UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 663 – 20 agosto 2017
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984
Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone
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Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
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Link a siti internet per documentazione.
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01 ADOZIONEIl legittimo desiderio del figlio: adozione e fecondazione eterologa.
02 ADOZIONI INTERNAZIONALI Haiti punta sulla famiglia
03 AFFIDO non è un problema, ma una risorsa da rilanciare
04 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Grava sui genitori a prescindere da potenzialità economiche.
04 CONSULENTI COPPIA E FAMILIARIA.I.C.C. e F. Giornata di Studio a Milano. 22 ottobre 2017.
04 CONSULTORI FAMILIARI Torino. Punto Familia. Lettera di Dio ad uno sposo.
05 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Cremona. Il consultorio Ucipem protagonista nell’attività educativa
06 DALLA NAVATA XX domenica del tempo ordinario – Anno A – 20 agosto 2017
06 Donna, grande è la tua fede! (Enzo Bianchi)
08 ETS (già onlus) NON PROFIT Codice del 3°Settore definisce figura del volontario e detta le norme
08 FIGLIO La costruzione di un figlio
09 OMOFILIA Rileggendo l’insegnamento del magistero cattolico sulle relazioni.
12 PENSIONE DI REVERSIBILITÀ Alla 2° moglie il 75% anche se il matrimonio è durato meno del 1°
13 SESSUALITÀ Scout gay, un caso da affrontare.
14 STERILITÀ Staminali: spermatozoi da orecchio per sterilità genetica maschile.
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ADOZIONE
Il legittimo desiderio del figlio: la scelta etica della adozione e il vulnus inferto dalla fecondazione eterologa
Il Comitato del Laici per i diritti civili, legalmente supportato dall’avvocato Schuster, ha annunciato azioni giudiziarie nei confronti della Provincia, rea di non garantire adeguatamente il «servizio» di fecondazione eterologa, diversamente da quanto accadrebbe nel restante territorio nazionale.
Mi permetto, direttore, di chiederle ospitalità, nella speranza di animare un dibattito franco e sereno su un tema che involge enormi problemi morali e giuridici, quali resistenza o meno di un «diritto» al figlio, l’interesse di questi a conoscere le proprie origini, la ‘differenza abissale tra eterologa e adozione, la (irresponsabilità del genitore biologico, il mercato dei gameti, i rischi di selezione eugenetica…).
Muovo da un punto che presumo comune: l’aspirazione al figlio, desiderio naturalissimo che abita nel cuore di molte coppie e che non ci è dato di giudicare. In quarant’anni di volontariato su queste frontiere, che mi ha insegnato tanto, ho incontrato decine e decine di quelle coppie, riscontrando la profondità, finanche l’angoscia di quel desiderio, nei cui confronti la politica ha sinora palesato scarsa attenzione. Se, come sta accadendo, esso rischia però di trasformarsi in «diritto», la questione si fa assai delicata, considerati i soggetti coinvolti. E qui vengo a un altro punta che, presumo, ci accomuna: la tutela dell’anello più debole della catena, cioè del figlio. Se il diritto ha un senso, quello di difendere i deboli mi pare rientri tra i suoi fini precipui, per cui è da lui che si deve partire.
Mi limiterò a un problema, peraltro fondante: quello dell’etica della responsabilità da parte del genitore biologico. Per essa, nell’accezione resa canonica da M. Weber, ciascuno risponde delle conseguenze prevedibili delle proprie azioni.
Ora, nella fecondazione eterologa il cedente (non lo chiamo «donatore» poiché normalmente riceve un compenso, spesso lauto) non assume obbligo alcuno verso il figlio, anzi taglia consapevolmente sin dall’inizio ogni relazione con lui. Il quale, cosa ancor più grave, è spogliato della conoscenza e della relazione con chi gli ha dato origine e pure del sapere «come» è stato procreato, eventi fondamentali per la sua vita, recuperabili solo in parte mediante acquisizioni tardive circa le modalità del suo concepimento e l’identità del padre biologico.
Che ne è allora, nella Fivet eterologa, della cennata etica della responsabilità – che dovrebbe fondare la società e la dignità della persona – se detta Fivet assume a propria base proprio quel criterio d’irresponsabilità che nega alla radice quell’etica, tanto più con aggravante del far entrare la procreazione umana nell’area del valore economico alla luce del compenso corrisposto al cedente? È pertanto un vulnus profondo quello inferto dall’eterologa, perché incide sulla relazione primaria e fondante: quella tra genitore e figlio.
Se, infatti, non tutti siamo genitori, tutti siamo figli e questo dice rapporto col genitore e dovere – responsabilità di questo verso quello. A rafforzativo si può citare anche la Costituzione (articolo 30) che appunta in capo ai genitori il dovere di prendersi cura dei figli, anche se «illegittimi». È «prendersi cura» violare nel figlio la certezza dell’identità genitoriale, deprivarlo del rapporto con chi l’ha concepito, dar vita alla dualizzazione del padre, che ricade inevitabilmente sul figlio etile prese con una doppia provenienza, col rischio di alterare il rapporto tra le generazioni? È farsi carico del figlio alimentare in lui una struggente nostalgia delle proprie origini biologiche, quindi del genitore originario? Mi rammenta Telemaco, che aspettava Ulisse per ritrovare se stesso e il proprio destino!
Non rischia di nascondersi dietro a siffatti posizioni l’idea di una pressoché illimitata libertà degli adulti verso i figli, specie se concepiti o neonati?
Il bene comune si consegue guadagnando momenti cooperativi tra i consociati o conferendo essi il massimo di libertà possibili per raggiungere i propri scopi personali, magari nell’illusione che ciò possa portare ad un qualche bene comune?
Perché il Parlamento non mette mano a una riformi delle adozioni internazionali che le renda più snelle e meno costose e non riavvia quelle interne con un’adeguata politica familiare e natalista, che avrebbe anche il pregio di risollevare l’economia, come molti esperti hanno documentato? Perché non s’incentiva in modo robusto la lotta alle cause della sterilità, atteso il successo che essa ha sortito nelle nazioni in cui è stata avviata?
Pino Morandini L’Adige” News Ai. Bi. 18 agosto 2017
www.aibi.it/ita/il-legittimo-desiderio-figlio-scelta-etica-adozione-vulnus-inferto-fecondazione-eterologa
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Haiti punta sulla famiglia
Vietati i matrimoni gay e adozioni internazionali aperte solo a coppie sposate da almeno 5 anni. E’ di questi giorni la notizia che il Senato di Haiti ha varato una proposta di legge che vieta il “matrimonio” gay. La legge haitiana definisce già matrimonio solo quello tra un uomo e una donna. Il disegno di legge è ora alla Camera dei Deputati di Haiti e, se viene approvato, dovrà essere promulgato dal Presidente della Repubblica.
L’attenzione alla “famiglia” – mamma e papà – da parte dell’Isola caraibica anche in materia di adozione internazionale è sempre stata alta, a riprova i requisiti previsti dalla nuova legge sulle adozioni che recepisce i principi della Convenzione dell’Aja (entrata in vigore in Haiti il 1° aprile 2014) approvata dal Parlamento nell’agosto del 2013: le coppie che intendono adottare ad Haiti devono essere sposate da almeno 5 anni o aver convissuto per un periodo stabile e continuativo di almeno 5 anni.
L’età minima di almeno uno dei coniugi è di 30 anni e il limite massimo per gli aspiranti genitori di 50 anni. I tempi di attesa per l’abbinamento sono di circa due anni ma per disponibilità più ampie (minori dai 7 anni in su o con problematiche di salute) possono essere più brevi. La legislazione vigente richiede due viaggi: il primo di circa 2-3 settimane e il secondo di 7-15 giorni circa.
Haiti – Paese già storicamente molto povero – ha visto aumentare esponenzialmente il numero di bambini soli e adottabili dopo le gravi catastrofi naturali che l’hanno visto protagonista negli ultimi anni. Il terribile terremoto prima e l’uragano “Matthew” dopo hanno sconvolto il Paese provocando decine di migliaia di vittime e lasciando tantissimi bambini orfani: minori che avrebbero bisogno al più presto di una famiglia che li accolga e restituisca loro la sicurezza, la protezione e la speranza nel futuro di cui ha diritto ogni bambino.
Presente ad Haiti già dal gennaio 2013, Ai.Bi. ha ricevuto il riaccreditamento a operare nell’isola caraibica come ente autorizzato per le adozioni internazionali lo scorso 24 ottobre, rientrando così a tutti gli effetti tra i 59 enti stranieri oggi autorizzati a operare ad Haiti: di questi, 8 sono italiani, 20 statunitensi, 12 francesi, 6 canadesi, 4 spagnoli, 3 belgi, 2 tedeschi e altrettanti svizzeri, 1 olandese e 1 della Repubblica d’Irlanda.
Una decisione quella dell’Autorità Centrale di Port-au-prince di rinnovare l’autorizzazione ad Ai.Bi. che si configura come un riconoscimento della solidità, dell’efficienza e delle potenzialità dell’ente da sempre impegnato a sostenere ed accompagnare sempre più famiglie italiane che vorranno accogliere i minori abbandonati di Haiti, restituendo loro l’amore di un papà e di una mamma.
Attualmente sono 12 le coppie adottive italiane seguite da Ai.Bi. abbinate a minori di Haiti mentre Isabelle, la prima bambina adottata da Ai.Bi. nel 2017 nel paese caraibico è già a casa tra le braccia della sua famiglia.
Il regolamento per le adozioni internazionali ad Haiti impone, però, un contingentamento delle adozioni e ciascun ente accreditato può presentare 12 dossier all’anno per le adozioni “normali” e 5 per le adozioni “speciali”, ovvero quei minori per i quali, solitamente, è più difficile trovare una famiglia disposta ad adottarli perché più grandicelli, età superiore ai 7 anni, o perché affetti da problematiche sanitarie significative o gruppi di fratelli, per un totale di 17 famiglie all’anno.
Ed è proprio in virtù di questo contingentamento imposto dal Paese, che alle coppie che intendono adottare nell’isola caraibica si consiglia di consultare la lista d’attesa dell’ente autorizzato accreditato per Haiti cui intendono rivolgersi. Per quanto riguarda Ai.Bi., scrivere a adozioni@aibi.it.
News Ai. Bi. 18 agosto 2017
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AFFIDO
L’affido non è un problema, ma una risorsa da rilanciare con il coinvolgimento delle associazioni familiari.
L’accoglienza famigliare temporanea è uno dei mezzi fondamentali per prevenire l’allontanamento definitivo di un bimbo dalla sua famiglia quando questa è in difficoltà, oltre ad essere uno straordinario atto di generosità da parte di una famiglia nei confronti di un minore che per particolari problemi deve essere allontanato per un certo tempo dai suoi genitori. Ne abbiamo parlato con Cristina Riccardi, membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega per l’affido familiare, che ci ha spiegato quale sia l’attuale situazione nel nostro paese.
Secondo lei esiste in Italia la cultura dell’affido familiare temporaneo oppure c’è ancora della strada da fare?
Purtroppo ancora oggi c’è tantissima strada da fare. Esiste un’idea diffusa che l’affido sia un problema per le famiglie accoglienti, gli affidatari. Questo avviene perché spesso i progetti che i servizi sociali attuano non riescono a sostenere concretamente le famiglie d’origine dei bambini che si trovano in difficoltà ma consistono piuttosto in ‘cerotti’ che possono solamente contenere la situazione. Le risorse di cui dispongono sono limitatissime, soprattutto in alcune regioni d’Italia.
L’affido così troppo spesso si trasforma da temporaneo ad accoglienza fino alla maggiore età del bambino e le famiglie d’origine si trascinano tutti i problemi del caso per anni. Dovrebbe trattarsi di una legge pensata come prevenzione all’allontanamento definitivo ma nella realtà non funziona così. La temporaneità nei fatti non viene rispettata in oltre il 60%dei progetti di affido.
Come giudica il fatto che l’ultimo rapporto sui dati relativi agli affidi di lunga durata risalga al 2012?
Si tratta di un grande e vero scandalo. Oltre a non essere aggiornati, sono solo meri dati quantitativi. Questi dati non ci aiutano a conoscere il bambino, il suo passato e quale percorso ha fatto, se ha avuto beneficio dall’allontanamento dalla famiglia d’origine. E ancor meno l’efficacia del sistema affido.
Come si può diffondere la cultura dell’accoglienza famigliare temporanea e rilanciare l’affido famigliare nel nostro paese?
Occorre innanzitutto contrastare l’idea diffusa che l’affido sia un problema attraverso la testimonianza delle tante belle storie andate a buon fine. È necessario combattere sicuramente i tagli alle risorse pubbliche destinate al sostegno alle famiglie in difficoltà e ai minori. È fondamentale, inoltre, un maggiore coinvolgimento dell’associazionismo nella realizzazione dei progetti d’affido. Le associazioni devono avere maggiori responsabilità e possibilità di movimento in quanto in grado di portare altre risorse a sostegno del progetto di affido, non solo di tipo economico.
Qual è il ruolo di Ai.Bi. in questo progetto di rilancio?
Amici Dei Bambini è impegnata nel campo dell’affido famigliare temporaneo da oltre quindici anni. Ai.Bi. chiede che venga riconosciuta una maggiore responsabilità all’associazionismo nel rispetto della sussidiarietà sancita dalla legge. L’accoglienza famigliare temporanea ha un’importanza assoluta in una società che voglia essere giusta e solidale con i più deboli ed uno strumento importantissimo per la tutela dei più piccoli – conclude Cristina Riccardi.
Ai.Bi. [e alcuni consultori familiari] organizza (no) incontri informativi e corsi di preparazione per le famiglie che desiderano compiere questo gesto d’amore con l’obiettivo di preparare e sostenere le famiglie in un percorso di accoglienza familiare temporanea.
News Ai. Bi. 16 agosto 2017
www.aibi.it/ita/cristina-riccardi-laffido-non-e-un-problema-ma-una-risorsa-da-rilanciare-associazioni-familiari
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI
L’onere grava su entrambi i genitori a prescindere dalle diverse potenzialità economiche.
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 19052, 31 luglio 2017.
L’onere del mantenimento grava su entrambi i genitori a prescindere dalle diverse potenzialità economiche.
Le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario o convivente col figlio concorrono a garantirgli un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore.
Osservatore nazionale sul diritto di famiglia 19 agosto 2017
www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507058/l-onere-del-mantenimento-grava-su-entrambi-i-genitori-a-prescindere-dalle-divers.html
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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA
Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari. Giornata di Studio a Milano
La prossima Giornata di Studio del 2017, anno del quarantennale di fondazione dell’AICCeF, si terrà domenica 22 ottobre 2017 a Milano presso l’Auditorium San Paolo in Via Giotto 36.
Il titolo della Giornata è:
Dalla coppia alla famiglia e ritorno: il ciclo di vita tra legame e progetto.
Il programma della Giornata sarà scandito da:
Rita Roberto, Presidente dell’AICCeF, cherwomen del Convegno
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Francesco Belletti, Direttore del CISF, che presenta il nuovo libro, edizione AICCeF, sulla Raccolta dei migliori contributi pubblicati sulla consulenza di coppia.
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Eugenia Scabini: Dalla coppia coniugale alla coppia genitoriale.
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Paola Marozzi Bonzi: Consulenza ai genitori in fase ‘pre e neonatale’.
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Elisabetta Baldo: Consulenza ai genitori con figli piccoli.
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Raffaello Rossi: La consulenza ai genitori con figli adolescenti.
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Alice Calori: La consulenza ai genitori adottivi.
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Patrizia Margiotta: La consulenza ai genitori separati.
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Rita Roberto: La consulenza a genitori con figli emancipati e ai nonni.
L’iscrizione alla Giornata di Studio deve essere fatta esclusivamente sul sito web, con modalità di cui sarà dato tempestivo avviso.
www.aiccef.it/it/news/prossima-giornata-di-studio-a-milano.html
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CONSULTORI FAMILIARI
Torino. Punto Familia. Lettera di Dio ad uno sposo
La donna che hai al fianco, emozionata, con l’abito da sposa, è mia.
Io l’ho creata.
Io le ho voluto bene da sempre; ancor prima di te e ancor più di te. Per lei non ho esitato a dare la mia vita.
Te l’affido. La prenderai dalle mie mani e ne diventerai responsabile.
Quando l’hai incontrata l’hai trovata bella e te ne sei innamorato. Sono le mie mani che hanno plasmato la sua bellezza, è il mio cuore che ha messo dentro di lei la tenerezza e l’amore, è la mia sapienza che ha formato la sua sensibilità, la sua intelligenza e tutte le belle qualità che hai trovato in lei.
Però non potrai limitarti a godere del suo fascino. Dovrai impegnarti a rispondere ai suoi bisogni e ai suoi desideri.
Ha bisogno di tante cose: di casa, di vestito, di serenità, di gioia, di rapporti umani, d’affetto e tenerezza, di piacere e di divertimento, di presenza umana e di dialogo, di relazioni sociali e familiari, di soddisfazioni nel lavoro e di tante altre cose…
Ma dovrai renderti conto che avrà bisogno soprattutto di Me, e di tutto quello che aiuta e favorisce quest’incontro con Me; la pace del cuore, la purezza di spirito, la preghiera, la parola, il perdono, la speranza e la fiducia in Me, la Mia vita.
La ameremo insieme. Io la amo da sempre. Tu hai cominciato ad amarla da qualche anno, da quando l’hai incontrata. Sono io che ho messo nel tuo cuore l’amore per lei.
Era il modo più bello per dirti: “Ecco te l’affido”, perché tu potessi godere della sua bellezza e delle sue qualità. Quando le hai detto: “Prometto di esserti fedele, di amarti e rispettarti per tutta la vita”, è come se mi avessi risposto che sei lieto di accoglierla nella tua vita e di prenderti cura di lei.
Da quel momento siamo in due ad amarla. Anzi, ti renderò capace di amarla come Dio, regalandoti un supplemento d’amore, che trasforma il tuo amore di creatura e lo rende capace di produrre le opere di Dio nella donna che ami.
E’ il mio dono di nozze: quello che si chiama la grazia del sacramento del matrimonio.
Non ti lascerò mai solo in questa impresa. Sarò sempre con te e farò di te lo strumento del mio amore e della mia tenerezza; continuerò ad amare la Mia creatura, che è diventata tua sposa, attraverso i tuoi gesti d’amore.
P. Giordano Muraro OP, “Prometto di esserti fedele sempre” (edizioni Effatà)
http://www.domenicani.it/punto-familia/
http://www.puntofamilia.it/
Aleteia 16 agosto 2017
https://it.aleteia.org/2017/08/16/lettera-dio-sposo-marito-matrimonio/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Cremona. Il consultorio Ucipem protagonista nell’attività educativa
I consultori della diocesi, oltre ad offrire un importante servizio di consulenza socio-psico-educativa e sanitaria alle famiglie, collaborano nell’attività educativa con una attenzione rivolta al mondo adolescenziale, ma soprattutto a quello adulto, per sottolineare che l’attenzione educativa deve essere continuamente assunta dalla intera comunità.
In diocesi la collaborazione tra consultori e oratori ha portato ad integrare nella pastorale competenze psico-educative favorendo una risposta alle esigenze educative più adeguata ai bisogni attuali e che tenga conto della attenzione globale alla persona tipica dell’antropologia cristiana.
Ecco una sintesi delle proposte della rinnovata collaborazione tra Consultorio UCIPEM di Cremona e la Federazioni Oratori Cremonesi.
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Area Catechisti ed educatori di preadolescenti ed adolescenti.
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Incontri in plenaria zonali da realizzarsi tra gennaio e marzo, per approfondire temi quali: bisogni e compiti di sviluppo del (pre)adolescente, l’adolescente ed il mondo delle relazioni; relazionarsi con gli adolescenti oggi, nel mondo dei social;
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Gruppi di catechisti Gruppi di 5-10 catechisti si incontrano con psicologi e formatori per confrontarsi su tematiche che li toccano da vicino;
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Tutor un operatore accompagna i catechisti che intendono realizzare un percorso di educazione alla affettività nella condivisione di contenuti, obiettivi, analisi dei bisogni, progettazione degli incontri e individuazione degli strumenti.
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Area (pre)adolescenti. Condizione indispensabile perché gli operatori realizzino percorsi con i ragazzi è la partecipazione dei catechisti ad un gruppo per la condivisione di contenuti ed obiettivi. Questo per favorire una alleanza educativa e perché gli incontri si integrino nella proposta catechistica.
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Per i ragazzi della mistagogia: si realizzano percorsi di educazione alla relazionalità (Amicizia; Il gruppo dei pari; Amicizia in presenza/amicizia virtuale; Relazioni con gli adulti) o sulla valorizzazione della corporeità, con una attenzione specifica al maschile e femminile.
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Ragazzi delle superiori: Fino a dicembre è possibile la realizzazione gratuita delle attività previste dal progetto Bodydidire finanziato da Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona che si propone di accompagnare gli adolescenti nella accettazione e valorizzazione della corporeità e di offrire agli adulti di riferimento occasioni di approfondimento e confronto con psicologi e nutrizionista, anche per accorgersi precocemente di segni di disagio legati al corpo. Da gennaio si proporranno invece, col sostegno economico delle parrocchie, sia lo spettacolo Riflessi che incontri di approfondimento sulle seguenti tematiche: la corporeità ed i gesti affettivi, la corporeità ed i social media, questioni di bioetica legate all’inizio vita.
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Area genitori
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Gruppi di genitori Gruppi di 5-10 catechisti si incontrano con psicologi e formatori per confrontarsi su tematiche educative.
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Incontri in plenaria nelle unità pastorali o nelle zone su temi educativi.
www.diocesidicremona.it/blog/il-consultorio-ucipem-protagonista-nellattivita-educativa-18-08-2017.html
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DALLA NAVATA
XX domenica del tempo ordinario – Anno A – 20 agosto 2017
Isaia 56, 07 Condurrò gli stranieri sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli».
Salmo 67, 02 Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti.
Romani 11, 29 Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!
Matteo 15, 28 Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Donna, grande è la tua fede!” Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose
Ancora una volta Gesù “si ritira uscendo” (exelthòn … anechóresen). Lascia il luogo in cui si trova e si dirige verso i territori di Tiro e Sidone, fuori dai confini della terra santa d’Israele. Perché? Molte sono le cause di questo prendere le distanze dalle folle che lo seguivano, dai luoghi nei quali avvenivano controversie con farisei e sadducei. È un’ora di svolta nella vita di Gesù, che ha iniziato a soffrire i malintesi creatisi con la folla, la quale mostra di attendere da lui ciò che egli non può darle. Gesù vede inoltre crescere sempre più il rifiuto della sua persona, e la prospettiva di un rigetto, fino alla persecuzione violenta, si fa sempre più vicina. Solitudine, silenzio e preghiera sono dunque per Gesù dimensioni essenziali per il suo ascolto del Padre e per il discernimento della sua vocazione alla luce delle sante Scritture, al fine di inoltrarsi in quel cammino che lo conduce verso un esodo pasquale (cf. Lc 9,31), ma al caro prezzo della croce. Accade così anche al discepolo, lo voglia o meno; accade a ciascuno di noi, tutti attesi da ore di prova, di tentazione e di sofferenza…
E proprio su questo tragitto di presa di distanza dalla terra di Israele e dai suoi abitanti, i figli di Israele, ecco che Gesù viene chiamato a intervenire da una donna residente in quei territori impuri, ritenuti dagli ebrei luoghi di perdizione e di tenebra, perché abitati da idolatri che non conoscevano il Dio vivente, il Dio di Israele. Egli riceve una chiamata che diviene un incontro con una donna anonima, della quale è messa in evidenza la qualità di straniera e dunque di pagana, di non figlia di Israele, in quanto cananea. I vangeli testimoniano che Gesù ha incontrato anche gli stranieri, i gojim, i pagani (cf. Mc 5,1-20 e par.; Mc 7,31 – 8,10), e tra essi anche questa donna. È noto che nella cultura religiosa del tempo era ritenuto sconveniente per un rabbi l’incontro con una donna, ma ancor di più con una straniera. Nel caso specifico, Marco si compiace di aggiungere che questa donna non solo è greca, ma anche di origine etnica pagana, in quanto proveniente dalla Siria e dalla Fenicia (cf. Mc 7,26): assomma in sé le etnie pagane circostanti Israele, non è figlia di Israele né per provenienza né per cultura. Ella non crede nel Dio di Israele, per gli ebrei è un’idolatra. Eppure, avendo sentito parlare di Gesù, anche fuori di Israele, ha un moto di fiducia verso di lui: è un uomo affidabile!
Gesù si è appena ritirato in quei territori di Tiro e Sidone, fuori della terra santa, dove ha avuto una controversia con scribi e farisei venuti da Gerusalemme (cf. Mt 15,1-9), ma proprio qui riceve una preghiera. Ha scelto di restare in incognito, ma neppure in terra straniera ciò è possibile per lui: ormai è troppo famoso… Ed ecco, questa donna che ha una figlioletta con uno spirito impuro viene a interrompere il suo ritiro. Costei grida, urla in modo ossessivo, come un cane, ma Gesù non la sente, non le presta ascolto e non le risponde, perché non sopporta di essere letto semplicemente come un guaritore, uno che fa miracoli. Allora i discepoli, infastiditi da quelle grida, gli chiedono di esaudirla, come unico mezzo per farla tacere. Quelle grida esprimono forse una fede, visto che la donna straniera chiama Gesù “Signore (Kýrios), figlio di David”, assumendo la devozione giudaica nei confronti del Messia? Comunque, quella donna si getta ai suoi piedi, in posizione di supplica e di riconoscimento della grandezza di Gesù, e lo prega di scacciare il demonio presente in sua figlia. È una richiesta che esprime la sofferenza e l’impotenza di questa madre di fronte alla vita della figlioletta così minacciata dall’azione del demonio, che si manifesta anche attraverso la malattia psichica.
Gesù ha lasciato la folla per non predicare né curare, ha preso le distanze dal suo comportamento abituale per poter pensare e pregare, ma è inaspettatamente sollecitato a intervenire. Chi lo prega è una donna, una straniera, e Gesù le risponde manifestandole la sua obbedienza al piano del Padre che lo ha inviato. C’è “prima” (prôton: Mc 7,27) un servizio da compiere presso i giudei, presso il popolo di Dio a cui è stato inviato –espresso da Matteo addirittura in termini esclusivi: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” –, e solo successivamente ci sarà un tempo in cui potranno essere destinatari del suo ministero anche i pagani. Gesù lo esprime ricorrendo a un’immagine che spiega il suo rifiuto: si devono saziare prima i figli, cioè i figli di Israele, poi i cagnolini, cioè i pagani (“cani” era un termine dispregiativo con cui gli ebrei indicavano le genti: cf. Mt 7,6; Fili 3,2; Ap 22,15).
Di fronte al rifiuto di Gesù, la donna si sente delusa, ma resiste, non si scoraggia e, ribaltando l’immagine dei cagnolini a suo vantaggio, replica: “Signore, anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. È una donna libera, che pensa, e con le sue parole fa cambiare l’atteggiamento di Gesù! Non è risentita per il rifiuto scoraggiante oppostole in prima battuta da Gesù, che resta per lei un uomo affidabile, ma lo porta – per così dire – a “ragionare”. Potremmo dire che riesce a “convertire” Gesù, il quale, volendo restare nei confini fissati alla sua missione dall’economia di salvezza, non avrebbe voluto né predicare ai pagani né portare loro cura e guarigione. Gesù è dunque convinto da questa donna, si piega di fronte a questa volontà femminile e a questa insistenza, ritorna sulle sue parole, cambia il suo proposito e anticipa quello che accadrà dopo la resurrezione. In qualche misura, vi è qui un parallelo all’episodio di Cana nel quarto vangelo, dove la madre di Gesù, dopo un suo rifiuto, con la propria fede ottiene un’anticipazione dell’ora nuziale del Messia Gesù (cf. Gv 2,1-11). Qui Gesù si sente vinto e, possiamo immaginare non senza soddisfazione e gioia interiore, la esaudisce: “Donna, avvenga per te come desideri”. Ovvero: “Per questa tua parola detta con intelligenza e parrhesía, con la libertà di chi sente di poter dire il vero, il demonio è stato vinto e tua figlia è liberata dal male”. Ma questa parola della donna significa anche molto di più, perché è rivelazione per Gesù della sua missione (cf. Mt 11,25). E Gesù mostra di saper accogliere la rivelazione dell’opera di Dio anche da parte di una donna, per di più non appartenente al popolo di Dio.
In questo racconto la protagonista è e resta la donna straniera, è lei che con la sua parola fa apparire il Vangelo, la buona notizia che Gesù porta con sé, perché è proprio lui la buona notizia per eccellenza, il Vangelo (cf. Mc 8,35; 10,29). Questa donna pagana sa di aver diritto, come ogni essere umano, alla misericordia di Dio eccedente la Legge; per questo invoca Gesù affinché egli renda evidente l’infinita misericordia del Padre, che va oltre quella degli scribi e dei farisei (cf. Mt 5,20), che non può essere esclusiva, cioè limitata a Israele e negata alle genti, all’umanità. Ma nella redazione di Matteo vi è un ulteriore particolare decisivo nelle parole di Gesù, che fa precedere l’esaudimento dalla constatazione: “Donna, grande è la tua fede!”. È la fede della donna che ha fatto cambiare atteggiamento a Gesù, il quale si è sentito in dovere di esaudirla e di attestarle: “La tua volontà sia fatta!”. Le parole di questa donna, inoltre, concludono il precedente insegnamento di Gesù sul puro e sull’impuro (cf. Mt 15,10-20) e preparano la moltiplicazione dei pani in terra straniera narrata subito dopo (cf. Mt 15,32-39), quando il pane sarà per tutti, condiviso tra giudei e pagani, e la tavola della comunione sarà aperta a tutti. Gesù ha riconosciuto la fede in un atto di fiducia e ha fatto cadere il muro di separazione tra le genti e Israele (cf. Ef 2,14)!
Sì, qui è una donna, peraltro una pagana, che rende evento il Vangelo! Detto altrimenti, attraverso l’immagine dei cagnolini – o meglio dei cani domestici – la donna spezza il confine ideologico e indica una possibile realtà da salvare. Ciò che qui avviene è “il miracolo dell’incontro. A causa di questo incontro decisivo Gesù inaugura una nuova fase: questa pagana mette ‘al mondo’ Gesù, gli fa scoprire l’universalità della sua missione” (Élian Cuvillier). Non possiamo non mettere in evidenza come per Gesù l’incontro con un’altra persona è vero nella misura in cui non solo egli cambia chi incontra, ma subisce anche un cambiamento in se stesso proprio a causa dell’incontro. Gesù si sente un ebreo, un figlio di Israele, appartenente al popolo delle promesse e delle benedizioni, al quale è destinata in primo luogo la sua missione. E tuttavia sa anche che la storia della salvezza riguarda tutta l’umanità e che l’ascolto della sofferenza dell’altro, un ascolto mai escludente, fa parte della sua identità di Servo del Signore che si addossa fragilità e malattie delle moltitudini (rabbim; cf. Mt 8,17 e Is 53,4). Ecco la non chiusura di Gesù, la non rigidità della sua missione, l’atteggiamento di apertura verso l’altro, chiunque sia.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11698-donna-grande-e-la-tua-fede
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ETS (già ONLUS) NON PROFIT
Il Codice del Terzo Settore definisce la figura del volontario e detta le norme per favorire la promozione e la cultura del volontariato
Secondo il Codice del terzo Settore, il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.
Le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autocertificazione, purché non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso.
Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari nello svolgimento delle attività di interesse generale, devono darne conto in un apposito registro.
Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari hanno l’obbligo di assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi.
Un decreto sviluppo economico/lavoro, da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, dovrà individuare i meccanismi assicurativi semplificati, con polizze anche numeriche, e disciplinare i relativi controlli.
La copertura assicurativa è elemento essenziale delle convenzioni tra gli enti del Terzo settore e le amministrazioni pubbliche.
Fisco e Tasse 16 agosto 2017
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FIGLIO
La costruzione di un figlio
“Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. Il titolo del Meeting 2017 a Rimini, citazione dal Faust di Goethe quanto mai adeguata per questi tempi di confusione nel rapporto fra le generazioni, interpella direttamente ciascuno di noi e lo fa chiamandoci in causa nella comune posizione di figlio. In essa viene infatti posta una questione cardine per l’uomo: se erede allora figlio, se figlio allora erede. Padre diviene il nome di chi lascia qualcosa in eredità e figlio quello di chi la raccoglie. Padre può quindi essere il mio papà biologico, ma non solo e non necessariamente; lo è chiunque altro mi istituisca come suo erede.
Ma che cosa possiamo veramente lasciare ai nostri figli? Innanzitutto possiamo trasmettere solo ciò che possediamo. Beni materiali, certo, ma anche altro, soprattutto altro. Ancor più che la mia automobile, lascio in eredità il gusto di viaggiare e scoprire. Ancor più che la mia libreria, il piacere di leggere. Ancor più che i soldi, la soddisfazione del lavoro con cui li ho guadagnati. Lascio in eredità le mie parole e il pensiero che dà loro forma. Lascio in eredità il mio apprezzamento o meno per il reale. Lascio in eredità la legge secondo cui mi muovo nell’universo di tutti i rapporti possibili. E tutto questo già da subito, perché l’eredità inizia in vita, si compie nel quotidiano, non ha bisogno di attendere la morte.
Rispetto ai nostri figli abbiamo due possibilità: o li trattiamo da sottoposti oppure da eredi. Da una parte un regime di comando, che li vuole puri esecutori, richiede un’obbedienza cieca e incondizionata, impone la rinuncia al proprio principio di piacere. Dall’altra una vita fatta di appuntamenti per un soggetto che pensa in proprio le sue mete, che si regola cercando un profitto promosso dall’iniziativa dell’altro, che è intraprendente nella vita senza obiezione di principio all’apporto di un partner. Il costituire erede un figlio coincide proprio con il passaggio dalla sottomissione alla soggettivazione. Costituirlo come soggetto-erede è un atto che a sua volta porta a compimento un altro passaggio: dalla procreazione alla generazione. Un figlio infatti non è tale solo perché nasce come un gattino, un figlio ha bisogno di essere generato. Un simile atto di generazione non è automatico, potremmo dire che rappresenta il pensiero del padre.
Come ci avverte Goethe, dentro questa prospettiva nemmeno l’eredità può porsi come un comando, è piuttosto una dote, dopo averci però guardato dentro. Dal diritto civile sappiamo che si possono ereditare anche i debiti, caso particolare in cui si ha la facoltà di rifiutare l’eredità. Al figlio è chiesto questo lavoro: vagliare, valutare, identificare cosa trattenere e scartare, magari anche solo temporaneamente, di quanto gli viene trasmesso. Non si prende niente a scatola chiusa. Riguadagnare non significa rifare da capo il lavoro di produzione del bene, ma esercitare un lavoro di giudizio sul già esistente. Eppure questo lavoro, così stimabile, operato dal figlio non è detto che trovi il favore dei genitori. Anzi, capita di assistere all’antipatia nei suoi confronti, se non alla costruzione di veri e propri ostacoli. In fondo è la difficoltà a fare i conti con la libertà del figlio. Come genitori possiamo avere aspettative — è comprensibile e forse inevitabile — ma conviene che si pieghino alla libertà di pensiero di nostro figlio, che vaglierà l’offerta e lavorerà per renderla sua e possederla qualora la ritenga conveniente. Un possesso pieno poiché non contempla lo sperpero e la consunzione, ma il reinvestimento. Magari passeremo per qualche delusione, che sarà poi la delusione delle nostre aspettative preconfezionate, ma questa costituirà solo il prezzo da pagare per godere dello spettacolo di un figlio libero. Così libero da non aspirare a capi che lo comandino, ma compagni di cammino, da non sottomettersi al potente di turno ma ricercare soci con cui stringere partnership, da rischiare in ogni momento il proprio giudizio personale, senza intestardirsi né impuntarsi, sapendo anche chiedere consiglio e aiuto le volte che le idee non saranno sufficientemente chiare per agire.
Luigi Ballerini, psicoanalista e scrittore Repubblica 19 agosto 2017
www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut9577
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OMOFILIA
Rileggendo l’insegnamento del magistero cattolico sulle relazioni omosessuali
La nostra analisi dei testi biblici, che si può estendere ai testi teologici del Magistero egualmente condizionati da un contesto storico e sociale, va in direzione di un discernimento morale che proponiamo come strada per arrivare ad un giudizio di coscienza sulla moralità o l’immoralità delle azioni e delle relazioni omosessuali. La tradizione insegna che le azioni omosessuali sono intrinsecamente disordinate per le seguenti ragioni: esse “sono contrarie alla legge naturale”, i cui principi si riflettono nella stessa natura umana; “esse precludono all’atto sessuale il dono della vita”; ed “esse non derivano da un’autentica complementarietà affettiva e sessuale”. [CCC. Catechismo Chiesa Cattolica, 2357].
www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s2c2a6_it.htm
L’argomento della legge naturale. In primo luogo, in ogni essere umano vi è, per “natura” – e ricordiamo che “natura” è sempre una categoria frutto di interpretazione, pertanto vi può essere una dialettica per giudicare ciò che è o non è “natura”-, un orientamento sessuale.Il significato dell’espressione “orientamento sessuale” è complesso e non universalmente condiviso, ma il Magistero ne offre una descrizione. Esso distingue fra “una ‘tendenza’ omosessuale”, che risulta essere ‘transitoria’, e “omosessuali che lo sono in modo definitivo per via di un istinto innato di qualche tipo”. Procedendo, esso dichiara che “sembra appropriato intendere l’orientamento sessuale come una dimensione della personalità profondamente radicata e riconoscere la sua relativa stabilità in una persona”.
L’orientamento sessuale è in prevalenza eterosessuale, omosessuale o bisessuale. Questa realtà “naturale” e rivelata nella storia, nella società e nell’esperienza può essere oscurata dall’ovvia preponderanza statistica di persone ad orientamento eterosessuale, ma in nessun caso è negata da tale preponderanza statistica. Noi concordiamo completamente con la Congregazione della Dottrina della Fede (CDF) quando insegna che “non può esserci vera promozione della dignità dell’essere umano se non è rispettato l’ordine essenziale della sua natura”.[Persona Humana n. 3].
www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html
Dissentiamo dalla Congregazione della Dottrina della Fede (CDF), tuttavia, sull’interpretazione esclusivamente eterosessuale di tale “ordine essenziale della natura”.
“Natura” e legge naturale hanno sempre avuto un posto predominante nella teologia morale cattolica e, nell’insegnamento ufficiale della Chiesa, non solo l’omosessualità ma anche l’attività sessuale preconiugale, extraconiugale, contraccettiva e non riproduttiva (anche all’interno del matrimonio) sono condannate come contrarie alla legge naturale. Qualsiasi attività sessuale che trasgredisca “le leggi della natura saggiamente ordinate” [Humanæ vitæ n. 11] da Dio e non sia aperta alla trasmissione della vita, insegna il Magistero, è moralmente sbagliata.
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html
I principi fondamentali che determinano questo giudizio morale sono contenuti “nella legge divina – eterna, oggettiva e universale – per mezzo della quale Dio ordina, dirige e governa l’intero universo e i comportamenti della comunità umana… Questa legge divina è accessibile alle nostre menti”. [Persona Humana n. 3]
È precisamente questo “accessibile alle nostre menti”, come spiegato nel nostro Prologo, che suscita serie questioni ermeneutiche. Già nel XIII sec, Tommaso d’Aquino insegnava che la legge naturale non è “nient’altro che la luce dell’intelletto posta in noi da Dio “. Egli aggiunge, tuttavia, che sebbene i precetti della legge naturale siano universali ed immutabili, la loro applicazione varia a seconda delle circostanze dell’esistenza delle persone.
Gli uomini e le donne, collocati in un preciso contesto storico e dotati di ragione, non hanno accesso a una “natura” pura e incontaminata. La “natura” si rivela alla nostra attenzione, comprensione, giudizio e decisione solo come nudo insieme di fatti. Ogni cosa che vada al di là di questo insieme di fatti è il risultato di un’interpretazione da parte di persone attente, intelligenti, razionali e responsabili; cioè, noi facciamo esperienza della “natura” solo se interpretata e socialmente codificata. L’esperienza non interpretata della “natura”, come effettivamente di ogni altra realtà, è ristretta a quel nudo insieme di fatti, priva di significato, una qualità che non appartiene originariamente alla natura ma è assegnata ad essa da esseri razionali tramite atti interpretativi. “Il vasaio, non il vaso, è responsabile della forma del vaso”. [Alfred North Whitehead]
È inevitabile che differenti gruppi di donne ed uomini egualmente razionali e storicamente collocati – per esempio, teologi tradizionalisti e revisionisti – possono trarre differenti interpretazioni di “natura” e degli obblighi morali che ne derivano, e che ogni interpretazione data può essere erronea. Dato che ogni interpretazione della “natura” è una realtà socialmente codificata che dipende dalla prospettiva e dall’interpretazione umana, la realtà della “natura” va sempre subordinata ad uno scrutinio, anche se l’interpretazione è avanzata dal Magistero della Chiesa.
La nostra antropologia sessuale riconosce l’orientamento sessuale come una dimensione intrinseca della “natura” umana. Ciò posto, che cosa sia naturale nell’attività sessuale, che è un’espressione della persona sessuale, sarà variabile, a seconda che l’orientamento sessuale della persona sia omosessuale o eterosessuale. Gli atti sessuali omosessuali sono “naturali” per persone con un orientamento omosessuale, proprio come gli atti sessuali eterosessuali sono “naturali” per persone con un orientamento eterosessuale. Sono naturali perché essi coincidono con, e riflettono, la fondamentale “natura” umana di una persona creata ad immagine e somiglianza di Dio.
Non stiamo qui tentando di affermare che l’attività omosessuale sia morale perché è naturale per le persone ad orientamento omosessuale; ciò equivarrebbe a trattare fatti naturali come giustificazione e cadere nell’errore naturalistico. Ogni atto sessuale, omosessuale o eterosessuale, deve essere non solo naturale, ma anche giusto, amorevole e in accordo con la complementarità olistica.
L’argomento della procreazione. In secondo luogo, l’affermazione del Magistero che gli atti omosessuali “precludono all’atto sessuale il dono della vita” è stata affrontata nel cap. 4, e non c’è bisogno di ripeterla qui. Basti dire che, se si esamina “l’apertura alla trasmissione della vita” in termini biologici, allora atti eterosessuali potenzialmente riproduttivi e non riproduttivi (in modo permanente o temporaneo) sono essenzialmente differenti. Come Koppleman osserva contro Finnis, “i genitali di una persona sterile sono adatti alla generazione non più di quanto una pistola con il percussore rotto sia adatta a sparare”. È un’estensione concettuale, egli continua, “insistere a dire che gli atti sessuali di persone irrimediabilmente sterili sono dello stesso tipo degli atti sessuali di organi fertili che, occasionalmente, non raggiungono il loro scopo”.
La complementarietà eterogenitale, pertanto, diventa, come per la Nuova Teoria della Legge Naturale, la differenza essenziale che distingue atti eterosessuali non riproduttivi da atti omosessuali. Se si esamina “l’apertura alla trasmissione della vita” in termini metaforici, allora le coppie sia omosessuali sia eterosessuali possono manifestare il “significato iconico” di Hanigan nella loro unione interpersonale corporea e negli atti sessuali.
L’argomento della complementarietà. In terzo luogo, benché il Magistero condanni con coerenza gli atti omosessuali per il fatto che essi violano la complementarietà eterogenitale e riproduttiva, non spiega per quale motivo essi violerebbero anche la complementarietà personale, limitandosi ad affermare che gli atti omosessuali “non procedono da un’autentica complementarietà affettiva e sessuale”. [CCC, 2357] Questa affermazione, tuttavia, solleva la domanda se tali atti possano mai essere veramente umani, o no, a livello della complementarietà sessuale e personale.
Anche se il Magistero non ha affrontato questa domanda, coppie omosessuali monogame, amorevoli ed impegnate l’hanno affrontata nella loro esperienza e attestano che i partner davvero sperimentano complementarietà affettiva e comunione in ed attraverso le loro azioni omosessuali. Margaret Farley nota che la testimonianza dell’esperienza di queste coppie depone a favore “del ruolo di tali amori e relazioni nel sostenere il benessere umano e guidare gli esseri umani a fiorire” e “si estende ai contributi che gli individui e i partner danno alle famiglie, alla Chiesa e alla società nel suo complesso”.
Ciò coincide precisamente con il nostro principio fondamentale dell’impatto relazionale immediato e mediato degli atti sessuali autenticamente umani. “Espressi in una maniera che è autenticamente umana, queste azioni significano e promuovono quel reciproco dono di sé per mezzo del quale gli sposi [immediatamente] si arricchiscono l’un l’altro [e mediatamente arricchiscono la loro famiglia e la comunità] con volontà gioiosa e grata”. [Gaudium et Spes GS, 49]
www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html
La posizione di Farley è ampiamente sostenuta dai racconti e dalla ricerca scientifica sulla natura delle relazioni omosessuali. Circa 20 anni fa, mentre riconosceva che la questione delle relazioni omosessuali è controversa, Farley apprendeva i racconti delle esperienze di coppie omosessuali e commentava che “noi abbiamo alcune chiare e profonde testimonianze su come le relazioni omosessuali possano migliorare la vita e come l’attività sessuale in queste relazioni possa essere integrata e produrre integrazione. Abbiamo la prova che l’omosessualità può essere un modo per incarnare amore responsabile ed amicizia umana capace di sostegno”. Lei conclude, logicamente, che “questa prova basta da sola per pretendere dalla comunità cristiana e politica di riflettere da capo sulle norme [e le leggi] per l’amore omosessuale”.
Il suo giudizio concorda con quello di Bernard Ratigan, gay, inglese, attivo come psicoterapeuta, che nota “il divario fra la caricatura di noi [gay] nella Chiesa e le nostre vite reali sembra così gigantesco”. Legittimamente, si chiede “sulla base di quali prove il Vaticano fonda le sue affermazioni su di noi?” e procede evidenziando che la psicoanalisi “si è evoluta: prima si preoccupava solo del sesso genitale, ora pensa molto di più in termini di relazioni umane ed amore”.
Così ha fatto anche la teologia morale cattolica revisionista. Questa richiesta di prove può essere avanzata anche alla più recente affermazione sugli omosessuali fatta dalla Conferenza Episcopale Cattolica degli Stati Uniti. Parlando di una inclinazione omosessuale, i vescovi notano che essa “predispone verso ciò che è autenticamente non buono per la persona umana”. La predisposizione è verso atti omosessuali che sono “non ordinati al raggiungimento dei fini naturali della sessualità umana” e perciò “agire assecondando tale inclinazione semplicemente non può contribuire al vero bene della persona umana”. L’affermazione che gli atti omosessuali, per definizione, non possono contribuire al bene della persona umana sembra contraddire le esperienza relazionali di coppie omosessuali impegnate e monogame. Sebbene questa affermazione non citi studi scientifici per verificare la sua posizione, ci sono numerosi studi che esplicitamente la contraddicono.
Lawrence Kurdek ha condotto ricerche estensive su coppie gay e lesbiche e nota le seguenti caratteristiche che emergono confrontando queste relazioni con coppie eterosessuali sposate. Le coppie gay e lesbiche tendono ad avere una distribuzione più equa del lavoro domestico, dimostrano maggiori capacità di risoluzione dei conflitti, ricevono meno sostegno dai membri delle proprie famiglie ma maggiore sostegno dagli amici e, ciò che è più significativo, sperimentano livelli simili di soddisfazione relazionale a confronto con coppie eterosessuali.
Non solo gli studi empirici mettono seriamente in discussione la pretesa del magistero che gli atti omosessuali, per definizione, sono dannosi per la persona umana e le relazioni umane; tali studi mettono in discussione anche la posizione del Magistero sugli effetti nocivi sui bambini dei genitori omosessuali.
La Congregazione della Dottrina della Fede (CDF) si pronuncia contro la genitorialità omosessuale basandosi su queste affermazioni “come l’esperienza ha dimostrato, l’assenza di complementarietà sessuale in queste unioni crea ostacoli nel normale sviluppo dei bambini eventualmente affidati alle cure di queste persone. Consentendo a persone che vivono in tali unioni di adottare bambini significherebbe in realtà fare violenza a questi bambini”. Non solo tale affermazione retoricamente scorretta e discriminatoria, ma è anche empiricamente infondata. La CDF non offre prove scientifiche, qui o altrove, per fondare la sua posizione che le unioni omosessuali sono un ostacolo al normale sviluppo dei bambini. Ci sono, tuttavia, abbondanti prove del contrario.
Mentre riconosce che la ricerca sulla genitorialità gay e lesbica è ancora in evoluzione, specialmente riguardo ai padri gay, Patterson riassume le prove disponibili da 20 anni di studi: “Non c’è prova per suggerire che donne lesbiche e uomini gay siano inadatti ad essere genitori o che lo sviluppo psicosociale [e anche sessuale] fra bambini di uomini gay o donne lesbiche sia compromesso in qualche aspetto a confronto dei figli di genitori eterosessuali. Non un singolo studio ha dimostrato che figli di genitori gay, uomini o donne, sia svantaggiato in qualche aspetto significativo a confronto con i figli di genitori eterosessuali”.
Nella sua panoramica della ricerca, Laird va oltre e suggerisce che i dati scientifici indicano che i genitori omosessuali sono più capaci di allevare i figli e più tolleranti dei genitori eterosessuali, e i loro figli sono, a loro volta, più tolleranti ed empatici. Questa abbondanza di prove ha condotto l’Associazione Psicologica Americana ad approvare e diffondere un’importante risoluzione. Dato che “i genitori gay, donne ed uomini, hanno la stessa probabilità dei genitori eterosessuali di offrire sostegno ed un ambiente sano ai loro figli, … [e dato che] la ricerca ha dimostrato che la correzione, lo sviluppo e il benessere psicologico dei bambini non ha relazione con l’orientamento sessuale dei genitori e che i bambini di genitori gay, donne ed uomini, hanno la stessa probabilità di fiorire, rispetto a quelli di genitori eterosessuali”, l’associazione si oppone ad ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
Anche l’importante Lega Americana per il Benessere infantile, interamente centrata sui bambini, è convinta dai dati che non ci sono differenze significative fra le attitudini e le capacità parentali di genitori eterosessuali e gay, uomini e donne. Nel 1994 il regolamento della Lega raccomanda che “persone gay e lesbiche che si candidano come genitori adottivi siano valutati nello stesso modo di tutti gli altri candidati. Dovrebbe essere riconosciuto che l’orientamento sessuale e la capacità di allevare un figlio sono temi separati”. La lega raccomanda inoltre che occorrerebbe fornire informazioni vere sui gay e le lesbiche, “per dissipare luoghi comuni su gay e lesbiche”. Non è l’orientamento sessuale di genitori gay e lesbiche che produce risultati negativi nei bambini, bensì la discriminazione contro di loro provocata dalle falsità diffuse sui loro genitori.
Il Concilio Vaticano Secondo elogia i progressi delle scienze umane che portano alla comunità umana “una conoscenza di sé sempre migliore” e “influenzano la vita dei gruppi sociali”. [Gaudium et Spes n. 5] Papa Giovanni Paolo II insegna che “la Chiesa apprezza la ricerca sociologica e statistica quando essa si dimostra d’aiuto nel comprendere il contesto storico in cui deve dispiegarsi l’azione pastorale e quando conduce ad una migliore comprensione della verità”. [Familiaris Consortio. n. 5]
La domanda di cui ci stiamo occupando, vale a dire quella sull’effetto di genitori omosessuali sui loro figli, è un classico caso in cui le scienze sociali hanno portato chiaramente ad una migliore comprensione della verità. Ci sono abbondanti dati sociali e scientifici per sostenere l’affermazione che comunione e complementarietà affettiva sono evidenti nelle relazioni omosessuali e che, in caso di genitori omosessuali, queste complementarietà agevolano sia la complementarietà genitoriale sia la crescita positiva dei figli.
Queste valutazioni sulle esperienze relazionali e genitoriali delle coppie omosessuali richiamano il principio di John Courtney Murray: l’intelligenza pratica, in quanto distinta da quella teoretica, viene difesa dall’ideologia mantenendo “una stretta relazione con l’esperienza concreta”. Come abbiamo visto prima riguardo agli studi scientifici su persone in una relazione omosessuale e i bambini allevati da genitori gay, uomini e donne, le posizioni del Magistero su queste persone tendono ad essere ipotesi teoriche non confermate dall’esperienza pratica delle persone. La posizione del Magistero che gli atti omosessuali “non procedono da un’autentica complementarietà affettiva e sessuale” è soggetta alla stessa accusa, ipotesi teoriche non suffragate dall’esperienza pratica.
Testo dei teologi Todd A. Salzman e Michael G. Lawler tratto dal loro libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic (La persona sessuale. Verso un’antropologia cattolica rinnovata), Georgetown University Press, USA, 2008, capitolo 7, paragrafo 6-9, libera traduzione di Antonio De Caro del gruppo Davide di Parma
Progetto Gionata 17 agosto 2017
www.gionata.org/rileggendo-linsegnamento-del-magistero-cattolico-sulle-relazioni-omosessuali
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PENSIONE DI REVERSIBILITÀ
Alla seconda moglie va il 75% anche se il matrimonio è durato molto meno del primo
Tribunale di Roma, sentenza n. 13642/2017
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 16602, 5 luglio 2017.
Questo perché pesa la lunga convivenza col de cuius. La sentenza del tribunale di Roma e l’orientamento della Cassazione. Alla seconda moglie del de cuius spetta il 75% della pensione di reversibilità anche se il matrimonio è durato molto meno del primo: 14 anni contro i 24 con la prima moglie. Questo perché a pesare è anche la lunga convivenza tra i due, culminata nelle nuove nozze ben 20 anni dopo proprio perché la donna non voleva perdere a sua volta la reversibilità del primo marito. Ad affermarlo è il tribunale di Roma, ricordando che, ai fini della determinazione delle quote di reversibilità, non rileva soltanto la durata del matrimonio ma anche la convivenza prematrimoniale.
Nella vicenda, il giudice capitolino ha riconosciuto pertanto alla prima moglie soltanto un quarto della pensione di reversibilità, in luogo del 50% dalla stessa richiesto, accordando il 75% alla seconda vedova che aveva convissuto prima del matrimonio per più di 20 anni col defunto marito.
Per il tribunale, infatti, a rilevare ai fini della determinazione delle quote di reversibilità, non è soltanto la durata dei due matrimoni, ma anche altri fattori, tra cui l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche delle due vedove e altresì la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.
Un principio che si pone del resto nel solco dell’orientamento consolidato della Cassazione, la quale, con la recente ordinanza n. 16602/2017 si è espressa nello stesso senso, rigettando il ricorso di una delle due mogli di un uomo contro la seconda coniugata e cassando la sentenza di merito che aveva deciso per la ripartizione in parti uguali della pensione di reversibilità dello scomparso
www.studiocataldi.it/visualizza_allegati_news.asp?vai=ok
Marina Crisafi – Newsletter Giuridica Studio Cataldi 14 agosto 2017
www.studiocataldi.it/articoli/27113-pensione-reversibilita-alla-seconda-moglie-va-il-75-anche-se-il-matrimonio-e-durato-molto-meno-del-primo.asp
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SESSUALITÀ
Scout gay, un caso da affrontare
Il caso Staranzano (Gorizia) esplode all’inizio di giugno quando Marco Di Just, uno dei capi scout del locale gruppo Agesci, “celebra” un’unione civile in municipio con il compagno Luca Bortolotto, consigliere comunale. Il parroco, don Francesco Maria Fragiacomo, scrive sul bollettino parrocchiale: «Come cittadino ognuno può fare quello che gli consente la legge dello Stato. Come cristiano, però, devo tener conto di quale sia la volontà di Dio sulle scelte della mia vita. Come educatore cristiano, in più, devo tener conto della missione e delle linee educative della Chiesa e della mia associazione cattolica». Da qui la richiesta a Di Just di fare «per coerenza» un passo indietro.
Richiesta che non è stata condivisa né dal viceparroco don Eugenio Biasol, guida spirituale degli scout, presente alla cerimonia come amico dei due giovani, né dall’Agesci Friuli Venezia Giulia che un post su Facebook ha ribadito la propria fiducia nei capi scout del Gruppo di Staranzano. Una ventina di giorni dopo l’intervento del vescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, che in una lunga lettera al Consiglio pastorale e al Consiglio presbiterale scrive: «Di fronte a ciò che ha creato contrasti e scalpore” si può osare chiedersi quali siano gli aspetti di grazia presenti?».
www.avvenire.it/chiesa/pagine/il-capo-scout-sono-gay-la-comunit-si-interroga
Prendendo spunto dagli Atti degli Apostoli, elenca una serie di criteri per il discernimento, osservando tra l’altro come vada inteso come evento di grazia anche «la progressiva maturazione della convinzione che il discernimento stia diventando sempre più la cifra fondamentale dell’agire pastorale». Ma anche «l’attenzione rispettosa, partecipe e talvolta sofferta ai cammini personali di ciascuno». E conclude osservando che la decisione non tocca a lui, «con un intervento autoritario dall’alto», ma alle stesse realtà ecclesiali operanti in ambito educativo che, lungo questo percorso di discernimento sicuramente non facile, devono «giungere ad alcune indicazioni condivise e sagge». Sollecitazione efficace, visto che ha ora messo in moto un cammino di verifica, di analisi e di confronto tra associazioni e realtà impegnate nel mondo educativo a livello nazionale.
Chi si attende dall’Agesci un provvedimento “esemplare e rapido” per risolvere la questione del capo scout di Staranzano (Gorizia) che si è unito civilmente con il suo compagno suscitando dibattiti e polemiche ben oltre i confini della comunità friulana, è destinato a rimanere deluso. E non perché i vertici degli scout abbiamo deciso di rimuovere il problema e non intendano affrontare il caso.
La questione è tanto delicata e complessa che sarebbe impensabile – e forse anche ingiusto e riduttivo – che un’associazione da sola possa caricarsi sulle spalle una responsabilità che coinvolge tutta la comunità cristiana in senso più ampio. Non si tratta solo di stabilire se il capo scout in questione abbia offerto una testimonianza di vita coerente con i valori dell’associazione e quindi con la proposta cristiana sul matrimonio e sulla famiglia, ma anche di riflettere in modo responsabile sull’efficacia di una proposta educativa a proposito di affettività e sessualità che dev’essere probabilmente riformulata e riattualizzata, a partire dalla riflessione più ampia che tutta la comunità cristiana vuole e deve fare.
Lo accennava già l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, nella lunga lettera indirizzata sul caso del capo scout al Consiglio presbiterale e a quello pastorale: «Si è di fronte a questioni nuove e complesse circa le quali la riflessione ecclesiale è ancora iniziale o comunque non del tutto matura, i pareri non sono concordi, le prassi pastorali non ancora ben definite». Sullo sfondo si allarga poi la grande questione dell’accompagnamento pastorale delle persone omosessuali. Le poche iniziative avviate in questi ultimi anni – solo 3 diocesi su 226 hanno deciso di dedicare a questo aspetto un Ufficio specifico – appaiono ancora largamente insufficienti non solo per rispondere in modo adeguato agli appelli del magistero, ma anche alle richieste di una sensibilità sempre più diffusa, consapevole ma variegata, che chiede alla Chiesa occasioni di dialogo e nuove proposte di accompagnamento.
Ecco perché la riflessione non può e non deve coinvolgere soltanto l’Agesci ma tutte le realtà ecclesiali e associative impegnate sul delicatissimo crinale dell’emergenza educativa. Del resto, anche l’arcivescovo di Gorizia si era chiesto se nell’episodio erano ravvisabili aspetti di grazia. Non certo per giustificare in modo semplicistico i comportamenti delle persone coinvolte nel caso di Staranzano – come qualche censore de noantri ha banalmente osservato – ma per trasformare un episodio comunque difficile e imbarazzante in uno spunto per riflettere, per ripensare alla coerenza della strada fatta, per chiedersi come colmare un ritardo educativo che appare finalmente nelle sue autentiche e drammatiche dimensioni.
Un’occasione preziosa offerta evidentemente non solo all’Agesci, ma anche a tutte le realtà ecclesiali di carattere educativo, per avviare nuovi percorsi e nuove iniziative che non siano né casuali né episodiche. Da qui la proposta di un tavolo di confronto sul tema dell’educazione alla sessualità e all’affettività invitando a un’ampia riflessione – con modalità e tempi tutti da definire – realtà come l’Azione cattolica, le Federazioni degli oratori, gli istituti e le congregazioni impegnate nella pastorale giovanile e familiare, le associazioni dei genitori, le aggregazioni, i movimenti familiari, gli esperti che si sono già occupati del tema.
Anche in vista del cammino di preparazione al Sinodo dei vescovi sui giovani dove difficilmente questo tema potrà essere eluso. Non si tratta di rivoluzionare la teologia morale a proposito degli atti omosessuali – compito che in ogni caso non tocca alle associazioni – né di stabilire un nuovo elenco dei permessi e dei divieti. Bensì di affrontare in modo originale e inclusivo, adeguato alle richieste dei tempi, il problema dei percorsi educativi. E allo stesso tempo verificare la possibilità di un approccio che non si riduca più alla normatività sterile del “si può”, “non si può”. Senza per questo confondere le esigenze del discernimento con formule eticamente assolutorie. Riflessione comunque difficile, tutta da condurre sul crinale di una gradualità rispettosa delle condizioni di vita di ciascuno.
Per questo occorre un approccio culturale innovativo che, soprattutto sul fronte della pastorale per le persone omosessuali, sappia uscire dalla sudditanza nei confronti del pensiero laico troppo spesso segnato dalla contrapposizione. Da una parte i cosiddetti “omosessualisti”, dall’altra i fautori dell’omosessualità come patologia. Esiste una via mediana capace di valorizzare per esempio la categorie dell’“amicizia disinteressata” – di cui parla anche il Catechismo (n. 2359) – nella consapevolezza che la sessualità può essere vissuta in modi differenti pur rimanendo espressione d’amore? Esiste la possibilità di mettere a punto modelli capaci di valorizzare il bene che, al di là dell’orientamento sessuale, esiste in ogni persona che percorre sinceramente il suo cammino di fede? Se l’obiettivo è offrire a tutti, «indipendentemente dall’orientamento sessuale» (Amoris lætitia, n. 250), ipotesi di vita buona, queste domande non potranno essere dimenticare dall’Agesci, dalle associazioni e dalle altre realtà ecclesiali che si preparano a riflettere insieme, con uno sguardo che vada ben oltre i confini dei gruppi scout di Gorizia.
Luciano Moia Avvenire 20 agosto 2017
www.avvenire.it/chiesa/pagine/scout-gay-un-caso-da-affrontare
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STERILITÀ
Staminali: spermatozoi dall’orecchio contro sterilità genetica maschile
Spermatozoi sani ottenuti in laboratorio da cellule dell’orecchio ‘ringiovanite’ in staminali. Potrebbe essere questa la via per permettere agli uomini colpiti dalla sindrome di Klinefelter, una delle principali cause genetiche di infertilità maschile, di diventare papà grazie alla fecondazione assistita.
Utilizzando questo approccio, in uno studio pubblicato su ‘Science’, un team di scienziati del Francis Crick Institute di Londra è riuscito a far nascere dei cuccioli da topi geneticamente sterili.
La via per trasferire la tecnica all’uomo è ancora lunga, avvertono gli autori.
Un esperimento preliminare sembra promettente, tuttavia rimane molto da fare per perfezionare la metodica e in particolare per eliminare il rischio di tumori. Un maschio su 500, spiegano gli esperti, presenta un cromosoma sessuale X o Y in più: invece della classica coppia XY, i pazienti con sindrome di Klinefelter hanno una tripletta XXY o XYY.
Questa anomalia impedisce la formazione di cellule spermatiche mature, provocando infertilità.
I ricercatori dell’istituto inglese, in collaborazione con colleghi della Kyoto University in Giappone, sono riusciti a trovare il modo per rimuovere il cromosoma sessuale extra e indurre – per ora soltanto nei topi – gravidanze in grado di dare piccoli sani e fertili.
Lo studio è finanziato dall’European Research Council (Erc), dall’Agenzia giapponese per la scienza e la tecnologia e dalla Società giapponese per la promozione della scienza.
Partendo da piccole porzioni di tessuto dell’orecchio di topi maschi XXY o XYY (il difetto genetico che caratterizza appunto gli uomini affetti da sindrome di Klinefelter), gli studiosi hanno coltivato e raccolto fibroblasti del tessuto connettivo.
Quindi li hanno trasformati in staminali, osservando che in questo passaggio alcune cellule perdevano il loro cromosoma di troppo.
A questo punto, usando segnali chimici ad hoc, gli scienziati hanno fatto sì che le staminali si differenziassero in precursori degli spermatozoi.
Iniettati nei testicoli del topo, questi crescevano in cellule spermatiche mature.
Prelevandole e impiegandole per una procedura di fecondazione assistita su topi femmina, sono nati figli con un corredo genetico normale. “Il nostro approccio ha permesso di ottenere una prole da topi sterili XXY e XYY – afferma Takayuki Hirota del Francis Crick Institute, primo autore del lavoro – Sarà interessante capire se lo stesso sistema potrà essere utilizzato come trattamento anti-infertilità per gli uomini con 3 cromosomi sessuali”. In un primo test l’équipe ha verificato che le cellule staminali prodotte da fibroblasti di uomini con sindrome di Klinefelter perdono anche loro il cromosoma sessuale extra.
Nonostante questo dato incoraggiante, “è necessaria ancora tanta ricerca prima che la tecnica possa essere usata sull’uomo”, puntualizzano gli esperti.
“Attualmente non esiste alcun modo per ottenere spermatozoi maturi al di fuori dal corpo – osserva James Turner, a capo del gruppo di ricerca del Francis Crick Institute – Nei nostri esperimenti sui topi dobbiamo iniettare cellule potenzialmente in grado di dare spermatozoi se rimesse all’interno dei testicoli per aiutarne lo sviluppo, ma abbiamo visto che questo in alcuni animali causa tumori.
Pertanto, prima di passare nell’uomo, sarà necessario ridurre questo pericolo oppure trovare la maniera di ottenere spermatozoi maturi in provetta”.
AdnKronos Salute 18 agosto 2017
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=34873
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