UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 666 – 10 settembre 2017
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
ucipem@istitutolacasa.itwww.ucipem.com
“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984
Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone
“News” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:
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Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
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Link a siti internet per documentazione.
I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.
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02 ADOZIONESi alla stepchild adoption: consentito dalla legge 76 del 2016.
02 AFFIDO CONDIVISO A rischio per il genitore che lascia il figlio sempre solo a casa.
02 AMORE. VERO AMORE! 10 gesti che valgono più di un “ti amo”.
04 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Condanna per omesso, anche se ricevono assistenza pubblica.
04 ASSEGNO DIVORZILE Consolidato indirizzo: solo in mancanza d’indipendenza economica.
05 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 31, 30 agosto 2017.
06 CHIESE CRISTIANE Benedizione coppie dello stesso sesso: cosa fanno le chiese?
07 CINQUE PER MILLE Se il contribuente fosse informato, darebbe di più a chi ha di meno
08 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Belluno. Corso del Consultorio familiare.
08 Pescara. Scuola per Consulenti Familiari e Laboratori esperienziali.
09 Trento. Il consultorio partecipa al Distretto famiglia del Comune.
10 DALLA NAVATA XXIII domenica del tempo ordinario – Anno A – 10 settembre 2017
10L’arte della correzione fraterna. (Enzo Bianchi)
12 DIRITTI Spunti di genitorialità ne Carta diritti del bambino nato prematuro
14 ETS (già onlus) NON PROFIT La Grande riforma dalla A alla Z.
16 La +dai -versi non c’è più. Ma solo per onlus e associazioni.
16Tributi indiretti ETS.
17Codice: prevalenza ricavi non commerciali qualificano gli ETS.5
17 FRANCESCO VESCOVO DI ROMALe donne sono invece protagoniste nella Chiesa latinoamericana.
18 MEDICINA Il bimbo allattato al seno protegge l’utero.
19 Minori stranieri non accompagnatiEmergenza Misna. L’appello del Comune di Palermo.
20 PATERNITÀ Papà rifiuta ogni contatto con il figlio, peraltro disabile.
20 PSICOTERAPIA Esercizio abusivo della professione.
21 SEPARAZIONE La separazione di fatto
22 SINODO Card. Baldisseri: al Sinodo 2018 presenti anche i giovani.
22 VIOLENZA La violenza domestica
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ADOZIONE
Si alla stepchild adoption: consentito dalla legge 76 del 2016.
Tribunale Minorenni Bologna, sentenza 31 agosto 2017
L’unione civile è famiglia e il minore cresce bene con famiglie omogenitoriali. La legge n. 76 del 2016 ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi, al rango di “famiglia”. La stabile relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni, i desideri e i sogni comuni per il futuro, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana, costituisce a tutti gli effetti una “famiglia”, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore “omoaffettività” possa costituire ostacolo formale.
Nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento. Questa interpretazione è stata di recente avallata dall’articolo 1, comma 20 della legge 76 del 2016. Infatti, la «clausola di salvaguardia» che chiude il comma 20 di detto articolo apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente. La sua funzione, dunque, è quella di chiarire all’interprete che la mancata previsione legislativa dell’accesso all’adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all’orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell’adozione coparentale ai sensi della lettera d) dell’art. 44 l. 184 del 1983.
Giuseppe Buffone Il Caso.it – News 172 del 04 settembre 2017
http://news.ilcaso.it/news_3599?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email
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AFFIDO CONDIVISO
Affidamento condiviso a rischio per il genitore che lascia il figlio sempre solo a casa
Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 20622, 31 agosto 2017
Per la Cassazione, poi, non ci sono dubbi ad affidare il piccolo solo a un genitore se l’altro lo sottopone anche a violenza e a privazioni economiche. Lasciare il figlio sempre solo a casa davanti alla televisione è un comportamento che denota l’incapacità di un genitore di prendersi cura del piccolo.
Se poi il piccolo viene sottoposto anche a privazioni economiche ed esposto a scene di violenza sull’altro genitore, il rischio di perdere l’affidamento condiviso o addirittura la potestà genitoriale è alto.
Lesione dei doveri familiari e genitoriali. Si guardi, a tal proposito, al caso deciso dalla Corte di cassazione avente ad oggetto la vicenda di un padre che era stato già privato della responsabilità genitoriale e, a seguito della decisione del giudice di merito, aveva perso anche l’affido condiviso del figlio. Nel corso del giudizio, era emerso che il piccolo si era trovato frequentemente dinanzi a scene di violenza in danno della madre e che, altrettanto spesso, era stato lasciato solo a casa a guardare la TV.
Tutti questi comportamenti sono evidentemente lesivi dei doveri familiari e genitoriali e denotano l’incapacità dell’uomo di svolgere il suo ruolo nei confronti del figlio. Di fronte ad essi, poco importa che il padre in realtà si sente in realtà profondamente legato al figlio: l’affidamento resta esclusivamente in capo alla madre, come già stabilito dalla Corte d’appello
sentenza www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_27327_1.pdf
Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 4 settembre 2017
www.studiocataldi.it/articoli/27327-affidamento-condiviso-a-rischio-per-il-genitore-che-lascia-il-figlio-sempre-solo-a-casa.asp
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AMORE. VERO AMORE!
10 gesti che valgono più di un “ti amo”
Come capire se lui ti ama davvero? Non insospettirti se lui non ha l’abitudine/attitudine di dirti a parole ciò che prova per te. “Esistono uomini che non dicono mai ti amo, pur amando. Non è solo una questione d’introversione o di timidezza, in genere i maschi hanno più difficoltà a condividere i loro sentimenti per un fattore prettamente culturale. Nella costruzione del loro ruolo maschile gli è stato insegnato a dare più spazio alla razionalità e alla concretezza.
Per questo motivo non è sempre facile per loro lasciarsi andare ai sentimentalismi ed esternare la propria emotività con le parole”, spiega Nicoletta Suppa, psicoterapeuta e sessuologa. “Molti non sono abituati a comunicare quello che sentono e dire ‘ti amo’ è un po’ come denudarsi, ammettere la propria sensibilità. Così preferiscono una comunicazione fatta di azioni significative e concrete per dimostrare il loro amore”.
Noi donne, invece, diamo molta importanza alle parole. “A volte anche più dei fatti. Spesso una frase giusta cancella o, per lo meno, lenisce un’offesa. Amiamo la seduzione delle parole, dette o scritte e sentirsi dire “ti amo” diventa sinonimo di impegno e di progettualità condivisa”, spiega l’esperta. Certo, verbalizzare i sentimenti resta sempre importantissimo, perché solidifica il legame, eppure, se ci pensi bene, più delle belle frasi, quello che conta sul serio, le vere dimostrazioni del suo amore, sono le azioni che fa per te.
“Tutte le dichiarazioni di affetto, se non sono sostenute da dimostrazioni concrete, diventano aria fritta. Bisogna dare maggiore attenzione ai gesti, perché spesso parlano più forte delle parole. Come fare? Intanto nota e dai la giusta importanza alle attenzioni che il tuo lui ti rivolge, senza mai darle per scontate, soprattutto nelle piccole cose. E poi chiediti come ti fanno sentire. Se da esse ricevi sostegno, conforto, fiducia e sicurezza, allora vuol dire che sono rappresentative di un sentimento profondo”, dice la psicoterapeuta. Ecco dieci gesti che fanno la differenza in una storia d’amore e che ti dimostrano quanto sei importante per lui.
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Cerca sempre un contatto con te. Non a tutti piacciono le effusioni in pubblico, ma un uomo che ti ama sa come mantenere una connessione affettuosa, anche quando siete in mezzo agli altri. Per farti percepire che ti è accanto, che non smette di prendersi cura di te, bastano piccole tenerezze, impercettibili a chi vi è intorno, ma che per voi sono segnali di complicità e intimità. Come prenderti la mano e stringerla forte, un abbraccio inaspettato che ti avvolge, uno sguardo d’intesa quando siete tra la folla o una semplice carezza mentre ti sorride.
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Ti dedica del tempo. Donarti il suo tempo vale molto di più di un regalo concreto, che può essere anche prezioso, ma sbrigativo. Se lui si impegna a lasciare uno spazio per voi, a ricavarsi dei momenti per stare solo con te, nonostante gli impegni lavorativi o di altro genere, vuol dire che ti dà valore e che vuole dare al vostro rapporto una priorità.
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Sa condividere i tuoi silenzi. Riesce a rispettare la tua voglia di non parlare, senza fare domande, in un momento in cui tu ne hai bisogno? Ti sta dimostrando la sua empatia: sa cosa stai provando e capisce che la sua presenza è importante più delle parole. L’amore in questo caso si esprime proprio attraverso la sua silenziosità, che non è un vuoto, ma un pieno di amore.
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Ti lascia libera nelle tue scelte. Farti prendere le tue decisioni in modo indipendente e autonomo, senza interferire o giudicare, è forse una delle forme più alte di amore e di rispetto, soprattutto quando queste scelte non sono condivise fino in fondo. Questo vuol dire che ti ama per come sei e non per come vorrebbe che tu fossi. Inoltre è una manifestazione di fiducia nei tuoi confronti, è un modo di starti vicino senza imporsi.
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Si lascia coinvolgere se lo fai entrare nel tuo spazio. Potete essere diversi, amare cose differenti, avere hobby e passioni agli antipodi, eppure lui è intrigato dal tuo mondo, da quello che fai, anche se non collima con le sue inclinazioni. Questa curiosità e coinvolgimento per i tuoi interessi è sintomo di amore. Si tratta di un’apertura nei tuoi confronti e di una dimostrazione di flessibilità, cosa necessaria in un rapporto. Non che lui debba cambiare i suoi gusti, ma interessarsi ai tuoi vuol dire guardarti e considerarti.
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Vuole condividere qualcosa di suo. Allo stesso modo può dirti “ti amo” facendoti entrare suoi spazi, coinvolgendoti in una sua passione, ma anche portarti in un luogo per lui importante o che è stato significativo nella sua vita prima di conoscerti. O ancora, farti conoscere la sua famiglia, il gruppo dei suoi amici, presentarti ai suoi colleghi. Sono tutti gesti che vogliono dire “sei la benvenuta nella mia vita, perché tu sei importante per me e voglio che tu ci sia nella mia quotidianità”.
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Si preoccupa che tu stia a tuo agio. Soprattutto nella fase iniziale della relazione, quando alcune situazioni vissute tra voi in intimità possono crearti imbarazzo o disagio, lui si mostra comprensivo e paziente. Se lui non ti forza o non ti fa sentire fuori luogo, vuol dire che ti rispetta e che è sensibile a quello che tu stai provando. Quindi procede a piccoli passi se sente che sei tesa, si avvicina a te gradualmente, stando attendo ai tuoi segnali non-verbali, si adatta ai tuoi tempi e ai tuoi desideri.
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Crede in te. Questa è la forma più alta di amore, è il “ti amo” più profondo che può dirti attraverso i gesti. Se stai attraversando un periodo difficile o devi affrontare una prova, lui ti è vicino, ti consiglia, ti sostiene, ti incoraggia convinto che ce la farai. Questo è un modo per mostrarti la fiducia che ha in te e per dirti che lui conosce le tue qualità e le tue potenzialità.
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Ti aiuta a migliorare. Se sbagli non ti critica in maniera sterile, non di attacca, non infierisce. Piuttosto ti fa notare i tuoi errori, cercando però di essere costruttivo, di dirti la sua, di trovare assieme una soluzione. Una relazione d’amore è soprattutto un rapporto nel quale ci miglioriamo a vicenda.
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Sa ironizzare sui tuoi difetti. Se vede le tue imperfezioni, vuol dire che ha stabilito con te una relazione sana, cioè non ti ha idealizzata, e questo è un bene. E se ci ironizza su, cioè ne parla sorridendo, senza metterti in berlina, ti sta dimostrando che accetta i tuoi difetti e che sa conviverci. E’ una modalità che dimostra che sa vederti tutta intera, nel bene e nel male, e gli piaci perché sei così, unica e preziosa. Amare vuol dire, appunto, vedere l’altro per quello che è realmente, a 360° gradi, non solo la parte che ci fa comodo.
Veronica Mazza Dlivestyle La Repubblica on-line 6 settembre 2017
http://d.repubblica.it/lifestyle/2017/06/09/foto/come_dire_ti_amo_gesti_romantici_come_capire_se_piaci_ad_un_ragazzo_psicologia_coppia-3527228/1
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI
Condanna per omesso mantenimento dei figli, anche se ricevono assistenza pubblica
Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 40541, 6 settembre 2017.
Lo stato di bisogno e l’obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non viene meno se gli aventi diritto sono assistiti economicamente da terzi, anche con eventuali elargizioni a carico della pubblica assistenza.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, confermando la condanna di un padre ex art. 570 c.p., per aver ripetutamente omesso di versare il contributo di mantenimento a favore delle proprie figlie minorenni, così sottraendosi ai propri obblighi di assistenza in qualità di genitore e facendo mancare i mezzi di sussistenza alle bambine.
Oltretutto l’uomo era stato condannato, in sede di merito, ad un risarcimento danni in favore della ex moglie costituitasi parte civile. Condanna pecuniaria a cui l’uomo parimenti si era opposto, lamentando come la parte civile avesse già percepito tale somma dalla Provincia; sicché il ricorrente avrebbe dovuto, semmai, ritenersi debitore dell’ente locale.
Sul punto, tuttavia, la Corte Suprema ha stabilito che nella quantificazione del risarcimento danni conseguente al reato di cui all’art. 570 c.p., il giudice penale deve limitarsi a quantificare la misura del danno medesimo, mentre la regolazione dei rapporti civilistici tra la parte civile, l’imputato e l’ente pubblico che ha elargito la pubblica assistenza, dovrà avvenire in altra sede (extraprocessuale o, in mancanza di accordo tra le parti, in sede processuale civile).
Eleonora Mattioli Edotto 7 settembre 2017
www.edotto.com/articolo/condanna-per-omesso-mantenimento-dei-figli-anche-se-ricevono-assistenza-pubblica?newsletter_id=59b12910fdb94d1de859a44b&utm_campaign=PostDelPomeriggio-07%2f09%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=condanna-per-omesso-mantenimento-dei-figli-anche-se-ricevono-assistenza-pubblica&guid=d98870bb-d9b3-4249-bb81-2a84305df0ac
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ASSEGNO DIVORZILE
Consolidato il nuovo indirizzo di Cassazione: solo in caso di mancanza di indipendenza economica
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 20525, 29 agosto 2017.
Il diritto all’assegno di divorzio, di cui all’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 10 della L. n. 74 del 1987, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l‘an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso. Al lume di detti principi, l’assegno di divorzio non spetta all’ex coniuge che svolga una professione (nel caso di specie: insegnante) e sia titolare di propria abitazione. Ordinanza
http://news.ilcaso.it/libreriaFile/Cass%20Civ%2017%20n.%2020525%20-%20Assegno%20Divorzile.pdf
Il Caso.it – News 172 del 04 settembre 2017
news.ilcaso.it/news_3601?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email
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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 32, 6 settembre 2017
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Gli smartphone hanno distrutto una generazione? “Jean M. Twenge, docente di psicologia all’Università di San Diego, ha scritto per l’Atlantic un articolo molto complesso e discusso che analizza l’uso e le conseguenze degli smartphone e dei social media da parte degli e delle adolescenti”
www.ilpost.it/2017/08/30/gli-smartphone-hanno-distrutto-una-generazione/?platform=hootsuite
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I cinque principi del modello del family impact lens. (Milano/Trento, 21-23 settembre 2017). “In che misura una politica, un progetto, un intervento, un servizio sono in grado di promuovere:
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Principio 1. Responsabilità della famiglia. Le politiche e i progetti dovrebbero avere l’obiettivo di sostenere e restituire titolarità alle famiglie rispetto alle funzioni che svolgono per la società – formazione della famiglia, relazioni di coppia, sostegno economico, nascita e cura dei figli, cura e assistenza. La sostituzione delle famiglie nelle funzioni loro proprie dovrebbe essere adottata solo come ultima spiaggia.
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Principio 2. Stabilità della famiglia. Le politiche e i progetti dovrebbero, tutte le volte che è possibile, incoraggiare e rafforzare l’impegno e la stabilità della coppia, del matrimonio, dei compiti genitoriali e della famiglia, soprattutto quando sono implicati i figli. Un intervento diretto sui membri della famiglia e sulle sue condizioni di vita in genere si giustifica solo se è necessario proteggere i membri della famiglia da gravi danni, o solo se è la famiglia stessa a richiederlo
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Principio 3. Relazioni familiari. Le politiche e i progetti devono riconoscere la forza e la persistenza dei legami familiari, sia positivi che negativi, e cercare di creare e sostenere intense relazioni di coppia, coniugali e genitoriali.
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Principio 4. Diversità delle famiglie. Le politiche e i progetti possono avere effetti diversi sui vari tipi di famiglie. Le politiche e i progetti devono riconoscere e rispettare le diversità della vita familiare e non discriminare né penalizzare le famiglie sulla base della loro appartenenza culturale, razziale o etnica, della situazione economica, della struttura familiare, del contesto geografico, della presenza di bisogni speciali, di appartenenze religiose, o della fase della vita.
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Principio 5. Coinvolgimento della famiglia. Le politiche e i progetti devono incoraggiare la collaborazione tra operatori e famiglie. La cultura organizzativa, la politica e gli interventi dovrebbero prevedere pratiche relazionali e partecipative che custodiscano la dignità della famiglia e rispettino l’autonomia della famiglia.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf3217_allegato1.pdf
Di questo e di molto altro si potrà discutere a settembre, a Milano (giovedì 21 e venerdì 22) a Trento (sabato mattina, 23 settembre), in occasione del prossimo seminario internazionale sul Family Impact
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Presentare un workshop a Malta, a febbraio 2018: c’è tempo fino al 30 settembre 2017. L’ICCFR (International Commission for Couple and Family Relationships), cui il Cisf aderisce, terrà la sua 64° Conferenza Internazionale a Malta, 6-9 febbraio 2018. http://iccfr.org/conference-2018-malta
sul tema couple relationships in the 21st century: evolving contexts and emergent meanings (Le relazioni di coppia nel ventunesimo secolo: contesti in mutamento e nuovi significati). L’evento è organizzato in collaborazione con il NCFR (The National Centre for Family Research), centro di ricerca sulla famiglia patrocinato dalla PFSW (The President’s Foundation for the Wellbeing of Society), Fondazione della Presidenza della Repubblica Maltese.
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I nidi perdono “terreno”: solo un bambino su cinque li frequenta e aumentano i casi di rinuncia e morosità. Una preziosa ed aggiornatissima ricerca dell’Istituto degli Innocenti offre dati aggiornati sulla situazione degli asili nido, ponendo un problema di politica sociale di non facile soluzione, anche in considerazione della forte disuguaglianza territoriale che segna pesantemente il nostro Paese. In particolare emerge un fenomeno di “abbandono” del servizio, anche ad iscrizione avvenuta e a frequenza avviata, in genere connesso al suo costo, eccessivo per troppe famiglie. Peraltro non convincono del tutto le proposte di unificare l’esperienza formativa da 0 a sei anni in un unico percorso scolastico, che rischia di configurarsi come una rigida nuova scuola dell’obbligo, potenzialmente onnicomprensiva, da 0 a 18 anni. Servono invece idee innovative e modelli più flessibili. Resta comunque il problema dell’eccessivo costo dell’asilo nido, finché rimane “servizio a domanda individuale”
www.istitutodeglinnocenti.it/sites/default/files/fortunati_pucci_bambini_2016.pdf
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Dalle case editrici
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Laterza, Fare un figlio per altri è giusto (Falso!)
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Vallardi, Maleducati o educati male? Consigli pratici di un’insegnante per una nuova intesa tra scuola e famiglia
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Piemme, Dio patrie famiglie. Le traiettorie plurali dell’amore
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Effatà, Famiglia culture e valori. Alla ricerca di radici comuni
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Lancini Matteo, Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli adolescenti a diventare adulti, Mondadori, Milano, 2017, pp. 167, € 18,00
Forte della sua lunga esperienza a contatto con i ragazzi, in questo volume l’autore, grazie anche al racconto di casi esemplari, suggerisce a genitori, insegnanti ed educatori come prestare ascolto alle esigenze e ai pensieri dei ragazzi, come favorire la loro autonomia e la loro responsabilità senza lasciarli soli davanti ai problemi, come intervenire in modo adeguato nelle situazioni più critiche. Perché se c’è qualcosa di cui gli adolescenti in crisi hanno davvero bisogno sono adulti autorevoli, insieme ai quali definire il loro progetto futuro
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf3217_allegatolibri.pdf
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Affido dell’anziano e dell’adulto in difficoltà. Master dell’Università degli Studi di Padova. Il Master (anno accademico 2017-2018) si propone di formare esperti altamente specializzati nella progettazione e gestione di forme di affido a favore di anziani o adulti in condizione di rischio o di disagio sociale. L’istituto dell’affido di persone anziane o adulte, riconosciuto con Legge Regione Veneto n. 3/2015, si inserisce nel solco della cultura giuridica dell’autonomizzazione dei soggetti deboli e ha natura di intervento socio-sanitario, sostitutivo dell’istituzionalizzazione delle persone e flessibile secondo le forme del “piccolo affido”, dell’affido di supporto e dell’affido in convivenza. Il Master mira a fornire le competenze analitiche e progettuali e l’expertise giuridico-pratico, per essere progettisti e gestori di programmi di affido e per divenire formatori di affidatari. Scadenza presentazione domanda di ammissione: 19 settembre 2017
www.unipd.it/affido-anziano-adulto
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Save the date
Nord Festival Fin da Piccoli. Le seconde lingue nei primi anni di vita. Edizione 2017, incontro sull’apprendimento linguistico nella prima infanzia (con altre edizioni in altre parti d’Italia), promosso da Centro per la Salute del Bambino Onlus, Trieste, 16 settembre 2017.
Centro Sguardi meticci. Meticciato, disuguaglianza e partecipazione dal basso, assemblea/convegno promosso da CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), Spello (PG), 5-7 ottobre 2017.
Sud Ri-Usciremo a riveder le stelle. Riconoscere l’umano per educare, Giornate Nazionali di formazione per educatori ed insegnanti, promosse da Edizioni La Meridiana/FormAzione, Molfetta, (BA), 15 e 16 settembre 2017.
Estero: Kann Mann So Lieben? Si può amare così? (Programma in italiano), Terzo Convegno internazionale sulla Teologia del Corpo, Università Cattolica di Eichstatt-Ingolstadt, Eichstatt (Ger), 10-12 novembre 2017.
Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Con tutti i link http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/settembre2017/5044/index.html
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CHIESE CRISTIANE
Benedizione coppie dello stesso sesso: cosa fanno le chiese protestanti nel mondo?
Dopo il voto del Sinodo valdese e metodista facciamo una rapida carrellata sulla situazione nel resto del mondo. Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste ha approvato, lo scorso giovedì 24 agosto 2017, la possibilità di benedire anche le coppie unite civilmente, comprese quelle dello stesso sesso. Con questo voto va a raggiungere numerose altre denominazioni europee e americane che già si sono espresse in materia.
La Chiesa di Svezia nel 2009 ha aperto alle benedizioni delle coppie dello stesso sesso, dopo l’entrata in vigore nel paese della legge che regolamenta il matrimonio e le unioni omoaffettive. Il vescovo di Stoccolma Eva Brunne è essa stessa unita civilmente ad una donna, pastora pure lei.
In Francia dal 2015 l’Epudf, la Chiesa protestante unita benedice unioni fra persone dello stesso sesso, a due anni dall’entrata in vigore della legge Taubira che norma la materia.
Nel 2016 è stato il turno della Chiesa di Norvegia, mentre l’anno prima della Chiesa protestante unita del Belgio. In Austria dal 2009 la Chiesa evangelica in Austria benedice unioni fra persone dello stesso sesso, così come la Chiesa luterana finlandese.
La Chiesa luterana in Germania e le sue varie denominazioni locali, approvano tutte le benedizioni a coppie gay o lesbiche, così come le differenti sigle del panorama riformato svizzero.
La Chiesa d’Inghilterra, pur non approvandole, ha però creato una liturgia ad hoc per le benedizioni delle coppie omosessuali e lesbiche. Stesso discorso vale per la Chiesa d’Irlanda, anglicana anch’essa, mentre la Chiesa episcopale scozzese ha appena votato per la benedizione, così come la Chiesa di Scozia, presbiteriana.
Al di là dell’oceano Atlantico, negli Stati Uniti d’America, già nel 1985 la Chiesa unita di Cristo, congregazionalista, nel suo Sinodo generale ha approvato una risoluzione che incoraggiava le comunità locali a accogliere le persone Lgbt, e nel 2005 ha fatto esplicito riferimento anche alla benedizioni delle unioni omoaffettive. Sempre negli Usa la Chiesa luterana e quella episcopale benedicono le unioni fra due uomini o due donne; nel secondo caso ciò ha aperto una disputa con la Comunione anglicana di cui fa parta la chiesa episcopale a stelle e strisce, perché non ovunque nel mondo questa pratica è vista di buon occhio.
Anche la Chiesa anglicana canadese ha approvato le unioni già dal 2007.
In Sud America è la chiesa episcopale brasiliana ad approvare benedizioni a coppie gay.
Il mondo metodista sta esprimendo indicazioni differenti al momento con il dibattito ancora in corso; stesso discorso nel panorama battista con la possibilità concessa ad alcune comunità locali di celebrare le unioni.
In sintesi, sostanzialmente moltissime fra le chiese riformate storiche hanno decisamente aperto alle benedizioni per tutti, al contrario del panorama evangelicale, in particolare pentecostale, in cui le posizione appaiono di netta chiusura.
Redazione Riforma.it 29 agosto 2017
Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
http://riforma.it/it/articolo/2017/08/29/benedizione-coppie-dello-stesso-sesso-cosa-fanno-le-chiese-protestanti-nel-mondo
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CINQUE PER MILLE
Se il contribuente fosse informato, darebbe di più a chi ha di meno
Uno studio realizzato in Sardegna dall’Università di Cagliari e presentato in questi giorni a Chicago sostiene che la tendenza dei contribuenti a premiare poche grandi organizzazioni cambierebbe se ci fosse più informazione sull’ammontare dei fondi ricevuti. In pratica, i cittadini darebbero di meno alle organizzazioni che ricevono di più, diminuendo la polarizzazione
Se i contribuenti sapessero quanti soldi incassano le organizzazioni non profit grazie al 5‰, cambierebbero idea ogni anno riguardo al destinatario del loro contributo. È questa, in estrema sintesi, la conclusione cui arriva una ricerca realizzata in Sardegna dall’Università di Cagliari e finanziata da CSV-Sardegna sul funzionamento del 5‰ nel sistema fiscale italiano. Lo studio, presentata all’Università di Chicago in occasione della conferenza annuale della Science of Philantropy Initiative svoltasi il 6 e 7 settembre 2017, è stato condotto un esperimento su un campione rappresentativo dell’intera popolazione sarda e ha mostrato il ruolo fondamentale della cosiddetta “informazione sociale”. A esporre i risultati dell’indagine è stato il coordinatore Vittorio Pelligra, professore di Politica economica del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, che ha firmato l’indagine con Leonardo Becchetti (università di Roma – Tor Vergata) e Tommaso Reggiani (Masaryk University – Brno).
La conclusione, molto interessante, pone l’accento su uno dei temi caldi all’attenzione sia del legislatore (che deve precisare alcuni dettagli del “nuovo” 5‰ disegnato dalla riforma del terzo settore) che dello stesso terzo settore: quello della concentrazione dei contributi a favore di poche, grandi organizzazioni. Una tendenza che cambierebbe, sottolinea la ricerca, se i contribuenti fossero informati ogni anno circa l’ammontare dei finanziamenti ricevuti da ogni organizzazione attraverso il 5‰. I donatori sarebbero cioè indotti a dare di meno a quelle poche organizzazioni che generalmente ricavano molti fondi, redistribuendo le loro donazioni a favore di quelle che invece ottengono di meno, favorendo in questo modo una struttura più pluralista e finanziando la fornitura di una gamma più ampia di servizi di utilità sociale.
Il fatto che il Ministero dell’Economia fornisca tali dati e li renda il più possibile pubblici può avere un impatto molto ampio sull’utilizzo del quasi mezzo miliardo di euro che ogni anno i contribuenti destinano al non profit. Come è noto, quello della polarizzazione dei contributi è un fenomeno in atto da tempo, che si è accentuato nelle ultime annualità: nel 2015, per esempio, il 92% degli enti del volontariato ha ottenuto meno di 500 firme, mentre il 4,5% non ne ha avuta neppure una, e solo 174 enti su oltre 39mila raggiunge la soglia dei 5.000 consensi.
Il tema ha riscosso grande attenzione da parte degli organizzatori della conferenza di Chicago che ogni anno mette insieme accademici e rappresentanti delle più importanti organizzazioni filantropiche americane (la Lilly Family Foundation e la Melissa and Bill Gates Foundation, solo per fare alcuni esempi) interessati allo studio sperimentale del comportamento pro-sociale e donativo, alla sua evoluzione nel tempo.
Gabriella Meroni Vita.it 08 settembre 2017
www.vita.it/it/article/2017/09/08/5-per-mille-se-il-contribuente-fosse-informato-darebbe-di-piu-a-chi-ha/144416
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Belluno, corso del Consultorio familiare
Il Consultorio familiare di Belluno organizza e propone un percorso affascinante, per giovani e adulti (dai 18 anni in poi) diretto da Claudio Michelazzi, operatore psicologo del Consultorio, per conoscere meglio se stessi e gli altri attraverso la lettura espressiva e la scrittura creativa.
Saranno previsti 5 cicli da 8 incontri, a partire da giovedì 14 settembre alle ore 20.
Pescara. Scuola per Consulenti Familiari e Legami esperienziali
“Non puoi insegnare niente a un uomo. Puoi solo aiutarlo a scoprire ciò che ha dentro di sé”. (Galileo Galilei)
Il Corso è proposto dal Consultorio Familiare Ucipem di Pescara in collaborazione con la Scuola Italiana di Formazione per Consulenti Familiari SICOF di Roma. Ha come obiettivi:
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Attivare e favorire processi di crescita personale e di gruppo;
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Approfondire la metodologia della consulenza familiare;
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Stimolare i processi di ricerca nell’ambito del territorio in cui ciascuno opera, per conoscerne la realtà e rendere possibile l’organizzazione di un servizio professionalmente valido;
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Perfezionare la propria preparazione e l’aggiornamento attraverso l’approfondimento di conoscenze teoriche su temi che si riferiscono alla persona, alla famiglia e alla coppia, nonché alla molteplicità degli apporti scientifici e culturali.
Il Corso per Consulenti Familiari è una Scuola triennale che forma alla professione di consulente familiare, esperto nella relazione d’aiuto. L’obiettivo della consulenza è quello di accompagnare il cliente alla valorizzazione delle risorse personali per affrontare e risolvere il proprio disagio.
Infatti, il consulente della coppia e della famiglia è il professionista socio educativo che:
a) Attua percorsi centrati su atteggiamenti e tecniche di accoglienza, ascolto e auto ascolto che valorizzino la persona nella totalità delle sue componenti
b) Si avvale di metodologie specifiche che agevolano i singoli, la coppia e il nucleo familiare nelle dinamiche relazionali a mobilitare le risorse interne ed esterne per le soluzioni possibili
Il ciclo completo del Corso consulenti prevede un triennio di formazione personale comprensivo di: un biennio-base; un terzo anno dedicato al lavoro di gruppo, simulate, specchio unidirezionale (dove possibile), apprendistato e studio di casi, nonché due seminari per ogni annualità. Il monte ore comprensivo di lezioni, T-group e seminari è di 600 ore. La conduzione dei TG dell’intero triennio è affidata ad un unico Trainer.
Il Corso si avvale particolarmente dell’approccio teorico-metodologico dell’analisi transazionale e della psicologia umanistica (Rogers e Gestalt). Ogni annualità comprende:
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13 Training Group (3 ore ciascuno);
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12 lezioni teoriche (4 ore ciascuna);
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2 seminari residenziali (di 2 giorni) a Roma
La presenza ai Training Groups (TG), alle lezioni e ai seminari è obbligatoria. Per il passaggio all’anno successivo occorre raggiungere almeno l’80% delle presenze per ognuno dei momenti formativi, è necessario superare le prove relative al programma dell’anno, ed essere in regola con gli aspetti amministrativi.
La valutazione per l’avanzamento è di pertinenza esclusiva del conduttore assegnato al Corso e dello Staff della Scuola di Roma.
Requisiti per l’ammissione:
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Minimo 23 anni di età (per l’ammissione al 1° anno),
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Possesso del titolo di laurea o diploma quinquennale di scuola superiore (per l’ammissione al 1° anno),
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80% delle presenze ai TG e alle Lezioni (per l’ammissione agli anni successivi),
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Partecipazione ai due seminari residenziali (per l’ammissione agli anni successivi).
I Seminari residenziali sono due e hanno luogo a Roma con inizio alle ore 9.00 del sabato e conclusione entro le 14.00 della domenica.
Gruppi in partenza per il Primo Anno: è possibile iscriversi per l’anno formativo 2017/18, la cui partenza è prevista a ottobre 2017. Tutti gli iscritti al primo anno sosterranno i colloqui preliminari indicativamente entro settembre 2017.Conduttrice: Barbara Lombardi
Gruppo del 1°anno: dr Barbara Lombardi www.ucipempescara.org/percorsi/primo-anno-date-e-orari
Gruppo del 2°anno: dr Maria Francesca Vicari
www.ucipempescara.org/percorsi/copy_of_orari-e-bibliografia
2 Gruppi del 3° anno: dr Nicoletta Citarelli www.ucipempescara.org/percorsi/orari-e-bibliografia
www.ucipempescara.org/percorsi/percorso-crescita-interiore-e-maturazione-umana
Laboratori esperienziali (a tema) sulle relazioni nella complessità del nostro tempo
Dopo la bella esperienza e la grande risposta degli anni scorsi, riproponiamo anche quest’anno altri laboratori tematici con inizio previsto da ottobre 2017.
Saranno attivati diversi Laboratori: genitorialità (adolescenza e infanzia), comunicazione di coppia, emozioni, gruppi di parola per figli di genitori separati-divorziati, fiabe, bioenergetica ed un laboratorio di coppia basato sulla danza.
Ogni laboratorio di 6 incontri è composto da un minimo di 10 ad un massimo di 20 partecipanti e comporta l’iscrizione.
Info www.ucipempescara.org/percorsi/genitori-consapevoli-1
Trento. Il consultorio partecipa al programma di lavoro del Distretto famiglia del Comune
Dopo la firma dell’accordo volontario di area per favorire lo sviluppo del Distretto famiglia dell’educazione nel comune di Trento, sottoscritto lo scorso 28 novembre 2016, la Giunta comunale ha approvato il primo programma di lavoro, che indica il ruolo e gli obiettivi assunti da ciascun soggetto sottoscrittore dell’accordo.
L’accordo di area ha l’obiettivo di mettere in rete le risorse del territorio in ambito educativo, con il coinvolgimento di tutti coloro che sono coinvolti nell’esperienza educativa, promuovendo un comune ambito di riflessione e progettualità per la realizzazione di una “comunità educante”.
Il progetto strategico del Distretto Famiglia dell’educazione è la creazione di occasioni di confronto, scambio e riflessione rispetto all’educazione e la creazione di una rete territoriale, composta da realtà molto diverse tra loro tra le quali anche organizzazioni che non si occupano di educazione direttamente, che supporti la crescita dei minori e promuova la formazione continua anche degli adulti e la creazione di luoghi educativi sul territorio che condividano l’attenzione alla persona e la creazione di legami positivi.
Il programma di lavoro 2017 prevede otto azioni totali, suddivise in aree:
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Attività rivolte a informare, sviluppare, pianificare e programmare il Distretto famiglia
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Costituire il Distretto nelle sue parti e nelle sue modalità di lavoro
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Costruire modalità di comunicazione efficace tra i membri della rete
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Costruire l’informazione sul Distretto famiglia
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Attività di sensibilizzazione, formazione, informazione rivolte a tutti gli operatori del territorio per promuovere le finalità e obiettivi del Distretto famiglia puntando l’attenzione sulla valenza educativa delle attività messe in campo per promuovere il senso di “comunità educante’”
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Condividere ciò che si fa sul territorio con obiettivo formativo e informativo
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Costruire una rete di organizzazioni che condividano il principio di “comunità educante”
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Inserirsi in una rete di distretti territoriale
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Adeguamento dell’attività dei promotori agli standard family adottati dalla Provincia autonoma di Trento
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Promuovere gli standard family
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Attivazione di progetti che vedano il coinvolgimento di diverse tipologia di organizzazioni, con ampia diffusione territoriale ed elementi innovativi
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Costruire una rete tra organizzazioni pubbliche, private, educative, commerciali, sociali, sportive, territoriali, che possa condividere l’obiettivo dell’educazione come responsabilità di tutti.
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A fine anno verrà effettuata la valutazione su ogni singola azione.
L’accordo è aperto a tutte le organizzazioni del territorio che ne condividono finalità ed obiettivi ed è stato finora sottoscritto da Comune, Provincia autonoma di Trento – Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili, Istituto comprensivo Trento 5 (con il Tavolo Tuttopace), Istituto comprensivo Aldeno e Mattarello, Kaleidoscopio società cooperativa sociale, Associazione A.M.A. – Punto Famiglie ascolto e promozione, Forum delle associazioni familiari del Trentino, Associazione di promozione sociale Carpe Diem, Arianna società cooperativa sociale, Acli Trentine, Consultorio familiare Ucipem, Alfid – Associazione laica famiglie in difficoltà, Centro di psicosintesi Trento e Bolzano, Uisp Comitato del Trentino, Associazione di promozione sociale Noi Quartieri – Trento Sud.
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DALLA NAVATA
XXIII domenica del tempo ordinario – Anno A – 10 settembre 2017
Ezechiele 33, 07 O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.
Salmo 95, 08 Non indurite il vostro cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto.
Romani 13, 10 La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.
Matteo 18, 15 Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;
L’arte della correzione fraterna. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose
Nel capitolo 18 del vangelo secondo Matteo leggiamo diversi insegnamenti di Gesù riguardanti la vita della sua comunità, la comunità cristiana. L’evangelista li raccoglie e li raduna qui per consegnare ai cristiani degli orientamenti in un’ora già segnata dalla fatica della vita ecclesiale tra fratelli e sorelle in conflitto, da rivalità e patologie di rapporti tra autorità e credenti. Il messaggio centrale di questa pagina indica la misericordia come decisiva, assolutamente necessaria nei rapporti tra fratelli e sorelle.
I pochi versetti proclamati in questa domenica vogliono indicare la necessità della riconciliazione sia nel vivere quotidiano sia nella preghiera rivolta al Signore vivente. Ecco allora la prima parola di Gesù: “Se tuo fratello pecca (contro di te), va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello”. In verità questa sentenza di Gesù è attestata nei manoscritti in due forme: quella breve, che parla di un fratello che pecca (cioè che compie un peccato contro le esigenze cristiane), e quella lunga, che specifica “contro di te”, ipotizzando un’offesa personale. Nel primo caso la direttiva sarebbe ecclesiale, e dunque si tratterebbe di un preciso comportamento da viversi come chiesa; nel secondo caso Gesù si riferirebbe alla riconciliazione fraterna in caso di dissidio o offesa. La traduzione italiana ufficiale opta per questa seconda lettura, ma sia l’una sia l’altra versione sono accentuazioni diverse di un’unica verità, perché il peccato intravisto è comunque un peccato grave che impedisce la comunione fraterna.
Gesù chiede la correzione e la riconciliazione tra quanti sono in conflitto, tra l’offeso e l’offensore, ma le richiede anche a livello comunitario, quando un membro della comunità mediante il suo peccato contamina tutto il corpo, diventa soggetto di scandalo, di ostacolo alla vita cristiana, che è e deve essere sempre comunione tra diversità riconciliate e dunque sinfoniche. La comunione esige un serio impegno, anche una fatica, ed è questione di essere responsabili e custodi anche dell’altro. Si faccia attenzione a non leggere in queste parole di Gesù una procedura giuridica cristiana, da osservare come una legge! Certo, Gesù si ispira a quanto si legge nel Levitico: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un suo peccato” (Lv 19,17; cf. anche Sir 19,13-17). Ma non dà una nuova legge capace di risolvere i conflitti e di eliminare i peccati, bensì chiede che in mezzo alle tensioni, ai conflitti, alle contese e alle offese che inevitabilmente avvengono in ogni comunità permanga il desiderio di comunione, la volontà di edificazione comune, la responsabilità intelligente di ciascuno verso tutti. Quando avviene il peccato grave e manifesto, nella comunità cristiana occorre operare con creatività, sapienza, pazienza e, soprattutto, misericordia.
Che cosa dunque deve fare il cristiano maturo? Ammonire il peccatore, certo, ma con molta carità. Lo ammonisca nell’ora opportuna, lo ammonisca con umiltà e chiarezza, lo ammonisca coprendo la sua vergogna, non svelandola agli altri, dunque da solo a solo. Chi compie la correzione, deve avere il cuore di Gesù che perdona, non disprezza e non si nutre di pregiudizi. Deve farlo con lo spirito del buon pastore che, nella parabola raccontata subito prima da Gesù, va a cercare la pecora che si è perduta (cf. Mt 18,12-14). Deve farlo non perché la legge è stata infranta, ma perché chi ha peccato ha fatto del male a se stesso, ha scelto la via della morte e non quella della vita. In ogni caso, chi corregge non può pensare di dover sradicare la zizzania e salvare il buon grano (cf. Mt 13,24-30)! Va dunque tentato tutto il possibile affinché chi si è smarrito ritrovi la strada della vita e chi ha offeso il fratello ritrovi la via della riconciliazione. Gesù richiede semplicemente questo, eppure constatiamo quanto sia difficile nelle comunità cristiane questo semplice passo verso la comunione. Sembra che l’arte di ammonire e correggere l’altro, arte certo delicata e difficile, non sia possibile e lasci invece posto all’indifferenza da parte di chi è troppo preoccupato di se stesso e della propria salvezza per pensare agli altri.
Ma nel vangelo si testimonia anche la possibilità che la correzione fraterna abbia un esito negativo: il fratello che ha peccato può non voler essere corretto né tanto meno cambiare atteggiamento, convertendosi dalla strada intrapresa in contraddizione con il Vangelo. Che fare in questo caso? Accettando senza rancore il rifiuto opposto dal fratello, occorrerà cercare una via ulteriore rispetto a quella percorsa, magari ricorrendo all’aiuto di altri fratelli e sorelle della comunità: “Se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ‘ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni’ (Dt 19,15)”. Anche in questa opzione non si legga un procedimento giuridico rigido da parte di Gesù! Si colga invece lo spirito di tali ingiunzioni, che vogliono salvare il fratello o la sorella, non rendere pura la comunità, percorrendo vie di esclusione. Chiedere l’aiuto di altri fratelli significa cercare il terzo che aiuti la riconciliazione quando non c’è possibilità di accordo nel faccia a faccia, significa cercare la parola autorevole di altri, che aiuti a discernere meglio quale sia la strada della conversione.
Se poi anche questa via risulta insufficiente, allora – dice Gesù– si può chiedere all’assemblea, alla chiesa () di intervenire perché il conflitto sia risolto e il richiamo alla conversione sia espresso con la massima autorevolezza. Ma anche quest’ultimo tentativo può non avere successo, e allora? Non si dimentichi che comunque l’assemblea non è un tribunale di ultima istanza, ma un’occasione per ascoltare la voce dei fratelli e delle sorelle nel corpo di Cristo, la chiesa: “Se non ascolterà neanche la comunità, la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano ()”. Questo atteggiamento, assunto da chi è stato offeso o ha visto il peccato, ha corretto e non è stato ascoltato, non è la scomunica, parola usata con accezioni o interpretazioni fantasiose. No! Gesù dice che, se vengono esauriti tutti i tentativi di correzione fraterna e di riconciliazione, allora occorre prendere le distanze per conservare la pace e non incattivire il fratello, occorre considerarlo come se fosse un appartenente alle genti (un pagano) o un pubblicano. Cioè uno che Gesù amava ed era disponibile a incontrare (cf. Mt 9,11; 11,19), un malato che abbisogna di essere guarito, un peccatore che necessita di perdono.
A questo punto il cristiano assume su di sé due responsabilità, quella di perdonare il peccato oppure di non perdonarlo: “Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”. Il potere del legare e dello sciogliere, conferito da Gesù a Pietro (cf. Mt 16,19), è dato anche a ogni cristiano affinché eserciti il ministero della riconciliazione, sempre e con autorevolezza. Questo potere è dato ai discepoli come l’ha avuto Gesù stesso, “non per giudicare ma per salvare il mondo” (cf. Gv 3,17). Nella sua Regola san Benedetto legifera su queste patologie vissute talvolta dalla comunità e sa che, esaurita ogni possibilità di correzione di un fratello che continua a dimorare nel peccato grave, non resta che pregare, rimettendo l’altro alla misericordia del Signore e alla potenza della grazia, l’amore che non va mai meritato (cf. RBen 23-28). Anche la scomunica monastica prevista da Benedetto per il fratello peccatore che non si pente è solo medicina: esclusione dalla tavola e dalla preghiera comune, ma mai esclusione totale del fratello.
Il “salvataggio” di un fratello, di una sorella, è opera delicata, faticosa, che richiede pazienza e deve essere ispirata solo dalla misericordia. Perché tutti siamo deboli, tutti cadiamo e abbiamo bisogno di essere aiutati e perdonati: nella comunità cristiana non ci sono puri che aiutano gli impuri o sani che curano i malati! Prima o poi conosciamo il peccato e abbiamo bisogno di un aiuto intelligente e veramente misericordioso, l’aiuto che verrebbe da Dio. Occorre infatti salvarsi insieme, come scrive ancora Benedetto nella Regola: “Cristo ci conduca tutti insieme alla vita eterna (nos pariter ad vitam aeternam perducat)” (RBen 72,12). Nessuno si salva da solo: che salvezza sarebbe quella che riguarda solo me stesso, senza gli altri? Che regno di Dio sarebbe quello in cui si entra da soli, mentre gli altri restano fuori? Che solitudine, che tristezza…
Proprio per questo Gesù chiede ai i suoi discepoli che, quando pregano, siano in comunione. Non basta pregare gli uni accanto agli altri, giustapposti, non basta pregare con le stesse formule o compiere gli stessi gesti. Affinché la preghiera sia autentica e la liturgia gradita di Dio, occorre soprattutto accordarsi (verbo ) nella carità, essere comunione. Allora la preghiera viene esaudita, perché dove c’è sinfonia dei cuori, là c’è lo Spirito santo, il dono dei doni, sempre concesso a chi lo invoca (cf. Lc 11,13). E bastano pochi, due o tre che pregano nella fede di Cristo Signore, perché Cristo stesso sia presente. Dicevano i rabbini: “Quando due o tre sono insieme e tra loro risuonano le parole della Torah, allora la Shekinah, la Presenza di Dio, è in mezzo a loro” (Pirqé Abot 3,3). Analogamente, Gesù dice che, quando anche solo due o tre fratelli o sorelle si riuniscono nel suo Nome, nella carità reciproca, allora egli è presente. Sì, Gesù è presente là dove si vive l’amore, la carità tra i fratelli, tra le sorelle.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11740-l-arte-della-correzione-fraterna
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DIRITTI
Spunti di genitorialità nella Carta dei diritti del bambino nato prematuro
Nella genitorialità non è possibile prepararsi, ma si può e si deve imparare attraverso i figli e verso i figli
“Genitali, generare, genitori, generazione, tutti termini ed esperienze che rimandano al generare la vita. Cosa può esserci di più vero della vita e di essa nel suo sbocciare e nel suo svilupparsi, considerando che generare non si riduce al solo «mettere al mondo»? […] Il pensiero va subito ai genitori che «mettendo al mondo» il figlio da quell’istante non smetteranno più di generare, ovvero di far nascere e sviluppare la vita: continuamente siamo generati e invitati a generare” (don Lorenzo Voltolin).
La necessità e la difficoltà del continuo generare vita e amore da parte dei genitori è ancor più evidente nei casi di nascita pretermine dei figli, con tutti i rischi del momento e anche del futuro. In qualsiasi momento della vita, però, i genitori possono sentirsi inadeguati o i figli possono rivelarsi immaturi, per cui potrebbe tornare utile una “lettura trasversale” di un documento illuminato, la Carta dei diritti del bambino nato prematuro, approvata in Senato il 21 dicembre 2010 (con questa Carta l’Italia è stato il primo Paese a mettere in atto l’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite lanciato il 22 settembre 2010).
www.ropitalia.it/la-carta-dei-diritti-del-neonato-prematuro.html
L’art. 1 della Carta dei diritti del bambino nato prematuro recita: “Il neonato prematuro deve, per diritto positivo, essere considerato persona”. Questo monito potrebbe riguardare tutti i genitori ricordando loro che un figlio non è frutto di desiderio o oggetto di un progetto, ma è una persona da “considerare” tale: considerare, etimologicamente «osservare gli astri per trarne gli auspici», significa esaminare attentamente una cosa, riguardandola in sé e nelle sue relazioni e conseguenze. Ed è l’atteggiamento di rispetto che si deve avere nei confronti di un figlio.
L’art. 3 della Carta, che può essere ritenuto un pilastro di tutto il testo come l’art. 3 della Costituzione e l’art. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, stabilisce: “Il neonato prematuro ha diritto ad ogni supporto e trattamento congrui al suo stato di salute e alle terapie miranti al sollievo dal dolore. In particolare ha diritto a cure compassionevoli e alla presenza dell’affetto dei propri genitori anche nella fase terminale”. “Compassione” (“con passione, passione insieme”): quello che dovrebbero provare e trasmettere i genitori ai figli (e non solo a quelli nati prematuri) non oppressione o ossessione, perché i figli sono altro da sé, altro di sé. Lo scrittore Aldo Nove scrive e descrive chiaramente: “Un figlio è parte di te, è quanto di te si stacca dalla tua anima e ne coltiva l’eredità, ti dà un senso come tu hai dato senso ai genitori, compiendoli, è così che funziona la vita”.
L’art. 4 della Carta enuncia: “Il neonato prematuro ha diritto al contatto immediato e continuo con la propria famiglia, dalla quale deve essere accudito. A tal fine nel percorso assistenziale deve essere sostenuta la presenza attiva del genitore accanto al bambino, evitando ogni dispersione tra i componenti il nucleo familiare”. Ogni bambino richiede le stesse premure, responsabilità, tempi e sinergia necessari per i nati prematuri. “È meraviglioso essere bambini quando si è bambini ed è terribile che in tenera età qualcuno ci obblighi a comportarci da adulti. È terribile anche essere bambini quando si è adulti. Maturare significa mettere il bambino al suo posto, lasciarlo vivere dentro di noi non come un comandante ma come un seguace” (lo scrittore cileno Alejandro Jodorowsky Prullansky).
Per il pieno ed armonioso sviluppo della personalità, i papà devono essere presenti e mantenuti presenti nella vita dei figli con le stesse accortezze che si hanno nei confronti dei nati pretermine, perché i figli privati della figura paterna o provati dalla figura paterna possono rivelare debolezze proprio come i nati prematuri. Padre che deve essere tale nei confronti del figlio e della madre nel concepire e condividere quotidianamente la genitorialità. Il pedagogista e formatore Federico Ghiglione afferma: “Un padre presente al di là del dato fisico, deve essere un socio forte e paritetico. Un socio con il quale organizzare un programma educativo, magari frutto di un contraddittorio acceso e faticoso, ma che sia garanzia di dialogo continuo, in maniera che a ogni piccola novità e imprevisto della vita ci sia la capacità di affrontare la situazione con coraggio”.
La nascita pretermine è un evento doloroso che, al tempo stesso, fa esprimere il massimo dell’amore verso la nuova vita fragile. Di questo si dovrebbero ricordare i genitori quando, in caso di crisi della coppia, causano una “nascita pretermine” dei figli dal nido familiare o dal loro mondo infantile dove vedono mamma e papà uniti per mano nella loro mente e nella loro vita. I genitori non devono impartire lezioni precoci di vita ai figli che non ne conoscono ancora l’alfabeto. “La vita, anche con tutto il suo dolore, è piena di meraviglie: nascita e morte sono miracoli e al di sotto delle ondate di nascita e morte giace la meravigliosa realtà suprema” (il pensatore vietnamita Thich Nhat Hanh).
L’art. 5 della Carta espone l’importanza del latte materno, come già nell’art. 24 lettera e della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “Ogni neonato prematuro ha diritto ad usufruire dei benefici del latte materno durante tutta la degenza e, non appena possibile, di essere allattato al seno della propria mamma. Ogni altro nutriente deve essere soggetto a prescrizione individuale quale alimento complementare e sussidiario”. La dimensione orale del bambino è fondamentale perché attraverso essa passeranno le funzioni tra le più importanti, emozionanti e comunicative della vita, quali il parlare, il baciare e il sorridere. La giornalista Sabina Fadel ricorda: “Alimentarsi richiama infatti la dimensione orale dell’individuo, quel rapporto affettivo primordiale che il neonato instaura con la madre che lo allatta e che è il suo primo modo di relazionarsi con il mondo”. Il verbo “mangiare” contiene “amare” perché è anche un modo per amare la vita e se stessi, per questo è importante un giusto approccio sin dalla nascita. Il latte materno non ha solo un valore nutrizionale ma emozionale e relazionale, le sue proteine sono vere “perle di vita”.
La maternità non è né istinto né casualità ma causalità, è progetto di vita, costante e coraggiosa generazione di vita, che richiede maturità e consapevolezza. “In realtà – dichiara la psicoterapeuta Mariacandida Mazzilli -, anche tra gli animali non tutte le femmine hanno un istinto di cura. Il tanto decantato istinto materno è molto condizionato dal contesto: spesso, una donna è convinta che la maternità sia importante perché sono i genitori, le amiche, il compagno a spingerla verso di essa. È raro che sia lei stessa a interrogarsi se sia un suo desiderio o meno. Questo accade da sempre, solo che una volta era obbligata a fare figli anche se non si sentiva adeguata a essere madre. Oggi, semplicemente, hanno più coraggio nel rivelarlo”.
Una madre dà la vita, ma può cambiare la vita del figlio con la sua incuria, ipercura o discuria o altre patologie delle cure. La parola mamma è fanciullesca (come papà e pappa) e quasi onomatopeica nell’evocare il mormorio delle labbra nel mangiare o nel baciare. Il bacio materno che è il primo rapporto con l’altro, la prima forma di coscienza di essere ed esserci, come precisa lo psicologo e psicoterapeuta Giovanni Salonia: “Baciato dalla mamma, il bambino non solo sente il corpo di lei, ma impara anche progressivamente a sentire e abitare il proprio corpo. Senza baci materni, senza un corpo di madre avvolgente, il bambino non può crescere […]. Chi è Peter Pan? Un bacio mancato”.
Sulla scia dell’art. 7 par. 1 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia in cui si definisce il diritto del fanciullo a conoscere i propri genitori ed essere da essi accudito, nell’art. 7 della Carta si legge: “Il neonato prematuro ha il diritto di avere genitori sostenuti nell’acquisizione delle loro particolari e nuove competenze genitoriali”. Tutti i genitori devono acquisire particolari e nuove competenze genitoriali nei confronti dei figli affinché non nascano e crescano come nati prematuri. La genitorialità è una relazione, anzi la relazione, fatta di emozioni, comunicazione, compiti e non di semplici dazioni. Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni mette in guardia: “Il “figlio-prodotto” rappresenta invece il risultato di un lavoro da valutare in termini di prestazioni. Alcuni genitori effettuano costanti “controlli di qualità”: dalla pesata del neonato con scrupolo dopo ogni poppata al controllo giornaliero dei voti e delle presenze in classe sul registro elettronico. Come se ricercassero la rassicurazione che il figlio “funziona”, perché loro sono stati bravi e hanno fatto un buon lavoro che va premiato”. Quella genitorialità che è ancor più onerosa da adempiere nei casi di bambini con diagnosi.
Ada Fonzi, professore emerito di psicologia dello sviluppo, sostiene: “Toccherà alla madre del bambino «difficile» acquisire la capacità di sintonizzarsi sulle richieste del piccolo, seguendo i suoi ritmi e le sue caratteristiche senza pretendere prestazioni che non può dare. Non esistono madri buone e madri cattive, ma solo madri che imparano, anche se a volte con difficoltà, a mettersi sulla stessa lunghezza d’onda del figlio”. Un bambino cosiddetto difficile è assimilabile a un bambino nato prematuro, perché è un bambino che non ha ancora le competenze socio-affettive adeguate alla sua età. Nei casi di genitorialità difficile si richiede maggiore impegno alla mamma affinché sia capace continuamente di dare un taglio al cordone ombelicale; sono, pertanto, necessarie azioni mirate di sostegno alla genitorialità difficile per fornire competenze genitoriali ad hoc.
Significativo che nell’articolo finale della Carta, l’art. 10, il soggetto della proposizione non sia più il neonato prematuro ma “ogni famiglia di neonato prematuro”, perché cuore, culla e cura di ogni bambino è e sia la famiglia.
Ci si preoccupa, e giustamente, della nascita pretermine (per la quale è stata istituita la giornata mondiale della prematurità il 17 novembre) e della morte perinatale (per la quale è stata istituita la giornata internazionale sulla consapevolezza della morte perinatale il 15 ottobre di ogni anno) e non ci si preoccupa della “nascita prematura” o della “morte perinatale” che si può causare nei figli con decisioni unilaterali o superficiali di separazioni o altre scelte strettamente individuali (come quelle professionali o sessuali), soprattutto negli adolescenti che si preparano a recidere in modo definitivo il cordone ombelicale per tuffarsi nella propria vita relazionale e sentimentale. La giornalista Mariapia Bonanate s’appella alle responsabilità degli adulti: “C’è una sofferenza che lascia sulla pelle delle nuove generazioni ferite che non si rimarginano e incide drammaticamente sul loro futuro. È quella dei figli di genitori separati. Un fenomeno epocale che, in pochi anni, è dilagato come un fiume in piena e che gli adulti cercano di far passare come una realtà “normale”, provocata dai cambiamenti sociali e umani. Tale non è, se ascoltiamo i ragazzi che la subiscono. Se ci mettiamo dalla loro parte”. Mettersi dalla parte dei bambini, dei figli, della vita è e rimane la priorità.
Margherita Marzario Newsletter Giuridica Studio Cataldi 4 settembre 2017
www.studiocataldi.it/articoli/27336-spunti-di-genitorialita-nella-carta-dei-diritti-del-bambino-nato-prematuro.asp
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ETS (già ONLUS) NON PROFIT
La Grande riforma dalla A alla Z
A luglio è stata approvata la riforma che cambierà il volto del Terzo settore italiano. Una guida completa per conoscerla e raccogliere le tante opportunità che spalanca. E’ già in distribuzione da sabato il nuovo numero mensile di Vita magazine dedicato alla riforma del Terzo settore. Una guida alla cui redazione hanno partecipato anche i tecnici del ministero del Welfare che hanno lavorato alla stesura dei decreti legislativi e che si occuperanno dell’attività di regolamentazione che dovrà essere emanata nei prossimi mesi.
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L’ultimo miglio. Oltre 300mila realtà con un fatturato di quasi 70 miliardi di euro, con circa un milione di addetti. È questo il perimetro del Terzo settore italiano che si appresta a vivere un anno e mezzo cruciale che ne definirà gli assetti futuri. Nei prossimi 18 mesi infatti il Governo metterà mano a 39 provvedimenti amministrativi attuativi dei decreti legislativi della riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del servizio civile universale. Insieme alle rappresentanze del sociale nella prossima primavera staccherà anche un primo tagliando alla delega introducendo le modifiche che riterrà necessarie. Nel frattempo entro la conclusione dell’anno si attende il lasciapassare della Commissione europea sulle nuove norme fiscali. Il percorso si chiuderà all’inizio del 2019 con l’operatività del nuovo Registro unico del Terzo settore che chiuderà l’epoca delle Onlus. In questo capitolo le tappe fondamentali della riforma nata nel nome di Franco Bomprezzi. Con gli interventi di Andrea Bassi, Stefano Zamagni e Marco Grumo.
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La riforma spiegata da chi l’ha scritta. Con l’approvazione in via definitiva della legge delega 106/2016 (“Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”), il Governo ha istituito diversi tavoli di lavoro in vista del- la definizione dei decreti attuativi della riforma. Tavoli da cui sono stati generati i quattro decreti legislativi diventati operativi fra l’aprile e l’agosto di quest’anno con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale (istituzione del servizio civile universale; disciplina del 5 5‰; disciplina dell’impresa sociale e Codice del Terzo settore). Lasciando il nuovo 5‰ sullo sfondo (il grosso delle novità è demandato ai successivi interventi regolamentatori) in questo capitolo ospitiamo i contributi degli esperti che in prima persona hanno animato i gruppi di lavoro operativi presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali: Antonio Fici (Codice del Terzo settore/Enti del Terzo settore); Gabriele Sepio (Nuovo fisco); Alessandro Lombardi (Registro unico nazionale); Paolo Venturi e Flaviano Zandonai (Nuovo impresa sociale); Licio Palazzini (Servizio civile universale).
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Cosa funziona e cosa no, la pagella del non profit. Qual è stato il primo impatto della riforma del Terzo settore nel mondo del non profit italiano? Quali sono i provvedimenti più̀ popolari e quali invece i nervi che si sono scoperti? Per rispondere a queste domande abbiamo commissionato all’istituto di ricerca Swg un’indagine qualitativa che ha visto il coinvolgimento dei massimi dirigenti di 14 delle maggiori organizzazioni del nostro Terzo settore: Avsi, Dynamo Camp, Fondazione Serena-Centri Nemo, Consorzio Cgm, Federsolidarietà, Cittadinanzattiva, Fondazione Ant, Anpas, Human Foundation, Ciai, Acli, Action Aid e Avis. Le interviste sono state realizzate nel corso dell’ultima settimana di luglio. È emersa un’ampia disamina della legge e delle sue possibili conseguenze che abbiamo sintetizzato nell’articolo a firma del presidente di Swg Maurizio Pessato. Le considerazioni che emergono non sono naturalmente rappresentative di tutto il settore, ma mettono in luce una serie di aspetti focali che il nuovo scenario ha generato
Stefano Arduini VITA newsletter 9 settembre 2017
www.vita.it/it/article/2017/09/06/la-grande-riforma-dalla-a-alla-z/144398
L’indice del numero
La +dai -versi non c’è più. Ma solo per onlus e associazioni
Il decreto che ha istituito il Codice del Terzo settore ha sospeso la norma sulle deduzioni fino a dicembre, quando entrerà in vigore il nuovo regime di favore, ma solo per onlus e associazioni di promozione sociale. Fondazione e associazioni culturali continueranno a godere dei benefici. Urge una correzione.
C’è una grande assente in questi mesi di ripresa lavorativa, che coinvolge ovviamente anche le associazioni e i loro programmi di raccolta fondi. È la +dai –versi, la legge (DL 14 marzo 2005, n. 35, convertito con Legge 14 maggio 2005, n. 80) che ha introdotto nel nostro sistema la possibilità di dedurre le erogazioni liberali, in denaro o natura, di persone fisiche o società nel limite del 10% del reddito, fino a un massimo di 70.000 euro. E la definizione di “grande assente” non è peregrina, perché in effetti questa legge è stata parzialmente abrogata in automatico lo scorso agosto in seguito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Codice del Terzo settore (in particolare all’art. 102, comma 2, lett. h del D.Lgs. n. 117/2017).
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/08/2/17G00128/sg
In base al codice questa assenza verrà colmata da un sistema ancora migliore, che non solo permette di superare il limite dei 70mila euro, ma anche di “riportare in avanti” l’eventuale eccedenza non deducibile nei periodi di imposta successivi (non oltre il quarto) fino al raggiungimento del suo ammontare. Un regime di favore che entrerà in vigore, seppur in via sperimentale, dal 1° gennaio 2018.
Il problema – come ha segnalato dal fiscalista Antonio Cuonzo su Linkedin ai primi di agosto – è semmai nella tempistica dell’abolizione della legge vigente, che vede un pasticcio di norme e contronorme, il cui risultato finale è paradossale: la + dai –versi resta infatti in vigore fino a gennaio solo per alcune categorie di enti non profit (fondazioni e associazioni che promuovono i beni culturali o la ricerca scientifica) mentre viene di fatto abolita già da oggi per onlus e associazioni di promozione sociale. Volete la prova? Basta leggere quanto disposto dall’art. 99, comma 3 del Codice, che cancella onlus e aps dal testo della + dai –versi. E ora che si fa? Semplice: basterebbe una circolare interpretativa, una disposizione, una qualsiasi norma correttiva che consentisse a queste realtà così importanti di spiegare ai donatori come dedurre le loro erogazioni da qui a gennaio, soprattutto in vista del periodo natalizio. Restiamo in fiduciosa attesa.
Gabriella Meroni VITA newsletter 7 settembre 2017
www.vita.it/it/article/2017/08/31/la-dai-versi-abolita-senza-un-perche-ma-solo-per-onlus-e-associazioni/144352
Tributi indiretti ETS
Quale sarà il regime fiscale delle imposte indirette per gli Enti del Terzo Settore? Le disposizioni in materia di imposte indirette previste dal nuovo Codice del Terzo settore sono le seguenti:
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Non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni e alle imposte ipotecaria e catastale i trasferimenti a titolo gratuito effettuati a favore degli ETS ed utilizzati per lo svolgimento delle attività di interesse generale.
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Agli atti costitutivi e alle modifiche statutarie, comprese le operazioni di fusione, scissione o trasformazione poste in essere dagli ETS, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa. Le modifiche statutarie di cui al periodo precedente sono esenti dall’imposta di registro se hanno lo scopo di adeguare gli atti a modifiche o integrazioni normative.
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Le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e per gli atti traslativi o costituitivi di diritti reali immobiliari di godimento a favore di tutti gli ETS a condizione che i beni siano direttamente utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in diretta attuazione degli scopi istituzionali o dell’oggetto sociale e che l’ente renda, contestualmente alla stipula dell’atto, apposita dichiarazione in tal senso.
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Gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni, le attestazioni e ogni altro documento cartaceo o informatico in qualunque modo denominato posti in essere o richiesti dagli ETS sono esenti dall’imposta di bollo.
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– Gli atti e i provvedimenti relativi agli ETS sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative.
News Non Profit 7 settembre 2017
Codice del Terzo settore: prevalenza ricavi non commerciali qualificano gli ETS
L’ammontare dei ricavi derivanti da attività non commerciali, rispetto a quelli conseguiti da attività commerciali, permette all’ente del Terzo settore di acquisire la qualifica di ente no profit
Con il D.Lgs n.117/2017, il legislatore ha individuato una chiara e precisa circostanza, nel rispetto della quale, un ente del Terzo settore possa acquisire la qualifica fiscale di ente commerciale. Infatti, da una lettura invertita dell’art. 79 comma 5, gli enti del Terzo settore, che realizzino attività di interesse generale commerciale e non, assumono la qualifica fiscale di enti non commerciali se, considerato un determinato periodo d’imposta, conseguono la maggior parte dei proventi proprio dalle attività non commerciali.
Secondo quanto previsto dal Codice del Terzo settore si considerano “entrate derivanti da attività non commerciali”: le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, nonché i proventi e le entrate percepite dalle attività non commerciali ex art. 79 del testo del codice, ossia:
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Attività di interesse generale svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superino i costi effettivi;
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Attività di interesse generale finalizzate alla ricerca scientifica di particolare interesse sociale, purché gli utili siano in toto reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati;
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Le attività conformi alle finalità istituzionali, svolte da associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati, familiari e conviventi, degli stessi.
Si considereranno invece aventi natura commerciale:
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Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati, familiari o conviventi degli stessi a fronte del pagamento di corrispettivi, contributi e/o quote supplementari.
Il passaggio da non commerciale a commerciale opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale, tenendo conto della prevalenza dei ricavi commerciali su quelli non commerciali.
Fisco e tasse 6 settembre 2017
www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/23912-codice-del-terzo-settore-prevalenza-ricavi-non-commerciali-qualificano-gli-ets.html
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Al comitato direttivo del Celam: «Le donne sono invece protagoniste nella Chiesa latinoamericana»
«Per favore», le donne «non possono essere ridotte a serve del nostro recalcitrante clericalismo; esse sono, invece, protagoniste nella Chiesa latinoamericana». Lo ha detto il Papa incontrando nel pomeriggio, nella nunziatura apostolica, il comitato direttivo del Celam, l’organismo di rappresentanza dell’episcopato latinoamericano. Francesco rievoca innanzitutto l’eredità pastorale di Aparecida, «ultimo evento sinodale della Chiesa latinoamericana», ricordando il messaggio di porre «la missione di Gesù nel cuore della Chiesa stessa, trasformandola in criterio per misurare l’efficacia delle strutture, i risultati del lavoro, la fecondità dei ministri e la gioia che essi sono capaci di suscitare. Perché senza gioia non si attira nessuno».
Il Papa spiega che «Dio, quando parla all’uomo in Gesù, non lo fa con un generico richiamo come a un estraneo, né con una convocazione impersonale alla maniera di un notaio, né con una dichiarazione di precetti da eseguire come fa qualsiasi funzionario del sacro. Dio parla con la voce inconfondibile del Padre che si rivolge al figlio, e rispetta il suo mistero perché lo ha formato con le sue stesse mani e lo ha destinato alla pienezza. La nostra più grande sfida come Chiesa è parlare all’uomo come portavoce di questa intimità di Dio, che lo considera un figlio, anche quando rinnega tale paternità, perché per Lui siamo sempre figli ritrovati».
Non si può, dunque, ridurre il Vangelo «a un programma al servizio di uno gnosticismo di moda, a un progetto di ascesa sociale o a una visione della Chiesa come burocrazia che si autopromuove, né tantomeno questa si può ridurre a un’organizzazione diretta, con moderni criteri aziendali, da una casta clericale». Aparecida, avverte Francesco, «è un tesoro la cui scoperta è ancora incompleta».
Che cosa significa concretamente «andare con Gesù in missione oggi in America Latina?», si chiede Bergoglio. «L’avverbio “concretamente” non è un dettaglio stilistico, ma appartiene al nucleo della domanda. Il Vangelo è sempre concreto, mai un esercizio di sterili speculazioni. Conosciamo bene la ricorrente tentazione di perdersi nel bizantinismo dei “dottori della legge”, di domandarsi fino a che punto si può arrivare senza perdere il controllo del proprio territorio delimitato o del presunto potere che i limiti garantiscono».
Francesco spiega che cosa significhi essere una «Chiesa in stato permanente di missione». «Il Vangelo parla di Gesù che, uscito dal Padre, percorre con i suoi i campi e i villaggi di Galilea. Non si tratta di un percorso inutile del Signore. Mentre cammina, incontra; quando incontra, si avvicina; quando si avvicina, parla; quando parla, tocca col suo potere; quando tocca, cura e salva».
«La Chiesa – aggiunge il Papa – deve riappropriarsi dei verbi che il Verbo di Dio coniuga nella sua missione divina. Uscire per incontrare, senza passare oltre; chinarsi senza noncuranza; toccare senza paura. Si tratta di mettersi giorno per giorno nel lavoro sul campo, lì dove vive il popolo di Dio che vi è stato affidato. Non ci è lecito – dice Bergoglio – lasciarci paralizzare dall’aria condizionata degli uffici, dalle statistiche e dalle strategie astratte. Bisogna rivolgersi alla persona nella sua situazione concreta; da essa non possiamo distogliere lo sguardo. La missione si realizza in un corpo a corpo».
La Chiesa, spiega Francesco non sta in America Latina come se avesse le valige in mano, pronta a partire dopo averla saccheggiata, come hanno fatto tanti nel corso del tempo. Quanti operano così guardano con senso di superiorità e disprezzo il suo volto meticcio; pretendono di colonizzare la sua anima con le stesse formule, fallite e riciclate, sulla visione dell’uomo e della vita; ripetono uguali ricette uccidendo il paziente mentre arricchiscono i medici che li mandano».
La Chiesa del Continente non può «perdere il contatto con questo substrato morale, con questo humus vitale che abita nel cuore della nostra gente e in cui si percepisce la mescolanza quasi indistinta, ma al tempo stesso eloquente, del suo volto meticcio. Guadalupe e Aparecida sono manifestazioni programmatiche di questa creatività divina. Sappiamo bene che ciò fa parte del fondamento su cui poggia la religiosità popolare del nostro popolo».
Francesco, notando che molti si lamentano «di un certo deficit di speranza nell’America Latina di oggi», ricorda che «a noi non è permessa la “ombrosità lamentosa”, perché la speranza che abbiamo viene dall’alto». Il Papa invita a «vigilare sulla concretizzazione di questa speranza». Cita innanzitutto i giovani chiedendo ai vescovi di non cedere alle «caricature» che li ritraggono come decadenti: «Guardateli negli occhi e cercate in loro il coraggio della speranza. Non è vero che sono pronti a ripetere il passato. Aprite loro spazi concreti nelle Chiese particolari a voi affidate… Tocca a noi presentare loro grandi proposte per suscitare in essi il coraggio di rischiare insieme con Dio e di rendersi, come la Vergine, disponibili».
La speranza in America Latina ha poi un volto femminile. Il Papa ricorda che «dalle sue labbra abbiamo imparato la fede; quasi con il latte del suo seno abbiamo acquisito i tratti della nostra anima meticcia e l’immunità di fronte ad ogni disperazione. Penso alle madri indigene o “morenas”, penso alle donne delle città con il loro triplo turno di lavoro, penso alle nonne catechiste, penso alle consacrate e alle così discrete “artigiane” del bene. Senza le donne la Chiesa del continente perderebbe la forza di rinascere continuamente. Sono le donne che, con meticolosa pazienza, accendono e riaccendono la fiamma della fede. Se vogliamo una fase nuova e vitale della fede in questo continente, non la otterremo senza le donne».
Infine, anche i laici sono una speranza per l’America Latina, spiega Francesco. Un laicato cristiano «che, in quanto credente, sia disposto a contribuire: nei processi di un autentico sviluppo umano, nel consolidamento della democrazia politica e sociale, nel superamento strutturale della povertà endemica, nella costruzione di una prosperità inclusiva fondata su riforme durature e capaci di tutelare il bene sociale, nel superare le disuguaglianze e salvaguardare la stabilità, nel delineare modelli di sviluppo economico sostenibili che rispettino la natura e il vero futuro dell’uomo – che non si esaurisce nel consumismo illimitato –, come pure nel rifiuto della violenza e nella difesa della pace».
«Se vogliamo servire, come Celam, la nostra America Latina – ha concluso il Papa – dobbiamo farlo con passione. Oggi c’è bisogno di passione. Mettere il cuore in tutto quello che facciamo. Fratelli, per favore, vi chiedo passione, passione evangelizzatrice».
Andrea Tornielli Vatican Insider 8 settembre 2017
www.lastampa.it/2017/09/07/vaticaninsider/ita/vaticano/le-donne-non-siano-ridotte-a-serve-del-nostro-
recalcitrante-clericalismo-OUXXwACKxJmJLTu04IRzGO/pagina.html
Testo ufficiale http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/september/documents/papa-francesco_20170907_viaggioapostolico-colombia-celam.html
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MEDICINA
Il bimbo allattato al seno protegge l’utero
Un anno di allattamento, di cui sei mesi esclusivo, riduce del 20% la probabilità di ammalarsi di endometriosi, che colpisce il tessuto interno dell’utero. E ogni tre mesi in più cala dell’8% il rischio. Merito degli ormoni.
Ridotte perdite ematiche, più rapido assestamento dell’utero subito dopo il parto, perdita di peso e vari effetti a lungo termine: sono solo alcuni dei vantaggi per la madre dell’allattamento. Ed oggi si scopre un vantaggio in più: secondo un ampio studio condotto dal Brigham and Women’s Hospital a Boston, tanto più aumenta la durata dell’allattamento, tanto minore è il rischio di endometriosi, una malattia ginecologica cronica debilitante, di cui soffre circa una donna su 10. In particolare, ogni tre mesi di allattamento materno in più si è registrato un calo dell’8% della probabilità che in seguito si presenti questa patologia.
La ricerca è stata pubblicata su The British Medical Journal. Ecco tutti i risultati.
Lo studio. L’indagine ha considerato più di 72mila donne che hanno avuto una o più gravidanze, monitorando la loro salute ginecologica per oltre 20 anni, dal 1989 al 2011, e tenendo conto di fattori importanti quali la durata dell’allattamento, la durata dell’allattamento esclusivo, in cui il latte materno è l’unica fonte di alimentazione per il bambino, l’amenorrea della madre – l’assenza di mestruazioni – dopo il parto. Di queste 72mila donne, in tutto il periodo dello studio circa 3.300 hanno ricevuto, dopo aver avuto il primo figlio, una diagnosi chirurgica, effettuata per via laparoscopica, di endometriosi.
Ma qual è la durata consigliata dell’allattamento e dell’allattamento esclusivo? L’American Academy of Pediatrics, ente americano che si occupa della salute dei bambini, lo raccomanda almeno per dodici mesi, il primo anno di vita del bambino, e per i primi sei mesi in maniera esclusiva, cioè come unica fonte di alimentazione. Ma nel caso di più di una gravidanza, la durata del periodo di allattamento totale di una donna sarà maggiore e diminuisce ancora di più anche il rischio di endometriosi, secondo quanto emerge dallo studio. Le donne che complessivamente durante la loro vita hanno allattato per 36 mesi o più, infatti, hanno in media ricevuto molte meno diagnosi di questa patologia, con un rischio ridotto del 40%. Mentre per chi ha allattato complessivamente dai 18 ai 36 mesi la probabilità di avere una diagnosi era risultata più bassa del 30%. Ancora, la presenza di un allattamento esclusivo per sei mesi e di un allattamento anche non esclusivo per dodici mesi – durata indicata dall’associazione pediatrica americana per il singolo bebè – è stata associata ad un calo del rischio di avere questa diagnosi pari al 20%.
Le ragioni biologiche. Com’è possibile? Gli autori dello studio si sono chiesti se il calo del rischio di ricevere una diagnosi di endometriosi possa essere attribuito all’amenorrea, l’assenza delle mestruazioni, nel periodo dopo il parto: in questo caso, l’amenorrea contribuisce in parte al fenomeno oggetto di studio, tuttavia, anche l’allattamento potrebbe essere uno scudo contro l’endometriosi, secondo gli esperti. Questa attività materna, infatti, modifica la produzione di numerosi ormoni femminili, fra cui ossitocina, estrogeni, un ormone che induce il rilascio di altri ormoni detti gonadotropine ed altri componenti. Si tratta di ormoni che giocano un ruolo anche nello sviluppo dell’endometriosi: dunque, questo potrebbe essere il ponte di collegamento fra l’allattamento e la minore incidenza della malattia ginecologica.
Cala la diagnosi. In ogni caso questi numeri significativi devono essere ulteriormente approfonditi. I ricercatori si sono chiesti qual è la causa precisa del minor numero di diagnosi: non è ancora chiaro se queste donne non sviluppavano l’endometriosi oppure non manifestano dolori e sintomi di intensità tale da richiedere un’esplorazione laparoscopica, un metodo efficace per diagnosticare l’endometriosi. E gli scienziati sono anche interessati a studiare se, nelle donne con endometriosi già diagnosticata prima della gravidanza – casi non inclusi nella ricerca odierna – l’allattamento successivo possa avere un impatto positivo sulla patologia.
Se da un lato si pensa molto spesso al latte materno come alimento essenziale per il neonato e il bambino – come spiegano gli esperti – dall’altra parte non bisogna dimenticarsi dei benefici che l’attività di allattare può avere anche per la salute della madre.
Viola Rita La Repubblica on line 4 settembre 2017
www.repubblica.it/salute/prevenzione/2017/09/04/news/allattare_al_seno_protegge_dall_endometriosi-174618123/?ref=RHPF-VU-I0-C6-P6-S1.6-T2
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MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI
Emergenza Misna. L’appello del Comune di Palermo
«Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia». È il primo articolo della legge n. 4 del 1983 che, con successive modifiche, per la prima volta disciplinò l’affidamento dei minori. Ed è la norma alla quale guarda il Comune di Palermo per trovare una casa e dei legami affettivi ai 500 minori stranieri non accompagnati, di cui circa il 90% è costituito da maschi, che vivono nelle comunità che li accolgono.
Anche quest’anno, come da oltre 20 anni, nel capoluogo siciliano viene privilegiata una forma di affidamento temporaneo che prevede un percorso di sostegno e di accompagnamento per le famiglie affidatarie, oltre l’erogazione di un contributo economico di 258 euro al mese.
Ieri, 07 settembre 2017 alla sede del Servizio Affidi di Palermo, si è tenuto un incontro informativo rivolto a persone interessate a proporsi come famiglie di appoggio o famiglie affidatarie per minori stranieri non accompagnati, di età dai 13 ai 17 anni. Una 60ina i presenti che hanno appreso, dagli operatori comunali, la differenza tra famiglie di appoggio o affidatarie: nel primo caso i ragazzi continuano a vivere nelle comunità ma hanno la possibilità di poter uscire per conoscere la città e nuove persone che decidono di volta in volta di andarli a trovare; nel secondo caso invece i giovani vivono direttamente con le famiglie che decidono di accoglierli per un periodo massimo di 24 mesi. Ed è tanta la volontà di accoglienza in città: nell’ultimo anno sono state 229 le persone affidatarie di bambini e bambine le cui famiglie attraversano temporanee difficoltà tali da non garantire i necessari interventi nei confronti del figlio o della figlia.
I minori stranieri non accompagnati vengono da esperienze spesso estreme, da Paesi in guerra civile o comunque in forti condizioni di indigenza. Cresciuti troppo in fretta, sognano spesso di diventare campioni di calcio, specie gli africani. Arrivano dopo traversate lunghe messi in posti dove non conoscono neanche la lingua. E non hanno solo traumi da curare, ma anche la naturale voglia di divertirsi a quell’età. Mantengono forti contatti con le famiglie d’origine, quando ci sono. Per ulteriori informazioni, che non sono vincolanti, ci si può rivolgere al Servizio affidi chiamando lo 091-7408703 o 091-7408708.
Anche Amici dei Bambini da anni promuove un’accoglienza di tipo familiare per i minori stranieri non accompagnati. Una famiglia che li accolga può essere l’unico modo per farli sentire al sicuro. Con la campagna “Bambini in Alto Mare”, in collaborazione con prefetture, comuni, parrocchie e associazioni locali, Ai.Bi. garantisce una “giusta” accoglienza a minori non accompagnati, madri sole e famiglie di profughi con bambini piccoli.
News Ai. Bi. 8 settembre 2017
www.aibi.it/ita/emergenza-misna-lappello-del-comune-di-palermo-cercasi-famiglie-per-500-minori-stranieri-non-accompagnati-previsto-anche-un-contributo-mensile-da-258-euro
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PATERNITÀ
Papà rifiuta ogni contatto col figlio, peraltro disabile. Condannato a pagare 100.000 € di risarcimento
Tribunale di Milano – decima Sezione – Sentenza n. 2938. 13 marzo 2017
La somma è stata determinata, in via equitativa, prendendo a riferimento le Tabelle per liquidazione del danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale redatte dall’Osservatorio milanese.
Con riguardo poi alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, il giudice ha affermato che «ai fini di una corretta, sana ed equilibrata maturazione del bambino soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo umano», la presenza di «entrambe le figure parentali» è un elemento «imprescindibile». Il padre invece, pur avendo riconosciuto il figlio naturale, «lo ha da sempre rifiutato non solo omettendo completamente di contribuire al suo mantenimento, ma soprattutto rifiutando di vederlo se non in due sole occasioni all’età di sei e dodici anni e di prendersi cura dello stesso». E, prosegue la decisione, «senza con ciò voler riconoscere un obbligo giuridicamente coercibile del padre ad amare un figlio», la violazione degli obblighi di assistenza morale, di educazione e di cura dei figli «rappresenta un illecito civile certamente riconducibile nelle previsioni dell’art. 2043 c.c.».
Sentenza Newsletter Sugamele 7 settembre 2017
www.divorzista.org/sentenza.php?id=14293
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PSICOTERAPIA
Esercizio abusivo della professione
Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 39339, 22 agosto 2017.
È abusivo l’esercizio della professione psicoterapeutica tutte le volte in cui un soggetto, non qualificato, agisca nei confronti del “paziente” con il fine di incidere sulla sua sfera psichica con lo scopo di indurne una modificazione che può essere dannosa, al di là della metodologia propria della professione di cui si avvale. News avv. Renato D’Isa 5 settembre 2017
Sentenza https://renatodisa.com/2017/09/05/51121
La Corte di Cassazione, nel confermare la condanna di un soggetto (in associazione con altri) per esercizio abusivo della professione di psicologo, ha ammesso la costituzione di parte civile del relativo Ordine professionale per il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti dalla categoria, a tutela della quale l’Ordine è posto.
Risarcimento danni patrimoniali da concorrenza sleale. Tutela estesa, dunque, non solo ai danni morali, ma anche a quelli patrimoniali che, sia pure indirettamente, siano derivati ai professionisti dalla concorrenza sleale esercitata del soggetto non abilitato.
In tal senso gli stessi Giudici di merito hanno correttamente evidenziato – chiariscono gli Ermellini – come nell’atto di costituzione dell’Ordine degli Psicologi, risulti con chiarezza che il risarcimento sia stato richiesto “in relazione alla associazione finalizzata all’abusivo esercizio della professione, e quindi anche al reato fine”.
Eleonora Mattioli Edotto 23 agosto 2017
www.edotto.com/articolo/esercizio-abusivo-della-professione-tutela-estesa-per-lordine
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SEPARAZIONE
La separazione di fatto
La separazione di fatto è l’interruzione effettiva, da parte di uno o di entrambi i coniugi, della vita matrimoniale senza che sia intervenuto un provvedimento giudiziale che autorizzi la coppia a vivere separatamente.
Separazione legale e di fatto: le differenze. La principale distinzione che può essere operata all’interno dell’istituto della separazione è quella che contrappone la separazione “legale”, a sua volta di due tipi (la separazione giudiziale e la separazione consensuale), alla separazione “di fatto”.
Per la separazione legale è previsto comunque un vaglio dell’autorità giudiziaria, che interviene stabilendo le condizioni da imporre ai coniugi con sentenza (separazione giudiziale) oppure con l’emanazione di un decreto di omologazione degli accordi raggiunti dai coniugi (separazione consensuale).
La separazione “di fatto”, di converso, rappresenta sicuramente il modo più agevole e rapido per manifestare l’esistenza di una crisi e consiste nell’effettiva interruzione, da parte di uno o di entrambi i coniugi, del proprio apporto “psicologico” e/o patrimoniale alla famiglia.
Il modo più “eclatante” con il quale si attua una separazione di fatto è rappresentato dal dichiarato abbandono del tetto coniugale da parte di almeno uno dei due coniugi, con l’eventuale accordo circa un sostegno economico a carico della parte più agiata e a vantaggio dell’altra.
E’ da precisare, tuttavia, che il comportamento di chi abbandona la casa coniugale può provocare delle conseguenze rilevanti sul piano giuridico.
Innanzitutto, pur non essendo vietata dall’ordinamento, una simile condotta potrebbe essere posta a fondamento dell’addebito della successiva eventuale separazione laddove si riscontri che il coniuge che la ha posta in essere ha con ciò palesemente violato gli obblighi di assistenza morale e materiale e/o di fedeltà.
A tal proposito, si noti che il Tribunale di Milano, con sentenza del 12/04/2013 n. 5114, ha però stabilito che “la violazione dell’obbligo di fedeltà che risulti successiva alla separazione di fatto dei coniugi non può costituire da sola il presupposto di una dichiarazione di addebito della separazione”.
Il rischio, in caso di abbandono del tetto coniugale, è poi anche quello che venga ritenuto integrato il reato previsto e sanzionato dall’articolo 570 del codice penale, che punisce penalmente la “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, ovverosia la condotta di chi, “abbandonando il domicilio domestico …, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti … alla qualità di coniuge”.
L’abbandono del tetto coniugale, tuttavia, è solo una delle molteplici modalità con le quali può attuarsi una separazione di fatto. Molto più frequentemente, quest’ultima si consuma all’interno delle mura domestiche, dove i coniugi decidono di convivere più o meno pacificamente per i figli o per ragioni di convenienza economica o di facciata, di fatto comportandosi, però, come due estranei o, comunque, non certo come una coppia.
In ogni caso, in qualsiasi modo di estrinsechi, questa forma di separazione non solo non costituisce valido presupposto per far iniziare a decorrere il termine per ottenere il divorzio, ma non produce alcun diverso effetto giuridico sul matrimonio, dato che il nostro codice civile, di per sé, non la disciplina affatto.
Gli effetti transitori della separazione di fatto. E’ da precisare che, proprio per il carattere ontologicamente transitorio della separazione, gli effetti della stessa possono essere fatti cessare tramite l’istituto della riconciliazione (ex art. 154 c.c.). Al fine di favorire al massimo il recupero della sintonia all’interno della famiglia, il legislatore ha previsto che per garantire piena efficacia alla riconciliazione non sia necessaria alcuna formalità particolare, risultando sufficiente, all’uopo, un comportamento di entrambe le parti incompatibile con lo status di “separati”.
Quanto detto vale, è bene precisare, non solo in caso di separazione di fatto, bensì anche in caso di separazione legale. In quest’ultima ipotesi, tuttavia, l’ordinamento prevede due modalità alternative per rendere formale la riconciliazione medesima: l’accertamento giudiziario ovvero, più semplicemente, il rilascio di una dichiarazione congiunta da parte dei coniugi presso il comune di appartenenza.
E bene anche sapere che secondo la cassazione (sentenza 7369/2012) la cessazione della convivenza anche a seguito di una semplice separazione di fatto “non influisce sulla sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’articolo 572 del codice penale dato che rimangono integri i doveri di rispetto, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale”.
Newsletter Giuridica Studio Cataldi 4 settembre 2017
www.studiocataldi.it/guide_legali/separazione/separazione-di-fatto.asp
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SINODO
Card. Baldisseri: al Sinodo 2018 presenti anche i giovani
La Chiesa si prepara al Sinodo sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, previsto per ottobre 2018. Dall’11 al 15 settembre prossimi, la Segreteria Generale del Sinodo ha organizzato un Seminario internazionale sulla condizione dei giovani, presso l’Auditorium della Curia Generalizia dei Gesuiti. E’ stato anche creato, tempo fa, un sito web con un questionario rivolto direttamente ai ragazzi dai 16 ai 29 anni:
youth.synod2018.va.
Il cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, nella nostra intervista si sofferma su alcuni particolari, dai giovani che saranno presenti come uditori ai modi di preparazione:
R. – Abbiamo pensato di organizzare questo Seminario per approfondire da un punto di vista scientifico la realtà giovanile. Il sito effettivamente noi lo abbiamo lanciato già da tempo e abbiamo avuto una reazione immediata veramente grande, con 130 mila interventi e naturalmente altri vanno poi aggiungendosi. In questo sito noi abbiamo collocato, oltre alla documentazione, un nuovo questionario più adatto ai giovani. Il questionario che è parte integrante del Documento Preparatorio è stato invece inviato perché gli operatori del settore possano dialogare e poi rispondere dopo un attento esame ma qui volevamo coinvolgere i giovani, direttamente. Ecco perché il sito è nato.
D. – Il Seminario che sta per iniziare affronta il rapporto dei giovani con l’identità, l’alterità, la progettualità, la tecnologia e la trascendenza e vedrà la partecipazione di esperti e giovani provenienti da varie parti del mondo. Questo concretamente servirà per la preparazione del Sinodo?
R. – Certamente. Vorrei dire che questo Seminario tratterà questi temi di fondo per essere un aiuto per noi, qui al Sinodo dei vescovi, al momento della stesura dell’Instrumentum laboris. Noi raccogliamo elementi da varie parti. Prima di tutto, quello che proviene dalle Conferenze episcopali, dalle Chiese Orientali, attraverso quel questionario di cui ho fatto menzione prima. Quindi, utilizzeremo il sito, le risposte che i giovani direttamente hanno dato alle domande. Avremo anche in programma iniziative più concrete attraverso le associazioni, i movimenti, le parrocchie.
D. – In un tweet, ad agosto, il Papa ha esortato i giovani a partecipare al Sinodo del 2018: c’era proprio l’hashtag #2018. Qual è la partecipazione prevista? In quali forme, oltre al questionario?
R. – Secondo gli Statuti, il Sinodo è frequentato dai Padri sinodali. Ma noi abbiamo una figura molto importante: quella dell’uditore. L’uditore è colui che partecipa, che ha diritto di ascoltare e partecipare alle Sessioni, e anche di intervenire, non solo in Aula, ma soprattutto nei Circoli minori, cioè nei gruppi di studio. Loro saranno all’interno e potranno dare il loro contributo diretto. Cercheremo di ampliare quanto più possibile la presenza dei giovani.
D. – Quindi la presenza di giovani come uditori…
R. – Sì, come uditori. E poi è chiaro che ci sono anche non solo i cattolici, ma anche i rappresentanti delle altre Confessioni cristiane, rappresentanti fraterni.
D. – Qual è, secondo lei, il problema maggiore oggi dei giovani, inerente proprio al tema della fede e del discernimento vocazionale?
R. – Quello che il Papa ci dice e quello che anche il Sinodo indica: bisogna camminare insieme, ora, con i giovani. Noi, come Chiesa, dobbiamo essere accompagnatori: specializzati, capaci, preparati ma stare affianco ai giovani. Credo che i giovani sono pronti ad ascoltarci.
Debora Donnini Radio vaticana 5 settembre 2017
http://it.radiovaticana.va/news/2017/09/05/intervista_al_card_baldisseri_su_sinodo_sui_giovani/1334775
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VIOLENZA
La violenza domestica
Per violenza domestica – detta anche intimate partner violence – si intende “ogni forma di violenza fisica, psicologica, sessuale od economica e riguarda sia soggetti che hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, sia soggetti che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo”.
Di solito la vittima è una donna che da parte del padre o del proprio uomo subisce violenza, ma pure gli uomini – anche se in percentuale più bassa (15%) – sono vittime di tale sopruso.
La violenza domestica può essere di tipo “orizzontale”, ossia perpetrata tra uomo e donna, o di tipo “verticale”, ossia esercitata da adulti verso minori.
Per molti autori, nelle famiglie in cui si sono verificati 50 o più episodi di violenza domestica, quasi il 100% de bambini subisce maltrattamenti da parte del padre e il 30% da parte della madre.
La violenza domestica assume i contorni di un gioco di potere, l’abusante utilizza la violenza per assumere e mantenere il controllo sulla vittima.
Quando il maltrattamento familiare si protrae per un tempo significativo, gli effetti negativi non compromettono solo la sfera “personale” della vittima, il più delle volte è intaccata la capacità genitoriale di accudimento e di protezione dei propri figli, i quali subiscono l’impatto di una forma di violenza assistita.
Per violenza assistita intrafamiliare si intende il maltrattamento psicologico di cui quotidianamente è vittima e spettatore il minore.
La violenza che si realizza in sua presenza, è esercitata su uno o più componenti della famiglia.
Il Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia ha definito nel 2005 la violenza assistita da minori come: “l’esperire da parte del/della bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Si include l’assistere a violenze messe in atto da minori su altri minori e/o sul altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando essi avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti”.
Gli indicatori dei casi di violenza assistita. I danni nei confronti delle vittime di violenza assistita sono sottovalutati e non ci si rende conto di quanto diventi problematico il processo di sviluppo per questi bambini, che non riportano segni fisici, ma ferite psicologiche.
Tra gli indicatori che possono caratterizzare i diversi casi di violenza assistita da minori possiamo trovare:
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Quelli relativi alle aree di sviluppo (comportamento, problem solving, apprendimento, adattamento);
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Quelli che si riferiscono alla sintomatologia del minore: depressione, aggressività, immaturità, ansia, inquietudine;
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Quelli riconducibili agli aspetti comportamentali, psicologici e sociali relativi allo stato psico-fisico del maltrattante, maltrattato e vittima di violenza assistita.
Il riconoscimento della violenza assistita. In Italia si è prestata attenzione al fenomeno solo alla fine del ventesimo secolo, grazie soprattutto al lavoro svolto da Centri Antiviolenza e associazioni femminili.
Due sono stati gli eventi che hanno portato al riconoscimento e alla definizione di violenza assistita: il primo è il III Congresso Nazionale del Coordinamento, tenutosi nel 2003 a Firenze; il secondo riguarda la stesura del “Documento sui requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri”, approvato nel 2005.
Purtroppo i dati rilevano che sempre di più sono i bambini vittime di questa forma di violenza, che, non denunciano il fenomeno restando in silenzio.
Il codice penale italiano considera la violenza assistita un’aggravante del reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.).
In sede giudiziale, il giudice può obbligare il maltrattante a lasciare immediatamente l’abitazione familiare; in ambito civile, può disporre la decadenza della potestà e anche in questo caso l’allontanamento del genitore.
Il giudice può disporre anche l’intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o antiviolenza.
Raffaella Feola Newsletter Giuridica Studio Cataldi 4 settembre 2017
www.studiocataldi.it/articoli/27285-la-violenza-domestica.asp
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