NewsUCIPEM n. 646 – 23 aprile 2017

NewsUCIPEM n. 646 – 23 aprile 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABORTO VOLONTARIO Pillola Ru 486: nuovi ostacoli per accedere all’aborto farmacologico

03 L’aborto, in qualunque modalità avvenga, è sempre un omicidio.

04 ADOZIONE L’origine del figlio adottivo, identità e appartenenza.

04 ADOZIONE INTERNAZIONALE Parola fine su triennio confuso per le coppie + accoglienti d’Europa

05 AMORIS LÆTITIA Mons. Paglia: Amoris Lætitia accolta con entusiasmo dai fedeli

06 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Figli maggiorenni: se perdono il lavoro, l’obbligo non rivive.

06 Anche se meno abbiente, il genitore è comunque obbligato

07 Anche i figli cinquantenni hanno diritto agli alimenti.

07 Mantenimento alla ex moglie, fino a quale età non spetta?

08 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 15/2017, 19 aprile 2017.

09 CINQ5UE PER MILLE 5‰ 2015, in calo per la prima volta le preferenze alle onlus

09I nuovi dati: ecco le prime 10 associazioni.

10 COMM. ADOZIONI INTERNAZION. Laura Laera verso la Commissione Adozioni

10 Adozioni, si riparte da Laura Laera

11 CONSULTORI FAMILIARI Ciclo di Seminari dal titolo Dipendenze e relazioni.

11 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Brescia. Gruppo di parola per le donne in menopausa.

12 Taranto. “L’équipe, cuore del consultorio familiare UCIPEM”.

12 DALLA NAVATA Domenica – Anno A – 9 aprile 2017

12 L’amore fedele del Risorto. Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

14 DIVORZIO Spagna: 23mila euro di danni all’ex moglie per i lavori domestici

14 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Famiglie in povertà. Non possiamo più parlare di “emergenza”

15 GENETICA Il test genetico a domicilio

15 GENITORE COLLOCATARIO Addio al genitore collocatario?

16 GIOVANI Studenti italiani ansiosi. La psicologa: genitori troppo protettivi

17 NULLITÀ DEL MATRIMONIO Delibazione sentenza ecclesiastica.

17 Niente figli: matrimonio nullo per la Chiesa e per lo Stato. Perché?

18 PARLAMENTO Camera Interrogazione sperimentazione aborti farmacologici in consultorio

20 UCIPEM Giornata di studio a Taranto. Relazione d’aiuto e comunità sociale

20 UNIONI CIVILI Rimosso il doppio cognome

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ABORTO VOLONTARIO

Pillola Ru 486: nuovi ostacoli per accedere all’aborto farmacologico

Pillola abortiva nei Consultori: la regione Lazio autorizza e la ministra Lorenzin contesta. Ancora una volta la storia si ripete con le stesse modalità e ogniqualvolta l’argomento di discussione è l’autodeterminazione femminile in tema di maternità ci ritroviamo di fronte a posizioni istituzionali così ideologizzate che a farne le spese sono sempre e solo le donne.

Così è stato anche l’altro giorno, durante il question time in Parlamento, vertente su di un’interrogazione alla ministra della Salute, presentata dall’on. Eugenia Roccella, al riguardo della possibilità di praticare l’aborto farmacologico in appositi consultori, così come deliberato recentemente dalla giunta regionale del Lazio. Trattasi di una sperimentazione che dalla prossima estate metterà le donne nelle condizioni di vedersi somministrata la pillola Ru 486 in adeguati consultori familiari. Un protocollo sperimentale, della durata di diciotto mesi, consentirà di convalidare le modalità di ricorso per tale aborto chimico, che comporta nello specifico la deospedalizzazione delle pazienti.

In ogni Asl laziale verranno prescelti idonei consultori in collegamento funzionale con i presidi ospedalieri, in modo da garantire le eventuali emergenze che si connotano quali eventi straordinari per una specie di interruzione volontaria di gravidanza di fatto è pratica ambulatoriale in molti Paesi europei. La Regione Lazio, come ogni altro analogo ente territoriale, ha piena autonomia normativa al proposito come risulta evidente in altre cinque regioni ove è consentito l’aborto farmacologico in regime di day hospital, differentemente da quanto previsto nella Linee guida ministeriali statuenti invece l’obbligo del ricovero per tre giorni. Trattasi a ben vedere di un vero e proprio balzo innanzi, contro cui si sono scagliate alcune forze politiche, associazioni pro-life, nonché il Vicariato di Roma.

In sede di risposta alla deputata interrogante la ministra Lorenzin ha precisato che “La sperimentazione della somministrazione di farmaci per IVG nei consultori, di cui hanno dato notizia, nelle scorse settimane, gli organi di stampa, costituisce oggetto di una decisione esclusiva dell’amministrazione regionale, la quale, allo stato attuale, non sembra essere fondata su di alcuno studio sperimentale approvato, né su novità scientifiche sopravvenute né su pareri di comitati etici”.

Calcando ulteriormente la mano la titolare del dicastero alla Salute ha successivamente precisato che “La legge 194 non sembra prevedere, quindi, che i consultori possano essere considerati fra le sedi in cui effettuare interventi di IVG”. Sorge un dubbio, ma quel “sembra” non sarebbe messo lì a caso, visto che nell’anno di promulgazione della 194, ossia il 1978, l’unica modalità per interrompere volontariamente una gravidanza era la modalità chirurgica, o la spiegazione è altra?

Con i progressi scientifici è stato consentito alle donne di potere ricorrere ad un tipo di aborto, qual è quello chimico, meno invasivo del loro corpo, tant’è che nel resto d’Europa la tendenza è al suo aumento costante rispetto a quello chirurgico.

Secondo i dati riportati nel 2010 dal prof. Carlo Flamigni per gli aborti entro le prime nove settimane quello farmacologico è scelto per il 42%, in Inghilterra e Galles, per più del 42% in Francia, il 60% in Danimarca, il 60,6% in Svezia ed il 77,8% in Scozia.

www.carloflamigni.com/scripta/mifepristone_o_ru486.html

In Italia, invece, sin dal suo riconoscimento normativo, avvenuto con molto venti anni di ritardo nel 2009, l’aborto farmacologico ha avuto vita dura, tant’è che costituisce solo il 15% delle interruzioni volontarie di gravidanza. Probabilmente ne è causa la scelta ministeriale del ricovero ospedaliero di 3 giorni, fatto è che il ricorso a questa pratica è molto al di sotto della media europea. (Non tutte le streghe sono state bruciate, Carlo Flamigni e Corrado Melega, ed L’Asino d’Oro- 2010)

https://books.google.it/books?id=rzHPOkM3uTYC&pg=PT158&lpg=PT158&dq=carlo+Flamigni+Ru+486+europa+dati&source=bl&ots=zLw2L5XC_o&sig=TrhI_htvrQz5rIhTMp183KoI9_Y&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjUm8jk_LfTAhULa1AKHZL4AkgQ6AEILjAC#v=onepage&q=carlo%20Flamigni%20Ru%20486%20europa%20dati&f=false

La risposta della ministra Lorenzin non sembra quindi tenere conto di questa realtà, contribuendo alla mancata modifica del regime di somministrazione della Ru 486 per nulla rivisitato in questi anni.

Eppure un cambio di passo si palesa necessario alla luce della circostanza per la quale le donne che ricorrono all’aborto farmacologico firmano le dimissioni per rientrare in ospedale successivamente, ma soprattutto si palesa obbligato dal sempre più frequente acquisto in rete di farmaci abortivi non sicuri, i cui effetti sono ben più gravi per la salute delle donne. Come potrebbe allora leggersi l’intervento parlamentare dell’esponente governativo in merito alla prossima sperimentazione nel Lazio della somministrazione della Ru 486 in specifici consultori? Come un tentativo di riportare alla disciplina normativa della 194 ciò che nel 1978 non era in esso previsto? Come una pressione istituzionale per bloccare tale esperimento, peraltro in linea con la conferita autonomia legislativa in capo agli enti regionali? Come richiamo costretto all’osservanza delle Linee guida ministeriali per l’utilizzo della Ru 486?

Beatrice Lorenzin ha giustificato le posizioni ministeriali riguardo la necessità del ricovero ospedaliero con la salvaguardia del diritto alla salute delle donne, concordando con la deputata interrogante che debbano essere garantite “le massime condizioni di sicurezza per la salute della donna”. Sulle stesse posizioni ideali è il Vicariato di Roma, quando afferma che “i rischi sanitari le la mortalità connessa all’utilizzo della pillola abortiva sono normalmente superiori a quelli dell’aborto con procedura chirurgica”. Vengono allora alla mente le parole di un articolo dell’Avvenire del 18 dicembre 2008, esplicative della contrarietà nei confronti dell’aborto chimico e relative al timore che un giorno si possa giungere alla totale determinazione della donna in fatto di interruzione volontaria di gravidanza: “Non si può accettare che la decisione di abortire […] sia lasciata nelle mani solo della gestante, al di fuori di ogni regola e di qualsiasi ausilio che l’aiuti a riflettere su quanto sta per fare”.

Ebbene, la Regione Lazio le regole le sta preparando, nei consultori la donna non sarà lasciata sola o senza le necessarie tutele ed il Governo, per il tramite della titolare del dicastero alla Sanità, garantisca “la sperimentazione dell’aborto farmacologico in tutto il territorio nazionale, una metodica che può avvenire in completa sicurezza e garantendo la libertà di scelta alle donne, come avviene in tutto il resto dell’Europa e del mondo” (on. Marisa Nicchi). “L’obbligo di ricovero non è un fatto sanitario, è un fatto ideologico e politico, per rendere l’aborto un percorso gravoso per le donne. Come se dovessero essere punite di qualcosa. Noi non vogliamo banalizzare la scelta, ma rendere il tutto più umano. E la Ru486 è una pratica ambulatoriale, non ospedaliera” (Anna Pompili, ginecologa, tra le ideatrici della sperimentazione). E, soprattutto, come sottolineano Carlo Flamigni e Corrado Melega nel libro Ru486: Non tutte le streghe sono state bruciate, la “si smetta di considerare la popolazione femminile così sciocca, fatua e insensibile alla legge morale da scegliere di abortire solo perché a fila ai consultori è breve”.

Maddalena Robustelli noi donne 22 aprile 2017 www.noidonne.org/blog.php?ID=08006

 

L’aborto, in qualunque modalità avvenga, è sempre un omicidio. No all’aborto chimico nei consultori

Con la determinazione 16 marzo 2017, n. G03244 della Direzione Salute e Politiche Sociali, il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha istituito un tavolo tecnico per permettere entro la settima settimana di gravidanza la somministrazione della pillola abortiva RU486 nei Consultori Familiari.

Come ha già ampiamente dimostrato l’AIGOC, Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici, questa decisione “mostra un accanimento ideologico contro le figure più fragili nel mondo dell’aborto volontario: la madre e l’embrione.”

“Nel merito: contro la madre si disattende completamente ciò che la scienza da 30 anni ha prodotto con studi rigorosi sull’impatto dell’aborto volontario sulla salute psicologica e la successiva ripresa della capacità gestazionale. L’aborto con la RU486 esce dalla sfera del pubblico per entrare sempre più nei meandri del privato e della solitudine: la procedura infatti viene a gravare sul piano psicologico, pesantemente, sulla donna già ‘gravata’ da una tragica decisione. Nel metodo: la letteratura si è espressa sulla pericolosità 10 volte superiore della RU486 rispetto all’aborto chirurgico (Bartlett L.A. et Al Obstet. Gynaecol. 103 (4:729-37, 2004) e soprattutto in relazione alle gravi complicanze di ordine medico sanitario dovute alla RU486: 676 segnalazioni del FDA, di cui 17 gravidanze extrauterine, 72 casi di gravi emorragie, 637 casi di effetti collaterali su 607 pazienti (Gary et Al Ann. Pharmacoth, Feb 2006) e 29 morti accertate nel mondo occidentale (New England Journal Medicine 354:15 April 13, 2006). Anche nella recente relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194 sono stati riferiti due episodi di mortalità materna.”

Nell’aprile 2014 una donna morì al Martini di Torino dopo aver assunto la pillola. Nessuno ricordò che insieme a lei era morto il figlio. Se si dimentica questo, concentrandosi esclusivamente sul problema dei rischi per la donna, si cade senza accorgersi nel tranello per cui la pillola è nata: aumentare gli aborti cercando di dimenticarli. Conclude perciò l’AIGOC “(…) Contro questa cultura che banalizza il patrimonio delle conoscenze e utilizza la scienza contro le figure più fragili, i ginecologi dell’AIGOC bollano questa sperimentazione, ideologicamente fondata, come una procedura senza i requisiti minimi di tutela della madre e del concepito e come tale non solo antiscientifica ma anche antiumana.”

Con questa decisione – dopo i concorsi riservati per medici non obiettori di coscienza – la giunta Zingaretti si conferma tra le più ostili alla vita nascente. L’aborto, in qualunque modalità avvenga, è sempre un omicidio.

Il mezzogiorno 19 aprile 2017

http://caserta24ore.altervista.org/19042017/laborto-in-qualunque-modalita-avvenga-e-sempre-un-omicidio-no-allaborto-chimico-nei-consultori

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ADOZIONE

L’origine del figlio adottivo, identità e appartenenza.

Alcune famiglie che fanno esperienza di adozione, con figli adottati alla nascita o più grandi, sino ai 10 anni, hanno incontrato a Milano, il professor Regoliosi, lo scorso 2 aprile 2017. Ne è nato un dialogo schietto su tematiche molto importanti e sentite dai figli e famiglie.

Il professore ha raccontato: “Nel portarvi la mia testimonianza, anche di padre adottivo, voglio sottolineare come nulla sia più importante della esperienza, e che ogni famiglia debba guardare alla propria storia come qualcosa di unico e irripetibile”.

Regoliosi ha affrontato il tema dell’origine per i bambini adottati, con dei brevi approfondimenti sulle differenze tra abbandono alla nascita o in età più avanzata ma sempre nell’infanzia. “La raccolta di tante storie mi ha confermato un dato peraltro intuibile, ma che spesso viene sottovalutato: per un figlio adottivo il rapporto con la propria origine è la questione centrale, ed è una ferita che li accompagnerà per tutta la loro esistenza. Molti pensano che il problema sia diverso per i bambini adottati a pochi giorni dalla nascita, e per quelli abbandonati o allontanati dalla madre in età più avanzata. Si tratta certamente di esperienze differenti, ma il nodo centrale rimane il medesimo: ‘Da dove vengo? Perché sono stato abbandonato? ‘C’è un grande buco nero dentro di me, e io ho bisogno di richiuderlo. Potrebbe essere il vuoto lasciato dalla mia madre biologica’ ha scritto un adolescente adottato quando aveva pochi giorni. La paura più grande dei vostri figli credo sia quella di essere abbandonati di nuovo.

Ciò che i genitori adottivi devono cercare di fare però è quello di non mostrarsi mai indifferenti ai loro sentimenti e ai loro ricordi. Un figlio adottivo può avere una grande bisogno di parlare liberamente di questi temi. Per poter tradurre in parole quelle emozioni che ha vissuto da piccolo, e a cui non è mai riuscito a dare voce. O ancora, se l’abbandono è più recente e il ragazzo l’ha subito da grande, per poter dare legittimità al suo dolore e sentirsi compreso e accettato nella propria debolezza e nella inevitabile ambiguità dei propri sentimenti di amore-odio verso la famiglia d’origine e verso i genitori adottivi. Senza il timore di offendere nessuno o di passare per ingrato”.

Breve profilo di Luigi Regoliosi. Psicologo e pedagogista, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Brescia. Consulente di enti pubblici e privati nel campo delle politiche giovanili. E’ autore di saggi e ricerche sul disagio giovanile, la prevenzione, il lavoro di strada, la consulenza socioeducativa. È stato Giudice onorario presso il Tribunale minorenni di Milano. E’ direttore della Scuola di Counselling Professionale Sintema.

Newsletter famiglie per l’accoglienza 21 aprile 2017

www.famiglieperaccoglienza.it/2017/04/11/lorigine-del-figlio-adottivo-identita-e-appartenenza-famiglie-adottive-incontrano-luigi-regoliosi

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Parola fine su un triennio confuso per le coppie più accoglienti d’Europa

Ma sono davvero sconosciuti i motivi? L’attività della Cai da giugno 2014 si è di fatto azzerata. La commissione non si è mai riunita, tranne una formale riunione di insediamento. Tutto questo ha avuto conseguenze molto gravi sull’intero sistema delle adozioni internazionali: la tutela dei fondamentali diritti dei bambini adottati e delle loro famiglie è ad alto rischio. Torna sull’argomento Luciano Moia.

News Ai. Bi. 18 aprile 2017

www.aibi.it/ita/commissione-adozioni-internazionali-parola-fine-su-un-triennio-inspiegabile-ma-sono-davvero-sconosciuti-i-motivi

Dal giugno 2014 la Commissione non si è più riunita, non sono più stati pubblicati i report statistici, né erogati i rimborsi. Motivi? Sconosciuti

Negli ultimi due decenni l’Italia è risultato il primo Paese d’Europa per numero di adozioni internazionali. Nel mondo, solo gli Stati Uniti si sono dimostrati più accoglienti di noi. Nonostante i costi elevati a carico delle famiglie e la complessità delle procedure, le adozioni sono aumentate fino al 2010, quando le famiglie italiane sono arrivate ad adottare quasi 5mila bambini in un anno.

Poi la progressiva diminuzione, complice da una parte la crisi economica, i mutati atteggiamenti di molti dei Paesi di provenienza, e -almeno in parte – la battuta d’arresto nel funzionamento della Commissione adozioni internazionali in coincidenza con la nomina alla vicepresidenza, il 13 febbraio 2014, del magistrato Silvia Della Monica.

Come è noto, e come abbiamo scritto più volte, l’attività della Cai nell’ultimo triennio si è di fatto azzerata. La commissione non si è mai riunita, tranne una formale riunione di insediamento nel giugno 2014.

Eppure, secondo quanto stabilito dalla legge, si tratta di un organo collegiale con compiti ben precisi, in cui le decisione del presidente o del suo vice, devono essere ratificate collegialmente. Questo in tre anni non è mai avvenuto. Come non sono più stati pubblicati i report sulle adozioni, non sono stati più erogati alle famiglie adottive i contributi previsti dalla legge, è stata sospesa la linea telefonica dedicata alle famiglie e tanto altro ancora.

La mancata convocazione della Commissione ha avuto conseguenze molto gravi sull’intero sistema delle adozioni internazionali. L’organismo ha il compito fondamentale di sovraintendere sull’operato degli enti accreditati – nel nostro Paese sono 65, troppi, quasi il doppio rispetto agli Usa – controllando la regolarità delle adozioni, ma anche collaborando con le autorità dei Paesi di provenienza. Non solo, per avviare nuove adozioni e per offrire quindi più ampie possibilità alle famiglie che desiderano aprirsi all’accoglienza, la Cai deve promuovere d’intesa con il ministro degli Esteri nuove convenzioni con i Paesi esteri.

Ma se la Commissione non si riunisce, non può svolgere nessuna di queste funzioni e quindi la tutela dei fondamentali diritti dei bambini adottati e delle loro famiglie è ad alto rischio.

Difficoltosi, e in parte ancora tutti da chiarire, anche i rapporti tra la vicepresidenza uscente e alcuni degli enti accreditati con accuse pesantissime, anche penalmente rilevanti, che attendono però ancora di essere formalizzate. Nel mirino in particolare Ai.Bi (Associazione amici dei bambini), il maggiore ente italiano, di ispirazione cattolica, responsabile secondo una ben orchestrata campagna di stampa condotta da un settimanale, di “rubare bambini in Congo”.

Contro Ai.Bi è stata avviata un’indagine amministrativa che però non è stata in grado di accertare alcuna irregolarità e, dopo alcuni mesi, è stata chiusa. Per quanto riguarda le altre accuse si è ancora in attesa dell’apertura di un’indagine formale.

Luciano Moia Avvenire 21 aprile 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/parola-fine-su-un-triennio-confuso-per-le-coppie-pi-accoglienti-deuropa

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AMORIS LÆTITIA

Mons. Paglia: Amoris Lætitia accolta con entusiasmo dai fedeli

E’ trascorso un anno dalla pubblicazione dell’Amoris Lætitia, l’Esortazione apostolica di Papa Francesco sulla pastorale familiare. In molte Chiese locali sono state avviate iniziative per riflettere sul testo e consentirne un’applicazione concreta. Per una valutazione sull’accoglienza che ha ricevuto il documento si è sentito l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia:

R. – C’è una grandissima recezione da parte del popolo di Dio, ovunque nel mondo. E’ un testo che viene accolto con entusiasmo, che la gente sente pieno di grande simpatia per le famiglie, anche di grande speranza. A un anno di distanza, i frutti sono notevoli ma ovviamente la complessità delle situazioni richiederà ancora applicazioni più legate ai diversi contesti culturali.

C’è bisogno, per esempio – è una cosa che noto un po’ dovunque – di ripensare in maniera abbastanza profonda la preparazione al matrimonio e ancor più – e qui siamo davvero indietro – l’accompagnamento delle giovani coppie nei primi anni della loro esperienza matrimoniale e familiare.

D. – Ci sono elementi chiave di questo testo che secondo lei sono rimasti in secondo piano, rispetto al dibattito sul discernimento nelle situazioni irregolari?

R. – Sì, non c’è dubbio. L’Amoris Lætitia richiede un cambiamento di stile e di concezione della stessa Chiesa locale. La Chiesa essa stessa deve diventare familiare, deve affinare lo sguardo materno se vuole comprendere, accompagnare, discernere e integrare le famiglie. E qui c’è tantissimo ancora da fare. Ci troviamo di fronte a delle famiglie – in genere – poco ecclesiali e a delle comunità parrocchiali – in genere – poco familiari. C’è una sorta di nuova alleanza da ritrovare. La Chiesa di Amoris Lætitia è una Chiesa che deve riscoprire appunto l’amore nella sua profondità.

Una parte che spesso è poco frequentata ma è – penso – il pilastro di tutta l’Esortazione apostolica, è il capitolo 4, dove l’amore non risuona con corde romantiche – ‘due cuori, una capanna’ – ma l’amore, come il Papa lo descrive, è un amore che costruisce, che edifica, che è paziente, che perdona, che sopporta, che scusa e che spera anche contro ogni speranza. Ecco perché è un amore robusto e non un amore legato unicamente ai sentimenti: che è uno dei grandi equivoci della cultura contemporanea.

D. – Cosa rispondere a chi sottolinea invece i dubbi pastorali causati dal capitolo ottavo?

R. – Non c’è nessun dubbio sulla dottrina. C’è un ridare spazio ampio alla pastorale. Certo, questo richiede pastori che tornino a fare i pastori, cioè che sappiano – appunto – discernere, che sappiano accompagnare, che sappiano ascoltare e che sappiano via via integrare i fedeli – anche quelli più problematici – con la pazienza e la pedagogia di Dio, verso l’incorporazione a Gesù, al suo Corpo. E io ribadisco che il primo incontro con il Corpo di Cristo, in questo caso delle famiglie ferite, problematiche, avviene toccando la comunità cristiana, partecipando alla sua vita ed è di qui che poi si intraprende un nuovo cammino di crescita e di conversione. E qui c’è una responsabilità enorme. Potrei dire: i preti devono fare i preti, devono fare i padri spirituali e questo anche alcuni laici. Bisogna aiutare coloro che hanno difficoltà a rimettersi in piedi e a camminare con l’aiuto della grazia di Dio.

D. – In questo senso si capisce anche qual è il messaggio dell’Amoris Lætitia in chiave di resurrezione pasquale.

R. – La resurrezione è un dinamismo d’integrazione al Cristo risorto che ci aiuta a guarire le ferite, a irrobustire il nostro cuore e il nostro spirito per andare incontro a chi ha più bisogno. Insomma, la resurrezione è la vittoria su ogni peccato, su ogni male. In questo senso, il messaggio di Cristo risorto è l’annuncio gioioso più forte che tutte le famiglie del mondo debbono ascoltare. E spetta a tutti i cristiani – pastori, laici, religiosi, sacerdoti e chiunque – di immettere la scintilla della resurrezione in tutte le situazioni: Gesù è venuto per salvare, non per condannare.

Fabio Colagrande Notiziario Radio vaticana -17 aprile 2017

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Figli maggiorenni: se perdono il lavoro, l’obbligo del mantenimento non rivive

Corte di Cassazione – sesta Sezione civile, ordinanza n. 6509, 14 marzo 2017

Quando il figlio maggiore di età abbandoni il posto a tempo indeterminato per sceglierne altro a tempo determinato ciò non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.

Avv. Renato D’Isa on 20 aprile 2017ordinanza in

https://renatodisa.com/2017/04/20/corte-di-cassazione-sezione-vi-civile-ordinanza-14-marzo-2017-n-6509

 

Mantenimento figli: anche se meno abbiente dell’altro, il genitore è comunque obbligato

Corte di Cassazione – sesta Sezione civile, ordinanza n. 8633, 3 aprile 2017

La Cassazione ricorda che l’obbligo sussiste per entrambi indipendentemente dalla maggiore capacità economico di uno dei due genitori.

Anche se uno dei due genitori è meno abbiente dell’altro, scatta comunque l’obbligo di mantenere i figli.

Lo ha ricordato la Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso di un padre avverso la sentenza d’appello che gli imponeva un assegno di mantenimento di 420 euro mensili in favore dei figli minori.

L’uomo aveva impugnato il decreto del tribunale che gli aveva imposto un assegno complessivo di 300 euro, chiedendone la revoca perché gli aveva causato “un grave deterioramento delle condizioni economiche”.

La Corte territoriale, per tutta risposta, non solo respingeva l’appello ma riqualificava l’assegno in 420 euro ritenendo il precedente importo insufficiente.

Da qui il ricorso in Cassazione, dove le tesi dell’uomo, tuttavia, non trovano per nulla accoglimento.

Il ricorso, infatti, dichiarano gli Ermellini, appare inammissibile e manifestamente infondato, atteso che il giudice d’appello ha correttamente richiamato la giurisprudenza “sull’obbligo di entrambi i genitori di contribuire al mantenimento dei figli, anche nel caso di maggiore capacità economica di uno dei due”.

Quanto alla misura dell’assegno, sempre correttamente la corte ha rimarcato come la stessa fosse rispondente alle verosimili esigenze dei due figli (anche in relazione al tenore di vita goduto nel periodo di convivenza dei genitori), nonché perfettamente sostenibile dal ricorrente (che svolge attività di agente immobiliare) e proporzionata “alla valenza economica dei compiti domestici e di cura svolti da entrambi i genitori” oltre a tenere conto adeguatamente del tempo di permanenza dei minori presso il padre.

Redazione Newsletter Studio Cataldi 18 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25779-mantenimento-figli-anche-se-meno-abbiente-dell-altro-il-genitore-e-comunque-obbligato.asp

 

Cassazione: anche i figli cinquantenni hanno diritto agli alimenti.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 9415, 12 aprile 2017

Se la loro situazione di bisogno è comprovata e ogni tentativo di uscirne è risultato infruttuoso, hanno diritto a ottenere gli alimenti. Se il figlio ha bisogno di aiuto, i genitori devono aiutarlo a prescindere da quale sia la sua età.

Lo sa bene un’anziana donna che ha visto confermata anche in Cassazione la propria condanna a versare in favore del figlio ultracinquantenne 300 euro al mese a titolo di assegno alimentare.

Con la sentenza, i giudici hanno posto fine a una controversia giudiziaria durata oltre venti anni, all’esito della quale ad avere la meglio è stato il figlio, maturo ma disoccupato, nonostante abbia quasi completato il percorso di studi per ottenere la laurea in giurisprudenza e si sia diplomato in violino in conservatorio.

Le motivazioni alla base del riconoscimento del diritto dell’uomo ad ottenere gli alimenti dall’anziana madre si leggono chiaramente nella sentenza di appello, nella quale il giudice del merito ha ritenuto raggiunta la prova della sussistenza del presupposto della prestazione alimentare considerando la sua situazione di bisogno e le infruttuose: – disponibilità a tenere lezioni di violino e svolgere attività di attacchinaggio, – iscrizione all’ufficio di collocamento, – richiesta di essere richiamato a svolgere il servizio militare, – partecipazione a un concorso pubblico bandito dal Ministero della Giustizia. In corso di causa, inoltre, è emerso che la condizione soggettiva dell’uomo è gravemente compromessa dall’essere egli affetto da seri problemi psicologici e relazionali.

A fronte di queste e altre circostanze, pacifiche e comprovate, e ritenuti infondati tutti e quattro i motivi proposti dalla mamma in Cassazione per la riforma della sua condanna, la donna deve ora rassegnarsi a pagare e a continuare, quindi, a mantenere il figlio nonostante la sua età avanzata

Valeria Zeppilli Newsletter Studio Cataldi 18 aprile 2017 sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/25847-cassazione-anche-i-figli-cinquantenni-vanno-mantenuti.asp

 

Mantenimento alla ex moglie, fino a quale età non spetta?

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, Ordinanza n. 9945, 19 aprile 2017

La donna con un titolo di studio, ma che per lungo tempo si è dedicata alla famiglia, ha diritto al mantenimento per aver perso la sua concreta capacità a trovare un posto di lavoro.

Alle donne ancora giovani e capaci di lavorare non spetta l’assegno di mantenimento dall’ex marito; quelle invece che hanno impiegato una vita in casa, ad accudire i figli e a fare le faccende domestiche, hanno diritto ad essere mantenute perché da sole, ormai, non sarebbero più in grado di farlo. Può suonare approssimativo e generico, ma è sostanzialmente in questo modo che oggi decidono i giudici. Da ultimo una recente sentenza della Cassazione si è occupata proprio dell’assegno di mantenimento all’ex moglie specificando fino a quale età non spetta ossia, in altre parole, a partire da quando si può dire che la donna non è più capace di reimmettersi nel mondo del lavoro e, attraverso un impiego, mantenersi da sola. Ma procediamo con ordine e vediamo, più nello specifico, quando non spetta l’assegno di mantenimento all’ex moglie.

In caso di separazione tra marito e moglie, l’assegno di mantenimento in favore di quest’ultima viene quantificato anche in ragione delle sue potenzialità lavorative residue e della durata del matrimonio. Così se la donna è ancora giovane e con concrete possibilità di trovare un’occupazione – per avere ad esempio un titolo di studio, una formazione e, magari, delle esperienze lavorative pregresse – vedrà ridursi sostanzialmente (se non addirittura cancellate) le proprie ambizioni ad ottenere un lauto assegno di mantenimento

www.laleggepertutti.it/122572_niente-piu-assegno-di-mantenimento-alla-donna-separata

Diverso è il caso della moglie che, per lungo tempo, si è dedicata alla casa con l’accordo del marito, per consentire a quest’ultimo di concentrarsi sul lavoro e realizzarsi, traendo da ciò una buona carriera.

Questo è l’orientamento attuale della giurisprudenza che sembra suggerire una logica deduzione: se il matrimonio è stato di breve durata e, quindi, la donna è ancora “abile” a trovare un’occupazione non può pretendere di restare sulle spalle del marito per il resto della propria vita; dall’altro lato se il matrimonio è durato a lungo e, quindi, l’ex moglie ha perso tutte le chance di impiegarsi nel mondo del lavoro allora sarà l’uomo a doverle garantire un futuro, anche perché parte della sua carriera è dipesa proprio dal sacrificio di costei, rimasta a badare alla casa e ai figli.

A questo punto viene naturale chiedersi quale sia la durata del matrimonio oltre la quale scatta l’obbligo di pagare il mantenimento o, in altri termini, da quale età la donna, rimasta a lungo casalinga, non è più in grado di trovare un lavoro? La sentenza in commento ha preso in esame il caso di una donna di cinquant’anni con una prevalente dedizione alla vita familiare, cosa che aveva consentito al marito un’attività professionale di rilevante impegno. Tale avanzamento d’età – sostiene la Cassazione, riferendosi alla donna di 50 anni – impedisce di reperire una posizione lavorativa sicura e stabile, nonostante la presenza di un titolo di studi che astrattamente lo consente (nel caso di specie si trattava di una laurea).

Ciò detto, va versato alla ex moglie non più in grado di lavorare l’assegno di mantenimento in ragione dell’apporto e del sostegno da questa recato alla vita familiare e, specificamente, all’attività professionale del marito e all’accudimento del figlio.

Redazione La legge per tutti 20 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/158601_mantenimento-alla-ex-moglie-fino-a-quale-eta-non-spetta

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 15/2017, 19 aprile 2017.

Un gesto religioso, un gesto comunitario. Dopo l’evento pasquale, ascoltare l’Halleluja di Handel cantato dal vivo in un centro commerciale non ha prezzo! Basta vedere gli sguardi stupiti dei bambini e i sorrisi incerti degli adulti www.youtube.com/watch?v=SXh7JR9oKVE

Notizie – dall’Italia e dall’estero

Corso on-line su Famiglia e Media, promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce e da Familyandmedia, con la produzione di Placting. Si tratta di 10 video lezioni che analizzano il rapporto tra famiglia e mass media, con uno sguardo realista, critico e positivo dei contenuti più fruiti dal pubblico: film, series tv, videogiochi, social networks, cronaca di attualità, romanzi, ecc. […] Le video lezioni sono presentate da professori esperti nel settore della comunicazione etica e sociale, in un’ottica di media education, con un approccio che è non solo teorico, ma anche pratico

www.familyandmedia.eu/educazione-ai-media/al-via-il-primo-corso-on-line-su-famiglia-e-media

In occasione della sua recente assemblea annuale, EUROCHILD Europe ha pubblicato il suo Rapporto annuale 2016, dove viene analizzata la condizione dell’infanzia in Europa e la qualità delle politiche pubbliche a protezione dell’infanzia. Ampio spazio, nel rapporto, alla partecipazione attiva dei minori nel dibattito pubblico. Interessante anche il capitolo sui minori stranieri non accompagnati che arrivano sul territorio europeo. Eurochild è una rete internazionale di enti ed associazioni che si occupano. Link

Amoris Lætitia. Per chi è abituato a leggere sugli schermi elettronici, ma anche per chi vuole cominciare a capire come funziona un e-book, da leggere sul video del pc o del telefonino. Cominciare dai commenti sull’Esortazione apostolica Amoris Lætitiapotrebbe essere una buona idea. Oltre 300 pagine di articoli, analisi, interviste, approfondimenti pubblicati su Avvenire e sul mensile Noi famiglia & vita, in questo primo anno dalla pubblicazione dell’Esortazione postsinodale.

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La sfida dei papà. Nove racconti sul padre alla prova dei figli adolescenti. Sempre in versione e-book, un agile volume sul ruolo del padre, gradevole da leggere nella forma narrativa e nel linguaggio scanzonato dei figli adolescenti. “Fare il papà è una sfida, soprattutto quando i figli raggiungono la difficile stagione dell’adolescenza. Ma cosa succede quando nove ragazzi si incontrano per raccontarsi i loro papà in una sfida del tutto diversa, quella in cui «ognuno racconta suo padre, e poi alla fine decidiamo chi è il più rompiballe»?” (Antonio Ferrara e Filippo Mittino)

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Save the date

Nord L’albero del male. Prospettive psicoanalitiche, Società Psicoanalitica Italiana, Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti, Milano, 13 maggio 2017. Link per pdf

Conduttori di gruppi di parola. Corso di alta formazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano, 9 giornate di formazione, promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia e dal Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia, Milano, dal 26 giugno 2017 al 30 marzo 2018 – scadenza per le iscrizioni: 19 giugno 2017

http://apps.unicatt.it/formazione_permanente/milano_scheda_corso.asp?id=11041

Centro Beyond the trauma theory. Un approccio esistenziale e culturale di fronte alle avversità della vita, Accademia di psicoterapia della famiglia, 48.o convegno di studio, Roma, 23-24 giugno 2017. Link per pdf

Sud Impresa e famiglia tra “prima” e “dopo”. Il ruolo dei professionisti tra pianificazione e impugnazione del passaggio generazionale della ricchezza, promosso da Fondazione ANT (Associazione Nazionale Tumori) e Associazioni Amici ANT, Bari, 5 maggio 2017.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1517_allegato2.jpg

Testo e link integrali http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/aprile2017/2036/index.html

Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CINQUE PER MILLE

5 per mille 2015, in calo per la prima volta le preferenze alle onlus

I contribuenti che hanno destinato parte delle imposte a fini sociali nel 2015 sono meno di 16,3 milioni contro i 16,6 milioni del 2014. E per la prima volta anche l’elenco del volontariato perde consensi (-3,3%), soprattutto tra le grandi organizzazioni, che vedono i firmatari crollare di quasi 140mila unità. Un segnale di allarme da non sottovalutare. L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato i dati di questa annualità, e oggi a bocce ferme partono i primi commenti.

www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Documentazione/Archivio/ArchivioSchedeAdempimento/Schede+adempimento+2015/Richiedere+2015/Iscrizione+elenchi+5+per+mille+2015/Elenchi+5xmille2015/Elenco+complessivo+beneficiari+5xmille2015/

Come si può notare da alcune analisi (citiamo tra le altre quella di Mario Consorti e di Carlo Mazzini) emerge il trend discendente nel numero di contribuenti che firmano per il 5‰. Le preferenze complessive continuano a diminuire: 16.297.009 contro le 16.604.008 del 2014, e gli enti che si iscrivono alle liste per beneficiare del contributo aumentano (54.843 contro i 53.461 del 2014). Inoltre – ed è la prima volta che accade – anche il settore delle onlus, prima inattaccabile, comincia a subire i primi cali.

Il settore della ricerca scientifica perde il 4,1% di firmatari, quello del volontariato il 3,3%, e anche se i Comuni guadagnano quasi il 5% e le associazioni sportive il 2,7%, il dato generale parla chiaro: -2,1% di firmatari dal 2014 al 2015. Passando alle somme raccolte, il dato generale parla di un -0,9% dato da una media tra i valori negativi di volontariato e ricerca scientifica (rispettivamente -2,1% e -3%) e quelli positivi di ricerca sanitaria (+6,8%), Comuni (+2,8) e sportive (+2,5). La differenza di percentuale (l’importo totale diminuisce di meno rispetto ai sottoscrittori) è data dall’aumento complessivo delle imposte.

Resta il segnale per il non profit: il 5‰ è uno strumento potente, ma non infinito e non scontato. Le ragioni dei segnali di disaffezione possono essere tante, e ciascuna organizzazione potrà sbizzarrirsi a cercare la sua. Certo è che una maggiore attenzione a questo strumento andrà prestata da subito, soprattutto da quegli enti che in passato erano abituati a exploit importanti. «La crescita di questi anni è stata determinata dalle grandi organizzazioni, che hanno investito e trascinato le altre influenzandone strategie e modo di comunicare», nota Mario Consorti, presidente di NP Solutions. «Oggi queste grandi organizzazioni vedono generalmente un decremento di preferenze, e sono proprio le prime 20 che perdono 138.761 preferenze (il 40% della perdita complessiva), in un contesto economico essenzialmente stabile, quindi con numero di contribuenti costante».

Gabriella Meroni vita.it 18 aprile 2017

www.vita.it/it/article/2017/04/19/5-per-mille-2015-in-calo-per-la-prima-volta-le-preferenze-alle-onlus/143095/

5 per mille 2015, i nuovi dati: ecco le prime 10 associazioni.

L’Agenzia delle Entrate pubblica oggi i dati relativi alla raccolta dell’annualità 2015, anche se per la prima volta non comunica il dato dei contribuenti per elenco e quello di chi non ha espresso alcun codice fiscale. Piccolo terremoto nella top ten: fuori un ospedale e un’associazione storica, dentro una Ong e un Istituto che cura i tumori.

Sono stati pubblicati dall’Agenzia delle Entrate i dati relativi alla raccolta del 5‰. 2015. Come del resto è accaduto negli ultimi anni, l’Agenzia ha accorpato tutti i numeri in un unico elenco relativo a tutte le organizzazioni beneficiarie, e realizzando quindi una «classifica generale». A differenza delle altre annualità, tuttavia, non sono state rese note le preferenze elenco per elenco, e neppure si conosce il dato relativo alle scelte espresse con la sola firma, senza indicare alcun codice fiscale. Manca dunque il dato preciso relativo a quanti contribuenti hanno firmato per il 5‰ di due anni fa.

Ma vediamo ora la classifica dei primi 10 enti, che vede come da tradizione al primo posto l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, che porta a casa oltre 64,9 milioni, in calo sul 2014 di circa 1,2 milioni; secondo posto per Emergency (-487.371 euro rispetto a tre anni fa) e terzo per la Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro, che invece guadagna oltre 562mila euro. Rimane quarta e aumenta anch’essa i ricavi (+375.825) Medici senza Frontiere, mentre balza al quinto posto (era undicesimo nel 2014) l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, che mette a segno un significativo +2,2 milioni.

Al sesto posto si trova l’Unicef, che mantiene la stessa posizione del 2014 e sostanzialmente gli stessi contributi (-19.448 euro), mentre scende al settimo posto (dal quinto) l’Ail-Associazione italiana contro le leucemie, che perde oltre 872mila euro. Scivola di una posizione (dal settimo all’ottavo posto) la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (-247.947 euro), mentre entra nella top ten dalla quattordicesima piazza occupata nel 2014 Save the children, nona con 926.455 euro in più.

Ancora decimo posto, infine, per la Lega del Filo d’Oro, che però sale nella raccolta di oltre 162mila euro. Escono dalle prime dieci nel 2015 due organizzazioni sanitarie: la Fondazione Umberto Veronesi (13esima) e l’Ospedale san Raffaele, dodicesimo

Gabriella Meroni vita.it 18 aprile 2017

www.vita.it/it/article/2017/04/18/5-per-mille-2015-i-nuovi-dati-ecco-le-prime-10-associazioni/143083

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Laura Laera verso la Commissione Adozioni

Il Csm conferma di aver dato il via libera al collocamento fuori ruolo per la Presidente del Tribunale dei Minorenni di Firenze Laura Laera per andare ad assumere la vicepresidenza della CAI.

«Il sistema italiano è un sistema forte», disse un anno fa in Commissione Giustizia, parlando di adozioni internazionali: «Si deve puntare a una collaborazione tra tutte le istituzioni che lavorano nel settore, che ciascuno faccia bene la sua parte e ci sia uno scambio di formazione-informazione»

L’articolo prosegue

Sara De Carli vita.it 19 aprile 2017

www.vita.it/it/article/2017/04/19/laura-laera-verso-la-commissione-adozioni/143087

 

Adozioni, si riparte da Laura Laera

Il mondo delle adozioni internazionali ricomincia da Laura Laera, presidente del Tribunale dei minori di Firenze. Mercoledì sera è arrivato il via libera del plenum del Csm per la messa “fuori ruolo” del magistrato, come richiesto dal Consiglio dei ministri. Una decisione che chiude di fatto un triennio segnato da tensioni e polemiche.

Un lungo periodo in cui le famiglie che hanno deciso di aprirsi all’accoglienza, sono state costrette a sopportare – oltre al complesso iter e ai costi ben noti – anche ritardi, inefficienze e disservizi vari. L’auspicio è che tutto questo possa finire presto. Una volta conclusi gli adempimenti formali e ufficializzata la nomina, Laura Laera andrà ad assumere la vicepresidenza della Commissione adozioni internazionali (la presidenza spetta, secondo quanto stabilito dalla legge, allo stesso presidente del Consiglio o a un ministro da lui delegato). Il percorso è già indicato nel comunicato emanato dal Csm: il presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, è destinata «a ricoprire l’incarico di vice presidente della commissione per le adozioni internazionali, su nomina della Presidenza del Consiglio dei Ministri».

La strada dovrebbe risultare agevole e, soprattutto molto rapida. Il governo per primo non vede l’ora di lasciarsi alle spalle l’inspiegabile gestione della vicepresidente uscente Silvia Della Monica, anche lei magistrato, il cui mandato triennale è scaduto lo scorso febbraio.

Ora le attenzioni delle famiglie adottive, delle associazioni e degli enti si concentrano su Laura Laera, milanese, 68 anni, moglie di Francesco Greco, procuratore capo di Milano. Dal 2012 Laera è presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze, dopo tanti anni trascorsi al Tribunale per i minorenni di Milano. Vastissima esperienza specifica sulla giustizia minorile quindi, ma anche scelte e convinzioni su cui sospendere il giudizio. Le sue aperture alla stepchild adoption – espresse per esempio nel maggio 2016 nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulla riforma della legge 184 – e alcune sentenze decise dal Tribunale da lei presieduto (il 9 marzo 2017 scorso riconosciute due adozioni concesse a due coppie di uomini omosessuali) aprono non pochi interrogativi.

Del resto le sue scelte risultano del tutti coerenti con quanto lei stessa aveva spiegato durante l’audizione parlamentare: «Capisco le posizioni di alcuni, che sono sulla difensiva rispetto alla famiglia legittima. È del tutto comprensibile, perché è un modello che abbiamo introiettato. Quello che si cerca di fare, o almeno che io cerco di fare, è di non avere un approccio ideologico. Il giudice deve lasciare da parte qualunque approccio ideologico sulla materia famiglia, deve affrontare la casistica che gli si presenta di volta in volta con un approccio laico, deve verificare nel caso concreto quale sia la normativa applicabile nel rispetto dell’interesse del minore».

A proposito del sistema italiano delle adozioni internazionali si era detta convinta che fosse un «sistema forte», costruito con la collaborazione di tutti e in cui ciascuno deve fare la sua parte. «È un cerchio, tagliare pezzi del quale credo possa risultare pericoloso». Vuole dire che enti e associazioni potranno trovare nella nuova vicepresidente un sostegno e uno stimolo? È l’auspicio di chi guarda al mondo delle adozioni come a una risorsa sociale e culturale – oltre che demografica – da non trascurare. A questo grande e complesso sistema, in cui le famiglie che si aprono all’accoglienza di un bambino senza genitori rappresentano la parte più rilevante, serve un rilancio deciso e un approccio davvero non ideologico. Il ruolo della Cai non è e non può essere quello di tentare esperimenti antropologici – la legge non lo prevede – ma dev’essere soprattutto finalizzato ad assicurare un’assistenza tecnica di prim’ordine alle famiglie e a promuovere la cultura dell’adozione valorizzando le diverse risorse esistenti.

Luciano Moia Avvenire 20 aprile 2017

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/adozioni-internazionali-si-riparte-da-laura-laera

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CONSULTORI FAMILIARI

Ciclo di Seminari dal titolo Dipendenze e relazioni.

Il prossimo ciclo di Seminari formativi, dedicati agli operatori dei Consultori della Rete Toscana dei Consultori, inizierà il 6 maggio 2017 e si svolgerà come di consueto a Firenze, presso la struttura del Bobolino. (Via Dante da Castiglione 13).

Il dilagare dei fenomeni di dipendenza, sia da elementi esterni che da condizioni interiori, rende ragione della scelta tematica che sempre più spesso diverse professionalità sociali si trovano ad affrontare.

Con questo ciclo d’incontri intendiamo offrire l’opportunità di approfondire queste tematiche, dando anche l’occasione di confronto con altri professionisti, in modo da accrescere le proprie competenze professionali in un contesto scientifico e operativo multidisciplinare.

Il primo Seminario è dedicato alle Dipendenze esogene.

La rete dei consultori toscani 18 aprile 2017

http://retetoscana.blogspot.it

 

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Brescia. Gruppo di parola per le donne in menopausa.

In Consultorio comincerà un nuovo gruppo di parola dedicato alle donne in menopausa. Gli incontri si terranno con cadenza settimanale ogni lunedì dalle 19 alle 21, a partire da lunedì 8 maggio a lunedì 5 giugno 2017, presso la sede del Consultorio Familiare Onlus La partecipazione, fino ad un massimo di 12 posti, è gratuita. www.consultoriofamiliare.org/iniziative_dett.php?id_iniziative=92

 

Taranto. “L’équipe, cuore del consultorio familiare UCIPEM” – giornata di studio

Il Consultorio UCIPEM “Il Focolare” al fine di essere più vicino ai consultori familiari e di favorire l’aggiornamento degli operatori, agevolando la loro partecipazione ai convegni, ha stabilito di trasformare i convegni annuali in giornate di studio da realizzarsi in sedi e momenti differenti.

La prima giornata di studio, organizzata dall’associazione con il patrocinio del CSV Taranto, avrà luogo il 30 aprile p.v. presso il Consultorio Familiare di Taranto in via Plateja,142 e sarà inserita nelle manifestazioni relative alla ricorrenza del 50° anniversario della sua fondazione.

Dette manifestazioni si terranno nei giorni 29 aprile con un incontro che avrà come tema Relazione di aiuto e comunità sociale e 1 maggio con un incontro-dibattito dal titolo: Consulenza e spiritualità ignaziana.

La giornata di studio sarà dedicata soprattutto agli operatori dei consultori familiari del Sud Italia ma ovviamente sarà aperta anche agli operatori provenienti dal resto della nazione. Le altre due giornate di studio avranno luogo a Roma, a giugno, in data da destinarsi, e a Milano l’11 novembre 2017

A Milano, nella stessa data, si terrà anche l’assemblea annuale dell’UCIPEM che quest’anno sarà anche elettiva per il rinnovo del Consiglio Direttivo. Le giornate di studio di quest’anno avranno come tema l’équipe del consultorio familiare UCIPEM, luogo in cui il confronto, l’integrazione di saperi e di esperienze e la costruzione di relazioni positive tra gli operatori genera capacità di accogliere ed accompagnare gli utenti e di costruire scelte operative sempre più rispondenti ai loro bisogni.

In sintesi si parlerà dell’équipe come cuore pulsante del consultorio UCIPEM. La giornata di studio prevede una lezione magistrale a cui seguiranno numerosi momenti di dialogo e di confronto tra gli operatori sia sotto forma di lavori di gruppo, sia sotto forma di interventi in sede di discussione plenaria. Tutto ciò, in ottemperanza a quanto emerso dal questionario compilato dai partecipanti al congresso di Oristano nel settembre scorso, darà ad ogni operatore da una parte la possibilità di ascoltare quanto ci possa essere di più aggiornato e aderente alla identità storica dell’UCIPEM sull’équipe, dall’altra darà la possibilità ad ognuno di comunicare esperienze, evidenziare criticità, fare commenti in un’ottica costruttiva e di crescita. Tutto questo al fine di favorire il massimo grado di interattività fra i partecipanti.

http://csvtaranto.it/blog/lequipe-cuore-del-consultorio-familiare-ucipem-giornata-di-studio/

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DALLA NAVATA

2° Domenica di Pasqua (in albis) –- Anno A – 23 aprile 2017

Atti 02, 42. Erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.

Salmo118, 02. Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».

1Pietro01, 08. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui.

Giovanni 20, 29. Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»

 

L’amore fedele del Risorto. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

Il capitolo finale del quarto vangelo, Gv 20 (Gv 21 è un’aggiunta posteriore), andrebbe letto interamente, per comprendere in profondità “il primo giorno della settimana” (Gv 20,1.19; cf. 20,26), il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Il primo giorno della settimana è il giorno della resurrezione del Signore ma è anche quello in cui il Risorto si rende presente in mezzo ai suoi: è il giorno del Signore, il giorno dell’intervento decisivo di Dio che, risuscitando Gesù, ha vinto la morte. Dal Nuovo Testamento sappiamo inoltre che proprio “il primo giorno della settimana” (At 20,7; 1Cor 16,2) è scelto dai cristiani per essere “nello stesso luogo” (At 1,15; 2,1.44.47, ecc.), quale assemblea di fratelli e sorelle che sperimentano la venuta del Risorto in mezzo a loro.

Scesa la sera di quel giorno, lo sconforto regna nei cuori dei discepoli che non hanno creduto né alla Maddalena né al discepolo amato. Ma Gesù aveva promesso: “Dopo la mia scomparsa, ‘ancora un poco e mi vedrete’ (Gv 16,16)”, e fedele alla parola data “viene e sta in mezzo”. Gesù è visto dai discepoli in mezzo a loro, al centro della loro assemblea, come colui che crea e dà unità, che “attira tutti a sé” (cf. Gv 12,32).

In quella posizione di Kýrios, di Signore, il Risorto dice: “Pace a voi!”, il saluto messianico, parola efficace che porta pace, vita piena, e scaccia la paura. E affinché le parole siano autenticate dalla sua persona di Maestro, Profeta e Messia conosciuto dai discepoli nella loro vita con lui, Gesù mostra le mani e il fianco che recano ancora i segni della sua passione e morte (cf. Gv 19,34). Gesù è presente con un corpo che non è un cadavere rianimato ma che viene a porte chiuse, non obbedendo alle leggi del tempo e dello spazio: un “corpo di gloria” (Fil 3,21), un “corpo spirituale” (1Cor 15,44.46), nel quale però restano i segni dell’aver sofferto la morte per amore. Sono segni di passione e insieme di gloria, segni dell’amore vissuto “fino alla fine, all’estremo” (Gv 13,1).

“E i discepoli gioirono al vedere il Signore”. Accade ciò che Gesù aveva profetizzato: “Ora siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà rapirvi la vostra gioia” (Gv 16,22). In questa nuova situazione della comunità, il Risorto, che aveva promesso di non lasciarla orfana (cf. Gv 14,18) e di donarle un altro Consolatore (cf. Gv 14,16), si fa manifesta. Ripete il saluto “Pace a voi!” e annuncia: “Come il Padre ha inviato me, anche io invio voi”. I discepoli hanno accolto l’Inviato di Dio, lo hanno seguito e hanno creduto in lui; ora sono inviati in tutto il mondo, per essere come lui, Gesù, è stato in tutta la sua vita: testimoni della verità, della fedeltà di Dio, cioè del suo amore per l’umanità. Con la loro vita devono mostrare che “Dio ha tanto amato il mondo da donargli il suo unico Figlio” (Gv 3,16).

Per essere abilitati a questa missione, devono essere ricreati: occorre un’immersione nello Spirito santo, occorre lo Spirito come nuovo soffio nel cuore di carne (cf. Ez 36,26). Allora Gesù, il Risorto che respira lo Spirito santo, lo effonde sulla sua comunità. Noi cristiani, vasi di creta fragili e peccatori (cf. 2Cor 4,7), per dono di Gesù risorto respiriamo lo Spirito santo che perdona i peccati e ci abilita alla vita eterna nel Regno di Cristo. Siamo dunque il corpo di Cristo, il “tempio dello Spirito santo” (1Cor 6,19). Lo stesso Spirito che ha risuscitato da morte Gesù è datore di vita ai discepoli, e da “compagno inseparabile di Cristo” (Basilio di Cesarea), diventa compagno inseparabile per ogni cristiano. È lui, presente in ogni discepolo e discepola, che ricorda le parole di Gesù (cf. Gv 14,26), che lo rende presente e testimonia che egli è il Signore (cf. 1Cor 12,3).

Lo Spirito santo, Spirito di Dio e Soffio di Cristo, ci è donato nella nostra condizione di corpo umano, di carne. Non si dimentichi che nel quarto vangelo la carne è il luogo dell’umanizzazione di Dio – “La Parola si è fatta carne” (Gv 1,14) –, il luogo scelto da Dio per stare con noi e in mezzo a noi. La carne è luogo di conoscenza a servizio della Parola di Dio che la abita: ecco la dimora dello Spirito santo. Per questo, come Gesù è stato concepito carne dallo Spirito santo e da una donna, così anche la chiesa è generata da Spirito santo e da umanità, e del soffio dello Spirito fa il suo respiro.

Ma questo ha una ricaduta decisiva nella vita dei cristiani: significa remissione dei peccati, perché l’esperienza della salvezza che possiamo fare sulla terra è proprio la remissione dei peccati. Lo cantiamo ogni mattina nel Benedictus: “… per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati” (Lc 1,77). Ricevere lo Spirito santo è ricevere tale remissione, cioè vivere l’azione del Signore che non solo perdona, ma dimentica i nostri peccati, facendo di noi delle creature nuove. Questa è l’epifania della misericordia di Dio, dell’amore di Dio profondo e infinito che, quando ci raggiunge, ci libera dalle colpe e ci ricrea in una novità che noi non possiamo darci! E si faccia attenzione a non intendere questo testo solo come fondamento del sacramento della riconciliazione. La capacità di liberare dalla colpa e di fare misericordia è data da Gesù a tutti i discepoli: non solo agli Undici, perché nel cenacolo il giorno di Pentecoste ci sono anche le donne, c’è Maria insieme ad altri discepoli e discepole (cf. At 1,13-15; 2,1).

Gesù, “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29), battezzando nello Spirito santo (cf. Gv 1,33) i discepoli, li abilita alla sua missione: perdonare, riconciliare con Dio e con i fratelli e le sorelle. Dalla croce e dalla resurrezione l’umanità è stata riconciliata con Dio, ma tale evento va annunciato a tutti, e i discepoli sono inviati per questo: dove giungono, devono far regnare la misericordia di Dio, devono vivere il comandamento ultimo e definitivo dell’amore reciproco (cf. Gv 13,34; 15,12), devono rimettere i peccati gli uni agli altri, abilitati dunque a chiedere il perdono dei peccati a Dio.

E sia chiaro: le parole di Gesù che accompagnano il gesto del soffiare lo Spirito – “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” – sono espresse attraverso uno stile semitico che si serve di espressioni contrastanti per affermare con più forza una realtà. Non significano un potere che i discepoli potrebbero utilizzare secondo il loro arbitrio; al contrario, esprimono che il loro compito è la remissione dei peccati, il perdono, come lo è stato per Gesù, che in tutta la sua vita non ha mai condannato, ma ha sempre detto di essere venuto non per giudicare e condannare (cf. Gv 8,15; 12,47), ma perché tutti “abbiano la vita in abbondanza” (Gv 10,10). “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”, dove questo “come” rimanda a uno stile: “Come io ho rimesso i peccati, anche voi dovete rimetterli; è con questo compito che vi mando”.

Fatta questa esperienza, i discepoli annunciano a Tommaso, non presente alla prima manifestazione del Risorto: “Abbiamo visto il Signore!”. È l’annuncio pasquale che dovrebbe essere sufficiente per accogliere la fede nel Risorto. Ma Tommaso non crede, quelle parole gli sembrano vaneggiamenti inaffidabili.

“Otto giorni dopo”, dunque nel primo giorno della seconda settimana dopo la tomba vuota, ecco Tommaso e gli altri di nuovo insieme. È il primo ma anche l’ottavo giorno, giorno della pienezza, eppure i discepoli hanno ancora paura degli uccisori di Gesù. Dovrebbero portare l’annuncio pasquale a tutta Gerusalemme e invece restano al chiuso, dominati dalla paura. Ma Gesù si rende di nuovo presente: “Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: ‘Pace a voi!”. Ecco la fedeltà di Gesù, il Veniente tra i suoi anche quando non lo meritano e non sono in sua attesa. Innanzitutto consegna la pace, “la sua, non quella del mondo” (cf. Gv 14,27), poi si rivolge a Tommaso, “detto Didimo”, il “gemello” di ciascuno noi. Tommaso è il gemello nel quale c’è, come in noi, la logica del voler vedere per credere. Tommaso è come noi: quando si profila l’evento della resurrezione, vediamo morte (cf. Gv 11,15-16); quando Gesù annuncia che ci precede, non sappiamo quale sia la via (cf. Gv 14,2-6); quando dobbiamo fidarci della testimonianza dei nostri fratelli e sorelle, vogliamo essere quelli che vedono…

Gesù viene però anche per Tommaso e anche a lui si fa vedere con i segni del suo amore: le stigmate della sua passione impresse per sempre nella sua carne gloriosa. La resurrezione cancella i segni della morte e del peccato ma non i segni dell’amore vissuto, perché l’aver amato ha una forza che trascende la morte. Tutta la cura dei malati che le mani di Gesù hanno praticato, tutte le carezze che egli ha dato, tutto il suo amore vissuto, tutte le forze sprigionate dal suo seno sono visibili anche nel suo corpo risorto. Gesù dunque invita Tommaso ad avvicinarsi e a mettere il suo dito in quelle stigmate.

E qui, attenzione, non sta scritto che Tommaso mise il suo dito, ma che disse: “Mio Signore e mio Dio!”. Riconoscendo nelle stigmate l’amore vissuto da Gesù, Tommaso fa la confessione di fede più alta e piena in tutti i vangeli: Gesù è il Signore, Gesù è Dio. Ecco perché chi vede Gesù, vede il Padre (cf. Gv 14,9); ecco perché Gesù è l’esegesi del Dio che nessuno ha mai visto né può vedere (cf. Gv 1,18); ecco perché Gesù è “il Vivente” (Lc 24,5) per sempre. Tommaso non è certo un modello, anche se in lui possiamo riconoscerci. Per questo Gesù gli dice: “Beati quelli che, senza avere visto, giungono a credere”. È conoscendo l’amore vissuto dal Crocifisso che si inizia a credere: miracoli e apparizioni non ci fanno accedere alla vera fede. Solo la parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, solo l’amore di Gesù di cui il Vangelo è annuncio e narrazione (“segno scritto”, per dirla con la chiusura del vangelo), solo lo stare nello spazio della comunità dei discepoli del Signore, ci possono portare alla fede, facendoci invocare Gesù quale “nostro Signore e nostro Dio”.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11382-amore-fedele-risorto-albis

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DIVORZIO

Spagna: 23mila euro di danni all’ex moglie per i lavori domestici

In Spagna la Corte provinciale di Cantabria ha riconosciuto ad una donna il risarcimento per i lavori in casa non effettuati dal marito. – Dovrà risarcire oltre 23mila euro di danni alla moglie per i lavori domestici da lei svolti mentre lui stava con le mani in mano. La vicenda, come riporta Il Messaggero, è avvenuta in Spagna, dove la Corte provinciale di Cantabria ha riconosciuto ad una donna il diritto al risarcimento per i lavori domestici cui si è dedicata, mentre l’ex marito non alzava un dito. Per la corte spagnola, il risarcimento rappresenta una sorta di rimborso spese (morali e materiali) per punire il marito affetto da pigrizia cronica. La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale lo scorso anno. Il ricorso non è servito all’uomo che ha provato fino all’ultimo ad evitare la “condanna”. L’ex coppia risultava separata sin dal 2007, ma aveva divorziato solo nel 2013 e in quest’arco di tempo i due avevano continuano a convivere nella stessa casa. Così, dopo il divorzio la donna, che aveva rinunciato al proprio lavoro per dedicarsi alla casa, aveva trascinato in giudizio l’ex marito per ottenere il risarcimento di 6 anni di lavori domestici.

Per i giudici, la donna ha ragione. L’uomo, infatti, in tutto quel periodo, avrebbe risparmiato le spese per «il servizio domestico retribuito cui ha dovuto poi ricorrere» in seguito. Dunque, «il lavoro per la casa – sottolinea la corte – è una forma di contributo alle spese familiari» e costituisce «un titolo per ottenere una compensazione» al momento della separazione. Quanto alla misura del risarcimento, i giudici spagnoli hanno preso in considerazione il salario minimo ridotto, tuttavia, del 50% considerato che del lavoro domestico beneficiava anche l’ex moglie.

Gabriella Lax Newsletter Studio Cataldi 18 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25849-divorzio-23mila-euro-di-danni-all-ex-moglie-per-i-lavori-domestici.asp

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Famiglie in povertà. Il Forum: non possiamo più parlare di “emergenza”

Secondo l’Istat, nel 2016 l’11,9% era in grave deprivazione materiale: «La ripresa economica non sta riducendo alcuni sintomi di disagio». De Palo: «Questo è il Paese reale»

«Nonostante il miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie, nel 2016 non si è osservata una riduzione dell’indicatore di grave deprivazione materiale, corrispondente alla quota di persone in famiglie che sperimentano sintomi di disagio. Quindi la ripresa economica e del mercato del lavoro non sta riducendo alcuni sintomi di disagio». Lo ha spiegato il direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat Roberto Monducci, in audizione sul Documento di programmazione economica e finanziaria, davanti alle commissioni Bilancio di Senato e Camera dei deputati.

Secondo i dati provvisori dell’Istat infatti nel 2016 l’11,9% delle famiglie italiane si è trovato in condizioni di grave deprivazione materiale. Una percentuale sostanzialmente stabile rispetto al 2015. In lieve diminuzione rispetto agli anni precedenti la quota di minori che nello stesso anno risultano in condizioni di grave deprivazione: 1.250.000, pari al 12,3% della popolazione con meno di 18 anni. Monducci ha poi spiegato che, tra il 2015 e il 2016 l’indice di grave deprivazione peggiora per le persone anziane (65 anni e più, passando dall’8,4% all’11,6%, pur rimanendo al di sotto del dato riferito all’insieme della popolazione), e per chi vive in famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (da 32,1% a 35,8%).

«Una situazione che ben conosciamo – commenta il presidente del Forum delle associazioni familiari Gigi De Palo -. Riceviamo ogni giorno telefonate o mail di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la propria casa, che vanno in crisi per una spesa imprevista o che sono in arretrato nel pagamento delle bollette o delle rate del muto. Questo è il Paese reale, quello della gran parte degli italiani». Il presidente del Forum famiglie rileva che «sono anni che commentiamo gli stessi drammatici dati Istat. Non si può continuare a ragionare in termini di emergenza. A forza di aspettare, anno dopo anno, a entrare in crisi sarà l’equilibrio sociale del Paese al punto da non essere più recuperabile». Per De Palo, «la famiglie deve diventare la priorità di tutte le forze politiche. Senza una riforma fiscale che metta al centro la famiglia, nei prossimi anni commenteremo dati ancora peggiori».

Redazione Roma sette 19 aprile 2017

www.romasette.it/famiglie-in-poverta-il-forum-non-possiamo-piu-parlare-di-emergenza

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GENETICA

Il test genetico a domicilio

Il test genetico è possibile a tutti, anche in Italia. Non sarà più un obbligo volare negli Stati Uniti e versare 10 mila dollari, viaggio e soggiorno esclusi. La pubblica Università di Verona ha ospitato l’annuncio di una sua creatura, la Personal Genomics, società privata.

Il test genetico serve a capire se nel proprio Dna ci sono geni anomali, se i nostri genitori ci hanno passato potenziali malattie, se possiamo tollerare alcuni farmaci. Serve a proteggere i nostri futuri figli, visto che possiamo essere portatori sani di mutazioni genetiche gravi.

Sarà necessario passare sempre attraverso il medico di fiducia, al quale adesso è richiesto un supplemento di studio e di consapevolezza. Sarà lui a inoltrare alla società di Verona la richiesta del test dell’assistito e a consegnare al paziente il kit per prelevare il sangue. Il campione sarà spedito via corriere e dopo sessanta giorni, via e-mail o su un sito protetto, arriverà la risposta. Sono cinque i tipi di “controllo” possibili, 3.000 euro quello base, 7.000 euro il pacchetto famiglia.

Associazione Nazionale Avvocati Italiani 11 aprile 2017

www.associazionenazionaleavvocatiitaliani.it/?p=82801

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GENITORE COLLOCATARIO

Addio al genitore collocatario?

Il minorenne, suo malgrado coinvolto nella crisi genitoriale e, conseguentemente, in un procedimento di separazione o divorzio, ha diritto di avere il proprio principale punto di riferimento abitativo. Ciò, prima ancora che ai principi di diritto, dettati dall’art. 316 cod. civ. nella formulazione successiva al D. Lvo. 154/2013, risponde alla razionalità ed al buon senso. Non è necessario spendere parole per dimostrare il disagio che chiunque di noi avrebbe se tutte le sue cose fossero divise a metà e non esistesse un posto in cui, quando infine si arriva, ci si sente a casa.

La stessa assegnazione dell’abitazione già familiare, di cui all’art. 337 sexies c.c., è saldamente basata su questa logica, poiché la sua ratio consiste nell’evitare che il figlio perda il luogo cui sono ancorate abitudini e certezze. Solo se si accetta questo principio può aprirsi il dibattito in ordine al nomen da attribuire al genitore che, unitamente al minore, abiti in tale luogo privilegiato e possono essere accettate proposte come quella di sostituire la definizione “genitore collocatario” con “genitore co-residente” o simili.

È vero che il nome che diamo alle cose influenza le idee ed i comportamenti ed ha senso l’obiezione secondo cui tale definizione, per l’assonanza con “genitore affidatario” potrebbe rallentare, nella società e nella pubblica opinione, il processo di assimilazione del concetto di affidamento condiviso.

Al contrario, ove l’abolizione della definizione di genitore collocatario fosse dettata dall’idea di evitare che il figlio possa avere una residenza privilegiata e dal proposito di riproporre il salomonico affidamento paritario (divisione del figlio, con la spada, al 50%) o il famigerato affidamento alternato, nel quale il figlio, come un satellite, sia costretto a ruotare intorno ai due mondi, ormai separati, dei genitori, appare saggio rifiutare questa prospettiva e riportare il discorso su tematiche più sostanziali.

Ciò che veramente rileva, pur nella richiamata consapevolezza che i nomi hanno la loro importanza, è che la cultura dell’affido condiviso, con la condivisione delle responsabilità genitoriali, la pari dignità dei genitori ed il libero accesso del minore ad entrambi, continuino ad avanzare ed a diffondersi nella società.

Argomenti come la riforma dell’art. 709 ter c.p.c., destinato ad assicurare il rispetto delle decisioni del giudice e degli accordi tra le parti o l’inserimento, nei procedimenti di separazione e divorzio, della mediazione familiare, intesa come percorso intrinseco al processo ed adattata alle sue logiche, appaiono in questa luce molto più importanti delle questioni nominalistiche.

Bruno de Filippis, magistrato in Salerno Newsletter Studio Cataldi 20 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25866-addio-al-genitore-collocatario.asp

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GIOVANI

Studenti italiani ansiosi. La psicologa: genitori troppo protettivi

Per massima parte sono soddisfatti della loro vita, e oltre l’80% socializza facilmente tra i banchi di scuola, ma il loro problema sembra essere l’ansia. E’ la fotografia dei quindicenni italiani, scattata dall’Ocse, l’organizzazione dei 34 Paesi più industrializzati al mondo, che ha redatto un rapporto sul benessere degli studenti negli Stati membri. Roberta Gisotti ha raccolto il commento di Elisabetta Straffi, psicoterapeuta e psicologa nelle scuole, docente nella Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilium” di Roma: se la media Ocse del livello di ansia tra gli studenti che devono superare un test è al 37% quella degli italiani sale al 56%. Il 70% è in ansia anche se molto preparato, contro una media Ocse del 56%. Eppure i ragazzi italiani dichiarano al 96% di essere seguiti dai genitori, che li sostengono al 90% nelle loro difficoltà.

R. – Mi sembra un dato molto significativo e mi torna, devo dire, se faccio riferimento alla mia esperienza professionale però anche come mamma di due ragazzi. Credo che in effetti questa prevalenza di problematiche legate all’ansia sia legata forse anche ad uno stile genitoriale iperpresente o iperprotettivo. I genitori oggi sono particolarmente attenti, soprattutto all’area didattica, all’andamento scolastico, alle vicende che capitano anche all’interno della scuola, tra compagni o tra ragazzi e docenti, forse sollecitati anche dai social. Siamo tutti 24 ore su 24 on line, quindi iperinformati sulle vicende che capitano nel contesto scolastico. Forse questa iperinformazione, iperpartecipazione, portano ad una sostituzione del genitore del figlio, quindi c’è comunque un omettere, forse poco sollecitare l’autonomia dei ragazzi. C’è anche un abbassamento dell’autostima e la risultante è proprio il sintomo dell’ansia.

D. Questa iperpresenza, questa iperprotezione da parte dei genitori viene lamentata anche dal corpo docente.

R. Oggi per il corpo docente questa iperpartecipazione è in effetti un problema quotidiano perché porta ad una sovrapposizione di spazi: ci sono alcune decisioni che spettano ai docenti, che spettano alla scuola. C’è una tendenza da parte dei genitori a inserirsi troppo nello spazio che appartiene alla scuola, una sovrapposizione di ruolo. Per superare un po’ questa difficoltà bisognerebbe mantenere gli spazi, definire a chi appartengono e capire in quali momenti si può invece mediare, si può collaborare. L’equilibrio in queste due realtà viene a mancare e i figli risentono di questa conflittualità che si innesca, spesso, fra scuola e famiglia e questo fa compromettere ancora lo stato emotivo, il livello di tranquillità, di affidabilità dei ragazzi. Anche questo può in qualche modo avere il suo effetto sulla situazione dell’ansia, sul disagio emotivo.

D. Un rapporto che va, come tutti questi rapporti, sui dati generali ma che apre invece importanti riflessioni.

R. Importanti riflessioni sul ritrovare un giusto equilibrio, proprio nello stile di vita, anche nella stessa frenesia che noi abbiamo come adulti, come genitori, come educatori. Ritrovare un po’ quella saggezza, quella pace, quell’equilibrio interno che porta a ridimensionare i rapporti, gli spazi, ridefinendo a chi appartengono; ritrovare momenti di riflessione, quindi gestire anche livelli di impulsività che a volte riguardano anche i genitori, riguardano anche le figure educative. Quindi, momenti in cui dobbiamo mettere un po’ in discussione il nostro modo di agire, capire in anticipo l’effetto che può avere. Riconoscere gli effetti per vedere come superarli. Tutto questo però comporta un fermarci dalle frenesie quotidiane, quindi evitare quelle velocità, quel voler trovare in modo immediato le soluzioni: fermarci e riflettere prima di agire. E’ un po’ quello che i nostri nonni sapevano insegnarci anche attraverso i loro comportamenti.

Notiziario Radio vaticana -20 aprile 2017 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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NULLITÀ DEL MATRIMONIO

Delibazione sentenza ecclesiastica.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 9925, 19 aprile 2017

La convivenza come coniugi, protratta per almeno tre anni, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”, che osta alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto”.

La Corte del merito, premessa l’applicabilità del rito ordinario di cognizione, e richiamata la pronuncia delle S.U. 16379/2014, ha ritenuto tardiva l’eccezione di non delibilità per contrarietà all’ordine pubblico, stante la lunga convivenza tra i coniugi, sollevata dalla C. in sede costituzione avvenuta all’udienza di prima comparizione del 17/12/2013, e non già, come avrebbe dovuto, almeno venti giorni prima dell’udienza (o, a ritenere applicabile il rito sommario di cognizione, nei dieci giorni prima).

Come è noto, le Sezioni unite di questa Corte con le decisioni nn. 16379 e 16380 del 17 luglio 2014, hanno affermato che la convivenza “come coniugi”, quale elemento essenziale del “matrimonio-rapporto”, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, come già affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18 del 1982 e n. 203 del 1989, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto” e che detta convivenza triennale “come coniugi”, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

Ed infatti, in detta sentenza è stato affermato che, alla luce del principio costituzionale del giusto processo, non ha rilevanza preclusiva l’errore della parte che, convenuta in un giudizio di delibazione di sentenza ecclesiastica dichiarativa di nullità matrimoniale, abbia tardivamente eccepito, quale situazione ostativa alla delibazione, la convivenza di lunga durata “come coniugi”, facendo affidamento su una giurisprudenza di legittimità, consolidata al momento della sua tempestiva costituzione ma poi travolta da un mutamento interpretativo (dovuto alla sentenza n. 16379 del 2014 delle Sezioni Unite che, innovando quella giurisprudenza, hanno qualificato detta eccezione come in senso stretto), che riteneva il relativo fatto rilevabile d’ufficio, dovendo altresì individuarsi nella rimessione in termini lo strumento per ovviare a quell’errore”.

Ne consegue che correttamente la Corte del merito ha ritenuto tardiva l’eccezione di convivenza ultratriennale, siccome sollevata dalla sig. C. in sede di costituzione all’udienza di prima comparizione e non già come avrebbe dovuto, con la comparsa di costituzione ex art. 167 c.p.c. nel termine ex art.166 c.p.c..

avv. Sugamele

 

Passim della sentenza in www.divorzista.org/sentenza.php?id=13516

Niente figli: matrimonio nullo per la Chiesa e per lo Stato. Perché?

Corte Appello di Brescia, Sentenza n. 343, 7 marzo 2017.

Se un coniuge, prima di sposarsi, comunica all’altro di non volere figli e tale decisione viene accettata, il matrimonio è comunque nullo e la sentenza del tribunale ecclesiastico è valida anche nello Stato italiano.

La sentenza con cui il giudice ecclesiastico dichiara la nullità del matrimonio concordatario per esclusione della volontà di procreare di uno dei coniugi, non contrasta con i principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato italiano anche se detta intenzione sia stata accettata dall’altro coniuge: essa, quindi, può essere dichiarata efficace nella Repubblica, sia in considerazione della diversità esistente tra i due ordinamenti sia per il fatto che l’ordinamento italiano non solo non prevede un principio essenziale di “non procreazione”, ma configura il matrimonio come fondamento della famiglia, finalizzato cioè alla promozione di una società naturale che comprende anche i figli. A stabilirlo è la Corte d’Appello di Brescia: due coniugi chiedevano che fosse dichiarata efficace nello Stato la sentenza di nullità del loro matrimonio, contratto secondo le norme del diritto canonico, pronunciata con sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale.

Matrimonio canonico: quando è nullo? I presupposti per ottenere una pronuncia di nullità del matrimonio canonico sono vari:

  • La mancanza di consenso da parte di uno o di entrambi i coniugi;

  • L’insussistenza della volontà da parte di uno dei coniugi di attuare alcune delle finalità essenziali del matrimonio cristiano. Per esempio, la non volontà di procreare (come nel caso della sentenza esaminata), la violazione della fedeltà coniugale (pensiamo a una moglie che comunica, prima del matrimonio al marito, di non disdegnare future scappatelle) e la violazione della indissolubilità del vincolo matrimoniale;

  • L’errore sulla persona (“credevo di sposare Tizio, invece ho sposato Caio”) o sulle qualità del coniuge (“credevo di sposare un magistrato, invece è un avvocato”);

  • La violenza fisica o il timore;

  • L’impotenza;

  • Matrimonio non consumato, cioè i coniugi non abbiano avuto un rapporto sessuale completo.

(…)

Nel caso esaminato dalla sentenza, abbiamo un marito che, già prima di sposarsi, comunica alla moglie di non voler avere figli e una moglie che accetta tale volontà. Perché mai, quindi, il matrimonio deve essere dichiarato nullo se c’è un accordo nella coppia? Perché uno dei fini del matrimonio è proprio quello di procreare, crescere e assistere i figli: di conseguenza, la delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per esclusione da parte di uno soltanto dei coniugi di uno dei bona matrimonii (in parole semplici, uno dei fini del matrimonio) è efficace anche per lo Stato italiano e anche se non emerge che la coppia abbia avuto problemi di altro tipo.

Facendo un altro esempio, Corte di Cassazione, Sentenza n. 22677, 8 novembre 2010.

La Cassazione, qualche anno fa, ha respinto il ricorso di una donna mettendo così il sigillo definitivo alla sentenza con la quale, la Corte d’appello di Bologna, aveva dichiarato l’efficacia per la legge italiana del verdetto di nullità di un matrimonio emesso dal tribunale regionale ecclesiastico di Modena. Motivo: la donna in questione non aveva fatto mistero al futuro marito di ritenere la fedeltà un elemento di nessun rilievo per mantenere intatta l’indissolubilità del legame, escludendo, in tal modo, uno dei bona matrimonii (l’obbligo della fedeltà).

Maura Corrado La legge per tutti 21 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/156217_niente-figli-matrimonio-nullo-per-la-chiesa-e-per-lo-stato-perche

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PARLAMENTO

Camera dei deputati Interrogazioni a risposta immediata

19 aprile 2017 Elementi in merito alla sperimentazione avviata dalla regione Lazio volta a consentire aborti farmacologici nei consultori regionali.

Presidente. Passiamo alla prima interrogazione all’ordine del giorno Roccella n. 3-02959

Eugenia Roccella. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:

  • Si apprende da articoli di stampa che nella regione Lazio si avvierà una sperimentazione per effettuare aborti farmacologici nei consultori regionali;

  • Lo scopo dichiarato è di alleggerire il carico di lavoro negli ospedali, dove il numero degli obiettori di coscienza causerebbe problemi nell’accesso, e di «umanizzare» il percorso abortivo;

  • Dai numeri relativi alla situazione del Lazio riguardo all’applicazione della legge n. 194 del 1978, riportati nella relazione annuale al Parlamento, non emergono però criticità per il carico di lavoro del personale non obiettore, sia per le strutture ospedaliere che per i consultori;

  • L’articolo 8 della legge n. 194 del 1978 prevede esplicitamente che l’aborto avvenga in strutture ospedaliere o in «poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione», e non in consultori;

  • Inoltre, tre pareri distinti del Consiglio superiore di sanità indicano che l’aborto medico debba avvenire in regime ospedaliero;

  • Il primo, nel 2004, ritiene che: «alla luce delle conoscenze disponibili, i rischi dell’interruzione farmacologica di gravidanza si possono considerare equivalenti ai rischi di interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero»;

  • Il secondo, nel 2005, ritiene che: «pertanto l’associazione di mifepristone e misoprostolo debba essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla predetta legge e la donna debba essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto»;

  • Nel 2010, il Consiglio superiore di sanità afferma che è «necessario, al fine di garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, che il percorso dell’interruzione volontaria di gravidanza medica avvenga in regime di ricovero ordinario fino alla verifica della completa espulsione del prodotto del concepimento»;

  • In questi anni non sono cambiati i prodotti chimici autorizzati per uso abortivo (mifepristone e prostaglandine) in base ai quali sono stati forniti i pareri riguardo a questa procedura abortiva;

  • Nella relazione al Parlamento sull’applicazione della legge n. 194 del 1978, trasmessa il 7 dicembre 2016, sono inoltre riportati due decessi di donne a seguito di aborto farmacologico. Si tratta dei primi due decessi a seguito di aborto segnalati dall’entrata in vigore della legge stessa, confermando la maggiore mortalità, anche in Italia, per aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico, considerando che per quest’ultimo dal 1978 ad ora non sono stati segnalati decessi;

  • Secondo la letteratura scientifica la mortalità per aborto chimico è dieci volte maggiore di quella per aborto chirurgico –:

Se il Governo sia a conoscenza della documentazione scientifica e amministrativa alla base della sperimentazione suddetta e come l’aborto farmacologico si concili con la normativa nazionale.

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0781&tipo=stenografico#sed0781.stenografico.tit00070.int00010

La deputata Roccella ha facoltà di illustrare la sua interrogazione, per un minuto.

Roccella. Presidente, signora Ministro, abbiamo letto sui giornali che c’è, si sta avviando una sperimentazione, di cui però non conosciamo i criteri né le procedure, nel Lazio, per la pratica di aborti farmacologici nei consultori regionali. Ricordiamo che la legge n. 194/1978 non nomina assolutamente i consultori come luoghi per effettuare aborti, in particolare parla di ospedali, case di cura e poi di poliambulatori adeguatamente attrezzati; attrezzati, peraltro, per il ricovero, perché ci sono tre pareri del Consiglio superiore di sanità in cui molto chiaramente si danno indirizzi per la sicurezza dell’aborto farmacologico nominando esplicitamente il ricovero.

Quindi, chiediamo se il Ministero abbia qualche informazione di più sulla sperimentazione avviata dalla regione Lazio, e in che modo questa sperimentazione dell’aborto farmacologico nei consultori si possa conciliare con la legge n. 194.

Presidente. La Ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, ha facoltà di rispondere.

Beatrice Lorenzin, Ministra della Salute. Presidente, rispondo all’onorevole Roccella riferendo, innanzitutto, quanto ci è stato comunicato dalla regione Lazio. Quest’ultima ha chiarito che, per ciò che riguarda la sperimentazione per la somministrazione di farmaci per l’interruzione volontaria di gravidanza nei consultori, i tecnici partecipanti al gruppo di lavoro regionale appositamente costituito procederanno ad elaborare un’ipotesi progettuale per la sperimentazione della durata di diciotto mesi di un protocollo operativo sull’IVG farmacologica presso un consultorio familiare, in collegamento funzionale con il reparto di ostetricia e ginecologia di una struttura ospedaliera di primo livello dotata di strumentazione idonea all’assistenza degli utenti.

Quindi, secondo quanto comunicato dalla regione, la sperimentazione e la somministrazione di farmaci per IVG nei consultori, di cui hanno dato notizia nelle scorse settimane gli organi di stampa, costituisce oggetto di una decisione esclusiva dell’amministrazione regionale, la quale, allo stato attuale, non sembra essere fondata su di alcuno studio sperimentale approvato, né su novità scientifiche sopravvenute né su pareri di comitati etici. Ricordo, infatti, che le condizioni per effettuare l’aborto farmacologico in coerenza con la legge n. 194/1978 sono innanzitutto quelle indicate dalla legge stessa, che ha previsto che esso debba avvenire presso gli ospedali, le case di cura autorizzate dalla regione, presso i poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati e funzionalmente collegati agli ospedali parimenti autorizzati dalla regione. La legge n. 194 non sembra prevedere, quindi, che i consultori possano essere considerati fra le sedi in cui effettuare interventi di interruzione volontaria di gravidanza; è, dunque, evidente che la legge ha voluto garantire, prima di ogni cosa, le massime condizioni di sicurezza per la salute della donna, con riferimento a tutte le possibili modalità di IVG, ivi compresa ovviamente anche quella farmacologica.

Nello specifico dell’aborto farmacologico, devo altresì ricordare che sono ancora in vigore le linee di indirizzo elaborate, sulla base di ben tre pareri del Consiglio superiore di sanità (del 2004, del 2005 e del 2010), da una commissione interna al Ministero stesso ed approvate in data 14 giugno 2010 e tuttora disponibili sul sito istituzionale del Ministero. Tali linee di indirizzo risultano ancora valide, perché, come ricordato dall’onorevole interrogante, non sono cambiati in questi anni i farmaci utilizzati per l’IVG.

Presidente. La deputata Roccella ha facoltà di replicare, per due minuti.

Eugenia Roccella. Grazie, Presidente. Ministro, io la ringrazio per aver ricordato i pareri del Consiglio superiore di sanità e le linee di indirizzo che sono state elaborate in seguito a quei pareri e sulla base di quei pareri e per aver ricordato che la legge n. 194/1978 appunto non prevede come sede idonea per fare le IVG, farmacologiche o non che siano, i consultori.

La mia preoccupazione riguarda, prima di tutto, il livello di rischio per le donne dell’IVG farmacologica in una sede appunto inidonea. Ricordo che il New England Journal of Medicine, che è la bibbia della medicina internazionale, pubblicò una statistica sulla mortalità per aborto farmacologico confrontata con l’aborto chirurgico per cui risultava che l’aborto farmacologico ha dieci volte la mortalità dell’aborto chirurgico. Ricordo che nell’ultima relazione al Parlamento, fra l’altro, ci sono due decessi per aborto farmacologico, mentre non mi risulta che in nessuna altra relazione al Parlamento siano stati riportati decessi per aborto chirurgico. Quindi, anche sulla base dei dati a nostra disposizione in Italia, si vede che i dati pubblicati dal New England Journal of Medicine sono confermati anche da quello che è avvenuto da noi.

Quindi, il problema concerne i tre pareri del Consiglio superiore di sanità dati con Ministri diversi ed in fasi diverse, i quali concordano tutti sulla necessità del ricovero, perché le complicazioni da aborto farmacologico proprio implicano un rischio che solo il ricovero, fino ad aborto effettuato, fino ad espulsione avvenuta, come dice appunto uno dei pareri, è l’unica possibilità per assicurare appunto la sicurezza per le donne, perché il punto è questo. Conosco le difficoltà del rapporto tra il Ministero della Salute e le regioni, ma sono convinta e mi auguro che il Ministero continui in un’opera di vigilanza e di dialogo sicuramente, ma soprattutto di vigilanza, su quello che avviene a proposito del rispetto della legge n. 194.

pag. 19 http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0781&tipo=cronologico_stenografico

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Giornata di studio a Taranto.Relazione d’aiuto e comunità sociale

50° Anniversario della Associazione di Volontariato “Il Focolare” di Taranto.

sabato 29 aprile ore 16-22 – Hotel Mercure Delfino, viale Virgilio 66

  • Relazione: “Consultorio e territorio

  • Dibattito, approfondimenti, realizzazioni

  • Festa di compleanno. Serata offerta da “Il Focolare” per il 50° dalla fondazione

Domenica 30 aprile ore 9-18

Giornata di studio: l’equipe cuore pulsante del consultorio familiare ucipem

  • Introduce Francesco Lanatà Presidente UCIPEM

  • Lezione Magistrale: L’équipe cuore del consultorio familiare UCIPEM

dr Laura Mullich, psicologa, psicoterapeuta psicoanalitica

  • Lavori di gruppo: Conduttori. L’équipe di fronte a:

  1. Il bisogno educativo dell’adulto. dr Francesco Dall’Acqua, psicologo psicoterapeuta.

  2. La coppia oggi tra conflitto e risorse: la domanda e la presa in carico. dr Stefania Sinigaglia

  3. Esperienze di immigrazione: i minori non accompagnati ci interpellano: quali risposte? dr Luca Proli,

  4. Genitori e figli in Consultorio: quali bisogni e risposte: competenze e strumenti. dr Laura Mullich

 

  • Restituzione dei conduttori

  • Presentazione del progetto di “Inserimento dei minori immigrati”. dr Morelli, Responsabile per i minori immigrati, Tribunale di Taranto

  • Discussione plenaria

  • Dopo cena visita al Castello Aragonese

Lunedì 1 maggio ore 8

Trasferimento al Centro “San Francesco De Geronimo” dei PP. Gesuiti di Grottaglie. Teatro Monticello

  • Saluti delle Autorità

  • Relazione: “Consulenza e spiritualità ignaziana” Padre Alberto Remondini SJ

  • Dibattito

  • Al pomeriggio visita al Quartiere delle Ceramiche.

Iscrizioni: dovranno essere effettuate preferibilmente collegandosi al link: http://goo.gl/i6Tjwo

oppure inviando apposita scheda cartacea debitamente compilata e con allegata copia di pagamento alla Segreteria dell’UCIPEM o per posta (via Serviliano Lattuada 14, 20135 – Milano) o per e-mail (ucipem@istitutolacasa.it). www.ucipem.com/it

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UNIONI CIVILI

Rimosso il doppio cognome

Tribunale di Lecco – prima Sezione, sentenza. 4 aprile 2017

Disapplicato il decreto attuativo della legge Cirinnà n. 5\2017, ove dispone che venga rimosso il doppio cognome per i soggetti in unioni civili.

Due donne sposate con unione riconosciuta dopo l’avvento della L. Cirinnà facevano apporre, in linea con le disposizioni della legge sulle unioni civili ex art. 10 , il cognome di entrambe alla figlia. Nel gennaio 2017 il Governo però revoca questa possibilità, imponendo agli ufficiali di stato civile di cancellare entro un termine perentorio tutti i doppi cognomi apposti in virtù della disposizione Cirinnà. Le due donne sono costrette a ricorrere al Tribunale per evitare che il doppio cognome di loro figlia venga cancellato dai registri dello stato civile.

Il giudice di Lecco dà loro ragione, disapplicando il decreto attuativo poiché ” … l’art. 3, comma 8 del D.Lgs.vo n. 5/2017 nella parte in cui ha disposto che l’ufficiale dello Stato Civile annulli le annotazione effettuate in esecuzione del DPCM 144/2016 si pone in contrasto con i principi del diritto comunitario ex art 8 CEDU e che tanto è sufficiente per giustificare la disapplicazione del citato art. 4, comma 2 del D.Lgs.vo n. 5/2017.

È noto infatti che il giudice nazionale, nel rispetto del principio del primato del diritto dell’Unione, è libero, da un lato, di adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione e, dall’altro, di disapplicare, di propria iniziativa, una disposizione legislativa nazionale, anche posteriore, che egli ritenga contraria allo stesso diritto UE, ivi comprese le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali UE, che è equiparata ai Trattati, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.”

Osservatorio nazione sul diritto di famiglia 21 aprile 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506851/disapplicato-il-decreto-attuativo-della-legge-cirinna-n%C2%B0-5-2017,-ove-dispone-che.html

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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea.newsucipem@gmail.com

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