NewsUCIPEM n. 710 – 15 luglio 2018

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02 ABORTO VOLONTARIO Costretta ad abortire: può chiedere i danni?

03 ADOZIONE NAZIONALE Ultima ratio.

04 ADOZIONI INTERNAZIONALI Caos adozioni: presidente è Conte, ma le deleghe a Fontana.

05 Laura Laera: «l’adozione funziona ma da sola non basta più».

06 AFFIDO CONDIVISO La famiglia si scioglie: quale migliore soluzione per i figli?

07 Le ragioni di un intervento normativo.

09 ASSEGNO DI MANTENIMENTOSu quali parametri viene calcolato.

11 ASSEGNO DIVORZILE Assegno di divorzio va calcolato in base a criteri compositi.

12Rimborso dell’assegno se l’ex si risposa.

13 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 22, 13 luglio 2018.

14 CHIESA CATTOLICA Il primato del sacramento sull’etica e la intercomunione.

15 Farrell: la Chiesa non vuole “clericalizzare” il laicato.

15 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIA Le ultime decisioni del Consiglio Direttivo dell’AICCeF.

16 La resilienza nella e dell’adolescenza.

19 DALLA NAVATA 15° Domenica – Anno B –15 luglio 2018.

19 La vita cristiana. Commento di Enzo Bianchi.

20 DEMOGRAFIA Bomba demografica in arrivo, 20 milioni di anziani nel 2050.

21 Popolazione: in Europa sempre meno culle.

22 ENTI TERZO SETTORE-NON PROFIT Modifiche statutarie.

22 FAMIGLIA A Barzio l’XI convegno sulla famiglia.

23 FORUM ASS.ni FAMILIARI Crisi demografica senza #pattoXnatalità il welfare italiano esplode.

23 De Palo: “Le famiglie meritano giustizia, stop alle elemosine”.

24 GOVERNO Deleghe al ministro Fontana: fisco e natalità, disabilità.

25 HUMANÆ VITÆ Il primo testo dell’enciclica fu bocciato da Paolo VI.

26 PROCREAZIONE ASSISTITA Ministero della Salute, “cresce in Italia la fecondazione eterologa”.

26 Aumento fecondazione eterologa spia di società individualistica.

27La relazione omette informazioni su garanzia diritti del concepito.

27 SESSUOLOGIA Per Oms dipendenza da sesso è un disordine mentale.

28 SINODO SUI GIOVANI Francesco nomina i Presidenti delegati.

Davide e Salomone, invitati speciali al sinodo sui giovani.

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ABORTO VOLONTARIO

Costretta ad abortire: può chiedere i danni?

Corte di Cassazione, sentenza n. 31732, 12 luglio 2018.

Donna sedotta e abbandonata: rimasta incinta l’uomo le chiede di abortire e lei accetta. Ma per il danno psicologico e la depressione non spetta risarcimento.

La storia si ripete. Se non con la stessa persona, con il genere umano. Dopo una storia di sesso durata qualche mese, lui la mette incinta e poi le fa il pressing psicologico per abortire. Lei accetta, più che altro costretta dalle circostanze: il suo amante infatti è sposato e già con figli a carico. Non potrebbe mai aiutarla a mantenere un ulteriore bambino. E lei sarebbe costretta a fare la ragazza-madre.

Ma non ha valutato le conseguenze dell’interruzione di gravidanza: depressione, crisi di panico e di abbandono. Pianti e sensi di colpa. Ora però è arrivato il momento di pareggiare i conti: chiedergli il risarcimento per la sofferenza interiore conseguente a una scelta sostanzialmente obbligata e non spontanea.

Se agisse in tribunale, troverebbe un giudice che le dia ragione? Se la donna viene costretta ad abortire può chiedere i danni? La questione è stata trattata dalla Cassazione con una sentenza di poche ore fa.

Induzione all’aborto: è reato? In verità la pronuncia in commento si sofferma su altri aspetti: quelli conseguenti ai rischi penali se lei minaccia l’ex amante di svelare tutto alla moglie in cambio di soldi. Tuttavia, incidentalmente, i giudici supremi affrontano anche l’ulteriore problema della tutela della donna che ha interrotto la gravidanza sotto la pressione psicologica dell’uomo.

La Cassazione ritiene che la scelta di abortire, a meno che non sia il frutto di una violenza fisica o attuata con il ricatto, rientri nelle capacità di autodeterminazione del soggetto. Se una persona è capace di intendere e volere sa bene a cosa va incontro attuando l’interruzione volontaria della gravidanza.

La legge [Art. 18 Legge n. 194/1978] è chiara nel definire quando l’induzione all’aborto è reato: «Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno. La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna. Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l’acceleramento del parto».

Quindi se non c’è uno di questi comportamenti violenti o minacciosi, la pressione fatta sulla donna di abortire non può essere punita né penalmente né dalla legge civile.

L’uomo può essere costretto a risarcire il danno da aborto? Detto ciò, se l’uomo dovesse impegnarsi, prima dell’intervento del medico sulla gestante, a garantire un’assistenza economica per le spese dell’aborto e poi non dovesse mantenere la parola data, non potrebbe essere costretto a farlo neanche da un giudice. Difatti, egli corrisponderebbe la somma per adempiere ad un proprio dovere morale.

Pertanto, la donna che abbia abortito, spinta dall’amante, e poi da questi abbandonata e lasciata senza il contributo economico promesso, non avrebbe armi per difendersi neanche in tribunale.

Chiariamo un principio insito nel nostro ordinamento: ci sono determinate obbligazioni (cosiddette «obbligazioni naturali») [Art. 2034 cod. civ.] che sono, nei costumi sociali, frutto di doveri morali o comunque di impegni assunti spontaneamente, senza che vi sia una legge a prescriverne l’adempimento. Ad esempio non esiste una norma che impone di pagare i debiti di gioco. Chi lo fa, sta solo rispettando la parola data. Ma il vincitore non potrebbe mai agire contro di lui davanti al giudice per ottenere la vincita; così come, una volta pagata la somma, non si può andare in un tribunale per ottenerne la restituzione, neanche se si riuscisse a dimostrare che l’altro giocatore ha barato.

Si può costringere un uomo a riconoscere il figlio? Altro aspetto quasi sempre connesso all’aborto è a chi spetti la scelta. Sul punto non sembrano esserci molti contrasti: l’ultima parola non può che essere della donna.

Ma la madre può costringere il padre naturale a riconoscere come proprio il figlio? La risposta è sì, anche se spesso la si ignora.

L’obbligo di riconoscere un figlio discende dalla legge: l’uomo non può rifiutarsi e, se lo fa, può essere trascinato in tribunale sia dall’ex compagna che dal figlio divenuto maggiorenne.

Sarà allora il giudice, dopo aver ordinato l’esame del dna, a verificare e dichiarare il rapporto di paternità. E se l’uomo si rifiuta senza una giusta causa di sottoporsi all’esame del sangue, l’accertamento è già scontato perché tale comportamento viene considerato un valido elemento per desumere la paternità.

Redazione La Legge per tutti 12 luglio 2018

www.laleggepertutti.it/221142_costretta-ad-abortire-puo-chiedere-i-danni

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ADOZIONE NAZIONALE

Ultima ratio

L’adozione del minore nella giurisprudenza 2018. Per i giudici l’adozione è la soluzione più estrema per tutelare il minore: se per lui non è pregiudizievole è necessario recuperare il rapporto con la famiglia.

Al padre che vuole essere reintegrato nella responsabilità genitoriale deve essere consentito dimostrare l’assenza dello stato di abbandono e i parenti non possono essere esclusi a priori se prima non c’è un accompagnamento pubblico di supporto. I servizi sociali infatti non devono limitarsi a monitorare il comportamento di genitori e parenti, ma devono fornire un aiuto concreto. Il discorso cambia quando i nonni che richiedono l’affidamento del nipote non dimostrino di essersi attivati tempestivamente, o quando i genitori tossicodipendenti tengano un atteggiamento irresponsabile da cui non è possibile desumere alcuna progettualità per la vita della bambina. L’adozione mite infine è risolutiva quando i tempi necessari a verificare un possibile rientro del minore in famiglia non gli assicurino la stabilità di cui necessita.

L’adozione deve essere l’ultima soluzione. L’art. 8 della legge n. 184 del 4 maggio 1983 prevede che sono dichiarati in stato di adottabilità i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono in quanto privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti, purché la mancanza di cura non sia dovuta a causa di forza maggiore transitorie. Non rappresenta una causa di forza maggiore il rifiuto ingiustificato da parte dei genitori e dei parenti delle misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali. Sussiste una situazione di abbandono anche quando i minori si trovano presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità familiari o siano in affidamento familiare.

Dalla norma emerge che l’adozione è l’ultimo stadio di un percorso lungo e complesso che interviene quando il minore si trova in stato di abbandono da parte di genitori e parenti, a meno che la mancanza di assistenza non derivi da una causa di forza maggiore transitoria. La giurisprudenza conferma la lettera della legge attraverso una serie di pronunce da cui si evince che si deve sempre tentare di recuperare il rapporto con la famiglia e i famigliari di origine, sempre a condizione che questo non sia pregiudizievole per il minore.

Reintegra responsabilità genitoriale per inesistenza stato di abbandono. Secondo la Cassazione n. 16060/2018 il genitore decaduto dalla potestà genitoriale, può opporsi alla dichiarazione di adottabilità del figlio, impugnando la dichiarazione dello stato di abbandono purché ne dimostri l’effettiva inesistenza e tentando di recuperare in seguito il rapporto con il minore. Nulla impedisce infatti, in presenza dei presupposti richiesti dalla legge, di chiedere la reintegrazione della responsabilità genitoriale.

I familiari non possono essere esclusi. Secondo la Cassazione n. 3915/2018 ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, se i genitori sono privi delle capacità genitoriali, il giudizio sui parenti che hanno rapporti significativi con il minore, deve essere effettuato solo in base a dati oggettivi, ma anche previa osservazione e disponibilità rilevate dai servizi sociali. Il caso riguarda una famiglia in cui il padre del minore era ignoto, mentre la madre era affetta da insufficienza mentale. I nonni non risultavano adeguati a prendersi cura del piccolo, lo zio ventiquattrenne invece, che aveva presentato domanda, era stato escluso a causa della giovane età e degli impegni lavorativi. La Suprema Corte invece accoglie il ricorso dello zio perché il giudizio di inidoneità non aveva neppure valutato la possibilità di supportare e accompagnare lo zio in un percorso pubblico.

I nonni devono avere rapporti significativi per l’affidamento. I nonni materni non possono rappresentare figure parentali idonee a cui affidare il nipote se negli anni non hanno sviluppato un rapporto significativo con il minore per loro volontà. Per la Cassazione n. 9021/2018, per poter affidare il minore ai nonni, in una situazione di persistente abbandono, la mancanza di rapporti deve essere incolpevole e questi devono aver richiesto l’affido in tempi ragionevolmente tempestivi, se è stato allontanato da loro subito dopo la nascita.

Adozione mite quando è impossibile l’affidamento preadottivo. L’adozione prevista in casi particolari, come sancito dall’art. 44, lett. d), L. n. 184/1983 è considerata una clausola di chiusura del sistema che mira a salvaguardare la continuità affettiva ed educativa tra adottante e adottando, quando non si può procedere all’affidamento preadottivo, intendendo questo impedimento come un’impossibilità “di diritto” e non di fatto di procedere all’affidamento preadottivo. La Cassazione 9373/2018 ritiene infatti che i tempi necessari a verificare la possibilità di rientro del bambino nella famiglia di origine, siano inconciliabili con le sue esigenze di stabilità.

Adozione se genitori tossicodipendenti e irresponsabili. Secondo la Cassazione n. 7558/2018 è adottabile la figlia minore di genitori tossicodipendenti e responsabili di reati penali, che non dimostrano una progettualità consona alla crescita della bambina. Il padre si è dimostrato ostile nei confronti della madre della bambina (inadeguata, a suo giudizio, a crescere la bambina) e dei servizi sociali, responsabili, secondo lui, di non averlo aiutato. La madre invece viveva in un luogo inadeguato alle esigenze di una bambina ed era seguita dai servizi sociali.

Minore adottabile dopo tutti i tentativi. La Cassazione n. 7559/2018 rileva come nel caso sottoposto al suo esame i servizi sociali si sono limitati a un’attività di mero controllo, senza la proposta di un aiuto concreto. Secondo la Suprema Corte invece per giungere alla dichiarazione di adottabilità è necessario dimostrare un tentativo concreto e costante di aiuto al genitore in difficoltà, di modo che l’adottabilità sia la soluzione estrema di tutela del minore.

Annamaria Villafrate news letter Studio Cataldi 9 luglio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/31075-adozione-ultima-ratio.asp

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Caos adozioni: presidente è Conte, ma le deleghe a Fontana

Segnali confusi dal governo: il premier resta presidente della Commissione (Cai) ma le deleghe sono andate al ministro della Famiglia. Gli enti: ma cosa significa? Intanto i problemi rimangono

Nuovo governo, nuova politica anche per le adozioni? Chi può dirlo? Dopo un mese e mezzo, la nuova maggioranza ha affrontato il tema solo per ribadire una legge esistente e per aggiungere una ‘postilla’ che sembra pensata per fare confusione.

Il decreto comparso l’altro giorno in Gazzetta Ufficiale conferma che al vertice della Commissione adozioni internazionali (Cai) rimane il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E questo è proprio quanto previsto dalla legge. Peccato che nello stesso documento si aggiunga che il ministro per la famiglia e le disabilità (Lorenzo Fontana), «è delegato ad esercitare funzioni di indirizzo, di coordinamento e di promozione di iniziative in materia di adozioni di minori italiani e stranieri».

Ma come è possibile? Che significato attribuire a deleghe, comunque vaghe, che si sovrappongono o si affiancano a una presidenza peraltro confermata? Gli enti hanno chiesto conto di questo inedito duopolio. Tra gli altri Marco Griffini, presidente di Aibi, ha fatto notare il rischio sovrapposizione: «Chi avrà in mano, di fatto, la regia delle operazioni e il controllo delle attività della Cai, Fontana o Conte? Non vorremmo dover rivivere neppure in parte il calvario patito negli ultimi cinque anni – ha dichiarato Griffini – con l’assenza di un presidente politico della Commissione che creda davvero nella bellezza possibile della scelta adottiva, e sia perciò in grado di fornire da subito una spinta propulsiva all’intero sistema».

Da un anno a questa parte il rischio è stato scongiurato grazie all’impegno di Laura Laera, già presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, nominata nel maggio 2017 alla vicepresidenza della Commissione. Di fatto il vertice operativo del nostro sistema delle adozioni. Dopo oltre tre anni di paralisi – assenza di riunioni, situazione amministrativa confusa, contatti con gli enti e con le famiglie sospesi, funzionari e dirigenti non rinnovati – Laera ha rimesso in piedi la struttura, ha preso in esame le istanze pendenti (oltre 150), ha stabilito nuovi contatti internazionali, ha concluso una convenzione con la Guardia di finanza per la verifica delle attività economiche degli enti, ha riaperto il canale dei rimborsi alle famiglie, ha attivato il fascicolo via web per ‘l’adozione trasparente’. E dal settembre 2017 la Cai si riunisce in media ogni due mesi.

Ma non basta ancora. Serve al più presto un momento di verifica collettiva che mette intorno allo stesso tavolo addetti ai lavori, enti, famiglie, esperti. Obiettivo quello di ridare significato e prospettive a un sistema che, dopo il crollo delle adozioni e in un mutato quadro internazionale, non potrà più essere come quello di prima ma non potrà neppure essere condannato all’insignificanza. Anche perché, al di là della situazione italiana, dai bambini senza famiglia si leva ancora a livello mondiale un grido d’aiuto di dimensioni vastissime.

Secondo i dati dell’International Social Service sarebbero quasi tre milioni i minorenni costretti a vivere negli istituti e addirittura 140 milioni (dati Unicef) i bambini senza genitori. Qual è stata la risposta delle società del benessere a questo bisogno quasi infinito? Nel 2016, ultimo dato disponibile, sono stati adottati in tutto il mondo solo 11mila bambini, di cui oltre 5mila negli Stati Uniti e 1.872 in Italia. Pochi, certo, ma bisogna considerare che negli ultimi dieci anni il crollo della adozioni è stato del 75 per cento. Evidente allora l’urgenza di ripensare il sistema degli aiuti. «Ho pensato di organizzare il prossimo 19 ottobre un convegno sulla sostenibilità del sistema adozioni internazionali, anche alla luce dell’esigenza di trovare nuovi strumenti per l’accoglienza dei minori stranieri in stato di abbandono».

La bozza del convegno è stata consegnata proprio ieri alla segreteria della presidenza del Consiglio. Nei prossimi giorni l’annuncio ufficiale. «In questo quadro profondamente mutato – riprende Laura Laera – è evidente che il sistema delle adozioni da solo non può reggere l’impatto. Per andare incontro alle esigenze dei Paesi di provenienza occorre avviare piani di cooperazione internazionali e, allo stesso tempo, coordinare in modo più efficace i nostri interventi. Bisogna altresì pensare a nuovi strumenti di accoglienza da affiancare all’adozione internazionale. Anche le nostre famiglie sono cambiate e da vari Paesi di provenienza arrivano quasi unicamente bambini special needs. Occorre accompagnare diversamente i genitori adottivi con un’attenzione più costante al post-adozione». Un quadro complesso insomma, con tanti problemi che si intrecciano e che esigono una chiarezza di intenzioni anche da parte della politica. Il tempo perso è già stato tanto. Vietato indugiare ancora.

Al primo posto l’Etiopia con 33.292 beneficiari, poi nell’ordine: Cambogia (22.011), India (18.483), Burkina Faso (8.630), Costa d’Avorio (7.237), Italia (5.067), Tailandia (4.374), Vietnam (1.673), Nepal (509), Afghanistan (300), Colombia (16) e Cina (4). Un totale di 101.596 individui, di cui 34.514 bambini, beneficiari dei servizi offerti nel 2017 da Ciai (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) che quest’anno festeggia il 50° anniversario dalla sua costituzione. Sono alcuni dei dati più significativi presentati ieri a Milano in occasione della presentazione ufficiale del bilancio di impatto sociale Ciai 2017, che assume in questa importante ricorrenza un valore ancora maggiore, perché è soprattutto un bilancio di mezzo secolo di impegno concreto. Dal 1968 infatti Ciai svolge le proprie attività in 25 Paesi del mondo, garantendo protezione, inclusione sociale e benessere a un milione di persone, di cui la metà bambini. Fra questi, anche i 3.115 che hanno trovato una famiglia in Italia attraverso l’adozione internazionale. «In questi primi 50 anni di attività – osserva Paola Crestani, presidente Ciai – non abbiamo mai avuto timore di cambiare per riuscire a fare meglio il nostro lavoro ma siamo sempre stati fedeli ai nostri valori. Crediamo che la diversità sia una ricchezza per tutti e che l’accoglienza sia un valore fondamentale, sempre».

Luciano Moia Avvenire 13 luglio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/adozioni-allarme-infinito-dal-governo-segnali-confusi

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-situazione-grave-avvenire-intervista-laera-cai-griffini-aibi

 

Laura Laera: «l’adozione funziona ma da sola non basta più»

Sul numero di VITA di luglio, interamente dedicato alle adozioni internazionali, abbiamo intervistato la vicepresidente della CAI: «volenti o nolenti le adozioni internazionali sono profondamente cambiate e il nostro sistema deve farci i conti. Dobbiamo avviare un confronto con i Paesi di provenienza per capire con quali altri strumenti affiancare l’adozione per tutelare l’infanzia abbandonata»

L’adozione internazionale? È «un ottimo strumento, ma quello che dobbiamo chiederci oggi è se da sola basta o se invece occorre mettere a disposizione anche altri strumenti di accoglienza. L’adozione internazionale si sta modificando, non la stiamo modificando noi: che ci piaccia o no è cambiata e credo che da sola non basti più a risolvere il problema dell’infanzia abbandonata nel mondo». È questa la pista di lavoro per il futuro di Laura Laera, che dal 15 giugno 2017 è vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali. Magistrato dal 1978, è stata presidente del Tribunale per i Minorenni di Firenze, dopo aver lavorato per quasi 20 anni al Tribunale per i Minorenni di Milano, Laera in questa intervista accetta di confrontarsi con tutti i nodi più problematici delle adozioni, spingendo però con forza lo sguardo in avanti.

Qual è il bilancio di questo suo primo anno alla Cai? Sono soddisfatta, abbiamo fatto tante cose. Ho trovato una Commissione che non si riuniva da anni e noi da settembre l’abbiamo riunita almeno una volta ogni due mesi. C’era una situazione amministrativa e contabile confusa e ferma, con fornitori non pagati da anni. Abbiamo riavviato l’operatività della Commissione, stiamo facendo verifiche sugli Enti autorizzati, partendo in alcuni casi da segnalazioni delle famiglie e in altri casi da considerazioni sui numeri.

Quali numeri? Ci sono 7-8 enti con zero adozioni concluse negli ultimi anni e diverse famiglie in carico: stiamo verificando le loro prospettive. D’altra parte ci sono anche enti con un numero sproporzionato di incarichi rispetto alle adozioni concluse: bisogna che questi enti quantomeno parlino con chiarezza alle coppie, dicendo loro che resteranno in attesa per quattro anni. Da un paio di mesi inoltre abbiamo stipulato una convenzione con la Guardia di Finanza, che sta dando i suoi frutti. Stiamo provvedendo alla chiusura di qualche ente, altri stanno iniziando a fare fusioni. Avevamo 150 istanze pendenti da parte di enti che chiedevano nuovi accrediti o di poter lavorare in nuovi Paesi; le abbiamo esaminate tutte. Abbiamo concluso i rimborsi del 2011 in soli tre mesi e siamo riusciti ad avere il nuovo DPCM per i rimborsi per gli anni 2012-2017, abbiamo aperto una Linea CAI interna, attivato il fascicolo “adozione trasparente”.

Per gli enti con un numero di mandati molto elevato rispetto alle adozioni che di fatto riescono a concludere, a che soluzioni pensa? Ritiene opportuno che chi si trova in queste condizioni non prenda nuovi mandati? In casi estremi si potrebbe arrivare anche a mettere un tetto ai mandati, ma devo dire che gli stessi enti messi di fronte ai problemi si stanno attivando. Non sono una distruttrice, prima di stoppare l’attività di un ente diamo loro il tempo di riorganizzarsi! Alcuni enti si stanno muovendo per mettere in comune attività e abbattere i costi, ad esempio con le fusioni. Speriamo anche di avere qualche nuovo Paese che si apre: il mio sforzo è per controllare e regolare ma allo stesso tempo per aprire altre possibilità.

Alla recente conferenza internazionale di EurAdopt lei ha detto che la trasparenza e la legalità delle adozioni non sono un’emergenza di oggi bensì un tema centrale sempre. Eppure è innegabile che in questi ultimi anni la questione sia caldissima: lei può garantire alle famiglie che gli enti autorizzati oggi presenti nell’albo sono tutti affidabili e agiscono in modo trasparente? Le famiglie dalla CAI si aspettano una parola chiara. Garantire che tutti gli attori coinvolti nell’adozione internazionale si comportino correttamente, in particolare all’estero, è difficilissimo: per questo il fascicolo adozione trasparente è importante, così come la convenzione con la Guardia di Finanza. Soprattutto però prendiamo in considerazione con attenzione tutte le segnalazioni che arrivano dalle famiglie, che sono importantissime.

Sara De Carli Vita it 12 luglio 2018

www.vita.it/it/article/2018/07/11/laura-laera-ladozione-funziona-ma-da-sola-non-basta-piu/147556

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AFFIDO CONDIVISO

La famiglia si scioglie: quale migliore soluzione per i figli?

L’affidamento materialmente condiviso sembra offrire una migliore sistemazione alla famiglia divisa. Sul punto, soccorrono anche i dati delle altre nazioni che adottano il principio dell’affido condiviso. La Svezia è lo stato europeo con la maggiore percentuale di affidi in alternanza (40%, contro il 30% del Belgio e solo il 2% dell’Italia)

Se da un lato l’affidamento condiviso è la regola legale che disciplina l’affidamento dei figli dopo la cessazione della relazione affettiva e quindi della convivenza tra i genitori, in quanto – in teoria – dovrebbe garantire l’esercizio effettivo della responsabilità genitoriale da parte di entrambi gli adulti, con la partecipazione alla cura e all’educazione dei figli e infine con la necessità di prendere insieme le decisioni di maggiore interesse (ad esempio quelle relative alla scuola, alla salute e alle scelte educative), dall’altro, nella realtà di tutti i giorni, questa previsione viene spesso disattesa.

Nelle ipotesi di conflitto, in particolare, le decisioni dei giudici, “registrano” ancora tempi di frequentazione dei due genitori in misura spesso sbilanciata.

Per la Società Italiana Scienze Forensi, però, non ci sarebbero dubbi: l’affidamento materialmente condiviso (il cosiddetto physical joint custody) – che prevede tempi paritetici o equipollenti di frequentazione dei figli, non più di due terzi e non meno di un terzo del tempo con ciascun genitore – va preferito a quello in cui l’affidamento è delegato prevalentemente a un solo genitore. Secondo la S.I.S.F. “l’affidamento materialmente condiviso è da intendersi – come – la migliore realizzazione delle esigenze della prole di usufruire di una equilibrata relazione emotivo-relazionale con le due figure genitoriali”.

Del resto, come dimostra l’esperienza di alcuni paesi intracomunitari anche culturalmente vicini all’Italia, esso ridurrebbe le probabilità di perdere il contatto con un genitore dopo la separazione e favorirebbe la crescita armoniosa della prole. Ma non solo. Gli scienziati forensi, ribadiscono che l’affidamento con tempi che tendono all’equipollenza con ciascun genitore “permetterebbe anche una potenziale diminuzione della conflittualità all’interno della coppia genitoriale che si vedrebbe depauperata da tutte quelle motivazioni, a volte futili e strumentali, che alimentano, anche tramite denunce, l’impasse genitoriale”.

Insomma, l’affidamento materialmente condiviso restituirebbe una migliore sistemazione alla famiglia divisa e andrebbe pertanto favorito. Sul punto, soccorrono anche i dati delle altre nazioni che adottano il principio dell’affido condiviso. La Svezia è lo stato europeo con la maggiore percentuale di affidi in alternanza (40%, contro il 30% del Belgio e solo il 2% dell’Italia). Ma Paesi più vicini al nostro modo di vivere, come la Catalogna, hanno visto salire, in soli 5 anni, i numeri degli affidamenti materialmente condivisi dal 10 al 40%, lo stesso per Corte Valenciana, Baleari, Paesi Baschi. Infine, va considerata l’esperienza australiana che fornisce numeri positivi sulla riduzione della conflittualità grazie alla legge sull’affido materialmente condiviso (entrata in vigore nel 2006).

In Italia, lo scorso 4 marzo 2018, dopo un seminario in materia di separazione e affidamento dei figli, il Tribunale di Brindisi, per iniziativa della Presidente della sezione civile dott. Fausta Palazzo, ha varato e pubblicato sul relativo sito web uno schema di linee-guida che dovrebbe essere applicato nell’ambito delle controversie.

In queste linee guida si ripropongono principi fondamentali in materia di famiglia, molto spesso “abrogati” per prassi, quali – appunto – i tempi paritetici, il mantenimento diretto per capitoli di spesa e l’assegno solo in via subordinata, con funzione perequativa, nonché la pregnanza della mediazione familiare e infine l’ascolto del minore. Tali “Istruzioni per l’uso” varate dal Tribunale di Brindisi potranno quindi essere tenute in considerazione anche da tutte quelle “non più coppie” che intendono definire un affidamento condiviso dei figli.

I punti essenziali che il Tribunale di Brindisi si raccomanda di rispettare sono:

  • La residenza dei figli ha semplicemente valenza anagrafica, mancando qualsiasi differenza giuridicamente rilevante tra il genitore co-residente e l’altro;

  • La frequentazione dei genitori avverrà ispirandosi al principio che ciascun genitore dovrà partecipare alla quotidianità dei figli. Conseguentemente ai figli dovranno essere concesse pari opportunità di frequentare l’uno e l’altro genitore, in funzione delle loro esigenze, all’interno di un modello di frequentazione mediamente paritetico;

  • La casa familiare resta al proprietario senza possibilità di contestazioni, visto che la frequentazione è equilibrata e continuativa con entrambi i genitori;

  • Quanto al mantenimento, la forma privilegiata è quella diretta. L’assegno di mantenimento da versare all’altro genitore deve restare residuale, con valenza solo perequativa, e limitato ai casi in cui per l’abissale distanza delle risorse economiche non sia possibile compensare le differenze di contributo;

  • Le spese saranno divise in “prevedibili”, a carico per intero di uno dei genitori, e “imprevedibili” che saranno divise a momento in proporzione delle risorse;

  • Infine, dovrà essere incentivato il ricorso alla mediazione familiare nell’ipotesi di contrasti insorti successivamente.

Bisogna però considerare che questo non può assurgere a rigido schema generale. I bambini e le storie di vita sono diverse e bisogna rispettare le differenze.

Perché non pensare, come hanno fatto cinque tribunali d’Italia, all’idea proposta dal nostro studio dell’alternanza dei genitori nella casa familiare?

Così sarebbero rispettate le peculiarità dei singoli casi e delle vicende personali di ognuno, le differenze economiche, di reddito e di patrimonio e le effettive capacità personali di genitori e figli. Perché devono essere i figli a sobbarcarsi 4, 8 o 10 trasferimenti al mese, con bagaglio annesso, e non i genitori?

Andrea Gazzotti Studio Legale Bernardini de Pace 10 luglio 2018

www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/famiglia/2018/07/10/news/la_famiglia_si_scioglie_quale_migliore_soluzione_per_i_figli_-200853668/?ref=RHPPBT-VE-I0-C6-P10-S2.2-T1

 

Le ragioni di un intervento normativo

Legge 8 febbraio 2006 n. 54 ha introdotto il regime dell’affido condiviso in caso di separazione dei genitori come regola generale. Ciononostante, come dimostrano i dati ISTAT 2015, la giurisprudenza non sembra essere andata oltre al mero dato formale del regime di responsabilità genitoriale, in nulla modificandosi il resto delle modalità (tempi, regime di mantenimento) applicative. Un percorso interpretativo maggiormente rispondente al diritto alla bigenitorialità del minore è possibile già alla luce del quadro normativo vigente, anche se, attesi i risultati, appare auspicabile una riforma sistematica e coerente della materia anche a partire da una più corretta terminologia. 05 luglio 2018 – Salvatore Di Martino

 

Nonostante siano ormai trascorsi oltre dodici anni dall’approvazione della Legge 8 febbraio 2006 n. 54 in tema di affido dei figli in caso di separazione dei genitori, la questione può dirsi tutt’altro che pacificamente risolta. Con una recente ordinanza, il Tribunale di Potenza (Prima Sezione Civile ordinanza 18 maggio 2018) ha risolto una controversia in tema di affido di una minore, ricorrendo al criterio desueto della maternal preference, di cui non v’è traccia nella novella del 2006.

Per meglio comprendere quanto sia auspicabile un intervento del legislatore, vale la pena riassumere brevemente la vicenda.

Al termine di una convivenza da cui era nata una figlia, i genitori chiedono, tra le altre domande, l’affido congiunto della stessa con “collocazione” ognuno presso di sé e regolamentazione del “diritto di visita” dell’altro genitore e la sua condanna al pagamento di un assegno di mantenimento in favore del “collocatario”.

L’attività istruttoria, per quanto ne viene dato atto in motivazione, si limita alla semplice acquisizione di documenti.

Al termine di un’istruttoria così limitata, il Tribunale “tenuto conto della tenera età del minore” dispone l’affido condiviso mediante la “collocazione in via privilegiata presso la madre” e riconoscendo al padre una generica “facoltà di frequentazione” consistente in “visite” da concordarsi per modalità e durata con la madre fino al compimento del quarto anno e successivamente per due giorni a settimana senza pernottamento e due week-end con pernottamento al mese e durante le vacanze natalizie e pasquali e le ferie estive, ponendo altresì a suo carico il pagamento di un assegno mensile di € 350.

Criticità e possibilità di un percorso alternativo più corretto. La soluzione adottata appare poco soddisfacente e risulta opportuno formulare alcune considerazioni.

È indubbio che la peculiarità della vicenda sia rappresentata dal fatto che la minore abbia appena un anno di età. Questo elemento, in sé importante, non appare tuttavia idoneo a rendere condivisibile la decisione del giudice.

È vero certamente che il dato normativo si limita al mero riconoscimento del principio di bigenitorialità, ovvero del diritto del minore ad un rapporto stabile e continuativo con entrambi i genitori, senza alcuna concreta indicazione sulle modalità di attuazione di tale diritto.

L’età del minore in sé non può dunque costituire il criterio discretivo per determinare le modalità con cui l’esercizio della funzione genitoriale possa in concreto esplicarsi in relazione all’interesse del minore ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.

Senza con ciò voler fare della sociologia spicciola, è innegabile che all’interno delle famiglie moderne non si rinviene più quella divisione dei ruoli genitoriali che esisteva anche solo quindici o venti anni fa.

Il punto di partenza di un percorso alternativo è indubbiamente rappresentato dagli articoli 29 e 30 della Costituzione e dagli articoli 143 e 147 del codice civile, i cui contenuti sul piano della parità di diritti e doveri tra genitori sono noti.

Coerentemente con ciò, la Legge n. 54/2006 non contiene alcun elemento utile ad individuare una condizione “privilegiata” di un genitore rispetto all’altro.

E’ innegabile, dunque, come all’interno di tale perimetro normativo non si rinvengano elementi utili a giustificare una qualche differenza nelle modalità di esercizio della funzione genitoriale tra i genitori.

Il passaggio successivo è, evidentemente, rappresentato dall’articolo 337-ter codice civile, comma 1 che, com’è noto, riconosce il diritto del minore alla bigenitorialità ricavandolo direttamente dalla Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo del 1999 (ratificata con Legge 27 maggio 1991 n. 176).

Se, da un lato, l’articolo 8 della citata Convenzione garantisce il diritto del minore a “preservare le sue relazioni familiari”, dall’altro, il successivo articolo 9 ammette la possibilità di una separazione solo ove questa sia “necessaria nell’interesse preminente del fanciullo”.

Il diritto all’integrità delle relazioni familiari è dunque sganciato da qualunque soglia di età del minore ed ammette limitazioni solo in caso di necessità, ovvero laddove ricorra una condizione che non ammette alternative e che impone di sacrificare un interesse per salvaguardarne un altro ritenuto maggiormente meritevole di tutela.

Relazioni familiari la cui integrità, occorre pure ricordare, sono tutelate all’articolo 8 della CEDU che vieta ogni forma di “ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge”.

A fronte di un quadro normativo così strutturato appare evidente l’asfitticità della formula utilizzata dal Tribunale per motivare la scelta di ritenere “privilegiato” un genitore piuttosto che l’altro.

Altrettanto incomprensibile appare la scelta di fissare una soglia (compimento del quarto anno) a partire dalla quale il minore potrà pernottare presso il padre. Viene infatti da chiedersi perché ciò possa avvenire a partire dal compimento del quarto anno e non del quinto o del secondo anno? E perché non dal sesto o dal terzo?

È indubbio che le indicazioni normative sopra richiamate non consentano di andare oltre l’espresso divieto di distinguere nell’adempimento dei compiti di cura, educazione, istruzione e mantenimento a seconda del sesso dei genitori o dell’età del minore, e tuttavia appare evidente che, al fine di evitare scelte poco ponderate sul piano logico-giuridico, sarebbe stato preferibile che il Tribunale, proprio in ragione della delicatezza degli interessi in gioco, avesse seguito un approccio di tipo scientifico evitando di ricorrere a convincimenti personali o legati all’emotività o, peggio, ad inconfessati ed inconfessabili, pregiudizi di genere.

Affido condiviso, le ragioni di un intervento normativo. E, così, ad esempio sarebbe stato più corretto seguire le indicazioni contenute nella Risoluzione del Consiglio d’Europa 2079/2015, adottata anche con il voto favorevole dell’Italia, che – sulla scorta di ben 76 studi scientifici compiuti tra il 1977 ed il 2014 e che hanno visto coinvolti centinaia di migliaia di minori in tutto il mondo – ha riconosciuto che “In ambito famigliare, l’uguaglianza dei genitori deve essere garantita e promossa dalla nascita del figlio. Il ruolo di vicinanza padri ai loro figli, fin da quando sono piccoli, deve essere maggiormente riconosciuto e valorizzato. La corresponsabilità parentale implica che i genitori abbiano nei confronti dei loro figli diritti, doveri e responsabilità. Lo stare insieme costituisce un elemento essenziale della vita famigliare per un genitore e il proprio figlio. La separazione tra un genitore e il figlio ha effetti irrimediabili sulla loro relazione. Solo circostanze eccezionali e particolarmente gravi dovrebbero contro l’interesse del bambino dovrebbero poter giustificare una separazione, stabilita da un giudice”.

A fronte di una così chiara affermazione appare evidente come non si potrà più fare ricorso al mero dato anagrafico per regolamentare le modalità di esercizio della funzione genitoriale in caso di separazione dei genitori, se non a costo di continuare a giustificare immotivati pregiudizi di genere, purtroppo diffusi nella giurisprudenza italiana.

Vale infatti la pena ricordare che secondo l’ISTAT “A distanza di quasi dieci anni dall’entrata in vigore della Legge 54/2006 è possibile verificare che, ad eccezione della drastica diminuzione della proporzione di figli minori affidati in modo esclusivo alle madri, tutti gli altri indicatori non hanno subito modificazioni di rilievo. In altri termini, al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione. Ci si attendeva, infatti, una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli e invece si registra un lieve aumento, dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015; questa proporzione, nel 2015, raggiunge il 69% per le madri con almeno un figlio minorenne. Per quanto riguarda le disposizioni economiche, infine, non vi è nessuna evidenza che i magistrati abbiano disposto il mantenimento diretto per capitoli di spesa, a scapito dell’assegno: la quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre si mantiene nel decennio stabile (94% del totale delle separazioni con assegno)”.

Linee di indirizzo della riforma. Una riforma tradita dunque, sulla quale l’attuale maggioranza di governo s’è impegnata ad intervenire e che non potrà che ruotare attorno al perno del diritto del minore ad un rapporto stabile e continuativo con entrambi i genitori ed i relativi rami parentali.

Partendo dalla previsione di nuove regole processuali maggiormente coerenti con l’interesse del minore troppo spesso sacrificato sull’altare degli interessi economici degli adulti.

Passando per una definizione della funzione genitoriale più rispettosa del dato normativo primario ed internazionale attraverso la necessaria adozione di un piano genitoriale che disciplini, in modo paritario, tempi e modalità di assolvimento dei compiti di cura, educazione ed istruzione a carico di ciascun genitore dopo la separazione.

Superando modalità di mantenimento come quelle attuali, deresponsabilizzanti e diseducative, incentrate sugli interessi economici delle parti in giudizio e che pongono in secondo piano la funzione genitoriale, unica vera ragione dell’intervento dello Stato in siffatta materia.

Salvatore Di Martino Filodiritto 05 luglio 2018 –

www.filodiritto.com/articoli/2018/07/affido-condiviso-le-ragioni-di-un-intervento-normativo.html?utm_source=Filodiritto&utm_medium=email&utm_campaign=Newsletter+715

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Su quali parametri viene calcolato

Come cambia l’assegno di divorzio dopo la sentenza delle Sezioni Unite: la nuova sentenza che ripristina il tenore di vita della coppia come elemento per determinare l’ammontare dell’assegno.

Le Sezioni Unite della Cassazione si sono finalmente espresse sulla sorte dell’assegno di mantenimento dopo il divorzio (meglio detto assegno divorzile). La sentenza [n. 18287/11.07.2018] era fortemente attesa da numerose coppie: da un lato, dai mariti, che l’anno scorso avevano accolto con gioia l’apertura della Cassazione [sent. n. 11504/10.05.2017] secondo cui il divorzio cancellerebbe definitivamente ogni legame, anche economico, tra i coniugi; dall’altro lato dalle mogli, costrette invece, per ottenere l’assegno, a dimostrare di essere nell’impossibilità, fisica o di salute, di potersi mantenere da sole.

Mentre i tentativi di una riforma della legge si sono arenati con la precedente legislatura, i giudici hanno preso in mano le redini della situazione stabilendo un nuovo corso della storia. Ecco dunque come cambia l’assegno di divorzio a seguito dell’odierna sentenza delle Sezioni Unite. Ma prima ancora dobbiamo capire come e perché si è formato il contrasto interpretativo.

La sentenza Grilli: cancellato l’assegno di divorzio. Il 10 maggio del 2017, la prima sezione della Cassazione è uscita con una sentenza a dir poco rivoluzionaria. Il principio affermato era pressappoco il seguente: il divorzio cancella ogni legame di solidarietà tra i coniugi. Il matrimonio non può essere un’assicurazione sulla vita per chi ha il reddito più basso. Ciascuno si deve assumere le responsabilità delle proprie scelte. Per cui, il coniuge con il reddito più elevato non è tenuto a garantire all’ex lo stesso tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio se questi è autosufficiente ossia ha una propria “indipendenza economica”. Peraltro non contano le condizioni effettive di quest’ultimo ma quelle potenziali: se cioè è giovane e in buona salute, deve trovarsi un lavoro. Insomma, il mantenimento non spetta quando c’è autosufficienza.

Risultato: chi chiede il contributo mensile deve poter dimostrare di non essere nelle condizioni – non per propria colpa – di mantenersi da solo. Il che significa che deve avere un’età avanzata (oltre i 45 anni) o una condizione di salute che gli impedisce di trovare lavoro. Al contrario, se la giovane età e la formazione gli consentono di impiegarsi nel mondo lavorativo, anche se al momento è disoccupato non può richiedere l’assegno divorzile.

Veniamo alla quantificazione del contributo. L’assegno deve corrispondere allo stretto necessario a garantire l’indipendenza economica. Il che vuol dire che chi ha già delle entrate dignitose non può chiedere alcuna integrazione anche se ha sposato una persona milionaria.

La nuova interpretazione investe solo le regole sull’assegno di divorzio e non quelle per l’assegno dovuto dopo la separazione il quale resta vincolato al precedente tenore di vita della coppia. Stesso discorso per il mantenimento dei figli, i quali conservano il diritto a ottenere lo stesso tenore che avevano quando ancora i genitori erano sposati.

I primi contrasti in giurisprudenza. La sentenza Grilli aveva trovato il favore di numerosi tribunali (primo tra tutti quello di Milano). Altri invece hanno preferito sposare la vecchia linea. La stessa Cassazione ha, successivamente, dimostrato di non condividere l’orientamento più innovativo, stabilendo che l’assegno di divorzio deve comunque fare i conti con una serie di ulteriori parametri come la durata del matrimonio e il reddito basso dell’ex [sent. n. 28994/2017 e n. 7342/2018].

La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione dell’11 luglio 2018. Se non è una marcia indietro, poco ci manca. Secondo la nuova sentenza della Cassazione il divorzio non cancella un bel niente. Anzi: il criterio dell’indipendenza o autosufficienza economica – dice la Corte – non trova alcun riscontro nella legge che detta i criteri per l’attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio. Inoltre non risulta chiaro a cosa ancorare tale autosufficienza: se alla pensione sociale, alla retribuzione degli operai e impiegati, alla classe economico-sociale di apparenza dei coniugi, ecc. Dunque il criterio dell’autosufficienza può comportare gravi ingiustizie, in particolare per i matrimoni di lunga durata ove il coniuge più debole che abbia rinunciato alle proprie aspettative professionali per assolvere agli impegni familiari improvvisamente deve mutare radicalmente la propria conduzione di vita.

Per cui l’assegno continua ad avere una funzione assistenziale del coniuge più debole economicamente, compensativa della differenza di reddito e quindi perequativa. Cosa significa in pratica? Al momento è molto difficile anticipare quelle che saranno le attuazioni concrete di questo principio ma la Corte fornisce qualche primo parametro per orientarsi. Viene detto che, per valutare l’entità dell’assegno di mantenimento bisogna considerare tre parametri oltre, ovviamente, al divario tra i due redditi:

  1. Il contributo alla formazione del patrimonio comune e personale, fornito dal coniuge che richiede l’assegno di mantenimento durante il periodo del matrimonio: se, ad esempio, la moglie ha fatto per una vita la casalinga consentendo al marito di fare carriera e di arricchirsi, avrà diritto ad avere una parte di questa ricchezza. Per valutare se il coniuge debole ha mezzi adeguati non bisogna guardare solo all’insufficienza oggettiva ma anche a ciò che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare;

  2. La durata del matrimonio: bisogna tener conto di quanto è durato il matrimonio e valutare se il rapporto ha portato uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale al di fuori della famiglia;

  3. Le potenzialità reddituali future;

  4. L’età di chi chiede il mantenimento.

L’assegno divorzile ha anche una funzione di riequilibrare le condizioni delle parti, che però non serve a ricostituire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma a riconoscere il ruolo del coniuge debole e il contributo fornito alla situazione economica al momento in cui cessano gli effetti civili del matrimonio. Il giudice deve accertare subito l’eventuale squilibrio creato dal divorzio, tenendo presente che lo scioglimento del vincolo deteriora le condizioni di vita del coniuge meno abbiente.

In sintesi: sull’assegno pesano il contributo al ménage, l’età dell’ex e la durata delle nozze. Oggi la Cassazione precisa che per stabilire se l’ex coniuge richiedente ha diritto all’assegno divorzile il giudice del merito deve «adottare un criterio composito», ma sempre «alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali». E «particolare rilievo» va riconosciuto «al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto». Il parametro indicato, spiegano le Sezioni unite, «si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale». Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.

Addio al tenore di vita. La sentenza delle Sezioni Unite conferma comunque il fatto che l’assegno di divorzio non deve mirare a ricostruire il tenore di vita della coppia. Tuttavia ha una funzione di riequilibrare le condizioni delle parti. Serve quindi almeno a riconoscere il ruolo del coniuge debole e il contributo fornito alla situazione economica nel momento in cui cessano gli effetti civili del matrimonio.

La Cassazione, con la sentenza di ieri supera definitivamente il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma rileva che con la sentenza Grilli l’assegno è stato «rigidamente» ancorato a «una condizione di mancanza di autonomia economica del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale». Questa impostazione, sottolineano i supremi giudici, «omette di considerare che i principi di autodeterminazione e autoresponsabilità hanno orientato non solo la scelta degli ex coniugi di unirsi in matrimonio», ma «hanno determinato il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge alla attuazione della rete di diritti e di doveri». Da qui, il principio enunciato per cui, nel diritto all’assegno divorzile, conta il «contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto». Il riconoscimento dell’apporto dato deve tenere conto non solo del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da permettere l’autosufficienza, sulla base di un parametro astratto, ma deve in concreto, permettere un livello di reddito adeguato. Adeguatezza che non è più però al tenore di vita antecedente la rottura del legame matrimoniale, ma al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto poi delle aspettative economiche e professionali eventualmente sacrificate, in ragione dell’età del richiedente e della durata del matrimonio.

L’assegno deve in qualche modo contribuire a eliminare, o almeno a ridurre, lo squilibrio che viene a crearsi col divorzio; detto squilibrio non va considerato in astratto ma valutando le ragioni che l’hanno prodotto. In particolare bisogna valutare l’assunzione di un ruolo consumato in maniera prevalente o esclusiva all’interno della famiglia, compromettendo carriera o comunque aspettative di reddito, e all’apporto dato alla costituzione del patrimonio familiare. Il giudice, avvertono le Sezioni unite, dovrà procedere a un’attività complessa, che non dovrà però più distinguere la fase di decisione sull’esistenza del diritto all’assegno da quella della sua quantificazione. Dovrà invece procedere in primo luogo all’accertamento dello squilibrio determinato dal divorzio, facendo riferimento per esempio alle dichiarazioni dei redditi. Naturalmente poi lo squilibrio potrà avere diverse gradazioni quanto a rilevanza, valorizzando il principio di responsabilità. Anche perché la sentenza è chiara nell’attribuire all’assegno una funzione di compensazione non (solo) assistenziale. «L’adeguatezza dei mezzi – osservano le Sezioni unite – deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte».

In pratica

Sezioni Unite – Assegno divorzio – Ai fini del riconoscimento si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future e all’età dell’avente diritto.

Redazione La legge per tutti 11 luglio 2018

www.laleggepertutti.it/220870_assegno-di-mantenimento-su-quali-parametri-viene-calcolato

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno di divorzio va calcolato in base a criteri compositi

Corte di Cassazione Sezioni unite civili, Sentenza 18287, 11 luglio 2018

www.altalex.com/~/media/altalex/allegati/2018/allegati%20free/cass_civ_sezioni_unite_18287_2018%20pdf.pdf

Al fine del calcolo dell’assegno di divorzio occorre tenere in considerazione non il tenore di vita, ma diversi fattori, attraverso un criterio c.d. “composito” che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto.

Il parametro così come indicato, secondo i giudici, si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo.

La sentenza afferma che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.

Molto soddisfatti della pronuncia gli avvocati matrimonialisti; per essi l’Avv. Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani, secondo il quale quanto stabilito dalla Corte Suprema “non lascia più spazio a dubbi perché finalmente si chiarisce che non è possibile equiparare tutti i matrimoni.

Un conto è il matrimonio mordi e fuggi che non prevede assegno, altro conto la relazione di una vita nella quale entrambi i coniugi hanno contribuito sostanzialmente alla relazione. Si chiarisce insomma che in caso di impegno il coniuge più debole ha diritto a qualcosa in più”.

Altalex 11 luglio 2018

www.altalex.com/documents/news/2018/07/11/assegno-di-divorzio-sezioni-unite

 

La sentenza è arrivata tre mesi dopo l’udienza.

“Ai fini del riconoscimento dell’assegno – si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, del particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto”.

Bisogna tenere in considerazione anche altri fattori come la durata del matrimonio e il contributo che la donna ha dato al patrimonio familiare allorché decide di rinunciare alla propria carriera per occuparsi della casa e dei figli.

“Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale”.

All’assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo”.

 

Divorzio: rimborso dell’assegno se l’ex si risposa

Tribunale de La Spezia, ordinanza 20 giugno 2018

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_31108_1.pdf

Il Tribunale di La Spezia condanna la ex moglie a restituire le somme indebitamente percepite dopo aver convolato a nuove nozze tenendo l’ex marito all’oscuro.

Addio assegno di divorzio quando l’ex convola a nuove nozze: ai sensi del comma 10 dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, infatti, “L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze”.

Le somme percepite indebitamente dopo la celebrazione del nuovo matrimonio, pertanto, dovranno essere restituite con gli interessi al partner che era onerato a versarle ai sensi dell’art. 2033 del codice civile.

Lo ha chiarito il Tribunale di La Spezia in un’ordinanza del 20 giugno 2018 a seguito della richiesta di un uomo di condanna della ex coniuge alla restituzioni di oltre 36mila euro quale importo dalla stessa percepito a titolo di assegno divorzile. L’uomo, infatti, era stato debitamente tenuto all’oscuro delle nuove nozze che la donna aveva contratto con un terzo, complice la circostanza che l’assegno veniva pagato alla ex mediante il disposto pagamento diretto da parte del datore di lavoro del ricorrente.

Solo dopo diversi anni il marito veniva a conoscenza del nuovo matrimonio, dopo aver effettuato una verifica presso il Comune di residenza e, di conseguenza, aveva agito innanzi al Tribunale per richiedere il rimborso delle somme percepite dalla ex senza averne diritto.

Con un primo decreto il Tribunale revocava l’obbligo dell’uomo di corrispondere l’assegno divorzile alla ex dopo la celebrazione del matrimonio di quest’ultima con altra persona.

I giudici, nell’ordinanza in esame, hanno invece ribadito come ai sensi del comma 10 dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, “L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze”.

Con il nuovo matrimonio, quindi, opera automaticamente la decadenza dal diritto a ricevere l’assegno divorzile e ciò tenuto conto non solo del tenore letterale della norma, ma anche della funzione assistenziale dell’assegno divorzile, che cessa di essere tale nel momento in cui, contraendo il beneficiario nuovo matrimonio, i doveri di solidarietà morale ed economica si trasferiscono in capo al nuovo coniuge.

La revoca dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile a seguito delle nuove nozze contratte dal beneficiario, proprio perché non necessita di alcun vaglio del giudice, ma opera automaticamente, non può che decorrere da tale data. Nel caso in esame, dunque, la disposta revoca da parte del Tribunale del diritto di percepire l’assegno divorzile retroagisce alla data in cui la donna ha contratto le nuove nozze.

Pertanto, concludono i giudici, tutte le somme incontestatamente percepite dalla ex dopo tale data devono ritenersi corrisposte in assenza di titolo e costituiscono quindi oggetto di indebito oggettivo ex art. 2033 del codice civile, ravvisabile anche nel caso di causa debendi venuta meno in un momento successivo al pagamento (cfr. Cass. SS.UU. n. 5624/2009) e come tali devono essere restituite al ricorrente.

Inoltre, nel caso di specie, i giudici ritengono evidente la mala fede della ex che per anni aveva continuato a percepire l’assegno divorzile, nonostante si fosse risposata. Pertanto, non solo si ritiene automaticamente decaduto il diritto a percepire l’assegno divorzile, senza necessità di alcuna valutazione discrezionale, ma la convenuta dovrà essere condannata a restituire le somme indebitamente percepite oltre interessi nella misura di legge dai singoli pagamenti al saldo.

Lucia Izzo news letter Studio Cataldi 9 luglio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/31108-divorzio-rimborso-dell-assegno-se-l-ex-si-risposa.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 22, 13 luglio 2018

  • Migliorare la conciliazione famiglia – lavoro. Piccoli passi – in positivo – dall’Unione europea. Il Cisf (F. Belletti) ha recentemente partecipato ad un interessante expert meeting (Berlino, 2 luglio 2018) promosso da AGF, una rete di associazioni familiari attive in Germania, in cui si è discussa una Proposta di Direttiva Europea per migliorare la conciliazione famiglia-lavoro e la partecipazione dei padri alla cura dei figli, soprattutto attraverso un rafforzamento del congedo di paternità. Il dibattito è ancora in corso, e i diversi casi nazionali (tra i quali Francia, Italia, Ungheria e Repubblica Ceca), confermano l’opportunità di intervenire per rafforzare, garantire ed omogeneizzare a livello europeo le opportunità per le giovani famiglie, favorendo sia le madri che i padri.

  • Hastings center – usa: un richiamo alla “leadership morale” per migliorare le cure del fine vita (Hastings Center President Calls for “Moral Leadership” to Improve End-of-Life Care). La Presidente dell’Hastings Center, Mildred Solomon, autorevole centro studi statunitense sulla bioetica e sulle scienze mediche, richiama “la necessità di una riforma sistemica nell’erogazione delle cure, da una attenzione troppo concentrata sul processo di presa di decisioni “al letto del paziente”, su cui la bioetica ha concentrato la maggior parte della propria attenzione, al più ampio obiettivo di rispondere ai bisogni sociali e organizzativi dei malati e dei loro caregiver nel domicilio e nella comunità. Un punto di vista più allargato potrebbe condurre a politiche di sostegno sociale e a nuovi protocolli medici, comprese procedure di cura a domicilio e strategie per limitare l’isolamento sociale dei malati che devono affrontare fragilità fisica e demenza”

www.thehastingscenter.org/news/hastings-center-president-calls-moral-leadership-improve-end-life-care

  • Minori, stranieri e non accompagnati: le ragioni della tutela. Un video che racconta in pochi minuti la ricchezza di un convegno dall’alto profilo scientifico, tenutosi a Roma il 20 aprile 2018, promosso dalla sezione romana dell’AIMMF (Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia), in collaborazione con il Tribunale per i Minorenni di Roma e con Roma Capitale, in cui è stata presentata anche l’innovativa esperienza del “tutore volontario” per i minori stranieri non accompagnati.

www.aracne.tv/video/minori-stranieri-e-non-accompagnati-le-ragioni-della-tutela.html?s=fbmicso&e=318

  • Save the date

  • Nord Questa volta scelgo io: le scelte scolastiche dei figli e il ruolo dei genitori, seminario per genitori adottivi e affidatari promosso da CTA (Centro Terapia Adolescenza), Milano, 29 settembre 2018.

www.centrocta.it/questa-volta-scelgo-le-scelte-scolastiche-dei-figli-ruolo-dei-genitori-seminario-genitori-adottivi-affidatari

  • Centro Scoprire, stupirsi, educare. Evento fieristico sui temi dell’educazione e della scuola promosso da Didacta Italia e da INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa), Firenze, 18-20 ottobre 2018. http://fieradidacta.indire.it

  • Sud La strategia nazionale di educazione finanziaria e il ruolo di ADEIMF, tavola rotonda all’interno del Convegno Estivo 2018 ADEIMF (Associazione dei Docenti di Economia, degli Intermediari e dei Mercati finanziari e Finanza d’impresa), Cagliari, 7-8 settembre 2018.

www.adeimf.it/images/documenti/Convegno_Cagliari_7-8_settembre_2018_.pdf

  • Estero: Reinforcing Child Protection Online: Minimising Risk, Boosting Digital Resilience (Rafforzare la protezione on line del bambino: Ridurre al minimo i rischi, promuovere la resilienza digitale), seminario promosso da Public Policy Exchange, Londra, 4 settembre 2018.

www.publicpolicyexchange.co.uk/events/II04-PPE

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/luglio2018/5084/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Il primato del sacramento sull’etica e la intercomunione secondo Francesco.

Lettera ad un collega, monaco dissenziente

Già in altre occasioni mi sono confrontato con il collega Giulio Meiattini sul magistero di papa Francesco. Con lui siamo docenti nel medesimo Ateneo romano, S. Anselmo, che, come diceva San Tommaso per i propri allievi, non impedisce a due colleghi di pensare cose diverse. Questa è grande tradizione monastica. Una recente intervista rilasciata a “Catholica” mi induce a scrivergli una lettera, per precisare il mio dissenso dal suo dissenso.

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/07/09/un-monaco-teologo-rompe-il-silenzio-sulla-metamorfosi-della-chiesa/

Caro Don Giulio,

la teologia vive di argomentazioni. Ho letto con interesse il modo con cui tu critichi, in analogia con quanto hai già scritto su Amoris Lætitia, anche le iniziative di Francesco e poi dei Vescovi tedeschi in materia di “intercomunione”. Vorrei esprimere qui la mia difficoltà rispetto a queste tue considerazioni, che a mio avviso non colgono affatto le intenzioni in gioco e le riducono ad un modello astratto che non riesce ad intenderle.

Parto dal cuore del tuo ragionamento. A tuo avviso ciò che deve essere salvaguardato, sia in campo matrimoniale, sia in campo eucaristico, è il “primato del sacramento sull’etica”. Per come tu lo descrivi esso appare quasi come il cuore della “differenza teologica” rispetto ad ogni riduzione antropologica della tradizione. Nel primato del sacramento si gioca il primato di Dio, la ragione stessa della tradizione ecclesiale. Su questo io sono del tutto d’accordo con te. Se viene meno questo primato del sacramento sull’etica, non vi è più alcuno spazio non solo per la Chiesa, ma per Dio stesso. Proprio qui, tuttavia, si apre anche un divario tra la tua lettura del magistero di Francesco e la mia. Io ritengo, infatti, che Francesco sia preoccupato esattamente della stessa cosa che sta a cuore a te, ossia di salvaguardare il primato del sacramento sull’etica. Ma Francesco sa che tale primato deve essere declinato oggi in modo nuovo rispetto al modello moderno e tridentino. In altri termini egli ha assunto pienamente la “svolta pastorale” del Concilio Vaticano II, che impone una “traduzione della tradizione”.

Cerco di spiegarmi meglio. Analizzo brevemente due grandi questioni su cui la tradizione tridentina ha voluto salvaguardare il “primato del sacramento” con soluzioni che oggi, a partire dal Concilio Vaticano II, non sono più convincenti. La prima riguarda la messa, e il modo con cui Trento ha “salvaguardato il sacramento”, contrapponendo sacrificio e comunione. In tal modo ha svolto una preziosa funzione “difensiva”, che oggi riconosciamo assai limitata e molto unilaterale. Una vera tutela del “primato dell’eucaristia” passa oggi per una profonda rilettura della comunione, senza timore di diventare “protestanti”. Lo stesso vale per il matrimonio: la difesa del “primato del sacramento”, dal 1563, è divenuta la “forma canonica”. Ma col passare dei secoli è apparso evidente che la “forma naturale” e la “forma civile” diventano terreni originari non solo di contestazione del sacramento, ma anche di nuova esperienza di esso. Ciò che tu chiami “incertezza e vaghezza” è in realtà ripresa di temi premoderni e apertura a stili postmoderni della tradizione ecclesiale.

Ecco dunque il punto sistematico importante: la storia ci offre diversi modelli di “primato del sacramento”. Se oggi non sappiamo uscire con decisione dal “modello tridentino” ed entrare coraggiosamente in nuovi modelli, otteniamo facilmente un effetto indesiderato, ma garantito: anziché promuovere il primato del sacramento sull’etica, produciamo un primato di etica ecclesiale sulla forza teologica e profetica del sacramento.

Vorrei mostrare come le tue critiche al magistero di Francesco rischino proprio questo esito. Mi concentro sul tema della cosiddetta “intercomunione”. In realtà, come sai bene, questo termine è ambiguo già in sé, ma tanto più lo è se applicato alle parole di Francesco e dei Vescovi tedeschi. Qui non si parla in generale di “intercomunione”, ma di “ammissione alla comunione eucaristica del coniuge di altra confessione”. Nella tua rapida analisi, tu trascuri del tutto che in gioco non vi è semplicemente il “primato dell’eucaristia” sulla intenzione di singoli soggetti, ma la benedetta interferenza tra “comunione eucaristica” e “comunione matrimoniale”. Proprio in ragione del “primato del sacramento”, il fatto che tra un cattolico e una protestante vi sia “comunione matrimoniale”, sia pure in un contesto di appartenenza a chiese che mancano di “comunione eucaristica”, rende possibile, a determinate condizioni, di riconoscere la profezia matrimoniale come rilevante a livello ecclesiale.

Qui, a me pare, sono proprio queste aperture a salvaguardare meglio il primato del sacramento sull’etica, mentre le tue critiche, come anche le esitazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede sullo stesso tema, assomigliano molto ad un primato dell’etica ecclesiale sulla potenza e la libertà del sacramento.

Ecco, questo mi pare il motivo di fondo per cui, di fronte al medesimo magistero, tu appari corrucciato e preoccupato, mentre io mi sento confortato e rassicurato. Non perché io voglia un primato dell’etica sul sacramento, ma perché credo che il primato del sacramento, quando deve essere annunciato in una società aperta, esiga un altro linguaggio e un altro stile. Che ritrovo annunciato dal Concilio Vaticano II e assunto e fatto proprio con prudente serietà e con generosa audacia dal magistero di Francesco.

Con un caro saluto Andrea

Andrea Grillo blog: Come se non 10 luglio 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-primato-del-sacramento-sulletica-e-la-intercomunione-secondo-francesco-lettera-ad-un-collega-monaco-dissenziente

 

Farrell: la Chiesa non vuole “clericalizzare” il laicato

«La Chiesa non vuole “clericalizzare” il laicato», al contrario Papa Francesco punta decisamente ad assegnare ai laici, e in particolare alle donne laiche, ruoli di sempre maggior responsabilità. Lo sottolinea il cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, in una intervista rilasciata al periodico Intercom, edito dalla Conferenza episcopale dell’Irlanda. Il porporato evidenzia come «storicamente i laici» abbiano sempre «svolto un ruolo di secondo piano in seno alla Chiesa».

Papa Francesco, confida il cardinale, «mi ha detto apertamente di volere in Vaticano un Dicastero che sia equivalente a tutte le altre Congregazioni (per i vescovi, per il clero, per i religiosi eccetera)» in cui i laici siano protagonisti. «E con laici non intende persone che appartengono a movimenti ecclesiali» quanto «piuttosto persone che vanno in Chiesa». In tale contesto, puntualizza il porporato, «la Chiesa non vuole clericalizzare il laicato» nella consapevolezza che «ci sono Paesi in cui i laici mandano avanti la Chiesa».

Parlando poi di matrimonio Farrell racconta che, di recente, «mi sono recato in un paese per parlare di Amoris lætitia e avevano organizzato un incontro con 600/700 persone: l’80% erano preti. Il mio argomento è che i sacerdoti non sono necessariamente le persone migliori per formare altri al matrimonio. Non hanno mai vissuto l’esperienza; magari conoscono la teologia morale, la teologia dogmatica; in teoria. Ma da qui a metterla in pratica ogni giorno…».

Infine il cardinale parla del ruolo della donna all’interno della Chiesa, invitando a studiare «attentamente ciò che Francesco ha fatto in silenzio e dietro le quinte. L’esempio più recente è stato quando per la prima volta nella storia della Chiesa ha nominato delle donne come consultori della Congregazione per la Dottrina della fede». «Francesco senza farsi notare, gradatamente ha messo donne in posizioni di potere», conclude il capo Dicastero sottolineando che a tutti i livelli si dovrà fare lo stesso.

Redazione La Stampa Vatican Insider 14 luglio 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201807/180715redazionevaticaninsider.pdf

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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

Le ultime decisioni del Consiglio Direttivo dell’AICCeF

Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari. Consiglio Direttivo – 10 giugno 2018

La Giornata di Studio di ottobre 2018. La Giornata di studio avrà come tema principale la Diversità, argomento di approfondimento dell’anno 2018, di cui stiamo leggendo, sotto diverse angolazioni e sfaccettature, nei Dossier della Rivista. Come titolo della Giornata è stato scelto Diverso da chi?, come domanda retorica che aiuta a puntare l’attenzione sulla inconcludenza di un modello di ‘normalità’ e aiuta a considerare risorse tutto ciò che da esso si discosta. L’immagine simbolo sarà il disegno del viso maschio-femmina, ritrovato dalla Presidente dipinto su un muro di una scuola superiore spagnola, con a fianco una celebre frase di Rosa Luxemburg.

Il relatore principale della Giornata sarà Francesco Falaschi, regista e insegnante, molto sensibile ai problemi sociali, che è autore di cortometraggi e film sulla “neurodiversità” (Disturbo da Deficit di Attenzioni/Iperattività, Autismo, Asperger, Dislessia, DSA) e sull’inclusione, molto apprezzati e di elevata qualità. Il regista si è reso disponibile a condividere la sua esperienza nel campo della cinematografia sociale che sposta l’attenzione sui modi atipici di imparare, pensare, elaborare le informazioni, che caratterizzano queste condizioni, invece delle solite definizioni o stereotipi che si soffermano sul deficit, disturbi e menomazioni.

La Giornata di studio, dopo la relazione, proseguirà in modo interattivo, con sei laboratori, che riguarderanno sempre il tema della Diversità sotto ottiche diverse, e saranno condotti dai componenti del Consiglio Direttivo e del Comitato Scientifico. Chi vuole iscriversi potrà scegliere a quale Laboratorio partecipare, compatibilmente al numero delle richieste e dei posti disponibili. Nella scheda di iscrizione alla Giornata, che sarà on line a partire da 1° agosto, dovranno essere indicati sia il numero del Laboratorio di prima scelta sia il numero del Laboratorio indicato come riserva. La complessità dell’organizzazione dei Laboratori, comunque, non garantisce che tutte le scelte potranno essere rispettate.

A breve metteremo online e sulla rivista la brochure completa col programma e gli argomenti dei laboratori, nonché la pagina on line di iscrizione.

Elezioni degli organi collegiali per il triennio 2018 – 2021. Il Consiglio Direttivo, in considerazione delle norme dello Statuto dell’Associazione che determina in tre anni la durata in carica dei componenti degli organi collegiali: Consiglio Direttivo, Collegio dei Revisori dei conti, Collegio dei Probiviri, ha deliberato di indire le elezioni per il rinnovo dei componenti degli organi statutari per il triennio 2018 – 2021. Le elezioni saranno effettuate nella data del 27 ottobre 2018, in seno all’Assemblea dei Soci.

Il Consiglio delibera di fissare in 9 (nove) il numero dei componenti del Consiglio Direttivo eligendo ed approva il Regolamento per le elezioni degli organi statutari dell’AICCeF per il triennio 2018-2021, che tra breve sarà pubblicato, in coincidenza con l’apertura della campagna elettorale.

Aggiornamento professionale Supervisori settembre 2018. L’aggiornamento professionale annuale dei Consulenti supervisori sarà effettuato nei giorni del 22 e 23 settembre prossimi, presso il Camplus Bononia, di Bologna, conveniente struttura che ha ospitato anche le precedenti edizioni. (…)

Iter per il riconoscimento di una nuova Scuola di formazione AICCeF. In relazione alla domanda di riconoscimento della Scuola di formazione in consulenza familiare dell’Associazione Spazio Famiglia ‘Nina Moscati’ di Napoli, i commissari Monti e Qualiano hanno presentato la relazione sull’ispezione effettuata il 25 maggio 2018 presso la suddetta Scuola di Formazione. Il Consiglio riconosce che la relazione contiene elementi di giudizio positivi e rassicuranti, tali da consentire l’avvio del processo di riconoscimento della Scuola Nina Moscati, che si concluderà con il rilascio dei primi Diplomi.

L’AICCeF a Berlino. In relazione all’invito rivolto all’AICCeF da parte dell’AGF, Arbeitgemeinscaft der deutschen Familienorganisationen di Berlino (personalmente dal direttore Sven Iversen alla presidente Roberto) per partecipare alla Conferenza dal titolo: Proposte comunitarie sulla conciliazione vita-lavoro: stato di avanzamento, percezione, fasi successive, che si terrà il 2 luglio p.v. a Berlino, il Consiglio ha deciso di accettare l’invito e inviare un delegato AICCeF alla manifestazione per curare i rapporti internazionali esistenti.

E, valutata l’esigenza di affidare l’incarico ad un Socio che abbia buona capacità di muoversi negli ambienti esteri, buona conoscenza delle lingue e spiccate qualità relazionali, e considerato che la socia Sarah Hawker, madre lingua inglese, ha dimostrato di essere in grado di rapportarsi in modo efficace con l’ICCFR, sia nella Conferenza Internazionale di Trento 2016 sia in quella di Malta 2018, come rappresentante della Presidente, delibera di delegare Sarah Hawker a partecipare all’evento dell’AGF di Berlino e di affidarle l’incarico permanente di addetto alle relazioni internazionali dell’Aiccef

www.aiccef.it/it/news/le-ultime-decisioni-del-consiglio-direttivo.html

 

La resilienza nella e dell’adolescenza

L’adolescenza è anche frutto della cultura ma manca una cultura (adeguata) dell’adolescenza. Le parole dello scrittore Aldo Nove si addicono allo stadio e allo stato dell’adolescenza: “Nella vita di tutti sono tanti gli scossoni che svuotano da dentro le persone, catapultandole in nuove realtà, anche se non molti li avvertono, e li allontanano con un’alzata di spalle. Ma arrivano, sono la vita. Sono parte di quegli scossoni a segnare, nel tempo, il passaggio dal mondo magico dei bambini a quello più rigido degli adulti. La magia non svanisce, solo resta acciaccata dalle paure, dalle perdite, dai dolori, e talvolta si spezza, per tanti si spezza l’incantesimo dei giorni e delle attese, e la meraviglia. Altri scossoni agiscono al contrario”.

Nella Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance (Parigi, giugno 2007) si legge: “Quando i diritti del bambino o dell’adolescente sono negati da condizioni dell’esistenza inique, quando i suoi punti di riferimento sono compromessi, è possibile aiutarlo a ritrovare la fiducia nella vita e la stima di sé. Il bambino possiede in lui delle importanti risorse”. I genitori e in generale gli adulti non devono procurare né evitare scossoni (frustrazioni) ai figli, ma abituarli agli scossoni trasformando le loro naturali risorse in speciali competenze di ogni sorta: affettive, emozionali, relazionali, sociali.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni afferma: “Gli adolescenti vorrebbero fare a meno degli adulti per dimostrare a sé stessi che possono cavarsela da soli in ogni situazione. Temono che gli altri si sostituiscano a loro nelle difficoltà. In realtà, possono incontrare adulti che li sanno aiutare ascoltandoli e proponendo ai ragazzi una visione delle cose più ampia e meno coinvolta. Che consenta di ritrovare risorse anche quando sono nel mezzo della sofferenza, senza fuggirla”. Ancora leggendo nella Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance: “Il bambino possiede in lui delle importanti risorse. Esse si rivelano se egli può dialogare, essere ascoltato con affetto e rispetto, essere difeso”. Risorsa comincia col prefisso “ri-“, che in altre parole diventa “re”-, come in “relazione”. La prima relazione umana e educativa che è una risorsa è la genitorialità, che trova risorse in sé e dà risorse (o così dovrebbe essere) come avviene attraverso il cordone ombelicale.

Lo psicologo Fantoni spiega: “Talvolta pensiamo alla potenza delle emozioni degli adolescenti solo in positivo, come grandi ideali o grandi innamoramenti. Esse possono travolgere la mente e il corpo insieme, sviando la razionalità ed esprimendosi nel gesto fisico. Riconosciamo la forza enorme di certi amori adolescenziali, ciechi e sordi a tutto, ma dobbiamo tenere presente che anche l’odio, in certi casi, può raggiungere gli stessi livelli di potenza. Questo non significa che tutti gli adolescenti possano giungere a compiere gesti irreparabili. Ma che tutti sono chiamati a capire meglio i propri stati d’animo, per sviluppare un migliore controllo di sé, che per alcuni ragazzi risulta essere più difficile che per altri. Occorre allora un’azione educativa particolarmente attenta, che parta dall’esercizio del proprio autocontrollo prima di tutto, e da un accompagnamento paziente dei figli in difficoltà”. Occorre educare alle passioni mediante la pazienza e la compassione, le migliori manifestazioni della passione.

Fra le passioni, nell’età adolescenziale, primeggia quella sessuale su cui interviene lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai: “Molti temono che parlare di sessualità quando i tempi non sono ancora maturi significhi “spaventare” i bambini con argomenti per i quali non sono ancora pronti o stimolare i loro pensieri e fantasie, anticipando troppo certi temi. Parlando con molti adulti ho provato a verificare quanti tra loro avessero fatto domande sulla sessualità ai loro genitori quando erano bambini o ragazzi e ho scoperto che la quasi totalità, pur avendo dubbi, curiosità, bisogni – soprattutto durante l’adolescenza – non ha mai chiesto nulla agli adulti di riferimento. Per cui concludo che la strategia di chi “aspetta che siano i figli a fare le domande” viene smentita dall’esperienza. I nostri figli non riescono a farci domande – quando ne sentono il bisogno – proprio perché avvertono in noi adulti un senso di fatica e titubanza che gli comunica che educarli su questi temi ci spaventa e genera imbarazzo e turbamento. E così noi e loro rimaniamo congelati, bloccati, incapaci di capire cosa dire e quando è il momento per dirlo. La sessualità nasce e cresce con noi. I genitori devono saperla integrare in modo naturale e competente nel loro progetto educativo, comunicando con i figli sui molti aspetti a essa associati e sui molti messaggi, spesso pornografici, eccitanti, disorientanti e confusivi”. Educarsi e educare che la sessualità non è un dato anatomico o soddisfazione di desiderio, ma identità, personalità, relazionalità, benessere, “[…] sviluppare la medicina preventiva, l’educazione dei genitori e l’informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare” (art. 24 par. 2 lettera f Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

F. Fantoni aggiunge: “Non sappiamo parlare della difficoltà di fare i conti con la paura. Anche noi adulti forse la temiamo e la evitiamo. Come se fosse un segnale d’allarme che suona ma non viene ascoltato, perché si pensa che non dia luogo a conseguenze irreparabili. […] Si compie una scelta, si esce dalla vita ordinaria e si entra nel territorio del proibito e dell’illegale, da soli o con un amico, a condividere la negazione di tutte le paure che possono riguardare la vita di un adolescente. Un atto magico le cui conseguenze gravissime, in quel momento grandioso, non vengono valutate. Dimenticando che le magie non esistono. Dobbiamo aiutare i ragazzi ad avere paura. A riconoscerla quando si oltrepassa il limite, a sentirla dentro di sé e a pensarla, capendo che non va evitata o superata d’un balzo, ma va accettata come un’opportunità, un’utile consigliera di vita che evita di dover pagare prezzi inutilmente alti: una bocciatura senza motivo, il dolore per la fine di una storia d’amore, una frattura alle ossa. E che talvolta li protegge dalla morte, l’unico limite invalicabile. Dobbiamo aiutarli ad avere non sprezzo della paura, ma coraggio autentico e forza vera. Rinunciando alle immagini idealizzate e fasulle dell’uomo forte e dominante in ogni situazione. Ricercando, noi adulti per primi, la forza della volontà e il coraggio della determinazione”. “Egli [il bambino] ha diritto alla spensieratezza” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance). Il bambino, per conoscere e godere della spensieratezza, ha anche bisogno di essere educato al contrario, tra cui la paura (che non significa procurargliela). In tal modo il bambino può apprendere gli atteggiamenti adeguati a ogni situazione (maturando anche la cosiddetta resilienza che è proprio la capacità di far fronte alle situazioni avverse) e comprendere gli altri (sino all’empatia) senza incorrere nei crescenti disturbi della personalità, tra cui quello borderline, o altri disturbi e gravi patologie.

Il magistrato Cosimo Maria Ferri (nella veste di sottosegretario di Stato al Ministero alla Giustizia), nel febbraio 2016, ha commentato così la nascita del movimento giovanile “MaBasta” (primo movimento studentesco contro il bullismo e cyberbullismo, nato ufficialmente a Lecce il 7 febbraio 2016, anche grazie al contributo del prof. Daniele Manni): «Questo movimento spontaneo, che nasce dai ragazzi salentini, è uno dei tanti simboli di quell’Italia che non vuole piegarsi ai soprusi e alle violenze dei bulli. I recenti casi di cronaca che hanno coinvolto alcuni adolescenti, vittime di bullismo e cyberbullismo, hanno reso evidente che questi fenomeni vanno contrastati anche attraverso politiche preventive di natura educativa. È proprio la scuola, come nel caso di Lecce, uno dei luoghi chiamati ad assolvere a questa funzione. Mi auguro che l’iniziativa “MaBasta!” possa raccogliere l’adesione del maggior numero di giovani in tutta Italia: il bullismo, insieme, non dovrà fare più paura a nessuno». Gli adulti, anche in vesti istituzionali, non devono intervenire solo nei casi di bisogno o per segnalare quello che non va nei giovani di oggi, ma anche per promuovere e valorizzare quello che fanno per se stessi e per il bene comune di cui gli adulti stessi si dimenticano.

A proposito dei ragazzi che “sbagliano” o “hanno sbagliato” con conseguenze penali: “Mandare questi ragazzi in carcere è sbagliato – don Antonio Mazzi, in qualità di formatore –. Nessuno, pedagogicamente parlando, metterebbe i peggiori con i peggiori perché troverebbero “colleghi” con medaglie d’oro e che, rispetto a loro, sarebbero eroi nazionali di spavalderie. Urge creare realtà semplici, rasserenanti, non carcerarie, dentro le quali questi adolescenti scatenati possano trovare educatori veri, motivati, capaci di riordinare i grandi talenti che questi ragazzi possiedono, ma che nessuno è riuscito a valorizzare. […] se mancano persone adulte preparate e desiderose di spendere la loro vita per avventure educative rischiose, anche se avare di gratificazioni, saremo eternamente qui a raccontarci le scemate scriteriate dei nostri figli”. Necessita “[…] adottare misure, ogni qualvolta risulti possibile ed auspicabile, per trattare i casi di tali fanciulli senza far ricorso a procedimenti giudiziari, a condizione che il diritto umano e le garanzie legali siano pienamente rispettati” (art. 40 par. 3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Si deve contrastare l’attuale cultura della morte educando alla morte (S. Francesco d’Assisi parlava di “sorella morte”), come parte della vita né da temere né da sfidare. “Non aver mai vegliato un cadavere è una metafora di come la società del narcisismo abbia relegato nella rimozione educativa e culturale la malattia e la morte, rendendo osceno e inaccessibile il discorso sulla morte e sulle fantasie suicidali”[1]. “Morire” è etimologicamente “consumare, distruggere”, e l’adolescenza è una sorte di morte, perché finisce quello che si è stati per diventare altro, è la prova di resilienza della vita, il bambino cade per rialzarsi verso l’età adulta (resilienza deriva dal verbo latino “resilire”, rimbalzare, saltare indietro).

Una delle tante storie di resilienza nella e dell’adolescenza è quella del campione di football americano Michael J. Oher[2], salvato dallo sport e da chi ha creduto in lui, ricordando che lo sport (anche e soprattutto quello non agonistico) è un aiuto alla crescita e al benessere psicofisico e una scuola di vita.

“La farfalla, che prende il volo come un foulard di seta alzato dal vento, ha ancora addosso l’odore della larva da cui proviene. Trascurare questa ibridazione, amputarla precocemente è un passaggio pericoloso, non solo sul piano fisico” (il bioeticista Paolo Marino Cattorini): una descrizione che si può adattare all’adolescente. I genitori e gli adulti in genere non devono considerare l’adolescenza né una malattia né una passeggiata, non devono dimenticare la loro adolescenza ma non devono nemmeno prenderla come termine di paragone. Ogni adolescente è unico e l’adolescenza è unica e imprescindibile.

“Ho paura dell’indifferenza e dell’ignoranza; ho paura per gli adolescenti che crescono con le orecchie piene di suoni, gli occhi pieni di immagini e che non sentono quasi mai le parole utopia, ideale, sogno” (cit.). Gli adolescenti (dal participio presente del verbo latino “adolescere“, crescere) non hanno bisogno solo delle parole utopia, ideale, sogno, ma di ascolto, attenzione, in una sola parola di amore. Hanno bisogno dei sedicenti adulti (participio passato di “adolescere”). Non si deve banalizzare dicendo che i giovani hanno il futuro; il futuro è come l’orizzonte, si allontana man mano che ci si avvicina. Bisogna dare ai giovani il presente, anzi costruire tutti insieme il presente.

 

[1] Dal libro “Uccidersi. Il tentativo di suicidio in adolescenza” di G. Pietropolli Charmet e A. Plotti, Raffaello Cortina Editore 2009

[2] Storia narrata in un libro da cui è stato tratto il film “The blind side” (letteralmente “Il lato cieco”) con Sandra Bullock (2009)

Margherita Marzario news letter Studio Cataldi 9 luglio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/31056-la-resilienza-nella-e-dell-adolescenza.asp

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DALLA NAVATA

15° Domenica – Anno B –15 luglio 2018

Amos 49, 06 «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele». Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

Salmo 84, 01 Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie.

Efesini 01, 04 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

Marco 06, 07 In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri.

 

La vita cristiana. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose

Quando un profeta è rifiutato a casa sua, dai suoi, dalla sua gente (cf. Mc 6,4), può solo andarsene e cercare altri uditori. Hanno fatto così i profeti dell’Antico Testamento, andando addirittura a soggiornare tra i gojim, le genti non ebree, e rivolgendo loro la parola e l’azione portatrice di bene (si pensi solo a Elia e ad Eliseo; cf., rispettivamente, 1Re 17 e 2Re 5). Lo stesso Gesù non può fare altro, perché comunque la sua missione di “essere voce” della parola di Dio deve essere adempiuta puntualmente, secondo la vocazione ricevuta.

Rifiutato e contestato dai suoi a Nazaret, Gesù percorre i villaggi d’intorno per predicare la buona notizia (cf. Mc 6,6) in modo instancabile, ma a un certo momento decide di allargare questo suo “servizio della parola” anche ai Dodici, alla sua comunità. Per quali motivi? Certamente per coinvolgerli nella sua missione, in modo che siano capaci un giorno di proseguirla da soli; ma anche per prendersi un po’ di tempo in cui non operare, restare in disparte e così poter pensare e rileggere ciò che egli desta con il suo parlare e il suo operare. Per questo li invia in missione nei villaggi della Galilea, con il compito di annunciare il messaggio da lui inaugurato: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete alla buona notizia” (Mc 1,15). Li manda “a due a due”, perché neppure la missione può essere individuale, ma deve sempre essere svolta all’insegna della condivisione, della corresponsabilità, dell’aiuto e della vigilanza reciproca. In particolare, per gli inviati essere in due significa affidarsi alla dimensione della condivisione di tutto ciò che si fa e si ha, perché si condivide tutto ciò che si è in riferimento all’unico mandante, il Signore Gesù Cristo.

Ma se la regola della missione è la condivisione, la comunione visibile, da sperimentarsi e manifestare nel quotidiano, lo stile della missione è molto esigente. Il messaggio, infatti, non è isolato da chi lo dona e dal suo modo di vivere. Come d’altronde sarebbe possibile trasmettere un messaggio, una parola che non è vissuta da chi la pronuncia? Quale autorevolezza avrebbe una parola detta e predicata, anche con abile arte oratoria, se non trovasse coerenza di vita in chi la proclama? L’autorevolezza di un profeta – riconosciuta a Gesù fin dagli inizi della sua vita pubblica (cf. Mc 1,22.27) – dipende dalla sua coerenza tra ciò che dice e ciò che vive: solo così è affidabile, altrimenti proprio chi predica diventa un inciampo, uno scandalo per l’ascoltatore. In questo caso sarebbe meglio tacere e di-missionare, cioè dimettersi dalla missione!

Per queste ragioni Gesù non si attarda sul contenuto del messaggio da predicare, mentre entra addirittura nei dettagli sul “come” devono mostrarsi gli inviati e gli annunciatori. Povertà, precarietà, mitezza e sobrietà devono essere lo stile dell’inviato, perché la missione non è conquistare anime ma essere segno eloquente del regno di Dio che viene, entrando in una relazione con quelli che sono i primi destinatari del Vangelo: poveri, bisognosi, scartati, ultimi, peccatori. Per Gesù la testimonianza della vita è più decisiva della testimonianza della parola, anche se questo non l’abbiamo ancora capito. In questi ultimi trent’anni, poi, abbiamo parlato e parlato di evangelizzazione, di nuova evangelizzazione, di missione – e non c’è convegno ecclesiale che non tratti di queste tematiche! –, mentre abbiamo dedicato poca attenzione al “come” si vive ciò che si predica. Sempre impegnati a cercare come si predica, fermandoci allo stile, al linguaggio, a elementi di comunicazione (quanti libri, articoli e riviste “pastorali” moltiplicati inutilmente!), sempre impegnati a cercare nuovi contenuti della parola, abbiamo trascurato la testimonianza della vita: e i risultati sono leggibili, sotto il segno della sterilità! Nessun idealismo romantico, nessun pauperismo leggendario, già troppo applicato al “somigliantissimo a CristoFrancesco d’Assisi, ma uno stile che permetta di guardare non tanto a se stessi come a modelli che devono sfilare e attirare l’attenzione, bensì che facciano segno all’unico Signore, Gesù.

Attenzione però: Gesù non dà delle direttive perché le riproduciamo tali e quali. Prova ne sia il fatto che nei vangeli sinottici queste direttive mutano a seconda del luogo geografico, del clima e della cultura in cui i missionari sono immersi. È uno stile che deve esprimere innanzitutto decentramento: non dà testimonianza sul missionario, sulla sua vita, sul suo operare, sulla sua comunità, sul suo movimento, ma testimonia la gratuità del Vangelo, a gloria di Cristo. Uno stile che non si fida dei mezzi che possiede, ma anzi li riduce al minimo, affinché questi, con la loro forza, non oscurino la forza della parola del “Vangelo, potenza di Dio” (Rm 1,16). Uno stile che fa intravedere la volontà di spogliazione, di una missione alleggerita di troppi pesi e bagagli inutili, che vive di povertà come capacità di condivisione di ciò che si ha e di ciò che viene donato, in modo che non appaia come accumulo, riserva previdente, sicurezza. Uno stile che non confida nella propria parola seducente, che attrae e meraviglia ma non converte nessuno, perché soddisfa gli orecchi ma non penetra fino al cuore. Uno stile che accetta quella che forse è la prova più grande per il missionario: il fallimento. Tanta fatica, tanti sforzi, tanta dedizione, tanta convinzione, e alla fine il fallimento. È ciò che Gesù ha provato nell’ora della passione: solo, abbandonato, senza più i discepoli e senza nessuno che si prendesse cura di lui. E se la Parola di Dio venuta nel mondo ha conosciuto rifiuto, opposizione e anche fallimento (cf. Gv 1,11), la parola del missionario predicatore potrebbe avere un esito diverso?

Proprio per questa consapevolezza, l’inviato sa che qua e là non sarà accettato ma respinto, così come altrove potrà avere successo. Non c’è da temere; rifiutati ci si rivolge ad altri, si va altrove e si scuote la polvere dai piedi per dire: “Ce ne andiamo, ma non vogliamo neanche portarci via la polvere che si è attaccata ai nostri piedi. Non vogliamo proprio nulla!”. E così si continua a predicare qua e là, fino ai confini del mondo, facendo sì che la chiesa nasca e rinasca sempre. E questo avviene se i cristiani sanno vivere, non se sanno soltanto annunciare il Vangelo con le parole… Ciò che è determinante, oggi più che mai, non è un discorso, anche ben fatto, su Dio; non è la costruzione di una dottrina raffinata ed espressa ragionevolmente; non è uno sforzarsi di rendere cristiana la cultura, come molti si sono illusi.

No, ciò che è determinante è vivere, semplicemente vivere con lo stile di Gesù, come lui ha vissuto: semplicemente essere uomini come Gesù è stato uomo tra di noi, dando fiducia e mettendo speranza, aiutando gli uomini e le donne a camminare, a rialzarsi, a guarire dai loro mali, chiedendo a tutti di comprendere che solo l’amore salva e che la morte non è più l’ultima parola. Così Gesù toglieva terreno al demonio (“cacciava i demoni”) e faceva regnare Dio su uomini e donne che grazie a lui conoscevano la straordinaria forza del ricominciare, del vivere, dello sperare, dell’amare e dunque vivere ancora. L’invio in missione da parte di Gesù non crea militanti e neppure propagandisti, ma forgia testimoni del Vangelo, uomini e donne capaci di far regnare il Vangelo su loro stessi a tal punto da essere presenza e narrazione di colui che li ha inviati. Attesta uno scritto cristiano delle origini, la Didaché: “L’inviato del Signore non è tanto colui che dice parole ispirate ma colui che ha i modi del Signore” (11,8).

Noi cristiani dobbiamo sempre interrogarci: viviamo il Vangelo oppure lo proclamiamo a parole senza renderci conto della nostra schizofrenia tra parola e vita? La vita cristiana è una vita umana conforme alla vita di Gesù, non innanzitutto una dottrina, non un’idea, non una spiritualità terapeutica, non una religione finalizzata alla cura del proprio io!

monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12454-vita-cristiana

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DEMOGRAFIA

Bomba demografica in arrivo, 20 milioni di anziani nel 2050

In Italia c’è una bomba demografica che sta per scoppiare, con il rischio di far diventare la penisola un “ospizio disorganizzato”. Nel 2050, infatti, ci saranno due milioni e mezzo di italiani in meno e gli over 65, oggi un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo (20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni).

Questi sono alcuni dei dati emersi dalle proiezioni sociodemografiche e sanitario-assistenziali al 2030 e al 2050 elaborate dall’Istat per Italia Longeva – Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva, e presentate oggi al Ministero della Salute nel corso della terza edizione degli Stati generali dell’assistenza a lungo termine. Per il presidente di Istat, Giorgio Alleva, ci si trova davanti a “una questione di sostenibilità strutturale per l’intero Paese”.

Se Italia Longeva parla in una nota di una “bomba demografica pronta a deflagrare”, il suo presidente Roberto Bernabei commenta: “Dobbiamo evitare che l’Italia diventi un enorme ma disorganizzato ospizio nel quale resteranno pochi giovani costretti a lavorare a più non posso per sostenere milioni di anziani soli e disabili”.

Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave come ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. E’ questa una delle proiezioni dell’Italia elaborate dall’Istat per Italia Longeva – Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva, e presentate oggi al Ministero della Salute nel corso della terza edizione degli Stati generali dell’assistenza a lungo termine. “Curarli tutti in ospedale – commenta Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva – equivarrebbe a trasformare Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna e Firenze in grandi reparti a cielo aperto. È evidente, quindi, che le cure sul territorio non rappresentano più un’opzione, ma un obbligo per dare una risposta efficace alla fragilità e alla non autosufficienza dei nostri anziani, che si accompagnerà anche a una crescente solitudine”. “Le stime Istat per Italia Longeva ci dicono che, nel 2030, potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno da soli, e di questi, 1 milione e 200mila avrà più di 85 anni”, aggiunge. Sempre secondo lo studio, al Nord un over65 ha il triplo delle possibilità in più di essere ospitato in una residenza sanitaria assistenziale rispetto a un cittadino del Sud, e ha a disposizione circa il quintuplo di assistenza domiciliare, in termini di ore e di servizi. “C’è poi la disabilità – prosegue Bernabei – che nel 2030 interesserà 5 milioni di anziani, e diventerà la vera emergenza del futuro e il principale problema di sostenibilità economica” per l’Italia. “Essere disabile vuol dire avere bisogno di cure a lungo termine che, solo nel 2016, hanno assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben tre miliardi e mezzo pagati di tasca propria dalle famiglie”, conclude.

ANSA. 11 luglio 2018

www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/salute_65plus/assistenza/2018/07/11/bomba-demografica-in-arrivo-20-milioni-di-anziani-nel-2050_10aabd48-6612-45c8-852b-81e6c15f0ccf.html

 

Popolazione: in Europa sempre meno culle.

Il nuovo rapporto Eurostat sulla demografia nell’Ue segnala un aumento complessivo degli abitanti, che superano quota 512 milioni. Ma il saldo positivo si deve solo alle migrazioni, mentre i decessi superano le nascite. In un anno 90mila neonati in meno. L’Irlanda è il Paese con la maggior percentuale di bebè, l’Italia – assieme ai Paesi del sud – è in fondo alla classifica

La popolazione europea cresce, anche se i decessi superano le culle; il saldo migratorio evita un eccessivo invecchiamento dell’Ue. E si conferma lo stallo delle nascite, con l’Italia fanalino di coda. Eurostat, l’istituto statistico della Commissione europea, presenta i dati demografici dei 28 Paesi aderenti all’Unione al 1° gennaio 2018, confermando alcune tendenze note e mettendone in mostra altre non sempre considerate a dovere. Fra queste, una Europa divisa nettamente in due proprio in relazione alla natalità: le nazioni del nord mostrano saldi positivi, spesso in crescita; i Paesi mediterranei sono tutti in crisi-bebè.

Più morti che nati. I numeri parlano da sé. “Al primo gennaio 2018 la popolazione dell’Unione europea era stimata a 512,6 milioni di residenti, contro i 511,5 dell’anno precedente”, si legge nel rapporto Eurostat diffuso a Bruxelles. “Nel corso del 2017 sono stati registrati più decessi rispetto alle nascite”: 5,3 milioni i morti, 5,1 i neonati. “Ciò significa che la variazione naturale della popolazione Ue è negativa. La variazione demografica con saldo positivo (+1,1 milione di abitanti supplementari) è quindi dovuta al saldo migratorio”. Al di là di ogni polemica attorno alle migrazioni, si tratta di un dato da non trascurare.

Chi sale e chi scende. Il Paese più popoloso rimane, ovviamente, la Germania, con i suoi 82,9 milioni di abitanti (oltre il 16% del totale della popolazione Ue), seguita da Francia (67,2), Regno Unito (66,2), Italia (60,5), Spagna (46,7), Polonia (38,0). Malta, Lussemburgo e Cipro – con meno di un milione di abitanti – sono gli Stati demograficamente più piccoli. Malta, però, registra una “strana” crescita della popolazione: +32,9 per mille abitanti nel corso del 2017 (si è avuta di recente una feroce polemica sulla concessione della cittadinanza nell’isola). Crescono anche Lussemburgo, Svezia, Irlanda. All’opposto perdono popolazione Paesi con poche nascite e soprattutto con saldo migratorio nullo o negativo (con giovani e lavoratori che fanno le valigie diretti in altri Stati Ue): si tratta in particolare di Lituania (-13,8 per mille abitanti), Croazia, Lettonia, Bulgaria, Romania. Saldo negativo anche per Italia (-1,7 per mille, passando da 60 milioni 589mila abitanti a 60 milioni 484mila), Grecia, Lettonia, Ungheria e Portogallo.

 

 

Irlanda felix. Ma è sul tasso di natalità che i dati diventano impressionanti: Eurostat conferma in questo caso tendenze risapute Stato per Stato, eppure il confronto su scala europea rende i numeri ancora più significativi. “Nel corso del 2017 sono state registrate 5,1 milioni di nascite nell’Unione europea, ovvero 90mila in meno dell’anno precedente”. Tra gli Stati membri i tassi di natalità più elevati si sono verificati – si legge ancora nel rapporto statistico – in Irlanda (12,9 per mille residenti). L’isola verde è seguita a breve distanza da Svezia, Regno Unito, Francia, Danimarca, Lussemburgo. “I tassi di natalità più bassi si sono invece verificati nei Paesi dell’Europa meridionale: Italia (7,6 nascite per mille abitanti), Grecia, Portogallo, Spagna, Croazia”. Una nuova “cortina di ferro” – non più tra est e ovest, ma tra nord e sud – divide in due il continente.

Gianni Borsa Agenzia SIR 11 luglio 2018

https://agensir.it/europa/2018/07/11/popolazione-in-europa-sempre-meno-culle-e-una-nuova-cortina-di-ferro-divide-il-nord-e-il-sud-del-continente/

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ENTI TERZO SETTORE

Modifiche statutarie

E’ possibile che in occasione delle modifiche statutarie imposte dal Codice del Terzo Settore si adottino anche modifiche statutarie diverse ed ulteriori da quelle necessarie per l’adeguamento al Codice?

Secondo un principio generale, le modifiche statutarie devono essere approvate dall’assemblea dei soci in seduta straordinaria con maggioranze qualificate, quindi con quorum più elevati di quelli necessari per le delibere di natura ordinaria.

L’art. 101, comma 2, del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore), in deroga a tale principio, consente che l’assemblea dei soci possa, entro 18 mesi dall’entrata in vigore della Riforma (pertanto entro il 2 febbraio 2019), approvare le modifiche statutarie necessarie per adeguarsi alle disposizioni del Codice “con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria”.

Trattandosi di una eccezione alla regola generale posta a tutela della sovranità della volontà assembleare, si ritiene che essa non possa trovare applicazione per modifiche diverse ed ulteriori da quelle necessarie per l’adeguamento alla nuova

Non profit on line 11 luglio 2018

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=7835&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+11+luglio+2018&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter

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FAMIGLIA

A Barzio (Valsassina Lecco) l’XI convegno sulla famiglia

È arrivato alla XI edizione l’appuntamento estivo con il convegno sulla famiglia promosso da alcuni professionisti che aderiscono all’Associazione psicologi e psichiatri cattolici. Dal titolo “Amore appassionato: la dimensione erotica dei vissuti famigliari” si terrà a Barzio, sabato 28 luglio, dalle 9.30 alle 13, presso il Centro parrocchiale S. Alessandro (via Parrocchiale 4). I promotori sono il Centro studi psicanalisi del rapporto di coppia di Cremeno (Lc) e Milano e l’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (sezione Lombardia).

L’evento è dedicato alla memoria di Gianni Bassi, tra i curatori e i relatori delle precedenti edizioni. Dopo il saluto dei rappresentanti delle amministrazioni comunali di Barzio e Cremeno – che da anni sostengono, insieme ai promotori, questa iniziativa estiva di riflessione e dibattito – proprio un ricordo di Bassi da parte della moglie Rossana Zamburlin aprirà la mattinata.

Seguiranno le relazioni «Amore erotico nella coppia» (di Enrico Parolari, prete-psicoterapeuta), «Educazione sessuale in famiglia» (di Rossella Semplici, psicologa clinica) e «L’amore al tempo del web» (di Laura Maninchedda, psicoterapeuta e grafologa).

Dopo il coffee-break al terrazzo con vista delle Grigne, i lavori riprenderanno con «Manipolazione e violenza sono dietro l’angolo» (di Maurizio Marrazzo, psicoterapeuta) e «Teologia dell’“intima unione”» (di Adele Colombo, teologa e psicologa). Dalle 12.15 alle 13 il dibattito e le conclusioni.

Sono invitati coniugi e genitori, giovani coppie e nonni, chi si prende cura della relazione di coppia e famigliare nella pastorale, nella formazione, nell’accompagnamento e nelle diverse associazioni che si occupano della famiglia.

www.chiesadimilano.it/wp-content/uploads/2018/06/amore-appassionato-def.pdf

www.chiesadimilano.it/wp-content/uploads/2018/06/amore-appassionato-volantino.pdf

Newsletter chiesa di Milano 13 luglio 2018

www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/a-barzio-lxi-convegno-sulla-famiglia-226275.html

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Crisi demografica: De Palo (Forum famiglie), “senza #pattoXnatalità il welfare italiano esplode”

“Lo diciamo da tempo, l’ennesimo dato dell’Istat conferma i timori che abbiamo più volte manifestato: il crollo demografico legato all’abbandono della famiglia da parte di istituzioni politiche, mondo dell’impresa e mass media sta per far deflagrare il welfare italiano. Per questo, quando leggiamo sui giornali che l’anno della famiglia sarà il 2019 ci preoccupiamo seriamente. La demografia è lenta e apparentemente silenziosa, ma inesorabile”.

Così il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, commenta i dati emersi dalle proiezioni sociodemografiche e sanitario-assistenziali al 2030 e al 2050, elaborate dall’Istat per Italia Longeva – Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva, secondo le quali tra poco più di 30 anni, il Paese avrà perso due milioni e mezzo di cittadini e dovrà fare i conti con una spesa pubblica alle stelle, il servizio sanitario a pagamento e l’impossibilità di pagare le pensioni.

“Solo la famiglia è in grado di fare da ammortizzatore sociale alle difficoltà che la società pone oggi davanti alle persone e alle coppie che vogliono sposarsi e fare figli: carenza di lavoro, fisco asfissiante, assenza di provvedimenti che valorizzino la scelta di diventare genitori”, sottolinea il presidente nazionale del Forum famiglie. “C’è bisogno di trasformare in realtà il #pattoXnatalità che abbiamo proposto. Occorre che politica, imprese, mass media, società civile e istituzioni intervengano subito, per evitare una crisi irreversibile della famiglia che provocherebbe il default dell’intero Paese. Possibile che interessi solo a noi il futuro dei nostri figli?”, conclude De Palo.

Agenzia SIR 11 luglio 2018

www.agensir.info/quotidiano/2018/7/11/crisi-demografica-de-palo-forum-famiglie-senza-pattoxnatalita-il-welfare-italiano-esplode

 

Fisco, De Palo: “Le famiglie meritano giustizia, stop alle elemosine”

“Anche la Corte dei Conti ribadisce come le misure messe in campo negli ultimi anni in campo fiscale dai Governi che si sono succeduti non sono andate al ‘nocciolo’ vero del problema: non serve moltiplicare gli scaglioni di reddito imponibile, né elargire mancette o bonus estemporanei e tra loro slegati come ‘gentile concessione’, utilizzando come criterio quello di redistribuire quanto rimane delle tasse riscosse dopo aver sottratto le spese.

È ora di rivoluzionare alla radice il sistema fiscale, pensando finalmente al reddito realmente disponibile dei nuclei familiari, ovvero quello che resta loro in tasca dopo aver sostenuto tutte le spese necessarie per assolvere alle responsabilità familiari e sociali”: così il presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo, a commento delle indicazioni espresse oggi dalla Corte dei Conti attraverso il Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica.

“Finalmente si levano voci autorevoli che chiedono di velocizzare urgenti riforme strutturali – sottolinea Francesco Bianchini, delegato al Fisco del Forum Famiglie –. Come Forum chiediamo d’introdurre fin da subito la prevista riforma della no-tax area di 780 euro mensili a persona, che cresce in base al numero di figli, applicando allo scopo la scala OCSE presente nel Contratto di Governo“.

“Il Forum Famiglie chiede da tempo una riforma strutturale del sistema e lo stop alle elemosine ‘una tantum’, che non portano alcuna ulteriore ricchezza nelle tasche dei nuclei familiari e, anzi, stanno sfiduciando anche quelle coppie– e sono ancora tantissime in Italia – che vorrebbero sposarsi e fare figli, ma non vedono davanti a loro prospettive rassicuranti. È anche a loro che bisogna guardare, da subito, per invertire la rotta, mettendo a punto provvedimenti in grado di ridare impulso alla natalità”, conclude De Palo.

Comunicato Stampa 11 luglio 2018

www.forumfamiglie.org/2018/07/12/fisco-de-palo-le-famiglie-meritano-giustizia-stop-alle-elemosine

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GOVERNO

Fisco e natalità, revisione della certificazione di disabilità: ecco le deleghe al ministro Fontana

In Gazzetta Ufficiale le deleghe del ministro su famiglia, minori, adozioni, disabilità, droga. Presidente della Commissione Adozioni Internazionali resta il premier Conte.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2018-07-05&atto.codiceRedazionale=18A04662&elenco30giorni=true

È ufficiale, dal 14 giugno 2018 il Ministro Lorenzo Fontana ha la delega per le funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di famiglia, comprese adozioni, minori, disabilità e politiche antidroga. Le deleghe sono dettagliate nel decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 luglio2018

Famiglia. C’è il tema demografico, quello generazionale, ma anche un passaggio sulla fiscalità e una riduzione promessa del costo degli asili nido. Rispetto alla delega su politiche per la famiglia e adozioni il ministro esercita funzioni di indirizzo, di coordinamento e di promozione di iniziative anche normative, di vigilanza e verifica. All’articolo 2 vengono citate espressamente la promozione e coordinamento delle politiche governative volte a «garantire la tutela dei diritti della famiglia in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali e relazionali» come pure quelle volte a sostenere «il benessere della famiglia, dando impulso a interventi in ogni ambito, ivi compreso quello economico, fiscale, del lavoro, della salute, dell’istruzione e della cultura», dove ovviamente la parola che più suscita aspettative è quel «fiscale». Da Fontana passeranno le azioni del Governo in «materia di regime giuridico delle relazioni familiari» ma anche quelle «dirette a superare la crisi demografica e a realizzare gli interventi per il sostegno della maternità e della paternità». Il Governo Conte, tramite il ministro Fontana, si dice ufficialmente intenzionato a «promuovere intese in sede di Conferenza unificata» per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi «anche al fine della riduzione del costo dei servizi, in particolare per le famiglie numerose» e a «sostenere la conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura della famiglia». Una novità è la volontà di fare una «analisi di impatto delle misure di carattere economico e finanziario adottate dal Governo in favore della famiglia e a sostegno della natalità».

Adozioni. Il Ministro Fontana presidierà l’Osservatorio nazionale sulla famiglia ma non la Commissione Adozioni Internazionali, la cui presidenza resta esplicitamente al premier Giuseppe Conte. Sulle adozioni, il decreto afferma che Fontana «è delegato ad esercitare le funzioni di indirizzo, di coordinamento e di promozione di iniziative in materia delle adozioni di minori italiani e stranieri, ferme restando quelle attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri quale Presidente della Commissione per le adozioni internazionali» (art 2, comma 5).

In generale sulle politiche per Minori le funzioni di indirizzo, di coordinamento e di promozione delle politiche si dettagliano ad esempio nel contrasto di «ogni forma di violenza e abuso dei minori», «contrasto alla pedopornografia».

Disabilità. Il Ministro «in particolare è delegato a promuovere e coordinare le politiche governative volte a garantire la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità e a favorire la loro piena ed effettiva partecipazione e inclusione sociale, nonché la loro autonomia, in coerenza con la Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

Nell’articolo 4 del decreto si fa riferimento alla riferimento alla «revisione del sistema di certificazione della condizione di disabilità»; alla «attuazione del principio di parità di trattamento, pari opportunità e non discriminazione nei confronti delle persone con disabilità, anche con riguardo alle politiche per l’inclusione lavorativa e scolastica»; si punta a «sviluppare una governance coordinata tra i diversi livelli di Governo delle prestazioni e dei servizi socio-sanitari ed educativi in favore delle persone con disabilità»; si scrive nero su bianco che si vuole «favorire l’adozione di buone pratiche per la realizzazione di interventi in materia di vita indipendente e contrasto alla segregazione e all’isolamento delle persone con disabilità»; si cita anche il Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità.

Fontana rappresenterà il Governo ai fini della completa attuazione della riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale, limitatamente ai profili inerenti alle materie concernenti la disabilità.

Con il Governo Conte torna anche la delega in materia di politiche antidroga, anch’essa al ministro Fontana. Le funzioni in materia di politiche per la famiglia e le disabilità possono essere esercitate anche tramite del Sottosegretario Vincenzo Zoccano.

Sara De Carli Vita it 12 luglio 2018

www.vita.it/it/article/2018/07/10/fisco-e-natalita-revisione-della-certificazione-di-disabilita-ecco-le-/147539

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HUMANÆ VITÆ

Humanæ vitæ, il primo testo dell’enciclica fu bocciato da Paolo VI

Papa Montini approvò nel maggio 1968 il testo di un’enciclica che avrebbe dovuto essere intitolata “De nascendæ prolis“. Poi ci ripensò. Lo rivela Marengo, docente di antropologia teologica.

Humanæ vitæ, una storia da riscrivere. Con buona pace dei detrattori ad oltranza ma anche di chi continua a indicarla come pronunciamento infallibile e irreformabile. Invece, come nella maggior parte delle vicende umane, la verità sta nel mezzo.

L’enciclica, di cui il prossimo 25 luglio ricorre l’anniversario dei 50 anni, fu davvero frutto della decisione coraggiosa di papa Montini che seppe attualizzare con efficacia un valore fondamentale della dottrina cristiana – cioè l’intimo collegamento tra l’amore e la fecondità – ma che poi nella traduzione normativa di quel principio, pur superando posizioni datate, ritenne opportuno mantenersi nel solco della tradizione.

Percorso non casuale ma che in qualche modo potremmo leggere come una decisione a metà strada tra l’intimo convincimento di Montini stesso e la necessità di non prendere le distanze in modo troppo divergente da una Segreteria di Stato e da una Congregazione per la dottrina delle fede ancora nettamente orientate alla difesa delle posizioni di sempre. Per arrivare all’equilibrio di Humanæ vitæ, Paolo VI fu quindi costretto a superare lo scoglio di un’altra enciclica, De nascendæ prolis, densa di dottrina e di normatività restrittiva. Un testo già stampato nella versione ufficiale latina che avrebbe dovuto vedere la luce il 23 maggio 1968 ma che poi, con scelta davvero profetica, il Papa decise alla fine di mettere da parte.

Il nuovo sorprendente capitolo nella storia dell’enciclica più controversa e più disattesa del magistero pontificio è condensato in un saggio prezioso, “La nascita di un’enciclica. Humanæ vitæ alla luce degli Archivi Vaticani” (Libreria Editrice Vaticana) scritto da Gilfredo Marengo, docente di antropologia teologica al Pontificio istituto teologico “Giovanni Paolo II”.

Lo studioso aveva annunciato l’agosto scorso, proprio su queste colonne, l’avvio del suo lavoro di ricerca. In vista dell’anniversario di Humanæ vitæ il Papa stesso aveva autorizzato l’analisi di documenti, mai indagati perché protetti dalla legge che impedisce ricerche prima dei 70 anni dal compimento degli eventi. Ora quello studio – né segreto né avvolto dal mistero di qualche strano complotto – vede finalmente la luce e dimostra che ne valeva davvero la pena.

La novità più clamorosa riguarda come detto un testo già approvato, stampato e di cui era già stata programmata l’uscita per il 23 maggio 1968, solennità dell’Ascensione. Era il risultato di una riscrittura che Paolo VI aveva affidato al padre domenicano Mario Luigi Ciappi, allora teologo della Casa pontificia, poi cardinale. Ciappi aveva lavorato su un progetto preparato dalla Congregazione per la dottrina della fede, nell’autunno-inverno 1967, dopo che l’anno precedente Montini aveva considerato insoddisfacente il documento conclusivo della Commissione pontificia favorevole, com’è noto, all’uso della contraccezione.

Ma cosa non funzionava in quel testo? «Dal punto di vista dell’impianto generale – spiega don Marengo – colpisce l’intenzione di accrescere, per quanto possibile, il profilo dottrinale già dominante in quello della Congregazione». Ne risultava un’enciclica che, eliminato già nei primi paragrafi il richiamo allo specifico cristiano della comprensione dell’amore coniugale, finiva per configurarsi «come un rigoroso pronunciamento di dottrina morale». Ma non solo, padre Ciappi introdusse anche il richiamo all’eccellenza del celibato e della verginità consacrata e una forte sottolineatura del primato del fine procreativo, in linea con la Casti connubi di Pio XI (1931). Un po’ troppo anche per quell’epoca.

Quando quel testo, come detto già stampato in latino, arrivò in mano ai traduttori, ecco il colpo di scena. Furono soprattutto i teologi francesi (tra gli altri Paul Poupard) e spagnoli (Eduardo Martinez Somalo) a segnalare l’inaccettabilità di un impianto decisamente preconciliare. Il cardinale Giovanni Benelli, allora sostituto di Stato, segnalò il problema a papa Montini. Breve riesame e l’enciclica venne subito congelata. La patata bollente passò a un altro teologo domenicano, padre Benoit Duroux, consultore della Dottrina della fede. Ma anche quel testo non risultò del tutto agevole. Allora, all’inizio di luglio, fu lo stesso Paolo VI a riprendere tutta la sezione pastorale del testo, con una serie di sottolineature di profonda delicatezza che ancora oggi rivelano la sua impronta. Cambiò anche il titolo. Da Vitae tradendæ munus, al più immediato Humanæ vitæ. Nel nuovo libro di Gilfredo Marengo viene pubblicato il testo dell’enciclica con tutte le correzioni manoscritte del Papa.

Tra le altre sorprese uscite dagli Archivi Vaticani, quella relativa al primo Sinodo dei Vescovi (autunno 1967) è sicuramente tra le più gustose. In quell’occasione Paolo VI chiese a tutti i padri sinodali di inviargli riflessioni e suggerimenti sul tema della regolazione delle nascite. «La volontà del Papa di consultare tutti i membri della assemblea sinodale – osserva ancora Marengo – è molto importante, perché una delle accuse più ripetute, dopo la pubblicazione di Humanæ vitæ, fu che la sua decisione era avvenuta in maniera non collegiale».

In realtà proprio collegiale non fu perché risposero però solo 26 presuli (i membri del Sinodo erano quasi 200), in un arco di tempo compreso tra il 9 ottobre 1967 e il 31 maggio 1968. E di questi 19 si espressero per la liceità dell’uso di metodi contraccettivi. Soltanto sette chiesero al Papa di pronunciarsi ribadendone l’illiceità. Sappiamo come andò a finire. Anche se forse per la parola fine bisogna attendere ancora.

Luciano Moia Avvenire 10 luglio 2018

www.avvenire.it/chiesa/pagine/humanae-vitae-il-primo-testo-fu-bocciato

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PROCREAZIONE ASSISTITA

Procreazione assistita: ministero della Salute, “cresce in Italia la fecondazione eterologa”

Cresce in Italia la fecondazione eterologa. Lo si legge nella Relazione annuale sullo stato di attuazione della legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita (Pma), relativa all’attività di centri Pma nel 2016 e all’utilizzo dei finanziamenti nel 2017, trasmessa dal ministero della Salute quest’oggi al Parlamento.

www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2617_allegato.pdf

La relazione evidenzia che si conferma la tendenza secondo cui il maggior numero dei trattamenti di fecondazione assistita viene effettuato nei centri pubblici e privati convenzionati. Pur essendo di più i centri Pma privati, emerge che in essi si effettuano meno cicli di trattamento rispetto a quelli pubblici o convenzionati. Dal 2015 al 2106 – si legge nella relazione – aumentano le coppie trattate (da 74. 292 a 77.522), i cicli effettuati (da 95.110 a 97.656) e i bambini nati vivi (da 12.836 a 13.582). L’aumento è fondamentalmente correlato alla fecondazione eterologa e alle tecniche omologhe con crioconservazione di gameti. Diminuiscono, inoltre, le gravidanze gemellari e anche le trigemine, queste ultime in linea con la media europea nonostante una persistente variabilità fra i centri. La relazione presentata oggi in Parlamento conferma l’aumento progressivo delle donne con più di 40 anni che accedono alle tecniche di procreazione assistita. Sono il 35,2% nel 2016 – si legge nella relazione –, erano 20,7% del 2005, e resta costante l’età media delle donne che si sottopongono a tecniche omologhe a fresco: 36,8 anni. Nella fecondazione eterologa l’età della donna è maggiore se la donazione è di ovociti (41,4 anni). Dai dati raccolti dal ministero della Salute emerge che il maggiore ricorso alla “eterologa femminile” sia legato soprattutto all’infertilità fisiologica, dovuta appunto all’età della donna, e non per patologie specifiche. Le percentuali di successo delle tecniche omologhe restano sostanzialmente invariate. All’aumentare dell’età il rapporto tra gravidanze ottenute e cicli iniziati subisce una progressiva flessione mentre il rischio che la gravidanza ottenuta non esiti in un parto aumenta. Infatti i tassi di successo diminuiscono linearmente dal 23,9% per le pazienti con meno di 35 anni al 4,5% per quelle con più di 43 anni.

Agenzia SIR 13 luglio 2018

http://preprod.agensir.it/quotidiano/2018/7/13/procreazione-assistita-ministero-della-salute-cresce-in-italia-la-fecondazione-eterologa

 

Aumento fecondazione eterologa spia di una società individualistica”

Dalla relazione del ministero sullo stato di attuazione della legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita (Pma) “emerge un aumento in percentuale dei trattamenti di fecondazione eterologa, che non corrisponde a una sterilità patologica ma a una sterilità o infertilità fisiologica, cioè legata all’età delle donne che vogliono una gravidanza”. “Questo significa che le tecniche di fecondazione eterologa, nonostante le percentuali di successo siano sempre basse, sono il frutto di una scelta antropologica, non medica”. Lo dice al Sir Assuntina Morresi, docente di Chimica fisica all’Università di Perugia e membro del Comitato nazionale per la bioetica, commentando il dato indicato nella relazione relativa all’attività di centri di Pma nel 2016.

Un dato, quello indicato dall’esperta, che a suo avviso “testimonia un totale cambiamento antropologico della società che va verso una direzione individualistica”. “Abbiamo di fronte una società in cui vale ciò che si ha intenzione di fare – spiega – e non ciò che effettivamente succede. Non si è più genitori se si genera vita ma se si ha intenzione di farlo, a prescindere dalle condizioni di età. La natalità diventa un fenomeno dovuto a scelte dei singoli”. Morresi ricorda, inoltre, che “al momento l’accesso alla fecondazione eterologa è possibile per coppie eterosessuali, sposate o conviventi. Ma “non è un caso se già adesso ci sono richieste di coppie di persone dello stesso sesso e single”.

Agenzia SIR 14 luglio 2018

www.agensir.it/quotidiano/2018/7/14/procreazione-assistita-morresi-comitato-per-la-bioetica-aumento-fecondazione-eterologa-spia-di-una-societa-individualistica/?ref=sir_widget_466629

 

Casini (Mpv), “la relazione del ministero omette informazioni su garanzia dei diritti del concepito

“La relazione omette informazioni dettagliate e riflessioni valutative in merito a uno degli scopi che la legge dichiara di perseguire: la garanzia dei diritti del concepito”. Lo dichiara al Sir la presidente del Movimento per la vita italiano (Mpv), Marina Casini Bandini, in riferimento alla Relazione annuale sullo stato di attuazione della legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita (Pma), relativa all’attività di centri Pma nel 2016 e all’utilizzo dei finanziamenti nel 2017, trasmessa dal ministero della Salute ieri al Parlamento.

Ricordando che l’articolo 1 della legge “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito” e che “il figlio chiamato alla vita è il soggetto principale di tutta la vicenda procreativa”, la presidente chiede “quali sono stati a questo riguardo gli esiti della legge? La tutela promessa dal suo articolo 1 è stata adeguatamente attuata? La relazione su questo tace”.

Un altro aspetto su cui Casini Bandini invita alla riflessione è il dato che indica un aumento del ricorso alla fecondazione eterologa. “Fermo restando che la fecondazione eterologa viola il diritto del figlio alla unitarietà delle figure genitoriali, si pone la domanda: perché non vengono ‘utilizzati’ gli embrioni umani già esistenti in Italia e rimasti privi di un progetto parentale? Il destino di questi embrioni è la morte se non vengono destinati alla nascita. È dunque irrazionale importare embrioni umani in presenza di concepiti italiani in stato di abbandono – spiega Casini Bandini – ed è irragionevole generare nuovi embrioni, quando sarebbe possibile sottrarre a un destino di morte altri embrioni già esistenti, conservati negli stessi ambienti che effettuano la ‘Pma’ e rimasti senza un piano genitoriale”.

Agenzia SIR 14 luglio 2018

www.agensir.it/quotidiano/2018/7/14/procreazione-assistita-casini-mpv-la-relazione-del-ministero-omette-informazioni-su-garanzia-dei-diritti-del-concepito

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SESSUOLOGIA

Per Oms dipendenza da sesso è un disordine mentale

In passato hanno fatto scalpore i ricoveri di divi di Hollywood, cantanti e sportivi ‘sesso-dipendenti’.

Ora l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inserito la dipendenza da sesso fra i disordini mentali. Una novità che arriva con l’aggiornamento dell’International Classification of Diseases (Icd11) che sarà presentato all’Assemblea annuale dell’Oms nel maggio 2019.

L’Icd11 entrerà in vigore ufficialmente nel 2022, per consentire a tutti gli Stati membri di prepararsi alle novità.

Nota come disordine del comportamento sessuale compulsivo, la sesso-dipendenza è definita come un’incapacità nel controllare impulsi sessuali intensi, che porta chi ne è affetto a trascurare la propria salute e, spesso, a non trarre piacere nemmeno dall’intimità sessuale, secondo l’Oms.

I pazienti devono soffrire di questo disordine da almeno 6 mesi, per una diagnosi di dipendenza da sesso.

Una novità salutata con entusiasmo sulla stampa britannica da Valerie Voon del Royal College of http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/07/12/una-risposta-al-documento-finale-del-pre-sinodo-2018/Psychiatrists, convinta che solo in Gran Bretagna il 2-4% della popolazione soffra di dipendenza da sesso.

L’inserimento di questa condizione nella nuova lista dell’Oms rappresenta “un passo avanti per i pazienti – afferma l’esperta – dal momento che consente loro di riconoscere che hanno un problema.

Li toglie dall’ombra e permette loro di chiedere aiuto”.

AdnKronos Salute 11 luglio 2018

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=44955

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SINODO SUI GIOVANI

Francesco nomina i Presidenti delegati

Il Papa ha nominato oggi i Presidenti delegati per il Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani che si terrà dal 3 al 28 ottobre 2018. Fervono i preparativi per il Pellegrinaggio che porterà a Roma migliaia di giovani.

In vista della XV Assemblea Generale Ordinaria sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, il Papa ha nominato Presidenti delegati: il cardinale Louis Raphaël I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Capo del Sinodo della Chiesa Caldea (Iraq); il card. Désiré Tsarahazana, arcivescovo di Toamasina (Madagascar) e il card. Charles Maung Bo, S.D.B., arcivescovo di Yangon (Myanmar).

Le funzioni del Presidente delegato. Nel II capitolo dell’Ordo Synodi Episcoporum, cioè il Regolamento del Sinodo dei Vescovi, in vigore dal 29 settembre 2006, sono descritti i compiti del Presidente delegato: tra questi quello di presiedere l’Assemblea sinodale in nome e per autorità del Pontefice da cui è nominato. Il suo incarico cessa con lo scioglimento dell’assemblea per la quale è stato nominato e se, come in questo caso, il Papa incarica più di uno a presiedere l’assemblea, i Presidenti delegati si succedono tra loro nell’incarico stesso, secondo l’ordine stabilito dal Pontefice.

Al Presidente delegato compete: guidare i lavori del Sinodo; attribuire ad alcuni Membri, quando se ne ravvisi l’opportunità, compiti particolari affinché l’assemblea possa applicarsi ai suoi lavori in modo migliore; infine firmare gli atti dell’assemblea. Se ci sono più Presidenti delegati, tutti firmano gli atti conclusivi dell’assemblea.

Giovani in pellegrinaggio per prepararsi al Sinodo. Il 3 agosto, da tutta la penisola prenderà il via un grande cammino che condurrà i giovani verso Roma, e seguendo l’antica tradizione sviluppata sui percorsi storicamente più attestati, molte diocesi hanno preparato la “credenziale” per il proprio pellegrinaggio: un foglio su cui verranno timbrate le tappe del percorso. Per sostenere i pellegrini fino a Roma è stato pensato un kit con una croce che riproduce il volto di Gesù dipinto da Kees de Kort, un braccialetto-rosario, un diario, un libretto con il brano “Maestro dove abiti” di Giovanni e un testo inedito di Erri de Luca, un piccolo telo di lino che riproduce la Sindone, un cappello, una lampada per la notte, una bisaccia, una borraccia e un porta badge con la cartina di Roma per individuare i luoghi di “Siamo qui”.

“Siamo qui”, le giornate a Roma. Tappa finale del Pellegrinaggio sarà il Circo Massimo dove i giovani si ritroveranno l’11 agosto per prendere parte alla veglia con Papa Francesco. L’incontro comincerà alle 16.30 con la musica e la testimonianza dei The Sun, la rock band italiana che si è formata nel 1997 e che dal 2008 ha dato una svolta alla propria musica componendo in italiano, producendo testi sui valori del cristianesimo e sostenendo diverse realtà solidali. Subito dopo l’arrivo del Papa, la veglia di preghiera e la “Notte bianca”: fino alle 4 del mattino, porte aperte in alcune chiese sul percorso Circo Massimo-San Pietro per la preghiera personale e comunitaria, le confessioni e l’animazione di associazioni, diocesi e movimenti, per fermarsi a riflettere partendo da testimonianze, performance, incontri tematici. A chiusura dell’evento, domenica 12 agosto alle 9.30, la Messa a piazza San Pietro.

Proseguono intanto i lavori in preparazione all’assemblea sinodale: lo scorso 19 giugno in Sala Stampa vaticana si è tenuta la presentazione dell’Istrumentum Laboris e nel marzo scorso, a Roma, si è svolto un incontro in preparazione al Sinodo a cui hanno partecipato giovani da diverse parti del mondo. Il documento cerca di offrire alcune chiavi di lettura della realtà giovanile, basandosi anche sulle risposte ad un questionario on line a cui hanno partecipato oltre centomila ragazzi. Tra le parole-chiave dell’Istrumentum Laboris quella dell’ascolto e dell’accompagnamento spirituale, psicologico, familiare e vocazionale dei giovani. Il tema scelto per il Sinodo è: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Adriana Masotti, Tiziana Vatican news 14 LUGLIO 2018

www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-07/papa-francesco-nomine-presidenti-delegati-sinodo-vescovi-giovani.html

 

Davide e Salomone, invitati speciali al sinodo sui giovani

Il 3 ottobre 2018, data d’inizio del prossimo sinodo dei vescovi, è sempre più vicino. Ma ancora alla metà di luglio il documento che dovrebbe fare da “instrumentum laboris” dell’assise è praticamente semiclandestino. È stato presentato alla stampa il 19 giugno, ma è tuttora accessibile solo on line e solo in lingua italiana.

www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20180508_instrumentum-xvassemblea-giovani_it.html

Chi l’ha letto, in ogni caso, non ne è stato conquistato. Così come non risulta che abbiano prodotto qualcosa di memorabile le precedenti tappe di avvicinamento al sinodo. Il tema in esame non è dei più facili: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Ma il lavoro preparatorio è per lo più consistito in una disordinata somma di “ascolti”, o tramite questionari o tramite convocazioni di giovani variamente assortiti, come i 300 convenuti a Roma lo scorso marzo, più i 15 mila con loro collegati via web in tutto il mondo.

“Ascolti” trattati con modelli sociologici di bassa qualità, per registrare “domande” e “disagi” già ampiamente risaputi. Quando invece, ad esempio, per mettere a fuoco lo stacco che divide un po’ in tutto il mondo le generazioni più giovani da quelle più adulte nel vissuto religioso, con un netto calo di religiosità tra i giovani, basterebbe semplicemente dare un’occhiata a questa recente inchiesta del Pew Research Center di Washington: www.pewforum.org/2018/06/13/the-age-gap-in-religion-around-the-world

La modestia del lavoro preparatorio è soprattutto evidente nella pochezza delle indicazioni propositive. Come dal Concilio Vaticano II si attendeva una parola originale detta dalla Chiesa al mondo, così dal prossimo sinodo si aspetta una parola forte detta dalla Chiesa alle giovani generazioni. Una parola che non sia quella che il “mondo” è già capace di dire, ma che abbia in sé l’impronta unica del “Verbum”, del “Logos” fatto uomo in Gesù. Se questa è la posta del prossimo sinodo, allora l’articolo d’apertura dell’ultimo numero della “Civiltà Cattolica” vale da solo più di tutta l’inutile mole dei testi preparatori fin qui prodotti:

www.laciviltacattolica.it/articolo/io-sono-solo-un-ragazzo

Ne è autore il biblista Vincenzo Anselmo, 39 anni, gesuita, che si occupa a Napoli anche della formazione dei futuri sacerdoti diocesani dell’Italia meridionale. In questo suo articolo, egli assume come modello per la Chiesa – riguardo alle giovani generazioni – l’agire di Dio con Davide e Salomone, entrambi chiamati quando erano in giovanissima età per compiti impensabili a una valutazione umana, eppure decisivi nella storia della salvezza.

Sia Davide che Salomone sono valorizzati da Dio anche per i loro talenti – abilità, coraggio, saggezza –, poco riconosciuti se non irrisi, invece, inizialmente dagli uomini del loro tempo, e più ancora per la determinazione di Davide nel trasmettere al figlio Salomone la legge e le promesse divine, alle quali mantenersi sempre fedeli nell’ascolto e nell’obbedienza.

E non si mostra indulgente Dio, quando Salomone sacrifica sulle alture, cedendo a quell’idolatria che era il tentatore “spirito del tempo”. Anzi, proprio lì gli appare e risveglia in lui il desiderio di “un cuore che ascolta” la parola divina prima e più di ogni altra parola umana, secondo quella che diventerà fino ai giorni nostri la preghiera quotidiana del credente israelita: “Shema’ Israel”, “Ascolta, Israele!”.

Dopo aver richiamato anche la vicenda del profeta Geremia, atterrito per la missione a cui Dio lo chiama quando ancora “io non so parlare, perché sono un ragazzo”, padre Anselmo conclude così il suo articolo: “Nella storia della salvezza, il Signore si fida dei giovani e affida proprio ad alcuni di loro le sorti del suo popolo”.

C’è da sperare che in sinodo i vescovi cestinino la banale sociologia dei testi preparatori e assumano seriamente questa lezione delle Sacre Scritture.

A margine di questa nota, va segnalato che anche tra i giovani convocati a Roma per la riunione pre-sinodale del 19-24 marzo 2018 sono affiorate contestazioni al documento che la segreteria del sinodo ha ricavato dalla riunione.

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/03/24/0220/00482.html#itali

In particolare, un folto gruppo di giovani tra i 16 e i 29 anni, provenienti da Stati Uniti d’America, Pakistan, Hong Kong, Polonia, Irlanda, Inghilterra e altri paesi ancora, hanno inoltrato a papa Francesco un loro argomentato documento alternativo in lingua inglese, presentato e pubblicato integralmente il 21 maggio su LifeSite News:

www.lifesitenews.com/news/catholic-youth-issue-their-own-pre-synod-document-church-must-proclaim-the

In esso si legge tra l’altro:

“Noi desideriamo che la Chiesa sia popolare, perché tutti conoscano l’amore di Cristo. Tuttavia, se dobbiamo scegliere tra popolarità e autenticità, scegliamo l’autenticità”.

E ancora:

“Noi non desideriamo alcun annacquamento o alterazione degli insegnamenti della Chiesa. Rifiutiamo completamente l’idea che la Chiesa debba cambiare la sua dottrina per soddisfare le esigenze del mondo”.

Del documento, è ora disponibile una traduzione integrale in lingua italiana, approntata da un giovane esponente pakistano del gruppo, Zarish Neno:

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/07/12/una-risposta-al-documento-finale-del-pre-sinodo-2018/

Sandro Magister Settimo cielo 12 luglio 2018

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/

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