NewsUCIPEM n. 664 – 27 agosto 2017

NewsUCIPEM n. 664 – 27 agosto 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipem@istitutolacasa.itwww.ucipem.com

Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news”, gratuite, si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

  • Link a siti internet per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per visionare i numeri precedenti, dal n. 534 andare su:

https://ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=84&Itemid=231

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviateci una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.comcon richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune di attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [invio a 1.476 connessi]

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02 ABUSO SESSUALE SUI MINORI Abuso e le interpretazioni offerte dalle varie dottrine.

03 ACCOGLIENZA MINORI Diventa tutore volontario di un minore non accompagnato.

04 Bando per diventare tutore volontario.

04 Un corso organizzato da Autorità garante e Scuola superiore Magistratura.

04 ADOZIONECremona: corsi preparazione x adozione nazionale e internazionale

05 AFFIDAMENTO Le famiglie più sensibili all’ affido? Sono le famiglie del Lazio!

05 AFFIDAMENTO SUPERESCLUSIVO Cos’è l’affidamento superesclusivo?

06 AFFIDO CONDIVISO Per conflitti genitoriali si chiama il coordinatore genitoriale.

07 AMORIS LÆTITIA Non ha fine la tempesta di AL.A Francesco la quiete non piace.

08 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Il risparmio del marito sul mantenimento non giova all’ex moglie.

09 ASSEGNO DIVORZILE Niente assegno per chi guadagna più di mille euro.

10 CHIESA CATTOLICA Quando un prete ha un figlio: linee guida dei vescovi irlandesi.

11 Usa, inchiesta sui figli dei preti. O’Malley: I bambini sono la priorità.

11 CHIESE CRISTIANE Pastore, diacone, vescove nella chiesa della Riforma-

13 COGNOME Attribuzione del cognome.

13 Cognome al figlio: quando prevale quello materno

13 CONFERENZA SULLA FAMIGLIADalla Conferenza deve nascere un inizio del Fattore Famiglia.

14 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIAISeminario di formazione per i consulenti familiari supervisori.

15 DALLA NAVATA XXI domenica del tempo ordinario – Anno A – 27 agosto 2017

15”Tu sei il Cristo”, “tu sei Pietro”. (Enzo Bianchi).

17 DIACONATO L’accesso al rito nella battaglia per il diaconato femminile.

18 ETS (già onlus) NON PROFIT Agevolazioni tributarie.

18 La revisione legale nelle associazioni no profit e le fondazioni.

19 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAAccogliere, proteggere, promuovere, integrare migranti e rifugiati.

20 Papa Francesco, ovvero: “eccentricità” americana a Roma.

21 GRAVIDANZA Quando comunicarla al datore di lavoro.

22 INCONTRO MONDIALE FAMIGLIE Incontro Mondiale delle Famiglie di Dublino 2018.

23 Mondiale delle Famiglie 2018.

24 PASTORALE FAMILIARE Lettera di S. Agostino che insegna all’uomo come amare la donna.

24 La Bibbia ti dice come amare tua moglie?

25 SEPARAZIONE Conto cointestato: le somme prelevate vanno restituite.

25 STALKING Come difendersi dallo stalking?

27 TRIBUNALE PER I MINORENNI Salvi i tribunali per i minorenni-

27 VIOLENZA SESSUALE Il reato di violenza sessuale.

29 Femminicidio, due idee sull’educare per evitare altri errori

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ABUSO SESSUALE SUI MINORI

Cosa si intende per abuso sessuale e le interpretazioni offerte dalle varie dottrine.

Per abuso sessuale si intende il coinvolgimento di un bambino in attività sessuali che non può comprendere in quanto impreparato psicologicamente e per le quali non può prestare il proprio consenso. Tale definizione, però, è soggetta a numerose interpretazioni offerte dalla dottrina medica, psicologica, giuridica e sociale.

Secondo i Centers for Disease Control statunitensi, si deve intendere per violenza sessuale ogni situazione in cui un soggetto costringe un altro ad un rapporto o ad un contatto sessuale.

Tra gli atti da ricondurre all’abuso sessuale vanno inclusi la costrizione di un soggetto alla visione dei propri genitali o l’esposizione a materiali a contenuto sessuale volto al procurarsi piacere o comunque vantaggi economici.

L’abuso sessuale dal punto di vista giuridico. Nella cultura della maggior parte dei paesi, le pratiche sessuali sono legali ed accettabili solo se entrambe le persone sono consenzienti. In Italia, ad esempio, ai sensi dell’art. 609 bis c.p.: ” Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

  1. Abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

  2. Traendo in inganno la persona offesa per esservi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.

L’abuso sessuale secondo la dottrina medica. Tenuto conto di tali assunti, secondo i CDC la violenza sessuale può essere suddivisa in quattro sottogruppi:

  1. Atto sessuale completo;

  2. Tentativo di avere un rapporto sessuale;

  3. Contatto sessuale senza penetrazione;

  4. Abuso sessuale che non prevede contatto diretto.

Secondo alcuni, non è corretto includere atti come l’esibizionismo o le proposte oscene nel concetto di abuso sessuale, poiché, secondo una serie di ricerche è improbabile che il solo abuso sessuale senza contatto fisico possa determinare disturbi psicologici a lungo termine. Ciò potrebbe essere in parte condiviso solo se si trattasse di atti non ripetuti nel tempo.

Qualsiasi forma di violenza lascia, però, un segno indelebile anche perché nella maggior parte dei casi il minore è “tradito” da una persona di fiducia.

Due sono le categorie fondamentali distinguibili nell’ambito dell’abuso sessuale:

  1. Abuso sessuale intrafamiliare;

  2. Abuso sessuale extrafamiliare.

Nel primo caso l’abuso è perpetrato da un membro della famiglia, nel secondo, invece, le persone sono estranee alla stessa.

Nell’ambito della categoria intrafamiliare si annoverano tre sottogruppi:

  1. Abuso sessuale;

  2. Abuso sessuale mascherato, riconducibile a pratiche sessuali inconsuete e non del tutto esplicite come ad esempio lavaggi prolungati dei genitali, applicazioni di medicine con una certa frequenza. L’adulto mediante questi atteggiamenti giustifica i toccamenti provocandosi piacere;

  3. Pseudo-abusi, essi sono classificati come abusi dichiarati ma non consumati.

Il maltrattamento fisico che ne consegue, può essere lieve, moderato o severo, ed è riscontrabile quando i genitori eseguono o permettono ad altri l’esecuzione di lesioni.

Ma gravissimo è anche il maltrattamento psicologico. Caratteristica principale è il fatto di essere protratto nel tempo, e il bambino a causa di una “dipendenza affettiva” non riesce a difendersi, ciò comporta delle conseguenze sul piano del comportamento, della maturazione cognitiva e dell’affettività.

Molto diffusi, purtroppo, sono gli abusi sessuali subiti fuori dalla famiglia. Di solito sono forme di abuso che riemergono spesso nei racconti di pazienti adulti. I mass media, però, hanno avuto un grande ruolo nel rendere visibile il fenomeno, suscitando l’indignazione collettiva e facendo crescere la cultura della segnalazione.

Forme di violenza extrafamiliare sono:

  • Stupro

  • Atti di libidine

  • Sfruttamento o prostituzione

  • Pornografia

  • Pedofilia

  • Esibizionismo

  • Molestie verbali.

Gli autori possono essere degli sconosciuti, persone che hanno la responsabilità di accudire o amici di famiglia.

Nei casi di abuso è difficile stilare un decalogo degli indicatori dello stesso, a grandi linee tra gli indicatori fisici vi sono:

  • Traumi genitali

  • Corpi estranei nella vagina o nel retto

  • Secrezione vaginale o infezioni ricorrenti a vie urinarie

  • Pubertà precoce

  • Insufficiente tono sfinterico

  • Gonorrea pediatrica.

Tra gli indicatori cognitivi:

  • Disturbi del sonno e dell’alimentazione

  • Depressione

  • Mutismo elettivo

  • Timidezza

  • Paura

  • Comportamenti autodistruttivi.

Per porre fine a questo fenomeno nel 1989 l’ONU è intervenuta con la Dichiarazione dei diritti del bambino poi, con il passare del tempo sono nate associazioni come l’UNICEF, e Amnesty International con lo scopo di tutelare il minore.

La violenza sui minori – in tutte le sue forme- è un problema con il quale dobbiamo fare i conti. Essa è un male per tutta la società che può e deve fare qualcosa per sensibilizzare e prevenire tale fenomeno.

L’Organizzazione Mondiale della sanità ribadisce che: “l’abuso è evitabile con

  1. La prevenzione primaria, indirizzata alla popolazione include l’insegnamento, l’educazione e il sostegno sociale;

  2. La secondaria rivolta alle situazioni familiari nelle quali l’abuso è potenzialmente prevedibile, dando un’adeguata assistenza;

  3. La terziaria, evitando il ripetersi dell’abuso”.

Raffaella Feola Newsletter Giuridica Studio Cataldi 21 agosto 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27168-il-triste-scenario-dell-abuso-sessuale-sui-minori.asp

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ACCOGLIENZA MINORI

Diventa tutore volontario di un minore non accompagnato.

“Diventa tutore volontario di un minore non accompagnato”: prende il via la campagna di sensibilizzazione promossa da Filomena Albano, Autorità Garante per l’Infanzia e Adolescenza.

“In Italia ci sono oltre 17mila ragazzi minorenni senza genitori”, si legge nella locandina, che sarà distribuita prossimamente su tutto il territorio nazionale.

Chiunque volesse diventare tutore di un minore non accompagnato può consultare i siti internet dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza della propria Regione di residenza o del Garante dell’Infanzia e Adolescente Nazionale

News Ai. Bi. 23 agosto 2017

www.aibi.it/ita/diventa-tutore-volontario-di-un-minore-non-accompagnato-al-via-la-campagna-per-sensibilizzare-gli-italiani-allaccoglienza

 

Minori stranieri non accompagnati: bando per diventare tutore volontario

Di seguito è possibile consultare gli avvisi pubblicati dalle diverse regioni: (…)

Cerchiamo privati cittadini disponibili ad esercitare la rappresentanza legale di ogni minore arrivato in Italia senza adulti di riferimento e aver cura che vengano tutelati i suoi interessi, ascoltati i suoi bisogni, coltivate le sue potenzialità e garantita la sua salute senza la presa in carico domiciliare ed economica.

Dopo aver seguito il corso di formazione, organizzato dai garanti regionali e dalle province autonome, gli aspiranti tutori volontari verranno inseriti nell’elenco istituito presso il tribunale per i minorenni competente della regione di residenza o domicilio. Da questo elenco il giudice selezionerà un tutore volontario per ogni minore.

www.garanteinfanzia.org/news/minori-stranieri-non-accompagnati-bando-diventare-tutore-volontario

 

A settembre a Roma un corso organizzato da Autorità garante e Scuola superiore della Magistratura

Dal 27 al 29 settembre 2017 l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e la Scuola Superiore della Magistratura organizzano a Roma un corso dedicato al tema Minori stranieri non accompagnati. Tutela dei diritti fondamentali. Problemi e prassi a confronto”. Programma

www.scuolamagistratura.it/formazione-permanente/2014-11-12-13-09-3/1636-minori-stranieri-non-accompagnati-tutela-dei-diritti-fondamentali-problemi-e-prassi-a-confronto.html

Il corso, inserito nel Catalogo plus della rete europea di formazione giudiziaria, avrà ad oggetto il sistema di protezione dei minori non accompagnati di cui alla legge 47 del 2017. In particolare, saranno illustrate le novità introdotte dalla recente normativa e messe a confronto le diverse prassi giudiziarie.

www.garanteinfanzia.org/news/minori-stranieri-non-accompagnati-settembre-roma-un-corso-organizzato-da-autorit%C3%A0-garante-e

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ADOZIONE

Cremona: aperte le iscrizioni ai corsi di preparazione per l’adozione nazionale e internazionale!

Il Centro adozioni dell’Azienda Socio – Sanitaria Territoriale di Cremona apre le iscrizioni ai corsi di preparazione per l’adozione nazionale e internazionale. Il corso, strutturato secondo il modulo definito dalle linee guida della Regione Lombardia, si divide in più incontri distribuiti nell’arco di un mese.

Il primo si terrà l’11 settembre 2017 ed è intitolato: “Dall’idea alla scelta adottiva. La coppia, la sterilità, il progetto adottivo: desideri, motivazioni e aspettative”, per proseguire successivamente per altre quattro settimane e preparare le coppie ad affrontare serenamente gli aspetti giuridici dell’adozione, gli incontri con gli enti autorizzati e tutte le particolarità dell’iter adottivo.

L’ultimo incontro, fissato per il 2 ottobre 2017, guarderà infine ad aspetti etnici, età, storia e salute fisica e psichica del bambino.

Il corso sarà tenuto dagli operatori del Centro Adozioni, dalle 14,30 alle 17,30: in particolare saranno l’assistente sociale Maria Rosaria Lombardo e la psicologa Alessandra Santilli a patrocinare ogni incontro.

Per ulteriori informazioni è possibile contattare il Centro Adozioni allo 0372 497784 o è possibile scrivere una mail all’indirizzo adozioni.cremona@asst-cremona.it.

News Ai. Bi. 21 agosto 2017

www.aibi.it/ita/cremona-iscrizioni-corsi-adozione-nazionale-e-internazionale

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AFFIDAMENTO

Le famiglie più sensibili all’ affido? Sono le famiglie del Lazio!

In più di 130.000 si sono interessati all’appello “Centro Affidi di Bolzano: cercasi famiglie per oltre 50 piccoli migranti non accompagnati.” pubblicato sul sito di Ai.Bi. lo scorso 7 agosto (riprendendo la stessa notizia riportata dai maggiori quotidiani nazionali e locali) e con un post ad hoc divulgata sui social, tra cui la pagina facebook dell’associazione Amici dei Bambini, che in poche ore è diventato virale.

Le famiglie del Lazio si aggiudicano il podio di famiglie più sensibili all’affido familiare con ben 31.164 interessati.

Il secondo posto se lo aggiudicano le famiglie della Lombardia con 28.822 letture e il terzo la Campania con 9.847 utenti. Segue il Veneto (9.280), la Toscana (8.590), la Sicilia (7.385), l’Emilia-Romagna (7.260), la Puglia (6.680) e così via.

In totale, più di 130.000 italiani, disposti a diventare tutori volontari di un minore straniero non accompagnato e quindi pronti a dare la propria disponibilità per ottenerne l’affido, hanno visualizzato e letto l’articolo. 60.688 persone sono state raggiunte tramite i social dell’associazione con 1.214 condivisioni e 340 interazioni tra like, commenti e richieste d’informazione.

Una vera e propria gara di solidarietà e sensibilità all’argomento che si è estesa a tutta l’Italia portando una pioggia di risposte positive e tantissime domande a cui Amici dei Bambini non ha mancato di rispondere.

I migranti stranieri non accompagnati (MISNA) presenti su tutto il territorio nazionale, in genere, sono adolescenti di età compresa tra i 13 e i 18 anni non considerabili minori abbandonati o adottabili perché nella stragrande maggioranza dei casi il loro obiettivo è il ricongiungimento con i familiari residenti in Italia o in altri Paesi europei.

L’appello di Bolzano rientra nel circuito di attivazione di tutte le regioni italiane chiamate dalla recente legge per la protezione dei minori stranieri non accompagnati (legge Zampa) a promuovere in via prioritaria l’affido familiare di minori stranieri non accompagnati e l’istituzione di albi regionali di tutori volontari – da non confondere con l’affido familiare – disponibili ad assumere la tutela legale senza diventarne affidatari di minori stranieri soli.

www.altalex.com/documents/leggi/2017/03/29/minori-stranieri-non-accompagnati

La legge stabilisce infatti che: “Gli enti locali possono promuovere la sensibilizzazione e la formazione di affidatari per favorire l’affidamento familiare dei minori stranieri non accompagnati, in via prioritaria rispetto al ricovero in una struttura di accoglienza”.

Le famiglie che desiderano candidarsi come famiglie affidatarie dovranno rivolgersi al centro affidi del territorio di residenza portando all’evidenza la propria disponibilità e partecipando alla formazione e preparazione all’affido familiare già attiva in molti comuni italiani. Per diventare tutori di un minore non accompagnato si consiglia di consultare i siti internet dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza della propria regione di residenza o del Garante dell’Infanzia e Adolescente Nazionale.

www.garanteinfanzia.org/rete-garanti

News Ai. Bi. 23 agosto 2017 www.aibi.it/ita/famiglie-affido-lazio-appello-centro-affidi-bolzano

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AFFIDAMENTO SUPERESCLUSIVO

Cos’è l’affidamento superesclusivo?

Se uno dei genitori risulta inadeguato al compito che dovrebbe svolgere o totalmente disinteressato alla vita del minore scatta l’affidamento superesclusivo. Di cosa si tratta?

Quando marito e moglie si separano, la regola generale stabilita dalla legge riguardo l’affidamento dei figli è quella dell’affidamento condiviso. In pratica, il figlio convive con un genitore in un’abitazione, ma è affidato ad entrambi, mantenendo con tutti e due contatti giornalieri secondo tempi e modi fissati dai genitori stessi o, se non c’è l’accordo, dal giudice. Per i genitori, quindi, stessi diritti e doveri sui figli, stessi poteri e stesse responsabilità. Tuttavia, ci sono alcuni casi in cui l’affidamento condiviso diventa dannoso per il minore: che fare in simili ipotesi? È il giudice a intervenire disponendo l’affidamento esclusivo a un solo genitore. Se l’affidamento condiviso è la regola, l’affidamento esclusivo costituisce l’eccezione a questa regola.

La legge [D. Lgs. n. 154 del 28.12.2013] è andata ancora oltre e, da qualche anno, si parla anche di affidamento superesclusivo [Art. 337 quater, co. 3, cod. civ.]: di cosa si tratta?

Quando l’affidamento condiviso diventa dannoso per il minore, il giudice può disporre l’affidamento esclusivo: in sostanza, il genitore cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi. Questo succede, ad esempio, quando uno dei genitori risulta incapace di prendersi cura della prole. Attenzione: l’affido esclusivo non comporta la perdita della responsabilità genitoriale da parte del genitore che non ha ottenuto l’affidamento. Più semplicemente, questa responsabilità si restringe per varie cause: se, come detto prima, il genitore non è in grado di curare il figlio o se è il bambino a non voler avere rapporti con il genitore. E, infatti, mamma e papà devono continuare ad assumere insieme le decisioni più importanti per i figli e, solo in presenza di ragioni particolarmente gravi, tali da rendere impossibile una decisione congiunta, il genitore affidatario potrà richiedere un provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale dell’altro. Ciò anche considerato che, secondo la legge, se il papà o la mamma risultano inadeguati al compito che dovrebbero svolgere o totalmente disinteressati (materialmente e moralmente) alla vita del piccolo, scatta l’affidamento superesclusivo: a decidere delle questioni più importanti per il figlio, relativamente al suo sviluppo – ad esempio salute, educazione e istruzione – sarà esclusivamente il genitore a cui viene affidato e non più quello che si è dimostrato inadeguato. Affido superesclusivo, quindi, solo in casi gravissimi, in cui il genitore è totalmente inadeguato al suo ruolo.

Affidamento superesclusivo per il genitore totalmente inadeguato al suo ruolo: qualche esempio

Facciamo qualche esempio di ipotesi in cui si ricorre a questa forma di affidamento:

  1. Tizio e Caia si separano e Tizio scompare letteralmente dalla vita del piccolo Caietto, non se ne cura, non si preoccupa minimamente delle spese per il suo mantenimento, addossando tutte le responsabilità a Caia.

Sempronio e Mevia si separano. Sempronio è dedito al gioco d’azzardo e contrae un grosso debito. Pensa bene di ricattare la moglie utilizzando il figlio Marietto. In pratica usa il figlio come “merce di scambio”, minacciando Mevia di portarglielo via se non dovesse prestargli i soldi per pagare i suoi aguzzini. Come si capisce subito, si tratta di casi limite, caratterizzati da situazioni in cui il genitore non affidatario rende difficile o addirittura impossibile l’esercizio delle facoltà e dei doveri connessi alle scelte di maggior interesse per i figli [Trib. Milano ordinanza 20.03.2014; Trib. per i Minorenni Milano, sentenza 24.02.2014].

Attenzione, però: se chi richiede l’affidamento monogenitoriale non dà la prova del comportamento pregiudizievole dell’altro genitore oppure si inventa di sana pianta il tutto potrebbe essere condannato non solo alle spese di lite e al risarcimento dei danni [Art. 96 cod. proc. civ.] ma potrebbe anche perdere l’affidamento del figlio.

Da tenere presente che il genitore non affidatario conserva, comunque, il diritto e il dovere di vigilare sul minore relativamente alla sua istruzione ed educazione. Non solo: e se ritiene che l’ex abbia preso decisioni pregiudizievoli al suo interesse, può rivolgersi al giudice.

In sostanza, il genitore non affidatario conserverà:

  • La responsabilità genitoriale nel tempo trascorso con i figli;

  • Il potere-dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione;

  • Il potere di fare ricorso al giudice nei casi in cui il genitore affidatario assuma delle decisioni pregiudizievoli per la prole.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza del 17.12.2009, n. 16587

Integrano comportamenti altamente sintomatici dell’inidoneità di uno dei genitori ad affrontare le maggiori responsabilità conseguenti ad un affidamento condiviso sia la violazione dell’obbligo di mantenimento dei figli che la discontinuità nell’esercizio del diritto di visita degli stessi. Ne discende che, in questi casi, si configura una situazione di contrarietà all’interesse del figlio minore, ostativa, per legge, ad un provvedimento di affidamento condiviso.

Tribunale di Milano, sez. IX Civile, ordinanza del 20.03.2014

Nel modulo di affidamento monogenitoriale, il genitore cui sono affidati i figli ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; ciò nonostante, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. L’esercizio concertato della responsabilità genitoriale, in ordine alle scelte più importanti (salute, educazione, istruzione, residenza abituale) può però trovare deroga giudiziale (salvo che non sia diversamente stabilito). Si tratta, in questi casi, si rimettere al genitore affidatario anche l’esercizio in via esclusiva della responsabilità genitoriale con riguardo alle questioni fondamentali. Questa concentrazione di genitorialità in capo a uno solo dei genitori non rappresenta, ovviamente, un provvedimento che incide sulla titolarità della responsabilità genitoriale, modificandone solo l’esercizio. Il genitore cui i figli non sono affidati ha, peraltro, sempre il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

Maura Corrado La legge per tutti 25 agosto 2017

www.laleggepertutti.it/162099_cose-laffidamento-superesclusivo

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AFFIDO CONDIVISO

Alla soluzione dei conflitti genitoriali è chiamato il coordinatore genitoriale.

Tribunale di Mantova, 5 maggio 2017

La relazione extraconiugale costituisce grave violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e giustifica l’addebito della separazione a carico del fedifrago. Viceversa le aggressioni verbali e il distacco affettivo lamentati dal ricorrente costituiscono la conseguenza della scoperta della relazione extraconiugale da parte della moglie per cui la relativa domanda di addebito va rigettata.

In ordine all’affidamento dei figli: entrambi i genitori appaiono singolarmente in grado di gestire i figli, ma incapaci a causa della mai sopita conflittualità. Impossibilità di far luogo ad un affidamento esclusivo.

In conformità con quanto suggerito dal C.T.U., l’andamento dei rapporti familiari sarà monitorato da una figura esterna, c.d. coordinatore genitoriale o educatore professionale.

Il coordinatore genitoriale avrà il compito:

1) di monitorare l’andamento dei rapporti genitori/figli, fornendo le opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti disfunzionali dei genitori, intervenendo a sostegno di essi in funzione di mediazione;

2) di coadiuvare i genitori nelle scelte formative dei figli, vigilando in particolare sulla osservanza del calendario delle visite previsto per il padre ed assumendo al riguardo le opportune decisioni (nell’interesse dei figli) in caso di disaccordo;

3) di redigere relazione informativa sull’attività svolta, da trasmettere al Giudice Tutelare.

www.gengle.it/blog/393/chi-e-il-coordinatore-genitoriale

Osservatore nazionale sul diritto di famiglia 25 agosto 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507063/alla-soluzione-dei-conflitti-genitoriali-e-chiamato-il-coordinatore-genitoriale..html

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AMORIS LÆTITIA

Non ha fine la tempesta di Amoris Lætitia. A Francesco la quiete non piace

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

“Lo scritto è molto buono ed esplicita pienamente il senso del capitolo VIII. Non ci sono altre interpretazioni”. Con queste parole papa Francesco, in una lettera del 5 settembre di un anno fa, approvava una nota dei vescovi della regione di Buenos Aires che nell’interpretare l’esortazione apostolica postsinodale Amoris Lætitia ammetteva la possibilità della comunione eucaristica ai divorziati risposati che continuano a convivere more uxorio.

Si trattava però di una lettera privata a un monsignore argentino addetto alla segreteria di quel gruppo di vescovi. E anche la nota approvata dal papa non era inizialmente destinata alla pubblicazione e non ha in calce i nomi dei firmatari. Troppo poco e male per chiarire in modo definitivo il senso autentico – cioè attribuibile con certezza al suo autore – di Amoris Lætitia.

Ci ha provato in questi giorni il teologo più vicino al papa, l’argentino Víctor Manuel Fernández, a chiudere la questione, con il tiepido ausilio del “L’Osservatore Romano“. Ma senza successo. E non poteva essere che così. Perché la confusione è all’origine. È nel testo stesso di Amoris Lætitia, che non dice mai per intero, in modo chiaro e incontrovertibile, ciò che papa Francesco si limita a far intuire.

Il passaggio che più vi arriva vicino è nel paragrafo 305: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”.

E nella collegata nota 351: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, ‘ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore’ (Esortazione apostolica. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], Ugualmente segnalo che l’Eucaristia ‘non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli‘ (§ 44, §47)”.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_e sortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

Come è arcinoto, a Francesco è stato chiesto in varie forme e più volte di fare chiarezza su un testo così confuso e confusionario. In particolare da parte di quattro cardinali, ai quali però il papa non ha voluto dare risposta e nemmeno concedere udienza.

Ma ecco arrivare, appunto, Fernández a sentenziare che la lettera ai vescovi di Buenos Aires basta e avanza per chi “vuole conoscere come il papa in persona interpreta ciò che ha scritto”.

E a chi obietta che una lettera di quel tipo è troppo poco, Fernández ribatte rispolverando un precedente riguardante l’interpretazione del Concilio Vaticano I, quando Pio IX, nel 1875, chiarì un punto controverso facendo propria una lettera dei vescovi della Germania al cancelliere Bismarck.

“Se il papa ha ricevuto un carisma unico nella Chiesa al servizio dell’interpretazione corretta della Parola di Dio – scrive perentoriamente Fernández –, ciò non può escludere la sua capacità di interpretare i documenti che lui stesso ha scritto”. Non importa il come e il quando lo fa, l’importante è che si sappia che la “guerra” contro di lui è finita.

“Ciò che resta dopo la tempesta”: così il teologo di fiducia del papa ha voluto intitolare il saggio che ha pubblicato sull’ultimo numero di “Medellín”, la rivista di teologia del Consiglio episcopale latinoamericano, alla vigilia del viaggio di Francesco in Colombia, a settembre, e in Cile e Perù, nel prossimo gennaio: El capítulo VIII de Amoris Lætitia lo que queda después de la tormenta.

http://documental.celam.org/medellin/index.php/medellin/article/view/182

Essendo l’autore dell’articolo non solo vicinissimo a Jorge Mario Bergoglio ma anche l’estensore materiale di buona parte di Amoris Lætitia al punto che in essa si ritrovano pari pari interi pezzi di suoi articoli di una decina d’anni fa, questo suo pronunciamento è stato subito interpretato come ispirato dal papa in persona.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351303.html

Il quale avrebbe voluto chiarire una volta per tutte – tramite Fernández eletto a suo portavoce – soprattutto due cose.

  1. La prima è che l’interpretazione dei vescovi argentini è anche la sua ed è quella giusta.

  2. La seconda è che se Francesco ha preferito aprire alla comunione ai divorziati risposati non nel corpo di Amoris Lætitia ma solo in esili note a piè di pagina, è perché ha voluto farlo “in una maniera discreta”, perché il centro del documento non lo considera lì ma nei capitoli “dedicati all’amore”.

Ma la domanda resta: quale grado di autorità può essere attribuito a un articolo come quello apparso sulla rivista “Medellín”, firmato da un teologo considerato universalmente men che mediocre? Ad elevarlo di grado ci hanno provato, in Vaticano, con due passi successivi: l’uno prima e l’altro dopo la pubblicazione dell’articolo. Già prima dell’uscita dell’articolo di Fernández, infatti, sia la nota dei vescovi della regione di Buenos Aires sia la lettera di Francesco al loro “delegato” Sergio Alfredo Fenoy erano state promosse nel sito web ufficiale che raccoglie l’insieme degli scritti e dei discorsi papali:

http://documental.celam.org/medellin/index.php/medellin/article/view/182

Mentre dopo l’uscita dell’articolo è stato “L’Osservatore Romano”, il quotidiano della Santa Sede, a darne notizia il 22 agosto, e soprattutto a dichiarare che “quando si interpreta il capitolo ottavo di Amoris Lætitia, in particolare in riferimento all’accesso alla comunione eucaristica da parte dei divorziati che si trovano in una nuova unione”, occorre fare proprio ciò che si legge nell’articolo di Fernández su “Medellín”. E cioè: “Occorre partire dalla interpretazione che lo stesso Francesco ha fatto del proprio testo, esplicita nella sua risposta ai vescovi della regione di Buenos Aires. Francesco propone un passo avanti, che implica un cambiamento della disciplina vigente. Mantenendo la distinzione fra bene oggettivo e colpa soggettiva, e il principio che le norme morali assolute non ammettono eccezioni, egli distingue tra la norma e la sua formulazione e soprattutto chiede un’attenzione speciale alle condizioni attenuanti. Queste non si collegano solo alla conoscenza della norma ma anche e soprattutto alle possibilità reali delle decisioni dei soggetti nella loro realtà concreta”.

Entrambi questi passi, però, non appaiono affatto risolutivi. Anzitutto, l’aver inserito la lettera di Francesco ai vescovi argentini nella raccolta degli atti del pontificato non dice nulla sul suo grado di autorità, poiché tale raccolta è estremamente diversificata e comprende, ad esempio, le chiacchiere in libertà che Francesco fa in aereo al ritorno di ogni viaggio. In secondo luogo, colpisce la svogliata ritrosia con cui “L’Osservatore Romano” [il 22 agosto 2017] ha rilanciato il pretenzioso articolo di Fernández. In sesta pagina, senza alcun richiamo in prima, e con un titolo che non ne fa minimamente capire il contenuto: Il discernimento pastorale. Nell’ultimo numero di “Medellín”, la rivista di teologia del Celam, dedicato al magistero del Papa

E non è tutto. La citazione de “L’Osservatore”, invece che dall’articolo vero e proprio di Fernández, è ripresa dal suo “Resumen” iniziale, di cui riproduce la prima metà.

www.osservatoreromano.va/it/news/non-perdiamo-la-speranza-causa-dei-nostri-limiti

Resta intatto, insomma, il peccato d’origine, cioè la confusa e confusionaria stesura di Amoris Lætitia e specialmente del suo capitolo ottavo. Ma a Francesco, evidentemente, piace così.

Sandro Magister 25 agosto 2017 http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI

Divorzio: il risparmio del marito sul mantenimento dei figli non giova all’ex moglie

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 19746, 9 agosto 2017.

Per la Cassazione, la riduzione del contributo alla prole non giustifica l’aumento di quello dell’ex moglie. Il risparmio, con conseguente arricchimento, dell’ex marito per via della riduzione dell’assegno di mantenimento ai figli non porta, per questa via, ad un aumento dell’assegno nei confronti dell’ex moglie. Su questo assunto, la Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna moglie di un ricco imprenditore contro la decisione dei giudici di merito che aveva ribaltato il più favorevole verdetto del tribunale per quanto riguardava il suo mantenimento.

In primo grado, venivano accolte le richieste di rivisitazione delle condizioni economiche imposte all’obbligato in sede di separazione, in base alle quali l’uomo doveva versare 1.800 euro al mese a ciascuno dei figli e 1.600 a favore della ex. Veniva, quindi, azzerato il mantenimento per il primogenito, ritenuto ormai autosufficiente e ridotto l’assegno per l’altro figlio. Tuttavia, veniva anche “accontentata” l’ex moglie con un sostanziale incremento dell’assegno mensile (da 1.600 a 2.400 euro) in relazione all’incremento delle disponibilità economiche del marito conseguenti alla riduzione dell’onere contributivo a favore dei figli.

Giunti in appello, invece, la corte territoriale non condivideva la decisione del tribunale che aveva accolto la domanda della donna per effetto della riduzione del contributo di mantenimento in favore dei figli e, dunque, della generica deduzione di un miglioramento delle condizioni economiche dell’obbligato e l’assenza di qualsiasi prova sul punto.

Stop assegno ai figli, niente aumenti alla ex. In ordine al dedotto miglioramento delle disponibilità economiche del marito derivante dalla riduzione quantitativa dell’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli connesso al raggiungimento della loro totale o parziale indipendenza economica, ha affermato infatti la Corte territoriale, “le obbligazioni verso i figli e quelle verso la moglie operano su piani differenti e non può la caduta o la riduzione delle prime andare automaticamente a favore delle altre”.

Il rilievo del giudice di merito per il Palazzaccio è corretto e va condiviso. La signora non poteva limitarsi a dedurre il miglioramento della situazione economica dell’ex marito. Piuttosto avrebbe dovuto dimostrare che il suo assegno già originariamente era stato più basso del dovuto a causa degli esborsi in favore dei figli. Nulla da fare per la donna neanche in ordine al suo asserito “impoverimento” per il venir meno delle somme versate ai figli utilizzate per la “onerosa manutenzione della casa familiare”.

Marina Crisafi Newsletter Giuridica Studio Cataldi 21 agosto 2017 Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/27148-divorzio-il-risparmio-del-marito-sul-mantenimento-dei-figli-non-giova-all-ex-moglie.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Niente assegno per chi guadagna più di mille euro.

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, ordinanza presidenziale 22 maggio 2017

Per il Tribunale di Milano parametro di riferimento per stabilire si vi sia una autosufficienza economica può essere la soglia reddituale prevista per accedere al patrocinio a spese dello Stato. Già con la recente sentenza n. 11504/2017 la Corte di Cassazione aveva (definitivamente?) abbandonato il criterio del tenore di vita per stabilire se l’ex coniuge avesse diritto (e in che misura) all’assegno di mantenimento. La Cassazione aveva dato rilevanza piuttosto al criterio della “indipendenza economica”.

www.studiocataldi.it/articoli/26098-divorzio-la-cassazione-dice-addio-al-tenore-di-vita-ecco-le-motivazioni.asp

Una nuova pronuncia, del Tribunale di Milano, sembra ora aver tirato in ballo un nuovo criterio di valutazione: quello dell'”non autosufficienza economica” che dovrebbe costituire una sorta di perfezionamento del criterio della “indipendenza economica”.

Cerchiamo di ricostruire le tappe di questi recenti mutamenti giurisprudenziali. Cassazione: l’addio al tenore di vita e il parametro dell’indipendenza economica. Il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio è stato ritenuto non più attuale dagli Ermellini con la sentenza 11504/2017. Secondo la Corte tale parametro finirebbe per determinare da un lato per determinare una sorta di “ultrattività” del vincolo matrimoniale anche dopo il divorzio, dall’altro avrebbe comportato una commistione inammissibile e indebita tra due fasi di giudizio e due diversi accertamenti che devono rimanere separati (ossia la fase in cui si determina la spettanza dell’assegno (l’an debeatur) e quella in cui si stabilisce il quantum).

La dimensione economico-patrimoniale, hanno precisato i giudici di legittimità, entra in gioco normativamente ed esplicitamente soltanto per l’eventuale fase del giudizio avente a oggetto la determinazione dell’assegno e non nella precedente che riguarda la sussistenza o meno del diritto all’assegno.

Pertanto, il parametro da tenere in considerazione, secondo la Cassazione, in questa prima fase sarebbe quello dell’indipendenza economica raggiunta o raggiungibile da parte del richiedente.

La decisione ha subito avuto ampio seguito tra i giudici di merito che hanno applicato a diversi casi di specie le statuizioni della Suprema Corte, ammettendo o negando il diritto all’assegno divorzile dei coniugi richiedenti.

Il Tribunale di Milano ha precisato in un’ordinanza presidenziale che, quanto all’indipendenza economica idonea a negare il diritto all’assegno divorzile, deve farsi riferimento alla “capacità per una determinata persona, adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”.

Per il Tribunale meneghino un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall’ammontare degli introiti che consente a un individuo di accedere al patrocinio spese dello Stato, soglia che ad oggi è di euro 11.528,41 annui ossia di circa euro 1000 mensili.

Inoltre, un secondo parametro proposto per adattare in concreto il concetto di “indipendenza” per il Tribunale di Milano può essere rintracciato “nel reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita”. Una decisione che tiene esplicitamente conto del nuovo indirizzo giurisprudenziale e tende al perfezionamento del nuovo criterio dell’indipendenza economica, o, come avviene per il riconoscimento dell’assegno a favore dei figli maggiorenni, quello della non autosufficienza economica che viene espressamente menzionato dalla sentenza milanese.

Il riferimento a tali criteri imposti dalla giurisprudenza di legittimità viene, pertanto, applicato immediatamente dai giudici di merito ai giudizi in corso relativi al riconoscimento dell’assegno divorzile: un’analisi che, secondo il Tribunale milanese, si svolge in due fasi come articolate dalla Cassazione, ovverosia quella primaria e preminente circa l’esistenza o meno del diritto all’assegno e quella, eventuale, circa la misura dello stesso.

Ciò in quanto l’assegno di divorzio non deve rappresentare una misura che mira impropriamente a colmare l’eventuale sperequazione reddituale esistente tra i coniugi, bensì a verificare le diverse posizioni di questi che andranno interpretate secondo il principio della auto-responsabilità economica di ciascuno, come persone singole.

L’onere probatorio circa l’esistenza del diritto all’assegno, infine, resta sul richiedente, fermo il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro ex coniuge.

http://www.studiocataldi.it/articoli/26098-divorzio-la-cassazione-dice-addio-al-tenore-di-vita-ecco-le-motivazioni.asp

www.studiocataldi.it/articoli/26098-divorzio-la-cassazione-dice-addio-al-tenore-di-vita-ecco-le-motivazioni.asp

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 21 agosto 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27185-divorzio-niente-assegno-per-chi-guadagna-piu-di-mille-euro.asp

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CHIESA CATTOLICA

Quando un prete ha un figlio: linee guida dei vescovi irlandesi

(…) Vincent Doyle è uno psicoterapeuta irlandese di 34 anni. Nel 2011, rovistando fra le carte di casa, intuì un segreto che la madre aveva conservato per oltre 20 anni, ma che solo allora fu costretta ad ammettere, senza parole, solo con una lacrima: il padre biologico di Vincent non era quello con cui lui era cresciuto, insieme a tre sorelle, ma era un sacerdote, il parroco di Longford, paesino nella diocesi di Ardagh, John J. Doyle, un religioso spiritano che aveva fatto ritorno dagli Usa dopo anni di missione, morto nel 1995, per Vincent bambino era stato un compagno di giochi e di gite, un padre spirituale, colui che gli aveva trasmesso un legame misterioso, viscerale – e il motivo lo avrebbe capito bene dopo – con la Chiesa.

Dopo quella scoperta Vincent, che ha poi voluto prendere il cognome Doyle, scoprì che la sua storia era assai meno rara di quello che pensasse. Aprì un gruppo chiuso su Facebook per raccogliere storie e testimonianze. Poi ebbe l’idea di fondare un’associazione per offrire un supporto psicologico e spirituale alle persone passate per vicende simili alla sua e spesso con ferite esistenziali molto più profonde delle sue. Figli e figlie che sapevano tutto ma avevano dovuto per una vita far finta di nulla, donne e uomini segnati dal senso di colpa, dallo stigma sociale, madri finite abbandonate.

Coping International (Coping sta per «children of priests») è oggi un apostolato riconosciuto dalla Chiesa e che è potuto crescere soprattutto grazie all’appoggio della Conferenza episcopale irlandese. E proprio l’assemblea dei vescovi dell’isola di smeraldo lo scorso maggio ha approvato un documento che è stato divulgato pochi giorni fa, dal titolo «Principi di responsabilità per sacerdoti che hanno generato figli durante il loro ministero». È un testo molto breve, che fissa alcuni punti fermi, in primis il fatto che «le necessità del bambino devono venire per prime» e che «un sacerdote, come ogni padre, deve far fronte alle proprie responsabilità – personali, morali, legali ed economiche». Per cui «il minimo» è che, appunto, il sacerdote padre «non fugga dalle proprie responsabilità» e le autorità ecclesiali agiscano in tal senso, anche se poi «ogni caso va esaminato con attenzione».

Semplici considerazioni di buon senso? In parte sì, ma stante la mancanza di disposizioni ufficiali in materia, e di riferimenti precisi nel Codice di diritto canonico, sono comunque un aiuto a fare chiarezza, come ha detto l’’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, e a evitare una gestione di questi casi spinosi senza la debita giustizia e serietà. Un campionario di questi casi – e relativi drammi – è stato fornito nei giorni scorsi dal Boston Globe – il quotidiano che fece scoppiare lo scandalo degli abusi sessuali nella diocesi di Boston, vedasi il film Spotlight – che su documenti e contatti forniti da Doyle e da Coping international ha confezionato un lungo reportage disponibile online, scritto con professionalità e con un certo equilibrio. «Se un prete è padre di un bambino, ha l’obbligo morale di lasciare il ministero e provvedere alla cura e le esigenze della madre e del figlio», ha detto il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, in riferimento al reportage del quotidiano statunitense.

Ma a dare una risposta netta e articolata sul tema è stato anche il Papa, quando era arcivescovo di Buenos Aires, nel libro scritto con il rabbino Abraham Skorka, Il cielo e la terra. «Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna – scriveva l’allora cardinale Bergoglio – cerco di tranquillizzarlo e a poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna. Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha diritto ad avere un padre con un volto. Io mi impegno a regolarizzare tutti i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto. Ora, se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi. Ci sono preti che si correggono e altri no». E correggersi vuol dire: «Fare penitenza, rispettare il celibato. La doppia vita non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità».

Andrea Galli Avvenire 26 agosto 2017

www.avvenire.it/chiesa/pagine/irlanda-quando-un-prete-ha-un-figlio

 

Usa, inchiesta sui figli dei preti. O’Malley: “I bambini sono la priorità”

«Il dono della vita deve essere protetto e curato in tutte le circostanze. Ogni bambino è un dono prezioso di Dio e merita rispetto». Pertanto «se un prete è padre di un bambino, ha l’obbligo morale di lasciare il ministero e provvedere alla cura e le esigenze della madre e del figlio». Con queste parole il cardinale arcivescovo di Boston, Sean O’Malley, commenta i risultati dell’inchiesta pubblicata il 16 agosto scorso dal Boston Globe intitolata “I figli dei sacerdoti cattolici vivono nel segreto e nella tristezza”.

Il report – svolto, tra gli altri, da Michael Rezendes, uno dei giornalisti che lanciò anni fa con i colleghi la grande inchiesta sulla pedofilia del clero negli Stati Uniti, a partire dai casi di Boston, divenuta famosa in tutto il mondo grazie al film Premio Oscar nel 2016 “Spotlight” – parla del destino di numerosi bambini, figli di sacerdoti e dunque di relazioni non ammesse dalla Chiesa, che crescono nell’abbandono e nella solitudine. Secondo il porporato, anche membro del C9 e presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, il benessere di questi ragazzi «è la priorità più alta».

«Al momento della loro ordinazione – spiega – i preti cattolici fanno una promessa di celibato nella Chiesa e si impegnano a servire così le persone. Se un prete è padre di un bambino, ha l’obbligo morale di lasciare il ministero e provvedere alla cura e le esigenze della madre e del figlio. Il loro benessere è la priorità più alta». O’Malley rivela inoltre che, già lo scorso anno, la Commissione da lui guidata aveva ricevuto delle lettere riguardanti casi di figli di sacerdoti, ma «dopo un’attenta valutazione» si è convenuto che il tema andasse oltre il mandato affidato all’organismo. «La Commissione – sottolinea il porporato – cerca di assistere le diocesi nell’implementazione di programmi per la prevenzione degli abusi sessuali. Non rientra tra le nostre responsabilità entrare in casi individuali».

Redazione La Stampa-Vatican Insider 23 agosto 2017

www.lastampa.it/2017/08/23/vaticaninsider/ita/nel-mondo/usa-inchiesta-sui-figli-dei-preti-omalleyi-bambino-sono-la-priorit-pp1cBoGkC3H9t5rMDiYzYP/pagina.html

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CHIESE CRISTIANE

Pastore, diacone, vescove nella chiesa della Riforma

Chiese ad elevata parità di genere. Sono quella valdese e metodista – la principale delle Chiese cristiane non cattoliche presenti in Italia – e nel complesso quelle sorte dalla Riforma protestante, nelle quali le donne ricoprono ruoli e funzioni identiche a quelle degli uomini. Ne parliamo con Letizia Tomassone, pastora valdese a Firenze e docente di Studi femministi e di genere alla Facoltà valdese di teologia di Roma, in questi giorni impegnata nei lavori del Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi a Torre Pellice.

«In effetti la presenza di donne “ordinate”, pastore e diacone ma talora anche vescove e presidenti di Chiese nazionali, è molto estesa e visibile nelle Chiese della Riforma», spiega Tomassone. «Nella Chiesa valdese e metodista si può contare poco meno del 40% di donne ministro. Tuttavia, seppure ricoprendo la stessa funzione, donne e uomini non sono “uguali”: si cerca di dare spazio alla “differenza” nello svolgimento del ministero senza che questo crei discriminazione».

In altre Chiese cristiane, penso alla cattolica e alle Chiese ortodosse, questa parità non esiste. Eppure sono tutte ugualmente fondate sulla Bibbia e su Cristo. Come è possibile?

«La concezione del ministero nelle Chiese della Riforma non è sacrale, non si tratta di un sacerdozio, né il ministro deve svolgere una mediazione maschile – in quanto Cristo era un maschio – o paterna – in rappresentanza del Dio padre – verso la comunità. I ministri di culto sono parte della comunità dei credenti e del ministero che appartiene a tutte e a tutti e svolgono una funzione al servizio della comunità e centrata intorno alla predicazione della Parola.

Quello del posto delle donne nelle Chiese è un elemento di divisione con la Chiesa cattolica e con le altre Chiese. Potrà essere superato?

La questione si pone a più livelli. La Chiesa cattolica ci riconosce come pastore delle nostre Chiese e condivide momenti di confronto teologico e biblico in cui siano coinvolte pastore protestanti. Tuttavia, non aprendo con altrettanta fiducia alle donne nelle proprie fila, il dialogo è sempre difficile e diseguale. Più complicato ancora con i vari Patriarcati ortodossi o con buona parte delle Chiese pentecostali che non accettano il ministero femminile, e dunque non accolgono le pastore protestanti in occasione di incontri ecumenici. Il cammino è ancora lungo ma, per il forte impegno delle teologhe cattoliche nella propria Chiesa, ci saranno sicuramente degli sviluppi positivi».

Parliamo di donne e teologia. Nella ricerca biblica e teologica, nelle facoltà, che spazio assumono le donne?

Io faccio parte del Coordinamento delle teologhe italiane che raccoglie molte teologhe cattoliche e protestanti che fanno ricerca e insegnano anche nelle Facoltà pontificie. La Facoltà valdese di Teologia ha un corso curricolare sulle teologie femministe.

Quindi anche in questo ambito donne e uomini hanno un ruolo paritario?

No. Per ora la presenza di donne teologhe e docenti è marginale, seppure significativa per la qualità e quantità di pubblicazioni.

Quali filoni di genere studia e approfondisce la ricerca teologica?

I temi trattati seguono le tracce delle teologie femministe già sviluppate in altri Paesi, a livello ecumenico quindi, perché i percorsi di donne protestanti e cattoliche nel mondo occidentale sono intrecciati: una “ermeneutica del sospetto”, che rintraccia presenza femminile nonostante silenzi e reticenze dei testi biblici; l’esperienza di vita delle donne che diventa lente per comprendere i testi e la fede; la resistenza contro ogni riduzione al silenzio, contro la violenza e il patriarcato così a lungo legittimato dalla religione cristiana. Il lavoro è prima di tutto biblico, ma c’è un gran fermento di ricerca anche sulla storia delle donne e sulle forme di Chiesa. Inoltre c’è una riflessione comune sulle identità femminili postcoloniali, con molte donne del mondo protestante africano o cattolico dell’America latina. Questo ci aiuta a fare i conti con la nostra religione anche nei termini di una critica al suo retaggio di colonialismo di donne bianche e occidentali.

Che tipo di lavoro portano avanti le reti ecumeniche ed interreligiose di donne?

In Italia ci sono reti interreligiose con donne ebree e musulmane che conducono battaglie per la giustizia e la pace insieme a noi. Ascoltarci reciprocamente ci aiuta ogni volta a scoprire insieme la grande ricchezza che ogni tradizione porta con sé e ci rafforza per resistere alle oppressioni religiose, alle interpretazioni restrittive degli scritti fondativi. Esistono poi reti internazionali di donne impegnate per fare delle fedi strumenti di pace e di riconciliazione, come per esempio le teologie di donne nell’Islam che perorano una giustizia di genere nella Jihad. Negli ultimi anni le Chiese valdesi e metodiste si sono impegnate sulla questione della violenza di genere, impiegando anche parte dei fondi dell’otto per mille.

Quali programmi sono stati portati avanti? Perché è importante che le Chiese e le religioni si impegnino su questo fronte?

In marzo sono state consegnate alla presidente della Camera, Laura Boldrini, più di 5mila firme di donne e di uomini che si impegnano contro la violenza di genere. Le Chiese protestanti sono sempre state attente ai diritti delle persone, e la battaglia sui temi della violenza contro le donne riguarda i diritti umani. È importante che in questo cammino siano coinvolti gli uomini, in una presa di coscienza della propria identità maschile, che deve superare gli stereotipi dell’aggressività e recuperare il senso della reciprocità nella relazione e della capacità di tenerezza. Si lavora a molti livelli, con proposte di letture bibliche e un calendario di “sedici giorni contro la violenza”, un’iniziativa mondiale adottata dalle Chiese protestanti italiane – ogni anno dal 25 novembre al 10 dicembre –, con sportelli di aiuto e qualche casa rifugio per donne in difficoltà, promuovendo dibattiti e pubblicazioni che aiutino a superare la cultura cristiana maschilista e patriarcale.

Luca Kocci il manifesto 25 agosto 2017

https://ilmanifesto.it/pastore-diacone-vescove-nella-chiesa-della-riforma

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COGNOME

Attribuzione del cognome.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 17139, 11 luglio 2017

Il riconoscimento tardivo del minore ad opera del padre non incide sull’attribuzione del cognome. Deve prevalere l’interesse del minore a potere essere individuato nel contesto delle relazioni sociali in cui si trova inserito. Ordinanza

https://renatodisa.com/2017/08/24/corte-di-cassazione-sezione-vi-civile-ordinanza-11-luglio-2017-n-17139

Cognome al figlio: quando prevale quello materno

Tribunale di Napoli, prima Sezione civile, sentenza n. 3583, 27 marzo 2017

Per il Tribunale di Napoli il cognome è bene morale della persona e, dichiarata la paternità dopo il riconoscimento della madre, quello del padre va assegnato solo se si rispetta il diritto a essere se stesso

Il cognome, come parte del nome, è sempre meno strumento di ordine pubblico e sempre più bene morale della persona, rappresentando elemento costitutivo dell’identità personale e quindi oggetto di un vero e proprio diritto tutelato a livello costituzionale

Pertanto, il giudice di merito, laddove dichiari la paternità di un minorenne successivamente al riconoscimento da parte della madre, dovrà prescindere da qualsiasi meccanismo automatico di attribuzione del cognome e valutare, invece, l’esclusivo interesse del minore alla sua identità personale.

Lo ha stabilito il Tribunale di Napoli pronunciandosi su una vicenda di dichiarazione giudiziale di paternità, richiesta dalla madre nei confronti del presunto padre della figlia minorenne.

I giudici partenopei accolgono la domanda per due ordini di ragioni: in primis, l’esistenza di una relazione sentimentale tra le parti non era stata contestata e, in secondo luogo, l’uomo si era rifiutato di sottoporsi al test del DNA, circostanza che costituisce argomento di prova poiché l’esame avrebbe consentito di accertare con ampi margini di sicurezza la filiazione

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 24 agosto 2017 Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/27206-cognome-al-figlio-quando-prevale-quello-materno.asp

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CONFERENZA NAZIONALE SULLA FAMIGLIA

Dalla Conferenza di Roma? Deve nascere un inizio del Fattore Famiglia

Il Governo ha confermato per il 28 e 29 settembre la terza Conferenza Nazionale per la Famiglia, a sette anni da quella di Milano. Qual è l’obiettivo da realizzare? «Che la famiglia sia al centro della prossima legge di stabilità, stanziando 4 o 5 miliardi che segnino l’avvio del fattore famiglia», dice De Palo (Forum Famiglie), «l’Italia non può più stare senza far nulla, aspettando che arrivi la catastrofe annunciata, come con i terremoti»

Il 28 e 29 settembre, Roma ospiterà la terza Conferenza Nazionale sulla Famiglia. Indicazioni logistiche al momento non ci sono, ma la notizia è certa. A fine luglio invece, con le dimissioni di Enrico Costa, ministro con delega alla famiglia, per diversi giorni tutti sono stati con il fiato sospeso: la Conferenza – programmata ma mai annunciata ufficialmente – si sarebbe fatta?

«La Conferenza si farà e questo è di per sé un fatto estremamente importate», conferma Gigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni Familiari, membro anche del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia, nominato un anno fa, che ha lavorato essenzialmente alla preparazione dell’attesa Conferenza: l’ultima infatti si è tenne a Milano nel lontano 2010, benché la cadenza prevista sia biennale.

Nei giorni scorsi lei ha detto che la Conferenza non dovrà essere né un ring né una passerella: cosa auspica?

Intanto la data scelta è importante, la Conferenza si svolge prima della discussione della legge di stabilità, per cui ci aspettiamo un atto di responsabilità del Governo, che alla luce della situazione storica che stanno vivendo le famiglie e il Paese – penso all’emergenza demografica e alle note difficoltà economiche che le famiglie stanno attraversando – ci sia un’attenzione tale per la famiglia da poter dire di essere un inizio di ciò che chiediamo da tempo, il Fattore Famiglia. Siamo consapevoli che non possiamo ottenere il Fattore Famiglia subito, ma speriamo ci sia un segnale in tal senso.

Quindi concretezza, non bei discorsi?

In realtà è importante anche il fatto che le principali cariche istituzionali del Paese, il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio, un po’ “costretti” dalla Conferenza, dicano una parola precisa sul tema famiglia, perché mi sembra anche dal punto di vista dei contenuti non se ne parli mai. L’Italia ha un problema oggettivo enorme, che è la denatalità, e sembra invece che ci si debba vergognare a pronunciare la parola “figli”. È necessario che le principali cariche istituzionali prendano posizione. La terza cosa è che speriamo che la famiglia venga messa, anche grazie alla Conferenza, al centro dibattito per le prossime elezioni, da parte di tutte le forze politiche.

Concretamente come si svolgerà la Conferenza?

I tavoli di lavoro previsti sono sei, coordinati dai membri del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio: la famiglia come risorsa (coordinato da Simonetta Matone), gli aspetti giuridici collegati alla famiglia (Gianni Ballarani), natalità e demografia che coordino io, un tavolo sull’armonizzazione degli aiuti oggi esistenti (Marco Allena), uno sulle proposte fiscali (Mauro Marè) e uno sulle politiche familiari a livello locale (Riccardo Prandini).

Il mio tavolo partirà dai dati, avremo le relazioni del professor Rosina e del professor Blangiardo: partendo dai dati descriveremo come cambierà la storia del nostro Paese, come si modificherà nei prossimi anni l’assetto sociale e culturale del Paese. È evidente che tra pochi anni non avremo più il welfare che conosciamo oggi ma nemmeno l’assistenza sanitaria che abbiamo oggi, la sanità sarà sempre più a pagamento.

Per fare un paragone… in questi giorni siamo purtroppo ancora una volta alle prese con un terremoto e contemporaneamente con il ricordo del terremoto di un anno fa: l’Italia sa di essere un Paese a rischio sismico, eppure non facciamo nulla… Lo stesso approccio lo abbiamo con la famiglia, sappiamo che… ma aspettiamo la catastrofe. La Conferenza sarà l’occasione per mettere a tema questi ragionamenti, per ascoltare altri mondi e da lì poi inizierà un percorso che porterà a un nuovo Piano per la Famiglia. L’importante ora è rimettere a tema.

Il “Fattore famiglia” indica una riforma fiscale che il Forum Famiglie chiede da moltissimi anni e che prevede, in estrema sintesi, una no tax area proporzionale al numero dei componenti della famiglia. Oggi invece l’Irpef si calcola su base individuale, per cui un single e un padre di famiglia risultano tassati allo stesso modo. Questa no tax area sarebbe corrispondente al costo di mantenimento dei suoi componenti, definirebbe un minimo vitale non tassabile. Renzi, Costa, Lorenzin e Nannicini avevano promesso una riforma dell’Irpef già per il 2018, facendo anche un esplicito riferimento al Fattore Famiglia.

www.vita.it/it/article/2016/10/17/lannuncio-a-sorpresa-di-renzi-e-costa-nel-2018-faremo-il-fattore-famig/141224/

E di un intervento sul fisco a misura di famiglia si parla sin dal 1991. Non è poco ora auspicare un “inizio” del Fattore Famiglia?

La cosa veramente importante è iniziare subito, ma per davvero. Il Fattore Famiglia, a regime, costerebbe fra i 14 e i 16 miliardi, è plausibile che non si possa ottenerlo integralmente subito. È anche vero però che se prendiamo i vari bonus esistenti e li mettiamo insieme, se razionalizziamo le varie agevolazioni, una cifra significativa si può ottenere subito, diciamo 4 o 5 miliardi con cui fare una operazione politicamente seria che dia un segnale, non una cosa una tantum ma l’inizio di un processo. Noi insistiamo da anni sul Fattore Famiglia perché è una proposta di sintesi, molto flessibile, che valorizza l’occupazione femminile, che comprende gli incapienti, che non riguarda solo le famiglie numerose… Tra l’altro non si tratta di aiuti alle famiglie ma di giustizia fiscale, di superare una discriminazione fiscale che dura da 40 anni. Iniziamo. 4 o 5 miliardi sono una cifra realistica, se prendiamo i vari bonus e li mettiamo insieme non ne siamo lontani nemmeno ora, soltanto che i bonus non incidono sulla natalità, sono utilissimi per i bambini che sono già nati ma non per invertire la tendenza.

Sara De Carli vita.it 24 agosto 2017

www.vita.it/it/article/2017/08/24/dalla-conferenza-di-roma-deve-nascere-un-inizio-del-fattore-famiglia/144309

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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

Seminario di formazione permanente riservato ai consulenti familiari supervisori.

L’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari (AICCeF) programma il prossimo seminario di formazione permanente riservato ai consulenti familiari supervisori.

Si terrà a Bologna il 23 e 24 settembre presso il Camplus Bononia via Sante Vincenzi. I formatori del corso sono Elisabetta Baldo, Raffaello Rossi e Rita Roberto. In questo seminario è stata invitata la collega Caranita Wolsieffer a tenere una relazione sul tema del trauma e vergogna che ha presentato nella conferenza internazionale di Trento 2016.

Programma di “Affrontare simultaneamente trauma e vergogna: supervisori resilienti in prima fila”

Inizio seminario alle ore 9,30 di sabato 23 e termine alle ore 13,30 di domenica 24 settembre:

Sabato

  • Ore 9,45 Introduzione della Presidente

  • Relazione di Caranita Wosieffer

  • Ore 13,00 pranzo

  • Ore 15,00 ripresa lavori a cura dei formatori

  • Ore 20,30 cena

Serata libera

Domenica

  • Ore 9,30 presentazione della giornata a cura della Presidente.

  • Ore 13,00 conclusione del seminario a cura dei formatori.

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DALLA NAVATA

XXI domenica del tempo ordinario – Anno A – 27 agosto 2017

Isaia 22, 22 Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà: se egli chiude, nessuno potrà aprire.

Salmo 137, 06 Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile; il superbo invece lo riconosce da lontano.

Romani 11, 339 O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!

Matteo 16, 19 «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»

 

Tu sei il Cristo”, “tu sei Pietro” Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose

 

Nella nostra lettura contemplativa del vangelo secondo Matteo, siamo giunti a una svolta nella vita di Gesù: ormai i discepoli, dopo averlo seguito, ascoltato e osservato come maestro e venerato come profeta, giungono a comprendere per grazia che la sua identità va al di là della loro comprensione e della loro esperienza umana. Gesù, infatti, ha un legame unico con Dio, che lo ha inviato nel mondo: è il Figlio di Dio. Proprio da quel momento Gesù rivela ai discepoli la necessità della sua passione, morte e resurrezione, e lo fa in modo continuo nel viaggio che ha come meta Gerusalemme (cf. Mt 16,21; 17,22; 20,17-19), la città santa che uccide i profeti (cf. Mt 23,37).

Il racconto è denso, frutto della testimonianza sull’evento, ma anche della meditazione della chiesa di Matteo, che approfondisce sempre di più il mistero di Cristo. Gesù va con i discepoli nei territori di Cesarea, la città fondata trent’anni prima dal tetrarca Filippo, figlio di Erode il grande, ai piedi del monte Hermon. E proprio là dove Cesare è venerato come divino, proprio in una città edificata in un suo onore, ecco l’occasione per la domanda su Gesù: chi è veramente Gesù? È lui stesso a porre questa domanda ai suoi discepoli: “Gli uomini chi dicono che sia il Figlio dell’uomo?”. Gesù amava chiamare se stesso “Figlio dell’uomo”, espressione oscura e forse anche ambigua agli orecchi dei giudei, espressione che indicava un uomo terrestre, figlio d’uomo, e nello stesso tempo un veniente da Dio.

I discepoli riferiscono che la gente pensa che Gesù sia un profeta, uno dei grandi profeti presenti nella memoria collettiva d’Israele: forse Elia che era atteso, forse il Battista, ucciso da Erode ma tornato in vita (cf. Mt 14,1-12), o forse Geremia, visto che, come lui (cf. Ger 7), Gesù pronunciava parole contro il tempio di Gerusalemme. Allora Gesù interroga direttamente i discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. In realtà, poco prima, alla fine della traversata notturna e tempestosa del lago di Galilea, quando Gesù era andato verso di loro camminando sulle acque, i discepoli avevano confessato: “Veramente tu sei il Figlio di Dio!” (Mt 14,33). Ma ora la risposta viene da Simon Pietro, il discepolo chiamato per primo (cf. Mt 4,18-19).

La domanda di Gesù non mirava affatto a ottenere in risposta una formula dottrinale, tanto meno dogmatica, ma chiedeva ai discepoli di manifestare il loro rapporto con lui, il loro coinvolgimento con la sua vita, la fiducia che riponevano nel loro rabbi. Sì, chi è Gesù? È una domanda che dobbiamo farci e rifarci nel passare dei giorni. Perché la nostra adesione a Gesù dipende proprio da ciò che viviamo nella conoscenza o sovraconoscenza (epígnosis) della sua persona. Chi è Gesù per me?, è la domanda incessante del cristiano, che cerca di non fare di Gesù il prodotto dei suoi desideri o delle sue proiezioni, ma di accogliere la conoscenza di lui da Dio stesso, contemplando il Vangelo e ascoltando lo Spirito santo. La nostra fede sarà sempre parziale e fragile, ma se è “fede” che “nasce dall’ascolto” (Rm 10,17), è fede vera, non illusione né ideologia.

Secondo Matteo qui i discepoli restano muti, ed è solo Pietro che proclama, con una risposta personale: “Tu sei il Cristo, il Messia, il Figlio del Dio vivente”. Egli dice che Gesù non solo un maestro, non è solo un profeta, ma è il Figlio di Dio, in un rapporto intensissimo con Dio, che possiamo esprimere con la metafora padre-figlio. In Gesù c’è ben più di un uomo chiamato da Dio come un profeta: c’è il mistero di colui che la chiesa, approfondendo la propria fede, chiamerà Signore (Kýrios), chiamerà Dio (Theós). È vero che in ebraico l’espressione figlio di Dio (ben Elohim) era un titolo applicato al Messia, l’Unto del Signore (cf. 2Sam 7,14; Sal 2,7; 88,27-28), applicato al popolo di Israele (cf. Es 4,22), ma qui Pietro confessa chiaramente in Gesù l’unicità del Figlio di Dio vivente. E si noti che, se in Marco e in Luca Pietro esprime la fede dell’intero gruppo dei discepoli (cf. Mc 8,29; Lc 9,20), qui invece parla a nome proprio, e per questo la risposta di Gesù è rivolta a lui solo: “Beato sei tu, Simone, figlio di Jonà, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.

Colui che si chiamava Simone, il pescatore di Galilea figlio di Jonà, è definito da Gesù “beato”, non per se stesso, ma per la rivelazione gratuita che il Padre gli ha fatto. Se Simone proclama questa confessione di fede, è per rivelazione di Dio, non come frutto di ragionamenti ed esperienze umane (carne e sangue). Per volontà amorosa di Dio, Pietro ha avuto accesso a tale rivelazione, e per questo Gesù, constatando l’azione del Padre, lo definisce beato. Del resto Gesù lo aveva detto: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (cf Mt 11,27), e qui non fa che ribadirlo, discernendo che attraverso Pietro è il Padre stesso che ha parlato.

Proprio in obbedienza a tale rivelazione, Gesù continua, dichiarando a Simone: “Tu sei Pietro (Pétros) e su questa pietra (pétra) edificherò la mia chiesa”. Gesù sta costruendo la chiesa, e certo sarà lui “la pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” (1Pt 2,4), ma di questa costruzione Pietro è la prima pietra. Per fare una costruzione occorre che ci sia qualcuno capace di essere la prima pietra, e Pietro mostra di essere tale, perciò Gesù gli cambia il nome da Simone in Kefâs, Pietro (cf. Gv 1,42). Così egli parteciperà per grazia alla saldezza della Roccia che è Dio (cf. Sal 17,3.32; 18,15; 27,1, ecc.), saldezza nel confessare la fede, anche se soggettivamente potrà venire meno nella sua sequela, cadere in peccato, manifestandosi con le sue debolezze e i suoi comportamenti contraddittori. La beatitudine di Gesù non costituisce Pietro nella santità morale ma nella saldezza della fede confessata. E non saranno forse proprio la fragilità e la debolezza nella sua sequela di Gesù che permetteranno a Pietro, autorità suprema tra i Dodici, di essere esperto della misericordia del Signore? Pietro sa di aver conosciuto su di sé la misericordia del Signore, di aver conosciuto veramente il Signore, e perciò può annunciarlo e testimoniarlo in modo credibile. Pietro ha avuto per grazia il dono del discernimento, ha visto bene chi era Gesù, e per questo può essere la prima pietra, quella che segna la saldezza di tutta la costruzione, un uomo capace di rafforzare e confermare i fratelli, anche perché a sua volta sostenuto e confermato dalla preghiera di Gesù (cf. Lc 22,32).

In questo passo appare la parola “chiesa”, che ritornerà solo un’altra volta in tutti i vangeli, ancora in Matteo (cf. Mt 18,17). Chiesa, ekklesía, significa assemblea dei chiamati-da (ek-kletoí): questo è il nome dato dagli elleno-cristiani alle loro comunità, anche per differenziarsi dalla sinagoga (assemblea) degli ebrei non cristiani. Ebbene, la chiesa ha Gesù come costruttore – “Io edificherò la mia chiesa” – ed essa gli appartiene per sempre: non sarà mai né di Pietro, né di altri, ma di proprietà del Signore (Kýrios). In questa costruzione di Cristo, Pietro sulla terra sarà l’intendente, colui che apre e chiude con le chiavi affidategli da Cristo stesso: si tratta di immagini semitiche, di cui troviamo traccia nell’Antico Testamento (cf. per esempio Is 22,22), che significano che Pietro sarà abilitato interpretare la Legge e i Profeti, quale testimone e servo di Gesù Cristo.

Ecco dunque un grande dono di Gesù ai discepoli: Pietro, l’umile pescatore di Galilea, che ha ricevuto una rivelazione da parte di Dio e l’ha confessata. È innegabile che qui Pietro riceva un primato, quello dell’uomo dell’inizio, il primo chiamato, il “primo” nella comunità (cf. Mt 10,2), l’uomo capace di essere la prima pietra nell’edificazione della comunità cristiana (cf. Is 28,14-18). Potremmo dire che in quel giorno a Cesarea è abbozzata la chiesa, è posta la sua prima pietra. Poi nella storia farà la sua corsa, conoscendo contraddizioni, inimicizie e persecuzioni; ma pur nella sua povertà e nella fragilità dei suoi membri, deboli e peccatori, compirà il suo cammino verso il Regno, perché la volontà del Signore e la sua promessa non verranno mai meno, e anche la potenza della morte non riuscirà a vincerla, ad annientare il “piccolo gregge” (Lc 12,32) del Signore. Un gregge che è piccolo, sì, ma che ha come pastore Gesù risorto e come recinto una chiesa la cui prima pietra, per volontà del Signore, resta salda.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11712-tu-sei-il-cristo-tu-sei-pietro

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DIACONATO

L’accesso al rito nella battaglia per il diaconato femminile

Nel processo di aggiornamento della Chiesa avviato da papa Francesco quale spazio sarà riservato alle donne? Nel corso dei secoli le parole di Paolo di Tarso, «non c’è maschio e femmina, perché tutti siete uno in Cristo», sono state rimosse da un’istituzione che ha negato alle donne perfino il diaconato, testimoniato invece dalle Scritture (si pensi alla figura di Febe) e dagli studi storici, che hanno raccontato un medioevo popolato da diaconesse e badesse, talvolta dignitarie di poteri feudali e semi-episcopali.

Teologhe come Serena Noceti e Adriana Valerio, non fanno fatica ad ammettere che il Concilio Vaticano II non ha scalfito l’impianto androcentrico della Chiesa, ma ha aperto nuovi filoni di riflessione maturati grazie anche all’ingresso massiccio delle donne nel mondo degli studi teologici. Il Coordinamento teologhe italiane (CTI) ne rappresenta oggi l’espressione più vivace. Nello statuto si legge che l’associazione ha lo scopo di valorizzare e promuovere gli studi di genere in ambito teologico, biblico, patristico, storico, in prospettiva ecumenica.

Intervistata dal manifesto, Cristina Simonelli, presidente della CTI dal gennaio 2013, spiega che i filoni più recenti hanno riguardato il gender e il femminismo, e più in generale, «tutti gli ambiti del sapere teologico, sia nelle Facoltà teologiche e nei contesti accademici, che nei luoghi di pastorale e di pratiche di base, nonché nelle pubblicazioni». Centrale è ovviamente anche la possibilità di accedere al diaconato, tornata oggetto di discussione alla metà degli anni Novanta grazie all’interessamento del cardinal Martini, dopo che Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, aveva confermato l’esclusione della donne dal sacerdozio.

Come ha scritto Anna Carfora, la questione cruciale era la distinzione tra un diaconato femminile inteso come servizio e il diaconato come primo gradino dell’ordine sacro. In tempi recenti se ne è tornato a parlare in occasione del Sinodo dei vescovi sulla famiglia nell’ottobre 2015, ma la proposta del vescovo canadese mons. Paul-André Durocher di permettere alle donne l’accesso al diaconato e all’omelia non ha trovato riscontro nel documento finale. Il 12 maggio 2016 papa Francesco, parlando davanti a 900 religiose di 80 Paesi, annunciava la creazione di una commissione di studio incassando il plauso dell’organizzazione internazionale Women Ordination Conference e i malumori del card. Müller, all’epoca alla testa della Congregazione per la dottrina della fede.

La commissione, composta da dodici membri (sei sono le donne) e presieduta da Luis Francisco Ladaria Ferrer, attuale prefetto della Congregazione per la dottrina, è stata istituita ufficialmente pochi mesi dopo. Sappiamo che al suo interno sono presenti orientamenti diversi sull’opzione del diaconato femminile, tuttavia – spiega Simonelli – «si è trattato comunque di una decisione importante, che ha dato il via anche in Italia a convegni, dibattiti, pubblicazioni, che hanno considerato non solo il caso specifico (donne diacone), ma l’insieme, dalla situazione uomini/donne col relativo immaginario, alla strutturazione dei ruoli ecclesiastici nell’insieme. Non so dire quale impostazione prevarrà: alcuni eventi di questo pontificato sono stati inaspettatamente innovativi, altri invece di indubbia mediazione, che spesso significa status quo».

Anche al livello di discorso pubblico della Chiesa, le uscite di papa Francesco non sono apparse particolarmente incisive e comunque non prive di punti problematici. Nel 2013, di ritorno dalla giornata mondiale della gioventù di Rio, Bergoglio spiegava ai giornalisti che la Chiesa è femmina utilizzando l’immagine della Vergine come esempio e auspicando una «teologia della donna», a suo giudizio assente dal dibattito. Parlando pochi mesi dopo alla «Civiltà Cattolica», ha biasimato un presunto «machismo in gonnella» e ha esaltato in maniera generica quello che definisce il «genio femminile». Sono affermazioni decisamente caute che manifestano una certa difficoltà nell’affrontare il problema e un immaginario molto tradizionale. È vero che papa Francesco ha inviato a «riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa» e che l’insediamento della commissione è ancora cosa recente, così come si può osservare che le cosiddette «questioni non negoziabili» in materia di bioetica sono passate decisamente in secondo piano nella pastorale, anche se non ci sono stati interventi dottrinali di rilievo e nel segno della discontinuità.

Come ci spiega Simonelli, la chiesa continua a condannare le teorie del gender come un’ideologia perniciosa «rivelando in alcune componenti particolarmente chiassose una omofobia pari almeno all’omogeneità dei quadri cattolici». Il corpo delle donne è ancora il campo di una biopolitica che si esercita in una Chiesa in cui le donne sono una maggioranza che non governa in una comunità che sempre meno capisce tutto questo.

Alessandro Santagata il manifesto 25 agosto 2017

https://ilmanifesto.it/laccesso-al-rito-nella-battaglia-per-il-diaconato-femminile

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ETS (già ONLUS) NON PROFIT

Agevolazioni tributarie

Le agevolazioni in materia di imposte indirette e tributi locali sono previste dall’art. 82 del Codice del Terzo Settore e riguardano principalmente:

  • L’esenzione da imposta sulle successioni e donazioni e ipotecaria e catastale per i trasferimenti a titolo gratuito effettuati a favore degli enti del Terzo Settore:

  • L’applicazione in misura fissa delle imposte di registro, ipotecarie e catastali per gli atti costitutivi e modifiche statutarie, comprese le operazioni di fusione, scissione o trasformazione.

  • L’applicazione in misura fissa delle imposte di registro, ipotecaria e catastale i trasferimenti di immobili a favore del Terzo settore, a determinate condizioni.

  • L’esenzione dall’imposta di bollo per tutti i documenti richiesti o emessi dagli enti del Terzo Settore.

  • L’esenzione IMU per gli immobili destinati dagli enti del Terzo settore ad attività istituzionali non commerciali.

  • L’esonero dall’imposta sugli intrattenimenti per le manifestazioni svolte in concomitanza di

  • Celebrazioni,

  • Ricorrenze

  • Campagne di sensibilizzazione

Fisco e tasse 22 agosto 2017

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/23832-terzo-settore-agevolazioni-per-imposte-indirette-bollo-e-imu.html

Quando serve la revisione legale nelle associazioni no profit e le fondazioni

Codice del terzo settore 2017: ecco quando è previsto l’obbligo di revisione legale dei conti per le associazioni e fondazioni

Il codice del Terzo Settore prevede che le associazioni, riconosciute o non riconosciute, e le fondazioni del Terzo Settore al superamento di determinati limiti abbiano l’obbligo della revisione legale dei conti. In particolare, in base a quanto previsto dall’articolo 31, oltre agli obblighi di nomina dell’organo di controllo, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, e le fondazioni del Terzo settore sono tenute a nominare un revisore legale dei conti o una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro quando superino, per due esercizi consecutivi, due dei seguenti limiti:

  • Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 1.100.000 euro;

  • Ricavi, rendite, proventi, entrate, comunque denominate: 2.200.000 euro;

  • Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 12 unità.

L’obbligo di nominare l’organo di revisione legale dei conti viene meno se, per due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.

Fisco e tasse 25 agosto 2017

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/23781-quando-serve-la-revisione-legale-nelle-associazioni-no-profit-e-le-fondazioni-.html

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere e integrare migranti e rifugiati.

La Santa Sede ha reso noto oggi il messaggio di Papa Francesco, firmato dal Santo Padre il 15 agosto u.s., per la 104° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata dalla Chiesa il 14 gennaio 2018.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/migration/documents/papa-francesco_20170815_world-migrants-day-2018.html

Il titolo del Messaggio richiama quattro azioni, sollecitudini, premure e sensibilità che vengono proposte da Papa Francesco il quale desidera così riaffermare che di fronte alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee, «la nostra comune risposta si potrebbe articolare attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare». Richiamando così esplicitamente quanto già affermato in occasione del suo discorso ai partecipanti al Forum internazionale “Migrazioni e Pace” (21 febbraio 2017), Papa Francesco sottolinea che «ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca (cfr Mt 25, 35.43). »

Si tratta di un’attenzione chiamata ad esprimersi concretamente e coerentemente in ogni tappa dell’esperienza migratoria (dalla partenza al viaggio, dall’arrivo al ritorno), una grande responsabilità che la Chiesa intende condividere coi credenti e con le persone di buona volontà: tutti insieme, interpellati dagli eventi della storia, sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni «con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie possibilità».

Accogliere- «Accogliere – afferma Papa Francesco – significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione».

Desiderabile per il Santo Padre un concreto impegno per incrementare e semplificare la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare; auspicabile l’adozione di programmi di sponsorship privata e comunitaria da parte di un numero maggiore di Paesi con l’apertura di corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili.

Opportuna è indicata la previsione di visti temporanei speciali per le persone che scappano dai conflitti nei paesi confinanti; non idonea la soluzione che prevede espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso Paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali. Papa Francesco ribadisce che «i programmi di accoglienza diffusa, già avviati in diverse località, sembrano invece facilitare l’incontro personale, permettere una migliore qualità dei servizi e offrire maggiori garanzie di successo».

Atteso che il principio della centralità della persona umana ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale, risulta doveroso garantire la sicurezza personale e l’accesso ai servizi di base a migranti, richiedenti asilo e rifugiati. «In nome della dignità fondamentale di ogni persona, occorre sforzarsi di preferire soluzioni alternative alla detenzione per coloro che entrano nel territorio nazionale senza essere autorizzati».

Proteggere. Il secondo verbo, proteggere, si declina in diverse azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio.

Papa Francesco richiama la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo che offre una base giuridica universale per la protezione dei minori migranti: «Ad essi occorre evitare ogni forma di detenzione in ragione del loro status migratorio, mentre va assicurato l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria. Parimenti è necessario garantire la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare degli studi. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento».

Per il Santo Padre la nazionalità dovrebbe essere riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita.

Promuovere. «Promuovere – sottolinea Papa Francesco – vuol dire adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono, siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni».

Tra queste deve essere riconosciuto il giusto valore alla dimensione religiosa, garantendo a tutti gli stranieri presenti sul territorio la libertà di professione e pratica religiosa.

Occorre sempre promuovere l’integrità della famiglia nel contesto migratorio «favorendo il ricongiungimento familiare senza mai farlo dipendere da requisiti economici».

Inoltre, migranti e rifugiati hanno competenze che vanno adeguatamente certificate e valorizzate; se “il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli”, Papa Francesco incoraggia a «prodigarsi affinché venga promosso l’inserimento socio-lavorativo di migranti e rifugiati, garantendo a tutti la possibilità di lavorare» assicurando che sia regolamentato il coinvolgimento in attività lavorative dei minori migranti al fine di prevenire abusi e minacce alla loro normale crescita.

Integrare. La crescente presenza di migranti genera al contempo opportunità di arricchimento interculturale. «L’integrazione – affermava San Giovanni Paolo II per la medesima occasione nel 2005 – non è un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini». Per consentire tale processo viene suggerita l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza in un Paese. Papa Francesco insiste sulla «necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale, documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione e sviluppando programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi».

Gianmario Fogliazza La Pietra Scartata 21 agosto 2017

www.lapietrascartata.it/spiritualita/accogliere-proteggere-promuovere-e-integrare

 

Papa Francesco, ovvero: “eccentricità” americana a Roma

 

 

“Essere una tradizione, e non una dottrina, le ha permesso di rimanere e, contemporaneamente di cambiare” (Octavio Paz). Rileggendo con grande interesse il magnifico discorso che Octavio Paz tenne a Stoccolma nel 1990, intitolato Alla ricerca del presente e pronunciato in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, ho trovato una sorprendente chiave di lettura del papato di Francesco. Sapevo che Francesco ha nel cuore la parola di Paz, ma non immaginavo di trovare definito, con tanta lucidità, uno spaccato di questo pontificato, quasi profetizzato più di venti anni in anticipo. Vorrei offrirne un breve quadro, da cui trarre alcune conseguenze per un giudizio onesto sulle caratteristiche di questo storico passaggio magisteriale.

Il carattere “eccentrico” della cultura americana. Non raramente si dimentica che una delle componenti decisive del pontificato di Francesco è costituita dal fatto di essere il “primo papa non europeo”. In quanto “americano” Francesco porta a Roma alcune caratteristiche decisive del “carattere americano”. Nel testo citato, O. Paz identifica il tratto saliente dello spirito americano in una caratteristica che identifica già in origine i paesi “conquistatori” – ossia la eccentricità insulare inglese e la eccentricità peninsulare iberica – che nel Nord America e nella America Latina avrebbero acquisito un forte senso della “differenza”, diventando a Nord “eccentricità esclusiva” e a Sud “eccentricità inclusiva”. Questo carattere “eccentrico” costituisce un ottimo criterio di comprensione del “primato della periferia”: è un mondo, la cui letteratura è giunta ad essere conosciuta e riconosciuta solo nel XIX secolo, a portare a Roma una percezione della tradizione diversa e a proporne una traduzione tanto fedele quanto audace.

Come riconoscere nell’americano Francesco il papa? Non a caso è stato un teologo sudamericano – Marciano Vidal – a porre nel modo più radicale la questione della “riconoscibilità” di Francesco come papa. Egli si è chiesto, in modo acuto: “Come è stato possibile che fin dalla sera del 13 marzo 2013 noi abbiamo potuto riconoscere in Francesco il papa e Vescovo di Roma, nonostante i suoi linguaggi – verbali e non verbali – fossero tanto diversi rispetto al passato?” La sua risposta è molto istruttiva: perché ne avevamo il “presentimento”. A partire dal Concilio Vaticano II il popolo di Dio “sapeva” che una cosa del genere avrebbe potuto accadere. E, appena è avvenuta, ha avuto i criteri per riconoscerla. Il Concilio Vaticano II ha posto le premesse per la “decentralizzazione ecclesiale”, convocando a Roma per la prima volta una Chiesa cattolica di 5 continenti diversi, e introducendo la logica di un “aggiornamento pastorale” che permetteva, finalmente, alla tradizione di rinnovare la nobile prassi di traduzione e di ricomprensione, come era sempre avvenuto lungo i secoli, e che la vicenda traumatica del XIX e XX secolo sembrava aver bloccato.

Le conseguenze sulla “dottrina”. Questa “eccentricità americana” di Francesco ha conseguenze dottrinali assai rilevanti. Non può essere ridotta né ad aneddoto antropologico né a curiosità caratteriale né a pericolo apocalittico: nella forma del linguaggio verbale e non verbale di Francesco è in gioco la tradizione dottrinale cattolica, colta in una sua fase di prezioso sviluppo. Una traduzione della tradizione accade in diretta, davanti ai nostri occhi. Con le categorie introdotte da due grandi teologi del XX secolo (G. Lindbeck e A. Dulles) possiamo dire che abbiamo a che fare qui con un diverso modello di rapporto con la dottrina e con la rivelazione. Ad un modello “proposizionale” o “esperienziale” di dottrina si sostituisce un modello “cultural-linguistico”. Potremmo dire alla classica opposizione tra proposizione dogmatica oggettiva ed esperienza di salvezza soggettiva si sostituisce la complessa mediazione linguistica, verbale e non verbale. La traduzione della dottrina comporta mutamenti decisivi sul piano del linguaggio. Guai a negarli, restando in una visione superata di ciò che è dottrina ecclesiale. Non sorprende che proprio alcuni settori americani – stilizzati su precomprensioni europee – siano i più restii a riconoscere questa dinamica preziosa.

Le implicazioni disciplinari. Diversamente da quanto spesso viene ripetuto – ossia che le novità di Francesco riguardano la disciplina e non la dottrina – bisogna riconoscere che alle novità dottrinali – dovute alla necessaria traduzione della tradizione – debbono accompagnarsi le novità disciplinari, procedurali, strutturali. Esse permettono alla Chiesa non solo di “sapere di dover uscire”, ma di uscire per davvero! E riguardano, inevitabilmente, il governo delle “curie”. Ovunque vi sia “curia” un diverso equilibrio tra soggetti deve essere assicurato, per onorare una “realtà più grande della idea”.

In conclusione, la attenzione per la “periferia” potrebbe essere, a ben vedere, non solo una esigenza nativa del Vangelo, ma anche una proiezione sul vangelo di questa caratteristica “eccentrica” dell’America e della America Latina in particolare, come frutto della eccentricità esclusiva dell’Inghilterra e della eccentricità inclusiva della Spagna e del Portogallo.

Nel magistero di Francesco parla la storia di questa “eccentricità” prima ereditata e poi rielaborata dalla cultura civile ed ecclesiale americana. Un diverso rapporto tra autorità e libertà, che caratterizza la storia americana rispetto a quella europea, porta a Roma nuove priorità e nuovi stili, di cui il Vaticano II ci aveva dato gusto e presentimento. Ci vorrà tempo per comprendere appieno, da parte di tutti, che non si tratta di una “eresia pericolosa”, ma di una “parresia provvidenziale”.

Andrea Grillo blog Come se non 23 agosto 2017

www.cittadellaeditrice.com/munera/papa-francesco-ovvero-eccentricita-americana-a-roma

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GRAVIDANZA

Quando comunicarla al datore di lavoro

Un bambino in arrivo è una delle gioie più grandi che una coppia possa provare. Ma una gravidanza non comporta solo visite mediche e preparativi vari. Per una donna che lavora, essere incinta significa doverlo comunicare all’azienda dato che, ad un certo punto della gestazione, sarà impossibilitata fisicamente a lavorare. Ma quando comunicare al datore di lavoro la gravidanza in modo da permettergli di trovare una sostituta? Non c’è una regola precisa prevista dalla legge: proprio per questo la cosa migliore è farlo al terzo mese.

Non c’è una regola fissa: dipende da come sta la donna e da che lavoro fa.

Gravidanza: quando dirlo al lavoro? Non c’è una regola specifica sul momento in cui comunicare la gravidanza in azienda. Vale quella solita: in genere, si aspetta la fine del primo trimestre prima dare l’annuncio e non certo per semplice scaramanzia. Semplicemente, questo è il periodo più critico e difficile con un alto rischio di aborti spontanei.

D’altra parte, la legge [D. Lgs. n. 151, 26.03.2001 (Testo Unico a tutela della maternità e paternità)] prevede sì l’obbligo per la lavoratrice madre di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza prima dell’inizio del congedo obbligatorio (meglio noto come maternità) ma non dice quanto tempo prima. Quindi, in teoria, si potrebbe dare l’annuncio anche il giorno prima e, cioè, due mesi prima del parto (dato che il congedo di maternità obbligatorio dura cinque mesi – due mesi precedenti la data presunta del parto e tre dopo) anche se non sarebbe molto corretto.

Naturalmente, è una scelta che va valutata caso per caso: è chiaro che non ci saranno problemi ad aspettare il terzo mese se la gravidanza procede tranquillamente ma il discorso cambia se le nausee continue e il malessere è tale da non permettere una vita serena. Le continue corse in bagno potrebbero generare pettegolezzi e, di certo, non si farebbe una bella figura se il capo venisse a sapere dello stato interessante dai colleghi e non dalla diretta interessata. Se, poi, si lavora in ambienti in cui si è continuamente esposte a sostanze potenzialmente pericolose, che possono nuocere alla salute del bambino è meglio comunicarlo subito, [subito al medico “competente, d’azienda, specialista in medicina del lavoro] chiedendo [esigendo] di essere trasferite ad altro reparto, così come anche se si svolgono mansioni svolte sono particolarmente gravose per la gravidanza, come, ad esempio, sollevare pacchi e pesi in genere.

Buona norma sarebbe informare verbalmente il datore e, in un secondo momento, inviare una comunicazione scritta per mezzo di raccomandata a/r in modo da dare all’annuncio carattere ufficiale. L’importante è dimostrarsi sicure di sé, garantendo la propria presenza fino al congedo obbligatorio (salute permettendo), pianificando il passaggio di consegne per non mettere l’azienda in difficoltà e non gravare sui colleghi.

Gravidanza: a cosa ha diritto la lavoratrice madre? La legge tutela la donna in maternità (e la madre adottiva) e il bambino garantendo alla futura mamma il diritto di potersi assentare dal lavoro per 5 mesi: 2 mesi prima e 3 mesi dopo il parto oppure, se le condizioni di salute lo consentono e previa presentazione di un certificato medico, si può lavorare fino all’ottavo mese per poi astenersi dal lavoro un mese prima del parto e per 4 mesi dopo la nascita. In questo periodo, la lavoratrice percepisce un’indennità pari all’80% della retribuzione giornaliera calcolata sulla base dell’ultimo mese di lavoro.

La domanda di maternità deve essere presentata all’Inps prima dell’inizio del congedo e, in ogni caso, non oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile (pena la prescrizione del diritto all’indennità), scegliendo una delle seguenti modalità:

  • Telematicamente dal sito dell’Inps (www.inps.it – Servizi on line);

  • Chiamando il Contact Center al numero indicato sul sito;

  • Tramite un patronato.

Alla domanda telematica si può allegare ogni documentazione utile ma il certificato medico di gravidanza ed ogni altra certificazione medico sanitaria richiesta per l’erogazione delle prestazioni economiche dovranno essere presentati in forma cartacea.

Maura Corrado La legge per tutti 25 agosto 2017

www.laleggepertutti.it/168655_gravidanza-quando-comunicarla-al-datore-di-lavoro

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INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

Incontro Mondiale delle Famiglie di Dublino 2018

Il Vangelo della Famiglia: gioia per il mondo”, questo il tema del IX incontro Mondiale delle Famiglie.

http://www.worldmeeting2018.ie/it/

Oggi, nel santuario di Knock, in Irlanda, si presenta l’itinerario di preparazione all’evento. La manifestazione internazionale, che fu voluta da Giovanni Paolo II e ha cadenza triennale, si svolgerà infatti a Dublino dal 21 al 26 agosto del prossimo anno. A illustrare appuntamenti e contenuti, l’arcivescovo Diarmuid Martin, insieme con padre Timothy Bartlett, segretario generale dell’incontro.

In una lettera del 25 marzo scorso Papa Francesco ha invitato coloro che organizzeranno e parteciperanno all’incontro ad approfondire “l’insegnamento di Amoris Lætitia, con cui la Chiesa desidera che le famiglie siano sempre in cammino, in quel peregrinare interiore che è manifestazione di vita autentica”.

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2017/documents/papa-francesco_20170325_incontro-mondiale-famiglie.html

Don Paolo Gentili, direttore dell’ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei, ha fatto parte di una delle équipe internazionali che hanno aiutato a preparare l’incontro: “Per la prima volta il comitato organizzatore ha deciso di convocare tutte le équipe delle varie conferenze episcopali del mondo. Un paio di mesi fa, proprio a questo meeting, in cui si è vissuta la fraternità, ci siamo divisi per gruppi linguistici e abbiamo cominciato a riflettere sul tema, soprattutto a preparare l’animo all’accoglienza di tante famiglie che vorranno partecipare”.

Gli organizzatori hanno inoltre creato il programma Amoris. Parliamo di famiglia! Siamo famiglia! un percorso che, a partire dall’ Amoris Lætitia, offrirà alle parrocchie di tutto il mondo, a partire dal prossimo autunno, contenuti video, testi, animazioni, attività per mettersi in cammino verso l’appuntamento del 2018.

www.worldmeeting2018.ie/it

Osserva don Paolo: “La Chiesa di Irlanda ha una partecipazione che, negli ultimi anni, si è abbassata notevolmente. E’ una Chiesa in ricerca, che sta insegnando anche metodi nuovi, il clima domestico. Noi abbiamo spesso una parrocchia che è molto impostata sulle strutture, sugli incontri che si fanno, sui cammini che si propongono, ma questo non basta. Occorre di più: entrare nelle case e vivere la quotidianità anche della vita familiare davvero da vicino, scoprendo la dinamica del Vangelo come motore. Forse oggi abbiamo trovato nella famiglia la chiave di volta, non tanto il problema da risolvere, ma davvero la fessura che mostra una luce con cui essere una nuova comunità che profuma di Vangelo famigliare”.

I momenti previsti dal programma del IX Incontro internazionale saranno: il 21 l’inaugurazione in tutte le Diocesi irlandesi, dal 22 al 24 il congresso, il 25 il festival delle famiglie e il 26 la Messa di chiusura.

http://www.worldmeeting2018.ie/it/Programme/At-a-Glance

Eugenio Murrali Radio vaticana 21 agosto 2017

http://it.radiovaticana.va/news/2017/08/21/incontro_famiglie,_don_gentili_famiglia_chiave_di_volta/1331942

 

Mondiale delle Famiglie 2018

E’ iniziato il conto alla rovescia per l’Incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà l’anno prossimo a Dublino, in Irlanda, dal 22 al 26 agosto. Mons. Diarmuid Martin, arcivescovo della città, ha presentato lunedì scorso il programma di preparazione all’evento presso il santuario mariano di Knock, il maggiore d’Irlanda. L’Incontro Mondiale delle Famiglie fu istituito da Giovanni Paolo II nel 1994.

Linda Bordoni ha chiesto a padre Timothy Bartlett, segretario generale dell’Incontro Mondiale delle Famiglie 2018, come sta procedendo la preparazione dell’evento:

R. – We had a tremendous turnout: each diocese was represented, of the 26 …

Abbiamo avuto una partecipazione straordinaria: ci sono stati i rappresentanti di tutte le 26 diocesi irlandesi, sono venute famiglie dalle diocesi, erano presenti tutti i vescovi irlandesi che al momento si trovano nel Paese … è stata una giornata meravigliosa! La preparazione procede ottimamente: gli ascoltatori interessati possono trovare tutte le informazioni relative alla programmazione della preparazione sulla nostra pagina web (www.worldmeeting2018.ie), alla quale possono anche registrarsi, qualora fossero interessati a unirsi a noi.

D. – Guardando agli eventi previsti per il 2018, ci indica alcuni punti salienti?

R. – I should say first of all that both the preparations during the coming year …

Vorrei dire innanzitutto che sia la preparazione che si svolgerà qui, in Irlanda, nel corso del prossimo anno, ma ovviamente anche quella che si svolgerà in tutti i Paesi, è incentrata sulla richiesta di Papa Francesco di aiutare le famiglie a riflettere su molti dei temi citati nella Amoris Lætitia, la gioia dell’amore. L’evento stesso riunirà le famiglie in uno splendido Centro conferenze, quasi un piccolo villaggio, in cui le famiglie possono incontrarsi. In questo Centro saranno previste molte attività di intrattenimento, momenti di fede, gruppi di lavoro che faranno incontrare le migliaia di persone presenti.

Ci sarà poi ogni giorno un programma per i bambini, per i giovani; poi ci saranno anche incontri multimediali, che affronteranno argomenti trattati nell’enciclica, compresi aspetti molto pratici come: “Quale è l’impatto della tecnologia, oggi, sulla vita familiare?”, tema sollevato proprio dal Papa nella Amoris Lætitia. Qui in Irlanda abbiamo praticamente la “Sylicon Valley” d’Europa perché ci sono le sedi centrali di alcuni delle maggiori aziende tecnologiche del mondo, come Facebook, Google, Twitter e così via. Stiamo pensando di invitare queste aziende a venire a parlare con le famiglie proprio per capire come rendere la tecnologia più “amica delle famiglie”. Ecco: ci saranno tantissimi argomenti di punta come questi, ma anche tante attività di divertimento per le famiglie, e momenti per la fede.

Linda Bordoni Radio vaticana 24 agosto 2017

http://it.radiovaticana.va/news/2017/08/24/incontro_mondiale_delle_famiglie_a_dublino/1332536

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PASTORALE FAMILIARE

La lettera di Sant’Agostino che insegna all’uomo come amare la donna

Nella concezione agostiniana dell’amore, l’uomo è in grado di amare grazie all’Amore di cui Dio gli ha fatto dono. Un uomo che non avesse conosciuto l’Amore di Dio prima di farne esperienza umana, non sarebbe in grado di provarne appieno la gioia.

È per questa ragione che l’amore tra un uomo ed una donna è descritto da Sant’Agostino con parole così ispirate, nonostante il Santo fosse pienamente consapevole dei rischi correlati agli equivoci della possessività, del desiderio, della cupiditas, di tutto quanto sembra oro, insomma, ma non luccica.

Lettera di Sant’Agostino:

Giovane amico, se ami questo è il miracolo della vita.

Entra nel sogno con occhi aperti e vivilo con amore fermo.

Il sogno non vissuto è una stella da lasciare in cielo.

Ama la tua donna senza chiedere altro all’infuori dell’eterna domanda che fa vivere di nostalgia i vecchi cuori.

Ma ricordati che più ti amerà e meno te lo saprà dire. Guardala negli occhi affinché le dita si vincolino con il disperato desiderio di unirsi ancora; e le mani e gli occhi dicano le sicure promesse del vostro domani.

Ma ricorda ancora, che se i corpi si riflettono negli occhi, le anime si vedono nelle sventure.

Non sentirti umiliato nel riconoscere una sua qualità che non possiedi.

Non crederti superiore poiché solo la vita dirà la vostra diversa sventura.

Non imporre la tua volontà a parole, ma soltanto con l’esempio.

Questa sposa, tua compagna di quell’ignoto cammino che è la vita, amala e difendila, poiché domani ti potrà essere di rifugio.

E sii sincero giovane amico, se l’amore sarà forte ogni destino vi farà sorridere.

Amala come il sole che invochi al mattino. Rispettala come un fiore che aspetta la luce dell’amore.

Sii questo per lei, e poiché questo deve essere lei per te, ringraziate insieme Dio, che vi ha concesso la grazia più luminosa della vita!

http://cristianità.it/lettera-di-santagostino-alluomo

 

La Bibbia ti dice come amare tua moglie?

Hai una compagna per tutta la vita, che benedizione! Ringrazia Dio e prega per lei ogni giorno. Pensa a quanto saresti solo senza di lei. Adamo era solo e non era un bene per lui, per cui Dio gli ha dato una sposa. Hai una compagna per tutta la vita, che benedizione! Ringrazia Dio e prega per lei ogni giorno.

Gli sposi hanno la responsabilità di amare e onorare le proprie mogli. Ti piacerebbe essere un marito che ama la propria sposa come Cristo ha amato la Chiesa? Segui questi consigli:

  1. “Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa” (Efesini 5,25). L’amore di Cristo per la Chiesa è illimitato, non lo ferma nulla; Egli ha dato la sua vita per la Chiesa. Sotto l’autorità di Dio, ama la tua sposa come se donassi la tua vita a Dio.

  2. “Ciascuno ami la propria moglie come se stesso” (Efesini 5,28-33). Prenditi cura delle necessità e del benessere della tua sposa. Prova il suo dolore e la sua malattia, e gioisci della sua buona salute come se fosse la tua stessa vita. Le sue necessità spirituali, fisiche, emotive o economiche devono meritare il tuo sforzo assoluto. Solo in questo modo puoi amarla e provvedere a lei come fai con te stesso.

  3. “Voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli” (1 Pietro 3,7). Bisogna rinunciare a se stessi. Quando tua moglie deve sollevare cose pesanti, fallo tu! Se ha bisogno di tempo, daglielo! Aiuta tua moglie con tutta la tua energia, mostrale il tuo amore con ogni considerazione. Prega e chiedi a Dio la grazia per vedere in quali occasioni agisci in modo sconsiderato, e correggi il tuo comportamento.

  4. “Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse” (Colossesi 3,19). Quando una moglie è sensibile, le risposte crudeli, il tuo essere infastidito, i toni di voce irritati e l’impazienza la colpiranno profondamente. Agisci e rivolgiti a lei sempre con gentilezza e rispetto. Ricorda che tua moglie è un dono prezioso che Dio ti ha fatto.

  5. “Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia” (Ebrei 13,4). Gesù dice che “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo 5,28). Mantieni il tuo matrimonio puro allenando il tuo cuore e i tuoi occhi perché siano fedeli alla tua sposa. Il tuo matrimonio ne trarrà grande beneficio! Ringrazia il Signore per la bellezza e apprezzala, ma mantieni i tuoi occhi, la tua gioia, la tua mente e il tuo cuore concentrati sulla tua sposa.

  6. Perché, figlio mio, invaghirti d’una straniera e stringerti al petto di un’estranea?” (Proverbi 5,20). Trovare attraenti le altre donne e guardarle deteriorerà la visione che hai della tua sposa. Sarai meno soddisfatto di lei, e lei si sentirà meno speciale per te. Nessun uomo può prendere l’abitudine di guardare altre donne senza che sua moglie lo noti. Quando chiedi a Dio la grazia di considerare attraente solo tua moglie, anche lei lo noterà e si sentirà la regina del mondo, e tu ti innamorerai di più di lei.

  7. “I suoi figli sorgono a proclamarla beata e suo marito a farne l’elogio” (Proverbi 31,28). Dille che è speciale e che è migliore di qualsiasi altra donna sulla terra. Non menzionare solo la sua bellezza fisica, ma quanto la apprezzi come persona. Vedrai come gioirà la tua sposa mentre le riempirai le orecchie di elogi. Anela a quelle parole e vuole sentirle da te!

  8. “Chi ha trovato una moglie ha trovato una fortuna, ha ottenuto il favore del Signore” (Proverbi 18,22). Pensa a quanto saresti solo senza di lei. Adamo era solo e non era un bene per lui, per cui Dio gli ha dato una sposa. Hai una compagna per tutta la vita, che benedizione! Ringrazia Dio e prega per lei ogni giorno.

  9. “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola” (Matteo 19,5). Goditi la vita con lei. Affrettati ad arrivare a casa quando esci dal lavoro. Pensa a lei durante la giornata, chiamala ogni giorno. Imparate ad arrivare ad accordi come coppia. Investite il vostro tempo a conversare e a condividere gli eventi della giornata. Mostra un interesse autentico, ascoltando attentamente, prestando un’attenzione completa e guardandola negli occhi. Siate come se foste una cosa sola.

  10. Onorate le vostre mogli “perché partecipano con voi della grazia della vita: così non saranno impedite le vostre preghiere” (1 Pietro 3,7). Nel sacramento del matrimonio, tu e la tua sposa avete ricevuto la stessa grazia. Coltivala: assistete insieme alla Messa e visitate il Santissimo Sacramento, recitate il Rosario, costruite il vostro matrimonio su Gesù e dando la mano a Maria.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

https://it.aleteia.org/2014/09/08/sapevi-che-la-bibbia-ti-dice-come-amare-tua-moglie

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SEPARAZIONE

Conto cointestato: le somme prelevate quando la coppia è in crisi vanno restituite

Tribunale di Roma, prima Sezione civile, sentenza n. 11451, 6 giugno 2017

Se non sono provati né il reimpiego per necessità familiari né lo spirito di liberalità nulla impedisce la condanna alla restituzione. Il coniuge che preleva dal conto corrente cointestato dei soldi per sé e non per i figli quando ormai il rapporto di coppia è in crisi conclamata è tenuto a restituirli all’altro.

Con la sentenza, il Tribunale di Roma ha infatti condannato una donna a rendere al marito (unico percettore di reddito) le somme attinte dal conto per acquistare l’ennesima autovettura, per circoli sportivi, per donne di servizio e per l’assicurazione di 5 macchine. Il tutto quando ormai era separata di fatto dall’uomo.

Nel sancire la condanna della donna alla restituzione delle somme, il Tribunale di Roma non ha omesso di considerare che l’articolo 1911 del codice civile esclude dall’obbligo restitutorio in favore della comunione legale le somme che il coniuge preleva dal patrimonio comune solo se le stesse vengono impiegate per adempiere le obbligazioni previste dall’articolo 186 del codice civile (ovverosia quelle contratte per il mantenimento della famiglia o comunque nel suo interesse o per l’istruzione e l’educazione dei figli).

Nel caso di specie, invece, mancava del tutto la prova che le somme prelevate dalla donna erano state reimpiegate per necessità familiari, ma anzi in corso di causa era emerso che le stesse erano state utilizzate per fini del tutto diversi.

Per salvarsi dalla condanna, la donna aveva anche tentato di ricondurre la messa a disposizione da parte del marito delle somme versate sul conto corrente cointestato allo spirito di liberalità, peraltro senza offrire in giudizio né una più precisa deduzione in merito né alcuna prova.

Per i giudici, tuttavia, occorre ricordare che la cointestazione con firma e disponibilità disgiunte di una somma di denaro appartenente a uno solo dei cointestatari (come nel caso di specie) è donazione diretta solo se viene riscontrata l’effettiva esistenza dell’animus donandi. Peraltro ciò vale solo per il denaro versato prima della cointestazione, mentre per le somme versate dopo la donazione indiretta è preclusa dal divieto di donazione di beni futuri.

Oltretutto, la mera esistenza del vincolo coniugale non permette di ritenere che la cointestazione dei conti persegua il solo scopo di liberalità. Spesso, infatti, essa trova fondamento in esigenze di carattere pratico e di migliore gestione del ménage familiare.

La donna dovrà quindi restituire all’ex ben 102mila euro

Valeria Zeppilli –Newsletter Giuridica Studio Cataldi 24 agosto 2017 Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/27214-le-somme-prelevate-dal-conto-cointestato-quando-la-coppia-e-in-crisi-vanno-restituite.asp

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STALKING

Come difendersi dallo stalking?

Se l’ex ti perseguita o il vicino di casa ti pedina tanto da costringerti a cambiare abitudini si tratta di stalking: devi querelarlo o presentare una richiesta di ammonimento.

Il tuo ex continua a telefonarti a ogni ora del giorno e della notte, nonostante tu gli abbia detto chiaramente che è finita? Il vicino ti segue ogni volta che esci di casa, sfruttando ogni pretesto per attaccare bottone in modo insistente e fastidioso? Il tuo datore di lavoro non perde occasione di farti avances anche pesanti? La questione è chiara: sei vittima di stalking [Art. 612 bis cod. pen.] e devi assolutamente correre ai ripari. Come fare? Come difendersi dallo stalking? Ci sono diversi modi: puoi presentare una querela alla procura della repubblica o ai carabinieri o puoi rivolgerti al questore. Vediamo nel dettaglio.

Con internet i casi di sono aumentati a dismisura

La parola “stalking” fino a qualche anno fa era sconosciuta. Ma è bastato poco per farla balzare agli onori delle cronache, anche perché con la diffusione di internet è più facile non solo realizzare lo stalking ma anche renderlo più incisivo e danneggiare maggiormente la vittima. Ma di cosa si tratta esattamente? Lo stalking può consistere in molestie e minacce come telefonate, anche mute, sms, mail, lettere. Oppure si può optare per i “metodi classici”: pedinamenti, appostamenti sotto casa, richiesta insistente di informazioni sulla vittima a parenti e amici e atti vandalici nei suoi confronti: per intenderci, una riga sulla fiancata della macchina, mazzi di fiori inviati continuamente fino alle condotte più conosciute come quella del fidanzato che, non rassegnandosi alla fine della storia, arriva a pronunciare frasi del tipo “Se non torni con me te la farò pagare” o “Se non ci ripensi non finisce male” e simili.

Attenzione: non per forza, perché ci sia stalking, deve esserci di mezzo una storia d’amore o di innamoramento. Si pensi al cosiddetto stalking condominiale che consiste in ripetute persecuzioni ai danni di un vicino di casa. Ciò che davvero conta, perché possa configurarsi il reato in questione, è che il comportamento dello stalker sia tale da creare nella vittima un perdurante stato di ansia o di paura tanto da costringerla a modificare le proprie abitudini di vita. Oppure la condotta deve determinare un fondato timore per l’incolumità propria o di un familiare.

Come difendersi allora? I modi sono diversi:

  • Si può presentare ai carabinieri o alla procura della repubblica una querela seguendo la procedura spiegata qui: in questo modo, in sostanza, si decide di intraprendere un processo penale vero e proprio con tutto quello che ne consegue;

  • Si può presentare al questore una richiesta di ammonimento, a patto che non sia già stata sporta querela;

  • Ci si può rivolgere ad un centro antiviolenza per chiedere aiuto e mettere in sicurezza eventuali figli. È stato istituito anche un numero verde presso il dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per offrire assistenza psicologica e giuridica e per comunicare, nei casi di urgenza, alle forze dell’ordine gli atti persecutori segnalati dalla vittima.

C’è poi la possibilità di rivolgersi al giudice perché emetta gli ordini di protezione: ad esempio, l’allontanamento dalla casa familiare.

Altro strumento è una misura cautelare specifica: il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con cui il giudice, in poche parole, vieta allo stalker di avvicinarsi alla vittima e ai luoghi che frequenta di solito (o che frequentano i suoi familiari o il convivente) o gli impone di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla stessa persona offesa. Il giudice può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con queste persone. Nei casi più gravi, si ricorre agli arresti domiciliari o addirittura la custodia cautelare in carcere: ad esempio quando lo stalker non abbia rispettato la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima.

Stalking: che significa ammonimento e che succede? Se la vittima intende tutelarsi senza, tuttavia, ricorrere a una denuncia e, quindi, alla via giudiziaria, in genere chiede che lo stalker venga ammonito. In pratica, riferisce i fatti al questore che, dopo aver assunto informazioni dagli organi investigativi e dalle persone informate sui fatti denunciati, può ammonire oralmente il colpevole: in sostanza lo invita a tenere una condotta conforme alla legge [Art. 8, L. n. 38, 23.04.2009].

Tuttavia, il semplice ammonimento può non bastare: a questo punto sarà il pubblico ministero a decidere di perseguire e punire il colpevole, anche se la vittima non dovesse essere d’accordo.

Inoltre, se il reato è commesso nei confronti di minori o di persone disabili oppure se è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio sarà perseguibile d’ufficio anche lo stalking (e cioè anche se la vittima non presenta nessuna querela).

Maura Corrado La legge per tutti 26 agosto 2017

www.laleggepertutti.it/167814_come-difendersi-dallo-stalking-2

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TRIBUNALE PER I MINORENNI

Salvi i tribunali per i minorenni

Dopo mesi di proteste, stralciata la contestata norma introdotta nel pacchetto di riforma sulla giustizia. Soddisfatto Paolo Tartaglione, educatore e promotore di una petizione che ha raccolto oltre 26mila firme. Che rilancia: “Ora si ragioni su una vera riforma della giustizia minorile”

Dopo mesi di proteste da parte di attori diversi (dal terzo settore alle Camere minorili), i Tribunali per i minorenni sono salvi. Ai primi di agosto, in occasione di una visita a una casa famiglia di Torre Annunziata (Na), il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha annunciato la decisione di stralciare la norma relativa alla riforma della giustizia minorile dal più ampio progetto di modifica della giustizia civile.

“Siamo molto soddisfatti per la decisione del ministro”, commenta Paolo Tartaglione, referente “Infanzia, adolescenza e famiglia” del CNCA Lombardia e responsabile della cooperativa milanese Arimo, promotore di una petizione su Change.org che ha raccolto circa 26mila firme (tra cui quelle di Gherardo Colombo, Nando dalla Chiesa e Giuliano Pisapia) per dire “no” alla cancellazione del tribunale per i minorenni.

La riforma – così come era stata presentata nei primi mesi del 2016 – prevedeva la cancellazione dei tribunali per i minorenni, accorpandone le funzioni all’interno di non meglio precisate “sezioni specializzate” in tema di famiglia all’interno dei tribunali ordinari. Questo progetto aveva fatto scattare immediatamente l’allarme tra i molti professionisti – avvocati, giudici, operatori del terzo settore – che si occupano di giustizia minorile. “Fin dall’inizio abbiamo chiesto lo stralcio di questi articoli-spiega Tartaglione-. Inoltre nel corso dei mesi abbiamo assistito a un progressivo peggioramento del testo, un fatto che ci ha molto preoccupato”.

Per l’attuazione del passaggio formale che permetterà lo stralcio della norma sarà necessario aspettare il mese di settembre, con la riapertura del Parlamento. Salvo sorprese dell’ultimo minuto, il rischio di vedere sparire i tribunali e le procure per i minorenni è ormai superato. Per Paolo Tartaglione, tuttavia, “sarebbe importante approfittare dell’attenzione che si è creata su questo tema per ragionare di una vera riforma della giustizia minorile. Una riforma scritta in concerto con chi veramente si occupa tutti i giorni di minorenni”. Tra i nodi aperti, evidenzia Tartaglione, c’è la necessità di riportare tutte le competenze relative ai minorenni sotto un unico tribunale. “Competenze che oggi sono suddivise fra tribunale ordinario, tribunale minorile e giudici tutelari”, precisa il referente di Cnca.

Una vera riforma della giustizia minorile, conclude Tartaglione, “non può prescindere dalla partecipazione dei diversi soggetti che, a vario titolo, sono protagonisti della giustizia minorile: l’Associazione nazionale dei magistrati per i minorenni, le Camere minorili e il terzo settore”.

Ilaria Sesana — altrəconomia 18 agosto 2017

https://altreconomia.it/salvi-tribunali-minorenni/?utm_source=wysija&utm_medium=email&utm_campaign=NL+24+agosto+2017

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VIOLENZA SESSUALE

Il reato di violenza sessuale

Il reato di violenza sessuale rientra tra i delitti contro la libertà sessuale, a loro volta ricompresi nella più ampia categoria dei delitti contro la libertà individuale. L’attuale disciplina si è radicata nel nostro ordinamento a seguito delle modifiche al codice penale introdotte dalla legge numero 66 del 15 febbraio 1996. Prima dell’intervento di questa legge i delitti sessuali erano collocati tra i reati contro la moralità pubblica e il buon costume.

La modifica della collocazione è chiara dimostrazione della nuova concezione della sessualità come diritto della persona umana, disponibile solo da parte del titolare e non più collegata ad una valutazione moralistica. Oltretutto, ed è questa un’ulteriore significativa novità della riforma del 1996, quello che oggi è un unico reato, ovverosia la violenza sessuale, all’epoca era suddiviso in atti di libidine violenti e violenza carnale.

La vecchia formulazione del codice penale prevedeva come delitti anche le fattispecie, ora abrogate, di ratto a fine di matrimonio, ratto a fine di libidine, ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma a fine di libidine o matrimonio e seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata.

Altre novità di rilievo, che hanno reso la legge n. 66 una vera e propria svolta epocale in materia, sono innanzitutto la procedibilità a querela irrevocabile da presentare non più entro tre mesi ma entro sei e l’eccezione alla perseguibilità a querela nel caso in cui il fatto venga commesso verso persona di età minore di quattordici anni o da pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio, genitore o altra persona affidataria per ragioni di cura, educazione, istruzione e vigilanza.

Rilevano, poi, la previsione di una pena molto più elevata in caso di violenza sessuale di gruppo; la non punibilità, a determinate circostanze, della sessualità tra minori e la tutela della riservatezza della persona che, durante il processo, non può essere sottoposta a domande sulla vita privata o sulla propria sessualità tranne nel caso in cui esse non siano necessarie a ricostruire i fatti.

La violenza sessuale (articolo 609-bis c.p.) In sostanza, oggi il codice penale punisce come violenza sessuale, all’articolo 609-bis, la condotta di colui che con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringa taluno a compiere o subire atti sessuali e quella di colui che induca un altro soggetto a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

La pena è quella della reclusione da cinque a dieci anni.

Il testo della norma: Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Soggetto attivo e passivo. Più nel dettaglio, la condotta sanzionata è quella di “chiunque” ponga in essere la condotta sanzionata, con la conseguenza che quello in esame configura un’ipotesi di reato comune.

Allo stesso modo alcuna restrizione è operata dal legislatore con riferimento al soggetto passivo.

Le persone coinvolte nella fattispecie criminosa, quindi, possono essere indistintamente uomini e donne, con la conseguenza che rientrano nella sfera di applicazione del reato in esame anche eventuali condotte omosessuali.

Le condotte punibili come violenza sessuale. Il delitto di violenza sessuale è a forma vincolata, perché il fatto di reato consiste necessariamente nel compimento di atti sessuali in contrasto con la volontà del soggetto passivo. Laddove manchi il dissenso viene meno la tipicità del fatto.

Più nel dettaglio, le condotte punibili contemplate dalla norma sono di due specie: da un lato c’è la fattispecie di violenza sessuale per costrizione, dall’altro quella per induzione.

Soffermandoci in particolar modo sulla prima, occorre chiarire che la costrizione, secondo quanto previsto dalla norma, avviene per violenza, minaccia o abuso di autorità.

È interessante quindi specificare che per violenza deve intendersi l’esercizio di forza fisica per contrastare la resistenza della vittima, per minaccia l’espresso avvertimento che in caso di opposizione alla violenza verrà arrecato un danno alla vittima o ad altre persone o cose, per abuso di autorità il coartare la volontà del soggetto utilizzando la propria posizione di superiorità o preminenza.

Per quanto riguarda l’induzione, la norma è più chiara laddove prevede che essa deriva dall’abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima o dall’inganno circa la propria identità.

Elemento soggettivo del reato di violenza sessuale. L’elemento soggettivo previsto per il reato di violenza sessuale è il dolo generico, in quanto è del tutto indifferente la finalità che spinge il colpevole a porre in essere il comportamento illecito. Ciò che è necessario accertare è la volontà di costringere il soggetto passivo all’atto sessuale attraverso violenza o minaccia o, nel caso di abuso di autorità, la coscienza di porre in essere la condotta abusando della propria posizione.

Più in generale è necessario accertare la coscienza di ledere la libertà sessuale della vittima.

La consumazione del reato. Il reato di violenza sessuale è di mera condotta e si consuma nel momento e nel luogo in cui è compiuto l’atto sessuale.

Nel caso di più atti sessuali, deve ritenersi che si sia di fronte a atti comunque distinti e uniti dal vincolo della continuazione, indipendentemente dal fatto che il contesto di azione sia unico.

Il tentativo è configurabile.

Circostanze aggravanti. L’articolo 609-ter c.p. prevede delle circostanze al ricorrere delle quali la pena prevista in generale per la violenza sessuale è aggravata.

Nel dettaglio è prevista la reclusione da sei a dodici anni se i fatti sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto quattordici anni; con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale; nei confronti di persona che non ha compiuto sedici anni e della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore; all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto di istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa; nei confronti di donna in stato di gravidanza; nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza; se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività; se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

La pena è ulteriormente aggravata, ovverosia quella della reclusione da sette a quattordici anni, se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto dieci anni.

Avv. Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 24 agosto 2017

www.studiocataldi.it/articoli/19475-il-reato-di-violenza-sessuale.asp

 

La violenza sulle donne. Femminicidio, due idee sull’educare per evitare altri errori

Contro il femminicidio non bastano le buone leggi. Non basta la repressione poliziesca. Si fa strada la consapevolezza che alcuni errori educativi possono generare, in perfetta buona fede e con le migliori intenzioni, personalità maschili talmente fragili da risultare permeabili alla tentazione della violenza.

Ecco un paio di idee per affrontare le priorità educative che ritengo più urgenti.

Liberare i bambini dall’eccesso di soffocamento materno. Viviamo un eccesso di ruolo materno, di cura, di controllo. Le madri a volte soffocano i figli. Fuori dal lettone dopo i 3 anni; giù dal passeggino a 4 anni; via il pannolino a 2 anni; autonomia nelle pratiche di pulizia personale dai 5/6 anni. I bambini vanno liberati. So di madri che, per eccesso di zelo e di controllo, curano l’igiene del figlio di 9 anni e lo tengono nel lettone con sé, e non si rendono conto di mantenere il proprio bambino in una situazione di ambiguità, anche un po’ morbosa, in cui il piccolo fatica a sviluppare autonomia e vive situazioni che possono essere fonte di umiliazione e frustrazione profonda. Il desiderio, poi, di eliminare la figura femminile può nascere anche da qui.

Occorre che entri in gioco il padre: non il padre amicone, divertente, sempre disponibile. Parlo del padre paterno, che mette limiti, che incentiva l’autonomia, che stimola l’esplorazione della vita e valorizza la fatica del crescere senza diventare dispotico. E, quando il padre non c’è, alla madre tocca anche questo ruolo paterno di crescere figli autonomi e responsabili, non bambini annoiati da tutto, con la vita facile e le difficoltà azzerate.

La virilità è una questione di argini, limiti, sponde, coraggio e avventure. Aiutarli a litigare bene. Aumenta nei ragazzi la carenza conflittuale. Si tratta dell’incapacità di affrontare e gestire le difficoltà relazionali. La violenza contro le donne non ha matrici passionali o amorose: è brutalità allo stato puro, incapacità totale di gestire le proprie reazioni emotive, volontà di possesso e di dominio assoluto, come se i corpi fossero una proprietà privata e potessero essere resi in schiavitù perpetua. Agli uomini violenti nessuno ha insegnato a litigare bene.

Il litigio infantile è stato sostanzialmente represso e punito, con punizioni anche particolarmente violente e pesanti. Questo ha impedito, e può ancora impedire ai bambini di imparare a stare nelle contrarietà. Non imparano ad ascoltare l’opinione degli altri; non imparano ad affrontare la divergenza; non imparano a tollerare un’opposizione alla propria volontà. Sviluppano così una profonda incapacità a relazionarsi bene nelle situazioni critiche e finiscono con l’esplodere. Da qui la rabbia e la violenza.

Meglio che imparino a litigare da piccoli, potranno acquisire competenze preziose per il loro futuro di uomini. L’adulto aiuta i bambini a scambiarsi tra di loro le reciproche versioni del litigio. Non punisce ma stimola il confronto. Un giovane maschio cresciuto nel rispetto delle regole, nella soddisfazione dell’autonomia e nel riconoscimento delle ragioni altrui, non potrà essere un uomo violento con una donna. E saprà vivere la sua identità maschile senza dover negare quella dell’altro sesso.

Daniele Novara, pedagogista Avvenire 18 agosto 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/due-idee-sulleducare-per-evitare-altri-errori

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