Assegno divorzile e convivenza more uxorio dell’ex coniuge

 

Assegno divorzile e convivenza more uxorio dell’ex coniuge

 

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 6855, 3 aprile 2015.

Assegno divorzile e convivenza more uxorio dell’ex coniuge: una relazione stabile dopo il divorzio che da vita d una famiglia di fatto vera e propria fa perdere l’assegno di mantenimento.

Una relazione more uxorio rileva ai fini della determinazione dell’assegno a carico dell’ex coniuge nei limiti in cui tale relazione “incida sulla reale e concreta situazione economica della donna, risolvendosi in una condizione e fonte effettiva e non aleatoria di reddito.”

La Corte ha ribadito che il concetto di famiglia di fatto non consiste soltanto nel convivere come coniugi, ma indica prima di tutto una famiglia, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e di sviluppo della personalità di ogni componente e di educazione ed istruzione dei figli. Ove tale convivenza assuma i connotati di stabilità e di continuità ed i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita in comune, si ha una vera e propria famiglia di fatto. A quel punto, il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner, non può che venire meno di fronte all’esistenza di una vera e propria famiglia, ancorché di fatto. Si rescinde così ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e con ciò ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile.

Per i giudici della Suprema Corte, infatti, «il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale non può che venir meno di fronte all’esistenza di una famiglia, ancorché di fatto». E ciò perché, nel caso di una convivenza stabile e continuativa, i partner danno vita pur sempre a un “progetto” e a un “modello” di vita in comune «analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio», e cioè a un “progetto” di «arricchimento e potenziamento reciproco della personalità dei conviventi» e di «trasmissione di valori educativi ai figli», un “progetto” di vita in comune in forza del quale «la mera convivenza si trasforma in una vera e propria famiglia di fatto».

La sentenza afferma che «nell’ambito della giurisprudenza… ormai nettamente maggioritaria, talora si è affermato… che il fenomeno andrebbe spiegato con una sorta di “quiescenza” del diritto all’assegno, che potrebbe riproporsi, in caso di rottura della convivenza tra i familiari di fatto, com’è noto effettuabile ad nutum, ed in assenza di una normativa specifica, ancora estranea al nostro ordinamento, che non prevede garanzia alcuna per l’ex familiare, di fatto, salvo eventuali accordi economici stipulati tra i conviventi stessi».

La Suprema Corte specifica però, che «riesaminandosi la questione, sembra… assai più coerente, rispetto alle premesse sopra indicate, affermare che una famiglia di fatto, espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli (ciò che dovrebbe escludere ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge) dovrebbe essere necessariamente caratterizzata dall’assunzione piena di un rischio, in relazione alle vicende successive della famiglia di fatto, mettendosi in conto la possibilità di una cessazione del rapporto tra conviventi (ferma restando evidentemente la permanenza di ogni obbligo verso i figli)».

Camera minorile di Perugia             11 aprile 2015

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