UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 628 – 18 dicembre 2016
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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ABORTI La relazione al Parlamento.
Non ci dati dei consultori di Enti privati.
Aborti -10%, EllaOne +400%, e l’obiezione non è un problema.
ADOZIONE INTERNAZIONALE Uscire dalla paralisi della Cai si può.
Bologna: TM, EA, associazioni familiari e istituzioni locali insieme.5
ADOZIONI INTERNAZIONALI Bimbi prigionieri di schede sanitarie.
AFFIDAMENTO Rinvio alla Corte d’Appello l’affido eterofamiliare.
Revisione condizioni. La competenza segue la residenza minori.
AMORE Ha 5 fasi, ma la maggior parte delle coppie si ferma alla terza.
ASSEGNO DIVORZILE Niente assegno divorzile se si instaura una nuova famiglia.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 27/2016, 14 dicembre 2016.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Padova. Il Consultorio sta organizzando alcune iniziative per il 2017.
CONTRACCEZIONE Il mito del pillolo: tutti i fallimenti degli anticoncezionali x uomini.
CORTE COSTITUZIONALE Illegittima l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio.
DALLA NAVATA 4° Domenica tempo dell’Avvento-anno A–18 dicembre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DIACONATO La “diaconissa” nella chiesa latina medievale.
DIVORZIO La pensione di reversibilità al coniuge divorziato.
FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARILe famiglie soffrono, il governo dia risposte.
Puglia. Ripartiamo da una seria prevenzione dell’aborto.
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA L’analisi. Il Papa, gli 80 anni e la paternità di un figlio.
GENDER La ricerca. Gender, la ricerca «buona».
MATRIMONIO Verso l’addio all’obbligo di fedeltà.
OMOADOZIONE Contro l’orientamento della Cassazione da Milano doppio «no».
ONLUS NON PROFIT Associazione Onlus deve a presentare dichiarazione dei redditi?
PATERNITÀ Congedo obbligatorio di paternità. Dal 2018, 4 giorni di congedo.
POLITICHE FAMILIARI Politiche familiari al centro dell’azione del nuovo governo.
SEPARAZIONE La pensione di reversibilità al coniuge separato.
A quale coniuge o ex convivente spetta l’animale domestico?
UCIPEMNel sito web sono pubblicate 8 relazioni del Congresso.
UNIONI CIVILI Celebrazione: no a discriminazioni rispetto ai matrimoni.
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ABORTI
La relazione al Parlamento.
E’ stata trasmessa al Parlamento il 7 dicembre 2016 la Relazione contenente i dati definitivi relativi agli anni 2014 e 2015 sull’attuazione della L.194/1978 che stabilisce norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza (IVG).
www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_845_allegato.pdf
I dati elaborati sono stati raccolti dal Sistema di Sorveglianza Epidemiologica delle IVG, che vede impegnati l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il Ministero della Salute e l’Istat da una parte, le Regioni e le Province autonome dall’altra. Il monitoraggio avviene a partire dai modelli D12 dell’Istat che devono essere compilati per ciascuna IVG nella struttura in cui è stato effettuato l’intervento.
Dai dati emerge che nel 2015 il numero di IVG è inferiore a 90.000, infatti sono state notificate dalle Regioni 87.639 IVG, una diminuzione del 9,3% rispetto al dato del 2014, pari a 96.578 (-6.0% rispetto al 2013, quando erano stati registrati 102.760 casi). Le IVG cioè si sono più che dimezzate rispetto alle 234.801 del 1983, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia.
Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (numero di IVG per 1000 donne tra 15 e 49 anni), che rappresenta l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza del ricorso all’IVG, è stato 6,6 per 1000 nel 2015 (-8.0% rispetto al 2014 e -61.2% rispetto al 1983), era 7,1 nel 2014.
Il rapporto di abortività (numero delle IVG per 1000 nati vivi) nel 2015 è risultato pari a 185,1 per 1000 con un decremento del 5,7% rispetto al 2014, anno in cui questo valore è stato pari a 196,2 (da considerare che in questi due anni i nati sono diminuiti di 18.666 unità), con un decremento del 51.5% rispetto al 1983 (quando era 381,7).
Rimane elevato il ricorso all’IVG da parte delle donne straniere, a carico delle quali si registra il 31% delle IVG sul totale del 2015, 33% nel 2014 (rispetto al 7% del 1995): un contributo che è andato inizialmente crescendo e che, dopo un periodo di stabilizzazione, sta diminuendo in percentuale, in numero assoluto e come tasso di abortività.
In generale sono in diminuzione i tempi di attesa, pur persistendo una non trascurabile variabilità fra le regioni; la mobilità fra le regioni e province è in linea con quella di altri servizi del Servizio Sanitario Nazionale: il 92,2% delle IVG nel 2015 viene effettuato nella regione di residenza, di cui l’87,9 nella provincia di residenza.
Riguardo l’esercizio dell’obiezione di coscienza e l’accesso ai servizi IVG, si conferma quanto osservato nelle precedenti relazioni al Parlamento: su base regionale e, per quanto riguarda i carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore, anche su base sub-regionale, non emergono criticità nei servizi di IVG. In particolare, emerge che le IVG vengono effettuate nel 59.6% delle strutture disponibili, con una copertura adeguata, tranne che in Campania, Molise e P.A. Bolzano.
Il numero dei punti IVG è pari al 74% rispetto al numero di punti nascita, mentre il numero di IVG è pari a circa il 20% del numero di nascite. Confrontando poi punti nascita e punti IVG non in valore assoluto, ma rispetto alla popolazione femminile in età fertile, a livello nazionale, ogni 5 strutture in cui si fa una IVG, ce ne sono 7 in cui si partorisce. Infine, valutando le IVG settimanali a carico di ciascun ginecologo non obiettore, considerando 44 settimane lavorative in un anno, a livello nazionale ogni non obiettore ne effettua 1.6 a settimana, un valore medio fra il minimo di 0,4 della Valle d’Aosta e il massimo di 4,7 del Molise.
Questo stesso parametro, calcolato a livello sub-regionale, mostra che anche nelle regioni in cui si rileva una variabilità maggiore, cioè in cui si rilevano ambiti locali con valori di carico di lavoro che si discostano molto dalla media regionale (3 Asl su 140), si tratta comunque di un carico di IVG per ciascun ginecologo non obiettore che non dovrebbe impegnare tutta la sua attività lavorativa. In undici regioni italiane una quota di ginecologi non obiettori, corrispondente all’11% a livello nazionale, non è assegnata ai servizi IVG dalle Regioni.
www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2773
Sommario passim estratto
Prosegue l’andamento in diminuzione del fenomeno. (…) Il maggior decremento osservato nel 2015, in particolare tra il secondo e terzo trimestre, potrebbe essere almeno in parte collegato alla determina AIFA del 21 aprile 2015 (G.U. n.105 dell’8 maggio 2015), che elimina, per le maggiorenni, l’obbligo di prescrizione medica dell’Ulipristal acetato (ellaOne), contraccettivo d’emergenza meglio noto come “pillola dei 5 giorni dopo”. I dati delle vendite dell’ellaOne) mostrano infatti un incremento significativo nel 2015 rispetto agli anni precedenti (7.796 confezioni nel 2012, 11.915 nel 2013, 16.796 nel 2014 e 83.346 nel 2015).
Download
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Tabelle IVG 2014
www.salute.gov .it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2552
Relazione al Parlamento IVG 2016 www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2552_allegatoEstratti
pag. 6 Consultori familiari. Grazie al grande lavoro delle Regioni, l’85% dei consultori (era il 79% nel 2013) ha fornito dati su alcune attività svolte per l’IVG, registrando una maggiore adesione rispetto allo scorso anno.
In generale il numero degli obiettori di coscienza nei consultori, pur nella non sempre soddisfacente copertura dei dati, è molto inferiore rispetto a quello registrato nelle strutture ospedaliere (15% rispetto al 70.7%).
Il fatto che il numero di colloqui IVG sia superiore al numero di certificati rilasciati, potrebbe indicare l’effettiva azione per aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza” (art. 5 Legge 194/78).
pag. 28 Tra le donne italiane che hanno effettuato un’IVG nel 2015 avevano uno o più nati vivi il 51.8% al Nord, il 47.4% al Centro, il 62.6% al Sud e il 63.4% nelle Isole, mostrando differenze per area geografica; le percentuali corrispondenti per le straniere sono: 72.4%, 68.6%, 79.2% e 77.0%. Quindi tra le donne straniere che interrompono la gravidanza è più alta la proporzione di quelle con figli, il che è anche determinato dalla maggiore fecondità osservata tra la popolazione generale delle donne straniere.
pag. 30 Interruzioni volontarie di gravidanza precedenti. I dati del 2015 (Tab. 15) confermano una sostanziale stabilità della percentuale di IVG effettuate da donne con storia di una o più IVG precedenti. Tale tendenza è in corso dal 1990. (Tabella 15)
L’evoluzione della percentuale di aborti ripetuti che si osserva in Italia è la più significativa dimostrazione del cambiamento nel tempo del rischio di gravidanze indesiderate e conseguente ricorso all’IVG: infatti, se tale rischio fosse rimasto costante avremmo avuto dopo 30 anni dalla legalizzazione una percentuale poco meno che doppia rispetto a quanto osservato, come si desume dall’applicazione di modelli matematici in grado di stimare l’andamento della percentuale di aborti ripetuti al variare del tempo dalla legalizzazione e in costanza del rischio di abortire. La tabella seguente mostra l’andamento osservato in confronto con quello atteso. (…)
C’è inoltre da tener presente che dagli anni ’90 è aumentata l’immigrazione nel nostro Paese e di conseguenza il contributo delle immigrate sul fenomeno dell’IVG, come già riportato nel capitolo sulla cittadinanza. Tali donne hanno un rischio di abortire, e quindi di riabortire, più elevato rispetto alle italiane. Quindi, se si considerassero solo le donne italiane, tale andamento di riduzione e di differenza con il dato atteso sarebbe ancora più marcato. Come risulta dalla tabella seguente, analizzando il dato per cittadinanza delle donne del 2015, si conferma che le cittadine straniere presentano valori percentuali di IVG precedenti nettamente superiori a quelli delle cittadine italiane (38.3% rispetto a 21.6%). (…)
Considerando l’anno 2015 si può notare che per le cittadine italiane la più alta frequenza delle ripetizioni si ha nelle regioni del Sud con i l 25.1%. Considerando tutte le donne (tabella 15), la percentuale maggiore di ripetizioni al Nord si ha in Emilia Romagna (32.3%); al Centro, in Toscana (30.5%); al Sud, in Puglia (36.0%). Le differenze regionali possono dipendere in parte dal numero di casi con questa variabile non riportata (che spesso sarebbe zero come valore). Ancora una volta si ricorda ai compilatori del modello D12/Istat di compilare tutti i campi, anche nel caso di risposta “0” o “nessuno”.
Un confronto con altri Paesi, riportato nella tabella seguente, mostra che il valore italiano rimane il più basso a livello internazionale. (…).
In conclusione, l’andamento degli aborti ripetuti rispetto all’atteso è una importate conferma che il rischio di gravidanze indesiderate e, quindi, la tendenza al ricorso all’aborto nel nostro Paese non è costante ma in diminuzione (specialmente se si esclude il contributo delle straniere) e la spiegazione più plausibile è il maggiore e più efficace ricorso a metodi per la procreazione consapevole, alternativi all’aborto, secondo gli auspici della legge.
pag. 32 Documentazione e certificazione Quando la donna si rivolge a una delle strutture previste per legge per l’iter pre-IVG, viene redatto dal medico un documento firmato anche dalla donna, a cui viene rilasciata una copia, in cui si attesta lo stato di gravidanza e la richiesta della donna di interrompere la gravidanza, oltre all’invito a soprassedere per sette giorni (Art.5 della Legge 194/1978). Trascorso tale periodo la donna può presentarsi presso le sedi autorizzate per ottenere l’interruzione di gravidanza, sulla base del documento rilasciato. Il rilascio del documento avviene dopo gli accertamenti e i colloqui previsti dall’Art. 5. Questo documento è spesso chiamato impropriamente certificato, dalla dizione presente nel modello D12/Istat.
www.istat.it/it/files/2011/01/Modello_D12_2016.pdf
In realtà il certificato viene rilasciato solo quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento {per lo più gravidanza extra uterina o minaccia d’aborto. Ndr} o in caso di IVG oltre i 90 giorni, secondo le modalità previste dalla legge (art. 5).
Anche per il 2014 e 2015 il consultorio familiare ha rilasciato più documenti e certificazioni (41.6%) degli altri servizi (Tab. 16): 41.9% nel 2014 e 42.3% nel 2015. Le regioni in cui si osservano valori di molto superiori alla media nazionale, indicatore di un ruolo più importante del consultorio, sono le stesse degli anni precedenti: Emilia Romagna con un 68,8% nel 2015, Piemonte (62,7%), Provincia Autonoma di Trento (59,0%) e Umbria (58,9%). In generale si osservano percentuali più basse nell’Italia meridionale ed insulare, probabilmente a causa della minor presenza dei servizi e del personale. Dalla tabella seguente si identificano notevoli differenze per area geografica e per cittadinanza. (…)
Da diversi anni si è osservata una tendenza all’aumento del ruolo dei consultori familiari, prevalentemente determinato dal contributo delle donne straniere, le quali, come rilevato dalla tabella precedente, ricorrono più frequentemente a tale servizio, in quanto a più bassa soglia di accesso e dove è spesso presente il mediatore culturale. È confortante che le straniere, che sono per quanto riguarda il ricorso alle metodiche per la procreazione responsabile spesso nella condizione delle italiane 30 anni fa, utilizzino i servizi sanitari, in particolare i consultori familiari, visto il ruolo positivo che tali servizi hanno avuto nella riduzione del rischio di aborto tra le italiane. Forse la riduzione del tasso di abortività tra le cittadine straniere osservato recentemente, come riportato nel capitolo sulla cittadinanza, può essere in parte imputabile al lavoro svolto da questi servizi. Si ha così una ulteriore ragione al potenziamento e riqualificazione dei consultori familiari secondo le indicazioni del POMI, con particolare riferimento alla mediazione culturale e a un modello dipartimentale dei servizi ospedalieri e di quelli territoriali. (…)
Nel 2015 il tasso di presenza dei consultori familiari pubblici è risultato pari a 0.6 per 20.000 abitanti (Tab. 17), valore leggermente più basso di quello del 2014 (0.7) e di quello degli anni precedenti, mentre la legge 34/1996 ne prevede 1 per lo stesso numero di 20.000 abitanti. Nel POMI sono riportati organico e orari di lavoro raccomandati ma purtroppo i 1970 consultori familiari pubblici censiti nel 2015 rispondono solo in parte a tali raccomandazioni e ben pochi sono organizzati nella rete integrata dipartimentale, secondo le indicazioni strategiche, sia organizzative che operative raccomandate dal POMI stesso. L’assenza della figura medica o la sua indisponibilità per il rilascio del documento e della certificazione, la non integrazione con le strutture in cui si effettua l’IVG, oltre alla non adeguata presenza del consultorio sul territorio, riducono il ruolo di questo fondamentale servizio. Viene così vanificata una preziosa risorsa per la maggiore disponibilità ed esperienza nel contesto socio-sanitario e, grazie alle competenze multidisciplinari, più in grado di identificare i determinanti più propriamente sociali, al fine di sostenere la donna e/o la coppia nella scelta consapevole, nella eventuale riconsiderazione delle motivazioni alla base della sua scelta, di aiutarla nel percorso IVG e ad evitare che l’evento si verifichi nuovamente. (Art. 5 della Legge 194\1978)
Urgenza. Nel 2015 il ricorso al 3° comma dell’art. 5 della Legge 194/78 è avvenuto nel 16.7% dei casi rispetto al 14.7% del 2014, al 13.4% del 2013 e all’11.6% del 2011 (Tab. 18). Questo aumento negli anni può essere un indicatore di problemi di liste di attesa, di servizi disponibili per l’effettuazione dell’IVG o di necessità di ricorso all’urgenza per poter svolgere l’intervento con il Mifepristone (RU-486) e prostaglandine entro i tempi previsti nel nostro Paese (49 giorni di gestazione). Percentuali più alte e superiori al valore nazionale si sono osservate, come negli anni passati, in Puglia (32.1%), in Piemonte (30.0%), nel Lazio (24.2%), in Toscana (23.1%), in Emilia Romagna (22.5%) e nelle Marche (17.4%).
La distribuzione per area geografica delle IVG con certificazione attestante l’urgenza è: 15.8% al Nord, 21.8% al Centro, 17.3% al Sud e 8.2% nelle Isole. {Non è indicata la causa, si teme che sia l’estrema prossimità al termine dei 90 gg. di gestazione. Ndr}.
pag. 34 Epoca gestazionale. (…) A differenza delle interruzioni di gravidanza entro i 90 giorni, quelle effettuate dopo tale termine (artt. 6 e 7 della Legge 194\1978) riguardano nella gran parte dei casi gravidanze interrotte in seguito a risultati sfavorevoli delle analisi prenatali, a cui le donne straniere hanno generalmente minore accesso per difficoltà di conoscenza e costi non trascurabili (rapporto Istisan 11/12). Non desta quindi meraviglia che tra le donne di cittadinanza estera che sono ricorse all’IVG nel 2013 si osservino percentuali più basse di interventi oltre le 12 settimane, per il motivo sopra citato e forse anche per la maggior presenza di donne giovani nella popolazione immigrata, quindi a minor rischio di malformazioni fetali. Si sottolinea anche la diversità per area geografica che potrebbe essere giustificata da una maggiore disponibilità di servizi che effettuano IVG oltre 90 giorni nel Nord e Centro Italia.
La percentuale degli aborti oltre la dodicesima settimana di gestazione per regione, nel 2015, è riportata nella tabella seguente: (…)
Si ricorda che in ogni caso si tratta di distribuzioni percentuali che descrivono situazioni opposte: prima delle 12 settimane si ha a che fare con gravidanze indesiderate che possono essere contrastate con la promozione della procreazione responsabile; dopo le 12 settimane si è in presenza di gravidanze, inizialmente desiderate, che si decide di interrompere in seguito a esiti di diagnosi prenatale o per patologie materne. Mentre il primo aspetto tende a ridursi nel tempo grazie alla sempre maggiore competenza delle donne a evitare gravidanze indesiderate, il secondo tende a aumentare in seguito al maggior ricorso alla diagnosi prenatale anche in seguito all’aumento dell’età materna. Nel confronto tra regioni e nel tempo è necessario tener conto di entrambi tali aspetti.
La tabella 20 riporta la distribuzione percentuale di IVG per settimana di gestazione e per età della donna. Come negli anni passati, si osserva tra le giovani una percentuale più elevata di IVG a 11-12 settimane, che può essere dovuta ad un ritardo al ricorso ai servizi, come avviene in generale per le donne di cittadinanza straniera, oppure al peso relativo nella distribuzione percentuale, in quanto a età più giovane si hanno meno gravidanze interrotte dopo il primo trimestre a causa di una diagnosi prenatale sfavorevole.
La tabella seguente riporta i confronti internazionali, le cui differenze sono spesso giustificate da una diversa legislazione e dalla disponibilità di servizi.
pag. 54 Attività dei consultori familiari per l’IVG. Anche quest’anno è stata effettuata la rilevazione dell’attività dei consultori familiari per l’IVG, che è risultata migliorata in quanto sono stati raccolti i dati per l’85% dei consultori (lo scorso anno era 79%). Oltre alle informazioni sul numero di ginecologi in servizio, obiettori e non, rilevati in relazione alla tipologia di contratto e in termini di unità (sia in valore assoluto che in termini di Full Time Equivalent), è stato richiesto, come lo scorso anno, anche il numero di donne che hanno effettuato il colloquio previsto dalla Legge 194/1978, il numero di certificati rilasciati, il numero di donne che hanno effettuato controlli post IVG (in vista della prevenzione di IVG ripetute).
La raccolta dati è particolarmente difficoltosa, considerando anche la grande difformità territoriale dell’organizzazione dei consultori stessi, che mutano spesso di numero a causa di accorpamenti e distinzioni fra sedi principali e distaccate, la cui differenziazione spesso non è chiara e risponde a criteri diversi fra le diverse regioni. Inoltre è emerso che molte sedi di consultorio familiare sono servizi per l’età evolutiva o dedicati agli screening dei tumori femminili pertanto non svolgono attività connesse al servizio IVG. Anche questo ambito di rilevazione conferma la grande variabilità tra le Regioni, in questo caso nel ricorso al consultorio per le attività collegate all’IVG. Le differenze che si osservano in parte sono dovute al fatto che la rilevazione, anche se migliorata, non ha una copertura completa in tutte le Regioni; è̀ necessario inoltre tenere conto delle diverse modalità organizzative a livello locale, nel rapporto tra i servizi territoriali e quelli ospedalieri, nella presa in carico della donna che vi si rivolge per una IVG.
In generale il numero degli obiettori di coscienza nei consultori, pur nella non sempre soddisfacente copertura dei dati, è molto inferiore rispetto a quello registrato nelle strutture ospedaliere (15.0% vs 70.7%).
Il fatto che il numero di colloqui IVG (76.855 in totale quelli rilevati) sia superiore al numero di certificati (documenti) rilasciati (31.277), potrebbe indicare l’effettiva azione per aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza” (art. 5 L.194/78).
Si osserva inoltre che l’attività effettuata per quanto riguarda i controlli post IVG (34.566) (art.14 della Legge) è minore rispetto a quella dei colloqui ma maggiore rispetto ai certificati rilasciati. Un dato che potrebbe indicare che spesso negli ospedali in cui si sono effettuate le IVG è efficace il suggerimento per un colloquio post-IVG in consultorio, più adeguato rispetto alle strutture ospedaliere a effettuare azioni di sostegno e counselling personalizzato e costante, nel tempo. La consulenza post IVG è una buona occasione di promozione per una procreazione responsabile, pertanto sarebbe importante promuoverla e implementarla ulteriormente.
www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2552_allegato.pdf
{Non ci dati dei consultori di Enti privati, autorizzati dalle Regioni, che nella maggior parte hanno operatori qualificati, oltre il medico che è l’unico autorizzato a firmare il documento ai sensi dell’art. 4 della Legge, quali consulente familiare, assistente sociale, psicologo, avvocato, consulente etico. I medici pro life, ai sensi del comma 6 dell’art. 9 della Legge non decadono dall’obiezione di coscienza, in quanto nei consultori non si possono effettuare IVG ai sensi dell’art.8 della stessa Legge. Ndr}
Il Tar Puglia, seconda Sezione, sentenza n. 3477, 14 settembre 2010, afferma
Ritiene il Collegio, (…), che la presenza o meno di medici obiettori ex art. 9 legge n. 194/1978 nei Consultori istituiti ai sensi della legge n. 405/1975 sia assolutamente irrilevante, posto che all’interno dei suddetti Consultori non si pratica materialmente l’interruzione volontaria della gravidanza per la quale unicamente opera l’obiezione ai sensi dell’art. 9, comma 3 (l’I.V.G. può, infatti, avvenire esclusivamente nelle strutture a ciò autorizzate di cui all’art. 8 legge n. 194/1978 laddove la donna (art. 12), convinta di procedere con l’I.V.G., decide di presentarsi), bensì soltanto attività di assistenza psicologica e di informazione/consulenza della gestante (cfr. artt. 2 e 5 legge n. 194/1978) ovvero vengono svolte funzioni di ginecologo (i.e. accertamenti e visite mediche di cui all’art. 5 legge n. 194/1978) che esulano dall’iter abortivo, per le quali non opera l’esonero ex art. 9, e quindi attività e funzioni che qualsiasi medico (obiettore e non) è in grado di svolgere ed è altresì tenuto ad espletare senza che possa invocare l’esonero di cui alla disposizione citata.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) sentenza n. 8990, 2 agosto 2016 scrive Omissiswww.quotidianosanita.it/allegati/allegato3106207.pdf
Fatto. 6. Il Consiglio di Stato con ordinanza n. 588 del 5 dicembre 2015 ha riformato parzialmente la cautelare con riferimento alla fondatezza del ricorso nella parte in cui contesta il dovere del medico operante presso il Consultorio familiare di attestare, anche se obiettore di coscienza, lo stato di gravidanza e la richiesta della donna di voler effettuare l’IVG, ai sensi dell’art. 5, comma 4 della legge n. 194 del 1978.
Diritto. 3.1. (…) fondail ricorso estrapolando la disposizione di cui all’art. 9, comma 1 della legge n. 194 del 1978 e dandole un valore assoluto, avulso dal contesto in cui essa è collocata. In particolare non pare tener conto che se il comma 1 consente al medico o all’operatore sanitario obiettori di coscienza di non prendere parte alle attività di cui ai successivi articoli 5 e 7, il comma 3 del medesimo articolo 9 individua il rapporto tra l’obiezione di coscienza e l’impegno prestato eventualmente dal medico o dall’operatore in un Consultorio: “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. E cioè, nella estrema delicatezza dell’argomento trattato, mentre il medico o l’operatore di un Consultorio che abbiano proposto la preventiva dichiarazione di obiezione di coscienza devono essere esonerati dal compimento delle procedure e delle attività volte a dare “specificamente e necessariamente” pratica attuazione all’interruzione di gravidanza, non sono invece esonerati “dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Nel caso in specie dunque la disposizione del decreto commissariale impugnato con la quale si è consentito che il medico obiettore di coscienza rilasci il certificato dello stato di gravidanza della donna interessata o ne attesti la volontà di interrompere la gravidanza, comportano adempimento ai doveri professionali implicando quella serie di conoscenze mediche specialistiche che caratterizzano più propriamente la professione medica e non appaiono determinare la compressione della libertà di coscienza, laddove non siano rivolte ad attuare “specificamente e necessariamente” l’interruzione di gravidanza, ma a prestare la necessaria “assistenza antecedente e seguente all’intervento”, posto soprattutto che la decisione relativa alla interruzione della gravidanza pure in presenza di detta certificazione spetta all’interessata che può recedere da tale proposito. Oltre a ciò è pure da osservare che il confine dell’obiezione di coscienza nelle procedure per l’interruzione della gravidanza è costituito dalla individuazione delle fattispecie di cui all’art. 328 c.p. e cioè del reato di omissione o abuso di atti di ufficio, confine che la giurisprudenza sull’argomento individua nell’atto “direttamente ed astrattamente idoneo a produrre l’evento interruttivo” non potendosi dunque risolvere in una “attività preparatoria e fungibile non dotata di rilevanza causale e diretta” all’aborto. Anche di recente la Cassazione penale ha affermato il principio per cui: “Integra il delitto previsto e punito dalla norma di cui all’art. 328 c.p. il rifiuto del medico di guardia, obiettore di coscienza, di intervenire per prestare necessaria assistenza alla degente nella fase successi va all’aborto indotto per via farmacologica da altro sanitario (cd. secondamento), e dunque in una fase non diretta a determinare l’interruzione della gravidanza. Il diritto di obiezione di coscienza, invero, non può intendersi in modo tale da esonerare il medico dall’intervenire durante l’intero procedimento di interruzione volontaria della gravidanza, in quanto si tratta di interpretazione che non trova alcun appiglio nella disciplina di cui alla legge n. 194 del 1978, la quale prevede che il diritto di obiezione di coscienza trova il suo limite nella tutela della salute della donna.” (Cassazione penale, sezione III, 2 aprile 2013, n. 14979). Risultano chiaramente individuati i termini entro i quali la libertà di coscienza di cui è espressione l’obiezione del medico ginecologo di un consultorio va coniugata col diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione. Sostanzialmente quindi è da escludere che l’attività di mero accertamento dello stato di gravidanza richiesta al medico di un Consultorio si presenti come atta a turbare la coscienza dell’obiettore, trattandosi, per quanto sopra chiarito, di attività meramente preliminari non “legate in maniera indissolubile, in senso spaziale, cronologico e tecnico” al processo di interruzione della gravidanza secondo quanto dalla giurisprudenza penale anche risalente è pure specificato.
(…) 3.3 (…) Specie se poi si considerano le funzioni dei Consultori familiari come sono state disegnate dal D.P.C.M. 29 novembre 2001 sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e stanti i quali sono ad essi attribuite le seguenti attività: “Assistenza sanitaria e socio–sanitaria alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie; educazione alla maternità responsabile e somministrazione e dei mezzi necessari per la procreazione responsabile; tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento, assistenza alle donne in stato di gravidanza; assistenza per l’interruzione volontaria della gravidanza, assistenza ai minori in stato di abbandono o in situazione di disagio, adempimenti per affidamenti ed adozioni”. Secondo quanto sopra osservato in ordine alla funzione di accertamento dello stato di gravidanza richiesta al medico di un Consultorio a fini di tutela della salute della donna non pare proprio che tale funzione certificativa, siccome rientrante nelle attività prettamente assistenziali del Consultorio ai sensi della legge istitutiva n. 405 del 29 luglio 1975, costituisca un baluardo insormontabile all’esercizio dell’obiezione di coscienza del medico ginecologo che aspiri a svolgere la professione all’interno di tale struttura. Anzi le attività di attestazione dello stato di gravidanza e di certificazione della richiesta di effettuare l’IVG inoltrata dalla donna, e che, per quanto visto sopra non possono essere considerate direttamente causative dell’interruzione di gravidanza, costituiscono momenti dell’iter da seguire per l’accesso alle pratiche abortive che, con quegli atti non iniziano, potendo la donna discostarsene come sopra considerato, con la conseguenza che la regolare erogazione del servizio di IVG in ogni Regione non può non passare per tale attività consultoriale, che va garantita anche a causa del massiccio ricorso all’obiezione di coscienza nelle strutture ospedaliere deputate all’erogazione della prestazione de qua.
Aborti -10%, EllaOne +400%, e l’obiezione non è un problema.
L’Italia in pieno inverno demografico ha un altro dato molto significativo da esibire: tra il 2014 e il 2015 al calo delle nascite (17 mila in meno) ha corrisposto una diminuzione degli aborti, passati dai 96.578 a 87.639, con un calo di quasi 9mila unità in un anno (dal 2013 all’anno successivo la diminuzione era stata pari a 6.182). Salta all’occhio la sproporzione nei due trend, entrambi consolidati ormai da alcuni anni: se il calo demografico in un anno è stato pari al 3,4%, per gli aborti c’è stato un vero e proprio crollo del 9%. Dunque non un parallelismo aritmetico ma evidentemente l’irruzione di altri fattori che esulano dalla semplice erosione del numero di donne in età fertile.
L’effetto-EllaOne. La relazione del Ministero della Salute sull’applicazione della legge 194\1978 sull’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) nel 2015, pubblicata sul sito ufficiale e depositata in Parlamento, individua la probabile causa di questo calo senza precedenti con un nome: EllaOne. Si tratta della “pillola dei cinque giorni” che interviene sulla gravidanza eventualmente appena iniziata impedendo l’annidamento dell’embrione nell’utero. Dunque, nel caso in cui il rapporto abbia dato origine a una nuova vita, un aborto precocissimo, che il prodotto – catalogato dalla burocrazia farmaceutica europea e italiana come “contraccettivo d’emergenza” – provoca senza che ovviamente sia possibile classificarlo e conteggiarlo nelle statistiche ufficiali non essendoci alcuna certificazione dell’incipiente maternità. Dall’aprile 2015 è infatti possibile alle donne maggiorenni acquistare in farmacia EllaOne senza la ricetta medica, sino ad allora obbligatoria, col risultato che – dati Aifa alla mano – la vendita di questo contraccettivo-abortivo è schizzata dalle 16.797 confezioni del 2014 alle 83.346 dell’anno successivo. Un’esplosione del consumo pari al 400%, concentrata dal secondo trimestre 2015 e che è quasi certamente la causa della regressione repentina degli aborti (pure sempre ben oltre le 80mila unità, per intenderci la popolazione di città di media grandezza come Como, Treviso o Grosseto). L’effetto collaterale del calo drastico degli aborti – ora ormai ridotti a quasi un terzo del dato- record di 234.801 del 1983 – lo si vedrà quasi certamente nelle prossime rilevazioni Istat sulle nascite: un ricorso tanto massiccio a un prodotto per prevenire la gravidanza o interromperla al suo primo insorgere farà quasi certamente scendere le nascite in modo ancor più significativo di quanto già drammaticamente registrato sinora.
Una vittima della Ru486. Seguendo la pista degli aborti farmacologici, la relazione del Ministero fornisce una notizia che emerge con chiarezza – e, possiamo dire, finalmente – dalle carte ufficiali: l’uso della Ru486, la pillola abortiva il cui principio attivo è parente stretto di EllaOne, ha causato nel 2014 un decesso certamente imputabile all’uso del “farmaco”, un episodio accaduto in Piemonte proprio a seguito di somministrazione in day hospital, ovvero senza tener conto delle indicazioni ministeriali che consigliano il ricovero fino ad aborto avvenuto. Un altro decesso – in Campania – si è verificato a seguito di un aborto con uso di prostaglandine. Si tratta – nota la relazione – di due casi inediti: «Fino ai due eventi registrati nel 2014 – si legge nel testo ministeriale – dalla entrata in vigore della legge 194 non risultano segnalazioni di decessi collegabili alla Ivg».
Obiettori? Un falso problema. Un altro capitolo che getta nuova luce sul fenomeno dell’aborto in Italia è quello relativo all’obiezione di coscienza, un dato stabile nella percentuale di medici obiettori (sempre poco sopra il 70%). La periodica polemica attorno al diritto di non praticare aborti da parte del personale medico e infermieristico, che punta il dito sull’asserita difficoltà ad accedere al servizio per carenza di medici non obiettori, non trova alcun conforto nei dati. Le strutture ospedaliere con reparti di ostetricia sono 654, il 60% delle quali pratica anche l’interruzione di gravidanza. Dunque, nessuna difficoltà di reperire ospedali attrezzati per praticare gli aborti. Un dato ancor più eloquente se lo si valuta alla luce del rapporto tra numero di aborti e nascite, pari al 20%. Infatti per effettuare un aborto ogni 5 nati sono a disposizione due reparti ospedalieri su tre. Ma non basta: esaminando il numero di aborti per singolo medico non obiettore si ottiene un dato che va dalle 0,4 interruzioni a settimana per medico non obiettore della Val d’Aosta alle 4,7 del Molise, con una media nazionale di 1,6. Morale: «Il numero dei non obiettori a livello regionale sembra congruo rispetto al numero delle Ivg effettuate, e il numero di obiettori di coscienza non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le Ivg. Quindi – conclude il Ministero della Salute – gli eventuali problemi nell’accesso al percorso Ivg potrebbero essere riconducibili a una inadeguata organizzazione territoriale».
I non obiettori? Persino troppi. Ma c’è un dato eclatante che dovrebbe mettere definitivamente a tacere chi sostiene che “in Italia ci sono troppi obiettori”, con richieste addirittura di mettere un freno al ricorso a quello che è un diritto individuale intangibile e conseguente ricorso Cgil (respinto) all’organismo del Consiglio d’Europa per i diritti sociali. Per la prima volta infatti il Ministero ha «chiesto alle Regioni se ci fossero ginecologi non obiettori non assegnati al servizio Ivg», che cioè potrebbero praticare aborti e non lo fanno perché evidentemente la domanda non è così elevata da richiederlo. Il risultato è stato sorprendente: «È emerso che a livello nazionale l’11% dei ginecologi non obiettori è assegnato ad altri servizi e non a quello Ivg, cioè non effettua Ivg pur non avvalendosi del diritto all’obiezione di coscienza». Come dire: altro che pochi, sono persino troppi.
«La relazione ministeriale – commenta il presidente del Movimento per la Vita, Gian Luigi Gigli– dimostra ancora una volta la pretestuosità degli attacchi agli obiettori, mentre purtroppo continua a non dire nulla sulle iniziative per offrire alternative all’aborto alle gestanti in difficoltà, tradendo le finalità stesse della legge 194»
Francesco Ognibene Avvenire 15 dicembre 2016
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Uscire dalla paralisi della Cai si può.
Dopo il disastro del governo Renzi, la nomina di Gentiloni riaccende le speranze anche sui social: “La nomina di Paolo Gentiloni potrebbe rappresentare una vera e propria ventata di novità anche nel mondo dell’adozione. O almeno, questo è quello che ci auguriamo!” Le famiglie del Comitato Genitori Rdc affidano al loro blog l’auspicio che il nuovo premier possa concretizzare quel cambio di passo atteso da tanto tempo nella gestione delle adozioni internazionali in Italia. Sono proprio le famiglie che hanno adottato i loro figli nella Repubblica Democratica del Congo le prime ad alimentare la speranza in un nuovo corso dell’accoglienza adottiva nel nostro Paese a seguito dell’entrata in carica del governo Gentiloni. E non è certo un caso che un tale sentimento provenga proprio da quelle famiglie che, per portare a casa i loro figli, hanno dovuto lottare contro l’ostracismo di una Commissione Adozioni Internazionali diretta in modo monocratico dall’allora presidente Silvia Della Monica che ha lasciato per troppo tempo queste coppie nella vana attesa di informazioni in merito alla sorte dei loro bambini. Ebbene, in quella delicata fase, queste famiglie hanno potuto sperimentare direttamente l’intervento costruttivo del ministero degli Affari Esteri, diretto proprio da Gentiloni, che, in un’assurda situazione di scontro istituzionale, è riuscito a dare un contributo fondamentale per la positiva risoluzione della vicenda.
Un apporto fattivo che i genitori dei minori congolesi non hanno dimenticato e ora rivolgono al neopremier un caloroso benvenuto, con la speranza di un futuro più limpido per le adozioni internazionali. Sui social network spopolano, in queste ore, i messaggi di congratulazioni e di incoraggiamento a Gentiloni da parte delle famiglie adottive.
“Personalmente faccio il tifo per la sola persona che ha rotto gli indugi e ci ha aiutato (contro chi non voleva) a raggiungere il nostro obiettivo”, scrive su twitter il papà di uno dei bambini congolesi. A cui fa eco il gruppo Family for Children, secondo cui “#Gentilonipremier riapre le speranze delle famiglie adottive da troppo tempo in attesa di poter accogliere un bambino”. Si susseguono in particolare i tweet che chiedono al nuovo presidente del Consiglio di supportare delle famiglie, intervenendo anche a livello istituzionale. “Serve un cambiamento immediato e sostegno alle famiglie” è uno dei tanti “cinguettii” sul tema. Cambiamento immediato che viene esplicitato da un altro tweet, secondo cui “Paolo Gentiloni faciliti anche l’uscita di Della Monica dalla Cai”. Di una “Cai nuova” parla anche chi si augura che il premier, “dopo le doverose priorità”, ponga attenzione anche al mondo delle adozioni. “Non dimentichi il mondo delle adozioni che è allo sfascio” è l’appello al neopremier in un altro tweet.
I disastri del governo Renzi, del resto, hanno lasciato il segno. Li ricorda ancora una volta il Comitato Genitori Rdc: “Abbiamo assistito alla Presidenza della Commissione Adozioni Internazionali incarnata prima dallo stesso premier – si legge sul blog -, poi delegata alla vicepresidente Silvia Della Monica e, infine, assunta nominalmente dalla Ministra per le riforme Maria Elena Boschi, il tutto… nell’arco di soli 3 anni! Avevamo salutato con grande speranza la nomina dell’ultima presidente della Cai, perché speravamo in un cambiamento. Abbiamo dovuto arrenderci all’evidenza che la Boschi sia stata fino ad ora l’unica presidente della Cai senza averla mai convocata”. In questo triennio, le famiglie in attesa dei loro figli congolesi hanno avuto un alleato proprio del ministero degli Affari Esteri, guidato da Gentiloni che, “a differenza di chi presiedeva la Cai e avrebbe dovuto avere un ruolo di diretto referente”, ha sempre dimostrato “immensa disponibilità e capacità di ascolto”. “Pur cercando di evitare scontri istituzionali all’interno di un Governo del quale faceva parte – ricordano i genitori Rdc – ha cercato di muoversi in tutte le direzioni possibili per aiutarci”. Ora lo stesso Gentiloni è il nuovo capo del governo: la persona in cui le famiglie adottive confidano per poter assistere al più presto a un’inversione di rotta, per il bene di tanti bambini abbandonati e di tante famiglie che ancora affidano “il loro futuro all’istituzione dell’adozione internazionale”.
News Ai. Bi. 14 dicembre 2016
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-dopo-il-disastro-del-governo-renzi-la-nomina-di-gentiloni
Bologna: Tribunale per i Minorenni, enti autorizzati, associazioni familiari e istituzioni locali insieme per promuovere la cultura dell’adozione.
Dall’incontro di una regione all’avanguardia nell’aggiornamento dei suoi operatori e di un Tribunale per i minorenni aperto alla cultura dell’accoglienza, nascono nuove prassi per il futuro dell’adozione. Le basi per questa positiva collaborazione sono state presentate a Bologna, lunedì 12 dicembre 2016 nel corso dell’incontro “Promuovere la cultura dell’adozione: gli attori a confronto” che ha illustrato il programma di formazione che, per tutto il 2017, vedrà la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel percorso adottivo. Obiettivo comune della Regione Emilia Romagna e del Tribunale per i Minorenni di Bologna è la condivisione di buone prassi per la valutazione delle coppie, l’appropriatezza degli abbinamenti e la qualità degli interventi di accompagnamento nel post-adozione. Obiettivi che si potranno realizzare dal 30 gennaio al 23 ottobre 2017 con i 6 incontri formativi previsti dal piano di formazione. Un piano che potrà contare sulla disponibilità al confronto espressa dal presidente del Tribunale per i Minorenni: una novità importante che lascia ben sperare per l’inizio di una nuova stagione per il mondo dell’adozione.
Novità assoluta in fatto di metodologia didattica. Le tradizionali relazioni frontali da parte degli esperti saranno sostituite dal “world cafè”: un ambiente di lavoro interattivo con discussioni autogestite dai partecipanti e stimolate da domande guida, all’interno di uno spazio comune.
L’incontro ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Amici dei Bambini, rappresentata dal vicepresidente Giuseppe Salomoni e dalla consulente per le adozioni internazionali Cinzia Bernicchi. A fare da cornice al convegno sono intervenuti la vicepresidente e assessore regionale al Welfare e politiche abitative Elisabetta Gualmini e il nuovo Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza Clede Maria Garavini. Nel merito della formazione, prevenzione e cura dei percorsi adottivi e del programma formativo regionale sono entrati, rispettivamente, la responsabile del settore clinico del Cta (Centro di terapia dell’adolescenza) di Milano Gloriana Rangone e il responsabile del servizio Politiche familiari, infanzia e adolescenza della Regione Emilia Romagna Gino Passarini. A seguire la tavola rotonda, occasione di confronto tra i vari attori del sistema: il presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna Giuseppe Spadaro, il direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale Stefano Versari, la responsabile adozione e affido del dipartimento di Cure Primarie dell’Ausl di Bologna Tiziana Giusberti, l’assistente sociale del Comune di Forlì Chiara Mascellani, il portavoce del coordinamento di enti autorizzati Oltre l’Adozione Pietro Ardizzi e la presidente del Care Monya Ferritti.
News Ai. Bi. 13 dicembre 2016
www.aibi.it/ita/bologna-anche-il-tribunale-per-i-minorenni-al-fianco-di-enti
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Bimbi prigionieri di schede sanitarie: rischiano di rimanere in istituto mentre presunte gravi patologie spaventano le famiglie.
“Non è vero che i bambini sono tutti malati gravi. Noi siamo partiti con una scheda medica pesante, dopo che moltissime coppie prima di noi avevano rifiutato di partire. Il bambino è uno splendore: non prende medicinali e non segue terapie di alcun tipo”. La denuncia postata da una coppia di neogenitori adottivi sul forum di Amici dei Bambini riporta alla luce un annoso problema che colpisce le adozioni internazionali: quello delle schede informative sui piccoli adottabili che non rispecchiano la reale situazione dei minori. E spesso tracciano una fotografia più fosca rispetto all’effettivo stato di salute del bambino.
Il problema riguarda quasi esclusivamente la Federazione Russa, con il rischio di allontanare molte coppie di aspiranti genitori da uno dei principali Paesi di origine dei minori adottati. Le cause di questo fenomeno sono varie, ma, se adeguatamente conosciute, non danno motivo alle coppie che intendono adottare in Russia di guardare con timore a questa possibilità o addirittura di desistere dal realizzarla.
Innanzitutto è da tenere presente che nella Federazione Russa i minori privi di qualsiasi patologia tendenzialmente vanno in adozione nazionale che ha la priorità sull’internazionale. Di conseguenza è normale che quelli adottabili da famiglie straniere presentino qualche problema sanitario esposto nelle relative schede mediche.
Queste, in genere, sono molto sintetiche e, pertanto, non riescono a fornire indicazioni precise sul reale stato di salute del minore. La testimonianza della coppia che ha raccontato la propria esperienza sul nostro forum è, a questo proposito, emblematica. “Non si può valutare nulla da una scheda – scrive la coppia -. Un difetto cardiaco, per esempio, può essere un soffio al cuore come quello di milioni di persone oppure una patologia ben più grave”.
Inoltre, è da tenere presente che le schede mediche inviate dalla Russia spesso non sono aggiornate e quindi non tengono conto delle evoluzioni della situazione sanitaria che, fisiologicamente, interessano anche i bambini. Proprio per questo, le procedure adottive della Federazione Russa, del resto, prevedono che alle scarne informazioni fornite in un primo momento agli aspiranti genitori, faccia seguito un primo viaggio di questi ultimi nel Paese di origine del bambino abbinato. Una volta in Russia, la coppia riceve maggiori informazioni sul minore, lo conosce personalmente e, resasi conto della reale situazione, decide se confermare la propria disponibilità ad accoglierlo.
Questo complesso di cause rende molti bambini praticamente “prigionieri” delle schede sanitarie o non del tutto corrispondenti alla realtà. Davanti un quadro sanitario sommario o aggravato rispetto a quello reale, infatti, è probabile che molte coppie desistano dall’accogliere quei minori che quindi, inevitabilmente, rimangono ancora a lungo negli istituti in attesa di una famiglia.
Invece, come è successo ai genitori che hanno offerto la propria testimonianza sul forum di Ai.Bi., le cose potrebbero stare molto diversamente. “E’ cresciuto incredibilmente in pochi mesi, è affettuoso e tranquillo con tutti, solo leggermente iperattivo, ma si notano già dei piccoli miglioramenti”, scrivono del loro figlio.
Niente panico, dunque, davanti a una scheda sanitaria negativa. Accogliere quel bambino potrebbe comportare molte meno difficoltà del previsto
News Ai. Bi. 13 dicembre 2016
www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-bimbi-prigionieri-di-schede-sbagliate
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AFFIDAMENTO
Rinvio alla Corte d’Appello l’affido eterofamiliare.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 23633, 11 novembre 2016.
La Corte – mutando consapevolmente orientamento – ha ritenuto ricorribile per cassazione ex art. 111, comma 7, Costituzione il provvedimento emesso dalla Corte d’appello in sede di reclamo, confermativo del decreto del tribunale che ha disposto l’affidamento etero familiare dei figli minori di una coppia di genitori, già dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale.
www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/23633_11_2016.pdf
www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/c_dettaglio_sentenze.page?contentId=SZC19068
Revisione delle condizioni di affidamento. La competenza segue la residenza dei minori.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 25636, 14 dicembre 2016.
La controversia relativa alla modifica delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, ai sensi dell’art. 337-quinquies c.c., appartiene all’esclusiva competenza del tribunale ordinario, territorialmente individuato in base alla residenza dei figli minori.
Studio Sugamele 17 dicembre 2016 ordinanza
www.divorzista.org/sentenza.php?id=13034
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AMORE
L’amore ha 5 fasi, ma la maggior parte delle coppie si ferma alla terza. Perché?
Lo psicoterapeuta Jed Diamond dice di aver scoperto cosa rende un rapporto reale e duraturo. Dopo 40 anni di esperienza come consulente matrimoniale e familiare, lo psicoterapeuta afferma di aver scoperto cosa rende un rapporto reale e duraturo.
Il segreto sta nell’affrontare le “5 Fasi dell’Amore”:
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Innamorarsi
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Diventare una coppia
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Disillusione
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Creazione di un amore reale e duraturo
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Uso del potere di entrambi per cambiare il mondo
Aleteia Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti 14 dicembre 2016
Testo http://it.aleteia.org/2016/12/14/5-fasi-amore-matrimonio-fidanzamento-relazioni-coppie-crisi/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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ASSEGNO DIVORZILE
Niente assegno divorzile se si instaura una nuova famiglia.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 25528, 13 dicembre 2016.
L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione che il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso.
Newsletter Sugamele.it. 15 dicembre 2016 www.divorzista.org/sentenza.php?id=13025
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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF
Newsletter n. 27/2016, 14 dicembre 2016.
Reato di “ostacolo digitale all’aborto”: il paradosso francese. “Preoccupa il disegno di legge che mira a colpire i siti nati per offrire un luogo di ascolto e sostegno alle donne in attesa di un figlio che non sanno se continuare la gravidanza o interromperla. Questo accade in un Paese dove la libertà di espressione dovrebbe trovare la sua difesa nei valori di libertà, uguaglianza e fraternità”.
[Leggi il commento del Direttore del CISF, su Famiglia Cristiana on line]
www.famigliacristiana.it/articolo/francia_2951.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_14_12_2016
Vedi anche, in merito, la storia di “Daniela”: «Ho abortito in una fredda stanza verde. Don Alberto mi ha teso la mano»
www.famigliacristiana.it/articolo/sola-in-quella-fredda-stanza-verde-cosi-ho-abortito.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_14_12_2016
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Notizie – dall’estero. “Create in Me a Clean Hearth” (“Crea in me un cuore puro”. Una risposta pastorale alla pornografia), Dichiarazione della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti sulla pornografia, 17 novembre 2015, pp. 32. Vedi anche la preziosa traduzione in Italiano realizzata da Il Regno e pubblicata sul n. 3, 1 febbraio 2016, pp. 108-127). [Si può scaricare il file pdf della traduzione italiana da questo link]
Women in India Suffer as They Serve as Surrogates. Inquietante reportage/inchiesta giornalistica sulla realtà dell’utero in affitto in India, a fronte di un provvedimento del Governo indiano che tenta di regolare il fenomeno, in una nazione dove “dal 2012 sono almeno 3.000 in India le cliniche che offrono servizi di maternità surrogata. Si tratta di un giro di affari annuale di 2,3 miliardi di dollari, Prima della direttiva governativa, 0gni anno 10.000 coppie straniere entrano nel Paese per ottenere servizi riproduttivi surrogati”.
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Notizie – dall’Italia. Ne hanno parlato a Roma. Il 23 novembre 2016, in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno accademico 2016-2017, presso l’Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria – Camillianum. Tra i vari interventi il Prof. Enrico dal Covolo ha tenuto una Lectio Magistralis su Amoris Laetitia. Riflessioni sull’Educazione e sull’Amore. Vedi il breve video di presentazione, su Aracne-TV: Meno di dieci minuti di interviste a relatori e partecipanti, per farsi un’idea dell’evento.
www.aracne.tv/video/inaugurazione-anno-accademico-2016-2017.html#/?playlistId=0&videoId=0
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Ultimi arrivi dalle case editrici. (Tutti i volumi sono consultabili nel Centro Documentazione del Cisf)
http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/centro-documentazione.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_14_12_2016
Sposini Claudia, Il metodo anti-cyberbullismo, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2014, pp. 107, € 12,00
Fino a un po’ di anni fa, la sicurezza era una questione di protezione dai pericoli del mondo tangibile. Con l’avvento di internet molte cose sono cambiate. Questo libro intende offrire una guida pratica per comprendere e contrastare il bullismo online in un’ottica educativa e culturale che aiuti concretamente genitori, insegnanti e operatori a ricostruire un quadro articolato di difficoltà e disagi. Oltre a riportare esempi di studi scientifici sul fenomeno, il testo intende offrire un metodo semplice e pratico che fa leva anzitutto sulla sensibilizzazione di scuola, famiglia e istituzioni. All’orizzonte, la necessità di affacciarsi sul complesso mondo dei propri ragazzi non con una politica di “tolleranza zero”, ma con l’attenzione sincera di chi vuol proporre anzitutto chiarezza, consapevolezza e responsabilità. Un “pronto intervento” pratico, leggibile e immediato per affrontare il cyberbullismo e usare consapevolmente i nuovi ambienti comunicativi.
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Save the date.
Nord: “Uomini e donne alla ricerca di un’ecologia integrale”. Percorso di teologia sociale per laici e consacrati sulla “Laudato si'”, Servizio per la pastorale sociale e il lavoro della Arcidiocesi di Milano, Milano, dal 19 gennaio al 4 maggio 2017.
www.occhisulsociale.it/polopoly_fs/1.138039.1481013371!/menu/standard/file/uominiedonneecologiaintegrale1.pdf
Centro: “le nuove frontiere della sociologia economica”, 1° Convegno SISEC (Società Italiana di Sociologia Economica) 2017, Roma, 26-28 gennaio 2017. http://sociologia-economica.it/?page_id=32006
Estero: 2017 Family Education Conference, associazione che si occupa di famiglie transnazionali, Siófok-Lago Balaton (Ungheria), 26 febbraio – 3 marzo 2017
www.shareeducation.org/events-list/event/36/Family-Education-Conference-2017—Hungary
Testo ttp://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/dicembre2016/1019/index.html
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Padova . Il Consultorio sta organizzando alcune iniziative per il 2017.
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Vita di coppia. (Incontri per coppie con progetto di vita a due).
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Nascita e oltre. (Incontri per neo-genitori).
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Ho un adolescente in casa e…(Incontri per genitori di adolescenti).
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Improvvisamente soli. (Incontri per separati).
www.consultorioucipem.padova.it/index.php/iniziative-formative.html
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CONTRACCEZIONE
Il mito del “pillolo”: tutti i fallimenti degli anticoncezionali per gli uomini
Come mai non abbiamo ancora farmaci anticoncezionali per gli uomini? La ricerca nel campo della contraccezione maschile ha prodotto solo fallimenti, ma un nuovo promettente candidato si profila all’orizzonte. Le possibilità contraccettive per le donne sono innumerevoli. Per gli uomini non ci sono che due possibilità di scelta: preservativo e vasectomia. Il primo ostacolo al conseguimento di un contraccettivo maschile è dato dalla maggiore complessità biologica coinvolta nell’impedire la produzione di milioni di spermatozoi al giorno rispetto alla gestione di un ovulo al mese. Il secondo ostacolo è dato dalla scarsità di finanziamenti disponibili per i test clinici di questi farmaci.
Secondo Aaron Hamlin, direttore della Male Contraception Initiative, di Washington, D.C., “Il disinteresse dimostrato dalle compagnie farmaceutiche origina in gran parte dai molti fallimenti soprattutto degli studi incentrati sulle formulazioni ormonali”. Il tipo di farmaco anticoncezionale maschile più studiato negli ultimi 40 anni è infatti proprio quello a base ormonale, capace di sopprimere la produzione di sperma.
Un recente studio, sostenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dimostrato l’efficacia di un’iniezione anticoncezionale per uomini basato su di una combinazione di testosterone e progesterone. I test sul farmaco furono interrotti nel 2011 su raccomandazione di un ente esterno che aveva notato seri effetti collaterali nei partecipanti, tra cui casi depressione ed un caso di suicidio. Secondo Douglas Colvard, coautore dello studio, la mancanza di fondi impedirà la possibilità di testare nuove formulazioni del farmaco.
Un farmaco testato su 1.045 uomini cinesi diede risultati efficaci e reversibili, ma la società che lo produceva, la Zhejiang Xian Ju Pharmaceutical, non portò mai a termine i propri studi né cercò un’approvazione istituzionale della formula. Anche gli studi del 2002 su di una pillola maschile, portati avanti dalla tedesca Schering e dall’olandese Organon, non resistettero che pochi anni.
Gunda Georg, professoressa del dipartimento di medicina chimica della University of Minnesota, sta facendo progressi con lo studio di una variante di contraccettivo maschile non ormonale, chiamata Gamendazole, che inibirebbe lo sviluppo dello sperma e si è dimostrata sia efficace che reversibile nei ratti. Il Vasalgel della Parsemus Foundation, potrebbe cominciare ad essere testato su esseri umani già a partire dal 2017. Si tratta di un gel da iniettarsi nel vas deferens, il tubo che conduce lo sperma al pene. Non trova volontari lo studio in India di un prodotto chiamato RISUG, che funziona con un approccio simile.
Secondo Elaine Lissner, direttrice e fondatrice della Parsemus Foundation, il Vasalgel si è dimostrato efficace in mammiferi di piccola taglia, ma sembra non perdere di reversibilità in animali di dimensioni maggiori di un babbuino. Una squadra del Kings College London sta studiando come utilizzare in forma di contraccezione maschile una sostanza dedicata alla pressione alta, la fenossibenzamina, che dovrebbe permettere orgasmi senza emissione seminale.
Centinaia di uomini indonesiani stanno invece provando una pillola sintetizzata da una pianta chiamata Gendarussa che, interferendo con un enzima posto nella testa dello spermatozoo, ne dovrebbe indebolire la capacità di penetrare l’ovulo. Anche nel caso si dimostrasse efficace, però, la U.S. Food and Drug Administration, per esempio, esigerebbe una ripetizione dei test clinici prima di dare la propria approvazione al commercio del farmaco in territorio statunitense.
James Bradner, Harvard Medical School e Dana Farber Cancer Institute, ha scoperto un composto, chiamato JQ1, capace di inibire sia produzione che mobilità dello sperma, con effetto reversibile. Testato per ora solo su topi, Bradner e la sua squadra sperano di ricavarne una pillola per esseri umani. Ciò che manca sono i fondi.
Gli statunitensi NIH hanno speso 424 milioni di dollari in studi sulla contraccezione nel 2015, ma il grosso dei finanziamenti è andato verso la ricerca su farmaci rivolti alle donne.
Emily Mullin MITTechnology Review 12 dicembre 2016
www.technologyreview.it/come-mai-non-abbiamo-ancora-farmaci-anticoncezionali-per-gli-uomini
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CORTE COSTITUZIONALE
Illegittima l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio.
Sentenza n. 286, depositata 21 dicembre 2016
La Corte Costituzionale rende noto che, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Genova sul cognome del figlio, ha dichiarato illegittima la norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato nel matrimonio, in presenza di una diversa volontà dei genitori.
Norme impugnate: Artt. 237, 262 e 299 del codice civile; art. 72, c. 1°, del regio decreto 09/07/1939, n. 1238; artt. 33 e 34 del decreto del Presidente della Repubblica 03/11/2000, n. 396.
Oggetto: Stato civile – Cognome dei figli legittimi [nati dal matrimonio] – Attribuzione automatica del cognome paterno, pur in presenza di una diversa e contraria volontà dei genitori [nella specie, concordemente diretta ad attribuire al figlio il cognome materno in aggiunta a quello paterno].
La Corte Costituzionale omissis
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Dichiara l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno;
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Dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, cod. civ. nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno;
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Dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2016.
www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=286
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DALLA NAVATA
4° Domenica tempo dell’Avvento-anno A–18 dicembre 2016
Isaia 07, 12. Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».
Salmo 23, 06. Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
Romani 01. 01. Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti,
Matteo 01, 24. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
Un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare
L’Avvento sta per concludersi e dopo tre settimane nelle quali l’attesa era indirizzata alla parousía, alla manifestazione finale del Veniente, il Figlio dell’uomo nella sua gloria, ora inizia un tempo di memoria: ricordiamo eventi del passato, la preistoria del Messia, facciamo memoria di come il Figlio di Dio è venuto nel mondo, perché proprio questi eventi fondano la nostra attesa della venuta gloriosa di Cristo. Si faccia pertanto attenzione: non attendiamo il Natale, evento già avvenuto che possiamo solo ricordare, ma confessiamo la nostra fede nel Signore Gesù anche nel suo venire nel mondo, confessiamo il mistero centrale della nostra fede, l’incarnazione, nelle tappe e negli eventi che hanno manifestato il disegno di salvezza di Dio.
Qual è dunque la ghénesis (cf. anche Mt 1,1), l’origine di Gesù? Così la racconta Matteo: c’è una ragazza di Nazaret di Galilea, Maria, promessa sposa di Giuseppe. Questa era l’usanza nelle nozze ebraiche: venivano stipulate con il fidanzamento, ma a volte passava un certo tempo tra l’impegno matrimoniale e la convivenza dei due sposi, soprattutto se in età adolescenziale. In questo tempo in cui Maria e Giuseppe non convivono ancora insieme e quindi non consumano le loro nozze, accade ciò che è umanamente inaudito: Maria si trova incinta, il suo grembo è fecondato, vi è in lei un figlio che attende di venire alla luce. Cosa significa questo fatto? Diciamolo subito: quel Figlio solo Dio può darlo, e l’azione creatrice di Dio è all’opera in Maria. Non il caso né la necessità, il destino, presiedono a quella gravidanza, ma la volontà di Dio stesso, che vuole essere “veniente” tra gli umani. Ecco la genesi di Gesù di Nazaret:
Una donna, Maria,
Lo Spirito di Dio che agisce in lei come Spirito creatore che “cova sulle acque” (cf. Gen 1,2, versione siriaca)
e Un uomo che appare come un testimone.
L’evangelista Matteo non si interessa né alla reazione psicologica di Maria né a quella di Giuseppe, ma vuole metterci di fronte a una situazione reale, pur nell’aporia: Maria è incinta senza aver conosciuto uomo e Giuseppe ignora cosa possa essere accaduto. Quest’ultimo è presentato come uno tzaddiq, ossia un giusto, un credente, e venuto a conoscenza della situazione di Maria pensa di sciogliere il vincolo nuziale, senza dire nulla pubblicamente, per non svergognarla. Difficile per noi decifrare cosa muoveva Giuseppe ad assumere tale decisione, e va detto che i commenti al riguardo, anche quelli dei padri della chiesa, sono incerti, a volte persino ridicoli. Secondo alcuni egli vorrebbe applicare la legge sull’adulterio, ma senza giungere alla violenza (cf. Dt 22,23-24); secondo altri è ferito e deluso… Più semplicemente, si può pensare che Giuseppe, accolta la spiegazione fornitagli da Maria, essendo pieno di timore di Dio, pensa di fare un passo indietro, per non vantare nessun diritto su quel bambino che Maria dice venire da Dio: di fronte alla paternità di Dio, Giuseppe rinuncia alla propria!
Quell’aporia può essere risolta solo da una rivelazione, dall’alzare il velo da parte di Dio con la sua parola. Ecco dunque l’angelo, il messaggero del Signore, che si fa presente a Giuseppe mentre egli dorme, in un sogno, mezzo attraverso il quale nell’Antico Testamento Dio ha più volte rivelato la sua volontà e la sua azione (come a uno dei figli di Giacobbe, Giuseppe, l’uomo dei sogni: cf. Gen 37,5-11). Il messaggero di Dio si rivolge a Giuseppe ricordandogli la sua identità, che contiene anche una missione: “Giuseppe, tu che sei figlio di David, che hai un posto nella discendenza messianica, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Questa parola del Signore chiede a Giuseppe obbedienza, gli chiede di essere sposo di una sposa che gli dà un figlio come Dio l’ha promesso nella discendenza di David a tutto il popolo santo. Giuseppe deve accettare questa spogliazione del suo essere sposo e saper vivere una paternità non sua: paternità che eserciterà dando al figlio il nome Jeshu‘a, Gesù, che indica la sua missione di salvezza, dunque di perdono dei peccati (cf. Lc 1,77). Giuseppe è invitato a diventare padre, a sentirsi padre di un figlio che non viene dal suo desiderio, dalla sua decisione, ma soltanto da Dio: sarà padre di Gesù secondo la Legge e tale sarà chiamato dai suoi conoscenti che non conoscono le profondità del mistero (cf. Lc 4,22). Giuseppe deve esercitare la sua qualità di figlio di David su colui che è il Figlio di David promesso e acclamato (cf. Mt 21,9).
Di fronte a questo racconto di miracolo, gli uomini e le donne di oggi sono tentati di restare esitanti, di leggerlo come un mito, ma con sguardo puro dovremmo giungere a capire ciò che in profondità vuole comunicare alla nostra fede. Più che la forma narrativa, dobbiamo cogliere l’intenzione dell’evangelista, che è questa: far comprendere al lettore che un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare, che è stato Dio a inviarlo; anzi, se Gesù era in forma di Dio e si è spogliato con l’umanizzazione (cf. Fili 2,6-7), allora è veramente il frutto della volontà di Dio e dell’acconsentimento dell’umanità a questo “meraviglioso scambio” (antifona dei primi e secondi vespri della solennità di Maria SS. Madre di Dio, 1° gennaio), a queste nozze. Come dire che Gesù era in relazione con Dio, che era la presenza di Dio tra gli uomini? L’unzione dello Spirito santo che feconda il grembo di Maria appare un racconto adeguato per fondare la fede.
A Giuseppe, dunque, non è data innanzitutto una “rivelazione” sul Figlio, ma una “vocazione”: come a Osea fu chiesto di sposare una prostituta, a Geremia di restare celibe, a Ezechiele di restare vedovo, a Giuseppe è chiesto di accogliere come figlio Gesù, un figlio che in verità non è suo figlio, ma Figlio di Dio. Così Giuseppe dà alla sua sposa Maria non solo una casa, ma anche un casato, quello di David, permettendole di entrare nella discendenza messianica, di compiere la promessa di Isaia e di imporre al figlio il Nome che contiene in sé anche una missione. Per questo Matteo annota: “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine – termine che viene dalla versione greca dei LXX, mentre l’ebraico dice, alla lettera, “una giovane donna, una ragazza” – concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi’ (Is 7,14)”. Quando Giuseppe si sveglia, senza fare alcuna obiezione, “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, diede alla luce un figlio che egli chiamò Gesù”. Giuseppe era stato definito “giusto”: ora lo conosciamo come credente e obbediente alla parola del Signore nel silenzio. Le vocazioni sono diverse: c’è chi è chiamato da Dio a fare la sua volontà proclamando, annunciando, addirittura gridando (come il Battista, cf. Mt 3,3 e Is 40,3); e c’è chi è chiamato a eseguire, a fare concretamente, in un abisso di silenzio. Nei vangeli non ci è testimoniata alcuna parola di Giuseppe, ma di lui sono attestati l’obbedienza e il silenzio: non mutismo, ma silenzio di adorazione, di custodia, di approfondimento del mistero.
Questa pagina può essere per noi un grande insegnamento: ci dice infatti che Dio può sorprenderci e che quando, secondo la nostra giustizia davanti a lui, abbiamo elaborato e deciso un tragitto, il Signore può improvvisamente chiederci di mutare direzione e cammino, verso un orizzonte che ci resta oscuro. È l’ora di obbedire mettendo un passo avanti all’altro, sicuri che “camminando si apre cammino” (Antonio Machado) e che il Signore solo ci precede. Questo deve bastarci.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11065-un-uomo-come-gesu-solo-dio-ce-lo-poteva-dare
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DIACONATO
La “diaconissa” nella chiesa latina medievale.
Il riscontro storico costituisce un campo di inaggirabile interesse per giustificare un riconoscimento della autorità femminile nella Chiesa di oggi. Questo scritto del prof. Claudio Ubaldo Cortoni, che insegna Teologia dei Sacramenti nel Medioevo presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo, scandaglia un periodo poco studiato e capace di fornire preziose indicazioni sulla storia del ministero ecclesiale in rapporto ai soggetti maschili e femminili. E approda al fecondo riconoscimento secondo cui “ogni progetto di riforma della chiesa appartiene alla tradizione di una chiesa attenta ai segni del suo tempo”.
Nelle chiesa latina è possibile trovare testimonianze della presenza di un diaconato delle donne, anche se non viene sempre precisata la forma con il quale era esercitato. Tale considerazione, che trova fondamento sulla serie di azioni disciplinari messe in essere dalla chiesa sin dai sinodi merovingi per scoraggiarne la consuetudine, lascia in ombra un serie di riflessioni che precedono qualsiasi altro tipo di considerazione sul diaconato conferito alle donne: prima fra tutte l’impossibilità di sovrapporre la teologia del diaconato, quale oggi abbiamo, al progressivo sviluppo che ha interessato la teologia dei sacramenti nel Medioevo; in secondo luogo il lungo processo di riforma della chiesa medievale che prevedeva sin da subito la ricerca di una uniformitas liturgica e disciplinare, alla quale era associata anche il celibato del clero.
In quest’ottica risulta chiaro come la diaconissa potesse essere sovrapposta alla figura della moglie del diacono, che poteva dunque coadiuvare il marito nel suo ministero, la quale in seguito venne assorbita nell’ordine delle vedove, più per un motivo riconducibile al divieto fatto alle vedove di contrarre un secondo matrimonio, il che rifletteva il tentativo di stabilire per il clero, e più in generale per qualsiasi forma di vita religiosa, la legge celibataria. Allo stesso modo con lo sviluppo di comunità monastiche femminili, il diaconato abilitava alcune consorelle a leggere la lettura dell’epistola o a proclamare il vangelo in assenza del presbitero, fino a sovrapporsi in ultimo alla figura della badessa in quanto serva della comunità.
In ogni caso il tentativo di ridurre la presenza di diaconissæè accompagnato da un divieto che riguarda la benedizione o l’ordinazione a diacono di donne: anche questi verbi, che potevano abilitare a diverse funzioni il ministro, specialmente nella chiesa altomedievale, non possono essere facilmente ricondotti ad un significato univoco.
Segue nel
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Dal glossario alla realtà storica. (…)
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L’eredità dei concili merovingi nella canonistica bassomedievale. (…)
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L’abbatissa-diaconissa in Abelardo. (…) I documenti raccontano una storia complessa. Riassumere non è semplice e trarre conclusioni potrebbe voler dire chiudere troppo presto la riflessione su una storia che incrocia la condizione della donna e gli innumerevoli tentativi di riforma della chiesa, che spesso sono coincisi con un restringimento della sua ministerialità, ma che dopo tutto, in modi inaspettati e soprattutto trasversali, hanno mantenuto la memoria almeno simbolica di una antica tradizione. Ad una domanda forse ancora oggi dobbiamo rispondere prima di poter entrare nel merito della questione: ogni riforma, almeno medievale, è intervenuta su un preciso modo di essere chiesa e contemporaneamente, nell’attuarsi, ha dato origine ad una nuovo modo di sentirsi chiesa, dalla metafora altomedievale del corpo alla società dei Decretalisti.
Oggi quale chiesa si profila davanti a noi debitrice di quella riforma che ha preso corso con il concilio Vaticano II? Pongo questa domanda certo che ogni progetto di riforma della chiesa appartiene alla tradizione di una chiesa attenta ai segni del suo tempo.
Andrea Grillo Blog Come se non 14 dicembre 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/dibattito-sul-diaconato-femminile-6-la-diaconissa-nella-chiesa-latina-medievale-c-u-cortoni
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DIVORZIO
La pensione di reversibilità al coniuge divorziato.
Corte di Cassazione sez. lavoro, sentenza n. 9054, 5 maggio 2016.
I casi in cui il coniuge divorziato ha diritto alla reversibilità. Ai sensi dell’art. 9 c. 2 L. n. 898/1970, come modificato dalla L. n. 74/1987, in caso di divorzio, l’ex coniuge ha diritto a percepire la prestazione previdenziale di reversibilità qualora sia già titolare di assegno divorzile e non abbia contratto nuove nozze, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio.
Secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità, la titolarità dell’assegno divorzile, quale presupposto per il conseguimento della pensione di reversibilità, deve essere tenuta distinto da altre ipotesi di attribuzione in conseguenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, come la mera erogazione di una somma, anche rateizzata, ovvero il trasferimento di altri beni o diritti, il cui conferimento preclude il riconoscimento per il futuro di una nuova domanda a contenuto economico. La corresponsione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione su accordo delle parti, più precisamente, essendo idonea a regolare stabilmente i rapporti economici tra le parti con soddisfacimento di qualsiasi obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, è incompatibile con ulteriori prestazioni aggiuntive, ivi compresi i trattamenti pensionistici (cfr. Cass. n. 9054/2016).
Se il coniuge assistito concorre con il coniuge superstite, l’attribuzione della pensione di reversibilità avviene per quote in ragione della durata del rapporto matrimoniale. Qualora l’utilizzazione del canone della durata legale dei rispettivi rapporti matrimoniali determini, nel caso concreto, un trattamento iniquo, la giurisprudenza ammette che possa aversi riguardo a criteri aggiuntivi (cfr. ex multis Cass. n. 20079/2004). Tra questi, in particolare, rientrano le condizioni economiche delle parti e l’entità dell’assegno alimentare. Poiché coniuge assistito e coniuge superstite risultano titolari di un pari ed autonomo diritto all’unico trattamento di reversibilità che l’ordinamento previdenziale riconosce al coniuge sopravvissuto, nell’ipotesi di decesso o successive nozze del coniuge superstite, il coniuge divorziato ha diritto all’intero trattamento di reversibilità (eventualmente in concorso con gli altri beneficiari: figli, nipoti, genitori, fratelli). Secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 159/1988, infatti, il coniuge divorziato che abbia ab origine diritto al trattamento di reversibilità è limitato solo quantitativamente dall’omologo diritto spettante al coniuge superstite e ciò che viene suddiviso tra i contitolari è l’entità del trattamento, non già il diritto allo stesso.
Avv. Laura Bazzan news studio Cataldi 12 dicembre 2016 Sentenza
www.tcnotiziario.it/Articolo/Index?idArticolo=339666&tipo=&cat=ULTLAV&fonte=Teleconsul.it%20-%20Ultimissime%20Lavoro
www.studiocataldi.it/articoli/24311-la-pensione-di-reversibilita-al-coniuge-divorziato.asp
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Le famiglie soffrono, il governo dia risposte.
Lettera aperta del Forum a Paolo Gentiloni
Onorevole Signor Presidente,
tutti noi italiani, e Lei in prima persona, ci troviamo davanti a mesi difficili. Abbiamo però un faro di riferimento che ci ha affidato il Presidente Mattarella: l’attenzione privilegiata alle famiglie terremotate.
Ci sentiamo in totale sintonia con questa autorevole indicazione. Crediamo anche che la preoccupazione per le famiglie schiacciate dal terremoto possa essere estesa a tutte le famiglie, che del Paese sono l’architrave e la garanzia per un futuro possibile. Eppure queste famiglie da troppo tempo hanno rinunciato ad investire sul futuro e ad avere figli perché ogni figlio che nasce diventa causa di povertà. Rinunciano anche ad essere famiglia perché separarsi è più conveniente che vivere insieme.
È stato fatto poco finora per invertire questa tendenza suicida. Sono necessarie scelte coraggiose come ad esempio una revisione dell’Irpef sul modello del FattoreFamiglia sul quale le associazioni del Forum da tempo lavorano. Riteniamo anche importante che venga confermata la delega sulla famiglia che rappresenta il punto di incontro tra le istituzioni e le famiglie.
Ma in questa fase le chiediamo soprattutto di fare della famiglia il simbolo di un mandato. Solo se regge la famiglia regge il Paese. La gente comune questo lo sa e chiede al Suo governo un segnale chiaro e forte in tal senso.
Gianluigi De Palo presidente Forum delle associazioni familiari 12 dicembre 2016
http://www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=838
Puglia. Ripartiamo da una seria prevenzione dell’aborto.
Lettera aperta ai componenti la Giunta ed il Consiglio regionale pugliesi.
La recente approvazione delle nuove Linee Guida che consentono negli ospedali pugliesi di indurre farmacologicamente un aborto volontario in regime di day-hospital, sta dando nuovo stimolo al dibattito sulla interruzione volontaria di gravidanza e sulla legge che la regolamenta in Italia ed in Puglia in particolare. E sarebbe un peccato affrontarlo secondo prospettive vecchie, stantie, assolutamente inefficaci; è necessario togliere gli occhiali dell’ideologia e riconsiderare il problema oggettivamente, ed almeno da una duplice prospettiva.
I decenni trascorsi dal 1978, anno di approvazione della legge 194 che legalizzava l’aborto volontario in Italia, sono stati caratterizzati dal progressivo, costante crollo della natalità italiana. Attualmente, nel nostro Paese il numero medio di figli per donna è di 1,35; in Puglia è di 1,25, con la nostra regione che supera solo Molise, Basilicata e Sardegna. Nel 2015, sono nati 31.385 nuovi bambini pugliesi, con un tasso di natalità di 7,7 nati per mille abitanti, contro l’8 per mille nazionale e il 9,7 per mille del Trentino Alto Adige, regione italiana con la più alta natalità.
Negli ultimi 10 anni, in Puglia il tasso di fecondità è sceso del 3%; e se nel 1995 in Puglia si contavano circa 752mila bambini di età compresa tra 0 e 14 anni, nel 2016 se ne contano poco meno di 563mila. In 21 anni, in media, abbiamo avuto 9.000 bambini pugliesi in meno all’anno. Tanti quante le IVG riscontrate in Puglia.
E la costante diminuzione della popolazione femminile in età fertile fa presagire dati ulteriormente peggiori per la natalità dei prossimi anni. Infatti, un altro dato deve preoccupare i decisori politici. Tra il 2001 e il 2015 la Puglia ha perso una popolazione tra 25 e 39 anni pari a 175.000 persone, di cui circa 95.000 donne. Si tratta di una popolazione centrale che costruisce il presente e pone le basi per il futuro (fa figli). Le previsioni al 2025 stimano una ulteriore riduzione di circa 90.000 persone di cui 47.000 donne!
Possibile che la Puglia debba essere una regione esclusa ai giovani? Eppure l’innovazione, lo sviluppo, le nuove opportunità, la società aperta e dinamica si basa su questa fascia di età.
“L’attuale denatalità mette a rischio il welfare italiano”, ha dichiarato il ministro della Salute presentando il suo Piano nazionale per la Fertilità. In altre parole, se non aumenteranno le nascite, in Puglia come in tutta Italia si arriverà alla insostenibilità della spesa pubblica per previdenza, pensioni, assistenza, sanità, scuola…; e numerosi economisti affermano che la crescita della natalità è un fattore fondamentale per la ripresa economica.
In questa prospettiva, urgono politiche di contrasto della denatalità, tra cui l’adozione di misure in grado di prevenire almeno parte dei 9000 aborti registrati annualmente in Puglia. C’è davvero qualcuno che non ritenga doveroso ed assolutamente civile aiutare una donna in difficoltà che porta suo figlio nel grembo, ma desiderosa di farlo venire al mondo, a poterlo fare?
D’altro canto, la stessa ISTAT, nel suo recentissimo report “Condizioni di vita e reddito”, denuncia che oggi in Italia le persone più a rischio di povertà o di esclusione sociale sono proprio le famiglie con un numero di figli superiori a 2, in particolare nel Mezzogiorno, dove la nascita di un figlio in più fa precipitare una famiglia sotto la soglia di povertà.
Questa situazione, tanto contraddittoria quanto drammatica è sotto gli occhi di tutti, e richiede un urgente intervento della politica regionale, in termini di interventi sia nel campo della prevenzione dell’aborto che in quello del sostegno ai nuclei familiari con figli.
Non tutti sanno che del fenomeno aborto non conosciamo le cause reali. La Relazione annuale del ministro della Salute sullo stato di attuazione della legge 194/1978 non contiene indagini sui motivi che inducono le donne a questa drammatica scelta. E non possiamo dare per scontato che il problema sia solo economico
Perché non organizzare una specifica indagine della Regione Puglia, promuovendo poi specifiche azioni preventive? Perché non mettersi a farlo insieme, istituzioni e privato sociale, associazioni, volontariato, ecc.?
Ci sono tante esperienze in atto in tutta Italia, Puglia compresa, che possono raccontare che qualcosa di diverso è possibile. Centri di ascolto e di accoglienza, servizi di aiuto alla vita nascente, a cui le donne, native ed immigrate, possono rivolgersi e ricevere concreta solidarietà: casa, aiuti economici, sostegno nel trovare un lavoro… Nel solo 2015 questi Centri hanno permesso la nascita di 9.000 Bambini ed hanno assistito oltre 30.000 tra gestanti ed altre donne in difficoltà
Ci sono consultori familiari del privato sociale, riconosciuti dalla Regione Puglia come parte del servizio sanitario regionale pubblico integrato, e in attesa di accreditamento (legge regionale 30 del 1977 e poi Piano regionale di Salute del 10.8.2008), ove viene data particolare importanza alla sfera relazionale di una donna, lavorando sulla relazione di coppia, che non di rado è causa del disagio che spinge la donna ad abortire.
La legge 194/1978 prevede la collaborazione fra Istituzioni e privato sociale qualificato per la prevenzione delle IVG e l’accompagnamento delle donne in difficoltà. Il Forum delle Famiglie in Puglia ha già proposto l’istituzione di un Albo regionale di associazioni del privato sociale in grado di offrire interventi qualificati e strutturali.
Anche in Puglia si può fare quanto già avvenuto, ad esempio, in Emilia Romagna, dove Protocolli di intesa fra Comuni, ASL e privato sociale hanno garantito un calo dell’abortività del 9%; dove intese fra Regione, ASL e reti associative ha garantito la possibilità per tante donne in difficoltà, migranti comprese, di avere un punto di riferimento a cui rivolgersi. Per una scelta davvero consapevole, responsabile, e quindi libera. Non per rimanere nella solitudine e rassegnarsi ad essa.
E’ la logica della sussidiarietà, della valorizzazione della società civile, della responsabilità sociale delle famiglie, delle persone, delle associazioni, che vivono anche così la loro cittadinanza attiva.
D’altro canto, è possibile ed urgente individuare interventi di sostegno alle famiglie, specialmente se numerose, a cominciare dall’adozione di quel FattoreFamiglia che, sul piano fiscale come su quello tariffario e di accesso ai servizi pubblici permette di considerare i carichi familiari (figli, anziani, disabili a carico). Non è sufficiente il solo ISEE, poiché non tiene conto in modo adeguato dei carichi familiari.
Sono necessarie azioni per favorire l’occupazione femminile, mantenere al lavoro le donne che vivono la maternità e ne desiderano più di una, premiare la maternità della donna lavoratrice come riappropriazione del “tempo fertile sottratto alla produzione”, quindi azioni per il welfare aziendale, per l’armonizzazione vita lavorativa vita familiare, politiche della città a misura di famiglia (non solo di bambini e anziani).
Sono solo alcuni esempi di azioni possibili, per cui il Forum fa appello a tutti i membri della Giunta e del Consiglio regionale.
Ma è necessario liberarsi della ideologia, e porsi insieme a servizio e della meravigliosa libertà dell’’essere madri e padri.
Il Forum delle Associazioni Familiari di Puglia 15 Dicembre 2016
www.forumfamiglie.org/news.php?news=1024
{La presenza di medici pro live che applichino integralmente l’art. 5 della Legge 194\1978 può ulteriormente prevenire ivg e aborti ripetuti. Ndr}
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
L’analisi. Il Papa, gli 80 anni e la paternità di un figlio
Sabato 17 dicembre il Papa compie 80 anni. Di lui viene spontaneo dire che è come un padre, ma questa sua paternità spirituale nasce dalla consapevolezza di essere, anzitutto, figlio.
«Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo» (1 Cor. 4,15). È parlando di questa paternità di ordine soprannaturale che san Paolo poteva dire ai Corinti di essere loro padre. E se i sacerdoti sono veri padri generativi nell’ordine della grazia, a fortiori lo è colui che chiamiamo “Papa”, che significa “padre”. Non è un titolo onorifico. E certamente questa paternità generativa nell’ordine della grazia è la cifra essenziale e costituiva del sacerdote e papa Francesco.
Ed è proprio l’esercizio di questa paternità, giunta la soglia degli ottant’anni, che non si può dimenticare. «La coscienza d’essere fondati sulla paterna misericordia del Signore, che ci rende figli, ci fonda anche come padri – ha più volte confessato –, è la memoria della grazia, la memoria di cui si parla nel Deuteronomio, la memoria delle opere di Dio che sono alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. È questa memoria che mi fa figlio che mi fa essere anche padre». E in questi annida successore di Pietro abbiamo visto il dispiegarsi di come una “paternità filiale” coincida con il proprium del suo ministero.
Come padre, infatti, egli è testimone e custode della memoria dei tesori della grazia della fede, come padre presiede «alla carità universale». Paternità, generatività e memoria vanno sempre insieme. «La memoria c’invita a recuperare una storia di grazia che, data la nostra condizione di peccatori, è sempre fatta di grazie di misericordia» nella disposizione radicalmente generativa del padre che è quella di chi pensa al bene dei figli e alla sopravvivenza della famiglia. Non bastano pertanto discorsi ma è necessario l’esempio della vita e anche presentarsi come modello. Così come egli, senza artificio, si è posto e continua a porsi. Personalmente, perciò, è anche questo il motivo per il quale continuo a chiamarlo semplicemente “padre”, non certo per continuare con l’appellativo dovuto al religioso di un tempo passato. Del resto la prima volta che feci la sua conoscenza egli si presentò con un semplice «sono padre Bergoglio». Era al telefono, dissi a mio marito che aveva chiamato “un certo padre Bergoglio” e gli feci notare che aveva lo stesso nome del cardinale di Buenos Aires. Mi rispose: «È il cardinale di Buenos Aires». La sera stessa della sua elezione alla Cattedra di Pietro, quando ci chiamò a casa, gli chiesi come avrei dovuto chiamarlo adesso. Mi rispose sereno: «Come sempre».
Da cardinale diceva che nelle parabole evangeliche i padri di famiglia sono caratterizzati in questo modo: sono coloro che sanno sintetizzare il nuovo con il vecchio e sono portatori di un’eredità inalienabile, senza impadronirsene, perché sia feconda. Un padre è quello che non smette mai di vedere nel germoglio di grano, pur indebolito da tanta zizzania, la speranza della crescita, e per questo scende in strada ad aspettare il figlio che l’ha abbandonato, come riferisce Luca nella sua parabola sulla misericordia. «Perché Dio è Padre anche di coloro che arrivano all’undicesima ora». L’essere padre coincide così anche con l’essere autentico vir ecclesiasticus di cui parla Origine in una pagina di De Lubac, che papa Francesco conosce molto bene.
De Lubac ne descrive la fisionomia «come uomo di Chiesa e nella Chiesa», che tiene a «pensare sempre e non solamente con la Chiesa, ma nella Chiesa». Ciò implica insieme una fedeltà più profonda e una partecipazione più intima e, di conseguenza, un atteggiamento più spontaneo: l’attitudine d’un vero figlio. Dove l’intransigenza della fede, l’attaccamento alla tradizione nel vero uomo di Chiesa e nella Chiesa non si mutano mai in durezza, in disprezzo, in aridità di cuore. Non sopprimono in lui il dono della simpatia accogliente e aperta e non lo imprigionano in un fortilizio di atteggiamenti negativi. Si guarda ugualmente dal confondere l’ortodossia o la fermezza dottrinale con la grettezza e la pigrizia mentale. E ricordandosi che il suo compito è quello di «illustrare agli uomini del suo tempo le cose necessarie alla salvezza» ha grande cura di non lasciare che un’idea prenda il posto della Persona di Gesù Cristo. Preoccupandosi della purezza della dottrina è attento a non lasciar degradare al rango di ideologia il mistero della fede. Ed è sua cura lasciare le porte aperte, e non diversamente non vuole imporre oneri troppo gravosi ai neo-convertiti, e questa moderazione, che fu quella dell’apostolo Giacomo al Concilio di Gerusalemme, gli sembra non soltanto più umana e più sapiente, ma anche più rispettosa del disegno di Dio di quanto non lo siano le esigenze di qualche zelota. Sul suo esempio egli rifiuta di farsi ipnotizzare da una sola idea come un volgare fanatico, perché egli crede con essa– e tutta la dogmatica lo dimostra, e la storia delle eresie lo conferma – «che non c’è salvezza fuorché nell’equilibrio», come afferma san Gregorio Nazianzeno. È consapevole che lo spirito cattolico, rigoroso insieme e comprensivo, è uno spirito più caritatevole che litigioso, opposto per principio a ogni spirito di fazione o semplicemente di chi esula, sia che si cerchi di sottrarsi all’autorità della Chiesa sia, al contrario, che si miri ad accaparrarsela. Nemico dello zelo amaro e delle polemiche verbali, sa che lo spirito maligno, dotato di un’arte raffinata per seminare disordine e divisione, è abilissimo nel turbare il corpo della Chiesa sotto il pretesto di discussioni con falsi rigori che velano l’unità profonda anche là dove essa esiste.
A padre Bergoglio non sembrano pesare gli anni che avanzano, anzi, sembra ringiovanito rispetto a prima di essere eletto. Ed è allergico ai bilanci. Solo insiste sulla preghiera: «La preghiera per me è sempre una preghiera “memoriosa”, piena di memoria, di ricordi, anche memoria della mia storia o di quello che il Signore ha fatto nella sua Chiesa… è la memoria della grazia, il richiamare alla memoria i benefici ricevuti… Ma soprattutto io so anche che il Signore ha memoria di me».
Una volta mi indicò di leggere una poesia di Luis Borges della raccolta El oltro, el mismo, dal titolo Everness. Penso che questi versi, sulla soglia dei suoi ottant’anni, valgano anche per lui: «Sólo una cosa no hay. Es el olvido./ Dios, que salva el metal, salva la escoria/ y cifra en Su profética memoria /las lunas que serán y las que han sido./ Ya todoesta…(Solo una cosa non c’è. È la dimenticanza. Dio che salva il metallo e anche la scoria, cifra nella Sua profetica memoriale lune che sono state e quelle che saranno. Tutto è già)». Un padre a ottant’anni non può che continuare a chiedere per se stesso preghiere per il presente, «per le lune che saranno e quelle che sono state», ed esprimere riconoscenza a «Deum qui lætificat juventutem meam». È la preghiera d’ogni istante, nella familiarità con Dio, che rende perenne anche la giovinezza. E come figli, nel vincolo d’amore che ci unisce, le preghiere sono l’unico regalo che gli dobbiamo.
Stefania Falasca Avvenire 15 dicembre 2016
www.avvenire.it/papa/pagine/la-paternita-di-un-figlio
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GENDER
La ricerca. Gender, la ricerca «buona».
Le cosiddette gender theoriesper una volta non c’entrano nulla. Le ricerche presentate ieri al San Raffaele di Milano – ospedale e università – dal neonato Centro interfacoltà per gli studi di genere sono finalizzate al benessere della persona. Non a complicarne la vita con ideologie che servono solo a disorientare. Anzi, i contributi multidisciplinari sono serviti a dimostrare che con la diversità di genere non si scherza. Anzi, proprio il fatto di aver trascurato per troppi anni le peculiarità dell’organismo femminile nella ricerca– soprattutto le sue naturali ciclicità rispetto alla ‘linearità’ maschile – ha finito per determinare terapie inadeguate e anche approcci farmacologici approssimativi. E, a farne le spese sono state soprattutto le donne. Tra maschi e femmine, dal punto di vista anatomico, organico e funzionale, esistono steccati biologici che nessuna ideologia potrà mai colmare. A cominciare dalle cellule, ‘marcate’ in modo indelebile dalla femminilità e dalla mascolinità. E che, proprio per questo, rispondono in modo diverso alle situazioni di crisi. Paola Panina, ricercatrice del San Raffaele, ha portato l’esempio della carenza di zinco – fondamentale per la sintesi di alcune proteine – a cui le cellule femminili reagiscono in modo opposto. Anche la ricerca sull’invecchiamento, in particolare per alcune malattie neurodegenerative, dovrebbe tenere presente le differenze profonde con cui funzionano il cervello della donna e quello dell’uomo. Daniela Perani, docente di psicologia, ha messo in luce l’urgenza di un approccio diversificato nelle ricerche sulle neuroscienze.
Attenzione che diventa addirittura obbligatoria – come ha evidenziato la psichiatra Cristina Colombo – quando si approfondiscono le cause di una malattia prevalentemente femminile come la depressione maggiore (le donne colpite sono circa il doppio degli uomini). Eppure, fino agli anni Novanta, le terapie per le donne partivano da ricerche quasi esclusivamente condotte sugli uomini. Da qui, come ha messo in luce Maria Antonietta Volonté – che al San Raffaele svolge da 30 anni attività clinica – i problemi in cardiologia, con un mortalità femminile che risultava doppia rispetto a quella maschile soprattutto in caso di infarto.
Ma anche gli uomini hanno sopportato conseguenze non trascurabili a causa dell’omologazione della ricerca. Andrea Salonia, urologo, ha fatto il caso della disfunzione erettile, a lungo trascurata. Mentre il pediatra e endocrinologo Gianni Russo ha parlato delle alterazioni dello sviluppo sessuale, malattie rare che potrebbe beneficiare di nuove attenzione con un rafforzamento della ricerca di genere.
Luciano Moia Avvenire 15 dicembre 2016
www.avvenire.it/attualita/pagine/gender-la-ricerca-buona
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MATRIMONIO
Matrimonio: verso l’addio all’obbligo di fedeltà.
La proposta di legge che vuole sopprimere l’obbligo previsto dall’art. 143 del codice civile prosegue il suo cammino parlamentare. Addio all’obbligo di fedeltà tra marito e moglie. È quanto prevede il Disegno di legge presentato nel febbraio 2016 scorso al Senato, (non ancora assegnato) che vede come prima firmataria la senatrice Pd Laura Cantini [ma sottoscritto anche dai colleghi Bencini (Idv) Cirinnà, Borioli, Capacchione, Cardinali, Esposito Fabbri, Lo Giudice, Maran, Maturani, Morgoni, Pezzopane, Puglisi e Rossi (Dem)] e ora assegnato alla commissione giustizia di palazzo Madama.
Il testo (qui sotto allegato) consta di un solo articolo, anzi di una sola riga, in grado di rivoluzionare però l’intero istituto del matrimonio. Nello specifico, mira a modificare l’art. 143, comma secondo, del codice civile in materia di soppressione dell’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi.
Obbligo che, a detta dei firmatari, sarebbe “il retaggio culturale di una visione ormai superata e vetusta del matrimonio, della famiglia e dei doveri e diritti dei coniugi”. La stessa giurisprudenza di Cassazione, ricordano, ha statuito che “il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale” (cfr. Cass. n. 7998/2014).
Inoltre, con l’avvento della legge n. 21/2012, si sottolinea nella relazione al Ddl, è stato superato il “problema annoso della distinzione tra figli legittimi e figli naturali, distinzione odiosa che ha portato il legislatore a prevedere l’obbligo di fedeltà tra i coniugi”. Infatti, l’art. 143 c.c. si spiega ancora, stabilendo tale obbligo si richiama soprattutto alla fedeltà sessuale della donna, “perché fino a non molto tempo fa, solo la fedeltà della medesima era un modo per ‘garantire’ la legittimità dei figli”. Essendo, dunque, oggi questa distinzione superata, può ben superarsi altresì un “obbligo” che non può certo ascriversi, conclude la relazione, “tra i doveri da imporre con legge dello Stato”.
Il modello “unioni civili”. Un passo in avanti in tal senso, spiega la prima firmataria, è stato fatto con le unioni civili che presentano un modello “molto più avanzato che dovrà essere recepito dal codice civile”. Nella legge Cirinnà, infatti, a seguito delle numerose polemiche, è stato tolto dal testo originario, la fedeltà sessuale quale requisito di coppia, in quanto caratteristica esclusiva del matrimonio tradizionale. Ma ciò significherebbe, a detta della Cantini, avere “le corna legali” per le coppie omo ma non per quelle etero.
Sul punto, commentando la presentazione del Ddl, ha preso posizione anche il presidente dell’Ami, l’avvocato Gian Ettore Gassani, secondo il quale invece la fedeltà è un valore laico e deve valere per tutti”. Fermo restando che gli usi e i costumi degli italiani sono notevolmente cambiati, il presidente dei matrimonialisti è convinto che l’obbligo andava previsto anche per le coppie dello stesso sesso mostrandosi critico verso una sua eliminazione totale. “La fedeltà resta una delle ragioni per cui si sta insieme – ha affermato infatti – nel 60% dei casi ci si separa proprio per infedeltà (…) Rimango sfiduciato da questi comportamenti, la fedeltà coniugale non può essere cestinata e lo dimostra il fatto che chi è stato tradito può chiedere il risarcimento del danno morale”.
Marina Crisafi
Disegno di legge S. 2253, alla Presidenza il 24 febbraio 2016. Modifiche all’articolo 143 del codice civile, in materia di soppressione dell’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi.
Art. 1. All’articolo 143, comma secondo, del codice civile, le parole: «alla fedeltà,» sono soppresse.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/972496/index.html
Laura Bazzan news studio Cataldi 12 dicembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/24331-matrimonio-verso-l-addio-all-obbligo-di-fedelta.asp
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OMOADOZIONE
Contro l’orientamento della Cassazione da Milano doppio «no» alla stepchild adoption.
Un passo indietro per la stepchild adoption, la possibilità di adottare il figlio del partner. Dopo l’apertura della prima Sezione della Cassazione di qualche mese fa (sentenza 12962 del 22 giugno 2016),
http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=12973
arriva lo stop del Tribunale dei minorenni di Milano: che, con due sentenze (n. 261, 17 ottobre 2016 e n. 268 del 20 ottobre 2016), ha negato l’adozione del figlio del compagno all’interno di due coppie di fatto, una omosessuale e l’altra eterosessuale.
Le norme. La legge sull’adozione (184/1983), oltre al percorso “ordinario”, disciplina, all’articolo 44, l’adozione «in casi particolari». Tra l’altro, l’articolo 44, comma 1, lettera b), ammette l’adozione del figlio del «coniuge», termine che rende problematica l’estensione alle coppie non sposate. Chi chiede l’adozione del figlio del partner di fatto fa invece appello all’articolo 44, comma 1, lettera d), relativo all’adozione nei casi di «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», aperta, in base all’articolo 44 comma 3, anche a chi non è sposato. www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm
Art. 44. 1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7:
a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi.
3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.
4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.
Né il quadro è mutato dopo l’introduzione (con la legge 76/2016) delle unioni civili per le coppie gay: la legge 76 non interviene sulla citata legge 184 ma si limita a dire che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».
La Cassazione, con la sentenza 12962/2016, ha ammesso la stepchild adoption all’internodi una coppia omosessuale dando un’interpretazione estensiva all’articolo 44, comma 1, lettera d), della legge 184/83. Per i giudici della Suprema Corte, che hanno escluso la richiesta di rinvio del procuratore generale alle Sezioni unite, l’impossibilità di affidamento preadottivo non va qualificata come “impossibilità di fatto” (che impone che i minori si trovino in stato di abbandono), ma come “impossibilità di diritto” (che prescinde dall’abbandono e riguarda casi in cui non ci siano le condizioni per l’adozione ma l’interesse concreto al riconoscimento di un rapporto di genitorialità). Questo perché, secondo la Cassazione, quello che rileva è l’interesse superiore del minore ad avere due genitori.
Le sentenze di Milano. II Tribunale di Milano ha preso le distanze dalla Cassazione con due pronunce contrarie a questo orientamento. Secondo i giudici, lo stato di abbandono è un presupposto imprescindibile per l’adozione nel caso speciale previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera d); né le norme consentono interpretazioni estensive, anche se il contesto sociale è mutato: rappresenterebbero un’intromissione dei giudici nella discrezionalità legislativa.
Così, con la sentenza 261/2016 (presidente Zevola, relatore Brambilla), il Tribunale ha negato a due donne l’adozione “incrociata” delle figlie avute con la fecondazione assistita. Per i giudici, le minori non sono in stato di abbandono in quanto «godono, per quanto concerne il loro accudimento, educazione ed affetto sia delle madri biologiche che delle rispettive compagne»; pertanto la richiesta di adozione-deve essere respinta. Né si può applicare l’articolo 44, comma 1, lettera b), che prevede l’adozione del figlio del coniuge, trattandosi di una coppia di conviventi omosessuali. Il tribunale osserva che la legge usa il termine «coniuge» perché solo il matrimonio presenta un vincolo che comporta «l’instaurarsi di una cornice giuridica nella coppia che ricade come sicurezza anche sul minore».
Con la sentenza 268/2016 (presidente e relatore Zevola), il tribunale ha poi negato l’adozione del figlio della convivente a un uomo che l’aveva chiesta perché il padre biologico del minore, pur in vita, non si era mai occupato né materialmente né moralmente di lui. Anche qui, secondo i giudici, mancando lo stato di abbandono del minore non può darsi luogo all’adozione prevista dall’articolo 44, comma 1i, lettera d). Peraltro, il pubblico ministero, nel suo parere, aveva evidenziato la necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma1i, lettera b), perché consente l’adozione solo al coniuge e non al convivente, anche se la relazione è stabile e duratura. Ma il tribunale non ha accolto la richiesta del procuratore, ritenendo la questione «manifestamente infondata».
Sentenze www.centrostudilivatino.it/adozioni-due-sentenze-controtendenza
https://drive.google.com/file/d/0B3S7QqjH9FbpZHdpclBjQUxWbGM/view
Marisa Malaffino Il Sole 24 0re 12 dicembre 2016
http://www.associazionenazionaleavvocatiitaliani.it/?p=76845
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ONLUS NON PROFIT
L’associazione Onlus è obbligata a presentare dichiarazione dei redditi?
Per le Onlus l’obbligo di dichiarazione non sussiste né per le attività istituzionali né per quelle direttamente connesse, trattandosi di attività de commercializzate.
Le Onlus, dunque, sono tenute alla presentazione della dichiarazione dei redditi solamente nel qual caso debbano dichiarare redditi fondiari e/o redditi diversi.
Non Profit on line 15 dicembre 2016
http://camonl.fotonica.com/viewnews.ashx?ca=27702&id=47355593
http://www.nonprofitonline.it/default.asp?id=510
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PATERNITÀ
Congedo obbligatorio di paternità. Dal 2018 quattro giorni di congedo ai papà
Due giorni da dedicare obbligatoriamente al figlio neonato che dal 2018 diventeranno quattro: così la legge di bilancio cambia le regole sul congedo obbligatorio di paternità per i lavoratori dipendenti. Entro il compimento del quinto mese del bambino il papà dovrà restare a casa ma percepirà una retribuzione piena al 100 per 100.
Per il 2017 la legge si limita a prorogare il beneficio per i papà con le stesse modalità già valide nel 2016: la paternità non sarà alternativa alla maternità di cui beneficia la mamma, avrà una durata di due giorni che possono essere utilizzati anche non il via continuativa e sarà concessa anche ai genitori che adottano un minore. La vera novità scatterà dal 2018, quando il periodo di congedo obbligatorio per i papà salirà a quattro giorni (sempre a stipendio pieno).
Al congedo obbligatorio si aggiunge poi il congedo «facoltativo» previsto dalla legge n. 92/2012: questo periodo aggiuntivo di astensione dal lavoro può essere di uno o due giorni per i padri ma è subordinato alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo di maternità, con conseguente anticipazione del termine finale del congedo post-partum per un numero di giorni pari al numero di giorni fruiti dal padre. La proroga dei due giorni di congedo per il 2017 sarà garantita con uno stanziamento, nella legge di bilancio, di 31,2 milioni di euro che serviranno a coprire gli oneri relativi al 2017 (20 milioni) e anche parzialmente quelli per il 2018, stimati in 41,2 milioni.
I quattro giorni obbligatori che scatteranno nel 2018 sono, però, ancora troppo pochi secondo il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che alcune settimane fa ha lanciato la proposta di estendere a 15 giorni (nel primo mese dalla nascita del figlio) il periodo di astensione dal lavoro per i papà. Secondo Boeri, infatti, questa differenza di trattamento contribuisce alle disparità tra uomo e donna nel lavoro.
In molti altri Paesi europei il congedo di paternità è un diritto già da molti anni:
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In Danimarca ha una durata di due settimane e va fruito entro le prime 14 settimane di vita del bambino;
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In Francia i padri hanno diritto a 11 giorni di congedo di paternità che deve essere fruito entro quattro mesi dalla nascita del bambino;
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In Norvegia il congedo parentale è di 54 settimane, di cui nove sono per la madre (equiparabili al congedo di maternità) e sei sono per il padre (quota papà), mentre le restanti 39 settimane sono un diritto che può essere utilizzato da entrambi i genitori;
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Nel Regno Unito è stato recentemente introdotto un congedo di paternità pari a due settimane delle quali il lavoratore ha facoltà di usufruire in tranche di una settimana, entro 8 settimane dalla nascita del figlio, ricevendo un’indennità fissa o il 90% del reddito medio settimanale, se inferiore;
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In Spagna il congedo di paternità è di 15 giorni consecutivi (cui sono aggiunti 2 giorni in caso di nascite multiple) ed è retribuito al 100 %;
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In Svezia il congedo per i papà è pari a 10 giorni e viene retribuito all’80%;
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In Portogallo i padri hanno diritto a 20 giorni di cui 10 obbligatori;
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In Belgio il congedo obbligatorio dura 3 giorni, mentre quello facoltativo arriva fino a 10.
Francesca Milano il sole 24ore 9 dicembre 2016
www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2016-12-08/dal-2018-quattro-giorni-congedo-papa-190512.shtml?uuid=AD1TXGAC
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POLITICHE FAMILIARI
Politiche familiari al centro dell’azione del nuovo governo
I presidenti nazionali dell’Associazione famiglie numerose scrivono al direttore di “Avvenire”, auspicando che il nuovo governo metta al centro della propria attenzione le politiche famigliari. Di seguito riportiamo integralmente il testo della lettera pubblicata martedì 13 dicembre 2016.
Caro direttore,
in Italia sono 728.849, secondo i dati Istat, le coppie con almeno tre figli conviventi, 128.747 le coppie con almeno 4 figli. A nome di tutte le famiglie numerose italiane, vogliamo “dare la fiducia” al nuovo presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Insieme a una richiesta: metta le politiche familiari al centro dell’azione del nuovo governo. Così potrebbe rinnovare l’antico e grande “patto”, perché aprirebbe alla famiglia le porte della società e dello Stato, riconoscendole una dimensione pubblica e non solo privata.
Anche il più recente report dell’Istat sulla povertà in Italia conferma come la possibilità che una coppia cada in una situazione di povertà relativa o assoluta aumenta in modo rilevante ogni volta che quella coppia decide di generare un figlio. Eppure un Paese che non fa figli è destinato a morire: l’età media della popolazione si alza sempre di più, i nidi e le scuole si svuotano, le spese sociali crescono, il sistema del welfare rischia di andare in tilt, come quello pensionistico e della sanità.
Vorremmo dirgli: “Ci metta la faccia, signor Presidente, inaugurando una stagione di politiche familiari mirate e strutturali, a partire dalla “carta famiglia” già approvata l’anno scorso e non ancora attuata; ma soprattutto mettendo in cantiere una realizzazione progressiva del “Fattore famiglia” che, se applicato alle famiglie dai 4 figli in su, non costerebbe più di mezzo miliardo. Ci sembra la via più semplice e spedita per arrivare a tutte le famiglie. Per questo, visto che leggendo la lista dei suoi colleghi ministri non lo ha annunciato, le chiediamo di dare a un ministro una specifica delega per la famiglia o di nominare un sottosegretario con una esclusiva delega per le politiche famigliari e giovanili. Siamo nell’utopia, signor Presidente, o c’è un margine di possibilità? Noi crediamo, di essere nella realtà: perché c’è un inscindibile rapporto di vita tra il benessere della famiglia e quello del Paese”.
I valori della famiglia li conosciamo e nell’Associazionismo famigliare non mancano persone capaci di svolgere il servizio allo Stato anche come possibili sottosegretari. Noi osiamo indicare il deputato Mario Sberna. E’ una persona competente e onesta, che crede nella famiglia, ed è alieno da ogni favoritismo o discriminazione. Nella situazione odierna sarebbe un grande segno di riconciliazione.
News Ai. Bi. 13 dicembre 2016
www.aibi.it/ita/politiche-familiari-al-centro-dellazione-del-nuovo-governo
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SEPARAZIONE
La pensione di reversibilità al coniuge separato.
I casi in cui il coniuge separato ha diritto alla reversibilità e il suo ammontare. La pensione di reversibilità, ovvero l’erogazione previdenziale riconosciuta ai familiari del lavoratore defunto titolare di trattamento pensionistico, spetta anche al coniuge separato quando l’iscrizione del dante causa all’ente previdenziale sia antecedente alla sentenza di separazione.
Nonostante gli enti previdenziali sovente richiedano quale ulteriore requisito l’assenza di addebito o il riconoscimento dell’assegno alimentare, deve ricordarsi che la giurisprudenza ha da tempo equiparato il coniuge separato per colpa o con addebito al coniuge superstite riconducendo entrambe le fattispecie alla disciplina dell’art. 22 L. n. 903/1965, che prevede quale unico requisito per la reversibilità la sussistenza del rapporto coniugale con il pensionato defunto. Recentemente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di riconfermare tale impostazione precisando al contempo che “la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima” (Cass. Ord. n. 9649/2015).
Il trattamento di reversibilità spetta al coniuge superstite, ancorché separato, nella misura del 60% della pensione percepita dal pensionato deceduto. Se oltre al coniuge vi sono uno o più figli beneficiari, la pensione di reversibilità viene corrisposta, rispettivamente, nella misura dell’80% e del 100%. Qualora il beneficiario sia titolare anche di altri redditi, tuttavia, l’assegno di reversibilità subisce una riduzione pari al 25% per reddito superiore al triplo della pensione minima, al 40% per reddito superiore al quadruplo della pensione minima e al 50% per reddito superiore al quintuplo della pensione minima, così come stabilito dall’art. 1 c. 41 L. n. 335/1995; l’incumulabilità, tuttavia, non si applica in presenza di beneficiari appartenenti al medesimo nucleo familiare.
Il beneficiario della pensione di reversibilità che sia già titolare di un assegno sociale o pensione sociale, perde il diritto alle predette prestazioni di natura assistenziale, di talché a far data dalla decorrenza della pensione di reversibilità queste ultime vengono revocate. La corresponsione della pensione di reversibilità è subordinata alla richiesta del beneficiario. Di conseguenza, il coniuge superstite – separato o meno – che intenda conseguire la prestazione previdenziale deve presentare apposita domanda in qualsiasi momento successivo alla morte del pensionato, valevole anche quale richiesta per i ratei di pensione maturati e non riscossi dal deceduto, con la precisazione che il diritto agli stessi si prescrive nell’ordinario termine decennale.
Laura Bazzan news studio Cataldi 12 dicembre 2016
http://www.studiocataldi.it/articoli/24312-la-pensione-reversibilita-al-coniuge-separato.asp
A quale coniuge o ex convivente spetta l’animale domestico?
Tribunale di Roma, quinta Sezione civile, sentenza n.5322, 15 marzo2016
Non è infrequente che in sede di separazione i due ex coniugi o ex conviventi si trovino di fronte al problema di decidere a chi affidare l’animale domestico a cui sono entrambi affezionati: sul punto si segnala la decisione del Tribunale di Roma.
Il caso: l’attrice, premettendo di avere adottato un cane iscritto a suo nome all’anagrafe canina con regolare microchip quando ancora conviveva con il convenuto, deduceva che a seguito dell’interruzione della convivenza e della relazione sentimentale, aveva portato con sé il cane nella sua nuova residenza. L’ex convivente aveva continuato a vedere il cane, e, nel dicembre del 2011, l’attrice aveva acconsentito che il convenuto tenesse con se il cane nella sua casa di campagna durante il week end; da quel momento però il convenuto decideva di non restituire il cane alla ex, a cui peraltro impediva di vederlo. Pertanto la donna citava in giudizio l’ex convivente per sentire ordinare allo stesso la restituzione in suo favore del cane e per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della condotta illegittima.
Il convenuto si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della pretesa in quanto infondata, dal momento che durante la convivenza si era sempre occupato lui del cane personalmente, assicurandogli le cure e i controlli sanitari necessari; inoltre, per il convenuto, il microchip non attribuiva la proprietà del cane, soprattutto nell’ambito di una famiglia o di una convivenza. Chiedeva quindi l’accertamento in suo favore della titolarità dell’animale nonché, in via riconvenzionale, il rimborso delle spese sostenute per il cane.
Il Tribunale capitolino, evidenziata una lacuna normativa in materia, richiama due pronunce significative sul punto, una sentenza del Tribunale di Foggia e una pronuncia del Tribunale di Cremona: la prima aveva disposto l’affidamento del cane ad uno dei coniugi, concedendo all’altro il diritto di visita, mentre il secondo aveva disposto l’affido condiviso dell’animale ad entrambi i coniugi, con obbligo di contribuire al suo mantenimento nella misura del 50%.
I due tribunali, in mancanza di una normativa ad hoc, hanno applicato per analogia la disciplina riservata ai figli minori, avendo riguardo all’interesse materiale-affettivo dell’animale: peraltro, ricorda il giudice romano, in Parlamento è in attesa di essere approvato l’art. 455-ter c.c., volto a disciplinare l’affidamento degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi.
Pertanto, il giudice, aderendo all’orientamento sopra richiamato, decide anche nel caso in esame per l’affido condiviso dell’animale con divisione al 50% delle spese per il suo mantenimento: dall’istruttoria è emerso che il cane, anche dopo la fine della convivenza dei due “padroni”, ha continuato a vedere alternativamente sia l’una che l’altro e pertanto non vi sono dubbi, per il giudice romano, che il cane sia affezionato ad entrambi, non rilevando al riguardo che le parti in causa non fossero sposati: per il giudice l’affetto dell’animale per entrambe le parti prescinde dal regime giuridico che le legava.
Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, il Tribunale, nel disporre l’affidamento condiviso ad entrambe le parti, prevede che l’animale stia sei mesi con l’una e sei mesi con l’altra, con facoltà per la parte che nei sei mesi non lo avrà di vederlo e ospitarlo, anche di notte, per due giorni alla settimana.
Allegato:
Anna Andreani 16 dicembre 2016 sentenza
http://news.avvocatoandreani.it/allegati/sentenze/Trib-Roma-5322-2016.pdf
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità
XXIV Congresso Nazionale U.C.I.P.E.M. Oristano, 2-4 Settembre 2016
Nel sito web sono pubblicate 8 relazioni del Congresso.
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prof. Giuseppe Anzani La famiglia che cambia in una società che cambia
dr Alice Calori Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione
p. Alfredo Feretti OMI Amoris laetitia: una road map per le relazioni familiari
dr Francesco Lanatà La famiglia crocevia di differenze e opportunità
avv. Rosalisa Sartorel Il diritto di famiglia oggi: dalla potestà alla responsabilità genitoriale, dall’affido congiunto nelle separazioni all’accesso all’origine nelle adozioni
prof. Domenico Simeone Educare alla generatività le coppie e le famiglie
prof. Beppe Sivelli Cercarsi, perdersi, ritrovarsi: il cammino della coppia fra lontananza e vicinanza
prof. Emilio Tribolato Figli in difficoltà tra legami familiari fragili e pressione sociale e mediatica
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=featured&Itemid=101
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UNIONI CIVILI
Celebrazione delle unioni civili: no a discriminazioni rispetto ai matrimoni
Tar Veneto, prima Sezione, ordinanza n. 640, 7 dicembre 2016
Regolamento dell’ente locale – previsioni in tema di luoghi, orari, tariffe – applicabilità anche alle unioni civili.
L’ente locale non può non applicare anche alla celebrazione delle Unioni Civili, le disposizioni regolamentari introdotte per la celebrazione dei matrimoni civili, riguardanti luoghi, orari e tariffe connessi a tali procedimenti.
Segnalazione e massima a cura del dr Giuseppe Buffone
http://news.ilcaso.it/libreriaFile/Tar%20Veneto%2016%20n.%20640%20-%20Unioni%20Civili%20discriminazione%20Sindaci.pdf
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