescita l’adulto – si pone in modo critico verso quest’ultimo e si rivolge a modelli alternativi disponibili che non necessariamente perseguono gli stessi valori e i medesimi obiettivi. E qui mi fermo con il riferimento al prof. Ammaniti.

Il modello di riferimento come “baricentro” della persona in via di sviluppo

In questa condizione di pluralità possono trovarsi affiancati modelli di riferimento con spessori diversi, spessori non sempre subito riconoscibili. Questo porta soprattutto gli individui in sviluppo, ma non solo loro, a fare i conti con la relatività della varietà delle impostazioni oltre che con la possibilità di un fluido passaggio dall’una all’altra.

Eppure, già qualche decennio fa il cantante Gianfranco Battiato, che non era certo un bigotto, cantava “… cerco un centro di gravità permanente …”

La realtà potrà anche apparirci fluida, relativa e, molto probabilmente, anche lo è. Questo, però, a lungo è insostenibile per la nostra mente che progressivamente tenderà ad adagiarsi su un “centro di gravità permanente” strutturatosi prima della “baraonda”.

Un prima, però, non obbligatoriamente solo in senso temporale ma, necessariamente, anche strutturale.

Quel “centro di gravità permanente” si coagula ad un livello strutturale antecedente la parola, la predica, il discorso logico (anche se multimediale), e così via. Questo processo di strutturazione, come ha ampiamente dimostrato la psicologia dello sviluppo, è operativo già nella fase embrionale dello sviluppo umano. Si inizia con la percezione e interpretazione di sensazioni fisiche, corporee via via sempre più complesse che gradualmente portano anche alla relazionalità e, su su, fino alla Persona nella sua completezza.

In questo percorso evolutivo la espressione verbale si configura verso i due anni (anche se ancora rudimentale) e – seppur sviluppandosi grazie alla maturazione di un substrato neurologico simile per tutti – ha le sue radici in una storia con una serie di significati ed interpretazioni unici e personali basata su una molteplicità di percezioni. In parole semplici, parliamo della funzione formativa dell’esempio, nella sua forma più completa sia in termini di profondità che di estensione.

Certamente, non sta scritto da nessuna parte che la strutturazione realizzata sull’esempio che un genitore e/o un educatore dà sia la proposta migliore e più valida, ma è certamente la cosa più importante che viene trasmessa.

Ed è giusto saperlo perché, nel bene e nel male, sarà il fulcro della persona in crescita. Ogni adulto, nel momento in cui, a vario titolo, si trova nella posizione di riferimento per un individuo in crescita dovrebbe ricordarselo.

Essere di riferimento non è solo un onore ma anche e soprattutto una grande responsabilità. Se quanto sopra viene – più o meno consciamente – dimenticato, diventa facile scivolare in quell’atteggiamento, che in Matteo 23:1-12 Gesù attribuisce ai farisei: quello di chi predica bene e razzola male

 

 

Giuseppe Cesa,

psicologo – psicoterapeuta 

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