UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 635 – 5 febbraio 2017
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ABORTO VOLONTARIO Perché l’aborto non è un «diritto».
03 ADOTTABILITÀ Madre a 14 anni: no all’adottabilità del figlio.
03 ADOZIONI INTERNAZIONALIColombia. Le adozioni riprendono a crescere: 3,5% rispetto al 2015.
04 ADOZIONE NAZIONALE Gli eurodeputati chiedono il riconoscimento automatico.
05 AFFIDO ESCLUSIVO L’affidamento esclusivo del figlio deve essere motivato.
05 AMORIS LÆTITIA Il papa tace; parla il cardinale Müller. Che ai “dubia” risponde così.
Ma il card. Müller ha letto “Amoris lætitia”?
I vescovi tedeschi: comunione ai divorziati risposati in alcuni casi.
AL, secondo Buttiglione: lucidità anche dal piccolo mondo antico.
09 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Mezzi di sussistenza.
09 ASSEGNO DIVORZILE In tema di divorzio.
10 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 4/2017, 1 febbraio 2017.
12 CHIESA CATTOLICAQuando la speranza è alimentata dal vangelo.
Due Paolo di Tarso (forse tre).
Affettività e eucaristia.
17 CONIUGE IN STATO DI BISOGNO Dal 13 febbraio le domande per il Fondo.
20 CONSULENZA Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari. 40 anni.
Ass.ne Aiuto Famiglia. Incontri per migliorare la relazione di coppia.
21 CONSULTORI FAMILIARIRovigo Il consultorio familiare diocesano si presenta
21 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Alessandria. Il consultorio collabora per la festa degli innamorati.
Trieste. Percorsi 2017 di preparazione al matrimonio.
21 CONVIVENZE Convivenze di fatto 2017: nessuna eredità in caso di morte
22 DALLA NAVATAV Domenica del Tempo ordinario – Anno A – 5 febbraio 2017.
Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).
24 DIVORZIO Gli accordi preventivi in vista dell’eventuale divorzio sono nulli.
24 EDUCAZIONE ALLA SESSUALITÀ Qual’è il ruolo dei genitori nell’educazione sessuale dei figli?
25 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI La famiglia alla luce dell’Amoris lætitia
25 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Angelus del 5 febbraio 2017
26 GENITORE COLLOCATARIO Affidamento: ascolto del minore necessario
Figlio conteso: a sei anni deciderà lui con chi stare
27 PARLAMENTO Senato 2°C. Giustizia Accesso del figlio alle informazioni sull’identità dei genitori
27 PASTORALE Vescovi tedeschi: quale pastorale matrimoniale da Amoris Lætitia?
La gioia dell’amore che viene vissuta nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa
Medicina per i peccatori, le opposte ricette di Ratzinger e Bergoglio
30 UNIONI CIVILIRegolamentazione Unioni Civili
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ABORTO VOLONTARIO
Una tesi giuridicamente sbagliata. Perché l’aborto non è un «diritto».
«Abortire è un diritto della donna», lo scrittore Roberto Saviano lo afferma con decisione in un articolo di pochi giorni fa. A quanto pare, secondo lui, abortire sarebbe uno di quei diritti universali e fondamentali della persona che – stando alle dottrine affermatesi nel secolo XX e culminate nelle apposite dichiarazioni sovranazionali – un legislatore nazionale, per quanto sovrano, non può sopprimere, ma anzi deve riconoscere e garantire. Parlando di «diritto della donna» Saviano intende dire che si tratta di un diritto pieno e incondizionato: la donna decide da sola e nessuno può interferire.
Cito Saviano perché è un autore di successo, ma queste idee sono piuttosto diffuse. Vale dunque la pena di discuterle, e lo faccio ora dal punto di vista non della morale cattolica ma della scienza giuridica laica. Infatti ogni ragionamento caratterizzato in senso religioso è, per un verso, scontato per chi condivide le sue premesse, e per un altro respinto a priori da chi non le condivide, in base alla formula “questo vale per te se ci credi, io non ci credo e per me non vale”. Dunque, vediamo la questione del diritto di abortire dal punto di vista della razionalità laica. Bisogna partire dalla definizione di quell’entità che è l’essere concepito ma non ancora nato.
È un’idea astratta, una cosa, una persona? Alcuni sostengono che debba essere considerato una persona nel pieno senso della parola; ma almeno per ora è una posizione minoritaria, mentre la tradizione giuridica millenaria è in senso contrario. Lasciamo aperta la discussione su questo punto (anche perché il concetto filosofico e giuridico di persona può ricevere definizioni differenziate), e diciamo invece che quanto meno è un essere vivente, dotato di una sua piena individualità biologica e genetica e in qualche misura anche psicologica, e appartiene alla specie umana – anche se si trova transitoriamente in una situazione particolarissima, in quanto tutto ciò che gli occorre per vivere lo riceve dal corpo della madre in cui sta racchiuso. Insomma: forse possiamo non chiamarlo giuridicamente “persona” ma non possiamo negargli, quanto meno, la qualità di “essere umano”.
Non a caso, da quando la scienza consente di conoscerne già il sesso è abitudine dei genitori dargli subito il suo nome e con quel nome parlarne. Non può dunque essere considerato alla pari di un dente che si toglie e si butta via. Tanto è vero che in qualunque legislazione del mondo chi provoca (anche involontariamente) un aborto senza il consenso della gestante è punito non solo per il danno che ha fatto alla madre ma proprio perché ha violato l’attesa di vita e di futuro che c’era in quell’essere. Il nascituro è protetto dall’ordinamento giuridico (cioè dallo Stato) come un valore in sé, non come una proprietà della madre. È per questo che non si può riconoscere alla donna il «diritto» incondizionato a liberarsene.
È anche vero, però, che fra il nascituro e la gestante vi è una relazione particolarissima, non paragonabile ad alcun’altra, che incide in modo profondo sull’essere stesso della madre (non solo sul suo corpo, pure se gli effetti sul corpo sono i più visibili). Quindi neppure i diritti e i doveri della gestante verso il nascituro possono essere misurati con lo stesso metro con cui misuriamo quelli di chiunque altro. Per questa ragione la nostra Corte Costituzionale nel 1975 (sentenza n. 27) ha dichiarato parzialmente incostituzionale la legge che allora puniva come reato l’aborto chiesto o accettato dalla donna, e lo ha reso non punibile se praticato per salvarla da un pericolo di vita o anche da un pericolo non mortale ma tuttavia «grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile». All’epoca questa decisione suscitò proteste anche nel mondo cattolico, ma comunque la si voglia giudicare rappresentava lo sforzo di trovare una soluzione senza affermare che la scelta di abortire è un diritto incondizionato della donna.
A tutt’oggi sul piano del diritto costituzionale la regola è rimasta quella. Ma la legge del 1978 va molto più in là, perché pur fingendo di mettere limiti e condizioni in realtà non prevede alcuna forma di controllo o di verifica sulla serietà dei motivi che portano alla scelta di abortire. Non prevede neppure che le istituzioni – pur senza avere il potere di opporsi a quella scelta – abbiano il compito di proporre alla donna soluzioni alternative. Per questi aspetti la legge del 1978 può essere giudicata incostituzionale. Ma neppure essa configura la scelta della donna come un «diritto» pieno e incondizionato perché quanto meno afferma che l’aborto non può essere usato come mezzo di limitazione delle nascite. L’equazione aborto-diritto non è sostenibile.
Pier Giorgio Lignani, già presidente di sezione del Consiglio di Stato
Avvenire 4 febbraio 2017
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/perche-l-aborto-non-e-un-diritto
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ADOTTABILITÀ
Madre a 14 anni: no all’adottabilità del figlio
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 1932, 25 gennaio 2017
Ritenuto in fatto. Con sentenza emessa del 7-21.9.2015, il Tribunale per i minorenni di Catania ha dichiarato lo stato di adottabilità del minore, nato dall’unione di …, all’epoca minorenne e di …. Dopo aver affermato che il padre, affetto da insufficienza mentale e incapace di adeguato controllo dei propri impulsi aggressivi, era incapace di assicurare al bambino l’assistenza morale e materiale ad un livello minimamente accettabile, il Tribunale ha, del pari, ritenuto la madre inidonea al ruolo genitoriale, perché priva della dovuta consapevolezza circa la necessità di intraprendere un percorso di responsabilizzazione da un passato abbandonico, ed, inoltre, perché aveva violato le prescrizioni del Tribunale e della comunità presso cui era collocata, non si era presentata al servizio competente ed aveva continuamente cambiato uomini sbagliati.
La Corte di appello di Catania -sezione per i minorenni-con la sentenza depositata il 27.4.2016, ha accolto l’appello proposto dalla sola madre, osservando che la funzione genitoriale della stessa non poteva dirsi del tutto compromessa, in quanto pur essendo un soggetto vulnerabile -perché divenuta madre quando era ancora bambina, priva di validi riferimenti familiari e maltrattata- non presentava assetti patologici di personalità ed era stata positivamente valutata dal servizio di psicologia, che aveva evidenziato come la stessa, ove adeguatamente sostenuta, aveva buone possibilità di completare il suo percorso di crescita e di svolgere adeguatamente il ruolo materno. Pur non sottovalutando alcuni indici negativi evidenziati dal Tribunale (…) la Corte ha ritenuto che le criticità, qualificate non gravi, potevano esser recuperate, anche tenuto conto della buona volontà mostrata dalla madre (la relazione sentimentale inappropriata era cessata e la stessa era tornata in una comunità), mediante la predisposizione di un adeguato progetto di sostegno, che tenesse conto della sua condizione di madre bambina, e che, invece, non era stato attivato, essendo piuttosto stata giudicata alla stregua di un’adulta dai responsabili della struttura presso cui era stata ricoverata insieme al figlio.
Contro la sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione il tutore provvisorio del minore affidato a due motivi. (…)
Osserva in diritto. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato (cfr. da ultimo Cass. n. 13435 del 2016), che costituisce un diritto fondamentale del figlio quello di vivere con i suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, diritto che va salvaguardato in via prioritaria, in quanto “per un genitore e suo figlio, stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare” (così, Corte Europea dei diritti dell’uomo, SH c/ Italia 13.10.2015 § 48 e cfr. sentenze ivi richiamate); tale diritto, come del resto riconosce il ricorrente, può essere limitato solo quando si configuri un endemico e radicale stato di abbandono, ed impone quindi che si proceda con particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, la cui dichiarazione costituisce e va emessa, solo, come extrema ratio. In tale prospettiva, vanno quindi apprezzati gli istituti disciplinati dalla L. n. 184 del 1983 e succ. modifiche, che sono, infatti, applicabili “quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore” (art. 1, co 4), e che consentono il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore dopo l’inutile esperimento di tutte le misure idonee a preservare, per quanto possibile, il legame familiare e, solo, in presenza di fatti -che devono essere specificamente dimostrati in concreto- tali da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino e, dunque, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale (cfr. Cass. n. 7391 del 2016). (…)
Studio Legale Sugamele – 31 gennaio 2017
Sentenza www.divorzista.org/sentenza.php?id=13212
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Colombia. Le adozioni internazionali riprendono a crescere: +3,5% rispetto al 2015.
In Colombia torna a rivedersi la luce sull’accoglienza dei bambini abbandonati. Dopo il calo del 2015, nel 2016 il numero dei minori colombiani che hanno trovato una nuova famiglia grazie all’adozione ha fatto registrare un incremento. Sono aumentati sia quelli accolti da famiglie loro connazionali che quelli che hanno trovato casa all’estero: una combinazione che fa dell’anno appena trascorso il migliore dal 2013 a oggi, in quanto ad adozioni realizzate. Questi i dati più importanti rivelati dall’annuale rapporto dell’Icbf (Instituto Colombiano de Bienestar Familiar), l’istituzione pubblica colombiana che lavora per la protezione di minori e famiglie e si occupa di adozioni.
Nel complesso i bambini colombiani adottati nel 2016 sono stati 1.181, 99 in più rispetto ai 1.082 del 2015 che, in termini percentuali, si traduce in un incremento del 9,1%. Il 2015 aveva invece fatto registrare un calo rispetto all’anno precedente, quando i piccoli adottati furono 1.148, 23 in più rispetto ai 1.125 del 2013. Dati che dimostrano come il 2016 sia stato l’anno migliore degli ultimi 4 in termini di minori accolti.
Dei 1.181 bambini adottati nell’anno appena concluso, 654 sono stati accolti in adozione nazionale e 527 in adozione internazionale, confermando quindi il predominio della prima sulla seconda. Persiste quindi la tendenza degli ultimi anni che vede la forbice tra adozione nazionale e internazionale allargarsi a favore della prima: se nel 2014 la prima aveva trovato una nuova famiglia a 20 minori in più rispetto alla seconda, nel 2015 questo scarto era salito a 64 per toccare poi quota 127 nel 2016.
Sia per l’adozione nazionale che per quella internazionale, comunque, i numeri del 2016 sono più alti rispetto al 2015: +14% per i bambini adottati da famiglie colombiane e +3,5 per i piccoli che hanno trovato una famiglia all’estero. Evidente dunque il fatto che l’adozione nazionale sia cresciuta di più dell’internazionale. In termini sia percentuali che assoluti: i bambini colombiani accolti da coppie loro connazionali nel 2016 sono stati 81 in più rispetto al 2015, mentre quelli adottati da famiglie straniere sono stati solo 18 in più.
Continua a crescere anche il numero di bambini senza bisogni speciali che vengono adottati: dai 496 del 2014, si è passati ai 509 del 2015 e ai 589 del 2016. Un incremento del 18,7% in soli 2 anni, trend certamente legato al maggiore aumento delle adozioni nazionali rispetto a quelle internazionali. Sale anche il numero dei bambini con bisogni speciali che hanno trovato una nuova famiglia, ma in modo molto più modesto: solo +3,3% dal 2015 al 2016, un piccolo incremento che non bilancia certo il calo del 12,1% fatto registrare dal 2014 al 2015.
È da segnalare inoltre che, nel 2016, le adozioni, sia nazionali che internazionali, portate al termine dall’Icbf sono cresciute maggiormente rispetto a quelle realizzate dalle Iapas (Instituciones Autorizadas Para La Adopcion), case private autorizzate dall’autorità centrale a gestire gli iter adottivi: le prime sono state 80 in più del 2015 (936 contro 856), mentre le seconde sono passate da 226 a 245, solo 19 in più.
Infine, un accenno alle coppie ancora in lista d’attesa. Al 31 dicembre 2016 erano 1.894, il 23,7 in meno rispetto alle 2481 di fine 2015 e il 36,7% in meno delle 2993 in attesa al 31 dicembre 2014.
News Ai. Bi. 1 febbraio 2017
www.aibi.it/ita/colombia-le-adozioni-internazionali-riprendono-a-crescere-35-rispetto-al-2015
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ADOZIONE NAZIONALE
Ue. Gli eurodeputati chiedono alla Commissione il riconoscimento automatico
Ue. Gli eurodeputati chiedono alla Commissione il riconoscimento automatico delle adozioni nazionali tra i Paesi membri: meno ostacoli burocratici e un grande dubbio.
Un Certificato europeo di adozione che garantirebbe la certezza del diritto a tutte le famiglie adottive che si spostano da un Paese membro dell’Ue a un altro. È quanto ha chiesto il Parlamento europeo alla Commissione con una risoluzione approvata giovedì 2 febbraio a larga maggioranza: 533 voti favorevoli, 72 astensioni e solo 41 voti contrari. Con questa decisione gli europarlamentari sollecitano dunque la Commissione a proporre regole per un riconoscimento delle adozioni all’interno dell’Ue nei casi in cui i genitori e i figli adottivi risiedano nello stesso Paese.
Un provvedimento necessario per colmare un vuoto legislativo. La Convenzione de L’Aja, infatti, richiede un riconoscimento automatico delle adozioni in tutti i Paesi firmatari – tra cui anche quelli dell’Unione Europea -, ma questa misura si applica solo nei casi in cui i genitori e i relativi figli adottivi provengano da Paesi differenti.
Attualmente, spiega la risoluzione approvata dagli europarlamentari, “le famiglie che hanno adottato bambini del loro proprio Paese devono affrontare ostacoli giuridici e amministrativi quando si spostano da uno Stato membro a un altro. Ad esempio, i genitori potrebbero non essere in grado di occuparsi dell’istruzione o di un trattamento medico del loro bambino adottato, a meno che non abbiano avviato iniziative legali per dimostrare che ne hanno la custodia”.
Il Certificato europeo riconoscerebbe invece in modo automatico i certificati di adozione tra i diversi Paesi dell’Ue. In tal modo si riuscirebbe a eliminare, o quantomeno a rendere meno gravosi, gli ostacoli amministrativi in cui le famiglie incappano quando si trasferiscono da uno Stato membro all’altro.
“Ogni adozione dovrebbe essere fatta nel migliore interesse del bambino – commenta il relatore della risoluzione, l’eurodeputato Tadeusz Zwiefka (Ppe, Pl) -, tenendo in conto le specifiche circostanze di ogni caso. Poiché con l’adozione si deve garantire al bambino amore, cura e un ambiente stabile, chiediamo alla Commissione europea di adottare misure in materia di riconoscimento dei certificati di adozione nazionale, in modo che le famiglie con bambini adottati abbiano la certezza del diritto quando si spostano in un altro Stato membro”.
Secondo la procedura dell’iniziativa legislativa, la Commissione, pur non essendo obbligata a seguire le raccomandazioni del Parlamento, in caso di rifiuto dovrà spiegarne i motivi.
Resta tuttavia un punto delicato. Dodici Paesi dell’Ue ammettono l’adozione per le coppie dello stesso sesso. La risoluzione riguarda il rapporto genitore-figlio e non quello tra i due genitori adottivi. Siamo sicuri che una misura come quella sollecitata dal Parlamento europeo non obblighi gli altri Paesi dell’Ue a riconoscere anche il matrimonio omosessuale contratto in un altro Paese membro o qualsiasi rapporto giuridico contrario al suo ordinamento?
Fonti: Ansa, Help Consumatori News Ai. Bi. 3 febbraio 2017
www.aibi.it/ita/ue-gli-eurodeputati-chiedono-alla-commissione-il-riconoscimento-automatico
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AFFIDO ESCLUSIVO
L’affidamento esclusivo del figlio deve essere motivato.
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 27, 3 gennaio 2017
L’affidamento esclusivo del figlio minore a uno dei coniugi deve essere particolarmente motivato e comunque nell’interesse esclusivo del minore.
avv. Renato D’Isa 1 febbraio 2017 Sentenza
https://renatodisa.com/2017/02/01/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-3-gennaio-2017-n-27
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AMORIS LÆTITIA
Il papa tace, ma parla il cardinale Müller. Che ai “dubia” risponde così
Anche a lui, oltre che a papa Francesco, i cardinali Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner avevano inoltrato i loro cinque “dubia” sull’interpretazione di “Amoris lætitia“, chiedendo di “fare chiarezza”.
E né lui, il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, né tanto meno il papa avevano fin qui risposto alle domande dei quattro cardinali.
In compenso, però, ora Müller “chiarezza” la fa, eccome, nell’ampia sua intervista che esce oggi sulla rivista “Il Timone”, raccolta dal direttore Riccardo Cascioli e da Lorenzo Bertocchi: <La verità non si negozia>. www.iltimone.org/it_IT/home/cosa_facciamo/il_timone/2017/issue_160
Nell’intervista, il cardinale non fa parola dei “dubia”, ma dice “apertis verbis” proprio ciò che i quattro cardinali chiedevano che fosse chiarito. E non manca di sferzare quei vescovi che con i loro “sofismi” interpretativi – dice – invece che fare da guida ai loro fedeli cadono “nel rischio che un cieco conduca per mano altri ciechi”.
Ecco i passaggi chiave dell’intervista.
D. – Si può dare una contraddizione tra dottrina e coscienza personale?
R. – No, è impossibile. Ad esempio, non si può dire che ci sono circostanze per cui un adulterio non costituisce un peccato mortale. Per la dottrina cattolica è impossibile la coesistenza tra il peccato mortale e la grazia giustificante. Per superare questa assurda contraddizione, Cristo ha istituito per i fedeli il Sacramento della penitenza e riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
D. – È una questione di cui si discute molto a proposito del dibattito intorno all’esortazione post-sinodale “Amoris lætitia”.
R. – La “Amoris lætitia” va chiaramente interpretata alla luce di tutta la dottrina della Chiesa. […] Non mi piace, non è corretto che tanti vescovi stiano interpretando “Amoris lætitia” secondo il loro proprio modo di intendere l’insegnamento del papa. Questo non va nella linea della dottrina cattolica. Il magistero del papa è interpretato solo da lui stesso o tramite la Congregazione per la dottrina della fede. Il papa interpreta i vescovi, non sono i vescovi a interpretare il papa, questo costituirebbe un rovesciamento della struttura della Chiesa cattolica. A tutti questi che parlano troppo, raccomando di studiare prima la dottrina [dei concili] sul papato e sull’episcopato. Il vescovo, quale maestro della Parola, deve lui per primo essere ben formato per non cadere nel rischio che un cieco conduca per mano altri ciechi. […]
D. – L’esortazione di san Giovanni Paolo II, “Familiaris consortio“, prevede che le coppie di divorziati risposati che non possono separarsi, per poter accedere ai sacramenti devono impegnarsi a vivere in continenza. È ancora valido questo impegno?
R. – Certo, non è superabile perché non è solo una legge positiva di Giovanni Paolo II, ma lui ha espresso ciò che è costitutivamente elemento della teologia morale cristiana e della teologia dei sacramenti. La confusione su questo punto riguarda anche la mancata accettazione dell’enciclica “Veritatis splendor” con la chiara dottrina dell’”intrinsece malum”. […] Per noi il matrimonio è l’espressione della partecipazione dell’unità tra Cristo sposo e la Chiesa sua sposa. Questa non è, come alcuni hanno detto durante il Sinodo, una semplice vaga analogia. No! Questa è la sostanza del sacramento, e nessun potere in cielo e in terra, né un angelo, né il papa, né un concilio, né una legge dei vescovi, ha la facoltà di modificarlo.
D. – Come si può risolvere il caos che si genera a causa delle diverse interpretazioni che vengono date di questo passaggio di Amoris lætitia”?
D. – Raccomando a tutti di riflettere, studiando prima la dottrina della Chiesa, a partire dalla Parola di Dio nella Sacra Scrittura che sul matrimonio è molto chiara. Consiglierei anche di non entrare in alcuna casuistica che può facilmente generare malintesi, soprattutto quello per cui se muore l’amore, allora è morto il vincolo del matrimonio. Questi sono sofismi: la Parola di Dio è molto chiara e la Chiesa non accetta di secolarizzare il matrimonio. Il compito di sacerdoti e vescovi non è quello di creare confusione, ma quello di fare chiarezza. Non ci si può riferire soltanto a piccoli passaggi presenti in “Amoris lætitia”, ma occorre leggere tutto nell’insieme, con lo scopo di rendere più attrattivo per le persone il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Non è “Amoris lætitia” che ha provocato una confusa interpretazione, ma alcuni confusi interpreti di essa. Tutti dobbiamo comprendere ed accettare la dottrina di Cristo e della sua Chiesa e allo stesso tempo essere pronti ad aiutare gli altri a comprenderla e a metterla in pratica anche in situazioni difficili. (…).
Sandro Magister settimo cielo 1 febbraio 2017
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it
Ma il card. Müller ha letto “Amoris lætitia”?
In una intervista al “Timone” il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede risponde a una domanda con queste parole: D. – L’esortazione di san Giovanni Paolo II, “Familiaris consortio”, prevede che le coppie di divorziati risposati che non possono separarsi, per poter accedere ai sacramenti devono impegnarsi a vivere in continenza. È ancora valido questo impegno?
R. – Certo, non è superabile perché non è solo una legge positiva di Giovanni Paolo II, ma lui ha espresso ciò che è costitutivamente elemento della teologia morale cristiana e della teologia dei sacramenti. La confusione su questo punto riguarda anche la mancata accettazione dell’enciclica “Veritatis splendor” con la chiara dottrina dell’”intrinsece malum“. […] Per noi il matrimonio è l’espressione della partecipazione dell’unità tra Cristo sposo e la Chiesa sua sposa. Questa non è, come alcuni hanno detto durante il Sinodo, una semplice vaga analogia. No! Questa è la sostanza del sacramento, e nessun potere in cielo e in terra, né un angelo, né il papa, né un concilio, né una legge dei vescovi, ha la facoltà di modificarlo.”
Non soltanto qui si esprimono alcune convinzioni che non sono affatto “magistero acquisito”, bensì forzature recenti nella dottrina comune, ma si citano solo i lavori sinodali e si ignora il testo di AL. Non sono infatti “alcuni padri sinodali” che hanno esposto teorie stravaganti a proposito del rapporto tra Chiesa e matrimonio, ma è il testo stesso di AL ai nn. 72-73 che parla rispettivamente di “segno imperfetto” e di “analogia imperfetta” per definire la relazione tra il sacramento del matrimonio e le nozze tra Cristo e la sua Chiesa. Lo fa apertis verbis e in tal modo permette di considerare, dottrinalmente e pastoralmente, non solo il “bene massimo” del matrimonio, ma anche il “bene possibile”. Rileggiamo i due testi, che il Prefetto sembra non conoscere. Sottolineo in neretto le espressioni più significative:
72. Il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno di un impegno. Il sacramento è un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi, perché «la loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi». Il matrimonio è una vocazione, in quanto è una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la decisione di sposarsi e di formare una famiglia dev’essere frutto di un discernimento vocazionale.
73. «Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. […] Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù». Il sacramento non è una “cosa” o una “forza”, perché in realtà Cristo stesso «viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri». Il matrimonio cristiano è un segno che non solo indica quanto Cristo ha amato la sua Chiesa nell’Alleanza sigillata sulla Croce, ma rende presente tale amore nella comunione degli sposi. Unendosi in una sola carne rappresentano lo sposalizio del Figlio di Dio con la natura umana. Per questo «nelle gioie del loro amore e della loro vita familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell’Agnello». Benché «l’analogia tra la coppia marito-moglie e quella Cristo-Chiesa» sia una «analogia imperfetta», essa invita ad invocare il Signore perché riversi il suo amore dentro i limiti delle relazioni coniugali.
Possiamo osservare che:
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Nessuno parla di “vaga relazione”, ma di “analogia imperfetta”. Questo non esclude affatto un rapporto di “rappresentazione reale” e di “efficacia” tra sacramento e vita ecclesiale, ma distingue accuratamente e precisamente questa rappresentazione dalla “ripresentazione eucaristica”. Proprio questa “identità” sarebbe una forzatura della tradizione, alla quale sembra inclinare la interpretazione massimalistica avanzata dai 4 cardinali e che il Prefetto Müller sembra condividere;
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La “legge della continenza” per le famiglie in seconde nozze è una soluzione provvisoria e parziale, che oggi è ancora possibile, ma non è più necessaria. Su questo, a me pare, la idealizzazione del sacramento coincide con una sfigurazione della antropologia. Ed è curioso che la sua formulazione sia stata “inventata” da Familiaris consortio mentre il Prefetto la presenta come una “verità costitutiva della teologia morale e della teologia dei sacramenti”. Trasformare un elemento positivo in struttura speculativa è sempre molto pericoloso. E tanto più lo è se si pretende di farlo ignorando il testo di una Esortazione Apostolica;
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Far passare per “opinioni di alcuni padri sinodali” le esplicite parole di una Esortazione Apostolica può compiacere i lettori del Timone, ma non rende un servizio alla verità. Su questo punto il ministero di un Prefetto di Congregazione dovrebbe evitare di creare confusione e registrare la evoluzione di una disciplina, aiutando a comprenderla, piuttosto che fingere di ignorarla.
Mi pongo, infine, alcune domande: perché il Prefetto non legge con la dovuta attenzione i documenti del papa? E perché sposa superficialmente le tesi di cardinali che non vogliono applicare AL, mentre critica apertamente quei Vescovi che si sono messi dentro un serio percorso di recezione del documento? Anche su questo Müllersembra ignorare che è AL stessa (nn.2-3) a chiedere ciò che il Prefetto censura: infatti un processo di recezione sinodale non è una infrazione al centralismo ecclesiale, ma il rimedio alla sua patologia.
Andrea Grillo blog: Come se non 1 febbraio 2017
www.cittadellaeditrice.com/munera/ma-il-card-mueller-ha-letto-amoris-laetitia/
l Vescovi tedeschi: comunione ai divorziati risposati in alcuni casi
I Vescovi tedeschi confermano l’apertura sulla comunione ai divorziati risposati nelle linee-guida, pubblicate oggi, per l’applicazione dell’Amoris lætitia, sottolineando che l’esortazione di Papa Francesco sulla famiglia, che sta provocando un vivace dibattito in seno alla Chiesa cattolica, pur senza stabilire «una regola generale o un automatismo», prevede, in singoli casi e a valle di un processo di discernimento all’interno della comunità cattolica, l’ammissione all’eucaristia in alcuni di questi casi.
La Conferenza episcopale tedesca, guidata dal cardinale Reinhard Marx di Monaco di Baviera, uno dei nove porporati consiglieri di Francesco, pubblica oggi il documento «La gioia dell’amore che viene vissuta nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa» (sottotitolo: «Introduzione ad una rinnovata pastorale delle nozze e della famiglia alla luce dell’Amoris lætitia») approvato lo scorso 23 gennaio 2017 dal consiglio permanente dello stesso episcopato.
A prendere posizione a favore di una lettura aperturista del testo papale nelle scorse settimane è stata, prima che lo facesse oggi la tedesca, la conferenza episcopale maltese, con un documento poi ripubblicato dall’Osservatore Romano. Non tutti sembrano propendere per un atteggiamento del genere. Lo dimostra, ad esempio, l’intervista al cardinale prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard LudwigMüller, anch’egli tedesco, pubblicata oggi dal «mensile di apologetica» Il Timone.
Le linee-guida dei presuli della Germania affrontano una serie di questioni di cui ha scritto il Papa nella esortazione apostolica che ha concluso il doppio Sinodo sulla famiglia del 2014-2015: dalla preparazione al matrimonio all’accompagnamento pastorale delle famiglie, dalla fede vissuta nelle famiglie alle famiglie che vivono situazioni di fragilità, soffermandosi poi sulla annosa questione possibilità per le coppie di divorziati risposati di ricevere i sacramenti. Sul tema «i vescovi non vedono alcuna regola generale e alcun automatismo. A loro giudizio sono necessarie piuttosto soluzioni differenziate che prendano in considerazione il singolo caso».
«Amorislætitia – sottolineano i vescovi tedeschi – non trascura né la pesante colpa che molte persone vivono in tali situazioni di frattura e fallimento della relazione matrimoniale né la questione problematica che seconde nozze civili contraddicano il segno visibile del sacramento matrimoniale, anche quando la persona coinvolta è stata lasciata senza colpa. Amoris lætitia tuttavia non rimane nel divieto categorico e irreversibile dell’accesso ai sacramenti».
La nota a piè di pagina 336 del testo papale, ricordando i presuli, sottolinea che ci possono essere conseguenze anche sacramentali diverse per situazioni diverse per quanto riguarda la colpa nel fallimento matrimoniale, e la nota 351 ribadisce l’aiuto che la Chiesa può dare con l’eucaristia in alcuni casi e dunque anch’essa «prevede la possibilità di accedere ai sacramenti in questi casi». La Conferenza episcopale precisa, ancora, che «non tutti i credenti il cui matrimonio è fallito e che si siano separati e risposati civilmente possono ricevere indiscriminatamente i sacramenti. Sono invece necessarie soluzioni differenziate che prendano in considerazione il singolo caso, quando le nozze non possono essere annullate. In questi casi incoraggiamento tutti coloro che hanno il fondato dubbio sulla validità del loro matrimonio di prendere in considerazione il servizio dei giudici matrimoniali ecclesiali per verificare se siano possibili nuove nozze in Chiesa».
Nei casi in cui il matrimonio non sia nullo, invece, «Amoris lætitia parte da un processo di discernimento che va accompagnato da un pastore» e, in questo quadro, sottolinea il documento dei vescovi tedeschi, «apre alla possibilità di ricevere i sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. In Amoris lætitiaPapa Francesco sottolinea il significato della decisione con coscienza quando dice: “Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”. Al termine di questo processo spirituale, che riguarda sempre l’integrazione, non c’è comunque l’accesso dei sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. La decisione individuale, in certe condizioni di essere o meno nella condizione di ricevere i sacramenti, merita rispetto e attenzione. Ma anche una decisione di ricevere i sacramenti va rispettata. Da rifiutare sono sia un atteggiamento di lassismo senza intenso esame nell’accompagnare, discernere e integrare, così come un atteggiamento rigoristico, che consiste in giudizi frettolosi sulle persone in cosiddette situazioni irregolari. Invece di questi atteggiamenti estremi il discernimento (latino, discretio) deve avvenire in dialogo personale. Vediamo come nostro compito approfondire la via della formazione delle coscienze dei fedeli. A questo fine dobbiamo rendere idonei i nostri pastori e fornire loro criteri. Tali criteri di una formazione della coscienza sono forniti in modo diffuso e eccellente dal Santo Padre nella Amoris lætitia.
Iacopo Scaramuzzi La Stampa-Vatican Insider 1° febbraio 2017
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201702/170202scaramuzzi.pdf
Amoris lætitia secondo Buttiglione: bella lucidità anche dal piccolo mondo antico
Ho letto con viva curiosità e con grande gusto la appassionata difesa di Amoris lætitia proposta in un saggio di ben 36 pagine da parte di Rocco Buttiglione. Trovo che sia una prova di brillante argomentazione, di autentica disponibilità a comprendere la novità di AL e di decisa volontà di difenderla dagli attacchi cui è stata sottoposta, da ambienti molto vicini a Buttiglione e che egli conosce assai bene e dall’interno. Tanto più che Buttiglione propone questa lettura sulla base della “antropologia di K. Wojtyla”, dunque interpretando la tradizione matrimoniale avvalendosi non tanto dei testi magisteriali – che pure cita con grande insistenza – ma sulla base della tradizione filosofica e fenomenologica con cui Wojtyla ha dialogato nei suoi studi di gioventù. E che Buttiglione inserisce nella “svolta antropologica” del XX secolo.
La lettura del testo è piacevole e lascia l’impressione di una sintesi equilibrata, capace di valorizzare con accuratezza almeno una parte della novità di Amoris lætitia, collocandola con forza in profonda continuità con il magistero precedente. Nel fare ciò, Buttiglione lavora con perizia su due livelli: quello della “dottrina e disciplina matrimoniale”, e quello del rapporto tra complessità e semplicità sociale e culturale. Forse proprio su questo piano risulta particolarmente felice la assunzione della complessità all’interno del criterio di valutazione del testo, con una consapevole correlazione tra esperienza e verità, tra livello trascendentale e livello ontologico della tradizione.
La lettura complessiva, tuttavia, proprio perché preoccupata di rileggere tutte le novità come già “incluse” nel magistero di Karol Wojtyla – con una apologetica wojtyliana talora non poco sovraesposta – rischia di non cogliere due dinamiche fondamentali di AL:
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La autocritica delle categorie e del modo di trattare le persone che è necessaria alla Chiesa per uscire da uno stile inadeguato e da una tentazione di autoreferenzialità che spesso ha trovato un singolare appoggio nelle logiche che confidano solo sulla “norma”;
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Il ridimensionamento di un orizzonte metafisico ancora troppo rigido e idealizzato, con riferimenti ad una morale “fredda da scrivania”, soprattutto nel pensare il ruolo sinodale e corale del magistero e il ruolo che in esso gioca la coscienza;
Le pagine sulla “contraccezione” o sull’” adulterio” – per citare solo alcuni testi esemplari – offrono certo spiragli preziosi di argomentazione, ma sempre e solo all’interno di una concezione teologicamente datata e segnata da un eccesso di approccio apologetico, proprio perché non osano ripensare le categorie fondamentali con cui ragionar d’amore e di matrimonio. Buttiglione risente profondamente delle caratteristiche dello stesso Wojtyla, che era filosoficamente audace, ma si nutriva di una teologia spesso tanto classica quanto non aggiornata. La complessità appare più integrata in un modello apologetico, che non assunta come orizzonte per pensare la novità delle forme di vita matrimoniale. Il principio dello scandalo resta del tutto centrale e dirimente, come nel piccolo mondo antico della società chiusa: ma viene gestito e delimitato in modo nuovo, ispirandosi alla esperienza della società aperta, che entra solo trasversalmente, ma efficacemente, nel sistema.
Pertanto, nonostante questo limite obiettivo, bisogna salutare il testo di Buttiglione come un passaggio importante nella recezione di AL, perché dimostra in modo limpido e argomentato che anche guardando ad AL dalla prospettiva limitata di una società chiusa, con la retorica di una Chiesa centrata sulla ossessione istituzionale dello scandalo e sulla base di una teologia non aggiornata, è possibile valorizzare la bontà e la pertinenza della “svolta pastorale” di AL.
Buttiglione, proprio in ragione dei limiti della prospettiva con cui legge AL, offre buoni argomenti per smascherare, in modo ancora più efficace, i più gravi limiti dei detrattori della Esortazione di papa Francesco. E dimostra ancora una volta che AL può diventare strumento prezioso per tutti: è testo autenticamente cattolico, nel senso migliore del termine. Purché si sia disposti a leggerlo “in bonam partem”. Anche chi vuole continuare a ragionare con le categorie della “società chiusa” può valorizzarlo con convinzione, purché sappia che la vita e la società sono irreversibilmente “aperte”: non solo con queste condizioni culturali la Chiesa deve sempre dialogare, ma da esse ha anche qualcosa di molto importante da imparare.
www.lastampa.it/rw/Pub/Prod/PDF/Approccio%20di%20Giovanni%20Paolo%20II%20e%20di%20Francesco.pdf
Andrea Grillo blog: Come se non 4 febbraio 2017
www.cittadellaeditrice.com/munera/amoris-laetitia-secondo-buttiglione-bella-lucidita-anche-dal-piccolo-mondo-antico
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Mezzi di sussistenza.
Corte di Cassazione – quinta Sezione penale, Sentenza n. 3831, 25 gennaio 2017.
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’espressione “mezzi di sussistenza” di cui all’art. 570, 2 co. n. 2, esprime un concetto diverso dall’” assegno di mantenimento” stabilito dal giudice civile, essendo in materia penale rilevante solo ciò che è necessario per la sopravvivenza del familiare dell’obbligato nel momento storico in cui il fatto avviene. L’ipotesi aggravata non ha carattere meramente sanzionatorio dell’obbligo civile, occorrendo perciò verificare che la mancata corresponsione delle somme dovute non sia da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta da parte dell’obbligato
Avv. Renato D’Isa 31 gennaio 2017 Sentenza
https://renatodisa.com/2017/01/31/corte-di-cassazione-sezione-v-penale-sentenza-25-gennaio-2017-n-3831
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ASSEGNO DIVORZILE
In tema di divorzio.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 2224, 30 gennaio 2017.
Ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile deve essere effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, mentre la liquidazione in concreto dell’assegno, ove sia riconosciuto tale diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Nell’ambito di questo duplice apprezzamento, occorre avere riguardo non soltanto ai redditi ed alle sostanze del richiedente, ma anche a quelli dell’obbligato, i quali assumono rilievo determinante sia ai fini dell’accertamento del livello economico-sociale del nucleo familiare, sia ai fini del necessario riscontro in ordine all’effettivo deterioramento della situazione economica del richiedente in conseguenza dello scioglimento del vincolo.
Per poter determinare lo standard di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio, occorre infatti conoscerne con ragionevole approssimazione le condizioni economiche, dipendenti dal complesso delle risorse reddituali e patrimoniali di cui ciascuno dei coniugi poteva disporre e di quelle da entrambi effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, mentre per poter valutare la misura in cui il venir meno dell’unità familiare ha inciso sulla posizione del richiedente è necessario porre a confronto le rispettive potenzialità economiche, intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore.
Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico – patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall’art. 160 cod. civ.. Pertanto, di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludono il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione – specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione degli effetti civili del matrimonio.
Gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento all’assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la disposizione dell’art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 – a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico -, non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati “secundum ius”, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio.
Nel giudizio di divorzio in appello – che si svolge secondo il rito camerale, l’acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all’udienza di discussione in Camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunciabile anche nei procedimenti camerali.
Avv. Renato D’Isa on 1 febbraio 2017
https://renatodisa.com/2017/02/01/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-30-gennaio-2017-n-2224
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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF
Newsletter n. 4/2017, 1 febbraio 2017.
39a. Giornata per la Vita – domenica 5 febbraio 2017. Promuovere la tutela di ogni vita, contro la “cultura dello scarto”. Vedi il testo del Direttore del Cisf, Francesco Belletti, pubblicato su Famiglia Cristiana in occasione della 39.a Giornata per la Vita.
www.famigliacristiana.it/articolo/ogni-vita-va-difesa-allinizio-durante-e-alla-fine.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_01_02_2017
Messaggio della CEI www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2016-10/24-3/Messaggio%20Giornata%20Vita%202017.pdf
Affidi di lunga durata: il parere delle associazioni.Il Tavolo Affido Nazionale – che raccoglie le associazioni nazionali e le reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie – si esprime sugli affidi di lunga durata in un documento che emerge da un lungo ed approfondito confronto sull’argomento.
Il servizio civile riparte. Il 18 gennaio 2017 è stata presentata al Parlamento la “Relazione sull’organizzazione, sulla gestione e sullo svolgimento del servizio civile nell’anno 2015”, che descrive nel dettaglio le caratteristiche di una forte ripresa della presenza di giovani in servizio civile, rispetto agli anni precedenti, dovuta essenzialmente ad un cospicuo rifinanziamento deliberato (finalmente!) dal Governo. Nel 2015 sono stati 3.676 gli enti presso cui si poteva svolgere il servizio civile, con la possibilità di effettuarlo in 50.587 sedi. Nel complesso sono stati 35.531 i giovani che nel 2015 hanno intrapreso questo percorso. Di essi 607 lo hanno svolto all’estero, e 34.924 nel territorio nazionale. Da segnalare che sono donne i due terzi dei giovani in servizio civile e la percentuale di donne sfiora il 70% tra chi lo svolge all’estero. Molti più dati nelle 170 pagine della Relazione. www.serviziocivile.gov.it/media/619833/relazione2015_sito.pdf
La bottega dei genitori. Formazione con momenti serali on line (Webinar). Sul sito della casa editrice “La Meridiana“ è attivo il blog “Genitori in rete“. In particolare da febbraio ad aprile 2017 saranno disponibili alcuni webinar (seminari serali on line) su varie tematiche familiari. “Apprendere la genitorialità. Non in una scuola. In una bottega che è anche luogo di incontro virtuale dove su temi e problematiche, esperienze e suggestioni ci faremo accompagnare per diventare non i migliori genitori del mondo ma quelli più in grado di prendersi cura, educando, dei propri figli in un dialogo aperto con gli altri. Singoli temi e cicli di incontri da 1 ora con possibilità di intervenire per porre domande e per confrontarsi. Appuntamenti settimanali, dopo cena”. www.edizionilameridiana.it/webinar
La Grand Chambre di Strasburgo: “Fabbricare” bambini non è un diritto. Lo Stato italiano aveva tolto la bambina a una coppia molisana recatasi in Russia per avere un figlio attraverso la maternità surrogata. Ma la Corte europea dà ragione alla nostra giustizia poiché non ha leso nessun diritto umano ma ha giustamente punito il “fai da te” delle tecnologie riproduttive. Pietro Boffi su Famiglia Cristiana on line.
www.famigliacristiana.it/articolo/utero-in-affitto-strasburgo-pone-la-parola-fine-al-caso-italiano.aspx
Dalle case editrici. Poli Osvaldo, Adolescenti all’improvviso. 60 dritte per genitori spiazzati.
L’adolescenza non è una malattia che deve portare con sé sensi di colpa, urla, sofferenze di genitori e figli, o la sensazione di essere impotenti e di aver fallito, ma una splendida stagione della vita in cui i ragazzi possono maturare e imparare a non essere più condizionati dal loro carattere. È una stagione che richiede un rapido aggiornamento del “software” genitoriale; il momento in cui rompere la bolla protettiva in cui si vorrebbe far vivere i figli con l’illusione di diventarne una sorta di avvocati difensori. Essere genitori di un adolescente vuol dire accettare l’impossibilità di risparmiare ai ragazzi la fatica di diventare grandi, per riuscire a dire loro: “Non ti eviterò le difficoltà, ma ti aiuterò a risolverle”. Questo libro è nato da un dialogo intrecciato sulle pagine di “Famiglia Cristiana” e da tanti incontri con padri e madri in difficoltà nel loro ruolo di educatori, spesso stanchi, delusi, in crisi o alle prese con figli indocili e ribelli, e si propone come una concreta guida, pratica e sicura, per affrontare uno dei momenti più importanti nella vita di genitori e figli.
Save the date.
Nord “Crescere insieme! percorso formativo per genitori”, specificamente dedicato al rapporto famiglia-web, organizzato dal Comitato Genitori dell’ICS Marco d’Oggiono e da Specchio Magico in Provincia di Lecco, con interventi di A. Pellai, D. Piazza e S. Laffi, 20 febbraio (Annone-LC), 6, marzo (Dolzago -LC), 13 marzo 2017 (Annone-LC).
Analisi delle prospettive di attuazione per l’avvio di un progetto territoriale in provincia di Pavia, promosso da Anffas Lombardia, Confocooperative Pavia, Fondazione Dopo di Noi-Onlus, Pavia, 4 febbraio 2017.
Sud Tutor dell’apprendimento per studenti con disturbo specifico dell’apprendimento, IX Edizione del Corso di Alta formazione per Tutor in DSA, IGEA Centro Promozione Salute (ApS), Pescara, dall’11 marzo al 9 aprile 2017.
Estero “Trading on the Female Body” (Commerciare con il corpo umano), seminario organizzato dalla rete “Stop Surrogacy Now” (Stop Surrogacy Now Statement), in occasione della 65.a Sessione della Commission on the Status of Women (CSW61) (Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne), New York, 14 marzo 2017.
Testo completo http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/gennaio2017/1022/index.html
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CHIESA CATTOLICA
Quando la speranza è alimentata dal vangelo.
Che Papa Francesco si stagli nel panorama mondiale come autorità morale universalmente riconosciuta è un dato di fatto. Continua inoltre ad accompagnarlo un ampio entusiasmo popolare. Si tratta di un entusiasmo motivato dalla straordinaria capacità comunicativa con cui egli raggiunge i cuori servendosi di un linguaggio semplice e immediato, fatto di parole e di gesti di grande efficacia.
Non mancano, tuttavia, resistenze alla Sua azione e al Suo messaggio: specialmente dopo la pubblicazione dell’Esortazione “Amoris lætitia”, seguita alle due assemblee sinodali del 2014 e 2015 sul tema della famiglia, diverse critiche al Suo magistero si sono concentrate sulla possibilità di integrare pienamente nella vita della comunità ecclesiale e di ammettere ai sacramenti i divorziati risposati che si trovino in una situazione irreversibile e siano animati da una fede viva e dal desiderio di comunione con il Signore e con la Chiesa. I “dubia” presentati da quattro autorevoli membri del Collegio Cardinalizio, enfatizzati da molti media, sono stati la punta di iceberg di questa resistenza, che – sebbene largamente minoritaria nel popolo di Dio – vuole tuttavia farsi sentire dall’opinione pubblica e in particolare nella comunità ecclesiale. Alcuni interventi di operatori della comunicazione e di esperti di discipline teologiche, morali e pastorali, si uniscono a questo coro, che non scalfisce certo la serenità e la libertà di azione di Francesco, ma rischia di seminare insicurezza e divisione fra i cattolici e non solo. Il punto chiave delle critiche rivolte al Papa riguarda l’accusa di “relativismo”: partendo specialmente dalla risposta che il Pontefice diede ai giornalisti durante il volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro nel luglio 2013 a proposito dei gay – “Chi sono io per giudicare?” – si osserva che se non è il Papa a ribadire senza mezzi termini le certezze della fede e della morale, la Chiesa intera è esposta al rischio di relativismo, abdicando al suo compito fondamentale di testimoniare la verità rivelata. L’argomento, ripreso da varie parti, merita che si chiarisca il perché della sua infondatezza e che si evidenzino gli equivoci che può ingenerare.
Relativista è la posizione di chi nega che ci sia o possa esserci una verità oggettiva e assoluta, riconoscibile da chiunque usi con onestà la propria ragione e il proprio cuore: mettendo da parte l’obiezione di fondo che evidenzia come il relativista si contraddica in radice perché, per affermare che tutto è relativo, deve pur ammettere l’assolutezza di una tale affermazione, non è difficile avvertire l’abissale distanza che c’è fra chi non riconosce l’esistenza di alcun riferimento oggettivo e trascendente, valido e vincolante per tutti, e chi – come Papa Francesco – non ha esitato e non esita a giocare la sua vita per una causa totalizzante come quella della buona novella di Gesù. Il Gesuita Bergoglio incarna perfettamente l’ispirazione ignaziana, che un altro grande gesuita, il teologo Karl Rahner, descriveva così parlando della propria ricerca: “Anche nel lavoro teologico io desidero essere un uomo, un cristiano e, per quanto possibile, un sacerdote della Chiesa. Io desidero poter sperare che quella indicibile tenebra, che è insieme luce, che noi diciamo Dio e in cui ci si deve abbandonare credendo, sperando e amando, è quello su cui mi concentro (il meglio possibile) e di cui tento di parlare, anche se le parole sembrano proprio folli (come potrebbe essere diversamente!), come quella paglia, di cui parlò Tommaso d’Aquino alla fine della sua vita”. Analogamente, il gesuita Bergoglio ha voluto e vuole essere uomo tra gli uomini, al tempo stesso totalmente consegnato alla causa di Dio in questo mondo a favore di quegli stessi uomini per cui Cristo è morto ed è risorto alla vita. Questa dedizione incondizionata non ha, però, nulla della pretesa di catturare l’oggetto di un così grande amore: “Alla fine – dice ancora Rahner – si prosegue a mani vuote. Ma è bene così. Poi si guarda il Crocefisso. E si va avanti. E quel che viene è la beata inafferrabilità di Dio”. Anche da Papa Francesco resta un discepolo di Ignazio di Loyola e sulle sue orme coniuga l’assoluta consegna al Signore Gesù e la consapevolezza di essere sempre e solo servitore e non padrone della verità da Lui offerta al mondo. “Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo – ha scritto in questi giorni per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali – diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza. Il filo con cui si tesse questa storia sacra è la speranza e il suo tessitore non è altri che lo Spirito Consolatore. La speranza è la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita, ma è simile al lievito che fa fermentare tutta la pasta. E noi la alimentiamo leggendo sempre di nuovo la Buona Notizia, quel Vangelo che è stato ristampato in tantissime edizioni nelle vite dei santi, uomini e donne diventati icone dell’amore di Dio”. Anche in quanto afferma “Amoris lætitia” a proposito della famiglia è il Vangelo a risuonare: e lo sforzo di integrare e accompagnare tutti, anche chi si trova in situazioni ferite o contrastanti con il disegno divino rivelato, non è tradimento della dottrina, affermata anzi con fedeltà e chiarezza, ma esercizio di misericordia per non separare mai la verità e l’amore in cui essa si esprime. Francesco è ben consapevole del fatto che oggi “una mentalità diffusa tende ad oscurare l’accesso alle verità eterne”, coinvolgendo “gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani”, come ha detto recentemente parlando alla Rota Romana: egli sa anche, però, che l’assoluto della verità non può fare a meno dell’assoluto della carità. Sta in questa coniugazione il cuore del suo messaggio, che di relativismo non ha veramente nulla, mentre respira a pieni polmoni del soffio del Vangelo, che vuol salvare e rendere liberi tutti.
Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto Il Sole 24 Ore 30 gennaio 2017
http://ilsismografo.blogspot.it/2017/01/italia-quando-la-speranza-e-alimentata.html
Due Paolo di Tarso (forse tre)
Uno dei problemi che più hanno richiamato l’attenzione degli studiosi del Nuovo Testamento è la differente immagine di Paolo che emerge dalle sue lettere rispetto a quella presentata dagli Atti degli apostoli, che pure gli dedicano un grande spazio. Ancora, tra le stesse epistole paoline la maggior parte degli storici distingue alcune, che sono sicuramente opera dell’«apostolo delle genti», da altre scritte invece, richiamandosi all’insegnamento del maestro, dai suoi discepoli, che però per questo, secondo una prassi comune nel mondo antico, non hanno esitato a farle circolare sotto il suo nome.
Introduce a questi problemi il libro Paolo negli Atti e Paolo nelle Lettere (Claudiana) di Daniel Marguerat, a lungo docente all’Università di Losanna. Nella sua ricostruzione, le lettere autentiche di Paolo rappresentano solo un aspetto della sua attività, che dopo la sua morte qualcuno tra i collaboratori si impegnò a raccogliere e organizzare in un corpus documentario, poi confluito nel Nuovo Testamento. Altri, invece, a partire da esse elaborarono le dottrine, soprattutto ecclesiologiche, che compaiono nelle lettere pseudo-paoline. Infine, per il racconto degli Atti, Luca sarebbe partito da tradizioni biografiche sull’apostolo trasmesse oralmente dai discepoli per mantenerne viva la memoria non tanto come scrittore o maestro, quanto come annunciatore del Vangelo e fondatore di comunità; da queste diverse finalità, nascerebbero differenze e contraddizioni rilevate dai moderni esegeti
Marco Rizzi la Lettura – Corriere della Sera – 5 febbraio 2017
Vedi news Ucipem n. 633, 22 gennaio 2017, pag. 19
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201702/170205rizzi.pdf
Affettività e eucaristia
Affettività. Dotati di sessualità, corpo e passioni. Affettività implica non solo la capacità di amare, ma anche il nostro modo di amare in quanto dotati di sessualità, dotati di emozioni, corpo e passioni. Nel cristianesimo parliamo molto di amore, ma dobbiamo amare come siamo, con la nostra sessualità, i desideri, le forti emozioni, la necessità di toccare e stare vicini all’altro.
È strano che non ci venga bene parlare di questo, perché il cristianesimo è la più corporale delle religioni. Crediamo che è stato Dio a creare questi corpi e a dire che erano cosa molto buona. Dio si è fatto corpo fra di noi, essere umano come noi. Gesù ci ha dato il sacramento del suo corpo e ha promesso la resurrezione dei nostri corpi. Sicché dovremmo sentirci (a nostro agio) nel parlare di affettività! Eppure quando la Chiesa parla di sesso la gente appare perplessa!
Una volta san Crisostomo, che stava predicando sul sesso, notò che alcuni arrossivano e si indignò: “Perché vi vergognate? L’argomento non è puro? Vi state comportando come eretici”. Dio si è incarnato in Gesù Cristo, ma forse noi stiamo ancora imparando ad incarnarci nei nostri stessi corpi … è un fallimento dell’autentica castità.
Voglio parlare di Ultima Cena e sessualità. Può sembrare un po’ strano, ma pensateci un momento. Le parole centrali dell’Ultima Cena sono state: «Questo è il mio corpo, offerto per voi». L’eucaristia, come il sesso, è centrata sul dono del corpo.
Per la nostra società è molto difficile capire questo perché tendiamo a vedere i nostri corpi semplicemente come oggetti che ci appartengono. Se pensi al tuo corpo in questo modo, come la cosa che possiedi insieme ad altre cose, allora gli atti sessuali non sono particolarmente significativi. Posso fare quel che mi pare con le mie cose se non faccio male a nessuno … E dunque, perché non posso fare quello che voglio con il mio corpo?
Ma l’Ultima Cena guarda ad una tradizione più antica e più saggia. Il corpo non è solo una cosa che possiedo, sono io, è il mio essere come dono ricevuto dai miei genitori e dai loro prima di loro e, in ultima istanza, da Dio. Per questo quando Gesù dice «Questo è il mio corpo, offerto per voi» non sta disponendo di qualcosa che gli appartiene, sta passando agli altri il dono che lui è. Il suo essere è un dono del Padre che Egli sta trasmettendo.
Dall’eucaristia alla sessualità e ritorno. La relazione sessuale è chiamata ad essere un modo per vivere questo dono di se stessi. Sono qui e mi dono a te, con tutto quello che sono, ora e sempre. Allora l’eucaristia ci aiuta a capire cosa significa per noi essere individui dotati di sessualità, e la nostra sessualità ci aiuta a capire l’eucaristia. Generalmente si vede l’etica sessuale cristiana come restrittiva rispetto ai costumi contemporanei. La Chiesa ti dice esattamente quello che non è permesso fare! In realtà, alla base dell’etica sessuale cristiana c’è l’apprendimento di come vivere relazioni di donazione mutua. L’Ultima Cena è stato un momento di crisi inevitabile nell’amore di Gesù per i suoi discepoli. È stato venduto da uno dei suoi amici; la rocca, Pietro, era sul punto di rinnegarlo e la maggioranza dei suoi discepoli sarebbero scappati correndo. Come sempre, furono le donne … a rimanere fino alla fine! Gesù ha preso il tradimento, il fallimento dell’amore, e l’ha trasformato in un momento di donazione: «Mi consegno a voi … faccio di questo momento un momento di dono, ora e sempre».
Arrivare ad essere persone mature che amano significa che imbattersi in queste crisi inevitabili, nelle quali il mondo sembra andare in pezzi. Questo succede … tanto se ci sposiamo quanto se ci facciamo religiosi o preti. Dobbiamo affrontare queste crisi. Noi saremo capaci di aiutare i giovani a fare questo solamente se noi stessi saremo passati per momenti così e se li avremo affrontati.
Amare è pericoloso! Aprirsi all’amore è molto pericoloso. Uno, probabilmente, si fa male. L’Ultima Cena è la storia del rischio dell’amore. È per questo che Gesù è morto, perché ha amato. Uno che risveglia desideri e passioni profonde e sconcertanti può correre il pericolo di rovinare la propria vocazione e di vivere una doppia vita. Avrà bisogno della grazia per evitare il pericolo, ma non aprirsi all’amore è ancora più pericoloso, è mortale.
Quando celebriamo l’eucaristia, ricordiamo che il sangue di Cristo è versato «per te e per tutti». Il mistero dell’amore, nel più profondo, è insieme particolare e universale. Se il nostro amore è solo particolare corre il rischio di diventare introverso e soffocante. Se è solamente un vago amore universale per tutta l’umanità, corre il rischio di diventare vuoto e senza senso. La tentazione per una coppia è di tenersi un amore intenso ma chiuso ed esclusivo. Si salva appena dall’essere distruttivo con l’arrivo di una terza persona, il bambino che espande il loro amore. La tentazione dei celibi potrebbe essere tendere verso un amore che è solamente universale, un vago e caldo amore per tutta l’umanità.
Non possiamo rifugiarci in questa filantropia telescopica. Avvicinarci al mistero dell’amore significa anche amare persone concrete, alcune con amicizia, altre con profondo affetto. Dobbiamo imparare ad integrare questi amori nella nostra identità come religiosi, come sposati o come single. Bede Jarret, domenicano, fu provinciale della provincia d’Inghilterra. Una volta scrisse una bella lettera ad un giovane benedettino … Questo giovane monaco si era innamorato di una persona che conosciamo solo come P. Temeva che fosse la fine della sua vocazione religiosa. Bede vide che era il principio. Permettetemi di farvene una lunga citazione. È impressionante pensare che sia stata scritta settanta anni fa.
«Gioisco (del tuo innamoramento) perché credo che la tua tentazione sia sempre stata il puritanesimo. Una costrizione, una certa mancanza di umanità. La tua tendenza era quasi la negazione della santificazione della materia. Eri innamorato del Signore, ma non autenticamente innamorato dell’incarnazione. Eri realmente spaventato. Pensavo … che, se ti fossi rilassato un momento, saresti esploso. Eri pieno di inibizioni. Quasi ti uccidevano. Quasi uccidevano la tua umanità. Ti faceva paura la vita perché volevi essere santo e sapevi che eri un artista. L’artista che è in te vedeva bellezza da ogni parte; l’uomo che voleva essere santo in te diceva: ‘Caspita, ma questo è terribilmente pericoloso’; il novizio dentro di te diceva: ‘tieni gli occhi ben chiusi … Se P. non fosse nella tua vita, saresti potuto scoppiare. Credo che P. salverà la tua vita. Dirai una messa di ringraziamento per quello che P. ha rappresentato, e ha fatto, per te. Da molto tempo avevi bisogno di P. I tuoi parenti non avrebbero potuto sostituire la sua presenza. Tantomeno i vecchi e corpulenti provinciali».
Non sto suggerendo che dovremmo tutti correre fuori di qui alla ricerca di qualcuno da amare! Dio ci invia gli amori e le amicizie che sono pane del nostro cammino verso di Lui, che è la pienezza dell’amore. Aspettiamo coloro che Dio ci invia e quando e come ce li invia. Ma quando arrivano, allora dobbiamo affrontare il momento, come fece Gesù nell’Ultima Cena. Quando amiamo qualcuno profondamente, allora dobbiamo imparare ad essere casti. Ognuno, scapolo, sposato o religioso è chiamato alla castità. Non è una parola popolare di questi tempi, suona bacchettona, fredda, distante, mezzo morta, per niente attraente.
Castità è accogliere il principio di realtà. La castità non è innanzitutto la soppressione del desiderio. Il desiderio e le passioni contengono verità profonde su chi siamo e su di cosa abbiamo bisogno. Il semplice sopprimerli farà di noi esseri morti spiritualmente o persone che un giorno si autodistruggeranno. Dobbiamo educare i nostri desideri, aprire gli occhi su quello che veramente chiedono, liberarli dai piccoli piaceri. Abbiamo bisogno di desiderare più profondamente e con maggiore chiarezza.
San Tommaso ha scritto qualcosa che viene facilmente fraintesa. Diceva che la castità è vivere secondo l’ordine della ragione. Suona molto freddo e cerebrale, ma per Tommaso ratio significa vivere nel mondo reale, in conformità con la verità delle cose reali, cioè vivere nella realtà di quello che sono io e di quello che sono le persone che amo realmente. La passione e il desiderio possono portarci a vivere nella fantasia. La castità ci fa scendere dalle nuvole, facendoci vedere le cose come sono. Per i religiosi, o a volte per gli scapoli, ci può essere la tentazione di rifugiarsi nella fantasia perniciosa che siamo eteree figure angeliche, che non hanno nulla a che vedere col sesso. Questo può sembrare castità, ma è una perversione della stessa.
È difficile immaginare una celebrazione dell’amore più realista dell’Ultima Cena. Non ha niente di romantico. Gesù dice ai suoi discepoli semplicemente e liberamente che è arrivata la fine, che uno di loro lo ha tradito, che Pietro lo rinnegherà, che gli altri fuggiranno. Non è una cena a lume di candela in un ristorante, questo è realismo portato all’estremo. Un amore eucaristico ci fa scontrare in pieno con la complessità dell’amore, con i suoi successi e la sua vittoria finale.
Quali sono le fantasie nelle quali può farci cadere il desiderio? Due, direi. L’una è la tentazione di pensare che l’altra persona sia tutto, tutto quello che cerchiamo, la soluzione a tutti i nostri aneliti. Questo è un capriccio passeggero. L’altra è non vedere l’umanità dell’altra persona, per farne semplicemente carne da consumo. Questo è lussuria. Queste due illusioni non sono fra loro tanto diverse come può sembrare a prima vista. L’una è il riflesso esatto dell’altra.
Suppongo che tutti noi abbiamo conosciuto momenti di totale incapricciamento, quando qualcuno diventa l’oggetto di tutti i nostri desideri e il simbolo di tutto quello cui abbiamo anelato, la risposta a tutte le nostre necessità. Se non arriviamo ad essere uno con questa persona allora la nostra vita non ha senso, è vuota. La persona amata giunge ad essere per noi la risposta a quel grande e profondo bisogno che scopriamo dentro di noi. Pensiamo a questa persona tutto il giorno.
Divinizziamo la persona amata e la mettiamo al posto di Dio. Certamente quello che stiamo adorando è una nostra proiezione. Forse ogni vero amore passa per questa fase ossessiva. L’unica cura per questo è vivere giorno per giorno con la persona amata e vedere che non è Dio, ma solamente suo figlio o sua figlia. L’amore comincia quando siamo guariti da questa illusione e ci troviamo faccia a faccia con la persona reale e non con la proiezione dei nostri desideri.
Benedetta intimità! Cosa cerchiamo in tutto questo? Posso parlare solo per me. Direi che quello che c’è sempre stato dietro le mie turbolenze emozionali è stato il desiderio di intimità. È l’anelito ad essere totalmente uno, di dissolvere i limiti fra se stessi e l’altra persona per perdersi nell’altro, per cercare la comunione pura e totale. Più che la passione sessuale, credo che sia l’intimità che la maggioranza degli esseri umani cerca. Se viviamo attraversando crisi di affettività, credo che allora dobbiamo accettare il nostro bisogno di intimità.
La nostra società è costruita intorno al mito dell’unione sessuale come culmine dell’intimità. Questo momento di tenerezza e di unione fisica totale è quello che ci porta all’intimità totale e alla comunione assoluta. Molta gente non ha questa intimità perché non vive una situazione matrimoniale, o perché si tratta di coppie non felici, o perché sono religiosi o preti. E possiamo sentirci esclusi ingiustamente da quella che è la nostra necessità più profonda.
Ci sembra ingiusto! Come può Dio escluderci da questo desiderio profondo? Credo che ogni essere umano, sposato o single, religioso o laico, deve accettare le limitazioni all’intimità che può conoscere al momento.
Il sogno di comunione piena è un mito che porta alcuni religiosi a desiderare di essere sposati e molti sposati a desiderare di stare con una persona diversa. L’intimità vera e felice è possibile solo se ne accettiamo i limiti. Possiamo proiettare nelle coppie di sposati un’intimità totale e meravigliosa, che è impossibile, che è la proiezione di nostri sogni. Il poeta Rilke capì che non si può avere vera intimità all’interno di una coppia fino a quando non ci si rende conto che in qualche modo si rimane soli. Ogni essere umano conserva solitudine, uno spazio intorno che non può essere eliminato: “Un buon matrimonio è quello in cui ognuno dei due nomina l’altro guardiano della propria solitudine, e gli mostra fiducia, la più grande possibile. Una volta che si accetta che anche fra gli esseri umani più vicini continua ad esistere una distanza infinita, può crescere una forma meravigliosa di vivere uno a fianco all’altro se si riesce ad amare quella distanza che permette ad ognuno di vedere nella totalità il profilo dell’altro stagliato contro un ampio cielo”.
Certamente nessuna persona può offrirci quella pienezza di realizzazione che desideriamo. Ci si trova solamente in Dio.
Per gli sposati è possibile una meravigliosa intimità se, come dice Rilke, si accetta che siamo guardiani della solitudine dell’altra persona. E quelli di noi che sono single o celibi, possono anche scoprire un’intimità con gli altri profondamente bella. Intimità viene dal latino intimare, che significa stare in contatto con la parte più interna di un’altra persona.
In quanto religioso, il mio voto di castità mi rende possibile essere incredibilmente intimo con altre persone. Il fatto di non avere intenzioni recondite, e il mio amore non dovrebbe essere divoratore o possessivo, fa sì che io possa avvicinarmi moltissimo al fondo della vita della gente.
La trappola opposta all’incapricciamento non è fare dell’altra persona Dio, ma renderla un semplice oggetto, qualcosa con cui soddisfare le necessità sessuali. La lussuria ci chiude gli occhi alla persona dell’altro, alla sua fragilità e alla sua bontà. Una volta di più la castità è vivere nel mondo reale. La castità ci apre gli occhi per vedere che quello che abbiamo davanti è sì un bel corpo, ma quel corpo è qualcuno. Quel corpo non è un oggetto ma un soggetto.
La lussuria ha a che fare con il potere, più che col sesso. Si può avere l’impressione che la lussuria sia passione sessuale fuori controllo, desiderio sessuale selvaggio. Sant’Agostino, che comprese il sesso molto bene, credeva che la lussuria avesse a che vedere con il desiderio di dominare altre persone piuttosto che con il piacere sessuale. La lussuria è parte della libido dominandi, l’impulso di aumentare il nostro potere di controllo e convertirci in Dio. La lussuria ha più a che vedere con il potere che con il sesso. Come ha scritto Sebastian Moore: “Il compito che abbiamo davanti non è quello di sottomettere la passione sessuale alla volontà, ma di restituirla al desiderio, la cui origine e fine è Dio, la cui liberazione è la grazia di Dio che si manifesta nella vita, nell’insegnamento, la crocifissione e la resurrezione di Gesù Cristo”.
Il primo passo per superare la lussuria non è sopprimere il desiderio, ma restaurarlo, liberarlo, scoprire che il desiderio è per una persona e non per un oggetto. Nell’Ultima Cena Gesù prende il pane e lo dà ai discepoli dicendo: «questo è il mio corpo offerto per voi». Egli consegna se stesso. Invece di prendere il controllo su di loro, si consegna ai discepoli perché facciano di lui quello che vogliono. E noi sappiamo quello che ne faranno. È l’immensa vulnerabilità dell’amore vero. La lussuria e il capriccio passeggero possono sembrare due cose molto differenti e tuttavia sono l’una il riflesso dell’altra. Nel capriccio uno converte l’altra persona in Dio, e nella lussuria uno in persona si fa Dio.
Così la castità è vivere nel mondo reale, guardando all’altro come lui, o lei, e a me come io sono. Non siamo né esseri divini né semplici pezzi di carne. Siamo figli di Dio. Abbiamo la nostra storia. Abbiamo fatto voti e promesse. È così come ci troviamo, impegnati e legati ad altri impegni, che possiamo imparare ad amare con il cuore e gli occhi aperti. Questo è duro perché viviamo nel mondo di internet della World Wide Web.
È il mondo della realtà virtuale, dove possiamo vivere in mondi di fantasia come se fossero reali, in cui risulta difficile distinguere tra fantasia e realtà. Per questo la castità è difficile. È il dolore di scoprire la realtà. Come possiamo rimettere i piedi per terra?
Tre passi per amare. Suggerirei tre passi. Dobbiamo imparare ad aprire gli occhi e a vedere i volti di quelli che ci stanno davanti. Con quale frequenza apriamo realmente gli occhi per guardare il volto delle persone e vederle per come sono? È reale solo il momento presente. Sono vivo in questo momento, ed è in questo momento che posso incontrarmi con Dio. Devo imparare la serenità di smetterla di essere inquieto per il passato e per il futuro. Nell’Ultima Cena Gesù afferrò il momento presente. Invece di inquietarsi per quello che aveva fatto Giuda, o perché i soldati si stavano avvicinando, egli visse il momento presente, prese il pane e lo spezzò e lo offrì ai discepoli dicendo, «questo è il mio corpo, offerto per voi». Ogni eucaristia ci immerge in questo presente eterno. È in questo momento che possiamo farci presenti all’altra persona, silenziosi e quieti in sua presenza. Ora è il momento in cui posso aprire gli occhi e guardarla. È perché sono tanto occupato correndo da tutte le parti, pensando a quello che succederà dopo, che può capitare che non veda il volto che ho di fronte, la sua bellezza e le sue ferite, le sue gioie e le sue pene. La castità, insomma, implica aprire gli occhi! In secondo luogo, posso apprendere l’arte di star solo. Se la solitudine mi fa paura vedrò la gente semplicemente come un modo per riempire il mio vuoto, la mia spaventosa solitudine. Pertanto non sarò capace di rallegrarmi con loro per il loro stesso bene. E’ quando uno sta con un’altra persona che è veramente presente; è quando sta solo che impara ad amare la solitudine. Se non è così, quando uno sta con un’altra persona, si attaccherà a lei e la soffocherà! Infine, ogni società vive delle sue storie. La nostra società ha le sue storie tipiche. Spesso sono storie romantiche. Il ragazzo conosce la ragazza (o a volte il ragazzo conosce il ragazzo), si innamorano e vivono felici per sempre. È una bella storia che capita di frequente. Se pensiamo che è l’unica storia possibile, vivremo con possibilità molto ridotte. La nostra immaginazione ha bisogno di essere alimentata con altre storie che ci parlino di modi di vivere e amare. Abbiamo bisogno di aprire ai giovani l’enorme diversità di forme nelle quali possiamo trovare significato e amore. Mi sono commosso molto per la biografia di Nelson Mandela, The long road to freedom. È un uomo che ha dato tutta la sua vita per la causa della giustizia e dell’abbattimento dell’apartheid, e questo ha significato che non ha avuto la parte di vita matrimoniale che anelava, visto che ha passato anni in carcere.
Così il primo passo della castità è scendere dalle nuvole. Molto rapidamente menzionerò altri due passi. Il secondo passo, in breve, è aprirci all’amore, perché non restino piccoli mondi su cui ripiegarsi. L’amore di Gesù si mostra a noi quando prende il pane e lo spezza perché possa essere condiviso. Quando scopriamo l’amore non dobbiamo conservarlo in un piccolo armadio privato per il nostro diletto personale, come una segreta bottiglia di whisky, salvaguardata dagli sconosciuti per nostro uso esclusivo. Dobbiamo condividere i nostri amori con i nostri amici e con coloro che amiamo. In questo modo l’amore particolare si espande e va incontro all’universalità. Soprattutto è possibile allargare Io spazio perché Dio abiti in ogni amore. In ogni storia d’amore concreta può vivere il mistero totale dell’amore, che è Dio. Quando amiamo profondamente qualcuno, Dio sta già li. Più che vedere i nostri amori in competizione con Dio, questi ci offrono luoghi in cui possiamo montare la sua tenda. Se ti allontani dall’amore non conoscerai mai quanto amorevole è Dio. Se non lasci entrare Dio in quell’amore, e lì lo onori, non vedrai mai il mistero di quell’amore. Se separiamo il nostro amore verso Dio dal nostro amore per le persone concrete, entrambi diventeranno aspri e malaticci. Questo è quello che significa avere una doppia vita.
Il terzo passo, forse il più difficile, è che il nostro amore deve liberare le persone. Ogni amore, che sia tra persone sposate o singole, deve essere liberante. L’amore tra marito e moglie deve aprire grandi spazi di libertà. E questo è tanto più vero per noi che siamo preti o religiosi. Dobbiamo amare perché gli altri siano liberi di amare gli altri più di noi stessi. Come disse C. S Lewis, “È un privilegio divino essere sempre non tanto l’amato quanto l’amante”. Dio è sempre quello che ama di più di quanto è amato. Può darsi che sia proprio questa la nostra vocazione.
Questo implica rifiutarsi di lasciare che le persone diventino troppo dipendenti da qualcuno e non occupare il posto centrale delle loro vite. Uno deve sempre cercare altre forme di sostegno alla gente, altri pilastri, affinché noi possiamo smettere di essere tanto importanti. Così la domanda che uno deve sempre farsi è: il mio amore sta rendendo questa persona più forte, più indipendente, o la sta rendendo più debole e dipendente da me?
Bene, un’ultima riflessione. Imparare ad amare è un compito difficile. Non sappiamo dove ci porterà. La nostra vita ne sarà stravolta. Capiterà che ci faremo male. Sarebbe più facile avere cuori di pietra che cuori di carne, però allora saremmo morti! Se siamo morti non possiamo parlare del Dio della vita.
Però come trovare il coraggio di vivere passando per questa morte e resurrezione? In ogni eucaristia ricordiamo che Gesù ha sparso il suo sangue per il perdono dei peccati. Questo non significa che doveva placare un Dio furioso. Né significa solamente che se sbagliamo possiamo andare a confessare i nostri peccati ed essere perdonati. Significa molto di più. Significa che, in ogni nostra battaglia per essere persone che amano e sono vive, Dio è con noi. La grazia di Dio è con noi nei momenti di caduta e di confusione, per metterci di nuovo in piedi. Nello stesso modo in cui con la domenica di Pasqua Dio ha convertito il venerdì santo in un giorno di benedizione, possiamo stare sicuri che tutti i nostri tentativi di amare daranno frutto. E perciò non abbiamo nulla da temere!
Possiamo addentrarci in questa avventura, con fiducia e coraggio
Timothy Radcliffe, OP teologo domenicano
“Matrimonio” – in ascolto delle relazioni d’amore –dicembre 2016
Vedi news Ucipem n. 632, 15 gennaio 2017, pag. 28
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201702/170204radcliffe.pdf
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CONIUGE IN STATO DI BISOGNO
Fondo per il coniuge in stato di bisogno: dal 13 febbraio le domande
Come funziona, a chi spetta e come richiedere la misura prevista dalla L. 208/2015 e attuata dal D.M. del 15 dicembre 2016. Dopo un anno di ritardo e di attese, il travagliato iter del “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno” sembra finalmente approdato al capitolo finale (per approfondimenti: Mantenimento: al via l’aiuto di Stato per l’assegno all’ex).
Il decreto attuativo del 15 dicembre 2016, destinato a sbloccare lo stanziamento dei fondi ai beneficiari, è giunto in Gazzetta Ufficiale lo scorso 14 gennaio 2017 rendendo di fatto operativa la misura istituita con la penultima legge di stabilità (L. n. 208/2015).
Questa ha istituito, per gli anni 2016 e 2017, un “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”, presso il ministero della Giustizia allo scopo di fornire un sostegno economico al coniuge in caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento. Per il 2016 la dotazione stanziata è pari a 250mila euro, mentre per il 2017 sono previsti 500mila euro. Si tratta, come precisato dalla stessa legge, di una misura dal carattere sperimentale, la quale verrà applicata solo in alcuni Tribunali in cui si potranno presentare le relative istanze.
Chi può accedere al fondo? Dalla lettura congiunta della legge e del D.M. del 15 dicembre 2016, richiedente potrà essere il coniuge separato in stato di bisogno con il quale convivono figli minori o figli maggiorenni portatori di handicap grave, che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e della prole, qualora non abbia ricevuto l’assegno periodico a titolo di mantenimento, determinato ai sensi dell’articolo 156 del Codice civile, per inadempienza del coniuge che vi era tenuto.
In primis, deve trattarsi di genitore convivente (intesa come collocazione prevalente) con i figli comuni dei coniugi, come risulta dai dati anagrafici che andranno presentati. L’impasse quanto all’unito civilmente, stante l’equiparazione ai coniugi stabilita dalla legge n. 76/2016, va così superata: il richiedente, infatti, deve essere “separato” e non deve aver ricevuto l’assegno di separazione che non è previsto né per gli uniti civili, né per il coniuge divorziato, per i quali, in luogo dell’assegno di mantenimento, spetta un assegno c.d. divorzile che a questo non è assimilabile. Ancora, non è equiparabile al beneficiario così individuato il convivente di fatto titolare di assegno alimentare ex articolo 1, comma 65, legge n. 76 del 2016.
Presumibilmente, trattandosi di una misura sperimentale e dai fondi limitati, il legislatore ha preferito tutelare maggiormente la famiglia, fondata sul matrimonio, il cui vincolo non è ancora del tutto disgregato, pertanto non è stato accordato l’accesso al Fondo né all’ex coniuge né all’ex unito divorziato.
Criticità interpretative dovute alla fase “sperimentale”, si riscontrano anche nel fatto che la legge non ha preso in considerazione né i figli maggiorenni non indipendenti economicamente, né i genitori di figli nati fuori dal matrimonio, nonostante l’uguaglianza dei figli innanzi alla legge.
Quanto all’assegno ex art. 156 del codice civile contenuto, si tratta di quello previsto in una separazione consensuale ritualmente omologata oppure in una sentenza di separazione esecutiva sul punto, o ancora stabilito dai coniugi a seguito di accordo di separazione assistita (autorizzato dal P.M. stante la presenza di figli minori o maggiorenni portatori di handicap). Poiché gli accordi conclusi innanzi all’Ufficiale di Stato civile non possono essere stipulati in presenza di figli minori o maggiorenni incapaci o portatori di grave handicap, deve ritenersi inutilizzabile questo titolo ai fini dell’accesso al fondo.
Come accedere al Fondo. Per accedere al Fondo è necessario utilizzare l’apposito modulo (Form), a pena di intrasmissibilità della domanda, predisposto dal Ministero e che sarà disponibile a partire dal 13 febbraio 2017 sul sito del Ministero (www.giustizia.it), in un’apposita area denominata “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”. L’istanza dovrà contenere, a pena di inammissibilità e con dichiarazione resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000: le generalità e i dati anagrafici del richiedente; il codice fiscale; l’indicazione degli estremi del proprio conto corrente bancario o postale; l’indicazione della misura dell’inadempimento del coniuge tenuto a versare l’assegno di mantenimento, con la specificazione che lo stesso è maturato in epoca successiva all’entrata in vigore della legge.
Infatti, il decreto attuativo precisa che l’accesso al Fondo è consentito solo se l’inadempimento del coniuge onerato sia maturato successivamente all’entrata in vigore della legge n. 208/2015, quindi successivo al 1° gennaio 2016. Siccome il richiedente deve “specificare la misura dell’inadempimento”, ne consegue che anche l’inadempimento parziale o inesatto possono giustificare l’accesso al fondo, circostanza per la quale a seguito della legge n. 208 si erano sollevati dubbi.
Ancora, il richiedente dovrà indicare se il coniuge inadempiente percepisca redditi da lavoro dipendente e, nel caso affermativo, indicare che il datore di lavoro si è reso inadempiente all’obbligo di versamento diretto a favore del richiedente a norma dell’art. 156, sesto comma, del codice civile.
Inoltre, sono necessarie: l’indicazione che il valore dell’indicatore ISEE o dell’ISEE corrente in corso di validità è inferiore o uguale a euro 3.000; l’indirizzo di posta elettronica ordinaria o certificata a cui l’interessato intende ricevere ogni comunicazione relativa all’istanza; la dichiarazione di versare in una condizione di occupazione, ovvero di disoccupazione ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 150/2015, senza la necessità della dichiarazione al portale nazionale delle politiche del lavoro di cui all’art. 13 del medesimo decreto; in caso di disoccupazione, la dichiarazione di non aver rifiutato offerte di lavoro negli ultimi due anni.
Gli adempimenti non finiscono qui, poiché all’istanza dovranno essere allegati, a pena di inammissibilità:
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Copia del documento di identità del richiedente e copia autentica del verbale di pignoramento mobiliare negativo, ovvero copia della dichiarazione negativa del terzo pignorato relativamente alle procedure esecutive promosse nei confronti del coniuge inadempiente;
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La visura rilasciata dalla conservatoria dei registri immobiliari delle province di nascita e residenza del coniuge inadempiente da cui risulti l’impossidenza di beni immobili; l’originale del titolo che fonda il diritto all’assegno di mantenimento, ovvero di copia del titolo munita di formula esecutiva rilasciata a norma dell’art. 476, primo comma, del codice di procedura civile.
Tribunali legittimati. L’istanza di accesso al Fondo, redatta in conformità al “form”, andrà poi depositata presso la cancelleria del Tribunale competente, del luogo ove ha residenza, per l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo. Il procedimento, come specifica la legge, non è assoggettato al pagamento del contributo unificato. Il decreto ministeriale precisa quali sono i Tribunali legittimati a ricevere l’istanza. Si tratta di quelli che hanno sede nel capoluogo dei distretti sede delle Corti di Appello indicati nella tabella A annessa al regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12.
In sostanza questi saranno i distretti di: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L’Aquila, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Sassari, Taranto, Torino, Trento, Trieste, Venezia.
Dubbi residuano quanto alla sezione distaccata della Corte di Appello di Cagliari, con sede in Sassari, ma stante la lettera dell’art.2 del decreto attuativo, nonché la finalità della disposizione, deve ritenersi incluso anche il tribunale di Sassari.
Il sistema così predisposto registra una tangibile sproporzione quanto alla selezione operata a campione: in Sicilia, ad esempio, i richiedenti aventi diritto potranno presentare istanza in ben quattro sedi (Caltanissetta, Catania, Messina e Palermo) che coprono circa cinque milioni di residenti; in Lombardia, invece, sono solo due le sedi d’accesso, Brescia e Milano, a fronte di una popolazione residente di circa 10 milioni di persone. Un’asimmetria che non tiene conto, dunque, dei dati numerici attuali ed effettivi riguardanti la popolazione e che può solo momentaneamente giustificarsi stante la temporaneità della fase di sperimentazione.
Il procedimento. I seguito alla presentazione dell’istanza, il Presidente del Tribunale, o un giudice da lui delegato, nei trenta giorni successivi al deposito ne valuta l’ammissibilità. Quando ritiene l’istanza ammissibile la trasmette al Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia presso cui è istituito il Fondo ai fini della corresponsione della somma richiesta nei limiti indicati dalla legge (somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo). Se il giudice non ritiene sussistenti i presupposti per la trasmissione dell’istanza al Ministero della giustizia, provvede al rigetto della stessa con decreto non impugnabile. Tale decreto non è suscettibile di passare in giudicato, quindi l’istanza è riproponibile. Se, invece, pur sussistendone i presupposti, ritiene inammissibile l’istanza, la trasmette al Fondo indicandone le ragioni.
Il Fondo, sulla base del provvedimento adottato dal giudice, accoglie o rigetta l’istanza e provvede alla liquidazione delle istanze accolte nei limiti delle risorse finanziarie in dotazione al Fondo, pari ad euro 250.000 per l’anno 2016 ed euro 500.000 per l’anno 2017.
Liquidazione somme e revoca della misura. Il Fondo, alla scadenza di ciascun trimestre, distribuisce agli aventi diritto, le cui istanze sono trasmesse al Fondo nel corso del medesimo trimestre e secondo criteri di proporzionalità, le risorse imputate al medesimo trimestre.
Le somme non utilizzate nel corso di un trimestre incrementano le disponibilità del trimestre successivo nell’ambito dello stesso esercizio finanziario. In ogni caso, all’avente diritto non può essere corrisposta, in relazione a ciascun rateo mensile dell’assegno di mantenimento, una somma eccedente la misura massima mensile dell’assegno sociale.
Il provvedimento con cui il Ministero della giustizia accoglie l’istanza del richiedente è revocato nel caso venga accertata l’insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’ottenimento delle somme, ovvero nel caso la documentazione presentata contenga elementi non veritieri o sia incompleta rispetto a quella richiesta.
Sono fatte salve le eventuali conseguenze di legge civile, penale e amministrativa e, in ogni caso, si provvede al recupero delle somme indebitamente erogate.
Lucia Izzo News. Studio Cataldi.it 02 febbraio 2017
www.studiocataldi.it/articoli/24933-fondo-per-il-coniuge-in-stato-di-bisogno-dal-13-febbraio-le-domande.asp
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CONSULENZA
40 anni dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari
Il primo pensiero di gratitudine va a quello sparuto gruppo di Consulenti che nel 1977, con coraggio ed entusiasmo, si radunò intorno all’idea di Sergio Cammelli di fondare un’associazione di persone che facessero il nostro lavoro: l’AICCeF prima ed unica associazione che in Italia raduna da allora i Consulenti coniugali e familiari che condividono una metodologia univoca negli intenti e nell’etica.
Ma che significa AICCeF? Ognuna delle lettere esprime un preciso sentire degli ideatori:
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Associazione: perché era un gruppo di Consulenti che volevano camminare insieme;
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Italiana: perché non si confondesse con altre eventuali organizzazioni estere;
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Consulenti: la scelta di adoperare una parola italiana, derivante dal verbo latino consulo-ere, traducibile in “consolare”, “confortare”, “venire in aiuto”. Verbo che si compone della particella cum (con, insieme) e solere (”alzare”, “sollevare”), sia propriamente come atto che nell’accezione di “aiuto a sollevarsi”. Questo verbo è omologo a un altro verbo latino: consulto-are, iterativo di consultum, participio passato di consulo, col significato di “consigliarsi”, “deliberare”, “riflettere” E’ in questa etimologia che troviamo le nostre radici e la cornice entro la quale operiamo.
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Coniugali e Familiari: fin dall’origine è stata fatta una “scelta di campo” qualificando la tipologia di formazione e d’intervento: la consulenza alla coppia e alla famiglia. “Uno specifico intervento socio educativo rivolto a coppie di persone sposate e non, a singoli che vivono un legame o vogliono instaurarlo e a genitori. La consulenza alla coppia e alla famiglia ha come finalità prevalente quella di aiutare le persone che trovano difficoltà sia a stabilire, sia a vivere che a mantenere una relazione di coppia e/o familiare.” Come ha scritto Luciano Cupia.
L’AICCeF, in 40 anni, è diventata non solo importante ma anche rispettata proprio per la serietà professionale di ognuno dei Soci, che sono tanti e in continua crescita. Grazie al contributo delle cinque Scuole di formazione riconosciute l’Aiccef continua ad essere unico crogiuolo di formazione di nuovi Consulenti della coppia e della famiglia. La nostra Associazione è, inoltre, l’unica in Italia a garantire la qualità della nostra professione mediante il Sistema di Attestazione, introdotto dalla legge n 4 del 2013.
Oggi possiamo ben dire ai Soci fondatori di aver mantenuto fede ai loro sogni, di aver accolto e portato avanti con successo il testimone che ci hanno passato, mantenendo viva sia la “creatura” sia l’ideale che finora è restato “puro, immutato e coraggioso “come auspicava Giovanna Bartholini.
Come sapete non ci fermiamo e il cammino riprende con le prossime tappe formative: due Giornate di studio sulla Consulenza alla coppia.
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La prima il 9 aprile a Roma dove avremo il piacere di avere come relatori Barbara Lombardi e Raffaello Rossi che a “due voci” ci guideranno ad esplorare il tema: La coppia oggi: fatiche, bisogni e aspettative…una consulenza «su misura».
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Per la giornata di ottobre, prevista per il 22 ottobre a Milano, stiamo ancora lavorando, ma intanto vi anticipo che sarà dedicata alla coppia genitoriale e il programma sarà denso di sorprese per i festeggiamenti del quarantennale.
A gennaio sono entrate in vigore le nuove Linee guida per il tirocinio, elaborate dal gruppo di studio guidato da p. Alfredo Feretti. Il Consiglio ha delegato alla gestione dell’area tirocini Stefania Sinigaglia che coordinerà i Referenti regionali. Questi ultimi hanno il compito di aiutare i Soci aggregati della propria regione nell’iter di tirocinio e inoltre sono stati autorizzati dalla Presidente a firmare le Convenzioni con i Consultori e gli Enti che accolgono i tirocinanti previo parere della Sinigaglia.
Ad aprile partirà a Bologna presso il Camplus College Bononia, il terzo corso per l’abilitazione a Consulenti Supervisori. Dal 2011 abbiamo istituito questo livello di accreditamento e riteniamo questa figura determinante per la nostra professione, in quanto è quella che resta in contatto con i soci durante tutta la loro carriera professionale e ne garantisce metodologia ed aderenza al codice deontologico. Le Scuole di formazione formano e diplomano i Consulenti, l’Aiccef li abilita alla professione attraverso l’iter di tirocinio e l’esame a socio effettivo, ma è il Consulente Supervisore che li accompagna nel proseguo della professione.
Estratto dalla lettera di Rita Roberto, presidente AICCeF30 gennaio 2017
Nuovi incontri per migliorare la relazione di coppia
A febbraio inizierà a Milano una serie di incontri quindicinali per chi vuole migliorare la propria relazione, prevenire o superare la crisi di coppia. Può partecipare anche il singolo, quando il partner preferisce non aderire. I partecipanti non possono essere più di dieci, per permettere il pieno coinvolgimento di tutti. La zona più probabile è quella nei pressi di Villa S. Giovanni, vicina alla metro ed alla tangenziale con possibilità di parcheggio libero in zona. Il locale dovrebbe essere messo a nostra disposizione dal Comune. I benefici di questi percorsi per la coppia sono documentati sia dai partecipanti che da studi scientifici. Naturalmente, come ogni nostra attività, anche questa è completamente gratuita. Il giorno fissato è per ora il martedì. Come orario la fascia preserale immediatamente dopo il lavoro, immaginando sia preferibile per tutti non dover uscire di nuovo dopo essere rientrati a casa per cena.
Sono appena iniziati in tre zone di Genova nuovi incontri quindicinali per chi vuole migliorare la propria relazione, prevenire o superare la crisi di coppia. Può partecipare anche il singolo, quando il partner preferisce non aderire. Dato che non possono partecipare più di dieci persone per permettere il pieno coinvolgimento di tutti, è già al completo quello in via Assarotti, mentre abbiamo ancora disponibilità per quello del martedì alle 18.00 in via Piacenza ed in quello del giovedì alle 21.00 in via Nizza. Comunicaci al più presto se sei interessato a partecipare.
AAF -Associazione Aiuto Famiglia Onlus 30 gennaio 2017 www.aiutofamiglia.org
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CONSULTORI FAMILIARI
Rovigo Il consultorio familiare diocesano si presenta
www.youtube.com/watch?v=znOePCplUpw
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Alessandria. Il consultorio collabora per la festa degli innamorati.
Sabato 18 febbraio, festa degli innamorati:” Per tutte le stagioni dell’Amore”.
L’iniziativa si svolge sempre in collaborazione con l’Ufficio di Pastorale Giovanile, Azione Cattolica ed il Consultorio Ucipem della nostra Diocesi e interverrà come relatrice la Dott.ssa Laura Ferrari dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, Psicologa, Collaboratrice del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, Docente di Psicologia dei Gruppi e Psicologia Sociale e della Famiglia presso l’Università Cattolica di Milano e di Brescia, Docente del Corso di Alta Formazione “Conduttori di gruppi per coppie e genitori: i Percorsi di Enrichment Familiare e del corso “Educazione all’affettività e alla sessualità: Teen Star”.
La dr Laura Ferrari affronterà il tema della Coppia, della passione, dell’unione e dell’amore fecondo ispirandosi ad alcuni riferimenti Biblici.
http://diocesialessandria.it/NewsDetail.aspx?idNews=19171
Trieste. Percorsi 2017 di preparazione al matrimonio.
Il consultorio si fa promotore sul territorio di:
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Corsi di formazione
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Corsi di preparazione al matrimonio
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Corsi diretti a giovani coppie
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Corsi di aggiornamento per gli operatori del settore
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Gruppi di supervisione, formazione, aggiornamento e riqualificazione per gli operatori del settore
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Seminari
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Tavole rotonde
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Convegni
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Dibattiti
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Gruppi di supervisione, formazione, aggiornamento e riqualificazione per gli operatori del settore
www.consultonlus.it/?page_id=38
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CONVIVENZE
Convivenze di fatto 2017: nessuna eredità in caso di morte
Per le coppie di fatto non è prevista la successione ereditaria: necessario il testamento. Diversa la disciplina per le unioni civili. Le unioni civili e le convivenze di fatto sono state disciplinate lo scorso anno con la Legge Cirinnà (L. 76/2016) e quest’anno con tre decreti attuativi. Particolare attenzione merita il tema dell’eredità in caso di decesso di uno dei partner. In generale infatti, per i diritti di successione la Legge Cirinnà distingue le due fattispecie tra
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leLe unioni civili tra persone dello stesso sesso,
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conviventiConviventi di fatto omosessuali ed etero sessuali.
Le unioni civili sono vicine a un legale matrimoniale, pertanto il partner superstite ha diritto alla cd. lLegittima, al pari di una coppia civilmente sposata. In particolare l’eredità è divisa nel seguente modo: 50% al partner superstite, 50% ad eventuali figli
Per i conviventi di fatto invece non sono previsti particolari diritti di successione, e non è possibile ovviare al problema nemmeno inserendoli nel “contratto di convivenza” in quanto la Legge vieta i patti successori. L’unica soluzione in questa ipotesi è fare testamento, prestando attenzione a non superare la cd “legittima” dei familiari più stretti. Attenzione anche al peso fiscale dei trasferimenti immobiliari. Il convivente di fatto sul valore corrente dei beni che compongono l’eredità (per gli immobili si prende il valore catastale) deve versare l’imposta di successione all’8% senza alcuna franchigia.,.
Si ricorda che in ogni caso, il comma 43 dell’articolo 1 della Legge 76/2016 prevede che in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza “il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.”
Il successivo comma 43 prevede che il diritto di abitare nella casa del convivente superstite termina nel momento in cui
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ilIl convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza
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ciCi sia un matrimonio, un’unione civile o una nuova convivenza di fatto.
Fisco e tasse 31 gennaio 2017
Segui gratuitamente la pagina dedicata alle Unioni Civili e le convivenze di fattoPotrebbe interessarti la Dichiarazione di successione (eBook 2017): Cambiano le regole per la presentazione della dichiarazione di successione dopo il Provvedimento del 23 gennaio 2017https://www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/22857-convivenze-di-fatto-2017-nessuna-eredit-in-caso-di-morte.html
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DALLA NAVATA
V Domenica del Tempo ordinario – Anno A – 5 febbraio 2017
IsaiaSofonia 5802, 103. Se aprirai il cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.
Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore.Salmo 11246, 046. Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti: misericordioso, pietoso e giusto.
Il Signore rimane fedele per sempre.1 Corinzi ..021, 027 Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocefisso.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti.Matteo 05, 162. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.»
Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).
Sale della terra e luce del mondo
Ai destinatari delle beatitudini (cf. Mt 5,1-12), a quelli a cui è donato il regno dei cieli, Gesù indirizza altre parole, per rivelare la loro identità: sale della terra, luce del mondo, città collocata sopra un monte. Anche queste parole rivelano il motivo delle beatitudini: i discepoli autentici sono felicitati, colmi di beatitudine, perché sono anche portatori di cose buone e necessarie a tutti gli esseri umani. A loro è promessa una ricompensa grande nei cieli, ma già ora hanno una responsabilità, un significato, una missione nella storia umana.
Nella nostra vita ci sono cose essenziali, di cui si ha bisogno, e per gli antichi la luce e il sale erano considerati tali: senza la luce non era possibile la vita e senza il sale la vita sarebbe stata priva di gusto. Ecco allora la prima dichiarazione di Gesù: “Voi siete il sale della terra”. Innanzitutto va messo in risalto il “voi”, che nel vangelo secondo Matteo viene spesso usato da Gesù per indicare non singoli individui alla sua sequela, ma una comunità, un corpo. Si pensi solo all’affermazione: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). Ovvero, nella relazione con il mondo i cristiani devono essere sale e luce, ma nelle relazioni tra loro sono fratelli, ed è proprio questa fraternità vissuta nell’amore intelligente (cf. Mc 9,50) che, come luce, può diffondersi in mezzo a tutta l’umanità.
Ma perché i discepoli possono essere “sale della terra”? Perché nell’antichità, così come oggi, il sale aveva e ha soprattutto due funzioni: dare gusto al cibo e conservare gli alimenti, avendo la capacità di purificare e di impedire la decomposizione. L’immagine è ardita ma riesce a colpire chi ascolta: tutti cerchiamo di dare sapore alla vita, di lottare contro la decomposizione, e i cristiani in particolare sono chiamati ad adempiere questo compito specifico. Chi cucina, sa che mettere il sale nei cibi richiede discernimento e misura, ma è soprattutto consapevole di compiere questa azione per dare gusto. Ebbene, i cristiani devono esercitare tale discernimento e conoscere la “misura” della loro presenza tra gli uomini: solidarietà fino a “nascondersi” come il sale negli alimenti, e misura, discrezione, consapevolezza di essere solo apportatori di gusto. Nell’Antico Testamento è testimoniata anche “l’alleanza del sale” (Nm 18,19; 2Cr 13,5), cioè un patto stipulato spargendo sale, per esprimerne la perseveranza fedele. Insomma, come il sale, la comunità cristiana inocula diastasi nella società, invita a resistere alla decomposizione, al venir meno dell’umanizzazione. Ma Gesù avverte che, per svolgere nel mondo la funzione del sale, occorre essere autentici e non diventare insipidi. Se il sale non mantiene la sua qualità, allora non serve più, ma può essere solo buttato via; così anche la comunità cristiana, se diviene mondana, appiattendosi sul “così fan tutti”, se non è più capace di avere la sua specificità, la “differenza cristiana”, non ha più ragione di essere.
Segue la seconda immagine utilizzata da Gesù: “Voi siete la luce del mondo”. Nel quarto vangelo Gesù stesso dice di sé: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12), rivelazione che illumina questa parola del vangelo secondo Matteo. La comunità cristiana è associata al suo Signore e Maestro: non risplende di luce propria, ma la riceve e la riflette. La luce è essenziale per la vita sulla terra: senza il sole, la terra sarebbe un morto deserto. La luce è la vita, per questo Dio è celebrato nelle Scritture mediante questa metafora: egli è fonte della luce (cf. Sal 36,10), è “splendente di luce” (Sal 76,5), è “avvolto in un manto di luce” (Sal 104,2), e perciò il suo insegnamento, le sue parole sono luce. Come suo riverbero, anche i protagonisti di una missione voluta da lui sono luce: Gerusalemme come luogo da cui esce la parola del Signore (cf. Is 60,1-3), il Servo del Signore costituito “luce per le genti” (Is 42,6; 49,6). Per questo anche la comunità di Gesù è detta “luce del mondo”: non è il sole, ma è una realtà illuminata dal “sole di giustizia” (Ml 3,20), dal “sole che sorge dall’alto” (Lc 1,78). I cristiani sono dunque “figli della luce” (Lc 16,8; Gv 12,36; Ef 5,8; 1Ts 5,5) e devono brillare come stelle annunciando la parola di vita (cf. Fil 2,15-16).
La vocazione di Gerusalemme è dunque ora vocazione della comunità cristiana che, proprio in quanto realtà illuminata dal Signore, può attirare a sé gli sguardi e i cammini di tutta l’umanità (cf. Is 2,1-5; 60). L’immagine della città sul monte, percepibile di lontano quale punto di orientamento, illustra bene la missione della comunità cristiana: illuminare, orientare i cammini dell’umanità. Questa attrazione è un dovere, una responsabilità. Ma si faccia attenzione: non si tratta di assumere un’ostentazione trionfalistica o di risplendere a tal punto da accecare gli altri. Si tratta semplicemente di dimorare là dove Dio ci ha dato di stare, senza preoccuparci troppo: ovvero, di non impedire alla luce ricevuta dal Signore di rifrangersi e ricadere sugli altri. Nessuna ostentazione, come quella di certi ipocriti che Gesù rimprovera (cf. Mt 6,1-2.5.16), nessuna ansietà di convertire o di far vedere ciò di cui siamo capaci, ma la semplice e umile capacità di lasciare che la luce donataci dal Signore si diffonda. Conosciamo bene la tentazione che assale noi credenti: diciamo di voler “dare testimonianza” e così presentiamo agli altri la nostra vita, le nostre opere, le nostre storie, per ricevere consensi e applausi. Come non denunciare l’imperversare negli ultimi decenni della moda, diffusa in molte assemblee ecclesiali, del racconto di sé come testimonianza? No, il discepolo autentico si ignora, non festeggia se stesso o la realtà a cui appartiene, ma celebra il Signore e la sua grazia mai meritata.
Infine, Gesù parla per la prima volta del “Padre vostro che è nei cieli”. È lui che deve essere glorificato, a lui va riconosciuta l’origine di ogni buona azione: quelle azioni compiute dal discepolo di Cristo, quelle opere di misericordia e di giustizia richieste già dal profeta Isaia al popolo di Dio (cf. prima lettura), quando sono viste dagli altri possono causare in loro il riconoscimento dell’amore operante di Dio, che per tutti è il Padre che è nei cieli. Ecco dunque come la chiesa, nella feconda dialettica tra nascondimento e rivelazione, può stare nel mondo senza integralismi e senza essere militante, ma predisponendo tutto puntualmente affinché la parola del Signore operi in lei e tra gli uomini e le donne della terra.
Essere sale e luce non può mai essere per il cristiano e per la comunità cristiana nel suo insieme un dato acquisito una volta per tutte, una garanzia, ma è sempre un evento di grazia che avviene quando c’è obbedienza del credente e della comunità alla parola del Signore Gesù, quando si custodisce e si realizza la parola del Vangelo. Non si dimentichi che i cristiani sono dei “chiamati” (ékkletoi) dal Signore nella sua chiesa (ekklesía), ma questa vocazione può da loro essere mutata in de-vocazione: sì, possiamo ritornare indietro, perdere il sapore, opacizzare e affievolire la luce ricevuta dal Signore.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11194-sale-della-terra-e-luce-del-mondo
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11178-beati▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
DIRITTO CANONICO▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬DIVORZIO
Gli accordi preventivi in vista dell’eventuale divorzio sono nulli.
Corte di Cassazione, prima Ssezione . I Ccivile, sentenza n. 2224, 15 luglio 2016 – 30 gennaio 2017., n. 2224
Gli accordi preventivi tra i coniugi in vista del futuro ed eventuale divorzio sono nulli. Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale dell’assegno divorzile, previsto a tutela del coniuge più debole.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 luglio 2016 – 30 gennaio 2017, n. 2224
Avv. Sugamele 31 gennaio 2017www.divorzista.org/sentenza.php?id=13215
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EDUCAZIONE ALLA SESSUALITÀ
Guardate Belen: l’educazione sessuale non si fa parlando con i figliQual èQual è il ruolo dei genitori nell’educazione sessuale dei propri figli?
Ne parla il pedagogista Daniele Novara: «tra i genitori vanno forte due idee: che sia meglio che lo facciano in casa piuttosto che fuori e che finché me ne parla, non c’è problema. Invece il problema c’è».
«Ma lei ha letto nei giorni scorsi il “dibattitto” su Belen Rodrigez che baciava in bocca, con la lingua, il figlio di quattro anni?», così Daniele Novara – pedagogista e fondatore e direttore del CPP-Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti – risponde alla mia prima domanda di un’intervista sull’educazione sessuale dei figli. «È un reato, stop. Invece no, quella foto ha suscitato un dibattito, con genitori che dicevano “sì, fa bene, lo faccio anche io, che male c’è?”. Io francamente sono rimasto sbigottito dal fatto che ci sia stato dibattito. Oggi il primo problema è evitare di mettere i figli in situazioni di ambiguità, come genitori». Lunedì 6 febbraio a Milano, alle 20.45, presso l’Auditorium Don Bosco (info: scuola.genitori@cppp.it) si terrà il nuovo incontro della Scuola Genitori del CPP. A tema “Il ruolo dei genitori nell’educazione sessuale dei propri figli”, con Daniele Novara e Silvia Vegetti Finzi, psicologa clinica e scrittrice.
La sessualità esibita oggi ci circonda. Significa che è necessario anticipare il momento in cui parlare di questo argomento ai nostri figli? Quanto prima?
L’educazione sessuale non è un problema di parlare e di parole, questo è un grande equivoco dell’educazione sessuale: l’educazione sessuale non si fa parlando con i figli. Non è questione di parole ma di ciò che facciamo in famiglia, con i figli, ciò che legittimiamo, ciò che consentiamo. Ho seguito un bambino di 7/8 anni che si masturbava pubblicamente, anche in maniera compiaciuta e non trovavo nulla di strano… Poi viene fuori che in quella famiglia, con genitori di 35/40 anni, era normale stare in bagno insieme, stare tutti nudi nel lettone… quindi questo bambino si trovava in un contesto dove non c’è il tema del pudore. I genitori sulle prima erano sbalorditi: “ma come non dobbiamo più stare in bagno insieme?”. No, perché bisogna seguire le fasi psicoevolutive della sessualità del bambino: nei primi tre anni non esistono confini particolari, ma dal quarto anno di vita sì, occorre stabilire confini. Significa ad esempio che se a 3 anni il bambino si vuole fidanzare con la mamma, non va assecondato: creiamo le condizioni perché la mamma resti fidanzata con il papà, evitiamo di avere atteggiamenti di promiscuità ad esempio il bacio sulle labbra. E qui torniamo a Belen.
Però ci hanno sempre ripetuto l’importanza che i genitori sappiano dare informazioni giuste al momento giusto, abbiano le parole giuste. Qual è il momento giusto? Aspettare le loro domande o fare noi il primo passo?
Questo è un altro aspetto dell’educazione sessuale, è il momento della razionalizzazione. Il semino che va nelle tube e si trasforma in un bambino… capisce che ci vuole una bella dose di pensiero astratto, bisogno aspettare i 10-11 anni, non è che lo puoi fare a 6 anni.
Ci sono un sacco di libri sul tema per bambini molto più piccoli.…
Certo, sono segno della debacle educativa di questi anni. Le case editrici devono vendere libri e per vendere dicono che devi parlarne a tre anni e i genitori ci cascano pure. Se lei però mi chiede qual è il momento giusto, è quello di un pensiero che sia in grado di fare una elaborazione astratta. Con i bambini se vuoi dire devi usare metafore.
E con gli adolescenti, che consigli dare?
Le preadolescenti di 12-14 anni sono la fascia più a rischio. Su Facebook un terzo dei profili sono falsi, c’è il rischio concreto che vengano adescate da soggetti “poco simpatici”. Ma le ragazze di oggi sono più mature, è il mantra che si ripete, ma non è vero. A 13-14 anni si è molto piccoli per un rapporto sessuale. Quindi anche qui non è questione di parole, tu genitore devi evitare di mettere ragazzini in situazioni di rischio, evitare che si creino le condizioni perché accada qualcosa che è – non lo dico ovviamente per moralismo – un anticipare i tempi. Lo dico chiaramente, una figlia di 13 anni non può andare di notte in discoteca, così come non può avere in mano uno smartphone con accesso libero a internet. Oggi tra i genitori in materia di educazione sessuale e primo rapporto sessuale dei figli vanno forte due idee: che sia meglio che lo facciano in casa piuttosto che fuori e che finché me ne parla, non c’è problema. Io dico che il problema c’è anche se te ne parla e anche se lo fa in casa, perché i tempi evolutivi sono quelli che sono, la natura non fa salti, nemmeno se i nostri ragazzini hanno in mano lo smartphone. I genitori di oggi sono molto convinti che la cosa importante sia il dialogo con i figli, ma da pedagogista devo dirvi che la cosa importante sono i paletti. I genitori devono fare le mosse giuste, poi i figli parleranno o no, saranno introversi o estroversi, ma questo non cambia nulla rispetto all’educazione. L’autodeterminazione dei figli deve stare entro dei paletti, perché è questo che consente ai ragazzi di attivare le loro risorse, altrimenti non si creano le autonomie giuste. Qui invece abbiamo genitori iperpresenti o iperurlanti, tutti troppo emotivi, troppo addosso ai figli, che invece di mettere paletti tampinano i figli. Quando chiedo chi dà la paghetta ai figli, la risposta è che non la dà più quasi nessuno: sono tutti genitori-bancomat, a cui chiedere soldi sempre, continuamente.
Oggi la scuola sembra più attenta a tanti temi. Senza entrare nella polemica sul gender, qual è il ruolo specifico dei genitori?
Da tecnico io non la vedo questa maggiore attenzione della scuola. L’educazione sessuale è rarissima e quando si fa, è dalla terza media mentre bisognerebbe farla in prima media, in terza media sei già fuori tempo massimo. È vero che tanti genitori sono accanitissimi contro l’educazione sessuale a scuola, mentre è una forma di alfabetizzazione assolutamente necessaria.
Ieri lei ha scritto in un tweet che «la salute mentale dei leader eletti è il pericolo più grave per le democrazie: drammatico quello che sta succedendo negli Stati Uniti». Ce lo spiega?
Il mio è un discorso generale. Le democrazie occidentali hanno questo rischio, che siccome votano sempre meno persone può accadere che si creino bolle emotive a sfondo di rancore, che portano al potere le figure che hanno saputo sintonizzarsi con queste bolle. Il fatto è che il potere che hanno questi leader è enorme, con le loro decisioni possono interferire sul destino del mondo, penso ad esempio alle decisioni sul nucleare: le democrazie per proteggersi dovrebbero esigere che chi si candida presenti un certificato di salute psichiatrica, che dice che sono in gradi di esercitare il potere che avranno. Le situazioni di pericolo si stanno diffondendo
Sara De Carli vita.it 1 febbraio 2017
http://www.vita.it/it/article/2017/02/01/guardate-belen-leducazione-sessuale-non-si-fa-parlando-con-i-figli/142296/
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
La famiglia alla luce dell’Amoris lætitia Amoris Laetitia
9 gennaio 2017 Eventi4 Febbraio – 25 Marzo 2017 Bologna Istituto Veritatis Splendor, Bologna, sabato ore 10-12.
0La famiglia alla luce dell’Amoris LaetitiaORGANIZZARSI IN TEMPI BUI4 febbraio. Il messaggio dell’Amoris lætitia LaetitiaMons. Stefano Ottani
11 febbraio Il servizio del patronato per la famiglia e il lavoro Federica Volpi, Gianluca Guidi,
Sando Stanziani
18 febbraio Un Paese senza figli Alessandro Rosina
25 febbraio Che cosa fa di una famiglia, una famiglia? Pierpaolo Donati
04 marzo Il diritto di famiglia oggi Michele Sesta
11 marzo Il Forum delle famiglie: una nuova prospettiva Gianluigi De Palo
18 marzo La legge regionale n.14, Emilia Romagna e la famiglia
25 marzo Cosa stanno facendo i Comuni per la famiglia? Luca Rizzo, Maurizio Bernardi
Tutti gli incontri si svolgono il sabato dalle 10 alle 12http://www.forumfamiglie.org/2017/01/09/2447/
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Angelus del 5 febbraio 2017
Cari fratelli e sorelle, oggi, in Italia, si celebra la Giornata per la Vita, sul tema “Donne e uomini per la vita nel solco di Santa Teresa di Calcutta”. Mi unisco ai Vescovi italiani nell’auspicare una coraggiosa azione educativa in favore della vita umana. Ogni vita è sacra! Portiamo avanti la cultura della vita come risposta alla logica dello scarto e al calo demografico; stiamo vicini e insieme preghiamo per i bambini che sono in pericolo d’interruzione della gravidanza, come pure per le persone che stanno alla fine della vita – ogni vita è sacra! – perché nessuno sia lasciato solo e l’amore difenda il senso della vita.
Ricordiamo le parole di Madre Teresa: «La vita è bellezza, ammirala; la vita è vita, difendila!», sia col bambino che sta per nascere, sia con la persona che è vicina a morire: ogni vita è sacra! Saluto tutti quelli che lavorano per la vita, i docenti delle Università romane e quanti collaborano per la formazione delle nuove generazioni, affinché siano capaci di costruire una società accogliente e degna per ogni persona.
Ogni vita è sacra! Portiamo avanti la cultura della vita come risposta alla logica dello scarto e al calo demografico; stiamo vicini e insieme preghiamo per i bambini che sono in pericolo d’interruzione della gravidanza, come pure per le persone che stanno alla fine della vita – ogni vita è sacra! – perché nessuno sia lasciato solo e l’amore difenda il senso della vita. Ricordiamo le parole di Madre Teresa: «La vita è bellezza, ammirala; la vita è vita, difendila!», sia col bambino che sta per nascere, sia con la persona che è vicina a morire: ogni vita è sacra!
Saluto tutti quelli che lavorano per la vita, i docenti delle Università romane e quanti collaborano per la formazione delle nuove generazioni, affinché siano capaci di costruire una società accogliente e degna per ogni persona. (…)
A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2017/documents/papa-francesco_angelus_20170205.html
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GENITORE COLLOCATARIO
03 febbraio 2017Audizione minore Collocazione presso padreIn questo articolo: Affidamento: a Ascolto del minore necessario
Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 2770, 2 febbraio 2017
Il minore ben può essere collocato prevalentemente presso il padre, se nel corso dell’audizione ha espresso tale desiderio in quanto, a suo dire, ivi riceverebbe maggiori attenzioni. E’ quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, respingendo il ricorso di una madre avverso la pronuncia con cui, a seguito di separazione dal marito, il figlio era stato collocato prevalentemente presso il padre, ad essa residuando il versamento di un contributo mensile di mantenimento. Si doleva in particolare la ricorrente, del fatto che il giudice d’appello non avesse tenuto conto, nel disporre l’affidamento del minore, della maggiore idoneità della madre a prendersi cura del medesimo, anche in considerazione di una serie di elementi addotti in atti.
Pur tuttavia – chiarisce la Corte Suprema – nel caso de quo non appare censurabile la statuizione di merito, laddove, in punto di affidamento del bambino, abbia dato particolare rilevanza alle dichiarazioni di quest’ultimo, esprimenti il desiderio di “poter mantenere l’attuale collocamento presso l’abitazione paterna, in quanto vi riceverebbe attenzioni da una pluralità di figure vissute e descritte come affettive”.
Affidamento Ascolto del minore necessarioOrbene, secondo il medesimo Collegio, con sentenza n. 2770 del 2 febbraio 2017, non può mettersi in dubbio che l’audizione dei minori – direttamente dal giudice o da un esperto da esso delegato – già prevista dall’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, sia divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori.
Ne consegue che l’ascolto del minore di almeno 12 anni (anche di meno, se avente capacità di discernimento), costituisce una delle modalità, se non tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo vedono interessato, nonché elemento di primaria importanza per la valutazione del suo interesse.
Autore: Eleonora Mattioli Edotto 3 febbraio 2017
http://www.edotto.com/articolo/audizione-minore-collocazione-presso-padre?newsletter_id=5894650cfdb94d23f4e404c1&utm_campaign=PostDelPomeriggio-03%2f02%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=audizione-minore-collocazione-presso-padre&guid=66823b78-e23b-4321-82b9-e8167fd46f02
Figlio conteso: a sei anni deciderà lui con chi stare
L’innovativa decisione del tribunale per i minorenni di Trieste. bambino conteso dai genitori che lo tirano per le bracciadi Gabriella Lax – Un bimbo conteso deciderà lui se stare col papà o con la mamma. Così ha deciso il Tribunale dei minori di Trieste, nel corso di un procedimento che va avanti da diversi anni tra un padre triestino, che ha in affidamento il figlio di sei anni, e la madre, originaria del Sudamerica, che ha nelle mani la sentenza di un tribunale del suo Paese secondo il quale il bambino dovrebbe restare oltreoceano.
E’ una decisione innovativa, quella del Tribunale triestino, poiché la legislazione, di norma, prevede di sentire l’opinione del bambino dopo i 12 anni. (…)All’udienza davanti al collegio del Tribunale per i minorenni presieduto da Silvia Balbi (Elisabetta Moreschini a latere) il padre e la madre erano rappresentati, rispettivamente dagli avvocati William Crivellari e Paolo Gippone, e la madre con gli avvocati Michele Della Bella e Licia Amato. La vicenda
La storia ha inizio sei anni fa, quando il bambino aveva pochi mesi di vita, la madre lo aveva portato nel suo paese d’origine per quella che avrebbe dovuto essere solo una vacanza. Tuttavia, alla scadenza del termine pattuito la donna non aveva fatto ritorno in Italia, tenendo con sé il figlio. Il padre del bambino, recatosi in Sudamerica, aveva attivato la convenzione Aja per i minori, chiedendo il rientro del bambino in Italia, paese in cui era nato, in cui aveva vissuto i primi mesi di vita e di cui aveva la cittadinanza. Il tribunale straniero, in primo grado, aveva accolto la richiesta del padre disponendo il rientro del bambino in Italia. Lo stesso genitore aveva anche ottenuto dal Tribunale per i minorenni l’affidamento esclusivo del figlio, affinchéè il bimbo fosse immediatamente ricondotto nel nostro Paese. In Sudamerica, però, la decisione di primo grado non è esecutiva e il bambino è rimasto, quindi, all’estero finchéè un giudice di secondo grado ha riformato la prima sentenza rigettando la richiesta del padre. Solo nel 2013, il padre del bambino è riuscito, dopo una serie di viaggi oltreoceano, a riportarlo in Italia, raggiunto poco dopo dalla madre che si è attivata innanzi alle autorità italiane chiedendo a propria volta l’applicazione della convenzione al Tribunale per i minorenni di Trieste. Lo stesso Tribunale però nel giugno 2014 ha rigettato la domanda ritenendo che il bambino sarebbe stato esposto a pregiudizio psicofisico se fosse stato rimandato in Sudamerica. Nell’aprile del 2015, la Cassazione ha annullato la decisione di secondo grado.
La decisioneLa decisione del tribunale dei minori ha stabilito ora che sarà lo stesso figlio conteso a scegliere a sei anni dove e con chi vivere. Il 13 febbraio prossimo si terrà l’udienza per la nomina di uno psicologo infantile che dovrà valutare se il bambino, che vive da quasi quattro anni in Italia con il padre e ha cittadinanza italiana, è in grado di razionalizzare la sua scelta. In tal caso, sarà a lui, quindi, che i giudici si rivolgeranno per capire in che paese dovrà crescere.
Gabriella Lax News Studio Cataldi.it 02 fFebbraio 2017
http://www.studiocataldi.it/articoli/24932-figlio-conteso-a-sei-anni-decidera-lui-con-chi-stare.asp
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M GESTAZIONE PER ALTRI▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬MATERNITÀ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬OBIEZIONE DI COSCIENZAhttp://www.statoechiese.it/images/stories/2013.10/attollino.master_obiezione.doc.pdfPARLAMENTO
Senato2° Comm. GiustiziaAccesso del figlio alle informazioni sull’identità dei genitori
(1978) Modifiche all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita, approvato dalla Camera dei deputati 18 giugno 2015 (C 784)
(1765) Manconi. Norme in materia di adozione da parte dei singoli e revoca dell’anonimato materno
31 gennaio 2017.Prosegue l’esame congiunto sospeso nella seduta del 3 novembre 2016.
Il senatore Lumia (PD) sollecita la Presidenza ad accelerare l’esame dei disegni di legge in titolo che sono in corso di esame presso la Commissione ormai da molto tempo. Quindi, a nome del Partito democratico, chiede che sia chiusa la discussione generale e che sia subito fissato il termine per la presentazione degli emendamenti. Anche il senatore Cappelletti (M5S), a nome del Movimento 5 Stelle, conviene con la richiesta testé avanzata.
Il presidente D’Ascola dichiara chiusa la discussione generale e si riserva di fissare il termine per la presentazione degli emendamenti all’esito della riunione di un Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, che si riserva di convocare nella mattinata di giovedì prossimo.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=1004493
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PASTORALE
Vescovi tedeschi: quale pastorale matrimoniale da Amoris Lætitia?
“Quali conseguenze derivano ora dall’Amoris Lætitia per la pastorale matrimoniale e della famiglia in Germania?” è la domanda che i Vescovi tedeschi affrontano in un documento adottato dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale lo scorso 23 gennaio 2017 e reso noto ieri. Se molto di quanto indicato dal documento papale, “fonte ispiratrice per la vita della coppia e della famiglia”, dovrà essere “sviluppato nelle concrete situazioni pastorali”, i vescovi indicano per il cammino futuro della pastorale tedesca quattro temi che ritengono particolarmente importanti, seppure non esaustivi della “ricchezza di Amoris Lætitia“.
Il cammino della pastorale matrimoniale in 4 punti.
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Un primo punto – riporta l’agenzia Sir – riguarda la pastorale della preparazione al matrimonio, che dovrà essere “intensificata, dovrà avere un carattere più vincolante e al tempo stesso più convincente”. I vescovi indicano la strada di un “catecumenato del matrimonio” che accompagni il cammino al sacramento come “consapevole cammino di fede”, tenendo in considerazione le concrete situazioni di vita. In secondo luogo sarà necessario “rafforzare gli sforzi nell’accompagnamento della vita matrimoniale”: diverse le indicazioni offerte, tra cui l’invito a “sviluppare una spiritualità del matrimonio e della famiglia”. Accompagnamento dovrà però anche significare aiuto “nei problemi e nelle difficoltà” concrete della vita: “Solo in questo modo si potrà sperimentare nella quotidianità delle persone la disponibilità e l’umanità della Chiesa”.
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Famiglie sostenute come luoghi di fede. Una delle quattro indicazioni concrete offerte dai vescovi riguarda la dimensione della fede: “Le famiglie dovrebbero essere sostenute come luoghi di apprendimento della fede e rafforzati in questo compito spesso difficile”. Il documento sollecita alla disponibilità ad accompagnare pastoralmente le famiglie nella ricerca di “sempre nuove forme adatte” per far crescere i propri figli e camminare loro stessi nella fede e nell’esperienza religiosa nelle situazioni della vita quotidiana.
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La sfida delle famiglie interconfessionali. Tra i numerosi riferimenti “alla molteplicità delle situazioni in cui vivono oggi coppie e famiglie” è quello alle famiglie interconfessionali, “sfida e chance nel dialogo ecumenico”. “La non ancora possibile piena comunione nella Cena del Signore rende più evidente il dolore della divisione dei cristiani in queste coppie e famiglie”, scrivono i vescovi. “Siamo consapevoli che non è facile trasmettere la posizione cattolica nel nostro tempo e contemporaneamente affrontare questo problema nella responsabilità pastorale”.
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Indicazioni sulle “fragilità” del matrimonio secondo la linea di Amoris Lætitia. I vescovi tedeschi offrono anche indicazioni riguardo le “fragilità” del matrimonio secondo la linea di Amoris Lætitia: “accompagnare; differenziare; integrare”. Se “l’indissolubilità del matrimonio è parte essenziale della fede della Chiesa”, scrivono i vescovi tedeschi, “ Amoris Lætitia lascia pochi dubbi circa la necessità di sguardi differenziati sulle singole situazioni di vita delle persone”. Con i divorziati risposati “deve essere chiaro che essi appartengono alla Chiesa, che Dio non li priva del suo amore e che sono chiamati a vivere l’amore per Dio e per il prossimo per essere autentici testimoni di Gesù Cristo”.
Di fronte alle fragilità matrimoniali, né lassismo e né rigorismo. Citando in numerosi passi il documento papale, i vescovi indicano come l’Amoris Lætitia indichi per alcune situazioni la possibilità di “ricevere l’aiuto della Chiesa e in alcuni casi anche l’aiuto dei sacramenti” per continuare a camminare nella grazia e nell’amore di Dio. Quando il matrimonio non può essere annullato, sono “indispensabili soluzioni differenziate, che rispondano alle singole situazioni”. Per giungere a ciò, l’indicazione è quella di “processi decisionali accompagnati pastoralmente” che possono aprire alla “possibilità di ricevere i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia”. In questo ambito i vescovi mettono in guardia da “lassismo” e dal “rigorismo”: occorre invece lavorare per “consolidare la formazione di una coscienza credente”.
(R.P.) Notiziario Radio vaticana -2 febbraio 2017 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
“La gioia dell’amore che viene vissuta nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa”
Comunicato Stampa della Conferenza episcopale tedesca.
I vescovi pubblicano un documento relativo alla rinnovata pastorale matrimoniale e familiare alla luce di Amoris Lætitia. I vescovi tedeschi hanno pubblicato oggi (1° febbraio 2017) il documento “La gioia dell’amore che viene vissuta nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa” – invito ad una rinnovata pastorale matrimoniale e familiare alla luce di Amoris Lætitia.
Papa Francesco ha attuato negli anni 2014 e 2015 due sinodi dei vescovi su questioni relative a matrimonio e famiglia. Poi ha redatto l’esortazione apostolica Amoris Lætitia, che è uscita l’8 aprile 2016.
I vescovi tedeschi hanno discusso intensamente nei mesi scorsi sull’importanza e sulle linee guida di questo documento. Al centro c’era la questione sulle conclusioni da trarre per la pastorale Matrimoniale e familiare nella Chiesa in Germania. Il Consiglio permanente della Conferenza episcopale tedesca in una seduta del 23 gennaio 2017 ha discusso in maniera conclusiva i risultati e li ha sintetizzati in un documento. In esso i vescovi sottolineano l’aspetto positivo di Amoris Lætitia.
Prima di tutto esprimono il loro rispetto verso tutti coloro che nella vita quotidiana di matrimonio e famiglia danno un esempio positivo credibile. I vescovi indicano in particolare, come conseguenze tratte da Amoris Lætitia , i seguenti pilastri di una pastorale matrimoniale e familiare:
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La preparazione al matrimonio deve essere intensificata ed avere un carattere più vincolante e convincente.
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Gli sforzi di accompagnamento dei coniugi devono essere aumentati: i coniugi e le famiglie, in particolare nei matrimoni misti, devono trovare nella Chiesa delle risposte per le loro situazioni di vita.
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Le famiglie devono essere sostenute in quanto luoghi di trasmissione della fede ed essere supportate in questo compito spesso difficile.
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La fragilità di matrimonio e famiglia richiede un atteggiamento particolarmente sensibile. Papa Francesco ha proposto per questo la triade accompagnare, sostenere e integrare.
Una triade che deve caratterizzare la pastorale, e da cui scaturisce la necessità di perseguire più alti obiettivi.
A proposito dell’ultimo aspetto, i vescovi tedeschi osservano quanto segue: i cattolici che dopo un divorzio si sono risposati sono innanzitutto invitati a recarsi nella loro chiesa di base, a partecipare alla sua vita e a crescere come membri vivi della Chiesa. Per la questione dell’accostarsi ai sacramenti, i vescovi non vedono in Amoris Lætitia nessuna regola generale e nessun automatismo. A loro avviso si rendono necessarie piuttosto soluzioni differenziate che siano adatte alle specifiche situazioni. Con Amoris Lætitia i vescovi ritengono necessario partire da un processo decisionale che sia accompagnato da un padre spirituale.
Nel loro documento i vescovi raccomandano di vivere il cammino matrimoniale e familiare insieme
alla Chiesa e di meditare sulle parole realistiche e di guida di papa Francesco.
Comunicato stampa della Conferenza episcopale tedesca
“www.erzbistumberlin.de” del 1° febbraio 2017 (traduzione: www.finesettimana.org)
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201702/170201conferenzaepiscopaletedesca.pdf
Sulla medicina per i peccatori, le opposte ricette di Ratzinger e Bergoglio
Viste le istruzioni dei vescovi della regione di Buenos Aires – approvate per iscritto da papa Francesco –, dei vescovi di Malta, di altri vescovi ancora e da ultimo della conferenza episcopale della Germania, è ormai evidente che l’argomento principe sul quale i novatori fanno leva per giustificare la comunione ai divorziati risposati è quello adombrato in questa frase suggestiva di “Amoris Lætitia“, a sua volta ripresa da “Evangelii gaudium”, il documento programmatico dell’attuale pontificato: “L’Eucaristia non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.
È un’asserzione, questa, che è frequentemente associata – anche nella predicazione di Jorge Mario Bergoglio – ai pasti che Gesù consumava con i peccatori. Ma è anche un’asserzione che è stata messa a nudo e criticata a fondo da Benedetto XVI. Basta porre a confronto i testi dell’uno e dell’altro papa per verificare quanto siano tra loro in contrasto.
In papa Francesco l’associazione tra l’Eucaristia e i pasti di Gesù con i peccatori è postulata in forma allusiva e con lo studiato ausilio di note a piè di pagina: In “Amoris Lætitia” il passaggio chiave è nel paragrafo 305: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”.
Al quale è agganciata la nota 351: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, ‘ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore’ (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia ‘non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli’ (ibid., 47: 1039)”.
Se poi si risale a “Evangelii gaudium”, ecco che cosa si legge nel paragrafo 47: “Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. […] L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.
Anche qui con un rimando a una nota, la 51: “Cfr Sant’Ambrogio, De Sacramentis, IV, vi, 28: PL 16, 464: ‘Devo riceverlo sempre, perché sempre perdoni i miei peccati. Se pecco continuamente, devo avere sempre un rimedio’; ibid., IV, v, 24: PL 16, 463: ‘Colui che mangiò la manna, morì; colui che mangia di questo corpo, otterrà il perdono dei suoi peccati’; San Cirillo di Alessandria, In Joh. Evang. IV, 2: PG 73, 584-585: ‘Mi sono esaminato e mi sono riconosciuto indegno. A coloro che parlano così dico: e quando sarete degni? Quando vi presenterete allora davanti a Cristo? E se i vostri peccati vi impediscono di avvicinarvi e se non smettete mai di cadere – chi conosce i suoi delitti?, dice il salmo – voi rimarrete senza prender parte della santificazione che vivifica per l’eternità?'”.
In Joseph Ratzinger teologo e papa, invece, ci troviamo in presenza di un’argomentazione serrata, mirata a provare l’insostenibilità dell’associazione tra l’Eucaristia e i pasti di Gesù con i peccatori, con le conseguenze che ne derivano. Ecco come egli sviluppa tale argomentazione nelle pagine 422-424 del volume XI dei suoi Opera Omnia, “Teologia della Liturgia”, pubblicato nel 2008 a cura dell’attuale prefetto della congregazione per la dottrina della fede, cardinale Gerhard L. Müller: “La tesi secondo cui l’Eucaristia apostolica si ricollega alla quotidiana comunità conviviale di Gesù con i suoi discepoli […] viene in ampi circoli radicalizzata nel senso che […[ si fa derivare l’Eucaristia più o meno esclusivamente dai pasti che Gesù consumava con i peccatori. “In tali posizioni si fa coincidere l’Eucaristia secondo l’intenzione di Gesù con una dottrina della giustificazione rigidamente luterana, come dottrina della grazia concessa al peccatore. Se infine i pasti con i peccatori vengono ammessi come unico elemento sicuro della tradizione del Gesù storico, si ha per risultato una riduzione dell’intera cristologia e teologia su questo punto. “Ma da ciò segue poi un’idea dell’Eucaristia che non ha più nulla in comune con la tradizione della Chiesa primitiva. Mentre Paolo definisce l’accostarsi all’Eucaristia in stato di peccato come un mangiare e bere “la propria condanna” (cf. 1 Cor 11, 29) e protegge l’Eucaristia dall’abuso mediante l’anatema (cf. 1 Cor 16, 22), appare qui addirittura come essenza dell’Eucaristia che essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condizione preliminare. Essa viene interpretata come il segno della grazia incondizionata di Dio, che come tale viene offerta immediatamente anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti, una posizione che, comunque, ha ormai ben poco in comune anche con la concezione che Lutero aveva dell’Eucaristia.
“Il contrasto con l’intera tradizione eucaristica neotestamentaria in cui cade la tesi radicalizzata ne confuta il punto di partenza: l’Eucaristia cristiana non è stata compresa partendo dai pasti che Gesù ebbe con i peccatori. […] Un indizio contro la derivazione dell’Eucaristia dai pasti con i peccatori è il suo carattere chiuso, che in questo segue il rituale pasquale: come la cena pasquale viene celebrata nella comunità domestica rigorosamente circoscritta, così esistevano anche per l’Eucaristia fin dall’inizio condizioni d’accesso ben stabilite; essa veniva celebrata fin dall’inizio, per così dire, nella comunità domestica di Gesù Cristo, e in questo modo ha costruito la ‘Chiesa’”.
È evidente che da questa argomentazione di Ratzinger deriva il divieto della comunione ai divorziati risposati, e non solo ad essi: divieto che ha trovato chiara espressione nel suo magistero da papa, come già nel magistero dei suoi predecessori. Così come non sorprende che dalle asserzioni allusive di papa Francesco derivino interpretazioni favorevoli alla comunione ai divorziati risposati: interpretazioni da lui stesso non solo consentite, ma esplicitamente approvate. Il contrasto c’è. E a giudicare dagli argomenti di Ratzinger non è solo pratico, “pastorale”, ma tocca i pilastri della fede cristiana
Sandro Magister Settimo cielo 03 febbraio 2017
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it
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UNIONI CIVILI
Regolamentazione Unioni Civili
In G.U. n. 22 del 27 gennaio 2017, è pubblicato il Decreto Legislativo 19 gennaio 2017 n. 5: Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76.
Unioni Civili in materia penale. In G.U. n. 22 del 27 gennaio 2017, è pubblicato il Decreto Legislativo 19 gennaio 2017 n. 6: Modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettera c), della legge 20 maggio 2016, n. 76.
Unioni Civili nel diritto internazionale privato.
In G.U. n. 22 del 27 gennaio 2017, è pubblicato il Decreto Legislativo 19 gennaio 2017 n. 7: Modifiche e riordino delle norme di diritto internazionale privato per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettera b), della legge 20 maggio 2016, n. 76.
Il divorzio nelle unioni civili. Le coppie omosessuali possono sciogliere il loro legame scegliendo tra le tre strade previste anche per i matrimoni, ma senza passare per la separazione. Il riconoscimento del diritto degli omosessuali di formalizzare il loro rapporto mediante un’unione civile, avvenuto in Italia con l’emanazione della cd. legge Cirinnà, comporta l’ovvia possibilità di decretare la rottura del rapporto. Ognuno dei partner, in virtù di quanto previsto dalla legge numero 76/2016, è infatti libero di chiedere il divorzio in qualsiasi momento, anche se l’altro non è d’accordo.
È però necessario formalizzare lo scioglimento del legame.
Divorzio senza separazione. Rispetto a quanto avviene per il matrimonio, tuttavia, le unioni civili possono sciogliersi più celermente: non è infatti necessario passare per la formale separazione, ma è sufficiente che i partner comunichino all’ufficiale di stato civile, anche disgiuntamente, la loro intenzione di dividersi. Fatto questo passaggio e trascorsi tre mesi, diviene possibile proporre domanda di divorzio.
Le strade per divorziare. Le strade per divorziare, a questo punto, si uniformano a quelle previste dal nostro ordinamento per il matrimonio e sono tre: in Tribunale, davanti al Sindaco o ricorrendo alla negoziazione assistita da avvocati.
Al partner economicamente più debole può essere riconosciuto il diritto agli alimenti posti a carico dell’altro e l’assegnazione della casa.
Lo scioglimento automatico dell’unione civile. In alcuni casi, poi, l’unione civile si scioglie automaticamente. Si tratta, in particolare, non solo delle ipotesi in cui il partner muoia o sia dichiarata la sua morte presunta, ma anche dell’ipotesi di rettifica di sesso da parte di uno dei due compagni.
Mancata consumazione del rapporto. Al contrario di quanto avviene per il matrimonio, si segnala che per le coppie unite da un’unione civile non è possibile chiedere lo scioglimento della stessa in maniera semplificata rispetto all’iter normale in caso di mancata consumazione del rapporto.
Per approfondimenti vai alla guida completa sulle unioni civili
Avv. Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica studiocataldi.it 30 gennaio 2017
www.studiocataldi.it/articoli/24844-il-divorzio-nelle-unioni-civili.asp-▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
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