UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 669 – 1 ottobre 2017
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ADDEBITO Separazione con addebito se l’amicizia fa sospettare tradimento.
02 ADOLESCENZA Anoressia nervosa: i rischi per gli adolescenti.
03 ADOZIONEAdozione internazionale e nazionale in uno Stato straniero.
04 ALIMENTI Chi paga gli alimenti.
05 AMORIS LÆTITIA Anche la correctio genera dubia. Commento di un filosofo del diritto
06 Qualche domanda, prima di parlare di eresia.
08 La morale dell’Amoris lætitia è tomista. Che intende dire il Papa?
11 Papa Francesco sulle riserve alla AL: la teologia si fa in ginocchio.
13 Arcana Amoris Lætitia.
17 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Se il figlio non cerca lavoro, stop mantenimento dei genitori.
18 ASSISTENZA 91 mila minori assistiti per maltrattamenti.
19 CASA FAMILIARE Revocata assegnazione alla madre se la figlia vuole stare col padre
19 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 35, 27 settembre 2017.
20 CHIESA CATTOLICA Un passo avanti, due indietro. Uguaglianza di genere e religioni.
23 CONFERENZA SULLA FAMIGLIAInterventi istituzionali e documenti.
23 Famiglia. La risposta monca.
24 Gentiloni: La famiglia l’ancora degli italiani negli ultimi 10 anni.
25 L’annuncio. Padoan: cinque miliardi alle famiglie, ma faremo di più.
26 Cinque idee per salvare l’Italia salvando le famiglie.
27 Tavolo sul Welfare Famiglia.
28 Matone: «Famiglia, adesso la svolta è possibile».
29 Le attese. Le associazioni al governo: no slogan, ora misure.
31 Le famiglie sono stanche di promesse.
31 L’intervista. De Palo: «Siamo delusi, il governo non ha capito».
32 AAA di Affido, Adozione e Accoglienza minori stranieri.
33 Natalità, fisco, libertà di educazione: le famiglie attendono risposta.
34 Il fallimento della Conferenza sulla famiglia.
35 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIA Coppia. Sfide e risorse del vivere insieme.
35 CONSULTORI FAMILIARI Seminari di Formazione della Rete dei consultori della Toscana.
36 Torino Punto Familia. Aiuto alle coppie a curare la loro relazione.
36 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Parma Famiglia più. Laboratorio il filo che ci unisce.
36 CONVIVENZA Contratto di convivenza: come funziona.
37 DALLA NAVATA XXVI domenica del tempo ordinario – Anno A – 1 ottobre 2017.
37Peccatori manifesti e prostitute vi passano avanti nel regno di Dio!
39 ETS (già onlus) NON PROFIT Vincoli per gli enti del terzo settore.
39 5MATERNITÀ Licenziamento di una neo mamma o in gravidanza.
40 PROCREAZIONE RESPONSABILE Corsi di INER e del Centro lombardo Metodo Billings.
41 SESSUOLOGIA Contagio infezione a trasmissione sessuale: posso denunciare?
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ADDEBITO
Separazione: causa l’addebito l’amicizia intima che fa sospettare un tradimento
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 21657, 19 settembre 2017.
Paese piccolo e gente che mormora. Un atteggiamento che reca anche rischi seri per chi decide di separarsi: infatti, può vedersi addebitare la separazione chi intrattiene una relazione adulterina che genera plausibili sospetti di infedeltà nell’ambiente in cui è stata coltivata e nel quale i coniugi vivono.
In sostanza, può scattare l’addebito se la comunità sospetta che il partner abbia una relazione extraconiugale con un’altra persona, anche laddove si tratti in realtà di amicizia molto intima e non si sostanzi in un adulterio. Un simile atteggiamento, infatti, è comunque idoneo a offendere la dignità e l’onore dell’altro coniuge.
È il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, con cui gli Ermellini hanno respinto l’impugnazione avanzata da un uomo a cui era stata addebitata la separazione e posta a carico una somma di 800 euro mensili per il mantenimento della ex moglie.
In Cassazione, tra le diverse censure avanzate, l’uomo sostiene l’irrilevanza del tradimento ai fini dell’addebito, ma non è così per i giudici.
Per gli Ermellini le sue doglianze sono, in parte, inammissibili perché, sotto le apparenti spoglie della violazione di generici dispositivi di legge, sollecitano un sostanziale riesame delle risultanze processuali e una diversa valutazione degli apprezzamenti su fatti accertati ai fini della regolazione della separazione giudiziali, ma sono anche manifestamente infondate.
Infatti, le censure sono in contrasto con il principio di diritto posto dal giudice di legittimità (Cass., sent. 8929/2013) secondo cui “La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 cod. civ. quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge”.
Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 21 settembre 2017 SENTENZA
www.studiocataldi.it/articoli/27539-separazione-addebito-al-marito-per-l-amicizia-intima-che-fa-sospettare-il-tradimento.asp
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ADOLESCENZA
Anoressia nervosa: i rischi per gli adolescenti
L’anoressia nervosa è un disturbo del comportamento alimentare (DCA) che emerge di frequente in fase adolescenziale. I sintomi dell’anoressia nervosa sono: rifiuto del cibo, mancanza di appetito, calo di peso,
Intensa paura di diventare grassi, scarsa autostima.
L’anoressia, ossia la mancanza cronica di appetito, può sorgere per svariate ragioni e può essere conseguenza di diverse patologie; tuttavia negli adolescenti questa ha solitamente cause psicologiche e viene definita anoressia nervosa.
Anoressia nervosa e disagio adolescenziale. Il disagio preadolescenziale e adolescenziale è un tema molto delicato che va affrontato dai genitori con la giusta consapevolezza e preparazione. Questo, infatti, se sottovalutato, può portare all’insorgere di condizioni patologiche, proprio come l’anoressia nervosa.
Quando il disagio adolescenziale diventa tale per cui interferisce con le normali attività del ragazzo/a (come per l’appunto mangiare) è chiaro che bisogna individuare le cause del problema, prima che questo abbia delle conseguenze nefaste per la salute. Troppo spesso, nella mia esperienza ho notato che si tende a cercare cause generali a questo fenomeno, senza tuttavia dare il giusto peso al ruolo che i genitori e gli adulti di riferimento giocano nello sviluppo dell’adolescente.
Parlare di generazione senza ideali, o dare la colpa alle nuove modalità di interazione tecnologica, non è di aiuto a comprendere il fenomeno del disagio adolescenziale e a fornire le giuste risposte. È solo con un’attenta analisi del problema e con l’aiuto di figure specializzate che si può realmente aiutare i ragazzi, di qualunque generazione.
Anoressia nervosa: sintomi e diagnosi. Cerchiamo di capire un po’ meglio come si possono spiegare i fenomeni di disagio adolescenziale e in particolare il disagio che si può manifestare in un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) quale l’anoressia. Intanto vediamo cos’è l’anoressia e come può esser diagnosticata.
I criteri diagnostici DSM-5 dell’anoressia nervosa sono i seguenti:
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Restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è definito come un peso inferiore al minimo normale oppure, per bambini e adolescenti, meno di quello minimo atteso.
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Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.
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Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
Traumi infantili e anoressia nervosa. È noto che l’esordio dell’anoressia è da collocarsi più spesso nelle ragazze che nei ragazzi ed è spesso proprio tipico del periodo adolescenziale.
Ora quello che sappiamo è che l’adolescenza è un periodo di crisi fisiologico, in cui una serie di cambiamenti ormonali e fisici fanno il paio con l’esigenza di strutturare la propria personalità adulta. Come tutti i periodi di crisi dell’arco della vita, a seconda delle basi di partenza, si possono installare dei veri e propri disturbi psichici quale per esempio l’anoressia.
Esistono dei fattori protettivi e dei fattori di rischio. Se il ragazzo arriva all’adolescenza partendo da un’infanzia serena che gli ha permesso di costruire un equilibrio psichico solido, la crisi adolescenziale viene attraversata e superata. Se invece il ragazzo ha subito in età infantile quelli che vengono definiti dei piccoli traumi dell’attaccamento, la crisi adolescenziale non è che la goccia che fa traboccare il vaso.
Poi è la storia personale e familiare e il contesto a fornire lo spunto per il tipo di disturbo che i ragazzi svilupperanno. Complice anche l’emulazione che tra i ragazzi adolescenti è un modo per sviluppare la personalità ma a volte può esser fonte di malessere dove ad essere emulati sono i sintomi.
Come si interviene? Con una psicoterapia familiare accompagnata da colloqui individuali con l’adolescente che deve esser aiutato a superare i traumi e svincolarsi dalla famiglia per affrontare al meglio questa crisi e costruire una personalità autonoma, equilibrata e sana.
Dr Silvia Garozzo, specialista in psicologia clinica e psicologia e psicoterapia Pagine mediche
www.paginemediche.it/medicina-e-prevenzione/disturbi-e-malattie/anoressia-nervosa-i-rischi-per-gli-adolescenti
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ADOZIONE
Adozione internazionale e adozione nazionale in uno Stato straniero
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Il report Istat di fine 2016 ci dice che nel 2015 i matrimoni con coppie miste sono stati il 12,4% delle nozze celebrate. Le recenti ondate migratorie non potranno che aumentare questa tendenza. Nei prossimi anni saremo quindi costretti a confrontarci sempre più spesso con problemi di diritto internazionale privato anche in tema di adozione. La procedura italiana di adozione internazionale è notoriamente lunga e farraginosa e probabilmente le coppie miste cercheranno di sfruttare la cittadinanza straniera di uno dei due coniugi per intraprendere un’adozione nazionale nello Stato d’origine del coniuge straniero. Occorre quindi osservare le situazioni concrete e verificare quale delle due procedure, quella italiana di adozione internazionale o quella straniera di adozione nazionale in uno Stato straniero, si applichi a ciascun caso concreto.
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L’articolo 36 comma 4 della legge 184/1983 ci dice che “L’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i Minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione” tracciando quindi il campo di applicazione delle due tipologie di adozione: la coppia mista che risieda in Italia deve intraprendere il percorso italiano di adozione, mentre la coppia mista che voglia intraprendere un percorso di adozione nazionale nel Paese di origine del coniuge straniero deve avere avuto residenza continuativa in tale Paese per almeno due anni consecutivi e dimostrare di avervi effettivamente soggiornato. Per poter accedere ad una procedura di adozione nazionale all’estero occorre quindi non essere iscritti all’anagrafe della popolazione residente di nessun Comune italiano e viceversa risultare residenti all’estero da almeno due anni. Anche se non prescritto dalla legge, si consiglia l’iscrizione all’AIRE, Anagrafe degli italiani residenti all’estero. In mancanza di questo requisito, le pratiche di adozione all’estero non potranno essere riconosciute in Italia.
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La coppia mista di coniugi residenti in Italia deve avviare le pratiche di adozione internazionale dichiarando la propria disponibilità al Tribunale per i Minorenni competente in base alla residenza. Il primo passo da superare è ottenere la dichiarazione di idoneità all’adozione che viene rilasciata da parte del Tribunale con decreto dopo un attento esame, sociale e sanitario, della coppia, che coinvolge anche le rispettive famiglie di origine. Una volta ottenuto il decreto di idoneità (qualora non l’idoneità non venga riconosciuta, il decreto è reclamabile in Corte d’Appello entro 10 giorni dalla notificazione), i coniugi potranno rivolgersi ad una delle associazioni accreditate presso la Commissione per le Adozioni Internazionali istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui intervento è stato reso obbligatorio nelle procedure di adozione internazionale dalla legge 476/1998.
Le fasi successive si svolgono all’estero: i coniugi vengono seguite dall’ente prescelto nell’abbinamento fra minore in stato di abbandono e aspiranti genitori e nella procedura straniera che porta alla sentenza di adozione resa dallo Stato estero. Si noti che lo stato di abbandono del minore deve essere dichiarato dallo Stato di residenza del minore e seguendo la sua normativa interna.
L’ingresso in Italia del minore deve essere preventivamente autorizzato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale rilascia un nulla osta all’ingresso ed alla residenza permanente del minore straniero. Il minore entra in Italia con un visto per adozione rilasciato dal Consolato italiano presso il paese di origine.
Una volta fatto ingresso in Italia, i neogenitori devono rivolgere istanza al Tribunale per i Minorenni competente affinché venga riconosciuto il provvedimento straniero di adozione. E’ questa una speciale procedura di delibazione della sentenza straniera che deroga all’automatico riconoscimento dei provvedimenti stranieri di cui alla legge 218/1995. La deroga viene espressamente sancita dall’articolo 41 comma 2 della legge 218/1995. In questa fase il Tribunale per i Minorenni verifica che la sentenza straniera sia conforme ai principi enunciati dall’art. 4 della Convenzione dell’Aja del 1993 sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata dall’Italia con legge 476/1998.
Soltanto al termine di questa procedura si forma l’atto di nascita ed il minore straniero può dirsi finalmente figlio della coppia ed acquisire la cittadinanza italiana.
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Nell’ipotesi invece di coppia mista residente all’estero da oltre due anni, la procedura da seguire è quella dello Stato estero. Qualora la coppia di genitori voglia far riconoscere lo status di figlio adottivo anche in Italia, la sentenza straniera di adozione non sarà oggetto di delibazione da parte del Tribunale per i Minorenni, ma sarà automaticamente riconoscibile ai sensi dell’articolo 41 comma 1 della legge 218/1995. I genitori dovranno quindi recarsi presso gli ufficio dello Stato Civile del Comune dell’ultimo luogo di residenza dei genitori per far annotare la sentenza.
È evidente che una coppia mista residente all’estero potrà godere di maggiori aperture all’adozione previste dalle legislazioni straniere. Si pensi alla possibilità di adottare concessa a coppie non legate in matrimonio o a coppie omosessuali finanche a singoli soggetti che alcuni ordinamenti stranieri prevedono, diversamente dal nostro.
Sul riconoscimento delle adozioni effettuate all’estero da parte di coppie omosessuali si sono già pronunciati il Tribunale per i Minorenni di Bologna, con un provvedimento del 5.05.2016 di rigetto per incompetenza, e la Corte di Appello di Milano con sentenza del 16.10.2015. Entrambe le pronunce, seguite poi da numerose altre, hanno ritenuto che non vi sia alcuna ragione per ritenere contrario all’ordine pubblico una sentenza straniera che abbia statuito un rapporto di adozione in favore di persone non coniugate, anche dello stesso sesso. Ne consegue quindi che tale provvedimento è suscettibile di trascrizione nei registri dello Stato Civile.
Giorgia Perzia FiLOdiritto n. 665, 18 settembre 2017
www.filodiritto.com/articoli/2017/09/adozione-internazionale-e-adozione-nazionale-in-uno-stato-straniero.html
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ALIMENTI
Chi paga gli alimenti
Gli alimenti servono a garantire i mezzi minimi di sussistenza. Vediamo chi è obbligato a versarli. Il diritto agli alimenti consente al soggetto che versa in stato di bisogno di vivere dignitosamente; in parole povere, gli alimenti servono a soddisfare le esigenze primarie di chi non riesce a provvedere a sé autonomamente [Articoli 433 e seguenti cod. civ.]. La prestazione, dunque, è collegabile direttamente agli obblighi di solidarietà nascenti da un’unione affettiva (ad esempio, il matrimonio), dal vincolo parentale oppure da un sentimento di gratitudine. Volendo trovare un referente normativo ancora più elevato, si può affermare che l’obbligazione alimentare si incardina nell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà previsto dalla Costituzione [Art. 2 Cost.].
Quanto detto ci consente di distinguere gli alimenti da un istituto affine ma diverso: il mantenimento. Il diritto al mantenimento ha una portata più ampia in quanto consente, a chi spetta, di preservare un determinato tenore di vita [Art. 156 cod. civ.] andando ben al di là dei semplici bisogni primari.
Normalmente, sia il mantenimento che gli alimenti vengono corrisposti sotto forma di prestazione economica (assegno); ciò non esclude, tuttavia, che l’obbligo possa essere soddisfatto diversamente, ad esempio ospitando in casa colui che versi in stato di bisogno.
Secondo il codice civile, sono obbligati a prestare gli alimenti, nell’ordine:
1) il coniuge;
2) i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle, con precedenza dei germani (cioè di coloro che hanno gli stessi genitori) sugli unilaterali (coloro che condividono un solo genitore) [Art. 433 cod. civ.].
Gli alimenti devono essere versati in proporzione del bisogno dell’alimentando e delle condizioni economiche dell’obbligato. Nel caso in cui più persone siano contemporaneamente obbligate a versare gli alimenti, ciascuno deve adempiere nel rispetto del principio di proporzione delle proprie situazione patrimoniale [Art. 441 cod. civ.].
Nel corso del tempo le circostanze possono mutare: è possibile che colui che ha diritto agli alimenti abbia trovato lavoro e, pertanto, possa provvedere a se stesso; così come è possibile che la persona obbligata al versamento non abbia più sostanze di cui disporre. In tutti questi casi, il codice civile [Art. 440 cod. civ.] consente di chiedere all’autorità giudiziaria una riduzione dell’obbligo alimentare o, addirittura, la revoca. Per espressa previsione codicistica, inoltre, gli alimenti possono essere ridotti anche per la condotta biasimevole dell’alimentato.
Donazione e alimenti. Vi è un’altra categoria di persone obbligata a versare gli alimenti al ricorrere di determinati requisiti: si tratta dei donatari, cioè di coloro che hanno beneficiato di una donazione. La donazione è quel contratto attraverso cui una parte decide di arricchire l’altra senza ricevere nulla in cambio [Art. 769 cod. civ.]. Sebbene il donatario (cioè, colui che risulta arricchito dalla donazione) non debba nulla al suo benefattore, la legge gli impone eccezionalmente l’obbligo, con precedenza su qualsiasi altro obbligato, di versare gli alimenti al donante qualora questi si trovi in stato di bisogno [Art. 437 cod. civ.]. In un certo senso, quindi, la legge impone al donatario un “obbligo di gratitudine” nei confronti di chi gli ha fatto del bene. Questo dovere non sussiste solamente in due circostanze: in caso di donazione fatta in riguardo di un matrimonio e di donazione remuneratoria. La donazione in riguardo di matrimonio (cosiddetta “donazione obnuziale”) [Art. 785 cod. civ.] è quell’atto di liberalità effettuato in occasione di un matrimonio a favore di uno o di entrambi gli sposi; la donazione rimuneratoria [Art. 770 cod. civ.], invece, è quella giustificata da particolari ragioni di riconoscenza o dai meriti del donatario. In entrambi i casi, l’eventuale stato di bisogno del donante non obbliga il donatario a versargli gli alimenti.
Il contratto di vitalizio alimentare. Da ultimo, per completezza va aggiunto che c’è un’ulteriore caso in cui un soggetto si obbliga nei confronti di un altro a versare prestazioni assistenziali: si tratta del contratto di vitalizio alimentare. È un contratto atipico, cioè non previsto espressamente dal codice, con cui una parte (cosiddetto vitaliziante) si obbliga ad assicurare ad un’altra (vitaliziato) prestazioni alimentari o assistenziali per tutta la vita in cambio del trasferimento di un bene immobile o della cessione di un capitale. Questo caso, però, è diverso da quelli visti in precedenza perché le parti raggiungono liberamente un accordo, mentre l’obbligazione alimentare prevista dal codice è imposta al ricorrere di alcune condizioni.
Gli alimenti sono dovuti in presenza di tre requisiti: lo speciale rapporto (di parentela, adozione, gratitudine o, in alcuni casi, contrattuale) tra l’obbligato e l’avente diritto; lo stato di bisogno dell’alimentando; la disponibilità economica dell’alimentante.
Mariano Acquaviva La legge per tutti 29 settembre 2017
www.laleggepertutti.it/172264_chi-paga-gli-alimenti
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AMORIS LÆTITIA
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html
Anche la “correctio” genera “dubia”. Il commento di un filosofo del diritto
Ricevo e pubblico. L’autore è magistrato amministrativo a Roma e studioso di filosofia e di diritto.
Questo suo commento alla correctio rivolta a papa Francesco- Tra i 62 firmatari, elencati più sotto, i 40 che hanno sottoscritto la lettera recapitata al papa sono segnalati in neretto. E tra le firme che si sono aggiunte in seguito compare anche quella di un vescovo, l’unico. È Bernard Fellay, superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X, cioè dei lefebvriani. (…)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/09/24/se-sbaglio-mi-correggerete-le-sette-eresie-di-amoris-laetitia-2
Lo stesso Francesco è intervenuto il 10 settembre –quando la “correctio” gli era già stata recapitata–, dicendo testualmente ai gesuiti della Colombia in un incontro a porte chiuse, stando a quanto poi riferito da “La Civiltà Cattolica”:
“[Voglio] dire una cosa che credo vada detta per giustizia, e anche per carità. Infatti, sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’esortazione apostolica post-sinodale. Per capire Amoris lætitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo.
“Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto Amoris lætitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale di Amoris lætitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinale Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio…”.
www.laciviltacattolica.it/articolo/la-grazia-non-e-una-ideologia
Sandro Magister Newsletter Settimo Cielo 29 settembre 2017
Qualche domanda, prima di parlare di eresia
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La pubblicazione di una formale correctio indirizzata addirittura al papa suscita parecchi interrogativi.
È possibile correggere i correttori? La tradizione speculativa medievale ci dice di sì: basti pensare al famoso Correctorium fratris Thomae di William de la Mare, a sua volta contraddetto dai vari Correctoria corruptorii ad opera di vari autori. A fronte di un atto così grave e singolare, che supera con audacia il fossato che separa il dubium dal giudizio in una materia così delicata, è possibile limitarsi per ora ad alcune domande, in relazione alle sette proposizioni additate come “false ed eretiche” e ai relativi presupposti che emergono dalla lettura dell’intero testo.
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Cominciamo con due questioni di metodo.
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In primo luogo, le proposizioni individuate come eretiche sembrano costituire già il frutto di un’ermeneutica delle dichiarazioni e dei documenti papali, oltre che – cumulativamente – delle azioni ed omissioni attribuite al medesimo. Si tratta di proposizioni “di secondo grado”, per così dire. La prima domanda è quindi duplice:
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perché non sono state riprodotte, nella parte centrale del testo formulata in latino, direttamente ed esclusivamente le proposizioni originali dei testi papali?
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nel caso che le proposizioni si intendano come riferite anche a comportamenti attivi e omissivi del papa, è stata fornita una dimostrazione sufficiente circa la congruenza delle stesse con tali comportamenti?
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La seconda domanda è: la qualificazione di eresia viene qui considerata nel suo senso proprio, il quale attiene alle dottrine che richiedono l’assenso di fede teologale (dottrine de fide credenda) ai sensi del can. 750 § 1 del Codice di diritto canonico? Oppure gli estensori intendono attribuire la qualifica di eresia anche alle affermazioni che contrastino solamente con le dottrine de fide tenenda di cui al can. 750 § 2 del Codice, tra le quali, secondo la nota dottrinale illustrativa della congregazione per la dottrina della fede allegata al Motu Proprio del 1998 Ad tuendam fidem, rientrano anche non poche verità di ordine morale? E in caso positivo, come si giustificherebbe questa qualificazione, che non sembrerebbe conforme alle indicazioni della medesima nota?
3. Procediamo ora con le successive domande in calce alle sette proposizioni definite “false ed eretiche”:
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“Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti fossero impossibili da osservare per colui che è giustificato; o come se la grazia di Dio, producendo la giustificazione in un individuo, non producesse invariabilmente e di sua natura la conversione da ogni peccato grave, o che non fosse sufficiente alla conversione da ogni peccato grave”.
In quale punto del suo insegnamento il papa parla di impossibilità di osservare i comandamenti da parte di chi è giustificato? Ci si riferisce qui a un’impossibilità assoluta o a una più o meno grave difficoltà concreta, anche temporanea? Le due ipotesi sono equiparabili in relazione alla dottrina esposta nel capitolo 11 del decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento?
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“I cristiani che hanno ottenuto il divorzio civile dal coniuge con il quale erano validamente sposati e hanno contratto un matrimonio civile con un’altra persona (mentre il coniuge era in vita); i quali vivono more uxorio con il loro partner civile e hanno scelto di rimanere in questo stato con piena consapevolezza della natura della loro azione e con il pieno consenso della volontà di rimanere in questo stato, non sono necessariamente nello stato di peccato mortale, possono ricevere la grazia santificante e crescere nella carità”.
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“Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e volontariamente può scegliere di violarla in una materia grave, ma non essere in stato di peccato mortale come risultato di quell’azione”. Premesso che al n. 305 di Amoris lætitia si dice che “a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”, in che senso questo passo rispecchierebbe le affermazioni di cui alle proposizioni “eretiche” 2 e 3, mentre sembra invece contraddirle puntualmente, con riferimento al requisito della colpevolezza soggettiva? Inoltre, in quale altro passo dei suoi documenti o discorsi il papa ha affermato che tali cristiani, in presenza di una piena consapevolezza della natura della loro azione e con il pieno consenso della volontà, non sarebbero in peccato mortale?
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“Una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbedienza”. Da dove è tratta questa proposizione, formulata in questi termini?
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“La coscienza può giudicare veramente e correttamente che talvolta gli atti sessuali tra persone che hanno contratto tra loro matrimonio civile, quantunque uno dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un’altra persona, sono moralmente buoni, richiesti o comandati da Dio”. In quale rapporto si colloca questa proposizione con quella di Amoris lætitia 303? Dove si legge: “Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo”. Si tratta di una diversità solo linguistica e di genere espressivo, o anche di una diversità di contenuto?
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“I principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano assolutamente particolari generi di azioni che per il loro oggetto sono sempre gravemente illecite”. L’affermazione di Amoris lætitia 304 secondo cui “è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari” davvero contraddice sotto ogni aspetto la dottrina dell’intrinsece malum? Ciò accade anche ove si tenga conto, nel valutare le situazioni particolari, dei profili attinenti alla colpevolezza soggettiva, che in quanto tali non attengono all’oggetto delle azioni?
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“Nostro Signore Gesù Cristo vuole che la Chiesa abbandoni la sua perenne disciplina di rifiutare l’Eucaristia ai divorziati risposati e di rifiutare l’assoluzione ai divorziati risposati che non manifestano la contrizione per il loro stato di vita e un fermo proposito di emendarsi”. Si vuole qui dire che l’abbandono della disciplina (da intendersi come disciplina canonica) sussiste anche ove si ricorra alla classica probata praxis in foro interno, rivista alla luce delle indicazioni di Amoris lætitia per quanto attiene all’assoluzione in confessione? Per quanto concerne l’Eucarestia, qual è il rapporto, secondo la mens degli estensori della correctio, ai fini che qui interessano, tra la nozione di “peccato mortale” e la nozione di “peccato grave manifesto” dell’art. 915 del Codice di diritto canonico come interpretata dalla “Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa Comunione dei divorziati risposati” del pontificio consiglio per i testi legislativi, emanata nell’anno 2000?
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Le domande qui suggerite non esauriscono il tema. Si spera però che possano indurre qualche ulteriore riflessione negli autori della correctio e in coloro che dovessero condividerne la proposta senza neppure immaginare l’enorme complessità delle questioni in gioco quando si adopera la parola “eresia”, in particolare se applicata a testi magisteriali.
In ogni caso, il fedele cattolico che presta il doveroso “religioso ossequio dell’intelletto e della volontà” (can. 752) al magistero ordinario papale, nel cui ambito rientra anche Amoris lætitia va incoraggiato a mantenersi in tale positiva disposizione di spirito.
Per il resto, la vicenda dell’interpretazione e dell’applicazione di questo testo vedrà probabilmente ulteriori sviluppi e contributi da parte dei pastori, dei teologi, dei fedeli.
Né va esclusa la possibilità di ulteriori – forse auspicabili – interventi della sede petrina, in un futuro più o meno prossimo.
Francesco Arzillo, magistrato, studioso di filosofia e di diritto.
La morale dell’Amoris lætitia è tomista. Che cosa intende dire il Papa?
Viene pubblicata su La Civiltà Cattolica la trascrizione di un colloquio privato avuto tra Papa Francesco e i gesuiti che gestiscono il santuario di san Pedro Claver a Cartagena. In un passaggio il Santo Padre evoca “quelli che criticano Amoris lætitia”. Roma locuta, causa finita. Chissà…
In un angolo appartato del recente viaggio apostolico di Papa Francesco in Colombia si è consumato un colloquio i cui contenuti sono appena stati pubblicati sull’ultimo numero de La Civiltà Cattolica. Il 10 settembre 2017, infatti, il Santo Padre ha incontrato privatamente i sessantacinque gesuiti che gestiscono il santuario di San Pedro Claver a Cartagena delle Indie. Intrattenendosi con loro – «mi piace incontrare “la setta”!», ha esordito tra una risata dei confratelli – ha voluto rispondere ad alcune domande emerse dal gruppo:
Non voglio farvi un discorso, e quindi, se avete qualche domanda o qualcosa che desiderate sapere, ditemi ora, che è meglio: voi mi stuzzicate e mi ispirate.
Le domande sono state diverse e hanno spaziato dalla percezione della comunità locale alla valutazione circa la portata del viaggio apostolico allora in corso sulla media e lunga durata. C’è stato l’aneddoto riportato dal Papa, che tornava a raccontare (l’aveva già fatto pubblicamente, il giorno prima) del giovane universitario di Cracovia. […] mi ha chiesto: «Alcuni miei compagni sono atei, che cosa devo dire per convincerli?». Questo mi ha fatto notare il senso di militanza ecclesiale che aveva quel ragazzo. La risposta che mi è venuta è stata chiara: «L’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa, davvero l’ultima. Comincia ad agire, invitalo ad accompagnarti e, quando vedrà quello che fai e il modo in cui lo fai, ti domanderà, e a quel punto puoi cominciare a dire qualcosa».
Si capisce che il Papa abbia raccontato più volte di questo scambio: esso esemplifica bene un’esigenza di trasformazione della missione ecclesiale, che poi è la stessa perpetua riconversione a cui la missione è chiamata in ogni epoca – sbaglierebbe chi vi vedesse la preponderanza dell’agire sul riflettere (a parte che è san Tommaso a dire che la teologia è una scienza pratica…); anche san Francesco raccomandava di conservare la pretesa di “dire qualcosa” come extrema ratio dell’evangelizzazione.
Il passaggio sulla teologia. C’è però un altro punto che attrae e merita la nostra attenzione, in particolare nell’infuocato dibattito attorno ad Amoris lætitia – dibattito costellato di Dubia e di altri (molto meno degni) tentativi di critica più o meno velata. Quando padre Vicente Durán Casas si è alzato per porre al Papa una domanda sul destino delle scienze teoretiche ha usato queste parole: Insegno filosofia e mi piacerebbe sapere, anche a nome dei miei colleghi docenti di teologia, che cosa si aspetta dalla riflessione filosofica e teologica in un Paese come il nostro e nella Chiesa in generale.
E il Papa ha dato una risposta così corposa che merita di essere riportata per intero: Direi, per cominciare, che non sia una riflessione di laboratorio. Infatti, abbiamo visto che danno ha finito col fare la grande e brillante scolastica di Tommaso quando è andata decadendo, decadendo, decadendo…: è diventata una scolastica da manuale, senza vita, mera idea, e si è tradotta in una proposta pastorale casuistica. Almeno, ai nostri tempi siamo stati formati in questa linea… Direi che era piuttosto ridicolo che, per spiegare la continuità metafisica, il filosofo Losada parlasse dei puncta inflata. Per dimostrare questo tipo di cose si cadeva nel ridicolo. Era un grande filosofo dell’epoca, ma decadente, volava rasoterra.
Dunque: la filosofia non in laboratorio, ma nella vita, nel dialogo col reale. Nel dialogo col reale troverai, come filosofo, i tre trascendentali che fanno l’unità, ma con un nome concreto. Ricordiamo le parole del nostro grande scrittore Dostoevskij. Come lui, anche noi dobbiamo riflettere su quale bellezza ci salverà, sulla bontà e sulla verità. Benedetto XVI parlava della verità come incontro, ovvero non più una classificazione, ma una strada. Sempre in dialogo con la realtà, perché non si può fare filosofia con la tavola logaritmica, che peraltro è ormai in disuso. E lo stesso vale anche per la teologia, ma questo non vuol dire «imbastardire» la teologia, al contrario. La teologia di Gesù era la cosa più reale di tutte, partiva dalla realtà e si innalzava fino al Padre. Partiva da un semino, da una parabola, da un fatto e li spiegava. Gesù voleva fare una teologia profonda, e la realtà grande è il Signore. A me piace ripetere che per essere un buon teologo, oltre a studiare, bisogna avere dedizione, essere svegli e cogliere la realtà; su tutto questo bisogna riflettere in ginocchio. Un uomo che non prega, una donna che non prega, non può essere teologo o teologa. Sarà il volume del Denzinger fatto persona, saprà tutte le dottrine esistenti o possibili, ma non farà teologia. Sarà un compendio, un manuale dove c’è tutto. Ma oggi la questione è come esprimi Dio tu, come esprimi chi è Dio, come si manifestano lo Spirito, le piaghe di Cristo, il mistero di Cristo, a partire dalla Lettera ai Filippesi 2,7 in avanti. Come spieghi questi misteri e li vai spiegando, e come stai insegnando quell’incontro che è la grazia. Come quando leggi Paolo nella Lettera ai Romani, dove c’è tutto il mistero della grazia e vuoi spiegarlo.
Approfitto di questa domanda per dire una cosa che credo vada detta per giustizia, e anche per carità. Infatti, sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire Amoris lætitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo.
Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l’Amoris lætitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’Amoris lætitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio.
Una risposta densa, strutturata e ricca di riferimenti sostanziosi: anzitutto la descrizione della parabola discendente della seconda Scolastica non avviene in astratto, ma con il nome noto di Luis de Losada, uno dei gesuiti che a suo tempo formalizzarono il sistema scolastico tanto parossisticamente che la teologia finì per assomigliare alla Sacra doctrina di san Tommaso come il latte in polvere ricorda la mungitura. Poi la ricerca dell’autorità del predecessore, teologo di chiarezza indiscussa, dal quale si mutua l’epistemologia dell’incontro contro quella del mero giudizio intellettivo. L’Imitazione di Cristo e gli Esercizi spirituali – forse le colonne d’Ercole della pietà cristiana al crocevia della modernità occidentale – confluiscono armoniosamente in questa risposta: la teologia non si fa solo a tavolino, non è pensabile che il “molto sapere” possa ottenere una vera e buona teologia cristiana. Quindi la messa a fuoco di uno degli argomenti maggiori, in ogni epoca, dell’annuncio cristiano tematizzato – la teologia della grazia –: e a proposito sopra aveva anticipato che «la grazia di Dio che si manifesta nella vita del popolo non è una ideologia».
A quel punto il Santo Padre ha voluto prendere di petto la questione dei Dubia, pur senza nominarla direttamente. E la “risposta” è:
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Anzitutto Amoris lætitia va letta nel suo complesso e dall’inizio alla fine, confrontandola con il percorso del Sinodo di cui è l’espressione autorevole;
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La morale dell’Esortazione apostolica è tomista. È sicura quanto quella di Tommaso d’Aquino, perché a quella si richiama costantemente e fin dall’impianto generale;
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La morale che “le persone” credono sicura è in realtà pura casuistica, “sicura” precisamente in quanto artificiale (ovvero irreale).
Colpisce il “questo voglio dirlo” di Papa Francesco: vi sono contesti ecclesiali che persistono nel propalare il tuziorismo casuistico come “una sicurezza”, laddove invece è poco più (o poco meno) di una ideologia. La contrapposizione tra tuzioristi e probabilisti (con diverse altre sfumature in mezzo) è stata una dicotomia accademica e pastorale nella Chiesa latina in alcune polemiche dell’età moderna più o meno direttamente riferite ai temi della grazia, ma in generale torna trasversalmente dai molinisti ai giansenisti, passando per la disputa de auxiliis. Per semplificare, i gesuiti furono storicamente e in genere i campioni del probabilismo, cioè quelli che tra due o più opzioni morali indicavano come preferibile la “più probabile” quanto alla bontà dell’atto in discussione. I domenicani, al contrario, occuparono i posti della squadra dei tuzioristi, cioè di quelli che tra due o più opzioni morali indicavano come preferibile la “più sicura” quanto alla bontà dell’atto in discussione. Questo ha dato vita a numerosi luoghi comuni (e recta via a barzellette) sui gesuiti e sui domenicani (coi francescani in mezzo che giocavano un po’ con questi e un po’ con quelli): proprio per questo – e mi scuso della semplificazione estrema, ma penso che torni utile al lettore – è notevole che Papa Francesco abbia definito “tomista” questa morale. Cioè riferita al campione per eccellenza della “scuderia domenicana”, san Tommaso d’Aquino. Altrettanto notevole è che per la conferma di una simile affermazione il Papa abbia indicato Christoph Schönborn, ovvero il più famoso teologo domenicano tra quelli “in vista” (anche per la dimensione di pubblicità che gli viene dal cardinalato).
Queste non sono “novità assolute”: Francesco le aveva già dette, qua e là, più o meno tutte. Mai però le aveva raccolte insieme indirizzandole apertamente a quanti criticano il profilo morale di Amoris lætitia. Tempo fa lessi – non ricordo più dove precisamente – di critici che obiettavano che le numerose citazioni di san Tommaso (l’Angelico è in effetti il teologo più citato in assoluto nell’esortazione apostolica…) non basterebbero a fare di Amoris lætitia un testo tomista. L’autorità di Schönborn neppure sarebbe sufficiente perché il cardinale austriaco sarebbe un noto modernista (chi non lo sa?). Si comprende che se questo è il punto di partenza, e se “tomismo” diventa sinonimo di “tavola logaritmica”, certi biliosi critici dimostrano non solo la verità delle recenti dichiarazioni del Papa, ma anche la loro opportunità (e forse anche quella, da molti discussa, del suo roccioso silenzio sulla questione).
Ma che cos’è, quindi, una “morale tomista”? Ci si può ora legittimamente chiedere quale sia in particolare la morale scelta per Amoris lætitia, nonché quali siano a livello teoretico le ragioni delle difficoltà che essa incontra nel calarsi in altre elaborazioni etiche e in una giusta ortoprassi. Seguiamo il consiglio del Papa e torniamo al cardinale Schönborn, che all’indomani della promulgazione dell’Esortazione apostolica aveva concesso a La Civiltà Cattolica un’importante e bella intervista. Ricordo che quando la lessi mi ricordò il Paradiso di Dante, ove si mettono san Tommaso (domenicano) a tessere le lodi di san Francesco (Pd XI), e san Bonaventura (francescano) a cantare la gloria di san Domenico (Pd XII). A dispetto delle beghe che all’epoca di Dante già imbaruffavano quei due ordini mendicanti. L’arcivescovo di Vienna, infatti, rende giustizia all’anima ignaziana dell’Esortazione, che conta non meno di quella tomista:
Sì, l’Esortazione, a mio avviso, è radicata in Ignazio e Tommaso. Abbiamo qui l’esposizione di una morale che si ispira alle grandi tradizioni ignaziana (discernimento della coscienza) e domenicana (la morale delle virtù). Voltiamo le spalle alle morali dell’obbligo, che nel loro estrinsecismo generano al tempo stesso lassismo e rigorismo, per riallacciarci alla grande tradizione morale cattolica e, attraverso di essa, integrare tutto l’apporto del personalismo.
Un vasto programma espresso con la concisione che solo un’accurata meditazione può dare. Ma perché Schönborn non proceda, come il san Tommaso dantesco, “troppo chiuso”, è opportuno che si riporti anche qui la lucida spiegazione da lui offerta nel contesto dell’intervista:
Dietro a una chiara oggettività del bene e della verità, l’Esortazione evidenzia il progresso nella conoscenza e nell’impegno a compiere il bene dell’uomo «in via». L’invito alla sequela Christi, nel quotidiano della famiglia e del matrimonio, permetterà concretamente alla regola di divenire esigenza dell’amore man mano che cresce. È l’intera esperienza della vita cristiana. Ci troviamo all’opposto di una morale della situazione, in cui la norma è sempre percepita come estrinseca all’atto compiuto: essa si colloca al livello dei princìpi generali a profitto esclusivo, nella gerarchia dei valori, dei valori della personalità. In una morale della situazione il soggetto si affranca dalla norma oggettiva, considerata in maniera astratta, a vantaggio di un pragmatismo di circostanza. Ci troviamo in un sistema a doppia verità morale: l’ideale e l’esistenziale. In una morale delle virtù, sottolineata dal Catechismo della Chiesa Cattolica, la morale e i suoi princìpi si ritrovano nell’azione sotto condizionamento della prudenza e non della conoscenza teorica. «La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza» (CCC 1780). La giustezza morale di tale atto concreto include inseparabilmente la ricerca della norma oggettiva che si applica alla complessità del mio caso — che non è mai così semplice come lascerebbe supporre un’analisi astratta dell’atto esteriore — e il radicamento delle virtù che portano a compiere il bene percepito. Si tratta del punto nodale della delucidazione dei rapporti tra oggettivo e soggettivo che le morali dell’obbligo come le morali della situazione non sanno onorare.
Vere boccate d’ossigeno, in una contesa menata a suon di “ma allora se un divorziato convive e viene e chiede…”: né il “tu devi!” né il “dipende dal contesto” sanno onorare – ha spiegato il cardinale domenicano – «i rapporti tra oggettivo e soggettivo». Perché una cosa non è veramente buona se non è buona per me, e naturalmente non può essere buona per me se è cattiva in sé. Non hanno un ubi consistam, quindi, le obiezioni alla morale di Amoris lætitia che inducono il sospetto di un cedimento morale del Magistero, come se Dio davvero comandasse a un peccatore di fare il male. La questione è che Dio, nel salvare l’uomo, gli chiede non “un bene” né “il bene”, entrambi astratti, ma “il bene possibile”. Per questo il salmo dice “Corro la via dei tuoi precetti / perché hai dilatato il mio cuore” [Sal 118 (119), 32] e una santa comunissima donna come Chiara Corbella viene oggi citata da moltissimi cristiani con i suoi “Piccoli Passi Possibili”. Davvero desta stupore che la Chiesa viva quotidianamente queste realtà e poi risulti incapace di comprenderne la formulazione teoretica.
L’oblio delle virtù. Ma giustamente Schönborn, che è uno studioso serio, non pone la questione nelle mere fila delle contrapposizioni di secoli or sono: anche Max Scheler e il personalismo in genere, nel XX secolo, hanno riproposto con forza e convinzione una etica delle virtù, per salvare Aristotele e Tommaso dal neotomismo come il Cacciatore deve salvare Cappuccetto e la Nonna dal Lupo. Sono infatti Aristotele e Tommaso i più grandi sistematizzatori, in Occidente, di questo assioma: se l’etica ha il compito di renderci felici, essa potrà realizzarlo solo adattandosi a noi e rendendoci progressivamente sempre più facile, piacevole e gioioso l’esercizio di una virtù.
Perché quanti di noi, nel XXI secolo ormai avviato, saprebbero rispondere alla domanda secca “che cos’è una virtù?”. Nove risposte su dieci suonerebbero, invariabilmente: «È un buon modo di comportarsi». No! Questa è una depravazione precettistica e situazionistica della virtù: la virtù non è un bigino di bon ton – essa è anzitutto e soprattutto un abito (come il vizio, del resto), cioè un complesso di acquisizioni psicosomatiche e spirituali che nel tempo divengono sempre più connaturali all’essere umano. Acquisizioni di valore positivo costituiscono un abito virtuoso, acquisizioni di valore negativo costituiscono un abito vizioso: l’effetto primario di questi due abiti è che chi indossa il primo è una persona tendenzialmente gioiosa, chi indossa i secondi trasuda tristezza, rancore e invidia (anche per questo riesce difficile prendere sul serio quanti sproloquiano di “intrinsece malum” con la bava alla bocca – oltre che, spesso, senza conoscere il latino che biascicano).
Anche per questo, però, vale la pena di riportare per intero la risposta di Schönborn alla domanda “abbiamo bisogno delle virtù?”: Ne abbiamo bisogno, perché il bene colto dallo spirito metta radici in noi e possa essere colto come bene per noi… la prudenza, il retto giudizio, il buonsenso che deriva da tutta una catena di elementi che si sintetizzano nella persona, al cuore della sua libertà… le concezioni inadeguate che condizionano la libertà… le tendenze e le ferite dell’infanzia… l’Amoris lætitia è il grande testo di morale che aspettavamo dai tempi del Concilio e che sviluppa le scelte già compiute dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) e dalla Veritatis splendor. Probabilmente solo un gesuita poteva onorare con tanto acume e lucidità l’alchimia del singolare e dell’universale, del condizionamento e della norma nella dinamica dell’atto morale. Mi colpisce vedere fino a che punto Papa Francesco abbia toccato il nocciolo della morale tomista parlando della morale di amicizia. Si tratta davvero del gioco di due libertà che s’incontrano. Tutto il dinamismo dell’amicizia non può dipendere dall’obbligo esteriore, ma dall’esigenza interiore. È l’esigenza dell’amore a orientare il cammino dell’Amoris lætitia. Nulla è più esigente dell’amore. Si può seguire una legge dall’esterno, senza mettervi il cuore, solo per obbligo. Mentre non si può vivere l’amore di amicizia senza che sia pienamente messa in gioco la libertà.
Ora che abbiamo potuto rileggere questa bella intervista, ma (su diretto invito di Papa Francesco) in riferimento alle polemiche sulla ricezione di Amoris lætitia, abbiamo carburante a sufficienza, forse, per lasciarci nettamente alle spalle certe sterili logomachie da social network, che mentre dànno a chi le alimenta la sensazione di star facendo qualcosa di “oggettivamente giusto” costruiscono invece degli abiti viziosi che rendono infelici e lividi quanti li portano.
Se posso aggiungere un riferimento a una mia personale opinione, che è come leggo le dinamiche ecclesiali in atto in merito ad Amoris lætitia, tornerei a dire che quel testo Papa Francesco l’ha volutamente e studiatamente lasciato in condizione di essere letto in modo perfettamente ortodosso (e anzi che approfondisce metodologie e finalità dell’agire pastorale) oppure travisato e distorto per fini eversivi e “novatores”. Penso che abbia operato questa scelta per osservare il protrarsi della dialettica ecclesiale (è la lettura che do di AL 3), riservandosi il ruolo di arbitro supremo che compete nativamente al ministero petrino della cattedra romana.
E me ne ricordo proprio leggendo la prima risposta data dal Papa ai confratelli colombiani. Ecco il passaggio, che suona facilmente evocativo: Ma c’è qualcuno di noi che può dire: «Ti ringrazio, Signore, perché non mi sono mai sbagliato»? No. Il popolo di Dio ha fiuto. E a volte il nostro compito di pastori consiste nel metterci dietro al popolo.
Curioso che quanti restano scandalizzati da questa frase – perché non si addice al Papa seguire il gregge, ma sempre e solo guidarlo alla sua testa! – poi non facciano altro che pretendere che lui li segua.
Giovanni Marcotullio, baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Aleteia Italia 29 Settembre 2017
https://it.aleteia.org/2017/09/29/amoris-laetitia-papa-francesco-risponde-dubia-morale-tomista
Papa Francesco sulle riserve alla Amoris lætitia: la teologia si fa in ginocchio
Questa corrente ribelle sta “sfigurando il contenuto della Amoris lætitia, cercando la parola, la virgola, il punto per deformare il contenuto, e in qualche modo sta mancando di rispetto alla Chiesa cattolica stessa”.
La Amoris lætitia non nasce da un’unica testa. L’altro aspetto è che Amoris lætitia non è un documento nato da un’unica testa, è un testo riflettuto, studiato da due Sinodi; non è nato così, solo perché al Papa è venuto in mente di elaborarlo. È stato un processo, nel quale si assume la complessità della vita delle famiglie”. Sostenendo che Francesco postula sette eresie riguardo al matrimonio, alla vita morale e al recepire i sacramenti, gli autori delle critiche stanno leggendo il contenuto del testo in modo tendenzioso, osserva l’esperto.
Dottrina, sacramenti e legge. Il docente di Diritto Canonico ha spiegato la disinformazione che sta dietro “Dubia” e “Correctio”. “Non si tratta di sopprimere la legge né di sopprimere la dottrina, non si tratta di distruggere ciò che è sacramentale, assolutamente no. Si tratta di scoprire e di far capire che tutti questi elementi non devono essere posti al di sopra della persona, ma devono parlare alla persona”.
“Se io ascolto una persona nei suoi problemi, la aiuto nella sua realtà. E tutte queste norme le applico alla sua realtà. La norma non è al di sopra della gente, e questo dev’essere un elemento centrale nella vita del cristiano e di ogni pastore”, ha commentato padre Horta.
Nel testo degli accademici e dei chierici critici si afferma che “attraverso parole, atti e omissioni e attraverso passi del documento” Amoris lætitia, il Papa ha sostenuto, in modo diretto o indiretto, “proposizioni false ed eresie, diffuse nella Chiesa sia con il pubblico ufficio che con atti privati”.Di fronte a questo, padre Horta ha citato la legge canonica e ha offerto la sua testimonianza su quanto accaduto nel processo sinodale, che ha portato al discernimento e alla redazione del testo sull’amore in famiglia. “Se c’è qualcosa che non posso accettare perché il diritto me lo impedisce o il sacramento non lo consente o perché la dottrina dogmatica non lo permette benissimo, non lo applicherò. Ma questo non significa che non offrirò alla persona l’assistenza pastorale”, ha sostenuto.
“Nel Canone 528 del Codice di Diritto Canonico, tra gli altri esempi, il parroco ha il dovere di assistere tutte le persone che vivono intorno alla sua parrocchia. Non solo i cattolici che vanno a Messa, e non solo i cattolici che sono ‘in regola’. L’assistenza pastorale è rivolta a tutte le persone, e questo vale per il parroco e per il vescovo”. “Il documento Amoris lætitia è un documento pastorale e di grande misericordia. Stiamo parlando del tema che viene trasmesso fino da Concilio Vaticano II e che precede Papa Francesco, che lo mette semplicemente in evidenza”, ha aggiunto.
Ciò vuol dire che secondo chi chiama Francesco eretico lo erano anche gli ultimi pontefici. “È tutto un cammino della Chiesa che è stato portato avanti. Concentrarsi su una frase, su un punto, che forse può essere frainteso, per cercare di scoprire un’eresia o una presunta eresia, è quindi un assurdo”, ha dichiarato padre Horta. “Bisogna entrare nel pensiero della Chiesa degli ultimi decenni, capire perché la Chiesa si sta inclinando maggiormente verso le persone anziché essere chiusa in un gruppo di teorie dogmatico o canonico”.
Come sostengono questa posizione il diritto e il dogma? “Il diritto canonico è al servizio del popolo di Dio. Il dogma è al servizio del popolo di Dio. Il popolo di Dio non è sfigurato, ha volti, storie, problemi, culture diverse, situazioni concrete, e bisogna dare una risposta a ciascuno”.
“Il peccato è una realtà dell’uomo. Tutti noi lo sappiamo, lo sperimentiamo e lo viviamo. Ma non posso soffermarmi sul peccato, ma tendere le braccia e risollevare il peccatore”, ha sottolineato padre Horta.
“Se vado incontro a una persona che vive in una situazione irregolare e non può regolarizzare il suo matrimonio, le darò l’assistenza pastorale e camminerò per quanto possibile con lei, nella fedeltà che si può ottenere”. “Ciò non vuol dire legittimare il peccato. Significa accompagnare una persona ferita dal peccato nella sua realtà di vita, accompagnarla. Perché ogni persona è chiamata a vivere nel modo migliore possibile la sua vita cristiana”.
“Un’altra cosa è dire: ‘Vai tranquillo, non succede niente, continua così!’ Questo significherebbe legittimare il peccato. Non si tratta solo di applicare matematicamente una legge su una persona che non ha compiuto un cammino di fede semplicemente perché non comprenderà il significato della legge. Al contrario, la persona si sentirà ferita dalla legge”. “Perché è venuto il Figlio dell’uomo?”, ha proseguito padre Horta. “Non è venuto per i santi, ma per i malati. È questa l’idea”.
La riforma del processo matrimoniale. Anche la riforma canonica matrimoniale ha incontrato resistenze da parte degli intellettuali. “I processi matrimoniali canonici sono realtà complesse”, ha commentato al riguardo padre Horta. “Fino a prima della riforma (voluta da Papa Francesco) del 2015, un processo spesso durava inutilmente molti anni e aveva un elevato costo economico e affettivo per le persone”.
In particolare, il sacerdote ha ricordato che quando “le cause sono evidenti e il matrimonio è nullo” è un’ingiustizia lasciare una persona “più di dieci anni senza una soluzione”. La riforma cerca “da un lato di semplificare i processi, non la banalità del processo, perché esistono anche persone che non hanno le risorse, il tempo e la formazione per sostenere processi troppo lunghi. Ci sono situazioni che potrebbero degenerare in una vita irregolare, diciamo, tra virgolette, in una vita di peccato”.
Resistenza nei tribunali. La seconda questione implica la riforma dei tribunali che si occupano delle cause. Al riguardo, serve anche “la formazione di agenti pastorali, di sacerdoti, di vescovi, per ricevere questi processi e poterli accompagnare. Non è quindi una riforma che si possa attuare in modo immediato”. “Richiederà tempo per essere implementata. La questione, però, è sempre tenere al centro il bene della persona. Si parla di un processo, non di una pratica amministrativa, perché si cerca la verità, il processo garantisce la verità”. “Si è cercato di fare il meglio per le persone che vivono situazioni particolari, non allungando eccessivamente i tempi e non rendendo la cosa troppo cara. Prima era costosa. Oggi è gratis”, ha concluso padre Horta.
Ary Waldir Ramos DíazAleteia Spagnolo 29 settembre 2017
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
https://it.aleteia.org/2017/09/29/papa-francesco-amoris-laetitia-teologia-in-ginocchio/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
Arcana Amoris Lætitia
Dopo che il Santo Padre ha ricordato qualche giorno fa l’essenza teologica tomista di Amoris lætitia, riproponiamo una riflessione di fondo fatta più di un anno fa al soggetto.
Arcanum è il nome dato ad una categoria di rose e ci è sembrato il nome appropriato per questo articoletto di Croce-Via sul mistero il più insondabile dell’Esortazione post-sinodale di Papa Francesco , Amoris lætitia ma al contempo luogo dove si può respirare a pieni polmoni il buon odore di N.S. Gesù Cristo: il bellissimo capitolo ottavo, intitolato “Accompagnare , Discernere e Integrare la Fragilità”, letto da troppo pochi in intero e con filale ossequio della volontà e dell’intelligenza come si addice al cattolico che vuole imitare l’Obbedienza del Figlio di Dio a Suo Padre che è nei cieli.
Per ben capire e gioire pienamente di questo capitolo ottavo bisogna aver ben presente due dimensioni: la prima dimensione è che non c’è nessuna sospensione di alcuna legge né di alcun precetto quando si applica l’epikeia {temperamento per applicare la severità di una legge}, ma, in realtà, essa è come un processo di “incarnazione” di precetti sempre validi enunciati in modo astratto alla realtà concreta. E questo non può avvenire secondo “l’umore” del giudice (la Chiesa tramite il confessore), ma deve sempre seguire una logica che rispetta la struttura stessa che lega le varie leggi e precetti tra di loro. Non tutti i precetti hanno lo stesso valore ma sono subordinati gli uni con gli altri in un traliccio abbastanza complesso che solo l’esercizio delle quattro virtù cardinali permette di dipanare nel mondo reale.
La seconda dimensione è la legge della gradualità espressa esplicitamente nel punto 295 di Amoris lætitia: “In questa linea, san Giovanni Paolo II proponeva la cosiddetta “legge della gradualità”, nella consapevolezza che l’essere umano «conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita». Non è una gradualità della legge”, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge. Perché anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza della grazia, anche se ogni essere umano «avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo».”
Tutto il capitolo ottavo è imperniato intorno a queste due dimensioni già dal punto di vista della sua struttura generale: già il titolo del capitolo stesso ci dà l’intenzione generale della Chiesa intorno alle tre tappe della Sua riflessione che sono l’accompagnamento , il discernimento e l’integrazione; dopo aver inquadrato il contesto del capitolo mette immediatamente in evidenza La Gradualità nella Pastorale, procede in seguito sulla nozione di Discernimento delle Situazioni dette Irregolari, guarda alle Circostanze Attenuanti nel Discernimento Pastorale, stabilisce poi quale debba essere la relazione tra Norme e Discernimento e conclude detto capitolo traendone la sostanziosa Logica della Misericordia Pastorale.
Siamo quindi di fronte ad una struttura chiara che inizia con il porre il problema, segue con il ricordare la metodologia da applicare, poi applica tale metodologia al caso particolare in un primo tempo analizzandolo, in un secondo tempo guardandone tutti gli aspetti e in particolare le circostanze attenuanti, in un terzo tempo paragonandone le osservazioni fatte alle norme e, infine, conclude deducendone i principi euristici da applicare: questo capitolo ottavo è, in fin dei conti, una bellissima e universale catechesi su come razionalmente valutare le situazioni umane con lo sguardo della Chiesa e fare quel che la Chiesa vuole sia fatto e cioè, non un giudizio di tipo Si Si No No, ma un processo di integrazione del peccatore che sia infallibile se applicato con misericordia.
Descrizione del Problema. Nel punto 291 la Chiesa ritiene “che ogni rottura del vincolo matrimoniale «è contro la volontà di Dio, [ma, NdR] è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli»” e si deve di volgersi “con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite”.
Essa ricorda con fermezza nel punto 292 quanto espresso negli altri 7 capitoli precedenti questo e cioè che “Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società.”
E puntualizza nello stesso punto che “Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo” (mi si permetta a titolo personale di apprezzare questa nozione di analogia che indica l’impregnazione tomista di tutto questo capitolo).
La metodologia da applicare: la gradualità nella pastorale fondata sull’analogia delle situazioni. È in questa tappa che il punto 295 citato più sopra è inserito e dove viene espressa “una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge”.
Nel punto 293 si sottolinea ancora una volta il carattere analogo, anche se solo parzialmente, dei matrimoni civili e anche delle convivenze e illustra come vi sia tra esse una gradualità nell’analogia stessa con il matrimonio al punto che, arrivata al massimo” quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio”.
Però ad un livello ben più basso di queste unioni civili “quasimodo” matrimoniali c’è però anche il dato “preoccupante che molti giovani oggi non abbiano fiducia nel matrimonio e convivano rinviando indefinitamente l’impegno coniugale, mentre altri pongono fine all’impegno assunto e immediatamente ne instaurano uno nuovo.”
Anche in questo casi di pauperizzazione estrema dell’impegno matrimoniale “ai Pastori compete non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche « il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà», per «entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza” e proprio basandosi sugli elementi concreti dell’analogia con il matrimonio è possibile sviluppare un approccio pastorale che sia genuinamente graduale poiché è “[n]el discernimento pastorale [che]conviene « identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale»”
Nel punto 294 sono date tutta una serie di illustrazioni esplicite di situazioni dove possono “essere valorizzati quei segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio”, ad esempio quando” «La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti»”.
Analizzando concretamente e cioè il discernimento nel caso delle situazioni irregolari. Dopo aver indicato la metodologia da applicare il documento si accinge a guardare da vicino dette situazioni per analizzarle con uno sguardo che sottende la su menzionata legge della gradualità.
Avevamo {già} sottolineato che Amoris lætitia ha cambiato definitivamente il paradigma pastorale della Chiesa portando a termine un processo allora cominciato con il Sacro Santo Concilio Vaticano II e abbiamo nel punto 296 un’esplicita illustrazione di questo nuovo paradigma pastorale della Chiesa di posizionarsi di fronte al mondo come una realtà spirituale e umana integrativa al servizio dell’umanità intera:
” Il Sinodo si è riferito a diverse situazioni di fragilità o di imperfezione. Al riguardo, desidero qui ricordare ciò che ho voluto prospettare con chiarezza a tutta la Chiesa perché non ci capiti di sbagliare strada: «due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […]. La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero […]. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita!». Pertanto, «sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione».”
Mi permetto di ripetere e di rimettere in evidenza questa frase chiave: poiché la logica da seguire è quella dell’integrazione e della carità allora “sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni”. In altre parole, ancora un bellissimo punto di vista tomista, e cioè che la carità sta nella concreta oggettività del reale e non nella sua espressione teoretica la quale, seppur necessaria, può peccare sia di assolutismo che di relativismo.
Questo realismo pratico si esprime immediatamente nel punto 297 dove il Santo Padre, benché sottolineando che “si tratta di integrare tutti” che “nessuno può essere condannato per sempre” aggiunge con ovvio buon senso che “ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità (cfr Mt 18,17)” ma che questa persona ”Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione”.
Il primo dovere della Chiesa rimane la stessa “«In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro» sempre possibile con la forza dello Spirito Santo.”
Continuando nello stabilire la lista dei possibili punti di discernimento il documento ricorda che “Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe.” “Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere”.
Una cosa quando” l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione”, altra cosa” la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari”
Una cosa “il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto” e ancora una cosa “quello di «coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”, ma sempre “Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia.”
Discernere è anche vedere quel che è possibile e non possibile fare ad esempio nel punto 299 si sottolinea che nel caso specifico dei divorziati e risposati civilmente “Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti»”
A tutti coloro che vorrebbero avere risposte prefabbricate, sterilizzate e liofilizzate è ricordato che “I Padri sinodali hanno affermato che il discernimento dei Pastori deve sempre farsi «distinguendo adeguatamente», con uno sguardo che discerna bene le situazioni. Sappiamo che non esistono «semplici ricette»”. Considerazione ancora reiterata al punto 300: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi», le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi.”. È epistemologicamente impossibile trattare problematiche della ragion pratica con metodologie della ragion pura!
Le circostanze attenuanti nel discernimento pastorale. Una volta fatta la cernita e valutate in modo astratto le varie tipologie delle situazioni irregolari, prima di emettere un giudizio circostanziale, bisogna anche essere capaci di guardare alle circostanze attenuanti che potrebbero, in alcuni casi e a livello individuale e mai generale, diminuire la responsabilità oggettiva degli interessati ma anche per assicurarsi di mai ridurre le esigenze del Vangelo!
Cita il punto 301: “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo.” e continua ricordando che ”La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti“: in effetti qui si tratta di pratiche e riflessioni bimillenarie secondo metodi e sensibilità che si sono raffinati lungo i secoli.
Amoris lætitia ricorda qui alcuni punti essenziali di questa riflessione della Chiesa che da secoli ha chiaramente in vista che “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano [automaticamente, NdR] in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione.»”
In questo paragrafo ci si rifà direttamente al secondo perno citato all’inizio dell’applicazione dei principi di valutazione etica sviluppati dall’Aquinate: ”Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù, in modo che, anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: « Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù.»”
Chiaramente Amoris lætitia non inventa niente al soggetto e rimanda direttamente al CCC in modo esplicito nel punto 302 “Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime in maniera decisiva: «L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» …. Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta … «In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi».”
Ancora una volta l’Esortazione non si limita ad un blando ricordo di ben capire le scusanti ma ricorda con forza ai confessori e a chi ha carica di anime nella chiesa che malgrado tutte queste circostanze attenuanti “Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.”
Le norme e il discernimento. Questa tappa è quella che espone in modo non ambiguo la centralità della dottrina dell’Aquinate sull’epikeia {l’inapplicabilità della legge al caso concreto qualora con la sua applicazione la norma avesse a rivelarsi moralmente ingiusta e intollerabile}: infatti dopo aver descritto alcune situazioni concrete possibili vi è ora un giudizio che deve essere espresso esplicitamente e concretamente sulla relazione tra le norme e la realtà concreta nella quale si trova la persona considerata nella sua situazione irregolare.
Il Santo Padre Francesco prega” caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare». È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.”
Sono personalmente felicissimo di queste sottolineature tomiste e della loro giustificazione perfettamente razionale: se c’è un testo perfettamente ortodosso nella sua formulazione dottrinale è proprio Amoris lætitia.
E ancora, nel punto 305 ricorda la differenza, da noi sempre messa in evidenza tra legge assoluta e legge oggettiva, quando ricorda che “In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione Teologica Internazionale: «La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione»”.
Nell’applicazione della norma generale ai casi particolari viene in seguito ricordato il Principio generale al quale ogni epikeia deve sottomettersi che è la Salus Animarum espressa nel punto 306 come Via Caritatis: “In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei cristiani (cfr Gv 15,12; Gal 5,14). “
. Alcuni principi euristici da applicare concretamente o la logica della misericordia pastorale
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Dal punto 307: “Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza:….La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture.”
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Dal punto 308: “Tuttavia, … , bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno », lasciando spazio alla « misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile».”
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Sempre dal punto 308: “Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada».
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Dal punto 309: “«la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno». Sa bene che Gesù stesso si presenta come Pastore di cento pecore, non di novantanove. Le vuole tutte. A partire da questa consapevolezza, si renderà possibile che «a tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi»”.
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Dal punto 311: “L’insegnamento della teologia morale non dovrebbe tralasciare di fare proprie queste considerazioni, perché seppure è vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa, si deve sempre porre speciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i valori più alti e centrali del Vangelo, particolarmente il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio. …. Pertanto, conviene sempre considerare «inadeguata qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio l’onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia».”
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Dal punto 312: “Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa.”
Conclusione. In fin dei conti questo capitolo è un sunto di teologia morale applicata sviluppando il meglio della riflessione ecclesiale, teologica e morale in materia.
In fin dei conti chi “ha avuto ragione” lungo questi anni è stato il Rev. Andrew McLean Cummings dell’Arcidiocesi di Baltimora che già il 12 giugno 2014 aveva annunciato la soluzione e che avevamo già allora vivamente caldeggiato nel nostro post del 13 giugno 2014 intitolato Rischio di scisma: una possibile via d’uscita e la Chiesa profetizzerà.
https://pellegrininellaverita.com/2014/06/13/rischio-di-scisma-una-possibile-via-duscita-e-la-chiesa-profetizzera
Il testo è chiarissimo nel suo metodo, nel suo fine e nelle sue fondamenta dottrinali: la Chiesa ha profetizzato anche in questo campo.
In Pace Simon de Cyrène Croce-Via 29 settembre 2017
Croce-via si pone sotto la protezione spirituale di San Tommaso d’Aquino e San Giovanni Paolo Magno
https://pellegrininellaverita.com/2017/09/29/arcana-amoris-laetitiae-2/
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI
Se il figlio non cerca lavoro, stop mantenimento dei genitori
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 22314, 25 settembre 2017.
Addio mantenimento del padre al figlio di 35 anni che, pur disoccupato, non si è mai interessato a trovare un lavoro. Non basta essere disoccupati e non autonomi economicamente per ricevere il mantenimento da parte dei genitori: il figlio maggiorenne che vuole conservare l’assegno mensile del padre, se ha terminato gli studi e ha raggiunto un’età e una formazione tale da consentirgli di lavorare, deve darsi animo nel cercare un’occupazione. Diversamente perde la “paghetta”. A chiarirlo è una sentenza della Cassazione.
In base alla nostra legge, il figlio non perde il diritto ad essere sostenuto dai genitori solo perché ha superato i 18 anni. Il cosiddetto diritto al mantenimento (che, di solito, in caso di separazione dei coniugi, viene determinato dal giudice nella sentenza di divorzio) cessa, non con la maggiore età, ma solo quando sia stata raggiunta l’indipendenza economica. Ciò non vuol dire necessariamente «stabilità», ossia un lavoro a tempo indeterminato; deve tuttavia trattarsi di un’occupazione in linea con la formazione del giovane e tale da non potersi considerare precaria e limitata a un breve periodo (ad esempio non sarebbe sufficiente il lavoro occasionale svolto da uno studente come barman per mantenersi gli studi o in uno stabilimento balneare durante la stagione estiva). Il lavoro non deve essere necessariamente a tempo pieno, ma potrebbe trattarsi di part time se consente di procurarsi di che vivere.
Se il figlio, completata la formazione, rimane in panciolle e non dimostra di aver cercato un posto di lavoro, perde il diritto al mantenimento. La prova dell’inerzia del figlio deve essere però fornita dal genitore. Per questi l’obbligo di versare l’assegno cessa quando dimostra di aver messo il giovane nelle condizioni di essere economicamente autosufficiente. Le condizioni economiche del padre, in questo, non rilevano: non importa cioè se il genitore è benestante e ben potrebbe permettersi, ancora per molto tempo, di versare il mantenimento. Su ogni figlio grava l’onere di mantenersi da sé quando ve ne siano le possibilità e, quindi, di fare di tutto per trovare un lavoro.
In caso, di mancato impegno per la ricerca di un’occupazione lavorativa il padre può smettere di versare l’assegno, ma non può farlo dall’oggi al domani e di propria spontanea volontà: deve prima essere autorizzato dal giudice. In altri termini il genitore deve attivare un giudizio in tribunale – attraverso un avvocato – con il quale chiedere la revisione delle condizioni del mantenimento ai figli.
La Corte ha deciso il caso di una ragazza di 35 anni, disoccupata, ma senza problemi di salute e, quindi, in grado di trovarsi un lavoro e raggiungere finalmente l’indipendenza economica. Il padre ha così presentato ricorso in tribunale per ottenere la revoca del contributo al mantenimento della figlia disposto a favore dell’ex moglie. L’uomo ha posto in evidenza che la figlia, ormai 35enne, non si era mai attivata per la ricerca di una occupazione e non era affetta da patologie tali da ridurne la capacità lavorativa. Ha così vinto la causa e la giovane ha perso l’assegno.
Redazione La legge per tutti 26 settembre 2017 Sentenza
www.laleggepertutti.it/176636_se-il-figlio-non-cerca-lavoro-stop-mantenimento-dei-genitori
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ASSISTENZA
91 mila minori assistiti per maltrattamenti
Ma il numero reale di queste piccole vittime è molto più alto: solo un caso su 9 viene individuato e preso in carico dai servizi sociali e sanitari. In totale potrebbero essere 800 mila i minori che subiscono violenze di diverso genere.
Si va dall’abuso sessuale vero e proprio (circa il 5%), alle violenze fisiche (circa il 7%) a quelle psicologiche (più del 13%).
E i bambini stranieri, rispetto a quelli italiani, corrono un rischio doppio di incorrere in un abuso.
I numeri sono stati resi noti oggi all’XI Congresso della Federazione italiana medici pediatri (Fimp) a Roma.
Per contrastare questo preoccupante fenomeno, il pediatria di famiglia può e deve svolgere un ruolo fondamentale, di sentinella – afferma la Fimp – perché è l’operatore sanitario che assiste più frequentemente un giovane. Può quindi riconoscere e segnalare il caso ai servizi sociali o alle forze dell’ordine.
Il problema è che non può essere lasciato solo: si deve creare una rete di supporto che comprenda anche psicologi clinici, medici di famiglia, ginecologi, forze dell’ordine e magistrati.
E’ questo l’impegno che la Federazione prende.
“Non solo, si deve aumentare anche il livello di consapevolezza e conoscenza del problema da parte del pediatra di famiglia – sottolinea Paola Miglioranzi, responsabile nazionale Fimp per i progetti contro l’abuso sui bambini e adolescenti – La continuità dell’assistenza che contraddistingue il nostro lavoro ci permette di capire cosa stia realmente capitando a un giovane anche per questi aspetti.
Abbiamo già organizzato corsi di formazione specifici in 14 città italiane. Con la creazione della rete, saremo ancora più capaci di affrontare e arginare un fenomeno in grave crescita”.
“La tutela del benessere psico-fisico dei giovanissimi per tutto l’arco della crescita e dello sviluppo è un nostro compito prioritario – evidenzia Luigi Nigri vice presidente nazionale della Fimp – ma dobbiamo saper individuare anche le condizioni di disagio che spesso affliggono un minorenne e che rendono difficili i suoi rapporti con i coetanei, la famiglia, la scuola o l’intera società. La Fimp è da anni impegnata, in stretta collaborazione con le Istituzioni e altre associazioni, in progetti di impegno sociale. Ora dobbiamo fare di più, sfruttando il rapporto fiduciario con le famiglie e la distribuzione capillare su tutto il territorio nazionale”.
AdnKronos Salute , 28 settembre 2018
Newsletter di salute e benessere 01 ottobre 2017
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=36123
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CASA FAMILIARE
Revocata l’assegnazione alla madre se la figlia vuole stare col padre
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 22746, 28 settembre 2017.
La Corte di cassazione ha confermato la statuizione con cui i giudici di merito avevano revocato, nell’ambito di un giudizio di divorzio con figli, l’assegnazione alla madre della casa familiare disponendo, per contro, che la casa medesima venisse assegnata al padre sino al raggiungimento della indipendenza economica della figlia con lui convivente.
E’ stata ritenuta rilevante, ai fini della citata statuizione, la volontà manifestata dalla figlia, maggiorenne ma non ancora autosufficiente, di continuare a vivere nella casa familiare insieme al padre. Nella vicenda in esame, quest’ultimo aveva chiesto la modifica delle condizioni di divorzio al fine di ottenere il collocamento della figlia presso di sé, con conseguente assegnazione della casa familiare e imposizione alla madre di un assegno di mantenimento in favore della ragazza.
Il Tribunale, con statuizione poi confermata anche in sede di appello, aveva accolto questa istanza ritenendo fondate le deduzioni sollevate con riferimento al rapporto fortemente conflittuale fra madre e figlia, fissando anche un assegno di mantenimento a carico della donna.
Da qui il ricorso della genitrice, la quale aveva lamentato che la Corte d’appello, dopo aver affermato la fondatezza delle censure della stessa sollevate secondo cui la maggiore età della figlia avrebbe dovuto precludere al giudice la pronuncia sul collocamento, aveva ritenuto, tuttavia, corretto revocarle l’assegnazione della casa coniugale senza nemmeno riversare tali conclusioni nel dispositivo.
Per la Cassazione, tuttavia, –l’impugnazione della donna era da ritenere inammissibile non cogliendo né impugnando la ratio decidendi della sentenza della Corte distrettuale. Quest’ultima – a parere della Suprema corte – aveva disposto che alla cessazione della convivenza tra genitore e figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, conseguente alla scelta del primo di cambiare residenza rispetto a quella già costituente casa coniugale, conseguisse la revoca dell’assegnazione della casa per carenza dei relativi presupposti.
Tanquam non esset, in definitiva, era stata considerata la questione circa la collocazione della ragazza.
Eleonora Pergolari Edotto 29 settembre 2017
www.edotto.com/articolo/casa-familiare-revocata-lassegnazione-alla-madre-se-la-figlia-vuole-stare-col-padre?newsletter_id=59ce2a10fdb94d092cd2695d&utm_campaign=PostDelPomeriggio-29%2f09%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=casa-familiare-revocata-lassegnazione-alla-madre-se-la-figlia-vuole-stare-col-padre&guid=b8926fbd-83eb-4840-b22f-6094e0cd86f6
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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 35, 27 settembre 2017
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Un video sulla difesa dei più deboli. La voce di Madre Teresa alla cerimonia di consegna del premio Nobel (1979), per dare parola al bambino mai nato (unborn child). Per non dimenticare. [in inglese – con sottotitoli in italiano]. www.youtube.com/watch?v=BvqiIMmd0mk
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Family impact – seminario internazionale a Milano. Dal seminario una nuova sfida. Le tre giornate di lavoro (21-22 settembre, Milano, 23 settembre, Trento) con Karen Bogenschneider, del Family Impact Institute, sono state di estremo interesse, anche per la presenza e le riflessioni di numerosi ricercatori e policy makers di diverse istituzioni locali. E’ presto per poter restituire una sintesi ragionata dei risultati, anche se numerosi enti hanno dichiarato di voler proseguire in questa collaborazione internazionale (a partire dal Cisf e dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, che hanno promosso e organizzato l’evento). Si riportano qui, per rendere il senso dell’incontro, tre slide della presentazione del Direttore del Cisf Francesco Belletti.
A. Quattro motivi per cui questo modello è interessante:
1) Si presenta chiaro, ben formalizzato, ripetibile e non orientato politicamente. Tecnico, utile per tutti;
2) È saldamente fondato sui dati di ricerca (evidence-based);
3) Esplicita con chiarezza i presupposti culturali e i criteri di approccio alla famiglia (cinque principi, ben chiari);
4) Da questi principi si deduce che la famiglia è la soluzione, non il problema.
B. E’ utile investire tempo e risorse su queste riflessioni:
1) Perché vogliamo sperimentare la valutazione di impatto familiare, ex ante ed ex post, inutilmente chiesta da tanti anni;
2) Perché siamo convinti che sia utile/indispensabile introdurre la dimensione familiare per capire cosa succede quando si agiscono politiche pubbliche (sociali ma non solo: fiscali, economiche, educative, lavoristiche…)
C) Senza valutazione di impatto familiare capita che …
1) Il recente provvedimento del precedente Governo ha erogato 80 euro al mese in busta paga, per tutti i lavoratori dipendenti con reddito inferiore a 25/26.000 euro annui. – e dopo un paio di anni ha reso strutturale questo provvedimento.
2) Peccato che così una famiglia con tre persone che lavorano con reddito di 24.000 ciascuno (24×3 = 72.000) ha percepito 240 euro in più mensili, mentre una coppia con un figlio (sempre tre persone) con un unico percettore di reddito pari a 27.000 (comparato a 72.000!) non ha ricevuto alcun aumento.
3) Per non parlare delle famiglie in cui non ci sono lavoratori dipendenti (totalmente ignorate).
4) Questo è un esempio in cui una “valutazione ex ante” avrebbe certamente impedito questa pessima conseguenza, oppure una valutazione ex post avrebbe suggerito di modificare l’intervento in termini più equi verso la famiglia, anziché stabilizzarlo (perseverando nell’errore).
Anche solo questo mi pare un motivo sufficiente per provare ad introdurre un po’ di cultura della valutazione a misura di famiglia nel nostro paese”.
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Save the date
Nord Il bene comune questo sconosciuto, ciclo di incontri il martedì, dal 3 ottobre al 14 novembre 2017, promossi dalla Comunità parrocchiale Ss. Giulio, Castellanza (VA),
www.occhisulsociale.it/files/2017/09/Locandina-bene-comune.pdf
introdotti da un incontro su “Poteri forti (o quasi)”, con Mons. Gianni Zappa e Ferruccio De Bortoli, Castellanza (VA), 22 ottobre 2017. www.occhisulsociale.it/files/2017/09/Locandina-22-settembre.pdf
Centro La centralità della mediazione penale per la messa alla prova degli adulti, promosso da Ministero della Giustizia, in collaborazione con Caritas Firenze, “L’Altro Diritto – Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità” e Università di Firenze, Firenze, 29 settembre 2017.
www.oastoscana.eu/sites/default/files/upload/programma%20aggiornato.pdf
Settimana della Famiglia 2017, promossa dal Forum delle associazioni familiari – Lazio, Roma, 1-8 ottobre 2017. www.settimanadellafamiglia.it
Sud Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale, 48ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, Cagliari, 26-29 ottobre 2017. www.settimanesociali.it/materiali
Estero 7th International Carers Conference, organizzata da Carers Australia, associazione che rappresenta i prestatori di cura informali (familiari ma anche di reti non parentali), Adelaide (Australia), 4-6 ottobre 2017.
http://www.carersaustralia.com.au/international-conference/
https://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.carersaustralia.com.au/international-conference/&prev=search
Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Con tutti i linkhttp://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/settembre2017/5047/index.html
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CHIESA CATTOLICA
Un passo avanti, due indietro. Uguaglianza di genere e religioni
Credente e femminista? Nessuna contraddizione. Questa la conclusione cui è giunto il 37° Congresso di teologia dell’Associazione Giovanni XXIII, celebrato a Madrid dal 7 al 10 settembre 2017 scorso su “Donne e religione: dalla discriminazione all’uguaglianza di genere”. Il tema è stato introdotto dal segretario nazionale dell’Associazione, Juan José Tamayo (responsabile fra l’altro della Cattedra di Teologia e Scienze delle Religioni “Ignacio Ellacuría” all’Università Carlos III della capitale spagnola), con l’annotazione che la celebrazione del Congresso quest’anno coincide con il decimo anniversario della Legge sull’uguaglianza effettiva di donne e uomini, «pioniera del riconoscimento dell’uguaglianza di diritti fra donne e uomini, pur nella consapevolezza dell’ancora lungo cammino necessario per il raggiungimento del fine».
E in effetti, «se si sono registrati degli avanzamenti, anche importanti», si sono verificati «anche indietreggiamenti come dimostrano, fra gli altri, fenomeni quali: il permanere del micro e macro-maschilismo; l’inferiorità salariale delle donne per uguale lavoro; la retrocessione nell’educazione all’uguaglianza; la violenza maschilista, i femminicidi, che quest’anno, alla data di oggi, hanno raggiunto la cifra di 47, e l’anno passato, in tutto il mondo, sono arrivati a sessantamila». «In materia di uguaglianza di genere», ha osservato ancora Tamayo, «le cose stanno peggio nelle istituzioni religiose – soprattutto nei dirigenti, maschi in grande maggioranza – che verso le donne si sono mosse sempre male.
Salvo eccezioni, nelle religioni non ci sono stati passi avanti in direzione dell’uguaglianza», anzi, «si è verificata una stagnazione, quando non un passo indietro». Non nella base ecclesiale femminile, però: «È in crescita il numero delle donne che si ribella e, senza abbandonare lo spazio religioso, si organizzano autonomamente, si allontanano dagli orientamenti morali che impone loro il patriarcato religioso e vivono l’esperienza religiosa a partire dalla propria soggettività, senza passare per la mediazione dei maschi».
La distanza fra vertici e base ecclesiale, in Spagna, non riguarda però solo le donne. Nei documenti della Conferenza episcopale, è stato il rilievo di Tamayo, ci sono 14 “no”: ai rapporti prematrimoniali, alla masturbazione, al divorzio, alle coppie di fatto, all’omosessualità, ai matrimoni omosex, alla pillola del giorno dopo, alla fecondazione in vitro, al matrimonio dei sacerdoti, al sacerdozio delle donne, ai metodi contraccettivi, all’accesso alla comunione eucaristica dei divorziati, ai diritti sessuali e riproduttivi delle donne… E solo due “sì”, alla castità e al diritto alla vita (soprattutto in riferimento alla vita prenatale). «Con questo programma morale – ha dedotto il teologo – non mi stupisce che sia sempre maggiore il numero di cattolici e cattoliche che non aprono bocca» e seguono una loro morale.
D’altronde, ha spiegato il teologo e filosofo Krzysztof Charamsa (già segretario della Commissione teologica internazionale presso la Congregazione per la Dottrina della Fede fino a quando ha pubblicamente dichiarato la sua omosessualità e presentato il suo partner), «nella cultura occidentale è avvenuto un cambiamento storico: mentre, nel passato, il campo della sessualità era dominato dalla religione, fonte primaria di formazione (…), nel tempo moderno sono le scienze umane quelle che reclamano la propria competenza razionale rispetto alla sessualità, indipendentemente dai rispettabili interessi religiosi». «Il sesso – ha continuato – finora un tabù a livello di linguaggio e di coscienza razionale delle masse, si trasforma in discorso razionale, verificabile e controllabile con strumenti logici e scientifici». Cambiamento che getta la Chiesa cattolica in un «momento di enorme crisi». Ora dunque, «la meta ideale del processo di sviluppo della relazione fra la sessualità e le religioni è l’accettazione da parte della religione della competenza della scienza».
In questo percorso, che vede già in campo indagini teologiche, «bisogna riconoscere e impiegare sufficientemente, nel lavoro pastorale, non solo i principi teologici, ma le scoperte delle scienze profane, soprattutto psicologia e sociologia, portando così i fedeli verso una più pura e matura vita di fede».
Concludendo, il teologo ha ringraziato le donne: a loro e al movimento femminista va riconosciuto di aver costruito la prima tappa della rivoluzione dell’identità sessuale. E ha citato Simone de Beauvoir: «Quando ne Il secondo sesso, 1949, formula il suo principio: “Non si nasce donna: si arriva ad esserlo”, apre la sfida di un ripensamento radicale di tutta la questione femminile. La radicalità esigeva rendersi conto della discriminazione delle donne, ritenute esseri inferiori, a vari livelli della vita nelle società e culture patriarcali e misogine, così come ci siamo resi conto della discriminazione razziale delle persone nere nelle società razziste.
Eletta Cucuzza Adista Documenti n° 32 del 23 settembre 2017
www.adista.it/articolo/57651
Messaggio finale del Congresso teologico Giovanni XXIIIin una nostra traduzione dallo spagnolo.
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Dal 7 al 10 settembre 2017 abbiamo celebrato il 37° Congresso di teologia sul tema “Donne e religione: dalla discriminazione all’uguaglianza di genere” in un clima di dibattito sereno, di dialogo sincero e di incontro fraterno-sororale. Abbiamo cominciato osservando un minuto di silenzio come espressione di condanna per gli attentati terroristici di Barcellona e Cambrils e di solidarietà alle famiglie, ed un altro per gli assassinii di donne che avvengono in Spagna e in tutto il mondo. Un altro minuto di silenzio lo abbiamo osservato per i popoli colpiti dai vari uragani e terremoti che hanno causato decine di morti negli Stati Uniti, in Messico e nei Caraibi.
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Abbiamo svolto un’analisi critica del patriarcato come sistema di dominio contro le donne, le bambine, i bambini e le persone più vulnerabili della società. Questo sistema è in alleanza con altri modelli di dominio: capitalismo, colonialismo, fondamentalismo, depredazione della natura, e provoca discriminazioni di genere, di classe, etnia, cultura, religione, provenienza geografica e orientamento sessuale in tutti gli ambiti della vita: linguaggio, vita quotidiana, politica, economica, educazione, lavoro, famiglie, spazio domestico, cultura, scienza, creazione artistica, tempo libero, mezzi di comunicazione, pubblicità.
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La nostra critica si è estesa alle religioni, che hanno una struttura patriarcale, trasmettono una ideologia androcentrica, impongono una morale maschilista e sviluppano pratiche sessiste. Nella maggioranza dei casi non si riconoscono le donne come soggetti religiosi ed etici, ma vengono considerate inferiori, subalterne, dipendenti. Vengono escluse dagli spazi del sacro, emarginate da posti di responsabilità, di esercizio del potere e dagli ambiti decisionali. Le religioni generano nelle donne atteggiamenti di obbedienza e sottomissione che sono qualificati come virtù.
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Abbiamo analizzato criticamente e condannato la violenza contro le donne e le identità sessuali dissidenti nelle loro molteplici manifestazioni: corpi colonizzati, violenza maschilista come arma di guerra, violazioni, prostituzione, tratta delle donne, uteri da affittare, abusi sessuali su bambine e bambini, vendita di organi, bambine e bambini rubati, femminicidi, aggressioni contro gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, intersessuali, maltrattamenti dei piccoli, ritiro alle madri della custodia di figli e figlie e consegna ai padri condannati per maltrattamento.
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I dirigenti religiosi si prodigano in condanne dell’aborto, del divorzio, dei rapporti prematrimoniali, dei metodi contraccettivi, del matrimonio omosessuale, della fecondazione in vitro, dei diritti sessuali e riproduttivi. Squalificano la teoria di genere che chiamano “ideologia di genere” e considerano la più perversa dell’umanità. Condannano i movimenti femministi e LGBT e manifestano la loro opposizione alle leggi di uguaglianza effettiva fra uomini e donne. Con i loro documenti e dichiarazioni pubbliche alimentano spesso varie forme di violenza di genere: sessuale, simbolica, religiosa, psicologica e incoraggiano atteggiamenti e comportamenti maschilisti e omofobici nelle persone credenti e nella cittadinanza. Mostrano inoltre insensibilità verso la violenza di genere, il patriarcato, il sessismo e la LGBTfobia. Nella Chiesa cattolica è vietato alle persone sessualmente dissidenti l’accesso al ministero sacerdotale e la partecipazione ad attività pastorali.
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Abbiamo dato la parola a donne attiviste che hanno esposto i contributi dei loro movimenti femministi alle differenti aree geoculturali, specialmente in America Latina, Africa e Spagna, e a donne credenti che hanno parlato dei loro Movimenti di Donne nelle religioni, movimenti che, in sintonia con quelli femministi, lottano contro ogni tipo di discriminazione e per la difesa dell’uguaglianza di genere.
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Abbiamo valutato positivamente l’incontro fecondo fra femminismo e cristianesimo, che ha provocato la ribellione delle donne contro il sistema patriarcale e la nascita della teologia femminista, che riconosce il protagonismo delle donne nel movimento di Gesù inteso come discepolato egualitario, nella nascita della Chiesa cristiana per essere testimoni della resurrezione e nelle prime comunità cristiane dove esercitavano i ministeri e i carismi senza discriminazione, secondo l’affermazione di Paolo di Tarso: “Non c’è più giudeo né greco; né schiavo né libero; Né uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3,28). L’esclusione delle donne dal ministero ordinato non risponde a ragioni bibliche, teologiche o storiche, ma è il risultato della persistenza del patriarcato insediato nel vertice del potere e nell’organizzazione delle istituzioni religiose. Denunciamo il fatto che si puniscano con la scomunica le donne ordinate sacerdoti nella Chiesa cattolica.
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Fecondo è l’incontro fra il femminismo “decoloniale” e le teologie femministe che criticano il femminismo egemonico-occidentale, si interrogano sulla colonizzazione del potere, del sapere, dell’essere e del genere, difendono la decolonizzazione delle menti, del discorso teologico e delle pratiche di liberazione delle religioni e recuperano i saperi, i simboli e la spiritualità dei popoli originari.
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Abbiamo scoperto che spiritualità e politica sono due realtà indissociabili e abbiamo preso coscienza della necessità e dell’urgenza di una spiritualità politica che conduce ad ascoltare il grido della Terra e il clamore straziante di milioni di persone affamate di pane e di diritti, e di lottare per un altro Mondo Possibile.
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La lezione che abbiamo appreso in questo Congresso è che fra femminismo e religione non c’è contraddizione e che si può essere credente e femminista. Questa è la sfida alla quale dobbiamo rispondere.
Messaggio Congresso teologico Giovanni XXIII 18 settembre 2017
http://www.adista.it/articolo/57653
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TERZA CONFERENZA NAZIONALE SULLA FAMIGLIA
Interventi istituzionali e documenti
Nei giorni 28 e 29 settembre 2017 si è tenuta, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio a Roma, la Terza Conferenza Nazionale della Famiglia, organizzata dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il supporto dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia.
La Conferenza, che ha visto la attiva partecipazione delle Istituzioni di tutti i livelli di governo, delle parti sociali e, naturalmente, delle organizzazioni rappresentative della società civile, ha affrontato temi di grande rilevanza ed attualità quali quelli della crisi demografica, delle politiche fiscali a favore della famiglia e delle misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
La Conferenza ha costituito, dunque, un’occasione di riflessione, partecipazione, confronto e di dibattito sui temi della famiglia, considerata in tutte le sue componenti e problematiche generazionali, ed ha avuto come focus la discussione ed il confronto delle linee generali del prossimo Piano Nazionale per la Famiglia, sulla base dei lavori sinora portati avanti dall’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia, ricostituito nel settembre dello scorso anno.
La Conferenza si è articolata in una prima mattinata dedicata ai saluti istituzionali e ad alcune relazioni di inquadramento dei principali assi di discussione, fra cui quella del Presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, e del Presidente dell’INPS, Tito Boeri. Seguiva una sessione pomeridiana dedicata interamente ai gruppi di lavoro, coordinati da membri del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia.
La seconda giornata si è aperta con la restituzione in plenaria dei risultati del lavoro dei gruppi, seguita da una tavola rotonda cui hanno partecipato esponenti politici in rappresentanza delle amministrazioni centrali di riferimento, delle regioni e delle autonomie locali.
Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è intervenuto alla Terza Conferenza nazionale sulla famiglia (Sala della Protomoteca):Interventowww.politichefamiglia.it/conferenza-famiglia/edizione-2017
Per gli altri interventi istituzionali, clicca
http://videoplayer.palazzochigi.it/video/GovernoGentiloni/Eventi/20170908conferenzafamiglia.html
Documenti della conferenza
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Abstract dei gruppi di lavoro. Rapporto di monitoraggio sulle politiche della famiglia delle Regioni e Province Autonome, dei Comuni
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Presentazione Alleva, presidente ISTAT: Le famiglie italiane: un quadro in continuo cambiamento
Approfondimenti tematici gruppi di lavoro
Gruppo 1. Centralità del ruolo delle famiglie come risorse sociali ed educative
Gruppo 2. Crisi demografica e rapporto fra il quadro nazionale e le tendenze internazionali
Gruppo 3. L’evoluzione della famiglia fra diritto e società
Gruppo 4. Conciliazione famiglia/lavoro e nuove politiche di welfare
Gruppo 5. Proposte e prospettive per un fisco a sostegno delle famiglie
www.politichefamiglia.it/conferenza-famiglia/edizione-2017
Famiglia. La risposta monca
«Un giardino da coltivare non un museo da custodire». Giovanni XXIII parlava del pianeta. Il sottosegretario Maria Elena Boschi prende in prestito la citazione – riconoscendone la paternità – per riferirla alla famiglia, e con l’intento di imprimere un afflato più domestico sostituisce «custodire» con «spolverare». Valeria Fedeli, titolare dell’Istruzione, parla di corresponsabilità educativa, sollecita i padri a non delegare alle mamme tutte le incombenze di cura e di accudimento dei figli. La presidente della Camera Laura Boldrini, non ha paura ad accennare alla centralità delle famiglie (che declina al plurale) e rilancia con convinzione l’allarme denatalità.
Tra interventi degli esperti, di tutti gli orientamenti culturali, e saluti istituzionali, concetti come sussidiarietà, inclusione, superiore interesse del minore, patto scuola-famiglia, soggettività familiare sono sembrati lessico ordinario, apprezzato e condiviso alla Conferenza nazionale sulla famiglia, che si è conclusa ieri a Roma. Il ‘fattore famiglia‘, poi, è risultato un must [obbligatorio, doveroso]. Citatissimo da tutti, evocato a non finire, considerato punto d’arrivo indiscutibile di un cammino di riforma che nessuno mette più in dubbio. Sarà vero? Quando si coglie tanta uniformità di pensiero è sempre lecito dubitare. Troppo facile ipotizzare che dietro questo solerte allineamento alle parole – e forse anche alle convinzioni – che solo fino a poco tempo fa erano patrimonio specifico dell’associazionismo familiare e di qualche studioso illuminato e controcorrente, ci siano soprattutto, a circa sei mesi dalla fine della legislatura, strategie elettorali.
Cattivi pensieri, accresciuti inevitabilmente dall’asciuttezza con cui il ‘ministro dei soldi’ Pier Carlo Padoan ha svuotato la prospettiva di avviare subito, pur con la gradualità necessaria, nuove politiche familiari. La delusione c’è, ma la sempre più larga diffusione di un alfabeto familiare preciso e definito è un fatto, e non può che essere motivo di soddisfazione. Anche perché il ricorso a riferimenti verbali così impegnativi vede protagonisti esperti e politici che solo fino a qualche anno fa non sembravano così sensibili alla ‘vertenza famiglia’. Da cosa sarebbero stati convinti? Probabilmente dalla fondatezza di allarmi che ora, di fronte a dati ineluttabili e ricerche che non lasciano spazio a divagazioni capziose, mostrano tutta la drammaticità della condizione del nostro sistema Paese. Con le statistiche rigorose, messe in fila per esempio dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva, che, con la forza implacabile dei numeri, ha mostrato anche a chi coltivava qualche residuo dubbio come la depressione demografica (altro neologismo che sta diventando intercalare comune), a lungo andare, equivalga a un grave impoverimento collettivo. Perché le culle vuote renderanno aritmeticamente impossibile trovare le risorse per pagare le pensioni, aiutare gli anziani non autosufficienti, sostenere il sistema sanitario, quello del welfare, quello scolastico e tanto altro ancora. E non accadrà nel prossimo millennio ma, secondo previsioni statistiche tutt’altro che fantasiose, tra meno di vent’anni. C’è da preoccuparsi? Sì, se quella rinnovata cultura familiare che alla Conferenza nazionale tutti hanno mostrato di conoscere e apprezzare non si trasformerà in proposte legislative concrete. Serve una riforma radicale del sistema fiscale che, come hanno indicato gli esperti, già con i pochi fondi a disposizione, potrebbe essere avviata anche in questo tramonto di legislatura. Quel ‘fattore famiglia’, di cui è stata ribadito il fondamento e la sensatezza, può essere applicato già ora, gradualmente, senza quegli stanziamenti importanti che nessuno per il momento sembra avere il coraggio di proporre. Sarebbe una piccola ma significativa inversione culturale rispetto alle tendenze finora affermate. Un segnale per dire che il ‘familiare’ ha trovato finalmente spazio tra individualismo e collettivismo. E con lo stesso criterio ‘familiare’ – visto che nessuno ne mette più in dubbio i fondamenti – bisogna porre mano alle altre situazioni critiche sul fronte del lavoro, dell’educazione, del welfare locale, del diritto di famiglia, dei servizi sociosanitari.
Abbiamo analisi condivise e proposte intelligenti nella logica della sussidiarietà e del protagonismo delle famiglie. Imparato l’alfabeto, la politica deve parlare quel linguaggio senza più incertezze, con chiarezza e verità. Senza confondere, come ancora ieri ha sorprendentemente fatto il ministro Padoan, misure di contrasto alla povertà e aiuti alle famiglie. E senza pensare che bastino quattro spiccioli per liquidare tutto come una delle tante questioni di settore. No, questa è ‘la questione’ da cui dipende il futuro di tutti noi, dei nostri figli, del Paese intero. Se siamo davvero convinti – come è stato abbondantemente riconosciuto in questi giorni – che la famiglia è risorsa, dopo le parole giuste vanno trovate e mobilitate le risorse per sostenerla, promuoverla e farla crescere. La risposta è invece ancora monca. Serve completarla, con urgente convinzione.
Luciano Moia Avvenire 30 settembre 2017
www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut6060
Gentiloni:” La famiglia l’ancora degli italiani negli ultimi 10 anni di crisi economica e sociale”. Negli ultimi 10 anni la tenuta del nostro sistema paese è stata assicurata da alcuni pilastri fondamentali – ha detto il premier Gentiloni aprendo i lavori della due giorni della terza Conferenza nazionale sulla famiglia – e tra questi, appunto, la famiglia che è stato ancoraggio fondamentale. Da gennaio – ha proseguito – il reddito di inclusione sarà uno strumento importante nella lotta alla povertà e nella prossima legge di bilancio puntiamo ad arricchirlo”.
Credo – ha detto Gentiloni – che a mano a mano che usciamo dalla fase più dura della crisi economica potremo fare progetti più ambiziosi per sostenere le famiglie anche se c’è stato un sforzo degli ultimi governi. Di tutto abbiamo bisogno tranne di un conflitto generazionale ma un patto intergenerazionale non si fa ai tavoli del governo ma valorizzando il ruolo delle famiglie. Negli anni della crisi, ha evidenziato il premier, la famiglia ha spesso fatto da supplente allo Stato.
«Intervento decisamente lucido quello del presidente Gentiloni all’apertura della Conferenza sulla famiglia. Giusto in ogni passaggio» ha commentato Gigi De Palo presidente del Forum delle associazioni familiari, importante promotore della Conferenza a sette anni dall’ultima convocazione. «Sappiamo tutti però che se non si aiuta la Famiglia, questo Paese muore. Dal premier e dal governo, oltre a belle parole, ci aspettiamo immediate misure già in questa legge di stabilità. Forse è davvero l’ultima possibilità per la vita delle famiglie e per la credibilità della politica italiana» ha concluso.
La presidente della Camera, Laura Boldrini riprende il tema del crollo demografico “474mila nascite. Record negativo” per un Paese che invecchia. Nel suo intervento Filomena Albano, Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, ha posto l’accento sull’infanzia fuori famiglia: “Occorre garantire a tutti i ragazzi, in famiglia e fuori famiglia, le stesse opportunità. Lo Stato – dice – è la famiglia per questi bambini e ragazzi che vivono in strutture d’accoglienza e hanno diritto alle stesse opportunità dei loro coetanei che vivono in famiglia. Per questo bisogna garantire loro standard adeguati ma anche assicurare un progetto individualizzato per il loro accompagnamento nell’uscita”.
“Sull’infanzia e adolescenza fuori famiglia è tempo di agire e di conoscere chi sono questi minori, quanti sono, da dove arrivano … solo così potremmo intervenire rispondendo a bisogni reali e non presunti” ha aggiunto Cristina Riccardi, consigliere di Amici dei Bambini con delega all’Affido Familiare, che partecipa ai lavori della Conferenza, insieme a Giuseppe Salomoni e Ermes Carretta, rispettivamente vice presidente e segretario generale di Ai.Bi., la famiglia coordinatrice per la sede regionale di Ai.Bi. Lazio, Carla e Luca Guerrieri e Marzia Masiello, responsabile per i rapporti istituzionali.
Simonetta Matone, presidente del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia e coordinatrice del primo dei cinque gruppi nei quali questo pomeriggio si sono svolti i lavori parla di “Centralità del ruolo delle famiglie come risorse sociali ed educative” affronta il tema dell’accoglienza familiare per Minori stranieri non accompagnati. “Se in Italia ci fosse una cultura dell’affido familiare” – dice – “sarebbe risolto il dramma dei minori stranieri non accompagnati“. E sul tema adozione, aggiunge “Le famiglie adottive sono abbandonate dai servizi sociali nel postadozione”.
Un momento quello offerto dalla Conferenza sulla Famiglia in cui si torna finalmente a riflettere in modo costruttivo sul ruolo sociale della famiglia con l’obiettivo di presentare al Governo proposte concrete per intervenire in modo efficace sui tanti problemi che oggi rendono difficile la vita quotidiana di genitori e figli offrendo una fotografia delle varie realtà familiari.
News Ai. Bi. 28 settembre 2017
www.aibi.it/ita/gentiloni-la-famiglia-lancora-degli-italiani-conferenza-sulla-famiglia
L’annuncio. Padoan: cinque miliardi alle famiglie, ma faremo di più
Il responsabile del Tesoro ha ribadito che i fondi aggiuntivi «saranno limitati» perché il Paese ha il fardello dell’alto debito pubblico e «il sentiero è stretto».
La Conferenza nazionale sulla Famiglia si chiude con un grande mole di lavoro di analisi e proposta, anche se le ricadute immediate in termini di nuove misure da approntare saranno ridotte. Intervenuti alla tavola rotonda finale, tanto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi hanno sottolineato che nell’attuale quadro finanziario le risorse disponibili nella legge di Bilancio in arrivo saranno necessariamente «limitate», mentre per le riforme strutturali occorre ormai guardare alla prossima legislatura. Confermato però un rafforzamento dei fondi per il Rei, il reddito di inclusione destinato prioritariamente alle famiglie con figli.
Da questo punto di vista Boschi ha detto che c’è «attenzione» al problema, segnalato dalla associazioni, che il bonus così come oggi definito aumenta in base al numero dei componenti solo fino al terzo figlio (oltre il quale resta invariato), criterio che penalizza ulteriormente le famiglie svantaggiate molto numerose. Un’altra misura che potrebbe rientrare in manovra, ha auspicato Il sottosegretario, sono gli sgravi «per l’acquisto di mobili» che si è dimostrato «molto utile per tante giovani coppie e non solo».
Per l’inclusione sociale, misure a favore delle famiglie, dei giovani e per la lotta alla povertà sono già stati stanziati più di 10 miliardi in due anni, ha ricordato nel suo intervento il ministro Padoan, 5,050 miliardi nel 2017 e 5,100 miliardi (quindi per ora solo 50 milioni in più, nel 2018) anche se nella prossima legge di Bilancio «si può fare di meglio in termini di risorse e di allocazione». Tuttavia, il responsabile del Tesoro ha ribadito che i fondi aggiuntivi «saranno limitati» perché il Paese ha il fardello dell’alto debito pubblico e «il sentiero è stretto tra risorse e necessità di sostenere crescita e inclusione».
Nella manovra per il 2018 i fondi saranno destinati a tre obiettivi: il consolidamento dei conti pubblici, la sterilizzazione delle clausole Iva-accise e le misure per la crescita inclusiva e gli investimenti.
«Alcuni segnali importanti» per le famiglie «li possiamo dare adesso», ha confermato da parte sua la Boschi chiudendo i lavori, ma «riforme più ampie», «che non vogliamo escludere a priori», come «il quoziente famigliare» e proposte che «prevedono l’innalzamento delle soglie di detrazioni per figli a carico», «sono prospettive che riguarderanno la prossima legislatura». Se ne avremo la possibilità, ha spiegato, «ci assumiamo anche le responsabilità di proseguire questo lavoro nei cinque anni successivi».
Boschi ha rivendicato quando fatto dagli ultimi governi e sottolineato che «le misure per rilanciare l’occupazione sono state la prima riforma per la famiglia. Perché possiamo fare tutte le misure di sostegno alle famiglie, assistenziali, agevolazioni fiscali, ma chi lo fa un figlio se non ha un lavoro?». Parlando poi dell’occupazione femminile, Boschi ha sottolineato la necessità di implementare le misure per conciliare i tempi di vita-lavoro e incrementare il loro utilizzo anche da parte degli uomini. Ma «occorre che uomini e donne guadagnino allo stesso modo, perché se gli uomini guadagnano di più staranno sempre a casa le mamme perché è economicamente più vantaggioso».
Cinque idee per salvare l’Italia salvando le famiglie. «Il Paese ha tre problemi giganteschi: la demografia, il mancato accesso dei giovani alla cittadinanza piena, la redistribuzione delle risorse», afferma Riccardo Prandini, responsabile scientifico del tavolo sul welfare della Conferenza che apre domani. «Siamo agli sgoccioli rispetto alla possibilità di cambiare le cose e una parte della politica, per quanto non maggioritaria, se ne rendo conto: questo mi fa sperare»
Nicola Pini Avvenire venerdì 29 settembre 2017
www.avvenire.it/attualita/Pagine/padoan-cinque-miliardi-alle-famiglie-ma-faremo-di-piu
Cinque idee per salvare l’Italia salvando le famiglie
«Conciliazione famiglia-lavoro e nuove politiche territoriali di welfare»: su questo si concentreranno giovedì pomeriggio i partecipanti al gruppo di lavoro numero quattro della Conferenza Nazionale della Famiglia. I lavori preparatori di questo tavolo, in questi mesi, sono stati seguiti dal professor Riccardo Prandini, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna, membro dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia e referente scientifico di questo gruppo di lavoro. Si parlerà di politiche legate alla prima infanzia come agli anziani, di povertà come di disabilità, di asili nido e di congedi. Il documento preparatorio fa molte proposte: politiche di edilizia abitativa, una legge quadro sui caregiver familiari, risorse specifiche per alleggerire il peso delle rette dei nidi sulle famiglie, l’introduzione di un budget di cura individuale, congedi per figli adolescenti, livelli essenziali delle politiche sociali, l’obbligatorietà di una valutazione d’impatto sulla vita familiare delle politiche sociali.
Professore, partiamo dall’analisi: in sintesi, qual è la situazione della famiglia che andate a presentare alla Conferenza Nazionale?
Le analisi sulle problematiche delle famiglie le abbiamo da 15/20 anni: ci sono state novità in questo arco di tempo, ad esempio le nuove povertà, ma fondamentalmente non c’è tanto da fare analisi quanto cominciare a dare risposte. Direi – parlo io ma mi sembra che questo sia il sentire condiviso di tutti i gruppi di lavoro – che ci sono tre problemi giganteschi in campo e nessuno è nuovo. Il primo è demografico: sappiamo che con la tendenza attuale, le famiglie sono destinate ad accumulare deficit e problemi che diventeranno sempre più forti. I problemi in questo quadro accelereranno la loro comparsa, penso ad esempio alla questione delle pensioni o alla necessità di sviluppare lavori nuovi: la configurazione demografica peggiorerà la situazione. Il punto è capire se siamo ancora in tempo a dare una torsione positiva al quadro demografico o no. Per riuscirci di certo non c’è una politica da mettere in campo, serve un sistema di politiche che devono avere la caratteristica di essere certe e durature per almeno un quinquennio, dobbiamo entrare nella cultura della programmazione per dare aspettative certe alle famiglie giovani che devono poter costruire i loro percorsi di vita.
C’è un conflitto generazionale nascosto dall’aiuto privato che le famiglie danno ai loro figli e nipoti per aiutarli a sbarcare il lunario, con un effetto perverso per cui pubblicamente il sistema non interviene proprio perché esiste questo aiuto informale. È un paradosso a cui bisogna porre fine. La generazione dei 25/30enni è già persa. Riccardo Prandini
Dopo la denatalità, quali sono le altre due emergenze?
Il secondo punto il fatto che il mondo giovanile – intendiamo gli under30 – ha un problema molto grave di blocco dell’entrata alla piena cittadinanza, non penso solo al lavoro. C’è un conflitto generazionale nascosto dall’aiuto privato che le famiglie danno ai loro figli e nipoti per aiutarli a sbarcare il lunario, con un effetto perverso per cui pubblicamente il sistema non interviene proprio perché esiste questo aiuto informale. È un paradosso, una contraddizione. È ora di intervenire pubblicamente su questo squilibrio generazionale, con politiche del lavoro e dell’istruzione, con un investimento forte, perché il sistema informale ha mostrato di non essere in grado di portare i giovani fuori dalla loro condizione. Lo dico semplicemente, il sistema sta a galla perché i nonni danno ai nipoti gli spiccioli e con la scusa di questa toppa nessuno fa niente per affrontare il problema.
Sarebbe meglio “svelare il trucco” e toccare il fondo?
Lo abbiamo già toccato! I 25/30enni sono una generazione fortemente persa dal punto di vista di una carriera lavorativa ordinata, registrata, che li porti nel futuro ad avere pensioni decenti, potemmo aver già perso una generazione.
Il terzo tema?
È la redistribuzione delle risorse nel Paese, sia livello territoriale fra Nord, Centro e Sud, sia per quanto riguarda la composizione numerica delle famiglie, l’essere in coppia o single, avere un figlio o molti. Non parlo solo di risorse economiche ma anche di opportunità di crescita e di istruzione, c’è uno squilibrio fortissimo nel Paese, in cui rientra anche il tema fiscale. Su questo punto il tentativo da fare è quello di introdurre nel sistema italiano che è a tassazione individuale dei correttivi che riescano a leggere la composizione della famiglia e il carico famigliare, ma questa davvero è la punta dell’iceberg, perché a livello distributivo c’è fortissimo divario.
Abbiamo iniziato dicendo che il tempo dell’analisi è in qualche modo superato, questo deve essere il tempo delle scelte politiche e dell’azione. Che cosa suggerite?
I documenti preparatori sono ricchissimi, mi lasci dire che l’Osservatorio – con le forze e il mandato che aveva – ha lavorato molto e molto bene. Abbiamo individuato cinque principi che dovrebbero ispirare le nuove politiche familiari. Il primo è che le politiche per la famiglia non sono costi ma sono investimenti sul sistema Paese. Non capire che è un investimento significa non aver capito nulla delle nuove politiche familiari e restare nella logica dei bonus. Il secondo principio è la costruzione a livello territoriale di standard di servizi che possano essere un punto di partenza, collegati a piani familiari a livello territoriale di tre anni almeno. Cioè i Comuni – singoli o associati – dovrebbero obbligatoriamente avere un piano di politiche familiari triennale, mettendo a bilancio le risorse necessarie.
Abbiamo individuato cinque principi che dovrebbero ispirare le nuove politiche familiari. Il primo è che le politiche per la famiglia non sono costi ma sono investimenti sul sistema Paese. Non capire che è un investimento significa non aver capito nulla delle nuove politiche familiari e restare nella logica dei bonus.
Tre?
La stabilità e la durata delle politiche, tutto ciò che va sotto l’idea di bonus va non più perseguito perché non dà certezze. È meglio di niente, ma non serve: serve invece dare le cose giuste per il tempo giusto. Quarto punto è la personalizzazione e la coproduzione dei servizi, è finito il tempo dei servizi uguali per tutti, ci devono essere degli standard ma da lì in poi i servizi vanno ritagliati sui bisogni delle famiglie. Coproduzione significa che i servizi vanno pensati insieme alle famiglie stesse, le politiche attive tipiche del lavoro devono essere anche delle politiche familiari. Quinto principio è quello della valutazione d’impatto, da rendere obbligatoria: è irrazionale spendere senza avere una valutazione, questo da un lato renderà obbligatorio lavorare bene ma consentirà anche di selezionare le politiche giuste, efficaci e di correggere in corsa ciò che non va.
Dopo la Conferenza di Milano organizzata dal Governo Berlusconi venne elaborato un Piano Nazionale per la Famiglia, approvato il 7 giugno 2012 dal Governo Monti: è il primo Piano che il Paese abbia mai avuto, in realtà praticamente inattuato. Che elementi diversi ci sono oggi?
L’attuazione è una questione totalmente politica. Rispetto a 5/6 anni fa i problemi delle famiglie non hanno fatto che peggiorare, con un’accelerazione triplicata, è tutto più difficile: diciamo che oggi siamo agli sgoccioli rispetto alla nostra possibilità di intervenire e cambiare le cose. Una parte della politica, per quanto non maggioritaria, se ne rendo conto: questo mi fa sperare che per la salvezza del Paese qualcosa vada in porto.
Sara De Carli Vita.it 27 settembre 2017
www.vita.it/it/article/2017/09/27/cinque-idee-per-salvare-litalia-salvando-le-famiglie/144617
Tavolo sul Welfare Famiglia
Tre giganteschi problemi e cinque principi per politiche “salva Famiglia” e “salva Paese”
I temi della Conciliazione famiglia-lavoro e le nuove politiche territoriali di welfare saranno al centro dei lavori del tavolo numero quattro della Conferenza Nazionale della Famiglia sul Welfare Famiglia.
“Le analisi sulle problematiche delle famiglie le abbiamo da 15/20 anni: ci sono state novità in questo arco di tempo, ad esempio le nuove povertà, ma fondamentalmente non c’è tanto da fare analisi quanto cominciare a dare risposte. Siamo agli sgoccioli rispetto alla possibilità di cambiare le cose e una parte della politica, per quanto non maggioritaria, se ne rendo conto: questo mi fa sperare” afferma Riccardo Prandini, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna, membro dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia e referente scientifico del gruppo di lavoro in un’intervista a Vita.it.
Secondo quanto emerso dai lavori preparatori del Tavolo Sul Welfare esistono 3 problemi giganteschi in campo e nessuno è nuovo.
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Il primo è demografico. Con la tendenza attuale le famiglie sono destinate ad accumulare deficit e problemi che diventeranno sempre più forti. Serve un sistema di politiche certe e durature per almeno un quinquennio per dare aspettative e sicurezza alle famiglie giovani che devono poter costruire i loro percorsi di vita. Tra le molte proposte riportate nel documento preparatorio del gruppo di lavoro: politiche di edilizia abitativa, una legge quadro sui caregiver familiari, risorse specifiche per alleggerire il peso delle rette dei nidi sulle famiglie, l’introduzione di un budget di cura individuale, congedi per figli adolescenti, livelli essenziali delle politiche sociali, l’obbligatorietà di una valutazione d’impatto sulla vita familiare delle politiche sociali.
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“Il secondo”– continua Prandini – “è il fatto che il mondo giovanile – intendiamo gli under30 – ha un problema molto grave di blocco dell’entrata alla piena cittadinanza, non penso solo al lavoro. C’è un conflitto generazionale nascosto dall’aiuto privato che le famiglie danno ai loro figli e nipoti per aiutarli a sbarcare il lunario, con un effetto perverso per cui pubblicamente il sistema non interviene proprio perché esiste questo aiuto informale. Lo dico semplicemente, il sistema sta a galla perché i nonni danno ai nipoti gli spiccioli e con la scusa di questa toppa nessuno fa niente per affrontare il problema. La generazione dei 25/30enni è già persa.”
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“Il terzo tema da affrontare – secondo Prandini – è la redistribuzione delle risorse nel Paese, sia a livello territoriale fra Nord, Centro e Sud, sia per quanto riguarda la composizione numerica delle famiglie, l’essere in coppia o single, avere un figlio o molti. Non parlo solo di risorse economiche ma anche di opportunità di crescita e di istruzione, c’è uno squilibrio fortissimo anche in tema fiscale. E’ necessario introdurre nel sistema italiano che è a tassazione individuale dei correttivi che riescano a leggere la composizione della famiglia e il carico famigliare.”
Il tavolo Welfare ha individuato cinque principi che dovrebbero ispirare le nuove politiche familiari:
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Politiche per la famiglia intese come investimenti sul Paese;
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Costruzione a livello territoriale di standard di servizi e piani familiari di tre anni almeno, messi a bilancio;
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Stabilità e durata delle politiche fuori dalla logica dei bonus;
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Personalizzazione e la coproduzione dei servizi ritagliati sui bisogni delle famiglie;
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Valutazione d’impatto delle politiche realizzate.
Fonte Vita it News Ai. Bi. 28 settembre 2017
www.aibi.it/ita/conferenza-nazionale-famiglia-principi-salva-famiglia/
Matone: «Famiglia, adesso la svolta è possibile»
La coordinatrice della Conferenza nazionale rilancia l’impegno nei confronti della politica: «Non smetteremo di essere una spina nel fianco, soprattutto sul fronte delle situazioni di fragilità»
«Abbiamo fatto un lavoro complesso e difficile, ma oggi posso dire di essere soddisfatta. Volevamo formulare proposte fattibili, tenendo conto sì della scarsità di mezzi a disposizione, ma anche della necessità che la politica faccia uno scatto in più. E anche in questa prospettiva abbiamo fatto il nostro dovere. Ora non ci sono più alibi. Le analisi e le proposte sono arrivate. Avanti signori della politica, la famiglia non può più aspettare». Simonetta Matone, magistrato, volto noto della tv, come presidente dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia ha preparato e coordinato la Conferenza nazionale. Tempestiva, ironica, preparata, ha guidato varie sessioni dei lavori umanizzando con i suoi racconti, con le sue punture di spillo, gli interventi degli esperti. Il suo tema ricorrente? La prevenzione, la necessità di stare accanto alle famiglie più fragili, il dovere di intervenire prima che il problema sia deflagrante. «Come magistrato ho trascorso una vita tra gli ultimi della società ed ogni volta che ho incontrato un minore in carcere mi sono chiesta: se lo Stato lo avesse aiutato e soprattutto se avesse aiutato, capito e sostenuto la sua famiglia, sarebbe in quelle condizioni? Domande a cui è difficile dare delle risposte. Ma sono domande che vanno fatte. E noi in questi mesi, preparando la Conferenza nazionale, non abbiamo smesso un attimo di interrogarci».
La politica però non ha dato risposte incoraggianti. Le risorse non ci sono e, almeno per il momento, è inutile attendersi grandi interventi. Da dove nasce allora la sua soddisfazione?
Abbiamo comunque parlato di famiglia a distanza di sette anni dall’ultima Conferenza nazionale. Abbiamo ribadito la centralità del ruolo della famiglia e delle famiglie come risorsa sociale ed educativa. Abbiamo concordato sulla necessità di rafforzare il ruolo e la responsabilità della famiglia e dei suoi componenti lungo il ciclo di vita. Un primo macro obiettivo che abbiamo declinato secondo quattro punti: il sostegno alla responsabilità genitoriale, la costruzione di un sistema di alleanze con la scuola, la promozione e il potenziamento dei servizi socioeducativi per l’infanzia e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, il sostegno alle famiglie con anziani e disabili.
Ora tutte queste proposte vanno tradotte in provvedimenti concreti e, come ha fatto notare anche Gina Pedroni, esperta di politiche sociali, i ritardi sono talvolta clamorosi. Approvata la riforma del terzo settore, per esempio, mancano 32 decreti attuativi per renderla operativa. Siete disposti a non mollare la presa?
Non smetteremo un attimo di essere una spina nel fianco della politica. Soprattutto sul fronte delle fragilità e famiglie più vulnerabili. Servono aiuti specialistici nei momenti di crisi, in particolare con servizi di supporto ai genitori, con la previsione di un reddito di autonomia e di inclusione, azioni per favorire l’inserimento lavorativo, ridefinizione delle politiche abitative delle famiglie, ridefinizione dei servizi per prevenire e contrastare la violenza sulle donne e minori facendo emergere il sommerso. Senza dimenticare il sostegno alle famiglie che adottano e il troppo spesso dimenticato post-adozione.
Il tema dell’adozione e dell’affido è uscito spesso in questi giorni come necessità di rilanciare e definire un istituto che ha subìto una battuta d’arresto. Ma si è parlato anche di tante altre emergenze per quanto riguarda il diritto di famiglia. Si riuscirà a cambiare qualcosa?
Ci sono tante proposte e alcuni disegni di legge già presentati. Noi abbiamo sottolineato con forza il fenomeno della disgregazione familiare, anche dal punto di vista della frammentazione delle competenze giurisdizionali in materia di famiglia. Occorre interrompere il progressivo abbandono dell’aspetto pubblicistico del diritto di famiglia, con l’avanzare di sempre maggiori spazi all’autodeterminazione dei rapporti con gli individui.
Che opinione è emersa a proposito dell’annunciata soppressione dei tribunali per i minorenni?
La maggior parte degli esperti e anche delle rappresentanze istituzionali ha espresso parere negativo, affermando la necessità che a diritti speciali corrispondano sistemi giudiziari speciali. Abbiamo evidenziato la necessità di un approccio non solo giuridico alle problematiche minorili, ma multidisciplinare. Tanto nel settore penale che in quello civile.
Senza addentrarci nello specifico di questioni come fisco, welfare, denatalità, di cui abbiamo parlato tantissimo, ha colto generalmente un atteggiamento più favorevole verso la famiglia?
Ho sempre pensato che il diritto alla felicità a cui tutti aspiriamo non sia né codificato né codificabile, ma passi anche attraverso uno Stato che ti è amico, non nemico, attraverso la possibilità di chiedere aiuto e di riceverlo, di fare figli, attraverso un lavoro dignitoso, attraverso un uso intelligente delle risorse. Questo diritto alla felicità è sintetizzato nella piattaforma che abbiamo consegnato al governo in vista del futuro Piano nazionale della famiglia. Sì, ora la svolta è possibile.
Luciano Moia a Avvenire domenica 1 ottobre 2017
www.avvenire.it/attualita/Pagine/matone-adesso-la-svolta-possibile
Le attese. Le associazioni al governo: no slogan, ora misure
Dopo le belle parole è l’ora di passare ai fatti. I responsabili dell’associazionismo hanno fatto un passo indietro: a questa conferenza sulla famiglia hanno scelto di non intervenire, hanno preferito ascoltare. E ora, nella pausa pranzo, nell’impareggiabile panorama sui Fori che si gode dalla terrazza del Campidoglio, è tutt’un commentare le parole dei vertici istituzionali. Gran soddisfazione per la centralità da tutti riconosciuta alla famiglia, per il riconoscimento del ruolo svolto in questi anni di crisi. Ma c’è anche preoccupazione, che rischia di trasformarsi in delusione, per le misure concrete e strutturali che non arrivano. Soprattutto sul versante fiscale.
La sintesi la fa il presidente del Forum delle associazioni familiari Gigi De Palo. «Un intervento decisamente lucido quello del presidente Gentiloni», dice. «Giusto in ogni passaggio. Sappiamo tutti però – aggiunge – che se non si aiuta la famiglia, questo Paese muore. Dal premier e dal governo, oltre a belle parole, ci aspettiamo immediate misure già in questa legge di stabilità. Forse è davvero l’ultima possibilità – avverte – per la vita delle famiglie e per la credibilità della politica». Sulla stessa falsa riga il presidente di Azione Cattolica, Matteo Truffelli: «Abbiamo ascoltato parole molto impegnative circa il ruolo culturale, sociale ed economico della famiglia. Ora – dice anche Truffelli serve consequenzialità. Servono misure che guardino al futuro del Paese, non ispirate al piccolo cabotaggio. Occorre fare, né più e né meno, quel che si è detto. Se la politica vuole recuperare credibilità – conclude – deve fare sul serio, facendo della famiglia il fulcro delle politiche per progettare il futuro del Paese».
È fiducioso il presidente delle Acli Roberto Rossini. «Il nostro Paese non ha una politica strutturale per la famiglia. Le parole di oggi, però, inducono all’ottimismo – sostiene -. Finalmente sono stati affrontati temi come la riforma del sistema fiscale e la costruzione di un nuovo welfare per le famiglie. E contro la povertà è stata inaugurata una politica strutturale, con il Reddito di inserimento». Un primo passo. «Ora – auspica Rossini – il rafforzamento del Fondo contro la povertà potrebbe andare a sostenere le famiglie con figli, principali beneficiarie del reddito di inserimento». Pur sempre qualcosa, ma è drammatico che le famiglie con figli vengano trattate come una categoria a rischio, quasi come una patologia.
La ‘numerosa’ delegazione dell’associazione famiglie numerose è guidata dal vice presidente Carlo Dionedi: «Andiamo al cuore del problema – propone -. Se siamo tutti d’accordo sul dramma della denatalità, se il governo insiste sulla carenza di fondi perché non partire dalle famiglie con più 4 o più figli? Si tratta – calcola – dello 0,6% del totale. Se non ci sono fondi per avviare il quoziente familiare si può partire da questo piccolo segnale, stabilendo almeno un principio iniziale di equità fiscale. Sarebbe un aiuto determinante per chi è più in difficoltà, e nello stesso tempo potrebbe invogliare altre famiglie verso questa scelta coraggiosa. Ma indirettamente – conclude – sarebbe anche un aiuto all’economia. Perché gli aiuti dati alle famiglie con figli non finiscono sotto il mattone, ma in acquisti di prima necessità, diventano anche un aiuto a rimettere all’economia».
Tutti d’accordo, ma se ne parla la prossima legislatura, ha detto la sottosegretaria Boschi. E Carlo Costalli non ci sta. «Troppo facile cavarsela con generici impegni e puntuali rinvii – replica il presidente del Movimento cristiano lavoratori -. Si deve iniziare subito, serve un segnale già in questa legislatura», avverte. Costalli insiste: «Non sfugge a nessuno l’importanza dei riconoscimenti venuti qui alla famiglia, ma a pochi giorni dall’avvio del dibattito sulla legge di Bilancio, e a 6 mesi dalle elezioni se tutto si risolvesse in uno spot elettorale sarebbe inaccettabile. Se si tratta davvero di una priorità da cui dipende il futuro del Paese, serve, ora, un intervento strutturale che incida sulla leva fiscale. Altrimenti – conclude – con gli elettori sempre meno vincolati da ancoraggi ideologici, questo peserà di certo sulle loro valutazioni».
C’è un settore dell’associazionismo che sta pagando caro gli effetti della crisi. È quello impegnato sulla libertà di educazione. «Tante famiglie in difficoltà – dice Roberto Gontero, presidente dell’Agesc, i genitori delle scuole cattoliche – sono costrette a fare una scelta dolorosa, non potendo mantenere tutti i loro figli presso la scuola paritaria sono costretti a fare delle vere e proprie discriminazioni fra loro». Un’altra misura da prevedere subito, quindi, sarebbe l’aumento del contributo alle famiglie che scelgono le scuole paritarie: «Non sarebbe un costo. È noto che uno studente che non grava sulla scuola statale costa molto meno», ricorda Gontero.
«Se si parla tanto di denatalità è urgente aiutare chi è più di tutti in prima linea a sostenere le famiglie in difficoltà», interviene don Edoardo Algeri, presidente della Confederazione dei consultori di ispirazione cristiana, 220 in tutta Italia. «Se ci sono tante famiglie disposte ad accogliere un figlio si deve fare di tutto per prevenire i 100mila aborti che si registrano, tanto più che esiste una legge che tutela l’anonimato. Ma non ci sentiamo abbastanza ascoltati».
«Contro la denatalità, al di là delle parole, manca del tutto un piano», denuncia Paolo Ramonda, dell’associazione Giovanni XXIII. «Non si ha il coraggio di sostenere con chiarezza il ‘lavoro’ della maternità. Nella laica Francia, o in Germania, la mamma che fa questa scelta ottiene il doppio dei sostegni previsti in Italia. E i risultati si vedono, in termini di rilancio della natalità». Sono tre le proposte che avanza l’associazione fondata da don Benzi: «Uno ‘stipendio’ per le mamme, la prima. La seconda un intervento deciso in favore delle adozioni. La terza, un aiuto sostanzioso per chi cura in casa persone con gravi handicap. Un investimento più che un costo, questo, dal momento che nelle strutture i costi di degenza viaggiano fra i 3 e i 400 euro al giorno». Sono tante le ingiustizia da rimuovere, tante le istanze rappresentate a questa conferenza del 2017.
Amelia Cucci Tafuro è la presidente de ‘Il Melograno’, l’Associazione per i diritti civili delle persone vedove. «È giusto intervenire sui femminicidi – dice – ma i diritti degli orfani sono tutti uguali. E chi perde un genitore giovane che non ha fatto in tempo a mettere da parte il minimo per la pensione non può essere colpito due volte», dice Cucci Tafuro auspicando anche alcune correzioni alla riforma Dini che, in termini di cumulo sulla reversibilità, penalizza le vedove e indirettamente i figli.
«Ma la famiglia non è innanzitutto un problema economico – conclude Marco Mazzi, presidente delle famiglie per l’Accoglienza -. La famiglia, è tutt’altro che un problema, è una risorsa, perché luogo di legami, la famiglia è un bene perché un luogo di vita. Perciò è importante un approccio sussidiario che sostenga le associazioni che sono di aiuto alla famiglia. Per questo vanno sostenute sul serio le famiglie adottive, che accolgono la vita. Per questo serve il quoziente familiare – concorda Mazzi -, trasformando i sussidi in un reale riconoscimento. Non è più rinviabile, nel nostro Paese, agli attuali livelli di natalità».
Angelo Picariello Avvenire 29 settembre 2017
www.avvenire.it/attualita/pagine/politica-basta-melina-subito-misure
Le famiglie sono stanche di promesse.
«Siamo contenti di aver “costretto” il governo a parlare e a prendere posizione su un tema centrale come la famiglia» commenta Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, alla conclusione della III Conferenza sulla famiglia.
«La cosa strana che emerge è una sola: siamo tutti d’accordo. Tutti ritengono la famiglia una risorsa insostituibile per il Paese, tutti sono convinti che il problema del crollo della natalità non è più procrastinabile, tutti sono convinti che vada trovata una riforma fiscale che metta al centro le famiglie. Anche il governo, a parole, lo ha più volte ripetuto in questi giorni.
«Tuttavia siamo profondamente rattristati dal fatto che c’è sempre qualcosa che viene prima della famiglia. I soldi si trovano sempre per salvare le banche, così come si sono trovati 10 miliardi per il bonus degli 80 euro elargito a prescindere dai carichi familiari, ma non si riesce mai a trovare le risorse per permettere agli italiani di vivere e non sopravvivere se mettono al mondo un figlio.
«Come possiamo credere a chi ci promette riforme strutturali nella prossima legislatura se non è in grado di dare un segnale già nella prossima legge di stabilità?
«Siamo arrivati a un punto di non ritorno» conclude De Palo «siamo il Paese con più migranti giovani in Europa, siamo il Paese dove fare un figlio è una delle prime cause di povertà … Le famiglie sono stanche di supplire alle mancanze dello Stato
Comunicato stampa del Forum delle Famiglie 29 settembre 2017
www.forumfamiglie.org/2017/09/29/de-palo-le-famiglie-sono-stanche-di-promesse
L’intervista. De Palo: «Siamo delusi, il governo non ha capito»
Ora incontri con i partiti per il ‘Fattore Famiglia’ nella prossima legislatura.
«Ciò che mi colpisce negativamente non è solo l’indisponibilità a trovare subito soldi veri per le famiglie, ma il dato culturale che c’è sotto. Il governo ci dice: ‘Aiutiamo le famiglie che sono sotto la soglia di povertà’. È come dire che si aiutano le imprese solo quando vanno in crisi, o si curano i malati solo quando stanno per morire. Per noi significa che non è sufficiente fare proposte sul fisco, far sentire la nostra voce, fare pressione. C’è un gap culturale sulla famiglia in chi ci governa e nella politica e come Forum dobbiamo provare a colmarlo».
La notizia del quinto figlio in arrivo smorza l’amarezza di Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari. Le sue parole tradiscono però un senso di delusione non formale. «Siamo contenti di aver costretto il governo a prendere posizione – ha detto dopo aver ascoltato Padoan e Boschi –, ma siamo profondamente rattristati dal fatto che c’è sempre qualcosa che viene prima della famiglia. I soldi si trovano sempre per salvare le banche, così come si sono trovati 10 miliardi per il bonus degli 80 euro elargito a prescindere dai carichi familiari, ma non si riesce mai a trovare le risorse per permettere agli italiani di vivere e non sopravvivere se mettono al mondo un figlio. Siamo stanchi di supplire alle mancanze dello Stato.
Come possiamo credere a chi ci promette riforme strutturali nella prossima legislatura se non è in grado di dare un segnale già nella prossima legge di stabilità?».
Insomma, la Conferenza si conclude con una domanda e non con una risposta
Con tante domande, in realtà. Ci faccia caso. Gentiloni, Padoan e Boschi hanno espresso riconoscimento alla famiglia per ciò che fa, non per ciò che è. E quindi, seguendo il loro ragionamento, lo Stato interviene solo quando la famiglia non riesce più a supplire alle difficoltà delle persone.
La famiglia invece è un soggetto del sistema-Paese, è un attore protagonista, contribuisce allo sviluppo, alla crescita economica, alla formazione umana e professionale, al senso di cittadinanza. Uno Stato lungimirante se ne prenderebbe cura come si ha cura dei beni più preziosi.
Si sapeva che in questa Conferenza non sarebbero maturate scelte forti come il fattore famiglia.
Lo sapevamo, certo. Ma non ci aspettavamo che la politica confondesse i piani: un conto sono le politiche sociali, un conto quelle familiari. E, soprattutto credevamo che l’emergenza demografica non fosse solo un tema da commentare, ma a cui trovare una soluzione prima possibile. Evidentemente preoccupa solo noi il fatto che mettere al mondo un figlio è una delle prime cause di povertà…
Cosa si aspettava?
Il Forum non ha mai fatto proposte irrealistiche, ha sempre messo davanti il senso di responsabilità per le condizioni complessive del Paese. Dopo studi e simulazioni presentate anche ai tecnici del governo, ritenevamo che si potesse partire con due miliardi sul fattore famiglia, un decimo di quanto stanzia- per le banche.
Il governo ha scelto però di mettere ciò che c’è sul Reddito d’inclusione
Adesso vedremo quanto sarà rinforzato il fondo per il Rei e se davvero si terrà conto dei carichi familiari nella sua somministrazione. Almeno su questo, una parola più precisa ci poteva essere. Non vorrei però che si finanziasse l’aumento del Rei con i soldi del bonus-bebè, che scade con i bambini nati nel 2017. In assenza di provvedimenti strutturali, almeno resti ciò che c’è e non si faccia il gioco delle tre carte togliendo da una parte e mettendo dall’altra.
Diceva: al Forum non basta fare proposte, bisogna lavorare anche su altri fronti.
A questo punto la legislatura è finita. Ci sono stati anche alcune misure ad hoc, non lo si può negare, su natalità e nidi. Ma purtroppo non sono strutturali e non incentivano la natalità: scommettiamo che il prossimo anno saremo qui a commentare il fatto che ancora una volta e sempre di più i morti supereranno i nuovi nati? Il fatto è che, arrivati al dunque, alla necessità di riscrivere il fisco intorno alla famiglia, ci sono stati arretramenti segno di scarso coraggio. Dal nostro punto di vista, non possiamo non notare la differenza di volontà politica dimostrata sulle unioni civili, che hanno bloccato il Parlamento per molti mesi e alla fine riguardano 5mila persone, come ci ha ripetuto l’Istat ieri. Ma non ci rassegniamo però e guardiamo alle elezioni e alla nuova legislatura.
Come Forum proporremo un seminario con tutti i partiti insieme per capire se è realistico che la prossima legislatura non finisca con la famiglia, ma parta con la famiglia. A prescindere da chi governerà e da chi comporrà la maggioranza, che si tratti di un esecutivo di coalizione o di larghe intese. Primo atto della nuova legislatura: il fattore-famiglia. Chi ci sta davvero?
Quanto alla Conferenza, è stato comunque giusto farla?
Penso di sì. Chi è intervenuto ora ha più consapevolezza circa il fatto che vanno incrementati i nostri sforzi di pressione costruttiva sulla politica. E dai tavoli di lavoro sono emersi contributi importanti. Il governo e le istituzioni hanno potuto ascoltare la voce di chi viene meno ascoltato, di associazioni che hanno fatto e fanno la storia del Paese, uomini e donne che silenziosamente ogni giorno risolvono problemi, salvato vite umane, accolgono migranti, educano alla partecipazione. Questo risultato non va sciupato.
Marco Iasevoli Avvenire sabato 30 settembre 2017
www.avvenire.it/attualita/Pagine/siamo-delusi-il-governo-non-ha-capito
Ai.Bi. porta l’attenzione sulle tre AAA di Affido, Adozione e Accoglienza minori stranieri.
Famiglia è anche questo! Un’occasione di riflessione, partecipazione, confronto e di dibattito sui temi della famiglia, che ha visto la partecipazione delle Istituzioni di tutti i livelli di governo, delle parti sociali e, naturalmente, delle organizzazioni rappresentative della società civile, portando la fotografia della famiglia italiana in tutte le sue componenti e problematiche generazionali senza tralasciare l’importanza del ruolo delle famiglie adottive e affidatarie, come hanno tenuto a precisare la Garante per l’Infanzia e Adolescenza, Filomena Albano, e la dott.ssa Simonetta Matone, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia.
L’on Boschi ha parlato di “Famiglia come luogo dell’accoglienza. Pensiamo a MiSNA (minori stranieri non accompagnati), affidamento adozione. Fondamentale anche il post adozione per le complessità e le specificità. L’accoglienza è una bellissima esperienza ma non è facile occorre supporto”.
Intervenuta al gruppo di lavoro “Crisi demografica e rapporto fra il quadro nazionale e le tendenze internazionali”, Marzia Masiello, responsabile per le relazioni istituzionali di Amici dei Bambini, riallacciandosi all’intervento dell’Autorità Garante per l’Infanzia e L’Adolescenza, ha ribadito la necessità di considerare le famiglie protagoniste anche quando si parla di adozioni internazionali.
“Il calo del numero delle adozioni internazionali iniziato nel 2010 si è trasformato in tracollo nel dissesto del triennio passato. Ma non tutto è da buttar via. Possiamo chiederci dove eravamo rimasti quando sognavamo e proponevamo politiche strutturali? Parlavamo di due elementi fondamentali per cui chiedevamo e chiediamo un segno forte del Governo: l’adozione come elemento di politica estera e la gratuità dell’adozione. Sulla gratuità il primissimo passo era stato fatto con il documento DPEF del 2008. Da lì si può ripartire per innovare. Su una diplomazia internazionale che lavori in favore del Made in Italy dell’accoglienza il cammino è ancora tutto da percorrere.
Masiello richiama la necessità di un’umanizzazione della dimensione socio sanitaria e la necessità di rendere vive le leggi. Cita la legge 40/2004 sulla PMA dove all’art 6 è espressamente detto “Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assistita”. Quante sono le coppie cui questo cammino viene proposto?
Nel gruppo di lavoro “L’evoluzione della famiglia fra diritto e società” si è parlato dell’importante ruolo svolto dalle famiglie affidatarie. Ermes Carretta, Segretario generale di Ai.Bi. pone l’accento sulla necessità e urgenza di istituire
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La figura dell’avvocato del minore che difenda i diritti del minore in tutte le situazione di conflitto o difficoltà familiare nel quale viene a trovarsi;
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Una banca dati nazionale dei minori fuori famiglia che ad oggi ancora non è stata istituita nonostante una sentenza risalente al 2012 del TAR Lazio (n. 8231), accertata la violazione della legge del 28 marzo 2001 n. 149 (art. 40) e un ritardo di oltre dieci anni, avesse stabilito il termine di 90 giorni entro il quale il Ministero di Giustizia avrebbe dovuto dare avvio alla banca dati;
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Il riconoscimento giuridico della Casa Famiglia
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Infine ma non da ultimo, la necessita di definire e mettere in atto l’affido familiare come principale misura di tutela e protezione dei minori stranieri non accompagnati.
Dai lavori del tavolo sono emerse chiare due direttrici di azione condivisa: promuovere e sensibilizzare sul tema dell’affido lavorando sul potenziamento delle attività svolte dai servizi sociali territoriali e valorizzare l’affido quale misura di protezione e tutela familiare per i minori accolti in comunità, in particolare per i bambini da 0 a 6 anni, benefici sia per i minori che per le “casse dei comuni”.
Della prima giornata di Conferenza ci portiamo il messaggio condiviso che “Non ci siamo spostati dagli anni ottanta” e che oggi più che mai urgono politiche di lungo periodo a sostegno delle famiglie, quelle stesse famiglie che il Premier Gentiloni all’apertura dei lavori della Conferenza ha definito “ancora del Paese”.
Dopo le belle parole e i confronti, oggi alla Conferenza è tempo di fatti!
News Ai. Bi. 29 settembre 2017
www.aibi.it/ita/terza-conferenza-nazionale-famiglia-aibi-porta-affido-adozione-e-accoglienza-minori-stranieri-famiglia
Natalità, Fisco, Libertà di Educazione: le Famiglie Italiane attendono una risposta
Il bene delle famiglie è così importante per il bene di tutto il Paese che, nonostante le delusioni, siamo in dovere di continuare a chiedere, che si realizzino impegni concreti a sostegno della Famiglia mercoledì 27 settembre 2017. Domani inizia la terza Conferenza del Governo sulla famiglia. A dieci anni dalla prima, dobbiamo riconoscere che i risultati ottenuti con le due edizioni precedenti sono stati assolutamente deludenti.
Nonostante proclami e promesse nulla di quanto deciso in quelle occasioni è stato realizzato dalla politica. “Ma il bene delle famiglie è così importante per il bene di tutto il Paese – dichiara il Presidente dell’AGeSC, Roberto Gontero – che, nonostante le delusioni, siamo in dovere di continuare a chiedere, insieme a tutte le famiglie ed alle altre associazioni familiari, che si realizzino quegli impegni concreti necessari per offrire un futuro a quella realtà sociale che è il motore della convivenza e del suo sviluppo
Non nutriamo illusioni, ma in occasione delle elezioni politiche del prossimo anno sceglieremo e giudicheremo l’affidabilità della classe politica sugli impegni e gli atti concreti che verranno messi in campo a favore della famiglia”.
Sono almeno tre i campi in cui è indispensabile cominciare ad intervenire con provvedimenti che siano strutturali, duraturi e significativi anche quantitativamente.
1 – Il sostegno alla ripresa della natalità è una priorità assoluta per il nostro Paese per evitare un declino demografico, civile ed economico altrimenti inarrestabile.
2 – E’ necessario un fisco a misura di famiglia che aiuti in modo sostanziale i giovani nella scelta di sposarsi, che consideri i costi dei figli e delle persone fragili lasciando alle famiglie le risorse necessarie. La proposta in questo campo è quella del Forum delle associazioni familiari: il Fattore Famiglia.
3 – Nella scuola, per un’educazione ed un’istruzione che sappiano davvero accompagnare e far crescere prima di tutto dal punto di vista umano i giovani nelle difficili condizioni odierne, è essenziale garantire alle famiglie una vera libertà di scelta educativa della scuola per i propri figli, libertà finora assente nel nostro Paese per cui è scoraggiata l’assunzione di responsabilità delle famiglie stesse.
Su questi tre aspetti fondamentali della vita delle famiglie, non è più possibile aspettare. La Conferenza sulla famiglia è l’occasione per prendere impegni concreti e determinanti.
Associazione Genitori Scuole Cattoliche 27 settembre 2017
www.agesc.it/stampa-agesc/comunicati-stampa-agesc/natalit%C3%A0-fisco-libert%C3%A0-di-educazione-le-famiglie-italiane-attendono-una-risposta
Il fallimento della Conferenza sulla famiglia
La terza Conferenza nazionale sulla famiglia organizzata dal Dipartimento delle politiche familiari presso la Presidenza del consiglio (Roma, 28-29 settembre 2017) si è conclusa con un nulla di fatto, che ha provocato la delusione del Forum delle associazioni familiari che la aveva fortemente voluta.
Avendo partecipato alle due giornate di lavori come delegato di Alleanza Cattolica presso il Forum delle associazioni familiari posso dire che l’esito fallimentare della Conferenza e la relativa presa di posizione critica da parte del Forum hanno contribuito a eliminare un equivoco.
L’equivoco si respirava partecipando ai lavori della Conferenza, notando la differenza fra quanto veniva detto nei cinque gruppi di lavoro coordinati dall’Osservatorio nazionale della famiglia (almeno per quello a cui ho partecipato e per quanto riferito nelle sintesi finali e seppure con alcune perplessità che mi sono state riportate a proposito degli altri quattro) e quanto invece veniva presentato dai relatori “politici”, in particolare dalla Presidente della Camera Laura Boldrini e dal sottosegretario Maria Elena Boschi.
Se nei gruppi di lavoro si percepiva come la famiglia sia un bene messo in discussione da una cultura avversa che di conseguenza genera politiche che non la favoriscono, gli interventi “politici” hanno invece mostrato come questa cultura avversa alla famiglia sia stata rivendicata dalle due relatrici.
Questo equivoco è stato alimentato dalle posizioni prese negli ultimi mesi dal Forum delle associazioni familiari, ossia la rinuncia di un metodo che privilegi l’affermazione umile ma netta dei principi di verità relativi alla famiglia, che è soltanto quella fondata sul matrimonio per sempre di un uomo e di una donna.
La rinuncia di questo metodo ha portato il Forum alla non partecipazione ai due Family day del giugno 2015 e del gennaio 2016 e a dissociarsi dal modo di procedere, valoriale prima che economico, del Comitato Difendiamo i nostri figli che ha promosso i due eventi, privilegiando invece il dialogo con i governi con l’obiettivo di ottenere più soldi per le famiglie.
Oggi, dopo la terza Conferenza sulla famiglia, questo metodo è fallito. Non ha portato alcun vantaggio economico ulteriore alle famiglie e ha favorito la confusione sul piano dei princìpi, alla luce anche degli interventi di Boldrini e Boschi che hanno entrambe dichiarato nei loro interventi di essere contente perché non si parla più di famiglia, ma bensì di famiglie, cioè di diversi modelli di famiglia, etero e same sex, finalmente messe sullo stesso piano.
Un disastro culturale, dunque, unito al fatto che non è arrivata neppure l’elemosina richiesta allo Stato. Soprattutto, sono stati persi mesi importanti che hanno visto una parte significativa del mondo profamily sfilarsi dalle battaglie di principio per raggiungere obiettivi economici che invece sono stati negati. E, inoltre, si è provocata una divisione interna al mondo profamily, confermata dal mancato coinvolgimento ai lavori della Conferenza del maggiore esponente dei Family day, Massimo Gandolfini, il Presidente del Comitato Difendiamo i nostri figli.
Adesso, alla luce di quanto accaduto, sarebbe ragionevole ricominciare daccapo, riconoscendo la centralità della battaglia culturale senza la quale anche eventuali aiuti economici alla famiglia sarebbero ininfluenti sul lungo periodo e ricostruendo rapporti di unità e di collaborazione con chi questa battaglia culturale non ha mai smesso di combatterla.
In particolare, sarebbe bene ricordare come la scelta di difendere i nostri figli dalla penetrazione dell’ideologia gender nelle scuole, anche attraverso una battaglia pubblica, si stia rivelando una scelta profetica, alla luce della pervicacia delle dichiarazioni di Boldrini e Boschi, che hanno scelto di confermare le loro convinzioni gayfriendly addirittura davanti a un pubblico convocato per aiutare la famiglia. Non una scelta divisiva, dunque, al contrario l’unica scelta capace di mettere in luce la vera portata dello scontro antropologico in corso, che riguarda la verità sulla famiglia molto prima e molto di più che quanto e come assisterla economicamente.
È un bene che il Presidente del Forum lo abbia riconosciuto su Avvenire (30 settembre) nella stessa intervista in cui manifestava la sua delusione per l’esito della Conferenza sulla famiglia. Prego e spero che questo comporti un ritorno alla completa unità del mondo profamily nella prospettiva di una battaglia di principio a sostegno dell’unica famiglia possibile, quella prevista dal progetto d’amore di Dio sull’uomo. So perfettamente come le famiglie non vivano di soli princìpi e come abbiano bisogno di essere aiutate economicamente e socialmente, ma credo anche che il rischio peggiore sia quello di non comunicare più a chi verrà dopo di noi l’importanza e la bellezza del valore-famiglia senza aver ottenuto un soldo per aiutarla.
Marco Invernizzi Alleanza Cattolica 1 ottobre 2017
http://alleanzacattolica.org/fallimento-della-conferenza-sulla-famiglia
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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA
Coppia. Sfide e risorse del vivere insieme
Nella prossima Giornata di studio, che si svolgerà a Milano il 22 ottobre 2017, verrà presentata l’ultima pubblicazione edita AICCeF dal titolo Coppia. Sfide e risorse del vivere insieme.
Il libro contiene un’ampia raccolta di temi relativi alla coppia e degli articoli che sull’argomento sono stati pubblicati sulla Rivista Il Consulente Familiare. La raccolta è stata curata da Rita Roberto, presidente dell’AICCeF. Ai partecipanti alla Giornata di studio del 22 ottobre il volume sarà donato in omaggio.
In anteprima vi proponiamo l’incipit della Prefazione al libro, scritta da Francesco Belletti, direttore del CISF, che a Milano sarà il padrino e il presentatore della Raccolta.
Rileggere il ricco materiale di questo volume è stato un po’ ripercorrere una parte trascurata della storia più recente d’Italia, e scoprirne un interesse e una attualità che meritano certamente una rinnovata attenzione.
In primo luogo queste pagine meritano attenzione perché raccontando la storia della consulenza familiare nel nostro Paese si racconta anche la storia della famiglia, dei servizi socio-sanitari e di welfare, e soprattutto della difficile relazione tra questi due mondi. Entrambi questi mondi sono stati raramente centrali nello story-telling del Paese: le pagine dei giornali e le voci degli speaker radiofonici e televisivi sono state più attente alla storia dei grandi gruppi industriali, o alle vicende della politica, o dello star-system dello spettacolo (cinema, ma soprattutto, negli anni più recenti, calcio, veline e modelle…).
Di povertà, di welfare, di servizi per persone e famiglie non si è parlato molto, e anche l’attenzione alla famiglia, benché molto usata nel discorso politico retorico, è stata quasi sempre sfruttata, anziché
essere raccontata. A parte alcuni passaggi storici, in genere innescati dai momenti in cui la famiglia è stata “attenzionata” dalla politica, quando si è trattato di riconoscere alcuni mutamenti (e a volte per influenzarli e/o potenziarli per via giuridica): è il caso dei referendum su divorzio o aborto, o il più recente sulla procreazione medicalmente assistita. Leggendo tra le righe di queste pagine, mentre si legge la storia dei consultori e dei consulenti familiari, si può ritrovare anche la complessa vicenda del welfare del nostro Paese, e del posto (tendenzialmente marginale) che è stato riservato in esso alla famiglia, alle sua capacità di resistenza e soprattutto al suo sostegno.
News AICCeF 25 settembre 2017 www.aiccef.it/it/news/libro-coppia.html
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CONSULTORI FAMILIARI
Rete informale dei consultori familiari della Toscana. Seminari di Formazione
Dipendenze affettiva e sessuale Firenze, 28 ottobre 2017, ore 9,30-17
Il seminario si svolge presso la Residenza Il Bobolino Via Dante da Castiglione, 13 Firenze
Dipendenze e relazioniè il titolo che la Rete informale dei consultori familiari della Toscana, il Consultorio familiare “Il Campuccio” della Misericordia di Firenze Onlus, in collaborazione con il Centro Italiano di Sessuologia, hanno voluto dare a questo ciclo di due seminari di formazione e aggiornamento.
Il dilagare dei fenomeni di dipendenza, sia da elementi esterni che da condizioni interiori, rende ragione della scelta tematica che sempre più spesso diverse professionalità sociali si trovano ad affrontare.
Questo ciclo d’incontri si intende offrire ad ogni operatore l’opportunità di approfondire, in base alle attuali conoscenze, queste tematiche dando anche l’occasione di confrontarsi con altri professionisti, in modo da accrescere le proprie competenze professionali in un contesto scientifico e operativo multidisciplinare.
Gli eventi sono rivolti agli operatori dei Consultori Familiari pubblici e privati, ai soci del Centro Italiano di Sessuologia, alle associazioni laiche e religiose interessate ai temi proposti, ad operatori socio-sanitari pubblici e privati, medici, psicologi, avvocati, associazioni del volontariato e del privato sociale impegnate nella promozione e sostegno dell’individuo e della famiglia.
L’A.I.C.C.eF rilascia ai consulenti familiari iscritti 15 Crediti Formativi Professionali (CFP).
La partecipazione è gratuita. Programma.
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La dipendenza sessuale. Giada Mondini, Psicologa, Psicoterapeuta, Consigliere e Didatta del CIS. Servizio di Sessuologia Clinica, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna.
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Internet e social, relazioni virtuali e reali. Rosanna Intini, Medico, Psicoterapeuta, Vice Presidente CIS, Presidente Fondazione N. e M. Intini Firenze.
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Le dipendenze affettive e altre comportamentali. Riccardo Zerbetto, Psichiatra, Psicoterapeuta, Direttore CSTG di Siena e Milano, Responsabile scientifico dell’Associazione Orthos per lo studio delle dipendenze comportamentali.
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Lavori di gruppo e Laboratorio
www.cisonline.net/files/Dipendenze_affettiva_e_sessuale.pdf
Torino Punto Familia. Proposte di percorsi che aiutano le coppie a prendersi cura della loro relazione.
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I gruppi di dinamica di coppia e di revisione di vita: appuntamenti mensili in cui condividere eventuali difficoltà e risorse della vita a due, con la guida di un esperto
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Qualcosa di coppia: un ciclo di sette incontri pensato per le coppie (che vivono insieme e non, sposati e non, credenti e non, con figli e non, giovani e meno giovani) che vogliono mettersi in gioco per riscoprire gli elementi basilari del fare coppia.
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Percorso per le famiglie ricostituite: un ciclo di 8 incontri per riflettere e confrontarsi sulle risorse e criticità delle famiglie ricostituite.
Martedì 17 ottobre alle 21.00 sarà al Punto Familia Gian Luca Carrega, docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica di Torino e responsabile dell’Ufficio Pastorale della Cultura della Diocesi, per un incontro sul tema “Chiesa cattolica e omosessualità: storia di un rapporto”
www.puntofamilia.it
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Parma Famiglia più. Laboratorio il filo che ci unisce.
Laboratorio creativo per bambini e incontro di approfondimento delle associazioni Maendeleo-Italia e Famigliapiù, domenica 15 ottobre 2017 ore 15:30
– Laboratorio creativo “il filo che ci unisce” per i bambini dai 3 ai 12 anni accompagnati dai genitori.
– Famiglie nel mondo – racconti di esperienze
– Merenda in compagnia
Comunicato stampa
Il Filo che unisce le associazioni Famigliapiù ONLUS e Maendeleo-Italia ONLUS è un filo dai mille colori, un filo che collega due associazioni differenti tra loro ma unite da uno stesso obiettivo, la famiglia. La prima associazione si propone di sostenere, nella realtà di Parma e Provincia, i valori umani e cristiani del matrimonio e della famiglia, di tutelarne i diritti promovendo il benessere di tutti i suoi componenti; mentre, Maendeleo-Italia ONLUS ha obiettivi di natura socio-assistenziale, di tutela e di promozione dei diritti della donna e delle famiglie, con particolare attenzione alle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo.
Tra le finalità principali dell’azione svolta c’è il sostegno all’accesso ad attività generatrici di reddito, indispensabili per il raggiungimento di un’autonomia, l’aumento dell’occupazione, l’erogazione di borse di studio, la diminuzione dell’analfabetismo femminile e l’offerta di ambienti di confronto e scambio per le donne, occasioni preziose di formazione e informazione. In generale Maendeleo-Italia ONLUS vuole contribuire alla promozione dei diritti di donne e bambini e alla costruzione della pace.
Famigliapiù ONLUS svolge un servizio diretto alle famiglie del territorio di Parma attraverso il consultorio Ucipem offrendo consulenze e formazione sui temi della quotidianità familiare, l’educazione e il dialogo con i figli, le problematiche adolescenziali e quelle scolastiche, il dialogo all’interno della coppia. L’associazione propone, inoltre, incontri pubblici su temi emergenti e importanti per le famiglie, corsi, convegni, gruppi di auto-aiuto. www.maendeleo-online.org
www.famigliapiu.it
www.famigliapiu.it/Il%20Filo%20che%20ci%20Unisce%202017.pdf
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CONVIVENZA
Contratto di convivenza: come funziona
Effetti, contenuto e forma dei contratti di convivenza introdotti dalla legge Cirinnà
Il contratto di convivenza è una delle novità introdotte dalla legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, la legge 20 maggio 2016, n.76 (c.d. Legge Cirinnà).
Il contratto in esame, è quell’accordo con cui la coppia definisce le regole della convivenza, regolamentando i rapporti patrimoniali e alcuni rapporti personali. È un contratto che può essere stipulato da coppie legate da un vincolo affettivo che, decidono di vivere insieme stabilmente (c.d. convivenza more uxorio).
Effetti del contratto
Dal contratto di convivenza nascono veri e propri obblighi a carico delle parti che lo hanno sottoscritto. Se vi è violazione di uno degli obblighi, l’altra parte può rivolgersi al giudice per ottenere ciò che le spetta. La durata del contratto coincide con la durata del rapporto di convivenza. Naturalmente, alcuni accordi – per loro natura- producono effetti proprio a partire dalla cessazione del rapporto di convivenza (es: definizione dei rapporti reciproci patrimoniali in caso di cessazione della convivenza).
È possibile disciplinare diversi aspetti patrimoniali che riguardano:
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Modalità di partecipazione alle spese comuni;
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Definizione dei rapporti reciproci patrimoniali in caso di cessazione della convivenza;
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Modalità di uso della casa adibita a residenza comune;
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Attribuzione della proprietà dei beni acquistati nel corso della convivenza;
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Facoltà di assistenza reciproca, in tutti i casi di malattia fisica o psichica, o la designazione reciproca ad amministratore di sostegno.
Per la stipula del contratto di convivenza, la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, i quali devono attestarne la conformità alle norme e all’ordine pubblico.
Per rendere il contratto opponibile ai terzi, il notaio o l’avvocato che hanno autenticato l’atto, devono trasmetterne una copia al Comune di residenza dei conviventi, al fine dell’iscrizione nei registri dell’anagrafe, nei quali è registrata la convivenza.
dr Raffaella Feola studio Cataldi 24 settembre 2017
www.studiocataldi.it/articoli/27552-contratto-di-convivenza-come-funziona.asp
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DALLA NAVATA
XXVI domenica del tempo ordinario – Anno A – 1 ottobre 2017
Ezechièle 18, 28 (Se il malvagio) ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.
Salmo 25, 04 Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
Filippési 02, 03 Non fate nulla per rivalità e vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso.
Matteo 21, 31 E Gesù disse loro: «In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio»
Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose
I peccatori manifesti e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio!
Gesù ha terminato il suo viaggio verso Gerusalemme, la città santa in cui è entrato acclamato quale Messia, figlio di David, dai discepoli che lo accompagnavano e dalle folle; ha cacciato dal tempio quanti impedivano che fosse una casa di preghiera e ha simbolicamente seccato l’albero di fico che non dava frutti (cf. Mt 21,1-22) Queste azioni causano una profonda indignazione da parte delle autorità religiose legittime ma perverse, “sacerdoti e anziani“, che intervengono pubblicamente chiedendo a Gesù con quale autorità compia quei gesti provocatori. Ma Gesù non risponde, anzi pone loro una domanda riguardo alla missione di Giovanni il Battista: missione voluta da Dio o missione che Giovanni aveva inventato per sé?
Questo interrogativo non riceve però una risposta (cf. Mt 21,23-27), e allora Gesù indirizza loro tre parabole: quella dei due figli, quella dei vignaioli assassini e quella degli invitati al banchetto nuziale (cf. Mt 21,28-22,14). Di fatto sono tre parabole con le quali egli cerca di causare un ravvedimento in quei suoi avversari che poco tempo dopo saranno i suoi accusatori e i suoi condannatori. Le parabole sono per Gesù proprio uno strumento per far cambiare pensiero e atteggiamento a coloro ai quali sono rivolte. Ma qui accadrà esattamente l’opposto. Anziché interrogarsi e convertirsi, sacerdoti e anziani si indigneranno ancor di più e, comprendendo che tali racconti sono rivolti proprio a loro, induriranno ancor più il loro cuore, accrescendo la loro opposizione e il loro odio verso Gesù.
Ascoltiamo dunque la prima parabola, in obbedienza all’ordo liturgico che la prevede per questa domenica: “Che ve ne pare?”, introduzione che è un invito a pensare e a fare discernimento, perché alla fine ci sarà un’altra domanda da parte di Gesù, che richiederà una risposta chiara e decisiva. “Un uomo aveva due figli. Avvicinandosi al primo, disse: ‘Figlio, va oggi a lavorare nella vigna’. Ed egli rispose: ‘Non ne ho voglia’. Ma poi, pentitosi, vi andò”. La risposta iniziale è irriverente, all’insegna di una disobbedienza consapevole. Ma questo figlio che osa resistere alla richiesta del padre e gli nega l’obbedienza, in seguito (hýsteron) cambia avviso, muta di opinione (metameletheís) e va a lavorare nella vigna. Così egli mostra di essersi ravveduto: pensando, ha cambiato parere, e la non voglia si è trasformata per lui in obbedienza possibile.
Entra poi in scena il secondo figlio. Il padre si rivolge a lui allo stesso modo che all’altro, e la risposta che ottiene è positiva: “Sì, Signore (Kýrios)!”, ma poi costui non va. Siamo di fronte a un figlio rispettoso del padre, che lo chiama addirittura signore. È rispettoso forse per paura, perché incapace di dire un no a suo padre. Oppure è rispettoso perché nutrito di formalismo: dice sì al padre, come richiesto dalla legge e dalla prassi, ma poi non esegue la volontà. Forse pensa che il padre non si accorgerà che egli non ha messo in pratica ciò che ha detto… Non conosciamo le motivazioni della non esecuzione dell’invito: resta il fatto che la volontà del padre non è compiuta. Questo secondo figlio si accontenta di fare una dichiarazione verbale secondo il desiderio del padre e non percepisce la propria incoerenza: come un cieco non vede, non legge se stesso…
È evidente che ciò che succede in questa parabola succedeva ai tempi di Gesù, tra i credenti giudei, ma succede ancora oggi nelle comunità dei discepoli, nella chiesa. Sempre ci sono stati, ci sono e ci saranno quanti dicono: “Signore! Signore!”, lo invocano e hanno spesso il suo nome sulla loro bocca, ma poi non fanno la volontà del Padre suo che è nei cieli (cf. Mt 7,21). Le parole di Gesù vogliono smascherare questi credenti che confidano nel loro frequentare assemblee dove risuona la parola del Signore, che partecipano a pasti con il Signore mangiando e bevendo alla sua tavola (cf. Mt 7,22-23; Lc 13,25-27), ma in verità senza essere concretamente discepoli alla sequela di Gesù, nel tentativo di conformare la loro vita alla sua. Militanti, certo, senza essere discepoli!
Grazie a questa parabola siamo invitati a discernere nel nostro oggi quelli che di fatto, senza saperlo, sono rappresentati dal primo o dal secondo figlio: uomini religiosi che vantano appartenenza confessionale e parlano, parlano…; dicono sì alla volontà di Dio, ma quotidianamente non la realizzano, perché per loro è più importante apparire che essere e fare. D’altra parte, quelli che sembrano dire costantemente no a Dio perché non si mostrano religiosi, perché non proclamano la loro appartenenza religiosa, poi invece la vivono nell’anonimato, nella quotidianità, realizzano la volontà del Signore senza nominarlo e a volte senza conoscerlo. Perfetti anonimi per noi, ma che semplicemente “praticano la giustizia, amano la misericordia e camminano umilmente con Dio” (cf. Mi 6,8). Ecco allora puntuale, alla fine della parabola, la domanda di Gesù: “Chi dei due figli ha compiuto la volontà del padre?”, cui segue la scontata risposta dei sacerdoti e degli anziani: “Il primo!“.
E allora Gesù li invita a trarre le conseguenze, commentando: “In verità io vi dico: ‘I peccatori manifesti e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio!’”. Parole di Gesù dure come pietre, perché costituiscono il giudizio pronunciato su questi ascoltatori. Ma perché? Non è forse questo paradossale? Eppure avviene così, perché quelli che pubblicamente appaiono peccatori e sono da tutti ritenuti tali, sono preda della vergogna e sentono in loro il desiderio, più o meno ascoltato, di cambiare vita: desiderano uscire fuori dalla loro vita di peccato, che gli altri disprezzano e condannano. Gli uomini religiosi, invece (qui i sacerdoti e gli anziani, interlocutori di Gesù), che appaiono osservanti ma hanno peccati nascosti, siccome tutti li venerano e tutti guardano a loro per il loro status, non vogliono assolutamente cambiare vita. Gli uni sono dunque aperti a un invito a convertirsi, mentre gli altri si sentono a posto e pensano di non avere bisogno di alcuna conversione: da questo nascono la loro ipocrisia, la loro rigidità, il loro giudicare e spiare gli altri, senza mai interrogarsi su di sé; sono sempre pronti ad assolversi, perché agli occhi della gente risultano giusti e addirittura esemplari…
Lo ripeto, perché sia ben chiaro. Chi pecca di nascosto non è mai spronato alla conversione da un rimprovero che gli venga da altri, perché continua a essere venerato e stimato per ciò che della sua persona appare all’esterno: questa è la malattia della maggior parte delle persone, tra le quali primeggiano però proprio quelle religiose e devote, che credono di dover essere d’esempio agli altri… Chi, al contrario, è un peccatore pubblico, si trova costantemente esposto al giudizio e al biasimo altrui, e in tal modo è indotto a un desiderio di cambiamento. Solo animato da tale desiderio, solo nel pentimento che nasce da un cuore spezzato – questo significa etimologicamente “contrito” (cf. Sal 34,19; 51,19; 147,3) –, l’essere umano può divenire sensibile alla presenza di Dio.
E così Gesù annota che, quando è venuto Giovanni il Battista a chiedere la conversione, i peccatori pubblici hanno risposto fattivamente all’invito e si sono convertiti, mentre i sacerdoti e le autorità religiose, pur avendo visto, nulla hanno mutato del loro comportamento per aderire al suo messaggio. Con questa parabola Gesù interroga dunque ciascuno di noi, se vogliamo ascoltarlo. E ciascuno di noi, più è riconosciuto per la sua professione di fede, più deve interrogarsi: dice sì a Dio solo a parole, oppure realizza senza clamore e senza ostentazione, umilmente, la sua volontà? Insomma, “nell’ultimo giorno, il giorno del giudizio” – come recita un’affermazione tradizionalmente attribuita ad Agostino, che dovremmo tenere ben più presente – “molti che si ritenevano dentro saranno trovati fuori, mentre molti che pensavano di essere fuori saranno trovati dentro il regno dei cieli”.
Monastero di Bose (Biella)
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11838-i-peccatori-manifesti-e-le-prostitute-vi-passano-avanti-nel-regno-di-dio
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ETS (già ONLUS) NON PROFIT
Vincoli per gli enti del terzo settore
Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117 “Codice del Terzo settore”
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/08/2/17G00128/sg
Indichiamo di seguito, in sintesi, i vincoli e gli oneri imposti agli ETS (enti del Terzo settore) dal nuovo Codice:
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Assenza di scopo di lucro, anche indiretto, e devoluzione patrimoniale. In particolare segnaliamo che si considera distribuzione indiretta di utili la corresponsione a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze (o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni) e la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi. In caso di estinzione il patrimonio è devoluto ad altri ETS.
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La denominazione sociale deve contenere l’indicazione ETS
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Il bilancio di esercizio (o rendiconto finanziario per cassa per gli enti con entrate inferiori a 220mila euro annui) deve essere redatto secondo le indicazioni che saranno date dal Ministero del lavoro con proprio decreto.
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La raccolta fondi deve attuarsi secondo linee guida che saranno adottate con decreto del Ministero del lavoro.
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Devono essere tenute scritture complessive e scritture contabili per le attività commerciali.
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Sia il bilancio di esercizio sia i rendiconti delle raccolte fondi devono essere depositati al registro unico nazionale del Terzo settore.
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Il bilancio sociale deve essere depositato solo dagli enti che hanno entrate superiori ad 1 milione di euro annui. Gli ETS con entrate superiori a 100mila euro annui devono in ogni caso pubblicare annualmente e tenere aggiornati nel proprio sito internet gli eventuali emolumenti attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati.
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Libri sociali obbligatori: degli associati, delle delibere degli organi sociali, dei volontari (che devono obbligatoriamente essere assicurati).
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La nomina di un organo di controllo, anche monocratico, è obbligatoria quando siano superati per due esercizi consecutivi due dei seguenti limiti: a) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 110 mila euro; b) ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 220 mila euro; c) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità.
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I lavoratori degli ETS hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi. In ogni caso, la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda.
Newsletter Non profit on-line 29 settembre 2017
www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=7451&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+29+settembre+2017&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter
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MATERNITÀ
Licenziamento di una neo mamma o in gravidanza
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, sentenza n. 22720, 28 settembre 2017.
www.studiocerbone.com/corte-cassazione-sentenza-28-settembre-2017-n-22720-licenziamento-collettivo-lavoratrice-gravidanza-illegittimita/
Quando è possibile il licenziamento della lavoratrice incinta o divenuta madre da non più di un anno? La legge tutela le lavoratrici incinte e quelle che hanno appena avuto un bambino: viene infatti vietato all’azienda il licenziamento se non in casi straordinari. A ricordarlo è una recente sentenza della Cassazione [sent. n. 22720/2017]. Vediamo dunque quali sono e quando è possibile il licenziamento di una neo mamma o durante la gravidanza.
1 Quando non si può licenziare una lavoratrice madre o incinta. Come abbiamo chiarito nell’articolo Lavoratrice madre: quando è possibile il licenziamento,
www.laleggepertutti.it/124128_lavoratrice-madre-quando-e-possibile-il-licenziamento
il datore di lavoro non può licenziare la lavoratrice madre dall’inizio della gravidanza e sino al compimento di un anno di età del bambino. L’inizio della gestazione si presume avvenuto 300 giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato di gravidanza.
2 Quando non si può licenziare il padre. La legge vieta anche il licenziamento del padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino.
3 In caso di malattia del figlio. È altresì illegittimo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione dell’astensione facoltativa e del congedo per malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.
4 Quando si può licenziare la neo mamma o in gravidanza
4.1 Cessazione dell’attività. Solo in caso di chiusura dell’intera azienda si può licenziare la dipendente neo madre o ancora in gravidanza. Pertanto è illegittimo il licenziamento avvenuto per cessazione della singola attività a cui era adibita la lavoratrice, quando il resto dell’azienda rimane invece in vita. Il divieto di licenziamento – che ne comporta la nullità assoluta – vale anche se il licenziamento viene intimato durante la gravidanza ma con efficacia posticipata alla fine del periodo in cui vige la tutela. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [sent. n. 22720/2017]. La sentenza si pone in contrasto con un altro orientamento [Cass. sent. n. 23684/2004], ma minoritario, secondo cui invece il licenziamento è legittimo anche nel caso in cui la chiusura non coinvolge l’intera azienda, ma solo il reparto, dotato di autonomia funzionale, cui è adibita la dipendente. L’interpretazione preferita dai giudici tuttavia è quella secondo cui, per mandare a casa la lavoratrice, è necessaria la cessazione completa dell’attività [Cass. sent. n. 10391/2005].
La sentenza in commento chiarisce che la violazione del divieto di licenziamento si verifica anche quando il datore di lavoro comunica, già durante la gravidanza, la decisione di eseguire il licenziamento anche se questo avrà effetto dal giorno successivo al compimento del primo anno di vita del figlio. Tale licenziamento è nullo perché frustra lo scopo di tutelare la serenità della gestazione.
4.2 Licenziamento per giusta causa. È altresì possibile licenziare la lavoratrice incinta o neo mamma per un fatto a lei addebitabile, ossia per una sua colpa grave. Si parla a riguardo del licenziamento per giusta causa, che viene effettuato “in tronco”, senza cioè preavviso. La Corte chiarisce che la violazione del divieto di licenziamento si verifica anche quando il datore di lavoro adotta l’espediente di comunicare, già durante la gravidanza, la decisione di recedere dal rapporto, con previsione dell’efficacia differita dell’atto al giorno successivo al compimento del primo anno di vita del figlio. Tale licenziamento è, al pari delle altre fattispecie che ricadono nel divieto, affetto da nullità assoluta, in quanto l’espediente utilizzato finisce per frustrare lo scopo di tutelare la serenità della gestazione, oggetto di una specifica copertura costituzionale.
Altre ipotesi di licenziamento della lavoratrice incinta o madre. La legge prevede altri tre casi in cui è possibile licenziare la neomamma o la donna durante la gravidanza:
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Scadenza del contratto a tempo determinato;
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Ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta (solo per i contratti a tempo determinato e non per quelli a tempo indeterminato);
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Assunzione in prova con esito negativo della prova.
Redazione La legge per tutti 29 settembre 2017
www.laleggepertutti.it/177026_licenziamento-di-una-neo-mamma-o-in-gravidanza
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PROCREAZIONE RESPONSABILE
Corsi di INER e del Centro lombardo Metodo Billings
L’Istituto per l’educazione alla sessualità e alla fertilità INER Italia di Verona propone un corso per vivere con gioia la sessualità, in pienezza e libertà!
In un’ottica di formazione integrale della persona il corso si propone di offrire un percorso multidisciplinare sulla Regolazione Naturale della Fertilità, con approfondimenti in campo medico, biologico, psicosessuologico, etico ed educativo.
Inizio del corso sabato 11 novembre 2017 in Via Seminario 8 – 37129 – Verona
Programma e scheda di preiscrizione
www.ineritalia.org/219-corso-di-formazione-2017-2018
Corso accreditato dalla Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità
www.confederazionemetodinaturali.it
Il Centro Lombardo Metodo Billings, via Pisanello 1 – 2146 – Milano organizza nel 2018 (febbraio-novembre), un corso per insegnanti e sensibilizzatori al fine di condividere e trasmettere alle donne e alle coppie la gioia di vivere la sessualità in modo naturale, consapevole e gratificante. Un percorso di formazione e di crescita che spazia dalla biologia alla psicologia, dall’etica all’educazione e che mira a preparare figure competenti capaci di trasmettere la bellezza dello stile di vita dei Metodi Naturali, promuovendone la diffusione, e di insegnare alle donne e alle coppie il Metodo dell’Ovulazione Billings.
www.metodobillings.it/2017/10/10/corso-insegnanti-2018
Corso accreditato dalla Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità e da WOOMB (World Organisation of Ovulation Method Billings)
https://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.woombinternational.org/&prev=search▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
SESSUOLOGIA
Contagio infezione a trasmissione sessuale: posso denunciare?
Se il tuo partner, volontariamente o per negligenza, ti trasmette un’infezione sessuale, puoi denunciarlo. La trasmissione del virus dell’HIV avviene attraverso i rapporti sessuali. Se qualcuno ti contagia con un’infezione a trasmissione sessuale, volontariamente o per negligenza (pensando che, in fondo, non accadrà nulla di male), commette il reato di lesioni gravissime (o, nel caso peggiore, di omicidio) che può essere denunciato alle autorità competenti (sarà sufficiente la denuncia in quanto si tratta di reati procedibili d’ufficio). Ma cerchiamo di capire cosa si intende per infezioni a trasmissione sessuale e quando possiamo denunciarle.
Le infezioni a trasmissione sessuale sono malattie infettive che colpiscono, salvo alcune eccezioni, la zona dei genitali e le vie urinarie e possono essere causate da parassiti, virus, batteri o funghi. Sono malattie che si diffondono attraverso il rapporto sessuale o (seppure in casi rari) attraverso l’uso condiviso di oggetti quali asciugamani e biancheria intima. Queste malattie possono essere di diversa specie ed entità: sifilide o gonorrea (curabili), candida (facilmente curabile), epatite B (che può essere prevenuta con un vaccino) ed, infine, quella più temuta e pericolosa, l’Aids.
Il responsabile della trasmissione delle malattie infettive può essere sempre denunciata, anche se poi la giustizia seguirà il suo corso trattandosi di ipotesi di reato procedibili d’ufficio.
L’idea di essere contagiati dal virus dell’HIV ci fa rabbrividire ed il pensiero che il contagio possa avvenire per aver fatto l’amore con il nostro partner che, pur sapendo di avere un’infezione a trasmissione sessuale, non ce ne ha parlato, ci crea profonda rabbia. Eppure, prima di pensare alla vendetta e ad una possibile denuncia, è necessario sapere che ci sono tre tipi di contagio (che hanno conseguenze giuridiche diverse): il contagio doloso, quello colposo e quello inconsapevole.
È possibile, infatti, che un soggetto sieropositivo contagi il proprio partner dolosamente, ovvero sapendo di aver contratto il virus (e, quindi, nella consapevolezza di poterlo contagiare) oppure che lo contagi inconsapevolmente (ovvero senza sapere di avere un’infezione a trasmissione sessuale): potrà essere condannato per il reato di lesioni gravissime o di omicidio solo chi abbia agito con dolo o colpa.
Ciò significa che:
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Se mi è noto di avere l’HIV, non dico nulla al mio partner e lo infetto, commetto un reato penale [Cass. sent. n. 38388 del 3.10.2012.];
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Se non sono certo di essere affetto da un’infezione a trasmissione sessuale ma so di aver avuto rapporti non protetti con qualcuno che potrebbe avermi contagiato, posso (comunque) essere punito per aver commesso un reato penale (ciò per aver avuto rapporti sessuali con il mio partner, accettando il rischio di poterlo contagiare);
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Se non so di avere l’Aids (e non lo immagino affatto) ed ho rapporti sessuali non protetti con il mio partner, contagiandolo, non ho alcuna responsabilità penale e non commetto reato.
Il reato che, astrattamente, può configurarsi in caso di trasmissione del virus HIV è quello di lesioni personali [Art. 582 cod. pen.]. Il reato di lesioni personali dolose si configura quando un soggetto cagiona ad un terzo una lesione, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente.
La nozione di malattia, giuridicamente rilevante, comprende qualsiasi alterazione anatomica o funzionale (in grado di innescare un processo patologico) idonea a ridurre, in modo significativo, la funzionalità del corpo. Affinché la malattia cagionata sia penalmente rilevante è necessario che sia stata causata con dolo, ovvero con la consapevolezza che la propria azione potesse provocare danni fisici alla vittima.
Le lesioni si dividono in quattro tipi, a seconda della gravità:
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Lesioni lievissime, punite a querela della persona offesa, guaribili in non più di venti giorni;
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Lesioni lievi, procedibili d’ufficio, guaribili in un periodo compreso tra i 21 ed i 40 giorni;
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Lesioni gravi, quando dalla lesione derivi una malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa, una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni, ovvero un indebolimento permanente di un senso o di un organo [Art. 583, co. I, cod. pen.];
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Lesioni gravissime, quando la malattia è, con probabilità o certezza, inguaribile. Si tratta di una malattia che consiste nella perdita di un senso, di un arto (o una mutilazione tale da renderlo inservibile), di un organo, della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave incapacità della parola oppure la deformazione o uno sfregio permanente del viso [Art.583 co. II, cod. pen.].
Nel caso di contagio di un’infezione a trasmissione sessuale (poiché ritenuta dalla scienza medica una malattia certamente non sanabile) il responsabile sarà punito per il reato di lesioni gravissime per il quale è prevista la pena della reclusione da sei a dodici anni.
Nel caso in cui, dal contagio del virus HIV derivi la morte della persona infettata, si configura il reato di omicidio che può assumere una connotazione colposa o dolosa.
Risponde del reato di omicidio volontario (o doloso) chi abbia causato volontariamente il contagio dell’HIV, tacendo maliziosamente al partner la propria condizione di soggetto sieropositivo ed omettendo di utilizzare il preservativo, mentre risponde di omicidio colposo (realizzato per negligenza, imprudenza o imperizia) chi, consapevole della propria infezione, abbia utilizzato delle precauzioni ma senza verificare che fossero idonee ad evitare il contagio (si tratta, ad esempio, del caso di utilizzo di profilattici in cattivo stato di conservazione).
Per l’omicidio volontario, la legge prevede la pena della reclusone non inferiore a ventuno anni [Art. 575 cod. pen.]; per l’omicidio colposo la pena della reclusione che va da sei mesi a cinque [Art. 589 cod. pen.].
Sabina Coppola La legge per tutti 26 settembre 2017
www.laleggepertutti.it/176318_contagio-infezione-a-trasmissione-sessuale-posso-denunciare
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