UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
newsUCIPEM n. 618 – 9 ottobre 2016
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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ABBANDONO DI MINORE Il padre assente paga i danni al figlio dalla nascita.
ABORTO VOLONTARIO Post-aborto: una ferita da guarire.
ADDEBITO Separati in casa, si può tradire.
ASCOLTO DEL MINORE Non passaggio formale del procedimento ma elemento sostanziale
ADOZIONE INTERNAZIONALE E. A. : Come devono accompagnare le coppie adottive all’estero?
AMORIS LAETITIA La recezione di AL: Capitani Coraggiosi a Oran e a Modena.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 18/2016, 5 ottobre 2016.
CHIESA CATTOLICA “La letizia dell’amore”: il cammino delle famiglie a Roma.
CONSULTORI FAMILIARI Serra de’ Conti. Incontri sul valore della prevenzione.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Cremona. Genitori a confronto. Io e mio figlio.
Pescara. La famiglia: un luogo di accoglienza, LR 95/95.
Rimini. Corsi per genitori.
Trento. Un tempo per noi due.
CONVIVENZA MORE UXORIO Come mandare via di casa il convivente.
CORTE COSTITUZIONALE Diritto del genitore “sociale” a mantenere rapporti con il minore.
L’ex partner gay non è equiparabile ai parenti.
Rapporti significavi con non parenti. Interruzione pregiudizievole
DALLA NAVATA 28° Domenica del tempo ordinario – anno C – 9 ottobre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Col nuovo Isee abbattuti i patrimoni nulli: da 70 a 14%.
Comunicato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Per il-forum famiglie azzardato parlare di equità.
Stiamo creando una rete di sindaci che chiede un fisco più equo.
Roma: l’urgenza di sostenere la famiglia.
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA I giovani al prossimo Sinodo nel 2018
No ad indottrinamento gender; accogliere tutti come farebbe Gesù.
GENDER Un libero pensiero critico sull’ideologia del gender.
Lettera a sua santità sul gender. Giancarla Codrignani.
La crociata di Bergoglio contro la teoria gender.
Ma che Gender di crociate
Ma il Papa ha una sua teoria del Gender. Discutiamola
GESTAZIONE PER ALTRI Bimbo con due madri: il sì della Cassazione. Ecco la sentenza.
Trascrizione dell’atto di nascita e coppie dello stesso sesso.
Anche alle madri c’è un limite. La Cassazione ha stabilito 24.
Lecita se garantisce il diritto a ripensamento della madre biologica
GOVERNO Ricostituito l’Osservatorio nazionale sulla famiglia.
Approvati tre Decreti legislativi in materia di unioni civili.
NEGOZIAZIONE ASSISTITA Mozione sulla negoziazione assistita in materia familiare.
PASTORALE FAMILIARE Famiglia, Vallini: da Cristo il dono di un «amore paziente».
SEPARAZIONE Madre paga 150 € per ogni volta che mette i figli contro il padre.
SEPARAZIONE E DIVORZIO Senza testamento cosa eredita l’ex coniuge?
SESSUOLOGIA Uomini e donne: 7 cose in cui grazie a Dio non siamo uguali.
VIOLENZA Quei bambini vittime della violenza sulle donne.
Abuso sessuale: come si dimostra.
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ABBANDONO DI MINORE
Il padre assente paga i danni al figlio dalla nascita.
Tribunale di Cassino, Sentenza n. 832, 15 giugno 2016
Non basta assolvere al dovere del mantenimento, se il padre risulta assente dalla vita del figlio è tenuto al risarcimento del danno fin dalla nascita. Lo ha affermato il tribunale di Cassino, con la recente e interessante sentenza condannando un papà a risarcire alla figlia, naturale, ormai adolescente, 52mila euro a titolo di danno non patrimoniale per non essere stato praticamente mai presente nel corso della sua vita, pur essendo in regola con il pagamento del mantenimento.
A nulla è valso il tentativo di difesa dell’uomo che sosteneva di aver sempre ottemperato agli obblighi di mantenere la figlia, di cui anni prima il tribunale aveva accertato la paternità naturale, ma di non poter trascorrere più tempo con la stessa, sia per i continui impedimenti frapposti dalla madre, sia per il timore che il suo nucleo familiare (moglie e figli) venisse a conoscenza dell’esistenza della figlia avuta con un’altra donna.
Il giudice, infatti, prendendo atto che il padre si era totalmente disinteressato della bambina, muovendosi nel solco dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, accoglieva le richieste della madre (ricorrente), ivi compresa quella di vedersi attribuita una somma forfettaria per il mantenimento della minore per il periodo intercorrente (circa un anno) tra la sentenza di riconoscimento della paternità naturale e il decreto che fissava il mantenimento mensile.
L’obbligo di mantenimento del figlio naturale. Su questo punto, infatti, il tribunale ha affermato che “è noto che l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (cfr. tra le varie, Cass. n. 27653/2011)”. E la sentenza dichiarativa “della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento comportando per il genitore, ai sensi dell’art. 261 c.c., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento”. L’obbligazione, prosegue la sentenza, trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio, ed anzi l’obbligo di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda.
Per cui, “la conseguenza ineludibile è che, anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale”, proprio perché “il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, è sorto fin dalla sua nascita (cfr., da ultimo, Cass. n. 3079/2015)”.
Il risarcimento del danno non patrimoniale. Quanto invece alla richiesta di risarcimento danni per abbandono del minore, la questione si inserisce, afferma il giudice, nella più vasta problematica della responsabilità aquiliana nei rapporti familiari oggetto di una rielaborazione condotta sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali della persona. Da tempo, in merito, la giurisprudenza ha enucleato la nozione di “illecito endofamiliare”, secondo la quale, la violazione dei relativi doveri familiari nel caso in cui la stessa provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. E in tale ambito non può che rientrare il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, che, ha spiegato il tribunale, “determina un’immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela”.
Nel caso di specie, sebbene la minore apparisse serena e con un percorso evolutivo sostanzialmente regolare, ha osservato il giudice, “il Ctu ha sottolineato le possibili problematiche nell’evoluzione della crescita psicologica e quelle, nella vita da adulta, attinenti alla formazione di rapporti sani e durevoli con l’altro sesso”. La bambina ascoltata, fra l’altro, aveva riferito di non aver incontrato il padre non più di 5 volte precisando che non le piaceva stare con lui soltanto per un paio d’ore. È chiaro, dunque, prosegue la decisione, che il padre “è figura sostanzialmente del tutto assente nella vita della figlia e, pur rispettando l’obbligo al mantenimento, si è limitato a vederla in rarissime occasioni, dietro palese sollecitazione del giudice, ma non facendo nulla per instaurare un normale legame affettivo addirittura delegando l’incombenza alle di lui madre e sorella”.
E la privazione della figura genitoriale paterna, quale punto di riferimento fondamentale soprattutto nella fase della crescita, “integra un fatto generatore di responsabilità aquiliana c.d. endofamiliare la cui prova, secondo la S.C., può essere offerta sulla base anche di soli elementi presuntivi, considerando la particolare tipologia di danno non patrimoniale, consistente nella integrale perdita del rapporto parentale che ogni figlio ha diritto di realizzare con il proprio genitore e che deve essere risarcita per il fatto in sé della lesione (cfr. Cass. n. 16657/2014)”.
Per cui, la liquidazione di siffatto danno non patrimoniale non può che essere equitativa stante “l’obiettiva impossibilità o particolare difficoltà di fornire la prova del quantum debeatur” e va liquidata, ha concluso la sentenza in 52mila euro, pari a 4mila euro all’anno dalla nascita ad oggi.
Marina Crisafi Studio Cataldi 4 ottobre 2016 Sentenza in pdf
www.studiocataldi.it/articoli/23585-il-padre-assente-paga-i-danni-al-figlio-dalla-nascita.asp
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ABORTO VOLONTARIO
Post-aborto: una ferita da guarire. Estratto
Psichiatri, sacerdoti e attivisti pro life a convegno alla Lateranense, per affrontare un tema scomodo e ancora poco dibattuto. A quasi quarant’anni dall’approvazione della legge 194\1978, c’è un tabù che grava ancora sull’aborto: la condizione umana e psicologica delle donne che l’hanno praticato e la cura che andrebbe ad esse riservata.
La Pontificia Università Lateranense e il Movimento per la Vita Romano, in una tavola rotonda tenutasi ieri pomeriggio presso l’ateneo, hanno provato a scalfire un muro di silenzio sull’argomento che, salvo pochi dibattiti di segno opposto, sembra al momento incrollabile. In particolare in Italia, dove, a differenza altri paesi – come, ad esempio, quelli scandinavi, dove pure la cultura dell’aborto è evidentemente più radicata – ancora non esiste una letteratura scientifica in merito.
Esistono però, anche nel nostro paese, realtà del no profit e della Chiesa Cattolica che seguono da vicino questo dramma umano e, in particolare, femminile, come ha ricordato il presidente del Movimento per la Vita Romano, Antonio Ventura: tra questi, i Centri di Aiuto alla Vita, la Vigna di Rachele, il Progetto Gemma, il Numero Verde “Fede e terapia”.
Nel suo saluto iniziale, monsignor Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha ricordato in primo luogo il contributo di due amatissimi santi del secolo scorso: San Giovanni Paolo II e Santa Teresa di Calcutta, che, rispettivamente con l’enciclica Evangelium vitae (1995) e al ritiro del Nobel per la Pace (1979), ebbero il coraggio di definire l’aborto espressione della “cultura della morte” e principale “nemico della pace”. (…)
Il punto di vista della Chiesa è stato espresso da monsignor Andrea Manto, direttore del Centro di Pastorale Sanitaria e Incaricato della Pastorale della Famiglia della Diocesi di Roma, e da don Maurizio Gagliardini, responsabile del Numero Verde “Fede e Terapia”. Monsignor Manto, che in sede di confessionale, ha più volte toccato con mano il “dolore” e il rimorso delle donne che hanno abortito, ha spiegato che le tre parole chiave per aiutare le mancate madri a ripartire sono “verità”, “giudizio” e “misericordia”. La verità implica “ammettere la gravità del male dell’aborto”; il giudizio va tuttavia sempre evitato in quanto “spetta a Dio” e rischia di “aggiungere male al male, impedendo a quella donna di diventare, un domani, una madre felice”; la misericordia è invece quella parola che “permette di rinascere”, di non rimanere “prigionieri della morte”, lasciandoci “abbracciare da Lui”.
Da parte sua, don Gagliardini ha ricordato come il “senso di colpa” di chi abortisce vada sempre tramutato in “senso del peccato”, altrimenti “rimarrà sempre una malattia”. Inoltre, ha aggiunto il sacerdote, la perdita della genitorialità produce spesso una ferita paragonabile alla “perdita della patria”, mentre non vanno sottovalutate le conseguenze dell’ “aborto spontaneo”, anch’esso in grado provocare “grande solitudine” e sensi di colpa.
Lo psichiatra Tonino Cantelmi ha ricordato che il rischio di disturbi psicologici sale dell’81%, in caso di aborto, sebbene questo aspetto nei consultori venga regolarmente taciuto. Al tempo stesso, ha puntualizzato, è sempre necessario “prendersi carico della sofferenza di chi abortisce, è un dolore che va ascoltato”. Un altro aspetto significativo è che “due terzi delle donne non ripeterebbero mai l’aborto”.
Hanno chiuso gli interventi la giornalista Rai Benedetta Rinaldi e la presidente del World Women’s Alliance for Life & Family (WWALF), Olimpia Tarzia, manifestando rispettivamente due auspici: un maggiore coraggio nel raccontare storie di aborto e di relativa rinascita anche sulla televisione pubblica, perché, nonostante tutto, la ‘censura’ su questo tema è meno opprimente di quello che sembra; contrastare la cappa ideologica della “cultura della morte”, in particolare le velleità della “biopolitica”, che ambisce a trasferire nelle mani del potere ogni questione legata all’etica della vita.
Luca Marcolivio Zenit 7 ottobre 2016
https://it.zenit.org/articles/post-aborto-una-ferita-da-guarire
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ADDEBITO
Separati in casa, si può tradire.
Tribunale di Treviso prima Sezione civile – Sentenza n. 1406, 26 maggio 2016
Separazione e divorzio: niente addebito per il tradimento se la coppia già non ha rapporti e vive da separati nella stessa casa.
Se il tradimento è sempre causa di addebito – ossia comporta la responsabilità del coniuge per la fine del matrimonio, ciò non vale se la coppia vive già da “separati in casa”. Se infatti marito e moglie hanno, di fatto, già smesso di avere rapporti e la comunione tra i due è cessata da tempo per altre ragioni, l’infedeltà non può essere oggetto di contestazioni. È quanto chiarito dal tribunale di Treviso in una recente sentenza.
La separazione di fatto. La separazione può essere di due tipi: legale e di fatto. La prima – la separazione legale – è quella che viene formalizzata in una sentenza del tribunale o con un accordo firmato davanti ai rispettivi avvocati (la cosiddetta negoziazione assistita) oppure tramite un provvedimento del sindaco (quest’ultima procedura è possibile solo per coppie senza figli e che non abbiano previsto il pagamento del mantenimento). Alla separazione legale si può arrivare o con un accordo spontaneo dei due coniugi (in tal caso si parla di separazione consensuale) o con una causa vera e propria (in tal caso si parla di separazione giudiziale).
La coppia però può decidere di separarsi anche senza necessità di un atto vero e proprio, il che succede di norma quando i due coniugi vogliono solo “prendersi un po’ di tempo” e riflettere. In tal caso, di norma, essi vanno a vivere separati. È quella che si chiama separazione di fatto, le cui conseguenze sono del tutto simili a quelle della separazione legale (solo che, in tal caso, saranno gli interessati a dover dimostrare – senza potersi valere di un documento scritto quale la sentenza – che la comunione tra i due è cessata). La separazione di fatto dimostra che è in atto una crisi. E pertanto è consentito sia l’abbandono del tetto coniugale, sia l’inizio di altre relazioni sentimentali, essendo in tal caso il tradimento non la causa della separazione, ma solo la conseguenza. Entrambi tali comportamenti, dunque, non potranno comportare addebito per la eventuale successiva separazione legale chiesta al giudice.
Tuttavia è ben possibile che si possa avere, sul lato pratico, una separazione di fatto anche sotto lo stesso tetto, dove cioè i coniugi non vanno a vivere separati, ma continuano ad abitare nello stesso immobile. Ogni relazione tra i due è ormai cessata e, quindi, anche i vincoli matrimoniali (obbligo di fedeltà, dovere di assistenza) sono stati irrimediabilmente rotti. Dunque, anche in tale caso, il tradimento è consentito.
Infedeltà: sì al tradimento per le coppie separate in casa. Alla luce di quanto appena detto, è ben possibile che i due coniugi, che vivono da “separati in casa”, possano iniziare nuove relazioni sentimentali, senza che l’uno possa contestare alcunché all’altro. Ovviamente, il giudice deve priva valutare con molto rigore e attenzione il comportamento di entrambi i soggetti, per verificare se vi siano prove effettive che la crisi coniugale fosse già in atto e che la convivenza fosse meramente formale. Solo in tal caso, l’infedeltà non può essere causa di addebito. Se, invece, sebbene le incomprensioni e i reciproci screzi, la coppia risultava ancora rispettare i vincoli del matrimonio, allora il tradimento è ancora fonte di responsabilità e chi lo pone in essere non può poi rivendicare il diritto all’assegno di mantenimento.
Redazione LPT 6 ottobre 2016 La sentenza
www.laleggepertutti.it/135115_separati-in-casa-si-puo-tradire
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ASCOLTO DEL MINORE
Ascolto del minore non è mero passaggio formale del procedimento ma elemento sostanziale.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 18846, 26 settembre 2016.
No al rientro della minore assegnata al padre residente negli Stati Uniti se la figlia si oppone in sede di audizione. Infatti la chiara e univoca manifestazione di diniego della bambina, che costituisce condizione ostativa al rientro, non può essere disattesa dal giudice italiano senza procedere a un autonomo approfondimento istruttorio a fronte, soprattutto, di un quadro paterno non privo di criticità
Avv. Renato D’Isa 7 ottobre 2016 sentenza
https://renatodisa.com/2016/10/07/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-26-settembre-2016-n-18846
Qualora sia necessario ricorrere all’ascolto del minore, tale strumento va considerato appieno nella sua interezza e non va esperito esclusivamente come passaggio formale e propedeutico al raggiungimento della decisione finale. Una madre, contrariamente alle disposizioni del tribunale, protraeva sine die il periodo di vacanza della figlia, in custodia al padre negli Stati Uniti, presso di sé in Italia. La bambina infatti, dichiarava di non voler tornare dal padre.
Il padre agiva pertanto contro l’ex moglie attivando le tutele per i casi di sottrazione internazionale di minore. La donna però adduceva le motivazioni insite nell’art 13 della Convenzione dell’Aja, (fondati rischi per il minore di pericoli fisici o psichici o di trovarsi in situazioni intollerabili). Il padre negava tali rischi, ma ammetteva problemi di alcoolismo, parafilia, pornografia e sfruttamento della prostituzione.
L’oggettiva sussistenza di problematiche del padre quali alcolismo, sfruttamento della prostituzione (reato per il quale l’uomo avrebbe di lì a breve dovuto scontare una condanna in carcere di almeno sei mesi), la decisa opposizione della bambina al rientro col padre, nonché i noti comportamenti abusanti dell’uomo nei confronti dell’altra figlia, hanno fatto sì che la Suprema Corte considerasse appieno le dichiarazioni della minore come frutto di consapevole volontà e che ritenessero le stesse come meritevoli di ulteriori indagini e verifiche.
www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506519/ascolto-del-minore-non-e-mero-passaggio-formale-del-procedimento-ma-elemento-sos.html
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Euroadopt: “Gli enti autorizzati come devono accompagnare le coppie adottive all’estero?”
Parola d’ordine: fare in modo che i genitori adottivi e i bambini si sentano sempre al sicuro e abbiano fiducia nell’adozione internazionale, anche in situazioni e contesti complessi. A questo principio fondamentale sono ispirate le linee guida per i referenti all’estero degli enti autorizzati membri di Euroadopt. A elaborare il documento con le linee di indirizzo è stato proprio il network di oltre 20 enti autorizzati europei, di cui Amici dei Bambini fa parte da più di 20 anni.
Ai.Bi. è una delle due organizzazioni italiane che fanno parte di Euroadopt (l’altra è il Ciai) e, da giugno 2016, un suo rappresentante – il referente per le adozioni internazionali della sede nazionale Michele Torri – è uno dei 15 componenti del Consiglio di Euroadopt, l’organo governativo della rete di enti europei che comprende, oltre al presidente del network, un rappresentante per ciascuno dei 14 Paesi di provenienza degli enti autorizzati che compongono Euroadopt.
Le linee guida stabiliscono gli standard minimi, in termini di responsabilità ed esigenze, che i referenti all’estero degli enti devono assicurare per poter garantire un efficace accompagnamento degli aspiranti genitori adottivi all’incontro con i loro figli. Euroadopt afferma innanzitutto che “le sedi centrali degli enti sono responsabili del lavoro dei propri rappresentanti” e che, attraverso di essi, devono trasmettere la loro etica e i loro valori e principi. “Allo stesso tempo – precisa – dobbiamo capire e rispettare il contesto in cui i referenti vivono e lavorano”.
Il rappresentante all’estero è di fatto “il braccio operativo” dell’ente e deve quindi rispettarne gli standard e le regole. Allo stesso modo, la sede centrale deve garantirgli sempre i mezzi per poter svolgere i suoi compiti in modo adeguato, dal punto di vista etico, professionale, economico e tecnico.
Quali sono i requisiti di base di cui il referente all’estero deve essere dotato per poter efficacemente accompagnare le coppie nel percorso adottivo? Euroadopt li elenca in alcuni punti. Il rappresentante dell’ente deve innanzitutto possedere un’alta integrità e una fedina penale pulita. Deve conoscere bene la lingua del posto e avere competenze di contabilità e di “diplomazia”, per riuscire a fare “da ponte” tra due diverse realtà culturali e legislative. Senza dimenticare l’esigenza di dimostrare sempre pazienza ed empatia, facendo sentire le coppie e i bambini presi per mano e condotti in sicurezza verso la conclusione delle procedure adottive.
Le linee guida prevedono anche la possibilità che, nei Paesi di origine dei minori, sia necessario usufruire di specifici servizi forniti da personale esterno all’ente: avvocati, traduttori, pediatri, autisti. Anche in questo caso, il rappresentante dell’ente non lascia la coppia al suo destino, ma è chiamato a verificare che anche queste persone siano le più appropriate per svolgere il compito per cui vengono contattate.
Un accenno anche agli aspetti finanziari. Con le linee guida, Euroadopt raccomanda che la remunerazione del referente all’estero sia fissata in base alle norme etiche del network e che sia “ragionevole in relazione al livello dei costi del Paese in cui il rappresentante opera”.
Ai. Bi. 04 ottobre 2016 www.aibi.it/ita/euroadopt-come-devono-essere-accompagnate-le-coppie
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AMORIS LAETITIA
La recezione di Amoris Laetitia (/1): Capitani Coraggiosi a Oran e a Modena
A circa sei mesi dalla presentazione ufficiale di AL (8 aprile-8 ottobre 2016), inizio con questo post una piccola rassegna di ciò che possiamo chiamare prima recezione di Amoris Laetitia.
Voglio cominciare con due interventi molto significativi, di due bravi pastori, i Vescovi di Oran e di Modena-Nonantola, che hanno preso sul serio non solo la sfida di Amoris Laetitia, ma anche il compito di mediarla nella loro diocesi e nella Chiesa di oggi.
Sul numero di “Concilium” che esce in libreria in questi giorni troviamo un gustoso articolo a firma di Mons. Vesco, dal titolo: Papa Francesco ha fatto opera di tradizione…
Vedi news Ucipem n. 616, 25 settembre 2016, pag. 3
Su Amoris Laetitia (“Concilium“, 52 [2016/] 145-149). Il testo, nella sua incisiva brevità, si segnala per una serie di considerazioni che possiamo ritenere esemplari. Le presento in sintesi, con alcune importanti citazioni:
AL è “opera di tradizione”. Nonostante il “silenzio assordante” con cui AL viene spesso recepita – sia da coloro che la temono come troppo, sia da coloro che snobbano come troppo poco – Mons. Vesco, che per formazione è avvocato e per vocazione domenicano, identifica la strada percorsa da AL come diversa da una “nuova legge generale” sulla materia familiare: essa deve essere riletta piuttosto spogliandosi della pretesa di “definirla astrattamente”. Ogni elemento della tradizione cristiana e cattolica – dalla Scrittura fino a Familiaris Consortio – deve essere integrato con cura all’interno di questa rilettura, ma senza la pretesa che un punto costituisca, di per sé, la soluzione definitiva delle questioni.
La evoluzione e la rivoluzione è interna alla tradizione. “Si introduce un elemento totalmente innovatore: la messa in conto del carattere irreversibile di situazioni matrimoniali e familiari «che non permettono di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa» (AL 301). Dal momento che «nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del vangelo» (AL 297), questo carattere definitivo di una situazione non può più essere de facto un ostacolo insormontabile al sacramento della riconciliazione. C’è qui una vera evoluzione o rivoluzione rispetto alla esortazione apostolica Familiaris consortio: una persona può ormai trovarsi in una situazione oggettiva di peccato e avere peraltro la possibilità di ricevere il sacramento della riconciliazione a condizione, certo, che il carattere oggettivamente irregolare della sua situazione sia da lei riconosciuto, che ci sia stata una elaborazione in funzione della verità e che la contrizione sia reale.” (AL 147-148)
Oltre ogni tradizionalismo. “Partendo da una posizione magisteriale che deriva dalla tradizione della chiesa e sulla quale egli si basa, avendo convocato due sinodi al fine di permettere un dibattito il più ampio possibile, papa Francesco fa legittimamente opera di tradizione riproponendo l’incitamento di san Giovanni Paolo II a distinguere tra le situazioni individuali fino a permettere di aprire, per alcune di esse, al sacramento della riconciliazione e dunque all’accesso alla comunione eucaristica. E ciò senza obbligo di una previa separazione o senza obbligo di vivere «come fratello e sorella».” (AL 148).
Le nuove responsabilità dei presbiteri. “Quindi, dopo la lettura di questa esortazione, non sarà più possibile a un prete rispondere in coscienza a una persona divorziata risposata: «Mi perdoni, ma a causa della sua situazione matrimoniale io non sono autorizzato a raccogliere la sua confessione». Gli occorrerà oramai entrare con quella persona nella singolarità della sua storia, prendere attò della coscienza che lei ha delle sue responsabilità nella situazione sua propria e delle eventuali possibilità di fare evolvere questa situazione, farsi carico del lavoro di riconciliazione e, all’occorrenza, della riparazione che è stata intrapresa.” (AL 148).
Il ruolo della dottrina. “In fondo, prima che la dottrina in sé, ciò che cambia radicalmente è il posto stesso della dottrina nella relazione tra una persona e Dio. […] In Amoris laetitia, come in tutto il suo magistero, papa Francesco riafferma che la chiesa non è in primo luogo dottrinale – e ciò cambia molto nel suo rapporto con il mondo. Egli chiama a una rivoluzione dello sguardo e ci invita ad avere lo stesso sguardo che Gesù aveva per le persone che incontrava. È così semplice. E pure esigente.” (AL 149)
Una lettera pastorale di Mons. E. Castellucci (Arcidiocesi di Modena-Nonantola). Accanto a questa recezione aperta e sincera del testo di AL, ci sono i primi segni di una recezione “organica” e “strutturale” del testo della Esortazione a livello di vita diocesana. Forse il primo ad aver fatto un passo compiuto tanto importante è Mons. Erio Castellucci, che ha scritto un documento di 64 pagine dal titolo: E’ il Signore che costruisce la casa. “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare” (AL 325). Il testo si può scaricare accedendo a questo link:
www.webdiocesi.chiesacattolica.it/pls/cci_dioc_new/bd_edit_doc_dioc_css.edit_documento?p_id=953821&p_pagina=2781&rifi=&rifp=&vis=4
Si tratta della prima lettera pastorale di un Arcivescovo che è integralmente destinata alla “traduzione” della Esortazione Apostolica nella vita diocesana. Per questo ha un valore esemplare che merita una grande attenzione. Avrò modo di tornare su questo testo importante, ma per ora mi limito a indicarne le caratteristiche peculiari e la struttura, anche riportando alcune citazioni del testo.
Un impianto “domestico”. Tutto il senso della “pastorale familiare” viene tradotto in una esperienza di “casa”. Se scorriamo l’indice troviamo questa sequenza: I. Una casa di grandi dimensioni, II. Una casa in costruzione, III. Una casa in restauro, IV. Una casa dalle fondamenta e struttura solide, V. Una casa aperta alla comunità civile e religiosa.
Questo impianto ha anche caratterizzato la preparazione del documento, che ha coinvolto tutte le istanze della diocesi, passando attraverso una Tre giorni, nel giugno 2016. Il grande obiettivo è questo:
“La Chiesa “in uscita”, e non arroccata su se stessa, che il Papa prospetta nella Evangelii Gaudium è una comunità non tanto che va “per strada”, ma che “fa strada” con le persone, prendendole per mano dal punto in cui sono verso la meta. Noi desideriamo “fare strada” con le famiglie, perché siano le famiglie stesse a prendere per mano le altre famiglie – assumendone le fragilità materiali, affettive, morali e spirituali – e incoraggiarle a camminare verso il Signore.” (5).
La tensione alla “recezione”. Il testo è tutto orientato a comprendere e tradurre il movimento che in AL è iniziato. Non dal nulla, ma da qualcosa di già esistente, che deve essere riorientato, riorganizzato e ripensato. “Siamo chiamati a passare da una pastorale della perfezione a una pastorale della conversione: dove la meta, la dottrina, rimane la stessa, ma viene evidenziata la necessità di accompagnare verso la meta e non di sedersi alla meta per additare la posizione di chi sta camminando per strada.” (5). “L’esortazione apostolica “è un documento del “sì”, dove anche i “no” – come quelli detti con chiarezza all’individualismo, alla libertà sfrenata, al narcisismo, all’ideologia del gender, e a tutte quelle impostazioni che connotano la cultura del relativismo (cf. AL cap. II) – vengono pronunciati per fare risaltare la bellezza e la purezza dell’amore, degli affetti, della sessualità, del matrimonio e della famiglia.” (8).
Una accurata articolazione della cura pastorale. E’ davvero impressionante come il “piccolo Sinodo di Modena” abbia saputo elaborare nel dettaglio una serie di “piste”, “uffici”, “referenti”, che si trovano elencati con minuziosa precisione nei cap. II-III, dedicati alla “costruzione” della casa o al suo “restauro”, continuamente interrotti dalla segnalazione di uffici o gruppi che si dedicano a seguire un aspetto particolare della fisiologia o della patologia familiare.
Il lento lavoro di assimilazione dei nuovi principi. Nel terzo capitolo della lettera si prevedono tutti i casi in cui coloro che vivono condizioni “incomplete” di appartenenza ecclesiale possono rimediare: “Se viene stabilito che il precedente matrimonio è valido, rimane la possibilità di accettare una condizione di partecipazione alla vita ecclesiale che non si esprima anche nella comunione eucaristica – e in questo caso è interamente valido quanto era stato stabilito in precedenza ed è stato sopra ricordato – oppure di intraprendere un percorso che possa sfociare nel riaccostamento alla comunione eucaristica, pur permanendo la situazione di convivenza non sacramentale; possibilità, questa, che rappresenta una novità della AL, approvata con stretta maggioranza dai padri sinodali. Papa Francesco preferisce utilizzare anche in questa situazione la categoria di completo/incompleto, anziché quella di regolare/irregolare. La prima risponde all’idea del tempo, la seconda all’idea dello spazio.” (35). “Papa Francesco vuole aiutarci a capire che anche le situazioni incomplete possono camminare verso una completezza, perché nessuno deve essere escluso per sempre finché cammina su questa terra.” (36).
La “parrhesia” disciplinare e dottrinale. Il respiro storico dello sguardo appare qui di grande lungimiranza: “In fondo la situazione di oggi presenta aspetti simili a quella che si era creata nel V-VI secolo d.C., quando il sacramento della penitenza si poteva ricevere una sola volta nella vita e molti non potevano ricevere l’eucaristia: o perché ancora catecumeni e quindi non ancora battezzati, o perché avevano compiuto grossi peccati dopo il battesimo, o perché erano in cammino penitenziale verso l’assoluzione sacramentale, o infine perché, avendo già ricevuto l’unica possibile assoluzione, erano caduti di nuovo in un peccato grave. La comunità considerava queste persone “fratelli”, pregava per loro e li accompagnava in un percorso al proprio interno. In quella situazione di stallo la Chiesa, attraverso l’introduzione graduale della penitenza ripetibile, decise di adattare meglio la disciplina penitenziale alla mutata situazione pastorale.” (39-40).
Ma della casa si parla anche in rapporto alle sue “fondamenta” e alle sue stanze poco visitate, alle cantine e agli angoli dimenticati. (Cap. IV). A tutto questo dovrebbe essere aggiunto anche l’ultimo capitolo della Lettera (cap. V), dedicato alla “apertura” della casa alla comunità civile e religiosa, dove il tema del rapporto famiglia, città e stato è svolto con lucidità e garbo. Sono solo alcuni spunti di un testo ampio, articolato e dettagliato, sul quale dovremo tornare, ma che attesta con piena evidenza l’inizio di una recezione ufficiale e promettente della Esortazione Apostolica AL. Un ottimo esempio di “vigilanza episcopale”, di quel vigilare che non tema il futuro di Dio, ma lo attende e lo prepara.
www.cittadellaeditrice.com/munera/la-recezione-di-amoris-laetitia-1-capitani-coraggiosi-a-oran-e-a-modena
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CHIESA CATTOLICA
“La letizia dell’amore”: il cammino delle famiglie a Roma estratto
(…) Intanto però, anche a Roma, nella diocesi di cui Francesco è vescovo, delle linee guida ufficialissime su come interpretare e applicare “Amoris laetitia” ci sono. Sono state rese pubbliche dal cardinale vicario del papa Agostino Vallini, che ne ha dato lettura solenne il 19 settembre 2016 nella cattedrale di San Giovanni in Laterano. Non c’è stata in questo caso, che si sappia, la lettera d’encomio del papa. Ma è impensabile che il cardinale vicario della diocesi di Roma abbia ufficializzato queste linee guida senza che il titolare supremo della diocesi le abbia prima lette e approvate. Oggi sappiamo dunque con certezza qual è l’interpretazione di “Amoris laetitia” che lo stesso Francesco autorizza nella sua diocesi. È appunto quella che si legge nelle 17 pagine del testo firmato dal cardinale Vallini, integralmente pubblicato sul sito ufficiale del vicariato di Roma. Relazione ai sacerdoti di Roma 19.9.2016 pdf www.vicariatusurbis.org/?page_id=146
Sono linee guida che ripercorrono i principali passaggi dell’esortazione postsinodale. Ma è soprattutto sul fatidico capitolo ottavo che si dilungano, quello che riguarda i divorziati risposati “legati da un precedente vincolo sacramentale”.
La prima indicazione che il cardinale vicario Vallini dà è di “mettere a loro disposizione un servizio d’informazione e di consiglio in vista di una verifica della validità del matrimonio”, avvalendosi delle nuove e più rapide procedure che il papa ha introdotto nei processi canonici di nullità. Ma se “la via processuale non è percorribile, perché il matrimonio è stato celebrato validamente ed è naufragato per altre ragioni, dunque la nullità matrimoniale non può essere né dimostrata, né dichiarata”, ecco aprirsi i percorsi tratteggiati da “Amoris laetitia “. Il primo passo da compiere – dice il cardinale – è “un lungo ‘accompagnamento’ nella linea del principio morale del primato della persona sulla legge”.
Dopo di che Vallini prosegue testualmente così, nei punti quinto e sesto del capitolo quarto della sua relazione: “Il passo successivo è un ‘responsabile discernimento personale e pastorale’ (AL, 300). Per esemplificare: accompagnare con colloqui periodici, verificare se matura la coscienza di ‘riflessione e di pentimento’, l’apertura sincera del cuore nel riconoscere le proprie responsabilità personali, il desiderio di ricerca della volontà di Dio e di maturare in essa. “Qui ogni sacerdote ha un compito importantissimo e assai delicato da svolgere, evitando il ‘rischio di messaggi sbagliati’, di rigidità o di lassismo, per concorrere alla formazione di una coscienza di vera conversione e ‘senza mai rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio’ (AL, 307), secondo il criterio del bene possibile.
“Questo discernimento pastorale delle singole persone è un aspetto molto delicato e deve tener conto del ‘grado di responsabilità’ che non è uguale in tutti i casi, del peso dei ‘condizionamenti o dei fattori attenuanti’, per cui è possibile che, dentro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o non lo sia in modo pieno – si possa trovare un percorso per crescere nella vita cristiana, ‘ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa’ (AL, 305).
“Il testo dell’esortazione apostolica non va oltre, ma nella nota 351 si legge: ‘In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti’. Il papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni [la sottolineatura è nel testo della relazione – ndr]. Papa Francesco sviluppa il magistero precedente nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura. Egli afferma che dobbiamo percorrere la ‘via caritatis’ di accogliere i penitenti, ascoltarli attentamente, mostrare loro il volto materno della Chiesa, invitarli a seguire il cammino di Gesù, far maturare la retta intenzione di aprirsi al Vangelo, e ciò dobbiamo fare avendo attenzione alle circostanze delle singole persone, alla loro coscienza, senza compromettere la verità e la prudenza che aiuteranno a trovare la giusta via.
“È importantissimo stabilire con tutte queste persone e coppie una ‘buona relazione pastorale’. Vale a dire, dobbiamo accoglierle con calore, invitarle ad aprirsi a partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, ai gruppi di famiglie, a svolgere qualche servizio, es. caritativo o liturgico (coro, preghiera dei fedeli, processione offertoriale). Per sviluppare questi processi è quanto mai preziosa la presenza attiva di coppie di operatori pastorali e gioverà molto anche il clima della comunità. Queste persone – dice il papa – “non devono sentirsi scomunicate, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa” (AL, 299).
“Non si tratta di arrivare necessariamente ai sacramenti, ma di orientarle a vivere forme di integrazione alla vita ecclesiale. Ma quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, ‘Amoris laetitia’ non esclude la possibilità di accedere alla penitenza e all’eucarestia. Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc.
“Come dobbiamo intendere questa apertura? Certamente non nel senso di un accesso indiscriminato ai sacramenti, come talvolta avviene, ma di un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Chi può decidere? Dal tenore del testo e dalla ‘mens’ del suo Autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno. Infatti il foro interno è la via favorevole per aprire il cuore alle confidenze più intime, e se si è stabilito nel tempo un rapporto di fiducia con un confessore o con una guida spirituale, è possibile iniziare e sviluppare con lui un itinerario di conversione lungo, paziente, fatto di piccoli passi e di verifiche progressive.
“Dunque, non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata. In questi casi non termina il cammino di discernimento (AL, 303: ‘discernimento dinamico’) al fine di raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno”.
“Una qualche apertura” dunque c’è in ” Amoris laetitia ” rispetto al magistero precedente, sostiene il cardinale vicario con l’evidente assenso del suo diretto superiore. Non si tratta però – egli fa notare – di un’apertura indiscriminata. Riguardo all’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati “il papa usa il condizionale” – sottolinea il cardinale – perché esso diventa “fattibile” solo in casi rari e ben ponderati. Cioè solo dopo “un cammino di fede lungo, sincero e progressivo” che arrivi al proposito della coppia divorziata e risposata di “vivere in continenza”. Se poi i due cominciano a vivere effettivamente come fratello e sorella, nulla cambia rispetto alla “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II, che a questa condizione già ammetteva la comunione sacramentale.
Ma se invece la continenza si rivela “difficile da praticare per la stabilità della coppia”? È qui che interviene la novità introdotta da papa Francesco, il quale anche in questo caso – fa notare il cardinale vicario – “non esclude la possibilità di accedere alla penitenza e all’eucarestia”. Di nuovo, però, non in forma indiscriminata. Ma solo quando il confessore, esaminato a fondo il singolo caso, la autorizza. Scrive infatti Vallini rimandando al pensiero del papa: “Dal tenore del testo e dalla ‘mens’ del suo Autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno”. In altre parole: “Non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata”. Fermo restando che nemmeno in questi casi termina “il cammino di discernimento”, che deve anzi proseguire al fine di “raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno”.
Non stupisce dunque che, all’udire queste indicazioni del cardinale vicario, alcuni preti della diocesi di Roma abbiano lamentato che fossero “troppo restrittive”. Perché effettivamente il cardinale ha sottoposto a tali e tante condizioni il “sì” alla comunione per i divorziati risposati da renderlo applicabile solo in rarissimi casi, oltre a quello del “vivere in continenza”. Con in più il monito che l’eventuale autorizzazione deve essere data solo “in foro interno” e che l’accesso ai sacramenti deve avvenire “in maniera riservata”.
Da tutto ciò si possono ricavare due osservazioni.
La prima è che papa Francesco ha dato finora libero corso non a una ma a due interpretazioni di ” Amoris laetitia ” approvate da lui personalmente: quella dei vescovi argentini della regione di Buenos Aires e quella del suo vicario per la diocesi di Roma. Quella argentina facilita di più l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, mentre quella romana molto meno. Se ne può quindi dedurre che per papa Francesco l’interpretazione di ” Amoris laetitia ” esposta dal cardinale Vallini con tutti i crismi dell’ufficialità sia la soglia minima sotto la quale non si può scendere, a meno di tradire la sua volontà. Mentre quella argentina, più “aperta”, è la soluzione a lui più congeniale. Tant’è vero che l’ha premiata con una lettera di plauso, nonostante si tratti solo di una traccia per ulteriori integrazioni e applicazioni su scala diocesana, anzi, forse anche per questo suo titolo di merito.
La seconda osservazione è che i fatti sono spesso più forti delle parole. E che quindi tutte le condizioni e le precauzioni richiamate ad esempio dal cardinale Vallini possono essere travolte – e in realtà lo sono già in molti luoghi – da comportamenti pratici che vanno ben al di là di esse. Una volta che ” Amoris laetitia” ha aperto il varco, infatti, è difficile che la comunione ai divorziati risposati resti confinata al “foro interno” e avvenga “in maniera riservata”. Sull’autorevole rivista “Il Regno” il presidente dei teologi moralisti italiani Basilio Petrà ha addirittura già teorizzato come “non necessario” l’affidarsi al sacerdote e al foro interno sacramentale, cioè alla confessione, per “discernere” se un divorziato e risposato può fare la comunione. (15 aprile 2016).
www.dehoniane.it/control/ilregno/articoloRegno?idArticolo=992774
Sandro Magister Chiesa espressonline 4 ottobre 2016
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351383
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF N. 18/2016, 5 ottobre 2016
Un sinodo da approfondire, non da archiviare. Pietro Boffi – CISF
Esattamente un anno fa, il 4 ottobre 2015, si apriva il secondo dei due Sinodi sulla famiglia indetti da papa Francesco, che si sarebbe poi concluso il 25 dello stesso mese con l’approvazione a maggioranza di tutte le proposizioni del Documento finale a cui ha fatto seguito l’esortazione apostolica Amoris laetitia.
Segnaliamo queste date non semplicemente per farne oggetto di ricordo, né tantomeno di una valutazione conclusiva: al contrario, è più che mai tempo di riflessione, di studio, di approfondimento non solo e non tanto delle questioni disciplinari e canonistiche più controverse, che sono state nell’immediato abbondantemente enfatizzate dai mass media, per essere poi rapidamente accantonate. L’oggetto della riflessione, secondo quanto ci chiede lo stesso papa Francesco, è la famiglia a tutto tondo, nei suoi risvolti teologici, sociali, culturali, antropologici.
Per questo, oltre ad offrire una breve selezione di testi significativi nella consueta rubrica “Ultimi arrivi dalle case editrici”, riproponiamo all’attenzione di quanti ci seguono attraverso questa newsletter un corpus di dodici agili ma qualificati volumi, che il Cisf ha predisposto in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per la pastorale familiare della CEI e l’editrice San Paolo.
Nell’insieme, la collana – denominata Questioni di famiglia – rappresenta un formidabile strumento formativo per chi desidera avere un’idea su tutte le principali questioni che ruotano attorno al “pianeta famiglia”; singolarmente preso, ogni volume può costituire un buon punto di riferimento per le specifiche questioni che gli operatori della famiglia si possono trovare ad affrontare. E allora, per continuare ad approfondire e a celebrare la gioia dell’amore, buona lettura!
I principali temi affrontati nella collana: la famiglia nel magistero e nella Bibbia; la pastorale familiare e l’attenzione alle famiglie ferite; l’educazione in famiglia e a scuola; amore e sessualità; accoglienza della vita; la famiglia nella società; le sfide dei media, dell’immigrazione, dei nuovi sviluppi legislativi.
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A bocce ferme, cosa resta dopo il Fertility Day Francesco Belletti, Cisf
Il Fertility Day è stato promosso a fronte di una crescente diminuzione della fertilità biologica, frutto di una serie di motivi eterogenei. C’è però anche una “infertilità sociale”, un blocco della “voglia di generare”, che ha determinato una vera e propria “era glaciale demografica, che sta diventando sempre più fredda”.
Come affrontare il problema, ben oltre le polemiche – spesso pretestuose – attorno al Fertility Day? Un commento del Direttore del Cisf.
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Di ritorno dall’Azerbaigian papa Francesco torna sul tema del gender, richiamando tutti alla necessità di quel doppio “movimento” di accoglienza della persona e di giudizio sulla colonizzazione ideologica”
“Una cosa è che una persona abbia questa tendenza o questa opzione, o anche chi cambia il sesso. Un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche” […] Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a dire che tutto è lo stesso: ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi”.
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Premio Nazionale Insegnanti: L’Italia istituirà un Premio nazionale degli insegnanti, con una iniziativa del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in analogia con il Global Teacher Prize’, premio internazionale divenuto noto come ‘Nobel’ dei docenti. Presentazione delle candidature entro il 18 ottobre 2016.
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“Vuoi scoprire qualità nascoste nella tua coppia?” IX campagna di prevenzione della crisi di coppia organizzata da AAF – Associazione Aiuto Famiglia Onlus, ottobre-novembre 2016, in tutta Italia con 300 psicologi (a titolo gratuito), in ogni provincia italiana.
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Dall’estero. Temi bioetici nelle presidenziali americane. In vista delle imminenti elezioni presidenziali USA, l’Hastings Research Center, specializzato in questioni bioetiche, ha realizzato un’interessante comparazione delle posizioni dei due candidati, Hillary Clinton e Donald Trump (e dei partiti democratico e repubblicano), su una serie di questioni eticamente sensibili, dall’aborto alle same-sex unions, dall’accesso alle cure sanitarie fino all’utilizzo delle cellule staminali. Una originale documentazione su aspetti spesso oscurati, nel racconto sui candidati ad uno dei posti di potere più importanti del mondo contemporaneo.
Vai alla tabella comparativa.
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Save the date
Nord Il limite. Incontri 2016-2017 Centro Giovani Coppie San Fedele, Milano, ciclo di otto incontri dal 13 ottobre 2016 al 4 maggio 2017, Milano.
Amoris laetitia… e adesso? Tra conferme e novità: cosa cambia per la famiglia? Casa di Spiritualità dei Santuari Antoniani, Camposampiero (PD), 18-21 ottobre 2016.
Centro Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali (BES), Corso di alta Formazione, IGEA, Roma, dal 25 marzo al 2 aprile 2017.
Sud Lo Psichiatra accoglie, il Neuropsichiatra Infantile accompagna: Criticità e Soluzioni per il Paziente Adolescente, corso di aggiornamento, SINPIA (Società Italiana NeuroPsichiatria Infanzia Adolescenza, Napoli, 4-5 novembre 2016.
Estero Towards Gender Equality. Supporting Women in the Workplace, Public Policy Exchange, Londra, 15 novembre 2016.
Lifelong Learning Week (LLLWeek), “Sesta Settimana dell’educazione permanente”, organizzata dalla Lifelong Learning Platform, rete interassociativa europea che raccoglie 40 organizzazioni della società civile che si occupano di giovani, educazione e formazione professionale. Bruxelles, 10 – 13 ottobre 2016.
Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Link per i pdf http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/ottobre2016/18/index.html
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CONSULTORI FAMILIARI
Serra de’ Conti. Incontri sul valore della prevenzione.
Il valore della prevenzione nelle attività del Consultorio familiare “Prima o dopo? attenti o scontenti?”
Il valore della prevenzione nelle attività del Consultorio familiare
Prevenire le violenze nella relazione di coppia
Prevenire le violenze nella relazione educativa
Coordina gli incontri la psicopedagogista Renata D’Ambrosio, presidente del Consultorio familiare UCIPEM di Senigallia.
Evento organizzato da: il CIF provinciale di Ancona, il CIF comunale di Serra de’ Conti, in collaborazione con: il Consultorio Familiare UCIPEM di Senigallia, l’Amministrazione comunale di Serra de’ Conti
www.csv.marche.it/web/index.php/component/redevent/details/3346-incontri-sul-valore-della-prevenzione?xref=3285
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Cremona. Genitori a confronto. Io e mio figlio.
Il Consultorio Ucipem offre alle famiglie che stanno vivendo i cambiamenti della preadolescenza l’opportunità di avere uno spazio di dialogo ed approfondimento per i genitori. La proposta è quella di un’esperienza di gruppo a cui sono invitati i genitori di ragazzi e ragazze-
I cambiamenti in adolescenza. Rivolto a genitori di figli nati tra il 2000 e il 2003. Il percorso ha l’obiettivo di essere un luogo di confronto per genitori di ragazzi adolescenti. Gli incontri saranno coordinati da operatori che, attraverso attività e riflessioni riguardanti l’adolescenza accompagneranno il gruppo dei partecipanti ad un confronto reciproco di esperienze e professionalità
Adolescenti e social. Rivolto a genitori di figli nati tra il 2000 e il 2003. Il percorso è finalizzato ad offrire momenti di incontro e di confronto per genitori riguardanti l’utilizzo dei social media in adolescenza. Essi rappresentano un nuovo modo di comunicare con gli altri, aprono ad un mondo di relazioni, di emozioni, di scambio di informazioni e di apprendimento che offre, in particolare ai giovani, opportunità di crescita. L’approccio a tali mezzi richiede il confrontarsi con le criticità e i rischi connessi al loro utilizzo non perdendo di vista le risorse.
Adolescenti e conflitto. Rivolto a genitori di figli nati tra il 2000 e il 2003. Il percorso è finalizzato ad offrire momenti di incontro e di confronto per genitori sul tema del conflitto legato in particolare alla fase di vita dell’adolescente, partendo dalla considerazione che il conflitto esiste solo dove c’è relazione ed esplorando la possibilità che diventi un’opportunità di conoscenza e di crescita nelle relazioni familiari.
I cambiamenti in preadolescenza. Rivolto a genitori di figli nati tra il 2004 e il 2006. Il percorso è finalizzato ad offrire momenti di incontro e di confronto per genitori sui cambiamenti tipici della preadolescenza nelle sfere dei vissuti relativi ai cambiamenti del corpo, delle relazioni amicali e di gruppo e delle relazioni in famiglia.
Il coraggio di crescere insieme. Rivolto a genitori di figli nati tra il 2007 e il 2010. Il percorso è finalizzato ad offrire momenti di incontro e di confronto per genitori di bambini che stanno frequentando la scuola primaria e vuole esser un’occasione di scoperta delle proprie risorse genitoriali.
Preadolescenza e conflitti, Rivolto a genitori di figli nati tra il 2004 e il 2006. Il percorso è finalizzato ad offrire momenti di incontro e di confronto per genitori sul tema del conflitto legato in particolare alla fase di vita del preadolescente, partendo dalla considerazione che il conflitto esiste solo dove c’è relazione ed esplorando la possibilità che diventi un’opportunità di conoscenza e di crescita nelle relazioni famigliari.
Gli incontri saranno coordinati dagli operatori del consultorio che, attraverso attività e riflessioni riguardanti la pre-adolescenza, accompagneranno il gruppo dei genitori a un confronto reciproco di esperienze e professionalità. Sono gratuiti e si terranno presso la sede del Consultorio
Corsi di training prenatale: ottobre-novembre 2016 r dicembre 2016-gennaio 2017.
www.ucipemcremona.it
Pescara La famiglia: un luogo di accoglienza, LR 95/95
Incontro a cura dell’Equipe Affido del Comune di Pescara (dott.ssa Liviana Leone assistente sociale Comune di Pescara, dott.ssa Simonetta Forcini psicologa-psicoterapeuta Consultorio Familiare Ucipem, dott.ssa Simona Trisi psicologa-psicoterapeuta Consultorio Familiare CIF).
L’incontro si inserisce all’interno della campagna di sensibilizzazione del Mese dell’Accoglienza, con cui si intende promuovere la cultura della solidarietà portando a conoscenza dei cittadini le varie forme di aiuto tra le famiglie (Affido e Affiancamento familiare), sottolineandone il valore sociale. Partendo dal riconoscimento dei diritti del bambino a crescere in un ambiente familiare, che gli assicuri cura, educazione ed affetto, l’obiettivo dell’incontro sarà quello di informare correttamente sui contenuti della legge a tutela della famiglia e dei minori (Legge 184/83 e successive modifiche L. 149/01), sulle diverse modalità di accoglienza, attraverso la testimonianza degli operatori sociali e delle famiglie che da tempo vivono l’esperienza dell’accoglienza
www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/puntivendita/eventi/Pescara/2016/Ottobre/La-Famiglia–Un-Luogo-Di-Accoglienza-Lr-95-95—E-17898.html
Rimini. Corsi per genitori
Ripartono i corsi per genitori. Ottobre 2016 www.consultoriofamiglia.it
Trento. Un tempo per noi due
L’iniziativa è proposta due volte all’anno dal Comune di Trento in collaborazione con il Tavolo della formazione alle relazioni familiari e offre un’opportunità di confronto e formazione alle coppie toccando temi centrali della relazione, nella consapevolezza che la vita a due non è un traguardo ma un cammino in continua trasformazione. Si inizia il 10 novembre.
L’iniziativa “Dalla coppia alla famiglia”, proposta annualmente dal Servizio Attività sociali in collaborazione con il Tavolo della formazione alle relazioni familiari e pensata inizialmente per le giovani coppie che si preparano al matrimonio, ha registrato negli anni una partecipazione molto variegata, da coppie di fidanzati a coppie conviventi o coniugate, evidenziando quanto il bisogno di formazione e di cura della relazione duri nel tempo. Raccogliendo quest’esperienza, a partire dal 2016 la proposta raddoppia e cambia nome: gli incontri si svolgono in autunno e in primavera, due cicli di tre serate ciascuno curati da professionisti.
La volontà è quella di offrire un’opportunità di confronto e riflessione sui temi centrali della relazione (la comunicazione, il conflitto, gli aspetti giuridici e patrimoniali…) a tutte le coppie della città interessate, nella consapevolezza che la vita a due non è un traguardo ma un cammino in continua trasformazione.
10 novembre – Così vicini, così diversi! Le parole dell’ascolto nella comunicazione di coppia (con Enrica Tomasi esperta in comunicazione, Consultorio Familiare UCIPEM).
17 novembre – Litigare fa bene? (Con Franca Gamberoni responsabile ALFID).
24 novembre – Come stiamo insieme? Matrimonio, convivenza, unioni civili (con Paola Paolazzi avvocato).
www.trentinofamiglia.it/Attualita/Archivio-2016/Ottobre/Un-tempo-per-noi-due
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CONVIVENZA MORE UXORIO
Come mandare via di casa il convivente.
Chi vuole cacciare via dal proprio appartamento il convivente è tenuto a dare un preavviso. Vale la regola del more uxorio, altrimenti l’altro può rimanere. “Fuori dai piedi, grazie”. Non è così semplice. Per mandare via di casa il convivente non basta una litigata più furiosa del solito, fargli (o farle) trovare le valige sulla porta o cambiare la serratura. Certo, c’è il vantaggio di non dover percorrere la trafila di un divorzio. Ma non è che dicendo “fuori dai piedi, grazie” si risolve la questione. Allora, come mandare via di casa il convivente? Così come farebbe un datore di lavoro con un dipendente: dandogli un preavviso. Congruo. Ma non dall’oggi al domani. Nemmeno se l’appartamento è intestato a chi vuole restarci da solo. Vediamo perché.
L’ordinamento italiano prevede una tutela per la convivenza nota come more uxorio, dal latino “secondo il costume matrimoniale”. Gli antichi romani avevano già previsto tutto, insomma. Questo vuol dire che quando c’è una convivenza fissa, basata sulla reciproca assistenza materiale e morale (normalmente tutte le convivenze iniziano con questo scopo), il convivente “cacciato” ha il diritto di disporre della casa, mentre quello “cacciante”, cioè quello che vorrebbe mandare via il convivente, ha l’obbligo di dare un preavviso congruo affinché l’ormai “ex” (almeno da un punto di vista affettivo), trovi un altro posto in cui sistemarsi.
Sarebbe troppo facile dire “fuori dai piedi, grazie” per mandare via il convivente. Prima di pronunciare quella frase, infatti, bisogna tenere conto che chi ha vissuto in quella casa more uxorio si trova in una situazione di detenzione qualificata, cioè è paragonabile a chi risulta intestatario della casa. Questo vuol dire che, dovessero volare i piatti e l’affittuario dell’appartamento dicesse al convivente “fuori dai piedi, grazie” con violenza o minacce (per dire, lo centra con un piatto e lo avverte che sta per prendere l’insalatiera), il suo bersaglio potrebbe esercitare l’azione di spoglio per rientrare nell’immobile. Pur sapendo che il loro rapporto rischia di trasformarsi da more uxorio in morte uxorio: certe insalatiere sono davvero pesanti. Chiaro che questa regola non vale per chi vive in quella casa solo per qualche giorno alla settimana o al mese (il fidanzato che si ferma il week end o che viene a trovare la ragazza durante le ferie).
Come mandare via il convivente: cosa dice la legge. La Cassazione si è pronunciata su come mandare via il convivente. O, almeno, a quali condizioni lo si può mandare via. La Suprema Corte ha stabilito che «la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un poter e di fatto, basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità. Conseguentemente, l’estromissione violenta o clandestina del convivente dall’unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio nei confronti dell’altro quand’anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull’immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi» [sent. 7214/2013]. Lo volete in parole più semplici? Le abbiamo già dette: “Fuori dai piedi, grazie” non basta.
Carlos Arija Garcia LPT 4 ottobre 2016
www.laleggepertutti.it/134138_come-mandare-via-di-casa-il-convivente
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CORTE COSTITUZIONALE
Diritto del genitore “sociale” a mantenere rapporti con il minore
In data odierna, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione – sollevata, in relazione a plurimi parametri costituzionali, dalla Corte di Appello di Palermo – di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del codice civile nella parte in cui, disponendo che il minore ha diritto di mantenere rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, impedirebbe al Giudice di garantire la conservazione, nell’interesse del minore, di rapporti, ove ugualmente significativi, con soggetti diversi dal ramo parentale (nella specie, l’ex partner omoaffettiva della genitrice biologica di due minori).
L’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti è, infatti, riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione alla quale l’art. 333 dello stesso codice già consente al Giudice di adottare “i provvedimenti convenienti” nel caso concreto.
Non sussiste, pertanto, il vuoto di tutela dell’interesse del minore presupposto dal Giudice rimettente.
Comunicato 5 ottobre 2016 www.cortecostituzionale.it/comunicatiAttualita.do
L’ex partner gay non è equiparabile ai parenti.
La Corte costituzionale ha dichiarato “non fondata” la questione di legittimità sollevata dalla Corte d’appello di Palermo, nell’ambito di una causa civile intentata da una donna che chiedeva di poter mantenere legami con i figli nati con la fecondazione eterologa dalla sua ex partner.
La donna, interrotta la relazione, ha avviato un contenzioso sulla possibilità dei figli di frequentare entrambe, dunque nello stesso modo lei e la mamma biologica. La Corte tuttavia ha dichiarato non fondata la richiesta di ampliare la fattispecie di “figura genitoriale”, sostanzialmente perché esiste già per legge la tutela dei rapporti significativi del minore e dunque non c’è un vuoto legislativo. “L’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti” è tutelato da una norma diversa da quella impugnata.
La questione di costituzionalità era stata sollevata dalla Corte d’Appello di Palermo che ritiene che la legge non consente di comprendere anche l’ex partner gay tra i soggetti di riferimento che hanno il diritto a conservare rapporti significativi, qualora già instaurati, con i bambini che sono figli solo dell’altro partner. In pratica, ad avviso dei magistrati l’ex partner gay – in assenza di una specifica legge emanata dal Parlamento – non è equiparabile ai parenti «ascendenti e discendenti» ai quali la legge consente di mantenere i legami con i minori.
Anche l’Avvocatura dello Stato non si è dimostrata favorevole all’ampliamento delle figure genitoriali in base ai legami di fatto intercorsi tra persone gay.
Avvenire 5 ottobre 2016
www.avvenire.it/famiglia/Pagine/coppia-gay-saparata-con-figlia-corte-costituzionale-.aspx
06 ottobre 2016
Rapporti significavi con non parenti. Interruzione pregiudizievole
I figli contesi all’interno di una coppia omosessuale in crisi, ricevono analoga tutela rispetto a quelli di una coppia eterosessuale nella medesima situazione. Anche in tal caso, difatti, il giudice può adottare i provvedimenti necessari onde garantire al minore conteso rapporti continuativi e significativi con l’ex compagna omosessuale della madre biologica.
A deciderlo, la Corte Costituzionale con pronuncia del 5 ottobre 2016, dichiarando non fondata la questione – sollevata dalla Corte di Appello di Palermo in relazione a plurimi parametri costituzionali – di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter c.c. nella parte in cui, disponendo che il minore ha diritto di mantenere rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale, impedirebbe al giudice di garantire la conservazione, nell’interesse del minore, di rapporti pur altrettanto significativi con soggetti diversi dal ramo parentale (per l’appunto la ex partner della genitrice biologica).
Il caso sottoposto alla Consulta riguarda, per l’appunto, la contesa di due gemelli nati da una coppia di donne con fecondazione eterologa, la cui relazione sentimentale era poi giunta al termine. La ex compagna della madre biologica rivendicava il diritto di frequentare i bambini in virtù del suo ruolo di “genitore sociale”, mentre l’altra donna osteggiava detta frequentazione.
Secondo la Corte Costituzionale – come anticipato con propria nota del 5 ottobre 2016 – l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo da quest’ultimo instaurato con soggetti che pur non siano parenti (come nel caso de quo), è infatti riconducibile alla ipotesi di condotta genitoriale “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione alla quale l’art. 333 c.c. già consente al giudice di adottare i “provvedimenti convenienti” al caso concreto.
Sicché non sussiste, nella fattispecie, alcun vuoto di tutela del minore, come invece prospettato dalla Corte rimettente.
Eleonora Mattioli Edotto 6 ottobre 2016
www.edotto.com/articolo/figli-contesi-tra-gay-tutelati?newsletter_id=57f63116fdb94d11386d543d&utm_campaign=PostDelPomeriggio-06%2f10%2f2016&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=figli-contesi-tra-gay-tutelati&guid=8c25319b-6901-4a8f-9798-6892f5cbb264
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DALLA NAVATA
28° Domenica tempo ordinario-anno C–9 ottobre 2016
2 Re 05, 15. Tornò con tutto il suo seguito dall’uomo di Dio.
Salmo 98, 02. Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
2 Timoteo 12, 13. Se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.
Luca 17, 19. E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI). Rendere gloria a Dio attraverso Gesù
In quel tempo, lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». Per la terza volta Luca attesta che Gesù è in cammino verso Gerusalemme (cf. Lc 9,51; 13,22) e precisa che, invece di continuare la strada verso il sud, tocca la frontiera tra Galilea e Samaria per scendere nella valle del Giordano. Ma ecco un incontro inatteso: dieci lebbrosi, scarti della società, emarginati e condannati alla segregazione come impuri e maledetti da Dio e dagli uomini, vanno incontro a Gesù mentre egli sta per entrare in un villaggio. Sono uomini che, secondo la Legge, hanno il peccato scritto sulla pelle; peccato che, consumato, corrompe tutto il corpo, tutta la persona, facendone un membro rigettato dalla comunità credente.
Per noi è difficile comprendere la condizione del lebbroso in quel tempo, perché oggi abbiamo una concezione diversa della malattia e, soprattutto, le malattie della pelle ci fanno forse ribrezzo ma non ci spaventano più come segno della presenza del Maligno. Nella Scrittura c’era una legge precisa per affermare l’immunità dalla lebbra nella vita quotidiana (cf. Lv 13-14): il sacerdote, esaminata la piaga sulla pelle del malato, lo dichiarava impuro. Di conseguenza, il lebbroso doveva portare vesti strappate, tenere il capo scoperto, coprirsi con un velo la barba. Quando si muoveva doveva gridare: “Impuro! Impuro!”, e restarsene solo, abitando fuori del villaggio (cf. Lv 13,45-46). Il lebbroso, dunque, era un vivo-morto, come uno a cui il padre aveva sputato in faccia (cf. Nm 12,14).
Nel vangelo secondo Luca abbiamo già letto un incontro tra Gesù e un lebbroso: supplicato da quest’ultimo, Gesù aveva steso la mano e toccato il suo corpo piagato, guarendolo (cf. Lc 5,12-16). Qui invece i lebbrosi sono un gruppetto e, stando lontani, senza avvicinarsi a lui, gli gridano: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. È un grido semplice e breve, che mette l’accento sulla miseria di questi uomini. È un grido ripetuto tante volte nei salmi, come invocazione al Signore Dio. Il Signore, che è misericordioso e compassionevole (cf. Es 34,6), nella sua potenza può compiere ciò che i lebbrosi possono solo desiderare ma non realizzare. Questa invocazione è come una lancia, una giaculatoria molto generale, non precisa nei contenuti, ma efficace lamento di chi soffre e chiede aiuto, consolazione.
Gesù vede questi lebbrosi, con uno sguardo che li discerne tutti e ciascuno personalmente e, mosso a compassione, dà loro un ordine che può sembrare enigmatico, anche assurdo: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”, coloro che erano incaricati dalla Legge di diagnosticare la lebbra e attestare la guarigione da essa. A prima vista, dunque, dieci lebbrosi non sono esauditi, anzi sembrerebbe che Gesù li rimandi ai sacerdoti per manifestare la propria incompetenza. Eppure essi obbediscono a Gesù e realizzano ciò che ha loro chiesto. Egli infatti non li manda via da sé ma, accogliendo la loro fiducia iniziale che li aveva spinti all’invocazione, li invita a una fiducia che può contare sulla sua parola. Ed ecco che “mentre essi andavano, furono purificati”: la loro lebbra sparisce ed essi diventano puri. Certamente Luca, nel raccontare questo evento, ricorda la guarigione dalla lebbra di Naaman il siro da parte di Eliseo: il profeta, restando lontano, gli ordina attraverso un messaggero di andare a bagnarsi nel Giordano, ed egli dopo un iniziale rifiuto acconsente e così viene guarito (cf. 2Re 5,1-14; Lc 4,27).
Qui è la fede di questi uomini, la loro adesione a Gesù che causa la guarigione. Potevano sentirsi delusi dalla parola di Gesù, il quale non li tocca, non compie nessun gesto, non pronuncia nessuna parola di guarigione, ma li invita solo a dare seguito alla loro fiducia, fino ad andare dai sacerdoti che avevano l’autorità di dichiararli guariti. La fede resta veramente un mistero e non sempre sappiamo discernerla nella sua portata, nella sua qualità, non sappiamo giudicarla né misurarla: negli altri, ma anche in noi che, secondo l’Apostolo, da discepoli cristiani dovremmo avere il coraggio di esaminarci, ponendoci la domanda: “Abbiamo la fede sì o no?” (cf. 2Cor 13,5). Sì, la fede, questa adesione al Signore Gesù Cristo che come dono è deposta in noi, ma che noi dobbiamo custodire, esercitare, rinnovare, sostenere, confermare, resta davvero un mistero. Eppure – come dichiara Gesù alla fine di questo brano – è la fede che ci salva, e la sua affermazione: “La tua fede ti ha salvato”, presente più volte nei vangeli (Lc 7,50; 17,19; 18,42; Mc 5,34 e par.; Mc 10,52), dovrebbe ricordarcelo.
Come altre narrazioni di miracoli, anche questo racconto potrebbe finire qui e invece prosegue. Tra quei dieci uomini lebbrosi guariti dalla malattia fisica, uno era samaritano, a differenza degli altri nove che erano giudei, dunque membri del popolo di Dio, santi per vocazione (cf. Lv 11,44-45; 19,2, ecc.). I samaritani erano ritenuti scismatici ed eretici, il loro culto era considerato illegittimo, erano disprezzati come gruppo. Ma proprio uno di essi, annoverato tra “quelli di fuori”, tra “i lontani”, non appena si vede guarito torna indietro e comprende che, essendo stato purificato dalla sua fede in Gesù, deve testimoniarlo, deve mostrargli gratitudine. Egli riconosce il peso, la gloria della presenza di Dio in Gesù, la grida a piena voce e si getta davanti a Gesù con la faccia a terra, come davanti al Signore. In tal modo mostra che la fede che lo aveva guarito è anche quella che lo salva.
Gesù però constata, con una serie di domande: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. Egli è deluso non perché gli altri non sono tornati a ringraziarlo, ma perché il loro cammino di fede si è arrestato alla guarigione, senza accogliere la salvezza, cioè la grazia del Signore: costoro sono guariti ma non salvati. Non sembri oziosa questa differenza: guarire nel corpo è certamente una vittoria della vita sulla malattia e sulla morte, e Dio se ne rallegra, ma questo non significa entrare nella salvezza che è guarigione, restituzione all’integrità di tutta la persona, nella sua unità di corpo, mente e spirito. Noi cristiani dovremmo essere molto attenti e vigilanti di fronte a guarigioni e miracoli: questi avvengono, a dire il vero anche in contesti non cristiani, ma non sono le guarigioni e i miracoli che danno la salvezza, che rendono i malati figli del Regno e quindi discepoli di Gesù. La guarigione fisica non significa e non coincide con la guarigione totale, quella della vita più intima, la vita spirituale che ciascuno di noi, con più o meno consapevolezza, vive.
Anche questa volta (cf. Lc 4,23-27; 7,1-10) chi accede allo spazio dei figli del Regno è uno straniero, un samaritano, uno fuori dal popolo di Dio, dal recinto ortodosso. In questo racconto Gesù demolisce molte certezze di noi cristiani asserragliati in chiese o comunità. Fuori, fuori, anche fuori c’è un operare di Cristo Signore che trova più ricezione di quanta ne abbia tra noi che ci sentiamo dentro. Dio non si lascia conoscere solo nelle istituzioni ecclesiastiche o cultuali, ma si fa conoscere soprattutto in Gesù: grazie a lui, attraverso di lui solo si rende gloria a Dio.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10903-rendere-gloria-a-dio-attraverso-gesu
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Col nuovo Isee abbattuti i patrimoni nulli: da 70 a 14%.
La riforma dell’Isee sembra funzionare e così gli italiani che per ottenere sconti fiscali dichiarano di possedere nulla scendono drasticamente e passano dal 70% al 14%. H 2015 è stato il primo anno di applicazione del nuovo Isee. Per il ministero del Lavoro, le famiglie che hanno presentato una Dichiarazione sostitutiva (Dsu) per l’Isee sono state 4,16 milioni, per un totale di oltre 13 milioni di persone coinvolte, il 21% della popolazione residente.
Rispetto al passato l’indicatore è più veritiero; i redditi non sono più autodichiarati, ma rilevati direttamente presso l’anagrafe tributaria. E con riferimento al patrimonio mobiliare i controlli hanno risultati anche eclatanti: le dichiarazioni con patrimonio mobiliare nullo sono crollate da quasi il 70% al 14%; nel Sud, in particolare, si è passati da quasi il 90% al 20%. Inoltre il peso del patrimonio nell’Isee, a parità di valore complessivo, è passato da meno del 15% del vecchio indice a più del 20% del nuovo. Rispetto al passato, la distribuzione territoriale della “popolazione Isee” è molto più omogenea: fatta eccezione per le Province autonome di Trento e Bolzano, in tutte le altre regioni costituisce almeno un settimo e non più di un terzo del totale. È un segno tangibile – dice il ministero – di un utilizzo più appropriato dello strumento, solo a fronte della effettiva richiesta di prestazioni sociali agevolate: non si registrano più anomalie quali quelle di regioni in cui, pur avendo un’offerta di servizi molto bassa, oltre il 60% della popolazione era coperto da Isee.
«Siamo di fronte ad un Isee più equo e più veritiero che, con un successo forse inatteso, facilita l’accesso alle prestazioni a chi è davvero più bisognoso», commenta il ministro Giuliano Poletti. «Ma siamo proprio così sicuri?», ribatte il presidente del Forum delle associazioni familiari, Gianluigi De Palo. «Tra i tanti difetti che abbiamo evidenziato a più riprese, rimane quello macroscopico della sottovalutazione dei carichi familiari», sottolinea. Avvenire 05 ottobre 2016
Comunicato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 4 ottobre 2016.
www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/Comunicati/Pagine/Nuovo-ISEE-pubblicato-il-rapporto-annuale-sul-2015.aspx
Documento www.vita.it/it/article/2016/10/05/il-nuovo-isee-e-promosso-piu-equo-e-veritiero/141032
Per il-forum famiglie azzardato parlare di equità.
Il presidente De Palo: «Il difetto macroscopico è la sottovalutazione dei carichi familiari. Devastati i nuclei con figli, specie se in situazioni di disagio», Si riaccende il dibattito intorno all’Isee, l’Indicatore della situazione economica equivalente. Commentando i dati relativi all’applicazione del nuovo modello, il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti parla di un sistema «più equo e più veritiero». Diverso il parere di Gigi De Palo, presidente del Forum famiglie nazionale: «È probabile che sia più efficace nella lotta all’evasione fiscale – commenta – ma siamo proprio così sicuri che sia anche più equo?».
De Palo ricorda i «tanti difetti» del nuovo Isee, evidenziati a più riprese dal Forum. Su tutti, «quello macroscopico della sottovalutazione dei carichi familiari». Definisce «veramente obsoleta» la scala di equivalenza, che «non valuta in modo realistico l’effettivo impatto del costo dei figli al crescere del loro numero». In base ai dati Istat, evidenzia infatti il presidente del Forum, il primo figlio ha un costo pari mediamente a 0,5 volte il costo di un adulto, 0,62 il secondo, 0,78 il terzo e così via. «Costi ben superiori a quanto riconosce la scala Isee». Il risultato, per De Palo, «è devastante per le famiglie con figli, ancor più se in situazioni di particolare disagio». Basti pensare alla presenza di disabili, di figli minori, famiglie monogenitoriali, e così via. «Per essere un sistema destinato a stabilire il reddito di ogni singola famiglia – è la conclusione di De Palo – mi sembra veramente azzardato parlare di equità».
Roma sette on line 5 ottobre 2016
www.romasette.it/nuovo-isee-per-il-forum-famiglie-azzardato-parlare-di-equita
Stiamo creando una rete di sindaci che chiede un fisco più equo.
Settimana della famiglia. Comuni e associazioni familiari riuniti in Campidoglio. «Il lavoro del Forum teso a creare una rete di amministratori locali amici della famiglia non si ferma, anzi mostra una decisa ripresa di iniziativa». Lo afferma, Gigi De Palo, presidente del Forum, prendendo parte alla conferenza “Le politiche comunali a sostegno della famiglia” ospitata in Campidoglio e organizzata nell’ambito della Settimana della famiglia in corso a Roma. «Abbiamo voluto far incontrare e confrontare comuni del nord, del sud e del centro che hanno scelto di investire sulla famiglia come nel caso della quarantina di Comuni che hanno deliberato di applicare il FattoreFamiglia.
«Le varie esperienze raccolte dimostrano chiaramente che chi investe in politiche comunali che mettono al centro le famiglie (asili nido, tariffe rifiuti, servizi sociali…) ridanno fiato ai nuclei familiari e rompono lo schema dell’inverno demografico. «Cosa aspettiamo?» conclude De Palo. «È giunto il momento di creare un movimento dal basso di sindaci che insieme alle 500 associazioni del Forum dia voce alle famiglie chiedendo al governo misure efficaci, coordinate e non solo sperimentali, per le famiglie. E cominciamo da questa legge di stabilità dalla quale ci aspettiamo un segnale serio e concreto»
Comunicato stampa 5 ottobre 2016
www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=825
Roma: l’urgenza di sostenere la famiglia.
Confronto in Campidoglio tra la Giunta Raggi e il Forum delle associazioni familiari, che chiede il Fattore Famiglia da applicare intanto alla tassa sui rifiuti.
Non furono soltanto le invasioni barbariche a determinare la caduta dell’impero romano. Gli storici individuano anche altre decisive cause. Tra queste, spicca il declino demografico: sul finire del 300, la popolazione italiana oscillava tra i 4 e i 5 milioni di abitanti, cifra all’incirca dimezzata rispetto agli 8-10 milioni della feconda età augustea. È tutt’altro che confortante dover registrare, oggigiorno, un nuovo sostanzioso calo delle nascite, che interessa l’Italia intera così come quello che dovrebbe essere il suo centro propulsore, la capitale Roma. Di questo precipuo aspetto della decadenza contemporanea se n’è parlato ieri nella sala della Piccola Protomoteca del Campidoglio, durante la conferenza “Le politiche comunali a sostegno della famiglia”, organizzata dal Forum delle associazioni familiari del Lazio nell’ambito della Settimana della Famiglia.
Elisa Manna, sociologa del Censis, ha sciorinato alcuni eloquenti dati attinti alla più recente rilevazione dell’Istat. “La distribuzione per età a Roma è tipica di una popolazione vecchia, determinata da un tasso di fecondità che non raggiunge il livello di sostituzione, che è di 2,1 figli per donna”, ha spiegato. I minori dagli zero ai 14 anni rappresentano appena il 13,5% della popolazione romana, contro il 21,8% degli over 65. L’età media di chi vive a Roma è molto alta, 40,7 anni. “Questo invecchiamento della popolazione”, ha sottolineato la Manna, “riguarda non più soltanto il centro, ma anche le periferie”. Ne deriva che il calo demografico di Roma è un fenomeno che abbraccia tutto il territorio e tutte le classi sociali. Va rivista la vecchia idea per cui i quartieri popolari sarebbero fucine di figli. Del resto, ha osservato ancora la sociologa, ovunque si allunga la media d’età del matrimonio e di conseguenza si abbassano le probabilità che le coppie possano dar vita a famiglie numerose.
A tal proposito impressiona il dato per cui a Roma il 43% dei nuclei familiari è monocomponente (vedovi, giovani che cercano indipendenza, maturi che hanno sacrificato la vita di coppia per la carriera). Quasi la metà dei romani vive da solo. Dato che oltre a minacciare un grigio avvenire senza più giovani nonché forza lavoro in grado di pagare le pensioni alle frotte di anziani, rivela una diffusa solitudine. È preoccupato di questa realtà il Forum del Lazio, la cui presidente Emma Ciccarelli ha detto: “Se siamo scesi a un livello demografico così, è perché ancora si fatica ad applicare un sistema di fisco equo per le famiglie, come il Fattore Famiglia, che il Forum chiede a gran voce anche a livello nazionale da diversi anni”. Si tratterebbe, in concreto, di pagare le tasse in base al numero di figli.
Il Forum ha quindi indicato alla Giunta Raggi (rappresentata dal presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, e dall’assessore al Sociale, Laura Baldassarre) una serie di esempi virtuosi di amministrazioni cosiddette “family friendly”.
Paradigmatica la Provincia Autonoma di Trento. Luciano Malfer, dirigente dell’Agenzia provinciale per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili, ha spiegato che a Trento “non c’è un assessore competente alle politiche familiari ma la gestione è affidata al presidente della Provincia e tutta la giunta lavora per il benessere dei cittadini sperimentando diverse forme di sostegno come il canone moderato, il reddito di garanzia e bonus per famiglie con figli”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il Comune di Castelnuovo del Garda (VR), rappresentato da Maurizio Bernardi, consigliere comunale con delega al Fattore Famiglia e già sindaco della cittadina per due mandati. Bernardi ha raccontato di aver introdotto il Fattore Famiglia al fianco dell’Isee nel calcolo dei redditi, giacché quest’ultimo non tiene conto di alcuni aspetti rilevanti nell’economia familiare come la nascita di gemelli o la perdita di un lavoro nel corso dell’anno di compilazione del modulo.
Sia in provincia di Trento che nel Comune del veronese l’aumento delle nascite è l’effetto concreto dell’introduzione di politiche ad hoc per la famiglia. Queste due realtà rappresentano dunque un esempio virtuoso, che tante amministrazioni italiane stanno iniziando ad imitare.
La speranza del Forum del Lazio è che anche la Giunta Raggi si appresti a seguire tali esempi. Alessandro Spalvieri, responsabile delle relazioni esterne del Forum, ha presentato la proposta di rimodulazione della Tari, che consiste nel “far pagare una tassa dei rifiuti più alta ai nuclei con meno componenti”, e più bassa alle famiglie più numerose. In termini di entrate la differenza sarebbe impercettibile, ma si darebbe un segnale culturale importante aiutando in modo sensibile l’economia familiare di chi ha tanti figli. Questa misura a costo zero potrebbe essere applicata anche da una Giunta, come quella romana, che si trova a fare i conti con un buco di bilancio colossale. De Vito e Baldassarre hanno assicurato che sottoporranno la proposta agli uffici competenti. La Baldassarre ha inoltre manifestato la sua volontà di “redigere un piano sociale cittadino e avviare un rapporto di collaborazione con le associazioni”, promuovendo così la sussidiarietà.
Lo spunto è stato colto da Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum, secondo cui “è giunto il momento di creare un movimento dal basso di sindaci che insieme alle 500 associazioni del Forum dia voce alle famiglie per chiedere al Governo misure efficaci, coordinate e non solo sperimentali, per le famiglie”. D’altronde la storia dell’impero romano lo insegna: senza figli non c’è futuro.
Federico Cenci Zenit 6 ottobre 2016
https://it.zenit.org/articles/roma-lurgenza-di-sostenere-la-famiglia
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
I giovani al prossimo Sinodo nel 2018.
Il Santo Padre Francesco, dopo aver consultato, come è consuetudine, le conferenze episcopali, le Chiese orientali cattoliche sui iuris e l’Unione dei superiori generali, nonché aver ascoltato i suggerimenti dei padri della scorsa Assemblea sinodale e il parere del XIV Consiglio ordinario, ha stabilito che nell’ottobre del 2018 si terrà la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale
Il tema, espressione della sollecitudine pastorale della Chiesa verso i giovani, è in continuità con quanto emerso dalle recenti assemblee sinodali sulla famiglia e con i contenuti dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia. Esso intende accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all’incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all’edificazione della Chiesa e della società.
Comunicato della Sala stampa della Santa Sede 6 ottobre 2016
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/10/06/0712/01594.html
No a indottrinamento gender, ma accogliere tutti come farebbe Gesù
Papa Francesco ha concluso ieri sera il suo 16.mo viaggio apostolico che lo ha portato in Georgia e Azerbaigian. Di ritorno dalla capitale azera Baku, ha dialogato in aereo con i giornalisti del seguito. Tanti i temi al centro del colloquio: oltre a commentare la sua nuova visita nel Caucaso, ha parlato dei suoi prossimi viaggi, delle questioni del gender e dell’omosessualità, dei rapporti con la Cina e altro ancora. (…)
Sollecitato su omosessualità e gender il Pontefice afferma che ha accompagnato nella “vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa, persone con tendenza e con pratica omosessuali: “Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: ‘Vattene via perché sei omosessuale!'”.
Condanna ancora una volta con fermezza l’ideologia gender, la “cattiveria” dell’indottrinamento, soprattutto dei ragazzi nelle scuole “per cambiare la mentalità”, quelle forme che chiama “colonizzazioni ideologiche”. Poi parla di un ragazzo spagnolo che ha cambiato sesso e ribadisce la necessità di avere un cuore aperto: “Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: ‘Ma, tutto è lo stesso, facciamo festa’. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo”.
Questo – afferma – “è quello che farebbe Gesù oggi”, poi aggiunge: “Per favore, non dite: ‘Il Papa santificherà i trans!’. Per favore, eh?”. E prosegue: “Voglio essere chiaro. È un problema di morale. E’ un problema. E’ un problema umano. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, come abbiamo parlato nel caso del matrimonio, leggendo tutta l’Amoris Laetitia, ma sempre così, ma sempre con il cuore aperto”.
Francesco quindi torna anche sul tema del divorzio, delle famiglie ferite e dell’attacco alla famiglia: “L’immagine di Dio non è l’uomo: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. È vero che in questa cultura i conflitti e tanti problemi non ben gestiti e anche filosofie di oggi, faccio questo, quando mi stanco ne faccio un altro, poi ne faccio un terzo, poi ne faccio un quarto, è questa guerra mondiale che lei dice contro il matrimonio. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee”.
Centrale per Francesco è il fatto che “l’ultima parola non l’ha il peccato, l’ultima parola l’ha la misericordia”. Esorta alla lettura integrale dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia, dove dice “che esiste il peccato, la rottura, ma anche la cura, la misericordia, la redenzione” e mostra la via per risolvere i problemi: “Con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare, rifare”.
(…) Massimiliano Menichetti. Notiziario Radio vaticana -3 ottobre 2016
http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dall’Azerbaijan
w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/october/documents/papa-francesco_20161002_georgia-azerbaijan-conferenza-stampa.html
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GENDER
Un libero pensiero critico sull’ideologia del gender.
Papa Francesco gode senza dubbio del favore dei media, e talvolta ci si è quasi stupiti che le principali testate internazionali lasciassero passare senza battere ciglio frasi che, dette da altri, avrebbero suscitato attacchi indignati. Ma stavolta no, stavolta non hanno lasciato correre quando ha criticato con forza la teoria del gender. Questo rivela innanzi tutto che il gender costituisce un punto sensibile sul quale non si intende fare sconti, soprattutto se si tocca il cuore della trasmissione ideologica: l’insegnamento nelle scuole.
Ma anche rivela che l’insegnamento del gender non è ciò che si dice, e cioè una necessaria preparazione dei giovani affinché non venga demonizzata l’omosessualità. Il Papa infatti ha accompagnato il suo discorso sul gender a una chiara accettazione degli omosessuali, con una apertura che nella Chiesa non si era mai manifestata con tanto coraggio.
Le reazioni, poi, mostrano anche le difficoltà in cui si trovano i promotori di tale insegnamento. Non tanto a causa dei loro oppositori, ma piuttosto a motivo del buon senso e dell’esperienza quotidiana vissuta da ciascuno, che costituiscono un naturale antidoto — per nulla ideologico — a queste idee.
Innanzi tutto, i critici rimproverano al Papa di avere usato il termine “teoria”, dimenticando che, da un certo punto di vista, tutto ciò che viene insegnato astrattamente è una teoria, e ancora di più il gender che, non trovando riscontro nell’esperienza concreta, è solamente uno spunto teorico. Ma, da un altro punto di vista, è vero che il gender ha provato a stabilizzarsi come teoria, e per di più come teoria scientifica — si ricordi solamente il caso notissimo del medico John Money — ma questa è svanita nel nulla davanti alle prime verifiche.
Sorge allora la domanda: cos’è il gender che si insegna in alcune scuole? Non una teoria ma un’ideologia, o meglio un’ideologia utopica simile a quelle che nel Novecento hanno promesso la realizzazione del paradiso in terra se solo si fosse arrivati a una vera eguaglianza fra gli esseri umani. Anche il gender promette felicità se si cancella la differenza tra uomo e donna, con grande disprezzo per la realtà biologica, quindi per la maternità intesa non solo come procreazione, ma come creazione di un rapporto umano unico fin dal concepimento. In sostanza, l’ideologia del gender promette felicità — grazie a questa eguaglianza — a patto di scegliere la libertà di realizzare ogni desiderio, di privilegiare sempre se stessi invece della costruzione di legami umani fondati sulla realtà. E quindi minando la famiglia.
Francesco ha spiegato, con grande chiarezza, che si possono amare e accogliere gli omosessuali e i transessuali senza dover ricorrere a questa scorciatoia ideologica, e in un certo senso ha smascherato gli obiettivi dell’ideologia: scardinare la famiglia, e non tanto aiutare gli omosessuali a essere accolti come eguali.
Con le parole del Papa la Chiesa ancora una volta si rivela impermeabile alle utopie di eguaglianza, anche se paradossalmente è stato proprio il cristianesimo a portare nel mondo, per la prima volta, il principio dell’eguaglianza di tutti gli esseri umani. Ma l’eguaglianza predicata e praticata dal cristianesimo si fonda sulla condivisione da parte di tutti gli esseri umani della condizione di figli di Dio. È quindi un concetto flessibile, aperto alla presenza di differenze al suo interno, che non significano — o, meglio, non dovrebbero significare — diseguaglianze.
Al contrario, il concetto di eguaglianza oggi in voga è molto più fragile, non si basa su principi forti e condivisi, e viene continuamente messo in crisi dalla constatazione evidente della differenza fra gli esseri umani. Di qui i tentativi di creare l’eguaglianza: per esempio, eliminando la proprietà privata (con il comunismo), la malattia (con l’eugenetica), e oggi la differenza sessuale (con il gender). Insomma, le parole di Bergoglio confermano, ancora una volta, che il punto di vista cattolico costituisce un ineludibile e libero pensiero critico nei confronti di luoghi comuni passivamente accettati.
Lucetta Scaraffia L’Osservatore Romano 3-4 ottobre 2016
http://w2.vatican.va/content/osservatore-romano/it/comments/2016/documents/un-libero-pensiero-critico-sullideologia-del-gender.html
Giancarla Codrignani: lettera a sua santità sul gender.
Caro Papa Francesco, Le avevo già scritto una lettera aperta pochi mesi dopo la sua elezione quando si vociferava della sua intenzione di inserire una donna nel collegio cardinalizio. Può darsi che non abbia mai ricevuto quel messaggio, in cui mi permettevo di ricordarle che non si rimedia alla mancanza di parità di genere nella Chiesa applicando alle donne il modello unico maschile. Potrei ripetere l’invito a sollecitare la Commissione di Studio per il Diaconato a decidere previamente se dovrà fare riferimento alla diacona Febe, evidentemente consacrata con l’imposizione delle mani, o alle diaconesse presenti a Nicea che fungevano da sagrestane.
Tuttavia il problema è un altro e riguarda il gender e la presunta “teoria del gender” due cose ben distinte, di cui la seconda si diffonde a danno della prima. La (presunta) “teoria del gender” è un’invenzione di ambienti cattolici conservatori che non accettano neppure i contenuti dell’Amoris Laetitia e che interpretano le diverse modalità sessuali degli esseri umani morbosamente come innaturali e devianti, mentre dovrebbe essere chiaro che il peccato non le abita costitutivamente. Nonostante la sua sia l’esperienza di uomo celibe, non avrà difficoltà a pensare normale che un bambino possa voler giocare con la bambola e una bambina a pallone. Le assicuro che non esistono scuole in cui si insegni che le differenze sessuali sono velleità a capriccio; capita invece ancora che si reprima il maschietto che, appunto, gioca con le bambole, come ci si meraviglia che i più piccoli nemmeno si accorgano dei diversi colori della pelle degli amichetti africani e che siano educabili alla disponibilità con i piccoli handicappati; fortunatamente non si legano più le manine dei bimbi nati mancini e, perciò, legati a Satana. Si insegna invece che siamo tutti uguali e diversi allo stesso tempo e che tutti e tutte hanno valore. Tutti e tutte perché, come per il colore della pelle, i “generi” nella logica linguistica non cambiano e al battesimo o all’anagrafe siamo tutti registrati come Mario o Maria. Nella storia è andata che Mario si è preso il ruolo del comando e ha costruito la subalternità di Maria. Una vecchia storia nemmeno più scandalizzevole perché femminista, che ha definito il gender. L’uomo (maschio) non ama analizzare la tipicità del proprio genere, mentre le donne nel rivendicare la propria libertà e cultura hanno orientato la politica internazionale appunto sul gender e tutti gli organismi e le agenzie dell’Onu, del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali con il termine gender (italiano “genere”) indicano le politiche dei diritti femminili. Può non piacere alle chiese che vengano riconosciuti alla donna i diritti riproduttivi, ma è materia relativa al genere e la “teoria del gender” serve solo ad annullare il valore che le donne vengono assumendo in tutte le società e in tutte le chiese.
Se qualche bambino gioca con la bambola forse crescerà meno violento nei confronti delle donne e, forse, meno disposto alle guerre: è il buono dell’educazione di genere, aperta all’autentica uguaglianza tra gli umani comprensiva di tutte le differenze.
Mi perdoni il richiamo al rispetto dei diritti delle donne: sono loro che fanno i bambini e sanno che sono davvero tutti uguali e privi di caratteristiche che li rendano inumani. Lei è il Papa della misericordia e, soprattutto, del discernimento: comprenderà certamente considerazioni che non sono solo mie.
Con affettuoso rispetto. Giancarla Codrignani
In Coordinamento teologhe italiane 5 ottobre 23016
www.teologhe.org/giancarla-codrignani-lettera-a-sua-santita-sul-gender
La crociata di Bergoglio contro la teoria gender
I nemici del matrimonio non sono la povertà e più in generale le ristrettezze economiche che non consentono di fare progetti per il futuro, la disuguaglianza tra uomo e donna dentro e fuori la famiglia, un’organizzazione del lavoro che lascia poco spazio alla vita privata. Non lo sono neppure i matrimoni forzati e precoci, con il loro seguito di sesso imposto a quasi-bambine e gravidanze precoci.
Il nemico vero, che avrebbe addirittura scatenato una guerra mondiale contro il matrimonio, ha detto il pontefice ai fedeli georgiani probabilmente sbigottiti, è la “teoria del gender”. La tesi, per altro, non è nuova, anche se questa volta espressa con una violenza che di solito il papa riserva ai conflitti che affamano e uccidono popolazioni in diverse parti del mondo, e all’indifferenza che abbandona i migranti al loro destino.
Già nel documento Amoris Laetitia, infatti, il pontefice, riprendendo letteralmente quanto scritto nel documento finale del Sinodo sulla famiglia, denuncia la “teoria del gender” come perniciosa e afferma che “differenza e reciprocità naturale di uomo e donna” sono inseparabili, ancorché distinguibili, dai ruoli sociali e culturali maschili e femminili. In questa prospettiva, chi pretendesse separarli, “svuoterebbe la base antropologica della famiglia”. Lasciamo stare che non esiste una e una sola “teoria del gender”, ma diversi approcci analitici, inclusi quelli di alcune teologhe e teologi, che utilizzano il concetto di genere per distinguere l’appartenenza di sesso non solo dall’orientamento sessuale, ma dai ruoli sociali e dalle capacità attribuite agli uomini e alle donne.
Approcci e studi che mostrano come ciò che è definito maschile e femminile, ciò che ci si aspetta dagli uomini e dalle donne, lungi dallo stare in natura, cambia nel tempo, tra società e gruppi sociali e come queste definizioni siano spesso connotate da rapporti di potere asimmetrici tra i sessi ed anche entro uno stesso sesso. Esistono gerarchie del maschile come del femminile.
Se dobbiamo accettare la tesi del pontefice che non si possano separare appartenenza di sesso e capacità e ruoli sociali, tra appartenenza di sesso e destino sociale, allora dobbiamo smentire non solo intere biblioteche di studi antropologici e storici, ma anche vedere nelle battaglie delle donne per uscire da ruoli prescritti come destino “naturale” la vera minaccia al matrimonio, nella misura in cui si ritiene che questo possa esistere solo nella distinzione dei ruoli di genere. Una minaccia altrettanto, se non più grande, di quella che verrebbe dalla richiesta di matrimonio da parte di coppie dello stesso sesso.
Dietro l’ossessione per il “gender/genere” che affanna la gerarchia cattolica anche ai suoi livelli più alti, legittimando crociate contro ogni pratica educativa che aiuti i bambini e ragazzi a superare, appunto, gli stereotipi di genere per accettarsi e accettare nella propria individuale diversità, non sta infatti solo una ripugnanza nei confronti della omosessualità, vista come “contro natura” perché non si concepisce che il desiderio sessuale possa rivolgersi ad un corpo simile al proprio. Vi è proprio il terrore che se vengono meno le barriere dei ruoli sociali di genere (che nulla hanno a che fare con l’orientamento sessuale), in primis nella famiglia, e ciascuno è messo nelle condizioni di scegliere liberamente il proprio modo di essere maschio o femmina e trovare il proprio equilibrio nelle relazioni di coppia – etero o omosessuale – e di generazione – ci sia solo il vuoto, o meglio il caos.
Eppure, vi sono diversi segnali che suggeriscono come sia proprio la concezione e pratica di un matrimonio asimmetrico e fondato su una rigida separazione di genere a motivare molte violenze contro le donne e a tenere lontane molte giovani dal matrimonio. O comunque a suggerire loro di aspettare per consolidare la propria autonomia per meglio negoziare una divisione del lavoro flessibile. Se un tempo l’asimmetria dava incentivi a sposarsi e stabilità ai matrimoni e alle famiglie, non si sa a quale prezzo, oggi in molti paesi non è più così. È piuttosto l’eguaglianza, con quel tanto di intercambiabilità e fluidità dei ruoli necessaria a mantenerla, a dare una chance in più alla disponibilità a sposarsi e alla durata di un matrimonio.
Nessuna guerra contro il matrimonio da parte di chi desidera modificare i ruoli di genere, dunque, solo lo sforzo di cambiarlo per renderlo più vivibile e accessibile.
Chiara Saraceno MicroMega – 3 ottobre 2016
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-crociata-di-bergoglio-contro-la-teoria-gender
Ma che Gender di crociate
Il «Gender» vuole abolire le differenze tra maschi e femmine? Il gender vuole distruggere la famiglia naturale? Il gender ci farà diventare tutti gay? Queste le domande immesse nel dibattito pubblico dalla crociata neo-fondamentalista che ha mobilitato una vasta compagine di attori e istituzioni, principalmente religiosi, ultimo Papa Francesco, ma anche di estrema destra, come di «sinistra», accomunati dalla condivisione di prospettive conservatrici, e reazionarie, in materia di genere, corpi, sessualità.
Il paradosso di questa crociata, tuttavia, è che ci impone di resistervi, senza desistere. Rispondervi, specialmente dalla prospettiva di chi, a vario titolo, ha a che fare con i bambini e con gli adolescenti, significherebbe innanzitutto legittimarle, e dunque legittimare il discredito, a esse sotteso, nei riguardi delle teorie del genere. Il «Gender» infatti non è che il modo attraverso cui gli anglosassoni si riferiscono a quella categoria che in italiano, e da molto tempo, si è unanimemente tradotta con «genere», benché i suoi usi e le sue declinazioni possano differire notevolmente, a seconda degli ambiti disciplinari o di movimento, dei contesti, o dei fini. Più importante di questo, però, è dire che quelle domande individuano con estrema precisione le strutture elementari del potere a partire dalle quali le teorie del genere – nelle loro differenti genealogie femministe, gay/lesbiche, queer, post-strutturaliste, materialiste, intersezionali – prendono le mosse per le proprie analisi e, in modo meno esplicito, per i propri obiettivi normativi, e di lotta. Queste grandi strutture sono lo statuto della differenza sessuale («le differenze tra maschi e femmine»); la riproduzione («distruggere la famiglia naturale»); la sessualità («diventare tutti gay»).
Tali domande, con tutto il loro portato reazionario, potranno far sorridere o indignare, potranno spaventare i più progressisti all’idea che qualcosa sia andato storto nel progresso lineare della storia «verso il meglio», o, al contrario, potranno riscuotere – e, di fatto, riscuotono – consensi, in modo trasversale agli schieramenti, innervate come sono dalla paura che i fondamenti della nostra cultura vengano meno. E questi fondamenti, ciascuno dei quali coincide con ciascuna delle tre grandi strutture di potere individuate dalle domande neo-fondamentaliste, sono, tutt’oggi, questi: l’autoevidenza della differenza sessuale; la centralità della famiglia nucleare; l’eterosessualità, sullo sfondo della mutua esclusività degli orientamenti sessuali, e dei generi.
Quelle domande ci suggeriscono che l’ordine simbolico e sociale dipende dalla capacità di tenuta di questi tre fondamenti. Dal fatto, cioè, che dall’eterosessualità continui a dipendere l’istituzione dei generi, dai quali dipende l’intelligibilità del sesso. Quelle tre domande, benché in modo del tutto involontario, hanno pertanto il pregio di indurci a ragionare sul «genere» prescindendo dalla distinzione che, di solito, si tende a stabilire tra il «sesso», l’«identità di genere» e l’«orientamento sessuale». Con la parola «gender» le domande reazionarie alludono a tutte e tre queste cose. E può essere importante, forse, mettere sotto cauzione quelle posizioni analitiche che considerano il sesso, l’identità di genere o l’orientamento sessuale singolarmente, sottovalutando il nesso strutturale che li nega: quel nesso è l’eteronormatività.
L’eteronormatività esercita sulle identità di genere e gli orientamenti sessuali – e la scuola inevitabilmente è uno dei luoghi privilegiati della sua ri-produzione – una funzione che è produttiva e, a un tempo, repressiva. D’altronde, sono le stesse voci di quella moltitudine che quotidianamente sfida l’eteronormatività, anche all’interno della scuola, a testimoniarlo. Si tratta di voci che aprono nuovi campi di possibilità, di sperimentazione e di lotta, e che restituiscono una ricchezza di posizionamenti, desideri, e bisogni che non possono essere compressi da alcuna dialettica, nemmeno da quella tra il neoliberismo e il neofondamentalismo. E, a ben vedere, l’eteronormatività non è che l’inatteso punto di convergenza tra queste due modalità, apparentemente contrapposte, attraverso le quali opera oggi il potere.
Federico Zappino, Università di Sassari Il manifesto” 4 ottobre 2016
http://ilmanifesto.info/ma-che-gender-di-crociate
Ma il Papa ha una sua teoria del Gender. Discutiamola
Caro Bergoglio, Francesco carissimo, sei di nuovo intervenuto su questo tema a Tbilisi. E io devo ripeterti cose che dovresti ormai sapere. Il gender non è una teoria, è un fatto: gender è il nome che gli studiosi di scienze sociali hanno dato al fatto che uomini e donne hanno comportamenti diversi, tutti si aspettano da loro questi comportamenti diversi, ma queste aspettative cambiano nel tempo, nelle diverse società, nelle diverse culture. Sopra una caratteristica biologica – cromosomi XY oppure XX – si creano delle aspettative culturali, che diventano stereotipi. Queste aspettative culturali non sono le stesse attraverso la storia e attraverso la geografia: io posso uscire a testa nuda, una saudita non può. Descrivere perché ci sono queste differenze di genere è produrre una spiegazione scientifica del gender, cioè una teoria. O meglio, tante teorie del gender: di spiegazioni del gender ce n’è più d’una.
Anche Tu hai una teoria del gender. La teoria cattolica del gender dice – non pretendo di essere esatta, nell’esegesi biblica ci sono diverse interpretazioni, ma più o meno a me hanno insegnato così – che la prima donna è stata fatta dalla costola del primo uomo, che poiché lei ha suggerito di mangiare un frutto proibito tutto il dolore del mondo è colpa sua, e non del primo uomo che ne ha mangiato o di entrambi. Che quando il Dio si è incarnato ha scelto una fanciulla vergine, il che suggerisce che c’è qualcosa di sbagliato nell’essere donne e non essere vergini. Nella vostra religione un dato biologico, avere un pene, è un requisito essenziale per svolgere la più importante funzione culturale, essere sacerdoti. Solo i maschi sono abilitati ad essere mediatori tra gli esseri umani e il divino: da questi sacerdoti maschi tutti, anche le donne, devono andare periodicamente a raccontare cosa hanno fatto per avere conferma che vada bene o meno. Non in tutte le religioni è così: in altre religioni ci sono state sibille e sacerdotesse; altre denominazioni cristiane hanno rifiutato un istituto di controllo sociale di un gruppo di maschi su tutti gli altri, che tale è la confessione; in alcune denominazioni sono state accettate donne nel ruolo sacerdotale.
La attuale teoria cattolica del gender riproduce caratteristiche presenti in una maggioranza di culture – non in tutte: il dominio del sesso maschile su quello femminile, e il dare maggior valore a caratteristiche e comportamenti maschili rispetto a quelli femminili. In realtà su questo secondo punto la cultura cattolica è ambivalente. Infatti per certi aspetti valorizza, nei maschi e nei sacerdoti, delle caratteristiche che nello stereotipo corrente sarebbero virtù femminili. Favorisce l’ascolto, l’accoglienza, la condivisione, la pace piuttosto che non la violenza la competizione per la vittoria, la guerra. Questa molto positiva apertura verso il femminile può essere la base di una alleanza e di una sinergia importante tra la Chiesa cattolica e le varie forme di femminismo – i femminismi sono movimenti politici che si propongono di valorizzare le donne e il femminile, rendendo uomini e donne non uguali, ma ugualmente liberi e con gli stessi diritti.
Ma questa alleanza non può avvenire se voi continuante a tener fermo il punto del dominio maschile. Vero, nel divorzio i figli soffrono. Ma come lei sa bene esiste il femminicidio, cioè il fatto che le donne, assai più spesso che non gli uomini, vengono uccise dai propri mariti, e questo spesso segue anni di violenza, di percosse e di insulti. So che lei non chiede alle donne di non terminare una relazione con mariti di questo tipo. Non può suggerire che figli e figlie vengano allevati dentro questo modello, che perpetua e riproduce la violenza. C’è una altissima correlazione tra essere terroristi assassini – parlo di bombe e eccidi in Francia e in Usa- e avere una storia di violenza domestica, la prego, non è saggio, neanche nella lontana Tbilisi, andare a dire una cosa che non è vera, disseminare ignoranza.
Il gender non è un nemico della famiglia. E’ un oggetto di studio affascinante, che per essere veramente capito richiede conoscenze biologiche, filosofiche, psicologiche, antropologiche, economiche. Personalmente non finisco di appassionarmene. In Italia non ha ancora una cittadinanza ufficiale negli ordinamenti universitari, a differenza che in paesi più evoluti, e questo costringe quelle come me che lo hanno scelto come oggetto di studio principale ad una sofferta marginalità accademica, a presentarsi sempre sotto mentite spoglie. Ci aiuti invece piuttosto a studiarlo e a discuterne con serietà e serenità, come si fa anche nelle vostre Pontificie Accademie: sono convinta che con nuove conoscenze anche la teoria del gender cattolica può cambiare in meglio, come può cambiare in meglio quella di una femminista studiosa del gender come me.
Elisabetta Addis, Università di Sassari e L.u.i.s.s. l’Huffington Post 2 ottobre 2016
www.huffingtonpost.it/elisabetta-addis/ma-il-papa-ha-una-sua-teoria-del-gender-discutiamola_b_12285044.html
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GESTAZIONE PER ALTRI
Bimbo con due madri: il sì della Cassazione. Ecco la sentenza
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 19599, 30 settembre 2016. Massima
1. La procedura di maternità assistita tra due donne legate da un rapporto di coppia, con donazione dell’ovocita da parte della prima e conduzione a termine della gravidanza da parte della seconda con utilizzo di un gamete maschile di un terzo ignoto, integra un’ipotesi di genitorialità realizzata all’interno della coppia, assimilabile alla fecondazione eterologa, dalla quale si distingue per essere il feto legato biologicamente ad entrambe le donne.
2. Il riconoscimento e la trascrizione nei registro dello stato civile in Italia di un atto straniero, validamente formato, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne a seguito di procedura assimilabile alla fecondazione eterologa per aver la prima donato l’ovulo e la seconda condotto a termine la gravidanza con utilizzo di un gamete maschile di un terzo ignoto, non contrasta con l’ordine pubblico dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, del superiore interesse del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla conservazione del suo status filiationis, validamente acquisito all’estero.
Il contrasto con l’ordine pubblico non è ravvisabile per il solo fatto che la norma straniera sia difforme da disposizioni del diritto nazionale. Anche la Cassazione ha dato il suo sì: il bambino nato in Spagna a seguito di inseminazione eterologa ha due madri. La sentenza sta già facendo parlare di sé: dopo due anni, il via libera espresso dalla Corte d’appello di Torino alla trascrizione della nascita del bambino come figlio di due mamme ha trovato la sua conferma definitiva.
La vicenda riguardava due donne che, dopo essersi sposate in Spagna, avevano deciso di ricorrere alla procreazione assistita per allargare la famiglia: una aveva donato gli ovuli, l’altra aveva partorito. La trascrizione in Italia dell’atto di nascita formato in Spagna e valido per il diritto spagnolo è consentito o si pone, piuttosto, in contrasto con l’ordine pubblico?
Per i giudici la risposta giusta è la prima: non c’è quella contrarietà all’ordine pubblico che il tribunale di Torino, in un primo momento, aveva posto alla base del diniego di trascrizione. A questa condizione se nel registro dello Stato civile di Barcellona si può individuare le due donne come “madre A” e “madre B”, lo si può fare anche qui. Non importa che la tecnica di procreazione utilizzata non sia pienamente riconosciuta nel nostro ordinamento.
Più nel dettaglio, con la sentenza in commento la Corte ha compiuto un’attenta e rigorosa disamina del concetto di ordine pubblico, giungendo alla conclusione che il contrasto con esso “non è ravvisabile per il solo fatto che la norma straniera sia difforme contenutisticamente da una o più disposizioni del diritto nazionale”. Il parametro di riferimento, infatti, è rappresentato esclusivamente dai principi fondamentali che vincolano il legislatore ordinario e non dalle norme con le quali questi abbia esercitato la sua discrezionalità in una determinata materia.
Di conseguenza, il giudice italiano che sia chiamato a valutare la compatibilità con l’ordine pubblico di un atto di stato civile straniero (come l’atto di nascita) i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, non deve verificare se tale atto applichi una disciplina conforme o difforme rispetto alle norme interne, anche imperative o inderogabili. La sua indagine deve concentrarsi piuttosto sul se tale atto contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo che possono essere desunte dalla Costituzione, dai Trattati fondativi, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla Cedu.
Nel caso di specie, occorreva quindi fare esclusivo riferimento alla tutela dell’interesse superiore del minore e al diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia. Non riconoscere un rapporto di filiazione legalmente e pacificamente esistente in Spagna avrebbe determinato un’incertezza giuridica idonea a incidere sul diritto del piccolo ad avere un secondo genitore e sulla definizione della sua identità personale (si pensi, ad esempio, alla possibilità di acquisire la cittadinanza italiana e i diritti ereditari e a quella di essere rappresentato dal genitore nei rapporti con le istituzioni italiane).
Insomma: per la Cassazione “non si può ricorrere alla nozione di ordine pubblico per giustificare discriminazioni nei confronti dei minori”. Il bambino ha un diritto fondamentale alla conservazione dello status legittimamente acquisito all’estero e il negarlo comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza.
Valeria Zeppilli Studio Cataldi 3 ottobre 2016 Sentenza
www.studiocataldi.it/articoli/23573-bimbo-con-due-madri-il-si-della-cassazione-ecco-la-sentenza.asp
Trascrizione dell’atto di nascita e coppie dello stesso sesso: via libera dalla Corte di appello di Torino
Via libera alla trascrizione dell’atto di nascita di un bimbo nato all’estero da una coppia dello stesso sesso. Lo ha disposto la Corte di appello di Torino con decreto del 29 ottobre 2014, diffuso a gennaio.
Link al pdf della sentenza della Corte d’Appello di Torino
I giudici hanno accolto il ricorso di una cittadina spagnola e di una donna italiana che avevano avuto un figlio, di cittadinanza spagnola, ricorrendo alla fecondazione assistita eterologa a Barcellona, città nella quale risiedevano le due donne. Le ricorrenti avevano chiesto la trascrizione dell’atto di nascita in Italia ma, prima l’ufficiale di stato civile e poi i giudici di primo grado, avevano opposto un rifiuto. Una conclusione ribaltata in appello con i giudici di secondo grado che hanno accolto il ricorso della coppia nel segno dell’interesse superiore del minore, assicurato dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176. Per la Corte di appello è indispensabile garantire lo status di figlio già acquisito all’estero, senza dimenticare che l’articolo 33 della legge di diritto internazionale privato 218/95 attribuisce ai “provvedimenti accertativi dello stato estero ogni determinazione sul rapporto di filiazione”. Né può essere richiamato il limite dell’ordine pubblico che deve essere declinato tenendo conto dell’interesse superiore del minore in linea con l’articolo 23 del regolamento n. 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, il quale stabilisce espressamente che la valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico deve essere effettuata tenendo conto dell’interesse superiore del figlio. Ad accogliere una diversa soluzione si configurerebbe una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Ed invero, la stessa Corte europea, nelle sentenze Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia del 26 giugno 2014 ha chiarito che per garantire il diritto all’identità personale e alla vita privata del minore (assicurato dall’articolo 8 della Convenzione), le autorità nazionali devono procedere alla trascrizione di atti stranieri che riconoscono il legame con i genitori che ricorrono all’estero alla maternità surrogata malgrado il divieto legislativo in patria.
www.marinacastellaneta.it/blog/maternita-surrogata-e-trascrizione-necessario-assicurare-i-diritti-del-minore.html
Così, nel segno dell’interesse del minore, la Corte di appello di Torino ha imposto la trascrizione dell’atto di nascita che indica come mamme entrambe le donne.
http://www.marinacastellaneta.it/blog/trascrizione-dellatto-di-nascita-e-coppie-dello-stesso-sesso-via-libera-dalla-corte-di-appello-di-torino.html
Marina Castellaneta 7 ottobre 2016 |
Anche alle madri c’è un limite. La Cassazione ha stabilito 24
Una sentenza ha registrato il primo bimbo italiano figlio di “mamma A” e “mamma B”. Meno male: avessero usato numeri anziché l’alfabeto, avrebbero potuto essere infinite. Questa la provocazione lanciata dall’avvocato Simone Pillon sulle pagine del quotidiano “La Verità” in questo articolo, che riportiamo integralmente, pubblicato mercoledì 5 ottobre.
Ai. Bi. 05 ottobre 2016 Articolo integrale in pdf
www.aibi.it/ita/anche-alle-madri-ce-un-limite-la-cassazione-ha-stabilito-24
Maternità surrogata: lecita se è garantito il “diritto al ripensamento” della madre biologica
Corte d’Appello di Milano, ordinanza 25 luglio 2016.
Maternità surrogata: lecita se è garantito il “diritto al ripensamento” della madre biologica – non lesiva della dignità della donna nella misura in cui le venga garantita la possibilità di tenere per sé e riconoscere il bambino, non potendo imporsi alla donna per contratto (né per legge) di usare il proprio corpo a fini riproduttivi e di essere, o non essere, madre – questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minorenne possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso –
Ha suscitato scalpore e vivaci polemiche l’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Milano, tra le righe, giunge ad ammettere la pratica della maternità surrogata, laddove si riconosca il diritto della gestante di “ripensamento”, ossia la possibilità di tenere per sé il bambino. Non sono mancate pesanti critiche a tale provvedimento, che hanno accusato la Corte milanese di aver inventato la “maternità in comodato d’uso”.
La Corte, nel giudicare una vertenza che vedeva coinvolta una coppia italiana che aveva commissionato ad una donna indiana un bimbo tramite maternità surrogata, dopo aver dichiarato irriducibile il contrasto tra la maternità surrogata ed il principio di dignità personale della gestante con riferimento alla mercificazione del proprio corpo se degradato a solo strumento di procreazione per contratto, che la obbliga a disporre del proprio corpo come mezzo per fini altrui e a consegnare il nato ai committenti, in applicazione dell’art. 12 comma 6 L. 40/2004, ha lasciato intendere che potrebbe non ravvisarsi una lesione della dignità della donna qualora le fosse consentito, con una scelta libera e responsabile, di accedere, in condizioni di consapevolezza, alla pratica relazionale della gestazione per altri, in un contesto regolamentato in termini non riducibili alla logica di uno scambio mercantile.
A detta della Corte milanese, dunque, la maternità per terzi potrebbe essere ritenuta lecita, se si riconoscesse la possibilità alla gestante di tenere con sé e riconoscere il bambino, non potendo imporsi alla donna per contratto, né per legge, di usare il proprio corpo per fini riproduttivi, di essere o non essere madre.
Non essendo, tuttavia, stato possibile rinvenire nella fattispecie sottoposta al suo esame detti parametri (scelta libera e responsabile della gestante, condizione di libertà, contesto non riconducibile ad una logica di mercato, ecc), la Corte medesima ha ritenuto di non dover affrontare il dubbio di costituzionalità, paventato da una parte, in ordine all’assolutezza del divieto imposto dall’art. 12, comma 6 L. 40/2004.
La Corte meneghina ha investito, invece, la Corte Costituzionale sotto un diverso profilo: quello della questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minorenne possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso.
Newsletter n. 13. Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori- 3 ottobre 2016
www.aiaf-avvocati.it/archivio-newsletter
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GOVERNO
Ricostituito l’Osservatorio nazionale sulla famiglia.
È stato ricostituito, con decreto del ministro della famiglia Enrico Costa, l’Osservatorio nazionale sulla famiglia, organismo di supporto tecnico-scientifico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per l’elaborazione delle politiche nazionali per la famiglia. Fanno parte dell’Osservatorio l’Assemblea e il Comitato tecnico-scientifico, che avrà il compito di tradurre operativamente gli indirizzi fissati dall’Assemblea.
L’Assemblea è composta da 36 membri, designati rispettivamente dal Ministro delegato alle politiche familiari (che la presiede), dalle amministrazioni centrali interessate, dalla Conferenza unificata, dalle confederazioni sindacali e dalle associazioni dei datori di lavoro, dell’industria, del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura maggiormente rappresentative, e dalle associazioni familiari (tra cui Roberto Balzonaro del Forum Associazioni Familiari) e del terzo settore. L’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza partecipa ai lavori dell’Assemblea in via permanente con un proprio rappresentante.
Il nuovo Comitato è presieduto da Simonetta Matone, direttore tecnico-scientifico dell’Osservatorio, ed è composto dal capo del Dipartimento per le politiche della famiglia Ermenegilda Siniscalchi, membro di diritto, e dai seguenti esperti: Gianni Ballarani, Marco Allena, Mauro Marè, Riccardo Prandini e Gianluigi De Palo (presidente del Forum Associazioni Familiari). Il Comitato ha il compito di tradurre operativamente gli indirizzi fissati dall’Assemblea.
L’Osservatorio svolge funzioni di studio, ricerca, documentazione, promozione e consulenza sulle politiche in favore della famiglia e funzioni di supporto al Dipartimento per le politiche della famiglia per la predisposizione del Piano nazionale per la famiglia.
“Sarà importante il metodo di lavoro – osserva il Ministro -: ogni proposta dovrà essere accompagnata da un cronoprogramma dettagliato, con i tempi e le fasi di realizzazione. Serve un approccio pratico per una sfida complessa: dare punti fermi alle famiglie, che domandano un fisco “amico” e un piano organico di interventi ad hoc, stabili e strutturali. È in questa prospettiva che stiamo lavorando in vista della prossima legge di stabilità. Ma le politiche familiari vanno oltre le cosiddette “misure”: si pensi, per esempio, al grande tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alla natalità, alla tutela dei minori e a iniziative che mettano proficuamente insieme sport, scuola e famiglie, solo per citarne alcuni. Su tutto sarà prezioso il contributo propositivo dell’Osservatorio, che avrà anche il compito di preparare la prossima Conferenza nazionale sulla famiglia. Un’importante occasione di confronto (e non un una mera “passerella”), che dovrà perseguire obiettivi precisi e presentare conclusioni praticabili”.
19 settembre 2016
decreto_osservatorio_famiglia_2016.pdf
www.minori.it/it/news/riparte-losservatorio-nazionale-sulla-famiglia
www.politichefamiglia.it/notizie/2016/settembre/ministro-costa-nomina-simonetta-matone-presidente-del-comitato-tecnico-scientifico-del-nuovo-osservatorio-nazionale-sulla-famiglia
Approvati in via preliminare tre Decreti legislativi in materia di unioni civili.
Con il comunicato stampa n. 134 il Consiglio dei Ministri informa di aver approvato, nel corso della riunione del 4 ottobre 2016, in via preliminare tre decreti legislativi di attuazione dell’art. 1 comma 28 lett. a), b) e c) della L. 20/05/2016 n. 76 in materia di unioni civili.
Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato, in esame preliminare, tre decreti legislativi di attuazione dell’articolo 1, comma 28, lettere a), b) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76, che delega il governo ad adottare:
disposizioni per l’adeguamento delle norme dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della legge sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nonché ad adottare disposizioni recanti modifiche ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la medesima legge sulla regolamentazione delle unioni civili delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti;
Disposizioni di modifica e riordino delle norme di diritto internazionale privato in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso;
Disposizioni di coordinamento in materia penale.
Tra le altre cose, i decreti prevedono che, come per il matrimonio, il partner dell’unione civile che aggiunge al suo il cognome del partner non perde il suo cognome d’origine. Rispetto al decreto ponte, con tali norme non è necessario produrre alcuna modifica anagrafica.
Sotto il profilo del diritto internazionale, queste norme evitano le possibili elusioni della disciplina italiana quando non esistono profili oggettivi di transnazionalità, come per esempio quando si tratta di un’unione civile contratta all’estero da cittadini italiani che abitualmente vivono in Italia. Anche in questo caso l’unione civile è regolata dalla legge italiana.
Infine, sono state apportate alcune modifiche al codice penale per consentire, anche in questo ambito, l’equiparazione del partner dell’unione civile al coniuge. Si consente così che possa operare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare quando le inadempienze siano del partner dell’unione civile nei confronti dell’altro; che possa applicarsi al reato di omicidio l’aggravante dell’essere la vittima coniuge dell’autore, anche quando il fatto avvenga tra due soggetti legati da unione civile.
Comunicato stampa n. 134 4 ottobre 2016
www.governo.it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-134/5855
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NEGOZIAZIONE ASSISTITA
Mozione sulla negoziazione assistita in materia familiare.
Nel corso del XXXIII Congresso Nazionale Forense è stata approvata la mozione che l’AIAF unitamente all’ONDF, all’UNCC e all’AMI ha presentato il primo giorno del Congresso.
La votazione è avvenuta l’ultimo giorno sul testo formulato nei seguenti sette punti e ha chiesto al CNF e a tutti gli organi rappresentativi dell’Avvocatura di adoperarsi affinché:
La negoziazione assistita sia estesa anche ai procedimenti aventi ad oggetto la regolamentazione della responsabilità genitoriale a prescindere dal rapporto esistente tra i genitori;
L’accordo concluso a seguito di negoziazione assistita possa contenere trasferimenti immobiliari con la sola autenticazione da parte degli Avvocati, mediante introduzione di un comma 7 all’art. 6;
L’accordo concluso a seguito di negoziazione assistita sia titolo per la trascrizione del diritto di assegnazione della casa coniugale, senza la necessità di ricorso all’autenticazione delle firme da parte del notaio;
Sia estesa la possibilità di concludere validamente accordi, a seguito di convenzione di negoziazione assistita, che prevedono la corresponsione di una tantum ex art. 5 L. 898/70, prevedendo che l’obbligatoria valutazione di equità (attualmente operata dal Tribunale) venga fatta dalle parti con l’ausilio dei difensori.
Sia estesa alla procedura di negoziazione assistita il beneficio del patrocinio a spese dello stato con adeguata regolamentazione;
Sia eliminata la fase “presidenziale” nell’ipotesi di diniego del visto / autorizzazione da parte del PM prevedendo che, in detti casi: a) il PM indichi per iscritto alle parti le modifiche da apportare; b) le parti abbiamo la facoltà di accettare le suddette modifiche; c) in difetto la procedura si concluda con un non luogo a provvedere libere le parti di redigere nuovi accordi nelle forme di legge.
Sia previsto che gli originali degli accordi vengano conservati dai COA, mediante istituzione di apposito archivio con facoltà di rilasciare copie.
Auspichiamo che l’azione che il CNF svolgerà possa essere sensibilizzata adeguatamente dal legislatore, per rendere la negoziazione assistita sempre più adeguata alle esigenze dei cittadini di utilizzare questo utile strumento di soluzione dei rapporti familiari in crisi, alternativo all’attività giudiziale.
Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori- 11 ottobre 2016
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PASTORALE FAMILIARE
Famiglia, Vallini: da Cristo il dono di un «amore paziente».
Nella basilica di San Paolo la celebrazione del Giubileo, che ha concluso la Settimana organizzata da Centro diocesano per la pastorale familiare e Forum Lazio. Trovare il coraggio, nei momenti difficili, di fermarsi, parlarsi, ascoltarsi, chiarirsi e perdonarsi. Non farsi contagiare dalla «lebbra che prende il cuore, lo atrofizza, lo chiude, lo impoverisce» ma affidarsi sempre e solo a Gesù, l’unico capace di donare «quell’amore paziente che sa anche aspettare e incassare una mortificazione». Perché il matrimonio «non è la festa e le fotografie» ma è «una cosa delicata». È un appello al perdono coniugale l’omelia che il cardinale Agostino Vallini ha tenuto sabato 8 ottobre 2016 nella basilica di San Paolo Fuori le Mura in occasione della “Festa del Perdono in famiglia” e del Giubileo della Misericordia. L’evento, al quale hanno partecipato un migliaio di famiglie provenienti da tutta Roma, ha chiuso la Settimana della famiglia “Insieme nell’amore”, organizzata dal Centro per la pastorale familiare della diocesi di Roma e dal Forum famiglie Lazio.
Per tutta la giornata di sabato nell’area della basilica si sono susseguiti quattro laboratori tematici, animazione per bambini, tornei sportivi, visite agli stand espositivi. Nel pomeriggio il culmine della manifestazione con la celebrazione del Giubileo della Misericordia per le famiglie, aperto da una riflessione sul perdono del vescovo Angelo De Donatis. Decine i sacerdoti disponibili per la confessione prima del passaggio della Porta Santa della basilica di San Paolo e la celebrazione presieduta dal cardinale vicario. «Questa è una grande festa che il Signore ha preparato per noi che siamo qui come famiglia», ha affermato il presule, il quale, ricordando le tre parole indicate dal Papa per la pace in famiglia – «grazie, permesso, scusa» – ha sottolineato il bisogno che c’è nelle famiglie «di molta più cortesia, perché a volte c’è aria di forte arroganza».
Rifacendosi alla sua esperienza di sacerdote, confessore e guida spirituale, il cardinale Vallini ha evidenziato che oggi «viviamo un tempo di grande sofferenza di vita familiare. Mi è capitato di celebrare il matrimonio nella gioia mentre gli sposi si giuravano amore eterno e poi ritrovarli in tribunale con l’odio nel cuore. Cosa è successo nella vita di questi fratelli che hanno vissuto esperienze di grande intimità fino a generare la vita? Da dove viene questo diventare sempre più distanti, non capirsi, sentirsi indifferenti fino a dirsi arrivederci?» ha chiesto Vallini alle tantissime famiglie presenti. «Il matrimonio – ha sottolineato – è una cosa delicata: c’entra Dio, la vita, i figli, la pace, la società, il bene, l’eternità. E invece capita che non ci si capisca, che ci si allontani e che il demonio agisca e divida».
L’appello quindi al perdono o «all’amore difficile», come lo ha definito il vicario del Papa: «Perdonarsi non è facile, è possibile solo se il Signore entra in noi. Se si ha pazienza, se si fa un passo dopo l’altro, se si riflette, se non si è frettolosi e non si decide sull’onda dell’impeto e della passione. Per potersi perdonare bisogna scaldare il cuore e solo Cristo può farlo con la sua parola, con la confessione e con l’Eucaristia, attraverso una riflessione che faccia riscoprire i lati positivi del coniuge. Questa non è poesia, è avere la chiave risolutiva di tante questioni e tante sofferenze».
Dopo aver ringraziato gli organizzatori della Settimana della famiglia che hanno «faticato silenziosamente con perseveranza e audacia» per realizzare un evento che quest’anno ha visto riunite diverse associazioni, strutture e soggetti che si occupano della famiglia, dal cardinale è arrivato l’invito ad andare avanti al fine di «diventare un esercito della famiglia, perché a Roma sono troppe le famiglie che soffrono. Preghiamo – ha concluso – perché le famiglie di Roma grazie alla vostra testimonianza e al vostro esempio possano mettersi in cammino e vincere questa terribile sciagura della mentalità che sfascia le famiglie e le mette nella disperazione».
Soddisfatta della Settimana della Famiglia Emma Ciccarelli, presidente del Forum famiglie Lazio. «È stata una settimana strepitosa – ha dichiarato -. Si volta pagina, le famiglie escono più consapevoli del loro ruolo e della loro forza nella società. L’incoraggiamento arrivato dal cardinale ci riempie di soddisfazione».
Roberta Pumpo – Roma sette 9 ottobre 2016
www.romasette.it/famiglia-cardinale-vallini-da-cristo-il-dono-di-un-amore-paziente
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SEPARAZIONE
La madre paga 150 euro per ogni volta che mette i figli contro il padre.
Tribunale di Roma, prima Sezione civile, Sentenza n. 5128, 16 luglio 2015
Rischia una condanna la madre che nel corso della separazione ostacola il rapporto dei figli con il padre mettendoli uno contro l’altro: la donna rischia l’allontanamento dalle figlie e di pagare una somma di denaro alla controparte per ogni provvedimento, da lei non ottemperato, del Tribunale o dei servizi sociali volto a riprendere le relazioni.
Lo precisa la sentenza che ha condannato una donna a corrispondere una somma di denaro all’ex marito per aver ostacolato i rapporti tra lui e le figlie. Come confermato dagli esperti del settore a seguito di colloquio con le minori, la donna appare ostile a qualunque tipo di rapporto, anche minimo, tra le ragazze e il padre.
Nonostante l’uomo sia coinvolto in un procedimento penale, l’accusa nei suoi confronti di molestie verso le figlie è scattata proprio poco prima della ripresa degli incontri tra padre e figlie e quando una di loro avrebbe dovuto iniziare un percorso di sostegno psicologico.
In presenza di quella che viene definita “sindrome da alienazione genitoriale” per taluni l’affidamento e il collocamento presso il genitore “alienato” sarebbe l’unico rimedio praticabile, ma non nel caso di specie: oltre al fatto che l’uomo è accusato di aver avuto “comportamenti sessualizzanti” nei confronti delle figlie, nonostante egli li ritenga meramente “disinibiti”, il distacco dalla madre potrebbe risultare eccessivamente traumatico per le minori.
Della vicenda dovranno, pertanto, occuparsene i servizi sociali, mentre il giudice (ai sensi del combinato dell’art. 614-bis c.p.c. e dell’art. 709-ter c.p.c.) o il collegio saranno autorizzati anche ex officio ad adottare tutte le misure necessarie, funzionali all’attuazione pratica dell’affidamento, comprese quelle di carattere esecutivo.
La donna viene comunque ammonita dal giudice in quanto, se ostacolerà gli incontri tra padre e figlio imposti dall’autorità giudiziaria, pagherà all’ex marito ogni volta 150 euro e potrebbe, in aggiunta, essere allontanata dalle figlie se renderà difficoltoso il percorso terapeutico disposto dai servizi sociali.
Lucia Izzo Studio Cataldi.it 3 ottobre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/23567-separazione-la-madre-paga-150-euro-per-ogni-volta-che-mette-i-figli-contro-il-padre.asp
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SEPARAZIONE E DIVORZIO
Separazione e divorzio: senza testamento cosa eredita l’ex coniuge?
Effetti della separazione e del divorzio sul diritto a ereditare una quota del patrimonio dell’ex coniuge, del Tfr e della pensione di reversibilità. Separazione e divorzio hanno degli effetti su quelli che, comunemente, vengono detti “diritti successori”, ossia sulla possibilità di diventare eredi dell’ex coniuge nel caso in cui questi non faccia testamento. La domanda, cui quindi cercheremo di dare una risposta nel corso di questa scheda, è la seguente: se non ho fatto testamento, in caso di separazione o divorzio, cosa eredita l’ex coniuge?
La risposta è diversa a seconda che si tratti di separazione o di divorzio e può ulteriormente variare se interviene una pronuncia di addebito (ossia se il giudice ritiene che l’intollerabilità della convivenza è stata causata dal comportamento colpevole di uno dei due coniugi, come nel caso di tradimento, abbandono della casa coniugale, disinteresse nei confronti dell’altro, ecc.).
Separazione senza addebito. Se la coppia si separa consensualmente (cosiddetta separazione consensuale) oppure a seguito di una causa (cosiddetta separazione giudiziale) ma il giudice non attribuisce l’addebito a nessuno dei due, nel caso in cui, prima del divorzio, uno dei coniugi dovesse morire senza lasciare testamento, l’altro erediterebbe il suo patrimonio secondo le regole generali e, quindi, in concorso con eventuali figli. In pratica, l’ex coniuge separato ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato: è come se la separazione non fosse mai avvenuta e la coppia si considera come ancora sposata. Questo significa che il coniuge superstite – sempre a condizione che non abbia subìto dal giudice l’addebito della separazione a seguito di una regolare causa – può rivendicare i propri diritti di erede; e se la coppia non ha figli, egli diventa erede universale.
Separazione con addebito. Opposta è la soluzione se il coniuge superstite è stato ritenuto colpevole della separazione, ossia ha ottenuto dal tribunale il cosiddetto addebito con sentenza divenuta definitiva (ad esempio ha abbandonato il tetto coniugale, ha tradito, ha picchiato l’ex, ecc.). Egli perde i diritti successori nei confronti dell’altro. In pratica, non avrà alcun diritto a diventare erede e ad acquistare una quota del patrimonio dell’ex scomparso. Tuttavia, se al momento dell’apertura della successione il coniuge superstite godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto, egli ha diritto a un assegno vitalizio. Attenzione: gli alimenti sono cosa ben diversa dal mantenimento. Il mantenimento spetta come conseguenza di un diverso tenore di vita tra i due coniugi ed è volto a livellare il divario tra i rispettivi redditi. Gli alimenti vengono accordati invece al coniuge che si trova in condizioni economiche miserrime e, a differenza del mantenimento, spetta anche se il coniuge beneficiario ha subìto l’addebito. Il suddetto assegno vitalizio è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, incide solo sulla quota disponibile e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. Tale disposizione si applica anche nel caso in cui la separazione sia stata addebitata a entrambi i coniugi.
Separazione e Tfr. Se il coniuge deceduto era lavoratore e ha maturato il Tfr quest’ultimo deve essere corrisposto ai suoi familiari, ivi compreso l’ex coniuge separato (in concorso con i figli e, se conviventi a carico del lavoratore, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo).
Separazione e reversibilità. La pensione di reversibilità spetta al coniuge separato di diritto, anche se questi ha rinunciato all’eredità dell’ex (magari nel caso in cui i debiti da questi contratti siano superiori al patrimonio attivo). [La pensione di reversibilità sta per mutare, tenendo presente ISEE]
Divorzio con o senza addebito. Il divorzio cancella tutti i diritti successori. Dunque, una volta divorziati decade il diritto a diventare erede nei confronti dell’ex. Nessuna quota del patrimonio spetta, quindi, al coniuge divorziato, a differenza invece di quello separato. E ciò a prescindere dal fatto che il divorzio sia avvenuto con o senza addebito.
Assegno a carico dell’eredità. Tutto ciò che può chiedere il coniuge superstite è che gli altri eredi gli corrispondano un assegno qualora le sue condizioni economiche siano estremamente disagiate. In particolare, morto uno dei coniugi divorziati, il coniuge superstite può presentare domanda al tribunale chiedendo il riconoscimento a suo favore di un assegno periodico a carico dell’eredità, solo se ricorrono i due seguenti presupposti:
Deve essere titolare di un assegno di divorzio.
Deve versare in stato di bisogno. La cassazione interpreta questo presupposto come una effettiva mancanza di risorse economiche occorrenti per soddisfare le esigenze essenziali o primarie della vita. Si tratta di un assegno alimentare, dato il riferimento allo stato di bisogno: esso ha natura assistenziale. Secondo questa interpretazione, pertanto, l’assegno non è riconosciuto al coniuge che già goda di un pur minimo trattamento pensionistico o al quale venga attribuita una parte dell’assegno di reversibilità. Nulla è dovuto se gli obblighi patrimoniali sono stati soddisfatti mediante un pagamento effettuato in un’unica soluzione (cosiddetta una tantum).
Divorzio e Tfr. Se il coniuge superstite, al momento della morte dell’ex coniuge, riceveva l’assegno di divorzio e non si era risposato, ha diritto a una percentuale del Tfr spettante agli eredi. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Essa spetta solo se: prima della morte del coniuge è intervenuto il divorzio o avviato almeno il procedimento; il coniuge che chiede il Tfr è titolare di assegno di divorzio periodico (ossia non ha ricevuto un’indennità in un’unica soluzione); il coniuge che vanta pretese sul Tfr non è convolato a nuove nozze.
Divorzio e reversibilità. Il coniuge divorziato ha diritto alla pensione di reversibilità spettante agli eredi dell’ex coniuge in presenza di tutte le seguenti condizioni:
Il coniuge deceduto deve aver maturato i requisiti di assicurazione e contribuzione stabiliti dalla legge;
L’inizio del rapporto assicurativo dell’assicurato o del pensionato deve essere precedente alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;
Deve ricevere l’assegno divorzile in forza di una sentenza dal tribunale;
Non si deve essere risposato. Infatti il coniuge divorziato superstite che si risposa è escluso dal diritto alla pensione, anche se alla data del decesso del pensionato o dell’assicurato il nuovo matrimonio risulta sciolto per morte del coniuge o per divorzio.
Se l’ex coniuge deceduto si è risposato, la pensione spetta sia al coniuge divorziato che al coniuge superstite, a condizione che entrambi ne abbiano i requisiti. Se, oltre al coniuge superstite vi sono altri coniugi divorziati, la pensione viene ripartita tra tutti gli aventi diritto. La ripartizione in quote dell’unico trattamento viene effettuata dal tribunale, tenendo conto della durata legale dei rispettivi matrimoni. Tuttavia il “criterio temporale” nella suddivisione delle quote, per quanto necessario e preponderante, non è esclusivo, comprendendo la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità. Fra tali correttivi assumono specifico rilievo: l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge; le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda; ciò al fine di evitare, ad esempio, che l’ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio.
In caso di decesso o successive nozze del coniuge superstite, il coniuge divorziato titolare di una quota della pensione ai superstiti ha diritto all’intero trattamento; allo stesso modo l’intero trattamento deve essere erogato al coniuge superstite se il coniuge divorziato cessa dal diritto alla reversibilità.
Redazione Lpt 9 ottobre 2016
www.laleggepertutti.it/135348_separazione-e-divorzio-senza-testamento-cosa-eredita-lex-coniuge
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SESSUOLOGIA
Uomini e donne: 7 cose in cui grazie a Dio non siamo uguali.
Qualche anno fa ho visto questo video e mi è sembrato molto divertente e ovviamente molto reale. Al giorno d’oggi sembra che non sia più così semplice. Ci hanno un po’ confusi con questa storia dell’uomo/donna, maschile/femminile, se siamo uguali o no, se la differenza esiste davvero o è un semplice costrutto sociale, come vari hanno iniziato ad affermare.
Se ci mettessimo a paragonare due immagini, due nudi, di un uomo e una donna e cercassimo similitudini e differenze, non ci vorrebbero più di 5 minuti per giungere alla conclusione che siamo simili perché siamo esseri umani e abbiamo una struttura corporea simile (occhi, bocca, orecchie, polmoni, cuore…) Basta guardare, però, per verificare grandi differenze: le più evidenti come i genitali, il seno, i fianchi, e poi quelle non così evidenti come il volto delicato della donna e i tratti più decisi dell’uomo.
E così, con un piccolo esercizio rapido e semplice, siamo potuti arrivare alla conclusione (quasi evidente) per cui la fisionomia di un uomo non è uguale a quella della donna, e potremmo affermare a priori che uomini e donne non sono uguali. In questo modo mandiamo all’aria qualsiasi teoria che ci dica il contrario. Sembra però che non sia così semplice. Sentiamo dire che siamo uguali o anche che possiamo decidere la nostra sessualità.
Di fronte a teorie così opposte, già da vari anni gli studi sull’identità dell’uomo e della donna stanno acquisendo sempre più importanza. Ripercorriamo alcune delle conclusioni fondamentali di questi studi.
Il corpo dell’uomo è diverso da quello della donna fin dal ventre materno. Al di là dei cromosomi XX e XY, si è scoperto che c’è un gene specifico e diretto responsabile delle caratteristiche maschili, il gene SRY. Citando José Ma. Mora Montes, neurologo e psichiatra, “dopo la nascita e durante lo sviluppo, molti di questi geni si mostrano sensibili a esperienze esterne, dieta, situazione sociale e cultura. Il processo di mascolinizzazione nella sua totalità psicofisica non è semplice, perché intervengono molti geni, ormoni, educazione, fattori ambientali, e in ultima istanza e come gene principale da cui parte tutto il processo il gene SRY”.
https://it.wikipedia.org/wiki/SRY_(gene)
I cervelli sono diversi. I nostri cervelli sono fisicamente diversi. Cito il neurologo Hugo Liaño: “Il cervello maschile è più lateralizzato di quello femminile, ha più definito l’emisfero sinistro per il linguaggio e la preferenza manuale, e l’emisfero destro per il processamento visivo-spaziale. Per questo in lui la parte posteriore della scissura di Silvio o area parieto-temporale posteriore è maggiore nel lato sinistro che nel destro e ha l’istmo del corpo calloso più esile rispetto a quello della donna, per via di un insieme inferiore di fibre che collegano le aree cerebrali citate. Il cervello femminile è più simmetrico, i suoi due emisferi sono più collegati e meno specializzati nel verbale uno e nel visivo-spaziale l’altro. Per questo ha meno sviluppata la parte posteriore della scissura di Silvio e l’istmo del corpo calloso è più consistente (…) Il linguaggio nel cervello maschile scarseggia di sfumature e complementi apportati dall’altro emisfero cerebrale, ma l’emisfero destro è più specializzato nei compiti visivo-spaziali e il sinistro in quelli verbali. Nelle donne si verifica la deduzione ormai antica di Lansdell secondo cui i loro emisferi cerebrali si dedicano in modo meno specifico ai due compiti, quello verbale e quello non verbale. In poche parole, i nostri cervelli sono diversi”.
I giochi, innati, senza alcuna influenza esterna, sono diversi nei bambini e nelle bambine. Personalmente, ho fatto un esperimento con i miei due figli. Non mi è mai piaciuto il rosa (credevo che fosse una cosa forzata, anche se in realtà ho iniziato a pensarlo nell’adolescenza perché da bambina lo adoravo). Mi sono sforzata di far sì che mia figlia non avesse niente di rosa e ho giurato che non le avrei mai comprato una Barbie. Al mio secondo figlio, poverino, non ho comprato giochi “da maschietto” quando è nato, e ho tenuto tutti quelli che gli avevano regalato per quando fosse cresciuto. Hanno un anno di differenza, e per mia sorpresa mia figlia ha sempre preferito giocare con le sue bambole. Quando vedeva cose rosa al parco voleva portarsele a casa, mentre mio figlio che non aveva giochi da maschio ha letteralmente distrutto le due carrozzine della sorella e si è impossessato di tutto ciò che aveva ruote. Questa caratteristica sulle inclinazioni maschili e femminili è innata. È stata verificata con esseri umani, ratti, scimmie, e il risultato finora è stato lo stesso (come mostra lo studio realizzato da Gerianne Alexander, dell’Università del Texas, insieme a Melissa Hines, dell’Università di Londra, nel 2003). Sembrerebbe allora che arriviamo progettati per agire in modo diverso, e questo modo di operare ha a che vedere con le capacità naturali che hanno il corpo dell’uomo e quello della donna.
Le donne si identificano di più con il loro corpo. Sì, c’è un motivo per cui ci concentriamo maggiormente sul nostro aspetto personale. Non è un caso, né è solo il prodotto di mode e marche. Il corpo della donna è progettato per ricevere e accogliere. Per natura è più debole e meno atletico (ha più grasso) di quello di un uomo. Potremmo anche dire che è un po’ più privo di protezione. La preoccupazione della donna per il corpo e l’immagine sembra abbia a che vedere con questo. “La donna deve riversarsi di più sulla sua corporeità per proteggerla che l’uomo sulla sua”, e questo indica che “il corpo della donna è, per così dire, più unito alla sua persona che quello dell’uomo alla sua. Per questo la donna tende a giudicare le realtà sensibili più in relazione al suo corpo rispetto all’uomo” [Selles J.]. Noi donne siamo intuitive, più concentrate sulla conoscenza personale, per cui siamo più empatiche. Questo ha anche il suo lato oscuro, perché possiamo essere più crudeli. Il corpo dell’uomo è più forte, più capace di compiere sforzi fisici, lavori duri. Visto che il suo corpo è forte, all’uomo non importa molto del suo aspetto. Sembra sia stato progettato per la lotta, per costruire, negoziare, andare in difesa (quasi con l’attacco). È più teorico, più obiettivo, più scientifico, costruttore, specializzato, ecc. È come se l’uomo conoscesse più le cose e la donna più le persone. Ciò non vuol dire che le caratteristiche del sesso maschile non siano presenti nelle donne e viceversa. Vuol dire che si presentano con maggiore enfasi.
I modi di comunicare sono diversi. La donna parla rapidamente, molto e di temi diversi allo stesso tempo. L’uomo non ha bisogno di parlare tanto, è pratico, trova soddisfazione nel silenzio e affronta un tema alla volta. È dimostrato che la donna utilizza i neuroni di entrambi gli emisferi in attività come parlare e leggere. Ciò le permette di percepire maggiori sottigliezze all’interno della comunicazione diretta con altri. Le donne “leggono”, oltre al messaggio letterale, gesti, toni di voce, atteggiamenti, ecc. La loro interpretazione, quindi, abbraccia sia il messaggio che il contorno. Visto che entrambi gli emisferi sono in costante interrelazione, la velocità con cui parlano si vede influenzata, ed è superiore nelle donne, che parlano molto più rapidamente.
I movimenti del corpo sono diversi! Le donne sono più delicate e dolci, gli uomini più rudi e saldi. Il corpo maschile è più adatto a compiere movimenti che implicano fermezza e forza, e il suo tono muscolare per natura è maggiore di quello della donna, soprattutto a causa del testosterone. Questo ormone è il responsabile non solo della consistenza del tono muscolare, ma anche di una serie di caratteristiche che includono l’inibizione dell’ossitocina, ormone dell’attaccamento e della delicatezza.
Il modo di conquistare e di innamorarsi e l’affettività funzionano in modo diverso. L’uomo è conquistatore, diretto, va al sodo, è visivo, la prima impressione gli entra attraverso gli occhi. Ha la capacità di poter scollegare (momentaneamente) l’aspetto sessuale da quello affettivo. Valuta a partire dallo sforzo e dal lavoro. Le donne, invece, hanno bisogno di tempo, conoscenza, tenerezza, pazienza, parole, di sentirsi ammirate e valorizzate per quello che sono. Una donna si concentrerà molto più sulle azioni che sul concetto di “bellezza” che ha l’uomo. La castità e l’astinenza nella condizione di single hanno un proposito biologico e scientifico. Quando i rapporti sessuali arrivano prima del vero affetto e dello sviluppo dell’amore rendono quasi ciechi. Ormoni come l’ossitocina influiscono sulla nostra attività cerebrale e non ci permettono di vedere la persona in modo obiettivo. Visto che la donna è più collegata al suo corpo, le rotture diventano molto complicate e le tracce che lasciano sono molto profonde. Quando una donna ha relazioni casuali, il suo cuore si indurisce, si amareggia, e lei inizia a scollegarsi da se stessa, mentre negli uomini stare (sessualmente) con varie ragazze li rende immuni a questo ormone e incapaci di impegnarsi in relazioni durature.
È vero che condividiamo un’omogeneità somatica. Ciò vuol dire che i nostri corpi funzionano in modo quasi uguale: tutti abbiamo cuore, polmoni, ecc. Per questo esistono la medicina e le varie specializzazioni, ma siamo diversi! Siamo esseri umani, sì, condividiamo una stessa natura, ma questa si esprime in due modalità diverse: uomo e donna.
C’è qualcosa di cui quasi nessuno parla: la pienezza dell’essere umano non la realizza la donna da sola o l’uomo da solo, ma l’unione dei due. Ciò significa che se ci mettiamo nella posizione antagonista di dire che le donne sono uguali o migliori degli uomini o che non abbiamo bisogno di loro o, peggio ancora, che il fatto di nascere uomo o donna non significa nulla, stiamo perdendo l’umanità e tutte le sue capacità!
Siamo complementari, ma questa complementarietà non si riduce solo all’aiuto reciproco, perché l’umano non esiste senza il femminile o il maschile. Perché esista c’è bisogno di entrambi.
Di quale uguaglianza stiamo parlando, allora? Sicuramente dell’uguaglianza a livello di capacità, opportunità lavorative, sociali, politiche, ecc., ma anche lì non è tanto semplice, perché tutte queste uguaglianze che si reclamano dovrebbero comportare il rispetto e la considerazione delle differenze reali tra uomo e donna. Ad esempio, non avrei abbandonato l’ingegneria se ci fossero asili nelle imprese in cui lavoravo, o se il congedo per maternità durasse almeno 6 mesi. Personalmente, per me è stato molto difficile lasciare i miei figli di tre mesi per tornare al lavoro e ascoltare le loro prime parole e vedere i loro primi passi attraverso uno Smartphone. Sono queste le uguaglianze che si devono reclamare.
Il mondo ha bisogno sia degli uomini che delle donne. Non siamo antagonisti, ma complementari in molti aspetti. La mascolinità ha a che vedere con il corpo e la mente dell’uomo, e la femminilità ha a che vedere con il corpo e la mente della donna. Siamo così diversi e le nostre differenze sono così radicate nel nostro essere donna ed essere uomo che anche i rapporti omosessuali sono diversi tra gli uomini omosessuali e le donne omosessuali. Hanno dinamiche diverse perché gli uomini sono diversi dalle donne.
Ridurre la sessualità alla semplice genitalità, all’atto sessuale, all’attrazione sessuale, è limitare la persona umana, lasciarla ferita e ridurla a un semplice uso, come quello che si fa delle cose. È perderci la sua umanità.
Silvana Ramos, [Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti aleteia 4 ottobre2016.
http://it.aleteia.org/2016/10/04/7-cose-uomini-donne-non-essere-uguali
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VIOLENZA
Quei bambini vittime della violenza sulle donne.
L’indagine dell’Istat sulla violenza contro le donne permette di capire la vastità e le caratteristiche del fenomeno. Nonostante la maggiore consapevolezza, resta molto da fare. A subirne le conseguenze sono anche i bambini ed è urgente una politica seria per tutelare gli orfani di femminicidio.
Violenza sulle donne: i dati. Il fenomeno della violenza di genere contro le donne è imponente. Quasi 10 milioni di donne hanno subito violenza sessuale, fisica o psicologica nel corso della vita e spesso l’autore è il partner o l’ex. La violenza di genere è espressione della volontà di dominio maschile nei confronti della donna. È sommersa nel 90% dei casi, il che vuol dire non denunciata.
I dati emergono dalla seconda indagine Istat sulla violenza contro le donne, l’unica che permette la stima del sommerso e fornisce numerosi elementi utili alle politiche. È infatti difficile aprirsi per una donna quando subisce violenza, soprattutto quando l’autore è una persona cara. E molte non riescono a riconoscere la violenza subita.
La situazione sta migliorando: in otto anni sono raddoppiate le donne che considerano la violenza subita un reato, ma sono ancora una minoranza, il 36%. Il che vuol dire che è cresciuta la coscienza femminile, ma ancora di strada se ne deve fare tanta. La violenza del partner è la più grave e riguarda la maggioranza delle violenze fisiche così come la maggioranza degli stupri. Molte donne sperano che le cose cambino, non riescono ad accettare che la persona amata possa arrivare a tanto. E purtroppo in molti casi pagano con la vita questa speranza illusoria. Ricerche internazionali e nazionali dimostrano che la violenza ha una escalation. Non si tratta di episodi isolati. Quando raggiunge livelli alti è difficile interromperla, cosa che le donne purtroppo non sanno. Per questo è preoccupante il fatto che cresca la percentuale di donne che hanno subito violenza e che dicono di aver avuto timore per la propria vita. Perché vuol dire che l’escalation è in atto e potrebbe preannunciare l’irreparabile.
Politiche per gli orfani da femminicidio. Ma c’è un’altra cosa che le donne non sanno e invece dovrebbero sapere. Dai dati emerge che molte non sono coscienti di quanto possa far male ai figli assistere alla violenza subita dalla madre a opera del padre. Anche in questo caso le ricerche criminologiche internazionali convergono con quella italiana: il figlio maschio che assiste alla violenza ha maggiore probabilità di diventare da adulto lui stesso autore di violenza e la figlia femmina di diventarne vittima. In Italia per chi ha assistito a violenza sulla propria madre si riscontra una probabilità di diventarne autore contro la propria compagna quattro volte più alta rispetto a chi non vi ha assistito.
Escalation della violenza e problematiche relative all’avervi assistito dovrebbero essere due temi fondamentali da affrontare in campagne di sensibilizzazione permanenti, che vadano al di là dei singoli governi. Perché, purtroppo, le vittime della violenza non sono solo le donne, ci sono anche i bambini. E in particolare ci sono quelli il cui padre è arrivato a uccidere la madre, gli orfani dei femminicidi. Secondo le stime della ricerca condotta da Anna Baldry dell’università di Napoli nell’ambito del progetto europeo Switch off sarebbero 1.600 gli orfani di femminicidi dal 2000. Per questi bambini e per i parenti che spesso diventano affidatari si apre un percorso di vita molto complicato, con grandi sofferenze, ma soprattutto con scarsissimo sostegno da parte delle istituzioni. Le pagine dei giornali sono piene di dettagli quando di tratta di raccontare la cronaca dei fatti relativi al femminicidio, ma poi sono le nuove famiglie che si trovano di fronte la grande fatica di ritornare alla normalità. I bambini non possono essere dimenticati e i parenti affidatari devono essere sostenuti. Purtroppo ciò non succede. La violenza di genere è stata invisibile per tanto tempo, ma ora i media ne parlano molto di più, se ne discute nei tg, nelle trasmissioni di intrattenimento ed è cresciuta la condanna sociale contro la violenza. Le donne sono meno sole e meno invisibili. Anche i bambini non devono rimanere invisibili, specialmente se orfani di femminicidi. Il numero è grande, ma relativamente piccolo, e ciò potrebbe favorirebbe un serio investimento in politiche di sostegno ai percorsi d’amore che spontaneamente si creano. Ma è un percorso impegnativo, anche costoso e purtroppo la ricerca di Baldry riporta anche storie di nonni che sono stati costretti a interrompere l’affido per problemi economici. È uno di quei casi rispetto ai quali urge legiferare, stanziare velocemente fondi, senza guardare a maggioranze e minoranze, per il bene dei bambini.
Linda Laura Sabbadini la voce 7 ottobre 2016
www.lavoce.info/archives/43091/quei-bambini-vittime-della-violenza-sulle-donne
Abuso sessuale: come si dimostra.
Cassazione, terza Sezione penale, Sentenza. n. 41467, 4 ottobre 2016.
Le dichiarazioni della vittima sono, anche da sole, sufficienti a determinare una sentenza di condanna.
Se la tua ex fidanzata ti ha denunciato sostenendo che tu l’abbia costretta ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà, fai attenzione perché la sua testimonianza è sufficiente a farti condannare.
È quanto ha ribadito (per l’ennesima volta) la Cassazione precisando che, nel caso di reati sessuali, le dichiarazioni fornite dalla vittima si ritengono attendibili fino a prova contraria. Ciò significa che, se vuoi dimostrare che l’accusa è falsa, devi prima provare che la tua ex fidanzata sta mentendo e cercare di spiegare perché lo sta facendo.
Quanto contano le dichiarazione dei testimoni? Avrete sentito dire spesso che, nel processo penale italiano, la prova si forma in contraddittorio tra le parti. Ciò significa che il pubblico ministero può svolgere le indagini, ascoltare i testimoni nel chiuso dei suoi uffici, ma poi tutto ciò che ha fatto deve essere ripetuto in tribunale, alla presenza dell’avvocato dell’imputato, del difensore della vittima (se c’è) e del giudice.
Il testimone, di solito, è una persona estranea ai fatti che si vogliono accertare con il processo, per cui le informazioni che riferisce si considerano sempre vere, fino a prova contraria.
Quanto conta la dichiarazione della vittima di un reato? Se la testimone è la denunciante, la situazione cambia. La vittima del reato, infatti, ha un interesse personale a dichiarare che l’imputato è colpevole. Le sue parole, quindi, saranno ritenute credibili dal giudice solo se saranno confermate anche da qualche altro testimone.
Se il testimone è la vittima di un abuso sessuale? Se la testimone ha denunciato una violenza sessuale (anche se è vittima del reato e, quindi, ha un interesse personale al processo) il giudice dovrà considerare vere le sue dichiarazioni. Poiché, infatti, nel corso di un abuso sessuale, di solito, la vittima è sola con il suo carnefice, non ci sarà nessun altro testimone oculare che potrà smentire la sua dichiarazione. Questo è il motivo per cui, in alcuni casi, il giudice crederà alla testimonianza della vittima addirittura quando altri testimoni (non oculari) daranno una versione dei fatti diversa dalla sua.
Cosa posso fare se sono innocente? Nei reati di natura sessuale, se la vittima insiste nel dire che sei stato tu, è davvero difficile dimostrare la tua innocenza. L’unica possibilità è:
Spiegare di avere un alibi;
O cercare di chiarire per quale ragione (di lite, di odio) la vittima stia dichiarando il falso per farti condannare.
Sabina Coppola Lpt 6 ottobre 2016 sentenza
www.laleggepertutti.it/135143_abuso-sessuale-come-si-dimostra
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