newsUCIPEM n. 585 –21 febbraio 2016

newsUCIPEM n. 585 –21 febbraio 2016

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Supplemento on line               Direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultorifamiliari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Le news sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • Link a siti internet per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto di questo new è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per i numeri precedenti, dal n. 527 al n. 584 andare su:

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ADDEBITO                                       Se tollera i tradimenti della moglie, non può chiedere l’addebito.

ADOZIONE                                      Adozione del figliastro: un solo caso all’anno!

I bambini hanno diritto a un Paese senza orfanotrofi.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Dal Ddl Cirinnà rischio crollo delle adozioni internazionali.

Kafala, la convenzione è in vigore ma l’attuazione è un pasticcio.

AFFIDO                                            La continuità degli affetti: la legge 173/2015

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Condanna penale per chi non versa l’assegno di mantenimento.

Se ha soldi x la caparra della casa il genitore ha i mezzi per i figli.

ASSEGNO DIVORZILE                  Verso il tramonto dell’assegno divorzile

La durata del matrimonio influisce sulla misura dell’assegno

BIOETICA                                        «L’utero in affitto è un delitto universale».

CHIESA CATTOLICA                    Avere un padre e una madre.

“Pacs” all’italiana e cecità cattolica

CONSULTORI Familiari UCIPEM Cremona. “Reti affidabili”: solidarietà famigliare e affido.

DALLA NAVATA                            2° Domenica di Quaresima – anno C –21 febbraio 2016.

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose.

DIVORZIO                                        Milano, divorzio facile: “Si può fare anche senza incontrarsi”.

FAMIGLIA                                       Diritto a vivere in famiglia: 5 richieste urgenti delle associazioni.

FAMIGLIE OMOGENITORIALI   Le famiglie omogenitoriali in Italia5: una minoranza trascurata.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Ovociti: la tratta delle “donatrici” bianche.

                                                           «La provetta? Test di massa senza garanzie»

FERTILITÀ                                      Sterilità e fecondità: quando il percorso è difficile.

FORUM Associazioni FAMILIARICrollo nascite. De Palo: politica si occupa di false priorità.

Denatalità, meno bambini, meno futuro, meno Italia.

ISTAT                                                Indicatori demografici.

GESTAZIONE PER ALTRI            Lorenzin: utero in affitto, punibile con una sanzione penale.

Si vieti che il nascituro da quelle pratiche sia adottabile”.

                                                           «L’utero in affitto ruba l’identità ai bambini». Crepet.

LEGISLAZIONE                              Integrazione sociale dei minori stranieri.

OMOFILIA                                       Ma l’omogenitorialità è davvero «a sinistra»? Campanini.

ONLUS NON PROFIT                     Voucher INPS e partita IVA: non vale il tetto dei 2mila euro.

PARLAMENTO Senato Assemblea Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

ODG disciplina relativa al diritto del minore alla famiglia.

Camera 2° Comm. Giustizia Tribunale della famiglia e della persona.

PATERNITÀ                                     Chi non riconosce il figlio rischia condanna e risarcimento.

SEPARAZIONE E DIVORZIO       Divorzio in Comune: presenza fisica superflua, si può delegare.

UNIONI CIVILI                                         Cinque domande cinque, a vari ambienti, sulle unioni civili

VIOLENZA                                       No maltrattamenti in famiglia se manca la soggezione vittima.

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ADDEBITO

Separazione: se lui tollera i tradimenti della moglie poi non può chiedere l’addebito

Tribunale di Roma, prima sezione civile, sentenza n. 18488, 18 settembre 2015.

La conoscenza della relazione extraconiugale e la prosecuzione della coabitazione escludono l’addebitabilità della separazione al coniuge fedifrago. La separazione non può essere addebitata alla moglie che ha tradito se lui, a conoscenza del tradimento, continua a conviverci per molti anni. Lo ha disposto il Tribunale di Roma che ha respinto la richiesta di addebito avanzata dall’ex marito.

            Il Tribunale capitolino ha fatto anche rilevare che il ricorso per la separazione è stato presentato dalla moglie e che da ciò si può desumere che l’ex marito sarebbe stato disposto a proseguire nel rapporto coniugale nonostante il tradimento. Nel caso preso in esame dai giudici romani la crisi di coppia aveva portato la moglie, a intrattenere da alcuni anni una relazione extraconiugale della quale aveva anche informato il marito. Nonostante ciò l’uomo aveva deciso di continuare a convivere con l’ex nella casa coniugale per ben tre anni. La coppia era a tutti gli effetti separata in casa: oltre a non condividere il letto, i due erano costantemente in contrasto sulle decisioni riguardanti le proprie vite.

            Secondo il Tribunale proprio l’aver continuato ad abitare con la moglie, seppur a conoscenza del tradimento, comporta la non addebitabilità della separazione alla donna, così come la circostanza che sia stata lei a ricorrere per prima all’istituto della separazione. Come si legge in sentenza “il tradimento non è in sé sufficiente alla costruzione dell’addebito in capo al coniuge resosene responsabile, occorrendo per contro un nesso di causalità tra la violazione del dovere di fedeltà e la rottura del consortium familiae, nonché l’effettuazione di un’indagine comparativa delle condotte dei coniugi, non valutabili separatamente, volta ad evidenziare se la condotta incriminante sia la causa e non invece la conseguenza di una crisi coniugale già in atto”.

            La situazione verificatasi nel caso in esame non determina una violazione del rapporto fiduciario posto alla base della relazione coniugale, anzi, evidenzia “al contrario, un preesistente contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale quale rispondente al dettato normativo e al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da alcuna affectio coniugalis”.

Lucia Izzo      newsletter      studiocataldi.it           19 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21062-separazione-se-lui-tollera-i-tradimenti-della-ex-poi-non-puo-chiedere-l-addebito.asp

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ADOZIONE

Adozione del figliastro: un solo caso all’anno! Altro che legge ad personam!

Quanto saranno le coppie omosessuali che, “canguro” o non “canguro”, passata la legge sulle unioni civili, convoleranno ogni anno a giuste nozze? Cento? Largheggiamo: duecento. Quante di queste coppie avranno in casa una o più bambini figli naturali d’uno dei due coniugi? A queste domande prova a rispondere il quotidiano “Italia Oggi” nell’articolo, che riportiamo integralmente, pubblicato venerdì 19 febbraio 2016.

www.aibi.it/ita/ci-si-scanna-sulla-stepchild-adoption-alla-quale-se-si-fanno-bene-i-calcoli-ricorreranno-solo-omosex

Ci si scanna sulla stepchild adoption alla quale, se si fanno bene i calcoli, ricorreranno solo pochissime coppie omosex

In un vecchio film di Luigi Magni, Secondo Ponzio Pilato, si contempla Erode Antipa difendere la memoria del padre, Erode il Grande, dall’accusa di strage. «Sì, va bene», dice Antipa, «ma la vogliamo ridimensionare questa strage? Perché se no qui la gente sente dire: la strage degl’innocenti e chissà che s’immagina. Una carneficina? No! Ma sapete quanti abitanti contava Betlemme tra uomini, donne, vecchi e bambini? Non più di mille. E in rapporto, i bambini quanti saranno stati? Un centinaio. Prendete quelli al di sotto dei due anni, che al di sopra non c’era motivo d’ammazzarli. Ne restano una ventina. Leviamo le femminucce, che il presunto re era maschio. Facciamo metà e metà? Ne restano dieci. Leviamone qualcuno che scappò tra le maglie, tant’è vero che lo stesso Gesù si è salvato. E allora quanti ne scannò papà mio? Cinque? Sei? E che, è una strage questa? Magari è una mascalzonata. Che so, un delitto. Ma dire strage ci corre».

Anche la stepchild adoption è qualcosa di simile. Quante saranno, infatti, le coppie omosessuali che, «canguro» o non «canguro», passata la legge sulle unioni civili, convoleranno ogni anno a giuste nozze? Cento? Largheggiamo: duecento. Quante di queste coppie avranno in casa uno o più bambini figli naturali d’uno dei due coniugi? Cinque? Dieci? Bando all’avarizia: cinquanta. E quante di queste cinquanta coppie, toccando e stratoccando ferro, avranno un lutto in famiglia (per malattia o incidente) lasciando dietro di sé vedovi e orfani? Una copia ogni tre anni? Ogni due? Largheggiamo anche qui, sempre toccando ferro: una coppia all’anno. E in quanti casi il coniuge passato a miglior vita sarà proprio la madre o il padre naturale e non il patrigno o la matrigna dell’orfano o degli orfani (mentre i genitori naturali possono tenersi i propri figli senza che nessuno sollevi obiezioni, sono i loro coniugi che, per tenersi i bambini, devono ricorrere alla stepchild adoption).

Be’, qui le probabilità sono presto calcolate: una su due, cinquanta e cinquanta. Quindi ci sarebbe bisogno della stepchild adoption (largheggiando, ricordiamolo) una volta ogni due anni. È per questa legge, utile si è no quattro o cinque per decennio, che ci si scanna in parlamento, nelle prime pagine dei giornali, in tutti i talk show e persino nelle piazze ormai da settimane? Per una legge nemmeno ad personam ma praticamente sine personam.

Ishmel             ItaliaOggi                               19 febbraio 2016.

www.italiaoggi.it/giornali/preview_giornali.asp?id=2060642&codiciTestate=&sez=hgiornali

http://istitutodeglinnocenti.waypress.eu/RassegnaStampa/LeggiArticolo.aspx?codice=SIX5034.TIF&subcod=20160219&numPag=1&tipo=GIF

 

I bambini hanno diritto a un Paese senza orfanotrofi.

I senatori hanno una settimana per riflettere sulla legge Cirinnà, ma ricordiamoci che in Italia ci sono 35 mila bambini che vivono negli istituti. L’unico requisito per le adozioni è l’amore, scrive Claudio Magris. Amare, tutelare, educare.

www.corriere.it/opinioni/16_febbraio_09/tre-cowboy-un-adozione-l-unico-requisito-l-amore-1c2083ae-ce9a-11e5-8ee6-9deb6cd21d82.shtml

Ma chi misura l’amore? I politici, che approvano le leggi, e i giudici, che le applicano. E così in articoli, commi, paragrafi, l’arido e repulsivo linguaggio burocratico stabilisce quando un bambino, orfano, abbandonato o conteso, abbia diritto ad una famiglia. E quando una coppia, dopo aver resistito ad un processo degno dell’Inquisizione, abbia diritto ad adottarlo.

            Nel sito www.linkiesta.it, Lidia Baratta riporta i numeri forniti da Marco Griffini, presidente di un’associazione che di questi problemi si occupa: negli orfanotrofi italiani ci sono 35 mila bambini, 400 i neonati abbandonati ogni anno alla nascita, tra mille e milletrecento, sempre in un anno, le adozioni, mentre le richieste sono almeno dieci volte di più. Numeri che fanno impressione, anche se manca una banca dati centrale su tutti i bambini dichiarati adottabili dai tribunali per i minori.

            Percentuali più alte sulla scena estera, dove però bisogna avere soldi e coraggio. Nel rapporto 2013 (ricchissimo di dati, si trova su Internet) della CAI, la Commissione per le adozioni internazionali che fa capo alla Presidenza del Consiglio, si contano, in quei dodici mesi, 2.825 bambini provenienti da 56 Paesi, in testa Russia ed Etiopia. Intricate e talvolta umilianti trafile, alti costi, lunghissimi tempi di attesa con punte anche di cinque anni e mezzo nel caso della Lituania: come dire che se chiedi di adottare un bimbo di sei anni, quando arriva ne ha quasi il doppio. Percorsi tortuosi che solo famiglie abbienti e colte (lo dicono le statistiche) si possono permettere. Il motivo principale che spinge ad entrare in questa giungla è l’infertilità. Ma pur tra tanti ostacoli e nonostante una certa flessione negli anni scorsi, l’Italia, dopo gli Stati Uniti, si conferma come la nazione dell’accoglienza, superando Spagna e Francia. Quanto si potrebbe fare con iter più semplici, più veloci e meno esosi? La stessa Cecile Kyenge, che quella commissione ha presieduto quando era ministro e che è stata una delle autrici del provvedimento che equipara figli naturali e figli legittimi, nella premessa auspicava «un ripensamento delle procedure». Da allora le cose non sono cambiate, come ha dimostrato su questo giornale Margherita De Bac.

Eppure in Italia ci sono quasi cinque milioni e mezzo di coppie sposate senza figli. Quante, se le norme fossero chiare, condivise, non presupponessero percorsi mortificanti e l’esborso di decine di migliaia di euro, sarebbero felici di imboccare la strada, nazionale o estera che sia, per avere una bimba o un bimbo da amare, accudire, tutelare? Poi ci sono i conviventi more uxorio, i singoli e, appunto gli omosessuali. Tante case pronte a illuminarsi per il sorriso di uno scricciolo.

            Monica Cirinnà ha inserito nelle norme sul riconoscimento delle unioni civili la possibilità che una coppia gay possa adottare il figlio naturale di uno dei partner, allargando i casi già previsti dalla legge sulle adozioni. Nascondendoci dietro l’inglese diciamo stepchild adoption, in italiano dovremmo parlare di «adozione del figliastro». Fa più impressione, vero?

            I politici stanno ergendo mura di incomunicabilità. La contestata proposta potrebbe aprire la strada a ricorsi, a guerre interpretative, forse a un referendum. Guelfi e ghibellini, di nuovo, in questo Paese. Un possibile stralcio è terreno infuocato di scontro, una pura prova di forza, ma potrebbe essere l’unica soluzione possibile. Ora i senatori hanno una settimana di tempo per riflettere. I sostenitori della legge si rendano conto che spesso il meglio è nemico del bene e gli oppositori si convincano che il tema dei diritti individuali merita una larga convergenza. Si voti la legge con una maggioranza ampia, seria, matura. E poi si affronti il tema complessivo delle adozioni, ben più affollato dei cinque-seicento bambini che potrebbero avere due genitori gay.

            Se, per dirla ancora con Magris, la misura è l’amore, la dolcezza di un omosessuale è certo preferibile alla prepotenza di un padre-padrone. Ma possibile che questo sia l’unico aspetto? Ben vengano i diritti degli adulti, ma parliamo di quelli degli Innocenti. In nome di un Paese senza orfanotrofi. E senza figli e figliastri, nemmeno se lo diciamo in inglese

Marco Cianca                        corriere della sera     17 febbraio 2016

www.corriere.it/opinioni/16_febbraio_18/legge-cirinna-adozioni-bambini-hanno-diritto-un-paese-senza-orfanotrofi-4dcd0e8c-d5a1-11e5-bbd0-dbbf7f226638.shtml?refresh_ce-cp

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                                                     ADOZIONI INTERNAZIONALI

Dal Ddl Cirinnà rischio crollo delle adozioni internazionali: ecco perché

Perché la stepchild adoption determinerebbe il crollo delle adozioni internazionali?

Russia, Congo e altri paesi africani, contrari alle nozze gay, bloccherebbero le convenzioni. [E’ già successo per la Francia. Stesso atteggiamento che con tutta probabilità sarà condiviso dalla maggior parte dei Paesi africani che si stanno aprendo alle adozioni internazionali e che si trovano sulla stessa linea: ovvero no alle adozioni ai gay].

È possibile stimare questo crollo?

Sì, perché sappiamo quanti sono i bambini che arrivano da quei paesi, circa un migliaio. L’Italia scenderebbe sotto quota mille, il livello più basso degli ultimi 30 anni.

C’è da preoccuparsi per la diminuzione delle adozioni internazionali?

Certo, perché rappresentano comunque una piccola risorsa nel nostro inverno demografico. E poi sono un gesto di solidarietà civile che qualifica eticamente un paese.

            Perché le associazioni accusano il governo di ignorare il problema adozioni?

Da oltre due anni la CAI (commissione per le adozioni internazionali) non si riunisce e non comunica i dati relativi alle adozioni.

            Perché non adottare bambini italiani?

Le richieste sono dieci volte superiori all’offerta. A parte 300 minori che nessuno vuole perché problematici e disabili.

Avvenire        17 febbraio 2016

www.avvenire.it/Politica/Pagine/Perch-la-stepchild-adoption-determinerebbe-il-crollo-delle-adozioni-interna.aspx

Kafala, la convenzione è in vigore ma l’attuazione è un pasticcio.

Il 1 gennaio 2016 è entrata in vigore in Italia la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori. L’Italia però ratificandola ha stralciato dall’originario progetto di legge di ratifica, discusso a lungo in Parlamento, gli articoli che parlano di kafala, l’istituto giuridico che nei paesi islamici “sostituisce” l’adozione.

Enrica Dato, Ufficio Legale e Diritti dei Minori di Ai.Bi, intervistata da Vita, aiuta a fare il punto. Riportiamo la versione originale dell’articolo pubblicato on line il 16 febbraio.

Il 1 gennaio 2016 è entrata in vigore in Italia la “Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996”. La ratifica della Convenzione in esame è avvenuta con la legge 8 giugno 2015, n. 101, pubblicata in GU già nel luglio 2015 e lascia aperti numerosi interrogativi, in particolare relativamente alla kafala, ovvero l’istituto giuridico in uso nei Paesi islamici per tutelare e proteggere i minori abbandonati o in difficoltà.

(…)      Al momento quindi siamo nella situazione in cui il Parlamento andrebbe sollecitato rispetto a questi lavori. È il Parlamento che ha la responsabilità di fare in modo che le norme della Convenzione, specie in tema di kafala, vengano rese compatibili con la legge 184/1983 e gli istituti di protezione dei minorenni già esistenti in Italia e soprattutto compatibili con il superiore interesse dei bambini stessi. Un’indicazione in tal senso viene anche dall’ultimo Rapporto del gruppo CRC (2015), autorevole perché proviene da una novantina di associazioni italiane, di cui AiBi-Associazione Amici dei Bambini fa parte.

Nel dettaglio, Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini ritiene non condivisibili molti articoli del DDL 1552-bis e ha quindi delle proprie specifiche proposte che hanno come obiettivo quello di privilegiare l’interesse dei minorenni in condizione di abbandono nei Paesi in cui esiste la kafala ma non l’adozione, oltre che a garantire l’uguaglianza fra minori che si trovano sul territorio italiano in termini di diritti ad essi applicabili e riconosciuti. In ogni caso, considerato il principio del superiore interesse dei minori, il prosieguo dei lavori parlamentari è urgente.         

Ai. Bi.18 febbraio 2016         Testo integrale

www.aibi.it/ita/kafala-la-convenzione-e-in-vigore-ma-lattuazione-e-un-pasticcio

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AFFIDO

La continuità degli affetti: la legge 173/2015

Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuita’ affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare. (GU Serie Generale n.252 del 29-10-2015) in vigore dal 13/11/2015.

 Gruppo Infanzia Adolescenza e famiglie. Sottogruppo “reti di famiglie aperte”

Seminario di approfondimento e confronto

Bologna – 15 aprile 2016 – 10,00/17,30 c/o Emilbanca, Via dei Trattati Comunitari Europei 19

Il seminario ha lo scopo di favorire l’approfondimento della conoscenza della legge 173/2015 e di favorire lo sviluppo di elaborazioni e confronti in merito alle questioni conseguenti alla sua applicazione, sotto il profilo sociale, psicologico e relazionale.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/10/29/15G00187/sg

Alcuni interrogativi di fondo guideranno l’esposizione degli esperti invitati ad intervenire al seminario e i lavori di gruppo:

  • quali attenzioni vanno poste nei percorsi di formazione, accompagnamento e sostegno alle famiglie affidatarie? Come impatta la legge 173/2015 su questi aspetti e contenuti metodologici? Quali opportunità sono presenti e quali attenzioni necessarie?
  • quale ruolo della famiglia affidataria nei rapporti con il Tribunale per i minorenni e nel rapporto con la famiglia d’origine? Quali nuovi scenari, cosa cambia, quali attenzioni, quali opportunità, quali presidi?

Il seminario si rivolge agli operatori dell’affido e della rete di accoglienza familiare, ai servizi affido, alle reti di famiglie/associazioni familiari, alle famiglie affidatarie.

Per partecipare è necessario iscriversi entro martedì 5 aprile 2016.

  • Introduzione. Liviana Marelli, referente nazionale per le politiche minorili e per le famiglie del CNCA
  • La legge 173/2015. I contenuti e gli aspetti giuridici. Dario Vinci, avvocato e consulente Comune di Bologna
  • La legge 173/2015. Quali le questioni, le attenzioni, le riflessioni che questa legge fa emergere Lieta Dal Mas, psicologa e psicoterapeuta, IUSVE Venezia
  • 2 gruppi di lavoro – condotti da referenti CNCA
  1. Percorsi formativi, accompagnamento e sostegno alle famiglie affidatarie: come impatta la legge 173/15 su questi aspetti e contenuti metodologici? Opportunità e attenzioni
  2. Ruolo della famiglia affidataria nei rapporti con il Tribunale per i minorenni e rapporto con la famiglia d’origine: quali nuovi scenari, cosa cambia, quali attenzioni, quali opportunità, quali presidi
  • Riunione plenaria: restituzione lavori di gruppo e conclusioni

Per informazioni: Segreteria Cnca, 06-44230303,             segreteria@cnca.it

www.cnca.it/index.php?option=com_jtagcalendar&Itemid=378&eventId=136

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Condanna penale per chi non versa l’assegno di mantenimento

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 3741, 28 gennaio 2016.

L’omesso versamento dell’assegno di mantenimento ha natura permanente e la prescrizione decorre dalla sua cessazione. Il reato di cui all’art. 570 c.p. ha natura permanente e la sua consumazione si protrae unitariamente per tutto il periodo in cui perdura l’omesso adempimento, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza, coincidente col sopraggiunto pagamento o con l’accertamento della responsabilità nel giudizio di primo grado. Inoltre, qualora, ai fini di escludere la responsabilità penale, venga eccepita l’incapacità economica dell’imputato, questa deve essere assoluta, sì da integrare una situazione di persistente, oggettiva e incolpevole indisponibilità di introiti.

Avv. Renato D’Isa on 19 febbraio 2016      

http://renatodisa.com/2016/02/19/corte-di-cassazione-sezione-vi-sentenza-28-gennaio-2016-n-3741

 

Se ha i soldi per la caparra della nuova casa il genitore ha anche i mezzi per mantenere i figli.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 4882, 5 febbraio 2016.

Violano gli obblighi di assistenza familiare i genitori che non versano il mantenimento al minore lamentando ristrettezze economiche, se però poi hanno le somme per corrispondere la caparra per l’acquisto di un immobile, oppure lavorano per propria scelta senza percepire una retribuzione.

Lo ha disposto la Corte di Cassazione (Sentenza allegata).

Una coppia di genitori veniva condannata in sede di merito per violazione degli obblighi di assistenza familiare, per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza (250 euro mensili) alla figlia minore affidata, a far tempo dalla loro separazione, alla nonna. Tuttavia, il ricorso degli imputati non merita l’accoglimento.

Non scrimina la loro condotta il presunto stato di indigenza che ha provocato l’impossibilità di provvedere a quanto dovuto. Infatti, evidenziano gli Ermellini, appare con evidenza dalle sentenze di primo e soccorso grado che i due ricorrenti, dopo essersi separati, hanno dismesso ogni interesse nei confronti della figlia minore, affidata, prima provvisoriamente poi definitivamente, alla nonna che in via esclusiva ebbe ad interessarsi del sostentamento della stessa.

Nonostante il Tribunale stabilì una somma finalizzata al mantenimento della piccola, gravante su ambedue, i genitori non hanno comunque provveduto a versarla secondo le direttive imposte. Ma, nonostante le doglianze difensive, i due non sono stati nell’impossibilità di provvedere: la donna ha, infatti, percepito redditi variabili, tali da consentirle addirittura di versare una caparra per l’acquisto di un immobile; il padre, invece, non ha dichiarato redditi per diversi anni, ma ha collaborato nell’attività di impresa della propria compagna, accettando tuttavia di non venir retribuito dalla stessa.

Quindi, non solo lo stato di indigenza che ha reso impossibile ai genitori provvedere alla prestazione non è stato provato, ma sono stati acquisiti elementi di segno contrario destinati a confermare la statuizione dei giudici di merito: la madre, anche se avesse avuto una disponibilità reddituale minima, avrebbe potuto comunque destinare al mantenimento della figlia anche un minimo contributo (rimasto inevaso nonostante il modesto importo stabilito dal giudice), ma è il versamento della caparra per l’acquisto di un immobile che stride con evidenza sul piano oggettivo con l’addotta impossidenza finanziaria.

Invece, la decisione del padre, di lavorare con la nuova compagna senza farsi retribuire, una volta che viene addotta a sostegno del mancato sostentamento della figlia minore, finisce per ricadere sullo stesso ricorrente, essendo la relativa impossidenza finanziaria non giustificata da fattori esterni alla volontà del soggetto obbligato. Inoltre, non è possibile per i due affermare che la bambina non versi in difficoltà economiche, poiché “lo stato di bisogno della minore è presunto e sullo stesso non incide, rispetto agli obblighi di sostentamento gravanti sui due ricorrenti, l’intervento in surroga posto in essere da terzi”.

Lucia Izzo –studio legale Cataldi     6 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20955-cassazione-se-ha-i-soldi-per-la-caparra-della-nuova-casa-il-genitore-ha-anche-i-mezzi-per-mantenere-i-figli.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Verso il tramonto dell’assegno divorzile.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2466, 5 febbraio 2016

Da non molto si assiste ad un cambiamento di indirizzo della giurisprudenza di legittimità (e non solo) con riferimento all’assegno divorzile, ossia l’assegno di mantenimento disposto in sede di divorzio a favore del coniuge. Il problema, in particolare, si è posto e si pone allorché il coniuge divorziato beneficiario dell’assegno divorzile instauri una convivenza more uxorio con una nuova persona: in questo caso, ormai pacificamente, l’orientamento della Corte di Cassazione è nel senso di negare (o se concesso, di revocare) l’assegno divorzile.

            La ragione è semplice e consiste nel fatto che, a parere della Suprema Corte (ma anche di alcuni giudici di merito), la costituzione di una nuova famiglia (anche se solo di fatto), essendo espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole, ha l’effetto di estinguere definitivamente ogni residuo rapporto postmatrimoniale con l’ex coniuge (così Cass. Civ., Sez.I, 03/04/2015, n. 6855).

Anche in questi giorni, si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2466, con cui, richiamandosi espressamente al proprio precedente del 03/04/2015, n. 6855, ha ribadito che: «la più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso».

            Ciò chiarito, meritano di essere evidenziati anche altri due aspetti del problema:

  1. Il concetto di convivenza more uxorio. Sotto il primo profilo, sempre la Cassazione (sent. n. 6855/2015) ha chiarito, che «si ha una famiglia di fatto non quando si conviva solo come coniugi, ma allorché vi sia un nucleo domestico stabile e continuo, portatore di valori di stretta solidarietà anche di carattere economico, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni suo componente e di educazione ed istruzione dei figli, vale a dire allorché vi sia un potenziamento reciproco delle personalità dei conviventi».
  2. Gli effetti della cessazione della convivenza more uxorio, In ordine, al secondo profilo, ossia quali siano o debbano essere gli effetti, sull’assegno divorzile, dell’eventuale cessazione della convivenza more uxorio, la giurisprudenza di legittimità inizialmente ha assunto un atteggiamento cauto e possibilista parlando di ‘diritto in quiescenza‘. Infatti, con la sentenza, Sez. I, 11/08/2011, n. 17195, la Corte, affermava che: «il diritto de quo entra in quiescenza, potendosene riproporre l’attualità nell’ipotesi di rottura della convivenza tra i familiari di fatto, rottura effettuabile ad nutum in assenza di una normativa specifica, estranea al nostro ordinamento, che non prevede garanzia alcuna per l’ex familiare di fatto, salvo eventuali accordi stipulati trai conviventi medesimi». Ma poi, successivamente, è arrivata ad affermare con decisione che, una volta revocato (o non concesso) l’assegno divorzile, l’effetto dovrà essere definitivo. In sintesi, cioè, anche qualora dovesse cessare quella convivenza more uxorio a causa della quale era stato revocato (o non concesso) l’assegno divorzile, non per questo, l’assegno medesimo potrà essere ripristinato. Precisamente, con la sentenza Sez. I, 03/04/2015, n. 6855, la Corte ha affermato che «il coniuge da cui ha divorziato avrebbe ragione di confidare nell’esonero definitivo da ogni suo obbligo di natura economia, senza che la dissoluzione della famiglia di fatto dell’ex coniuge possa far rivivere l’obbligo, per il coniuge divorziato, di erogare alcun assegno di divorzio» ed anche ora, con la recente pronuncia qui segnalata la Corte torna a ribadire che «sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso».

Una considerazione finale. Per chiarezza va ricordato che, in tema di divorzio, l’art. 5, penultimo comma, L. 1/12/1970, n. 898, prevede che la revoca (o la non corresponsione) dell’assegno divorzile debba operare unicamente nell’ipotesi in cui l’ex coniuge beneficiario ‘passa a nuove nozze‘. Ora, dunque, l’orientamento che si è formato e di cui sopra si è cercato di dare conto, in base al quale va negato (o revocato) l’assegno divorzile nell’ipotesi di convivenza more uxorio (oltre che quando ricorrono ‘nuove nozze‘), è frutto di elaborazione giurisprudenziale.

            In questo si rileva una disomogeneità rispetto a quanto disciplinato in sede di separazione, perché, infatti, qui, l’ipotesi di convivenza more uxorio (oltre che quella del nuovo matrimonio), è espressamente prevista quale causa di decadenza dall’assegnazione della casa familiare (art. 337 sexies CC).

Scarica Cass. Civ., Sez. VI, 19/11/2015 – 05/02/2016, n. 2466

Scarica Cass. Civ., Sez. I, 03/04/2015, n. 6855

Scarica Cass. Civ., Sez. I, 11/08/2011, n. 17195

Avv. Daniela Gattoni                        ragionando weblog    10 febbraio 2016

www.jusdicere.it/Ragionando/avv-daniela-gattoni-verso-il-tramonto-dellassegno-divorzile

 

La durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2343, 5 febbraio 2016.

 In materia di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno previsto dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, ma non anche – salvo casi eccezionali in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi – sul riconoscimento del ‘assegno stesso, assolvendo quest’ultimo ad una finalità di tutela del coniuge economicamente più debole

Avv. Renato D’Isa     18 febbraio 2016       

http://renatodisa.com/2016/02/18/corte-di-cassazione-sezione-vi-ordinanza-5-febbraio-2016-n-2343-in-materia-di-divorzio-la-durata-del-matrimonio-influisce-sulla-determinazione-della-misura-dellassegno-previsto-dallart-5-de

 

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BIOETICA

                                   «L’utero in affitto è un delitto universale»

«Se lo Stato dà a un bimbo genitori non suoi, compie la massima violenza. Volere figli a ogni costo è un desiderio nevrotico e non limpido».

«Siamo tutti un po’ tomisti», osserva il professor Francesco D’Agostino e mi guarda con intenzione come per dire: «Non solo io ma anche tu». La cosa mi giunge del tutto nuova e non so se rallegrarmene, ma mi serve per capire chi ho di fronte. Meglio: per ricordarmene.

Mi ero già imbattuto in questo filosofo del diritto, numero uno della bioetica cattolica, durante un ciclo di interviste sulle principali correnti filosofiche in Italia. Incontrai D’Agostino investe appunto di tomista, ossia di seguace di Tommaso d’Aquino che, come il santo nel XIII secolo, si ergeva a baluardo dell’ortodossia ai giorni nostri. Questo succedeva diversi anni fa, quando ancora non si parlava di matrimoni gay e stepchild adoption. «Oggi sono qui – gli dico, e intendo a casa sua dove mi accoglie cordiale nonostante sia convalescente – per avere lumi sulla vexata quaestio delle coppie di fatto all’esame del Parlamento. Mi abbevero alla sua autorità». «Se la mette così, abbiamo già chiuso: io non ho nessuna autorità», replica. «Mi prende per scemo,

prof?», mi verrebbe di dirgli. Il settantenne D’Agostino, infatti, oltre che ordinario all’Università di Tor Vergata, è presidente dell’Unione dei giuristi cattolici italiani (Ugci), presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica, membro della Pontificia accademia per la vita. Vi pare poco?

«In fatto di bioetica, lei è il non plus ultra», ribatto con vivacità convinto che si rifugi nella modestia per pudore. D’Agostino però resta del suo umore perplesso. Come capirò man mano, non finge. È davvero in profondo imbarazzo per la piega che hanno preso le cose su famiglia e matrimonio. Da un lato, la secolarizzazione galoppante. Dall’altro, la Chiesa intimidita e sulla difensiva. In mezzo, i fedeli sconcertati che si dividono tra chiusi tradizionalisti e «cattolici adulti» aperti a tutto. Improvvisamente, il Prof si riscuote e prorompe: «Avverto la crisi dei movimenti cattolici che si avventano l’un contro l’altro armati. Come accadeva un tempo tra ordini religiosi, Gesuiti contro Francescani, Cluniacensi contro Cistercensi, ecc. Oggi, invece le congregazioni sono conciliate – tanto che il papa, un gesuita, assume il nome del fondatore dell’Ordine agli antipodi, come per tenere insieme i due mondi –mentre i movimenti confliggono come non mai. Papa Francesco ha doti umane così forti che molti gli perdonano tutto ma ha introdotto nella Chiesa contraddizioni laceranti. Ha fatto venire a Roma, per il Giubileo della Misericordia, padre Pio che invece, in materia di confessione, era notoriamente durissimo e intransigente. Il Giubileo nelle intenzioni papali spalanca a chiunque le porte di Dio. Ma questo Papa non dice tutto. Perdonare è ovvio, ma ti devi pentire. E questo è taciuto. La Chiesa non ha mai perdonato sic et simpliciter. C’è un grande annacquamento…». «Mi permette di ricondurla a terra, prof?», faccio io. «Ci sono già – replica – le ho espresso il mio stato d’animo. Più a terra di così».

Andiamo al sodo. Le unioni civili non creano attriti come fu per divorzio e aborto.

«Sono ormai dilagate ovunque in un Occidente nel quale l’Italia è dentro fino al collo. Nel mondo globalizzato è impossibile chiamarsi fuori».

La gente le accetta?

«Il mondo secolarizzato è convinto che del matrimonio si può fare a meno. Gli bastano i surrogati, come le unioni civili».

È d’accordo sulla legalizzazione di coppie etero e gay?

«Come giurista la ritengo del tutto priva di fondamento. Le motivazioni sono debolissime: accudire il partner in ospedale, subentrare nel contratto di affitto, pensioni di reversibilità. Benefici che si potrebbero ottenere col diritto comune attraverso patti bilaterali tra conviventi».

Quindi la boccia.

Il giurista, sì. Ma devo avere anche uno sguardo extragiuridico, sul momento storico. Nella società ci sono istanze simboliche. Giuridicizzare le coppie di fatto è una di queste. Il diritto si deve deformare per accoglierle. Non è compito suo, ma succede. Tanto più è debole la motivazione, tanto più si cerca di darle forza con la veste giuridica».

            A creare grattacapi è l’adozione gay.

«È l’insieme che crea problemi micidiali. Una matassa etico-giuridica».

Dipaniamola.

«La prima protezione di un figlio è la verità. Quando lo Stato attribuisce al bimbo una genitorialità non sua, compie la massima violenza su un essere umano. Tra l’altro, scarica sul figlio una serie di oneri verso il genitore acquisito che si trascinerà vita natural durante».

Con le regole attuali, un figlio adottivo potrebbe ignorare per sempre di esserlo.

«Nel mondo romano, l’adozione era un atto pubblico e l’adottato manteneva rapporti con la famiglia d’origine».

Oggi, invece?

«È invalsa, anche col contributo cattolico, l’idea dell’adozione come surrogato della genitorialità naturale. Ciò, in base all’idea che il bimbo ha diritto a essere amato».

Pare giusto.

«Il diritto non garantisce l’amore. Come il titolo di genitore non te lo dà la legge ma la natura. Alla finzione, preferisco una schietta verità».

Si sospetta che l’adozione del figlio del partner, in una coppia gay, favorisca l’utero in affitto, vietato in Italia.

«Il sospetto nasce dalla facilità con cui trovare madri surrogate, per esempio nella vicina Spagna, e ottenere poi dai tribunali italiani la trascrizione del figlio. È già avvenuto».

Quindi?

«Chiedo, come altri, che l’utero in affitto sia considerato un delitto universale. Da un delitto non può scaturire un diritto. Neanche al figlio surrogato».

Il Comitato di bioetica che dà pareri a governo e Parlamento, come ha affrontato questi problemi?

«Il Comitato si è sottratto alla riflessione su questi temi».

Sottratto? Allora a che serve?

«La svolta ci fu con lo scambio di embrioni all’Ospedale Pertini di Roma. Una madre abortì. La seconda partorì un figlio dall’embrione dell’altra coppia. L’ospedale ci pose il quesito: di chi è il figlio?»

E voi?

«Il Comitato disse: è indecidibile. Io mi irritai. Se un comitato etico definisce indecidibile una questione etica, qual è la sua ragione d’essere?»

Giusto. E lei?

«Detti il mio parere. Se la donna avesse saputo che il figlio in grembo non era suo, forse avrebbe abortito. Ma lo ha tenuto. Quindi, il bimbo era di chi lo aveva partorito dopo nove mesi di strettissimi rapporti con lui. Mi sembrò il solo criterio di accertamento della paternità».

Fu salomonico.

«Decise poi così anche il giudice».

Tra la piazza gay e quella del Family day quale sceglie?

«Un buon diritto non nasce in piazza. La simpatia va però al Family day la cui ingenuità politica è evidente. Illusorio pretendere che nell’Occidente secolarizzato solo l’Italia possa restare fuori dalle coppie di fatto ».

Ho avuto l’impressione che il Vaticano si sia disinteressato di tutto.

«È così. I movimentisti del Family day non rappresentano il meglio della cultura cattolica. Generosi e ammirevoli ma inadeguati hanno dato una sola indicazione, politicamente debolissima: via la Cirinnà, punto e basta».

E ventilando un referendum abrogativo.

«Il che ha moltiplicato le preoccupazioni del Vaticano che teme un altro referendum destinato palesemente alla sconfitta dopo quelli su divorzio e aborto».

La Santa Sede tace. Ma c’è lesione dell’identità cattolica?

«Sicuramente, sì. Però sono anni che pervade l’Occidente. I Pacs sono nati in Francia nel 1999. Il matrimonio è imploso. Lo stravolgimento è immenso».

E la Chiesa rinuncia a difendere la sua dottrina?

«Si piega all’irruenza della secolarizzazione che corrode da dentro la religiosità. Mentre il comunismo, che l’attaccava da fuori, ha perduto. Anche perché, la sua etica familiare coincideva con quella cristiana. Ricorderà lo scandalo che suscitò nel Pci la convivenza di Palmiro Togliatti con Nilde Jotti».

Ogni ponte è rotto tra Chiesa e mondo secolare?

«Si è trovato a un modesto punto di contatto: l’ecologia».

L’enciclica «Laudato si» è infatti piaciuta alla gente che piace.

«Ma affronta un tema di serie B: la salvezza della specie, non quella dell’anima. Di salvezza dell’anima si parla ormai solo con imbarazzo palpabile, perfino nelle chiese».

È la scienza che ha sparigliato moltiplicando i modi di concepire.

«Consente di programmare i figli ma non favorisce una genitorialità umanamente giustificata. Volere un figlio a ogni costo è un desiderio nevrotico e non limpido».

Anche lei pare rassegnato.

«Non mi arrendo. I valori di genitorialità e amore coniugale vanno mantenuti anche nel mondo secolarizzato».

Per farne che?

«Verrà il giorno in cui il Secolo vorrà riconquistarli. E avrà bisogno di testimoni di quei punti fermi. Ci sarò, se Dio vuole».

Giancarlo Perna                    Libero                        15 febbraio 2016

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CHIESA CATTOLICA

                                           Avere un padre e una madre.

            Secondo i sondaggisti c’è una netta maggioranza della popolazione che dice sì alle unioni civili, ma è altrettanto contraria all’adozione dei bambini.

Dopo un infuocato dibattito, questa è la settimana delle votazioni al Senato sul disegno di legge sulle unioni civili. Si tratta di una questione che sta talmente a cuore agli italiani che nessun ordine di partito è stato capace di blindare il voto. E cosa pensa il Paese? Nessuno può pretendere di rappresentare le opinioni delle persone, tanto meno i mass media, che su questo tema spesso sono stati ancora più ideologici e schierati di tanti politici. Tutti i dati, però, di tutti i sondaggisti, hanno evidenziato che esiste una netta maggioranza nel Paese che chiede l’approvazione di una legge sulle unioni civili. Ma esiste anche una ancora più schiacciante maggioranza che non vorrebbe, in alcun modo, mischiare questo tema alla questione dei diritti dei bambini, che dovrebbero restare al centro dell’attenzione. È come se il popolo rivendicasse il valore della nostra storia, che ha affidato all’amore tra l’uomo e la donna il benessere dei bambini. E chiede ai padri e alle madri di essere responsabili dei propri figli.

La stepchild adoption viene vista, anche dalla gente comune, come un cavallo di Troia, un possibile apripista all’idea che un adulto ha, comunque, diritto ad avere un figlio. E, quindi, possa andare all’estero, avere un figlio accolto per nove mesi da una donna disponibile e poi portarglielo via, per soddisfare il proprio desiderio. È già andata così, anche per tante, per troppe coppie eterosessuali. Per il nostro popolo, invece, un adulto deve porsi al servizio dei diritti dei bambini, non del proprio desiderio d’essere genitore a ogni costo. Al bambino dev’essere garantito, il più possibile, il diritto ad avere un papà e una mamma. È strano che guardiamo sempre all’estero, ma non siamo capaci di seguire l’esempio della sinistra laica e femminista che a Parigi, all’inizio di febbraio, ha gridato un “no” chiaro e forte a ogni ipotesi di utero in affitto. Per proteggere le donne e il loro corpo, ma anche i diritti dei bambini. Sarebbe grave se il Parlamento non ascoltasse il sentire diffuso del Paese, su un tema così sensibile e complesso. I tempi sono maturi per una regolazione delle unioni civili (più o meno condivisibile), secondo l’articolo 2 della Costituzione, che parla di “formazioni sociali specifiche” e non di famiglia, purché i bambini non siano ridotti a “oggetto del desiderio”. La tutela dei minori va rinviata a una riorganizzazione complessiva della legge sull’adozione.

                                           Editoriale       famiglia cristiana                       15 febbraio 2016

www.famigliacristiana.it/articolo/il-diritto-dei-bambini-ad-avere-un-padre-e-una-madre.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter+fc&utm_content=news&utm_campaign=fc1608

                                           “Pacs” all’italiana e cecità cattolica

Rifiutando di ammettere che due persone che si amano hanno diritto ad un quadro giuridico che istituzionalizzi e protegga la loro unione, la Chiesa cattolica continua a prestare il fianco all’accusa di omofobia. Si potrebbe pensare che in Europa gli uni imparino dagli altri e che una sana accumulazione di esperienze basti a evitare gli errori. La gerarchia cattolica italiana, più o meno apertamente, e la grande maggioranza della comunità cattolica hanno iniziato una mobilitazione contro il progetto di legge intitolato “formazione sociale specifica”, equivalente al “pacs” francese, portato avanti dalla senatrice Monica Cirinnà, progetto che istituzionalizza un’unione civile anche tra persone omosessuali e, in questo modo, apre il diritto all’adozione del figlio di uno dei partner da parte dell’altro.

Una prima mobilitazione aveva già neutralizzato nel 2007 il progetto dei “Dico” [governo Prodi, cattolico adulto] che istituiva un quadro giuridico per le unioni omosessuali a seguito della ripetuta insistenza della Corte europea dei diritti umani. L’Italia era uno degli ultimi paesi a non aver voluto legiferare in questo campo. Nel frattempo, Matteo Renzi, cattolico praticante e sindaco di Firenze nel 2007, allora ostile alle unioni civili, è diventato Primo ministro e favorevole al progetto. Favorevole è diventato anche Silvio Berlusconi. Il fatto che il 55% degli italiani sarebbero favorevoli, fa cambiare idea a certi politici.

Per sostenere la “famiglia”, diverse centinaia di migliaia di persone si sono ritrovate al Circo Massino a Roma il 30 gennaio scorso, giorno del Family Day, con slogan che in Francia conosciamo bene, che annunciano l’apocalisse della famiglia e una società impazzita. La comunità di Sant’Egidio e “Comunione e Liberazione”, due movimenti cattolici diffusi nella società italiana, non avevano aderito a quella manifestazione.

In seguito alla condanna del progetto di legge da parte di Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza dei vescovi italiani (CEI), in quanto lo ritiene la porta aperta alle adozioni di figli da parte di coppie omosessuali, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, ha affermato “che un bambino deve avere un papà e una mamma”, e ha dichiarato opportuno il voto segreto dei parlamentari per proteggere la libertà di coscienza, e questa affermazione è stata denunciata come un’ingerenza nella vita delle istituzioni.

Papa Francesco ha ripreso la sua posizione sul matrimonio – mentre qui si sta parlando solo di unioni civili: “Non ci può essere confusione tra la famiglia e ogni tipo di unione”. Aveva denunciato, all’ONU, “i modelli di vita anormali e irresponsabili”. Il suo atteggiamento intransigente risale ai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires. E ognuno sa che il diplomatico francese presentato per occupare il posto di ambasciatore presso il Vaticano, cattolico praticante ma omosessuale, è stato rifiutato.

Niente di nuovo quindi, sotto questo pallido sole. L’omofobia ha ancora bei giorni davanti a sé all’interno del mondo cattolico. Sia ai livelli bassi che a quelli alti. Qualche luce? In Portogallo, dove il matrimonio gay è stato adottato dal parlamento di Lisbona, il cardinale patriarca José da Cruz Policarpo si era ritirato e, ancor meglio, padre Manuel Marujao, che difendeva l’idea di un referendum di chiarificazione, ammetteva che si trattava di una “questione di natura antropologica e non strettamente religiosa”.

In Francia, dopo averli ardentemente combattuti nel 2002, la Chiesa cattolica ha rivalutato i “pacs”

quando si è cominciato a parlare di “matrimonio per tutti”. Ah, quei treni che non si prendono al momento giusto. Terminiamo con le parole di un altro gesuita, il cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, grande figura, in dialogo con il futuro sindaco di Roma, Ignazio Marino: “Non è male due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Se poi alcune persone, di sesso diverso oppure anche dello stesso sesso, ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?. Non è giusto discriminare altri tipi di unione [diversi dal matrimonio]”.

Jean-Pierre Mignard         in “temoignagechretien.fr” del 19 febbraio 2016

traduzione:                         www.finesettimana.org

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut665

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                                           CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Cremona. “Reti affidabili”: solidarietà famigliare e affido.

            “Reti Affidabili”: promuove e sostiene l’affido e la solidarietà familiare nel cremonese e nel casalasco. Una Rete pubblico-privato per una nuova cultura dell’affido.

“Reti Affidabili”è promosso da:  (…) Comune di Cremona, Consorzio Casalasco Servizi Sociali, Azienda Sanitaria Locale, (…) Consultorio Prematrimoniale e Matrimoniale UCIPEM (…) Università Cattolica di Brescia – Laboratorio di Psicologia, con il contributo della Fondazione Cariplo.

Il progetto vuole sostenere e accompagnare la capacità di esprimere solidarietà del territorio. Le famiglie hanno l’occasione di assumere un ruolo attivo nella comunità diventando attori protagonisti come “famiglie solidali” e “famiglie affidatarie”. In questa “avventura” le famiglie non sono lasciate sole: infatti gli operatori sociali, oltre ad essere un supporto sempre presente, accompagnano il confronto e la formazione con altre famiglie, coppie e single affidatari e solidali garantendo così uno scambio continuo di esperienze e di reciproco aiuto.

Essere “famiglie affidatarie” significa:

  • spazio nella propria vita per accogliere una persona diversa da sé;
  • disponibilità affettiva e volontà di accompagnare, per un periodo di tempo più o meno lungo, un bambino o un ragazzo nel suo percorso di crescita;
  • garantire il rispetto della storia del bambino, delle sue relazioni significative, dei suoi affetti e identità culturali, sociali e religiose;
  • consapevolezza della presenza nella vita del minore della famiglia d’origine, favorendo il mantenimento dei rapporti del bambino con la sua famiglia e tutti gli altri eventuali soggetti coinvolti, secondo le indicazioni contenute nel progetto di affidamento;
  • assicurare la massima riservatezza circa la situazione del minore e della sua famiglia d’origine;
  • capacità di collaborare con i Servizi coinvolti, partecipando agli incontri predisposti nel tempo, con le modalità e scadenze previste nel progetto di affido;
  • partecipare alle attività di sostegno e formazione svolte dal servizio preposto all’affidamento al fine di promuovere occasioni di confronto e discussione sulle esperienze di affidamento.

Essere “famiglie solidali” significa:

  • dedicare parte del proprio tempo ad altre famiglie, bambini o ragazzi con fragilità o temporanea difficoltà;
  • scegliere modalità di accoglienza  “a misura”, rispetto al proprio tempo e alle proprie capacità;
  • garantire alla famiglia in difficoltà piccoli aiuti, concreti e continuativi;
  • §  collaborare con altre famiglie, associazioni, operatori, volontari nelle attività di accoglienza.

www.aziendasocialecr.it/reti-affidabili-solidarieta-famigliare-e-affido

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DALLA NAVATA

2° Domenica di Quaresima – anno C –21 febbraio 2016.

Genesi                        15, 06 «Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.»

Salmo                         27, 13 «Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.»

Filippesi          03, 13 «La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.»

Luca                           09, 36 «Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.»

           

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose.

Se nella prima domenica di Quaresima abbiamo contemplato Gesù nella sua condizione umana, tentato dal demonio nel deserto e durante la sua vita, in questa seconda domenica il vangelo che ci viene donato, quello della trasfigurazione di Gesù, ci porta a confessare che in quella carne mortale venivano “messe tra parentesi” le prerogative divine di colui che “svuotò se stesso assumendo la condizione di uomo e di schiavo” (Fil 2,7): la sua identità profonda, infatti, restava quella di Figlio di Dio e il suo destino era la gloria divina (cf. Fil 2,9-11).

            Eccoci dunque davanti a questo racconto testimoniato dai tre vangeli sinottici (cf. Mc 9,2-10; Mt 19,2-9), ciascuno con dei particolari diversi e significativi. Luca scrive che “otto giorni dopo” (Lc 9,28a) quello della svolta, cioè quello della confessione di Pietro che ha riconosciuto e confessato Gesù come “il Cristo di Dio” (Lc 9,20), quello in cui lo stesso Gesù ha annunciato per la prima volta la necessitas della sua passione, morte e resurrezione (cf. Lc 9,22), Gesù decide di salire sul monte santo per dedicarsi alla preghiera. Porta con sé i discepoli a lui più vicini, Pietro, Giovanni e Giacomo, ai quali aveva promesso la visione del regno di Dio prima della loro morte (cf. Lc 9,27)

            (…)      Così, nel silenzio, si conclude questo evento narrato con difficoltà: Gesù è di nuovo solo con i tre, i quali, ammutoliti dallo stupore e dall’adorazione del mistero, non parlano, non sanno raccontare ciò che hanno visto, fino a dopo che Gesù sia risorto dai morti. Proprio della resurrezione, infatti, la trasfigurazione è segno e profezia: anche i giusti saranno trasfigurati nel regno di Dio dopo la loro morte (cf. Apocalisse siriaca di Baruc 51). In verità anche noi attendiamo tale evento, desideriamo esserne partecipi nella nostra vita e di fatto lo siamo, ma non abbiamo abbastanza fede per vederlo come gloria di Dio: restiamo uomini e donne di poca fede!

            Testo completo

http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/02/enzo-bianchi-commento-vangelo-21.html#more

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DIVORZIO

Milano, divorzio facile: “Si può fare anche senza incontrarsi”.

Fino ad ora i coniugi dovevano presentarsi “personalmente ” in Comune. Un’indicazione che il tribunale – a cui si è rivolta una coppia contro l’Anagrafe – considera non obbligatoria. L’unico caso in cui la presenza dei coniugi rimane necessaria è il divorzio non consensuale. Divorziare in Comune, senza nemmeno doversi presentare di fronte all’impiegato dell’anagrafe. È la possibilità riconosciuta da un giudice a due coniugi che avevano scelto il cosiddetto divorzio facile. E uno di loro aveva dato procura a un avvocato. Il Comune di Milano non aveva accettato il divorzio, sostenendo “l’obbligo di comparire personalmente”. I coniugi a quel punto avevano deciso di fare ricorso. Ora è stato accolto: “Dinnanzi all’ufficiale di stato civile – si legge nel dispositivo, divenuto esecutivo – i coniugi possono avvalersi della rappresentanza di un procuratore speciale”.

            Un pronunciamento senza precedenti, che abbatte l’ultimo tabù sulla fine del matrimonio. Vale a dire, l’obbligo di presentarsi all’anagrafe nel caso si chiuda la pratica lontano dal Tribunale. A insistere perché marito e moglie dovessero presenziare in Comune fu la pattuglia di parlamentari cattolici che nel novembre 2014 dichiarò battaglia alla norma. “Divorziare per corrispondenza è l’ultima offesa al matrimonio”. E ancora: “Marito e moglie si occupino in prima persona di questo atto definitivo”, insistettero i contrari, fra cui Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, Maurizio Gasparri di Forza Italia ed Eugenia Roccella di Nuovo Centrodestra. Nel testo della norma, alla fine si precisò che i coniugi dovessero presentarsi “personalmente ” in Comune. Una indicazione che però ora il giudice considera non obbligatoria.

            Premettendo che “la questione in esame non consta di precedenti”, il giudice Giuseppe Buffone della Nona sezione civile del Tribunale di Milano scrive nel dispositivo: “L’utilizzo nel testo normativo dell’avverbio “personalmente” non preclude la rappresentanza a mezzo di procuratore speciale”, in considerazione del fatto che “lo spirito della normativa è quello di garantire procedure alternative al servizio pubblico di Giustizia, istituendo misure semplificate tese a incrementare il tasso di degiurisdizionalizzazione”.

            La decisione premia l’impostazione del pm Nicola Cerrato, per cui il procuratore speciale è “titolato a svolgere in luogo del rappresentato tutte le attività che questi dovrebbe porre in essere al cospetto dell’autorità amministrativa”. Come avviene di fronte a un giudice, dove l’avvocato può sostituire il proprio assistito. L’unico caso in cui la presenza dei coniugi resta necessaria è nel divorzio non consensuale, dove di fronte al giudice le parti devono presentare le proprie richieste. Accogliendo il ricorso, il giudice “annulla il rifiuto dell’ufficiale di stato civile” e “ordina di dare corso al procedimento”.

            Essendo trascorsi i termini per l’impugnazione, il Comune di Milano dovrà ammettere il divorzio, ricevendo al posto di un coniuge il suo legale. E la pratica di divorzio facile andrà a sommarsi alle altre 219 chiuse a Milano dall’11 dicembre 2014, data dell’entrata in vigore della norma. Circa un decimo dei divorzi in città. Un dato consistente, che si spiega anche con il costo: 16 euro. Per Cinzia Calabrese, presidente lombarda dell’Associazione italiana avvocati per la famiglia e per i minori (Aiaf), “la decisione del giudice è condivisibile. Dinnanzi all’ufficiale di stato civile, le parti devono avere le stesse possibilità riconosciute di fronte al giudice. Le alternative al divorzio classico non devono essere gravate di obblighi inutili, che le renderebbero meno appetibili per chi vuole porre fine al matrimonio fuori dal tribunale”

Franco Vanni             la repubblica on line  18 febbraio 2016

http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/02/18/news/milano_divorzio_facile-133680459/?ref=HRER2-2

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FAMIGLIA

Il diritto a vivere in famiglia: le 5 richieste urgenti delle associazioni

La campagna di AiBi e di 10 associazioni per difendere il diritto a vivere in famiglia.

Più sostegno alle adozioni difficili, affido dei neonati e favorire l’autonomia dei “care leavers”, i neomaggiorenni dopo la comunità: queste sono le priorità della campagna “Donare futuro” per il diritto dei minori “fuori famiglia”.

Il progetto riguarda otto regioni d’Italia: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia e nasce sulla scia delle iniziative orientate ad impegnare le amministrazioni regionali del Centro-Sud dell’Italia nello sviluppo di adeguate misure per la tutela del diritto dei bambini e dei ragazzi ad avere una famiglia. Misure tanto più urgenti al Centro-Sud, dove più marcate sono le carenze. Nelle intenzioni dei promotori anche la creazione di sinergie con le realtà associative del nord, con lo scopo di avviare uno scambio di esperienze e definire gli interventi da attuare.

A promuovere la campagna, una cordata di undici associazioni/reti nazionali in cui non poteva mancare Ai.Bi.: Progetto Famiglia, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (Anfaa),  Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca), Coordinamento nazionale delle comunità per minori (Cncm), Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Associazione famiglie per l’accoglienza, Coordinamento italiano servizio contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia (Cismai), Ai.Bi. (Amici dei Bambini), Coordinamento Care, Forum Delle Associazioni Familiari, Tavolo Nazionale Affido.

Le associazioni hanno individuato cinque proposte urgenti (allegate) da rivolgere a tutti i rappresentanti istituzionali del Centro-Sud: garantire sostegni economici, sociali, psicopedagogici alle famiglie che adottano bambini disabili o ragazzi di età superiore ai 12 anni; istituire un fondo regionale per l’accompagnamento all’autonomia dei neomaggiorenni che escono da percorsi di affido familiare o di accoglienza in una comunità; promuovere l’affidamento familiare e garantire alle famiglie affidatarie adeguati sostegni, tra i quali il rimborso delle spese che affrontano durante l’accoglienza di bambini e ragazzi e la stipula di apposite coperture assicurative. E ancora, istituire tavoli regionali sull’affido familiare, con il coinvolgimento dei servizi sociali, dell’autorità giudiziaria minorile e delle associazioni.

Il prossimo passo sarà l’organizzazione di un seminario, in ciascuna regione, cui parteciperanno anche i rappresentanti delle amministrazioni regionali. La campagna è in rete, accessibile a tutte le persone interessate, attraverso la pagina Facebook “Diritto alla famiglia” e il sito web dedicato www.dirittoallafamiglia.it, attualmente in fase di allestimento.

                                                 Notiziario Redattore Sociale          13 febbraio 2016

www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/500132/Il-diritto-a-vivere-in-famiglia-le-5-richieste-urgenti-delle-associazioni?stampa=s

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FAMIGLIE OMOGENITORIALI

“Le famiglie omogenitoriali in Italia”: il peso crescente di una minoranza trascurata.

Due psicologhe ferraresi espongono attraverso un libro la condizione delle famiglie con genitori omosessuali in Italia, delineandone i (pochi) diritti, le caratteristiche comportamentali e la posizione all’interno della società. In un periodo come quello attuale, infuocato da manifestazioni pubbliche in merito alle sempre più agognate unioni civili e caratterizzato da tensioni politiche riguardanti la medesima questione, è necessario disporre di un quadro generale sulla situazione delle famiglie italiane con genitori omosessuali, dette anche omogenitoriali. E’ infatti questo lo scopo principale per cui Paola Bastianoni, professore in Psicologia dinamica all’Università di Ferrara, e Chiara Baiamonte, medico e psicoterapeuta, si sono dedicate alla cura del manuale “Le famiglie omogenitoriali in Italia: relazioni familiari e diritti dei figli” (Edizioni Junior).

 “E’ importante oggi poter parlare di famiglie omogenitoriali in una società, la nostra, ancora troppo omofoba ed eterosessista – afferma Bastianoni. E’ necessario perché ogni giorno vengono violati diritti innegabili di figli e genitori a causa della sopravvivenza di pregiudizi e stereotipi dalla connotazione fortemente negativa verso l’omosessualità […]”. Non si può infatti negare che la società italiana odierna, pur essendosi nel corso degli anni sradicata da molti pensieri ed opinioni tradizionaliste, continui ad avere numerosi preconcetti nei confronti di queste minoranze sessuali. Di conseguenza, perché si abbia un panorama più ampio riguardo le famiglie omogenitoriali nel nostro paese, il volume è stato opportunamente strutturato in cinque capitoli, ognuno dei quali scritto per mano di diversi collaboratori.

La stesura del primo capitolo è stata difatti affidata ad Antonio Rotelli, ex-presidente di Rete Lenford e ora avvocato del Foro di Taranto. In questa sezione egli tratta in primo luogo dei diritti delle famiglie omogenitoriali nel panorama giuridico internazionale, soffermandosi secondariamente sulla mancanza di una legislazione che possa tutelarle in Italia, per poi rilevare anche degli aspetti di trasformazione in questo ambito.

Di simile argomento è anche l’ultimo capitolo del libro, scritto da Giuseppe Spadaro, Donatella Donati e Salvatore Busciolano, rispettivamente presidente, magistrato e giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Bologna: qui il lettore viene introdotto all’apertura dell’istituto dell’affidamento familiare a una coppia omosessuale, sottolineando l’interesse del minore del diritto a crescere in ambiente familiare idoneo. Ciononostante, sarebbe inutile crearsi delle aspettative ottimistiche quando in realtà la Costituzione non salvaguarda i diritti delle famiglie omogenitoriali, anche perché “nel nostro ordinamento” – sostiene Rotelli – “il diritto di sposarsi e il matrimonio sono prerogative fondamentali da cui le persone omosessuali, che sono una minoranza, sono escluse unicamente in ragione del loro orientamento sessuale”.

Nel secondo capitolo Silvia de Simone, ricercatrice universitaria, descrive esaustivamente la nascita, i partecipanti e l’evoluzione dell’associazione denominata “Famiglie Arcobaleno” (Fa), di cui la stessa studentessa è socia. Fa nasce nel 2005 attraverso l’ufficializzazione sul web di alcune relazioni personali createsi nell’ambito di un forum di discussione costituito da mamme lesbiche. Oggi l’associazione è composta da circa un migliaio di soci, i quali sono uomini e donne omosessuali o con il forte desiderio di concretizzare il loro progetto di genitorialità, o che hanno già avuto figli da relazioni eterosessuali precedenti.

I capitoli centrali, di impronta fortemente psicologica, si focalizzano invece sugli aspetti psichico-caratteriali che contraddistinguono i vari genitori omosessuali e i loro figli. Il terzo è infatti scritto da Federico Ferrari, psicoterapeuta e didatta del Centro Milanese di Terapia della Famiglia: qui viene evidenziato come, anche per mezzo di studi effettuati all’estero, si è giunti alla conclusione che i ragazzi cresciuti in famiglie omogenitoriali manifestano una spiccata libertà e ambizione nel fantasticare progetti sul futuro e sono meno vincolati da stereotipi nelle scelte delle attività ludiche. Per di più Bastianoni, Baiamonte e Francesca de Palo, docente di Psicologia all’Università di Padova, attraverso una ricerca sulla gestione congiunta dell’accudimento dei figli nelle coppie omosessuali e sulle relative dinamiche familiari, sono arrivate ad affermare con fermezza nel quarto capitolo che “non si riscontrano differenze significative tra lo stile educativo delle famiglie omogenitoriali rispetto a quelle eterosessuali […], a conferma dell’indipendenza dei costrutti di genitorialità e orientamento sessuale”.  {non sono citati studi statistici e confronti a distanza di anni- ndr}

Mediante un’analisi di questi dati estremamente soddisfacenti, è inconcepibile pensare come ancora oggi non vi siano delle tutele specifiche per tali minoranze. Come infatti saggiamente afferma la ricercatrice De Simone nella seconda parte del manuale, menzionando il celebre episodio di Rosa Parks del 1955, “Ancora oggi sono due i sedili degli autobus su cui non si possono sedere i genitori omosessuali in Italia, quello della coniugalità e quello della genitorialità, un modo per comunicare alle persone Lgbt che sono cittadini di seconda classe”.

Riccardo Bacalini      Redattore Sociale      19 febbraio 2016

www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/501141/Le-famiglie-omogenitoriali-in-Italia-il-peso-crescente-di-una-minoranza-trascurata

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Ovociti: la tratta delle “donatrici” bianche.

Il numero di trattamenti con donazione di ovociti (cioè eterologa al femminile, ndr) per superare l’infertilità è aumentato drasticamente sin dalla sua introduzione, 30 anni fa. In origine, la donazione di ovociti è stata sviluppata per aiutare le donne con insufficienza ovarica prematura. Adesso, l’uso di donatrici di ovociti di buona qualità è ampiamente finalizzato a donne di oltre 40 anni, che sono infertili per via dell’età».

È l’incipit di un articolo da poco pubblicato sulla rivista scientifica Human Reproduction, dedicato agli effetti a lungo termine delle donazioni di ovociti, che ha il pregio di chiarire subito come una procedura di fecondazione assistita, inizialmente destinata a situazioni patologiche, nel tempo sia diventata una strada per aggirare il limite naturale della fertilità femminile, legato all’età. In questo senso si potrebbe parlare di una tecnica di enhancement, quel “miglioramento” degli esseri umani che i pensatori del transumanesimo hanno eretto a vessillo: potersi riprodurre a età sempre più avanzate, superando il limite del proprio corpo, anche utilizzando parti di corpi altrui (gameti, in questo caso).

            Una pratica che è cresciuta velocemente negli ultimi anni: negli Stati Uniti dal 2000 al 2013 i trattamenti di eterologa femminile sono quasi raddoppiati – da 10.801 a 19.988 – mentre si stima che i nati in tutto il mondo con questa tecnica finora siano oltre 200mila (su 5 milioni di “figli della provetta” stimati finora).

Gli addetti ai lavori lamentano da sempre la scarsità di ovociti a disposizione e le lunghe liste di attesa di chi vorrebbe accedere a questo percorso: ovociti che – si sa – non vengono quasi mai “donati” ma pagati, seguendo rigorosi criteri di mercato, cioè la legge della domanda e dell’offerta. Cheap white eggs: uova bianche a buon mercato, le hanno definite per esempio Tal e Amir durante un’intervista all’emittente Radiolab che ha fatto molto discutere. I due sono omosessuali israeliani che hanno fatto ricorso all’utero in affitto in una clinica nepalese, utilizzando come madri surrogate donne della vicina India e scegliendo da catalogo “donatrici” ucraine, perché i bambini – ne hanno avuti tre in questo modo, e tre embrioni sono congelati in Nepal – nascessero simili a loro. Preferibilmente a buon mercato, ma sicuramente bianchi. E alti, come la “donatrice” ucraina.

            Quattro nazioni, quindi, e 150mila dollari per tre bambini, nonostante in Israele l’adozione per coppie gay sia legale dal 2008, perché, come ha spiegato Amir, era molto importante per loro avere bambini che fossero «realmente i nostri». Con un legame genetico, quindi, quello stesso negato per contratto alla poco costosa “donatrice” ucraina. Il mercato di ovociti segue regole diverse da quello dell’utero in affitto: è un mercato intrinsecamente razzista, perché è con i gameti che viene trasmesso il patrimonio genetico, e se i committenti sono prevalentemente ricchi bianchi occidentali il modello di riferimento avrà la pelle bianca. La possibilità per le coppie richiedenti di scegliere le principali caratteristiche fisiche di chi “dona” i propri gameti è decisiva per questo commercio: ci sono persino organizzazioni che trasportano direttamente le “donatrici” da un continente all’altro, pur di accontentare gli aspiranti genitori. La scorsa settimana il quotidiano Sydney Morning Herald ha reso noto che entro il mese di febbraio un primo gruppo di giovani donne dal Sud Africa – «quattro bianche dai 21 ai 30 anni» – arriverà in Australia per “donare” le proprie uova; in aprile un secondo gruppo di donatrici completerà un accordo che coinvolge complessivamente 14 coppie australiane che hanno richiesto “uova fresche”.

            Il costo a carico di ogni coppia è di 13.600 dollari, di cui 3.800 all’agenzia che ha organizzato il percorso e 2.500 per coprire le spese di soggiorno delle donatrici, che teoricamente non potrebbero essere retribuite, secondo la legge australiana, e che comunque hanno già spesati viaggio e soggiorno in un appartamento, «perché le ragazze possano restare insieme e condividere l’esperienza». L’iniziativa è della «Known Egg Donors» di Città del Capo, fondata da Genevieve Uys, in passato “donatrice” a sua volta e madre genetica di sette bambini. La Uys ha dichiarato che le giovani sudafricane non sarebbero spinte da motivazioni economiche ma dal desiderio di aiutare altre donne a concepire, e dalla «prospettiva attraente» di un viaggio oltreoceano, precisando però – bontà sua – che non si tratta certo di un’avventura o di un capriccio ma di una scelta ben ponderata: una volta arrivate le ragazze dovranno sottoporsi a tutti i trattamenti necessari per produrre e cedere i propri ovociti pur avendo «tempo anche per giri turistici».

            La donazione di ovociti in Sudafrica è anonima se fatta con un’agenzia, ma non in Paesi come l’Australia, dove non lo è. I “clienti” australiani hanno potuto scegliere avendo a disposizione tutte le informazioni possibili: foto, dettagli biografici, storie mediche. «Con la situazione di invecchiamento riproduttivo la domanda è elevata», conferma il dottor Warren, del Queensland Fertility Group, per il quale l’iniziativa dell’agenzia sudafricana costituisce sicuramente un passo in avanti.

Assuntina Morresi     avvenire                     18 febbraio 2016

www.avvenire.it/Vita/Pagine/ovociti-la-tratta-delle-donatrici.aspx

 

«La provetta? Test di massa senza garanzie»

“La scienza è amica dell’etica”. Questo blog analizza e commenta le notizie scientifiche alle cui fonti si potrà accedere cliccando sul link sottolineato nel post. Per ricevere gli aggiornamenti del blog, iscriversi alla mailing list nell’apposita finestra.

            Parlando a Washington al convegno della prestigiosa American Association for the Advancement of Science, da cui dipende la nota rivista Science, Pascal Gagneux, biologo dell’Università di California, ha messo in guardia: fecondare un ovocita fuori del luogo usuale, cioè la tuba ovarica, può portare rischi a lungo termine. Il ragionamento è semplice: nella fecondazione in vitro l’ovocita è assalito da nugoli di spermatozoi; nella fecondazione tubarica c’è un solo spermatozoo per ovocita, una selezione che lo scienziato definisce «la scelta criptica femminile», che la fecondazione in vitro elude esponendo al maggior pericolo di lasciar passare spermatozoi con fattori di rischio. «Mi sembra un colossale esperimento evoluzionistico: come l’introduzione del fruttosio, o dei fast food negli Usa. Ci sono voluti 50 anni: sembrava fantastico, tutti pareva fossero più alti e più sani, e invece ora siamo la prima generazione più bassa e a che muore più giovane. Ma ci sono voluti 50 anni».

            Gagneux si basa sui dati forniti da test su animali che mostrano come, invecchiando, i soggetti nati da fecondazione artificiale mostrerebbero una «sindrome metabolica» se femmine e alterazioni ormonali se maschi. Ma dati su problemi epigenetici e su alterazioni alla nascita erano già presenti da anni nei nati da procreazione medicalmente assistita comparati con la popolazione generale. Basti pensare che i malumori iniziarono a sorgere nel 2002 con le prime analisi apparse sulla letteratura scientifica in Svezia e negli Stati Uniti sui nati da fecondazione in vitro, sintetizzati nella rivista americana Nature col titolo significativo «Trattamenti per la fertilità: semi di dubbio».

            Dunque la novità è che ora se ne parla non solo con i dati ma con l’analisi dei dati guardando il futuro. E non è allora un problema di opposte visioni morali: basti osservare il dibattito scientifico in cui, per esempio, gli evoluzionisti, i biologi che si occupano di epigenetica e i neonatologi che osservano le nascite descrivono fattori di allarme. Ecco allora che il criterio scientifico della precauzione entra nel dibattito: mettere le mani, certamente in buona fede, nel processo riproduttivo non richiedeva forse più cautela, più esperimenti su modelli animali e più anni per vedere se negli animali, generazione dopo generazione, avveniva qualche effetto avverso? Tutto qui, come aveva preconizzato il chimico ed ecologista Enzo Tiezzi.

            Perché si pretendono giustamente tante cautele e rassicurazioni nel caso dell’esposizione ai campi elettromagnetici o agli Ogm prima di metterli in commercio e invece si vede che gli aggiustamenti tecnici per diminuire gli esiti insoddisfacenti sulla salute nel caso della procreazione medicalmente assistita si fanno in corso d’opera, quando le varie tecniche già sono in commercio?

            C’è qualcosa che non va in tanta sollecitudine, quando non persino fretta. Vedere che finalmente se ne parla in un consesso di altissimo livello ci porta a sperare in qualche maggiore cautela: certe volte più che dibattiti sui princìpi andrebbero promossi e compiuti confronti sulla reale efficacia e sicurezza di innovazioni che vanno a interessare la sfera più delicata della vita umana.

            Carlo Bellieni avvenire 18 febbraio 2016                http://carlobellieni.com/?p=2262

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FERTILITÀ

                                                 Sterilità e fecondità: quando il percorso è difficile.

Il Centro Giovani Coppie San Fedele organizza una tavola rotonda su «Sterilità e fecondità: quando il percorso è difficile».

05 marzo 2016           ore 15.30        Milano, Sala Ricci, Piazza San Fedele 4       (ingresso libero

In un filmato tre coppie raccontano la loro ricerca di un figlio nei suoi diversi esiti e nei suoi riflessi sulla loro relazione. A partire da questa narrazione una psicologa, un medico e un teologo confrontano i loro diversi piani visuali, alla ricerca di un approccio non ideologico al problema.

A commentare il video e ad approfondire le molteplici dimensioni del tema saranno Elisa Cesaratto, psicologa del Fertility Center Humanitas di Milano, Francesco Fusi, medico del Centro di fisiopatologia della riproduzione Ospedali Riuniti di Bergamo, e Giannino Piana, teologo morale delle Università di Urbino e Torino. A moderare il dibattito, Adriano Pennati, del Centro Giovani Coppie San Fedele.

L’incontro intende fornire un’occasione di riflessione sulle problematiche personali e di coppia (sia di tipo psicologico che di tipo relazionale e fisico) che può dover affrontare chi ha difficoltà al concepimento. In particolare, si vuole mettere il focus su un aspetto solitamente poco considerato, ovvero l’impatto che le scelte in questo campo possono avere sulla relazione di coppia, prima, durante e dopo la decisione di ricorrere a tecniche di fecondazione assistita.

Non mancheranno peraltro anche informazioni più basilari, spesso date per scontate, su che cosa si intende con fecondazione assistita e quali sono le problematiche di tipo medico ed etico connesse.

www.centrogiovanicoppiesanfedele.it

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Crollo nascite. De Palo: politica si occupa di false priorità.

Le culle vuote sono il principale problema economico del Paese: è quanto ha affermato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin annunciando nuove misure per il sostegno delle donne che lavorano e sul fronte del bonus bebè. Lo scenario è “orrendo”, ha detto il ministro riferendosi ai recenti dati sulla denatalità in Italia: nel 2015 i decessi sono stati 653 mila, i nati poco più di 488 mila.

Nel 2015 il picco più alto di decessi, dal secondo dopoguerra, si incrocia con un nuovo record: il minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia. Nel corso di pochi decenni il Paese è profondamente cambiato. Quella del 1976, nella quale per la prima volta il tasso di fecondità si attestava sopra i due figli per donna in età fertile, era un’altra Italia. In quella di oggi, invece, il declino demografico è certificato dal minimo storico di nascite e dal basso tasso di fecondità, 1,35 figli per donna. Diminuisce anche l’aspettativa di vita a causa, secondo diversi osservatori, delle risposte sempre meno efficaci del sistema sanitario limitato da tagli e da esigenze di risparmio. La popolazione straniera – ha detto il ministro della Salute Beatrice Lorenzin – non è sufficiente a colmare la denatalità. “Lo scenario futuro è orrendo”: serve ora un grande investimento culturale. “E’ normale essere genitori giovani” ed essere madri – ha aggiunto il ministro – dovrebbe essere “un prestigio sociale”.

L’Italia è anche un Paese in cui le forze politiche si interrogano su unioni civili e adozioni ma non sul vero motore, anche economico, del Paese: la famiglia, quella disegnata dalla Costituzione. Così Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari.

R. – Questo trend purtroppo c’è da parecchi anni. Siamo il Paese che ha un tasso di fecondità più basso da più tempo nel mondo, non solo in Europa. Nonostante questo, ci stiamo incaponendo in false priorità. Non ci rendiamo conto che questi dati sono preoccupanti perché tratteggiano un futuro assolutamente insostenibile per il nostro Paese. Una precarietà senza prospettive, come quella che stiamo vivendo, non so quante volte ci sia stata. Anche dopo la guerra, c’era una prospettiva di crescita. Oggi il60% dei giovani in Italia pensa che può prendere in considerazione la possibilità di andare a lavorare all’estero. Il problema, secondo me, è il fatto che noi non riusciamo a realizzare i sogni dei nostri giovani. Il 92% dei giovani, secondo la ricerca dell’Istituito Toniolo, vuole fare una famiglia e avere dei figli. Addirittura il numero dei figli è sopra i due. Quindi vuol dire che il desiderio c’è. Ma il problema è che non mettiamo i giovani nella condizione di realizzare questo desiderio.

D. – Tra l’altro, per chi ha figli, il problema è legato anche al fatto che spesso in questa società l’infanzia è vista un po’ come un corpo estraneo.

R. – Il problema è che i figli non vengono vissuti e non vengono visti come un bene comune ma come un bene di lusso: se sei ricco puoi fare i figli. Mentre invece questo è un desiderio ancestrale. È oggettivo che l’aspetto demografico ha a che fare anche con il tema della crisi economica perché chi ha un figlio, chi mette al mondo un figlio, ha fiducia nella vita. E la fiducia è qualcosa che rompe lo schema della congiuntura economica e della crisi. Chi non ha fiducia si richiude in una depressione che poi si riversa anche a livello economico.

Amedeo Lomonaco    Notiziario Radio vaticana – 20 febbraio 2016

            http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

 

Denatalità, meno bambini, meno futuro, meno Italia

È l’ora di scegliere tra impegno e rassegnazione. “Siamo preoccupati non tanto per il crollo, prevedibile, delle nascite, quanto perché la politica non sembra aver compreso bene le conseguenze di questo inverno demografico”. Questo il commento di Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, dopo i dati diffusi dall’Istat quest’oggi.

“Quando accade che in un Paese con questo problema demografico, chi mette al mondo un figlio rischia di diventare povero, la politica non può stare a guardare. Chiediamo al presidente Renzi di mettere al centro dell’agenda politica questa assoluta priorità. Il Forum da oltre 15 anni chiede, inascoltato, un fisco più equo per le famiglie che non ce la fanno più. Non si può più rinviare una riforma simile soprattutto quando le donne sono costrette a ritardare sempre più il loro desiderio di maternità e a nascondere il pancione al datore di lavoro e quasi 100mila giovani italiani preferiscono emigrare all’estero per realizzare i loro sogni e fare famiglia”.

“Quello che preoccupa ancora di più – continua De Palo – è la rassegnazione con cui prendiamo atto di questi dati. Ma per chi stiamo facendo tutti questi sacrifici se abbiamo perso il desiderio di esserci? Ogni anno va sempre peggio e non si può andare avanti a colpi di bonus bebè. Occorre riflettere seriamente perché meno figli vuol dire meno futuro e meno Italia”.

            Comunicato stampa 19 febbraio 2016                                 www.forumfamiglie.org/comunicati.php

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GESTAZIONE PER ALTRI

            Lorenzin: utero in affitto, punibile con una sanzione penale

Un cinguettio polemico del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, scatena su Twitter una polemica con la relatrice della legge sulle unioni civili, Monica Cirinnà, fervente sostenitrice della tanto discussa ‘stepchild adoption’.

            La senatrice dem risponde piccata all’alleata alfaniana: “Proprio da te che sei mamma… la proposta dell’inadottabilità?? Vuoi penalizzare i bambini per come sono nati???”. E la controreplica non si fa attendere: “Monica Cirinna NO! Garantiamo tutele ai bimbi già nati ma stop a utero in affitto. Sia reato universale. Tu rinunceresti a tua madre?”.

Dati questi presupposti la proposta di questa mattina del premier Matteo Renzi di trovare un accordo con gli alleato di governo per proporre un emendamento su cui, poi, porre la fiducia pare alquanto in salita. Presumibilmente, considerato quanto ribadito oggi dal premier, ossia che il Pd al Senato non ha i numeri per far passare la legge da solo, pare evidente che la Cirinnà dovrà darsi pace e rinunciare definitivamente all’adozione del figlio del partner.

Francesco Curridori  il giornale.it    21 febbraio 2016

www.ilgiornale.it/news/politica/utero-affitto-lite-lorenzin-cirinn-su-twitter-1227617.html

 

Si vieti che il nascituro da quelle pratiche sia adottabile”

Unioni civili. La proposta di Lorenzin: “Utero in affitto diventi reato penale e si vieti che il nascituro da quelle pratiche sia adottabile”. La proposta lanciata su facebook e poi in dichiarazioni alla stampa. Il ministro parla di punto di “caduta” della battaglia sulla stepchild adoption e secondo lei questo può diventare la messa al bando universale dell’utero in affitto rendendo non adottabile il nascituro.

            “Credo che, ormai, bisognerà votare sull’emendamento, a meno che non si riesca a trovare un punto di ‘caduta’ e, a mio parere, può essere solo quello di rendere l’utero in affitto un reato universale”. Così ieri il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha poi specificato che quindi è necessario individuare un apposito reato: “Un reato che bisogna legare ad una norma penale, successivamente porre sanzioni ed il divieto di adottabilità per il partner. In questo modo si svuoterebbe la stepchild da qualsiasi tentativo di far rientrare dalla finestra quello che abbiamo voluto tenere fuori dalla porta”. In ogni caso il ministro continua a vedere come strada primaria quella di chiedere lo stralcio della norma dal Ddl Cirinnà.

Quotidiano sanità      21 febbraio 2016

http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=36638

 

La Lorenzin chiede lo stralcio dell’articolo 5 dal DDL Cirinnà sulle unioni civili, o in alternativa l’istituzione del reato penale per la pratica dell’utero in affitto anche all’estero. In pieno dibattito sulle unioni civili e sulla stepchild adoption e sulla reversibilità per le coppie omosessuali, arriva la proposta del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che non lascia spazio a dubbi: per scoraggiare la pratica dell’utero in affitto, verrà istituita una sanzione di tipo penale. Durante un’intervista il ministro chiarisce la sua posizione riguardo il problema dell’utero in affitto: il problema di fondo è che la maggioranza degli italiani è contraria all’adozione del figliastro (stepchild) da parte del partner del genitore omosessuale, in quanto quest’ultima provocherebbe un’apertura legittima dell’utero in affitto. Per questo motivo il ministro Lorenzin ha ipotizzato di scoraggiare la pratica dell’utero in affitto, dichiarandolo un reato punibile penalmente, anche se praticato all’estero. Con questo provvedimento, le coppie omosessuali e ovviamente quelle etero, non dovrebbero più prendere nemmeno in considerazione l’idea, lasciando così dei margini di miglioramento dell’opinione pubblica per quanto riguarda le unioni civili. Per quanto riguarda la pensione reversibilità delle coppie gay, a patto che ci sia la copertura economica dopo il polverone mediatico degli ultimi giorni, secondo la Lorenzin sarebbe soltanto un problema burocratico.

notizie flash                http://www.news.notizieflash.com/utero-in-affitto-penale_5294

 

«L’utero in affitto ruba l’identità ai bambini»

            «Chi sono io? Di chi sono figlio? Chi sono mia madre e mio padre? Questa è la discriminante: ogni volta che diventa impossibile rispondere a queste domande, che sono il diritto assoluto di ogni essere umano, si è compiuto qualcosa di sbagliato». È la bussola con cui Paolo Crepet, psichiatra, si orienta in quella che definisce «una galassia di situazioni diverse tra le quali occorre distinguere», eufemisticamente chiamata ‘gestazione per altri’, o più realisticamente utero in affitto.

            Mai prima d’oggi nella storia dell’umanità si è rischiato di venire al mondo senza sapere da chi. L’utero in affitto e altre pratiche manipolatrici della nascita, invece, oggi rubano alla persona che nasce la sua stessa identità. Vorrei rispondere partendo da un assunto, e cioè che questo argomento è molto complesso e le cose complesse non si possono semplificare. Ritengo che gli omosessuali debbano avere tutti i diritti civili e patrimoniali. E il problema non è nemmeno l’adozione, laddove un figlio sia nato da una relazione eterosessuale precedente e poi ad esempio il padre abbia cambiato orientamento sessuale: è chiaro che il bambino resta suo figlio e, qualora la madre per sventura venisse a mancare, andrà a vivere con suo padre, ovvero con la nuova coppia omosessuale.

            Dove inizia il problema più grave?

In tutto ciò che ruba l’identità al bambino. Rispondere alla domanda tipica di ogni essere umano, ‘chi sono io?’, è un dovere assoluto, è addirittura fondativo della nostra vita. Pensiamo al caso, seppure diverso, dei figli che sono adottati dalle famiglie: presto o tardi ci chiedono sempre da dove vengono, vogliono andare a vedere il loro Paese, ove possibile anche incontrare i genitori naturali, cercare quella famosa risposta. Ma con l’utero in affitto questa risposta non è possibile darla, ed è un’aberrazione inaccettabile. Come ho detto, esistono però situazioni diverse, che vanno distinte. Inizio dalla più grave.

            Qual è, e perché?

Vale la pena ricordare che cosa avviene quando un uomo gay vuole fare il padre, gli preme questo desiderio e decide di recarsi all’estero, ad esempio in America, dove si può fare tutto. Lì si cerca una donna che gli aggrada e già questo è un primo grosso problema, perché siamo in piena eugenetica: si sceglie una razza, il colore della pelle. Elton John mica ha voluto una donna nera di Haiti. L’eugenetica, anche etimologicamente parlando, è già razzismo ed è una pratica ben nota ai nazisti. Celebrare davvero la Giornata della Memoria significa non dimenticarlo. Poi questa donna per nove mesi cresce nel grembo il bambino, e tra madre e figlio durante la gestazione si instaurano relazioni. È provato ad esempio che se la madre si accarezza spesso la pancia nasce un forte rapporto affettivo. Al parto il ricco gay occidentale stabilisce che quindi quella donna non deve allattare, e qui nasce il grande trauma sia per la madre che per il figlio: a entrambi viene negata la meraviglia dell’allattamento, il primo atto che il neonato cerca, e che non è solo una nutrizione. Anni fa si studiava la ‘teoria dell’attaccamento’: così a un neonato di scimpanzé si offrirono una tetta di plastica piena del latte di sua madre e più lontano un ciuffo dei suoi peli con dentro una tetta vuota. Il cucciolo andava a cercare quest’ultima. Oggi la teoria dell’attaccamento è cosa nota e riguarda il calore, l’odore, non certo il nutrimento. E noi cancelliamo tutto questo perché decidiamo che va bene così? È mostruoso. Ancora più grave è quando i due gay dicono ‘ma noi teniamo un rapporto con la donna che lo ha fatto nascere’: peggio! È accanimento. Se non soffre di autismo, soffrirà in maniera inimmaginabile. È già successo che alcune madri surrogate poi rivendichino la maternità. Particolarmente odioso, poi, è il fatto che tutto ciò sia accettato perché costa cifre altissime, dunque vi accedono solo i milionari. Per coerenza, però, dobbiamo parlare ora degli altri casi sbagliati.

Seconda casistica, dunque?

Una signora single, o lesbica, decide di diventare madre, va ad esempio in Spagna alla banca del seme, sceglie dai cataloghi e compie l’atto con la fialetta. La cosa diversa è che lei stessa se lo cresce in grembo, dunque non interrompe la relazione tra madre e feto, ma l’operazione è comunque eugenetica e soprattutto resta la voragine della risposta mancata: chi è mio padre? Non lo saprà mai e questa è una violenza spaventosa. Non vorrei che la diatriba sull’utero in affitto facesse ‘dimenticare’ questa altra pratica solo femminile, come se non fosse ontologicamente grave per il bambino privato della sua identità.

            Terzo caso?

C’è anche una declinazione leggermente diversa che è, ad esempio, quella di Nicole Kidman: l’attrice non voleva restare incinta, per motivi suoi professionali, così ha preso questo connubio tra lei e suo marito e lo ha impiantato in una donna, usata come macchina fattrice. Qui padre e madre geneticamente sono noti, la risposta al ‘chi sono io?’ c’è, dunque il problema non riguarda l’identità, ma certamente l’attaccamento sì, come pure lo sfruttamento di una donna povera, l’affitto di un utero e la speculazione economica. Dei tre casi è il ‘meno grave’ e largamente il più diffuso, ma resta inaccettabile. Come vede, la galassia è complessa. Io non sono in Parlamento e non faccio le leggi, ma da psichiatra dico no in assoluto a tutti e tre i casi.

            Molti studi provano che per una crescita equilibrata e serena ogni bambino ha bisogno di un padre e una madre, naturalmente di due sessi diversi. Ma occorre davvero dimostrare una cosa così ovvia? La questione è recente, fino a vent’anni fa non esistevano tecnologie procreative quindi non era discutibile. Ma siccome nel figlio i problemi possono nascere in qualsiasi momento nei primi 25 anni di vita, non nei primi tre, manca ancora l’esperienza. L’unica che abbiamo risale alla guerra, quando gli uomini erano a combattere e i bambini crescevano in un mondo tutto al femminile, con madre, nonna, zie e sorelle, e tutto in effetti è andato bene, ma lì la famosa risposta c’era: ‘tuo padre è al fronte’, e questo fa un’enorme differenza. Non c’è alcun dubbio che avere accanto la figura maschile e quella femminile è l’ideale, ma oggi spesso prevale un pregiudizio positivo, e cioè che ‘basta l’amore’, da chiunque ti arrivi. È una grande sciocchezza, dietro la quale ci sono soldi e belle parole che ti rubano l’identità. Non scordiamo mai che questo pregiudizio positivo giova a coppie eterosessuali o omosessuali molto ricche, illuse di poter poi colmare qualsiasi vulnus del figlio con i soldi.

            Nel momento in cui si paga per un figlio, sfruttando una condizione di povertà, non si ravvisa un fondo di razzismo o di colonialismo?

Non troverà mai un omosessuale indiano o filippino che farà una cosa simile, sia per censo sia perché nella sua storia antica non c’è un passato di colonialismo.

            Lucia Bellaspiga        Avvenire 19 febbraio 2016

www.avvenire.it/Politica/Pagine/Lutero-in-affitto-ruba-lidentit-ai-bambini-.aspx

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ISTAT

Indicatori demografici. Anno 2015.

            Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l’8,3% della popolazione totale (+39 mila unità). La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti.

            I morti sono stati 653 mila nel 2015 (+54 mila). Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi. L’aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Il picco è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza.

            Nel 2015 le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L’età media delle madri al parto sale a 31,6 anni.

            Il saldo migratorio netto con l’estero è di 128 mila unità, corrispondenti a un tasso del 2,1 per mille. Tale risultato, frutto di 273 mila iscrizioni e 145 mila cancellazioni, rappresenta un quarto di quello conseguito nel 2007 nel momento di massimo storico per i flussi migratori internazionali. Le iscrizioni dall’estero di stranieri sono state 245 mila e 28 mila i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l’estero riguardano 45 mila stranieri e 100 mila italiani.

            Gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni, il 22% del totale. In diminuzione risultano sia la popolazione in età attiva di 15-64 anni (39 milioni, il 64,3% del totale) sia quella fino a 14 anni di età (8,3 milioni, il 13,7%). L’indice di dipendenza strutturale sale al 55,5%, quello di dipendenza degli anziani al 34,2%.

            Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85). L’età media della popolazione aumenta di due decimi e arriva a 44,6 anni.

            Popolazione in Italia – infografica                 testo integrale                        (allegati)

Comunicato stampa   19 febbraio 2016                               www.istat.it/it/archivio/180494

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LEGISLAZIONE

Integrazione sociale dei minori stranieri.

L. 20 gennaio 2016, n. 12 (G.U. 1/02/2016, n. 25) Disposizioni per favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva. In vigore dal 16\2\2016

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/02/01/16G00016/sg

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OMOFILIA

Ma l’omogenitorialità è davvero «a sinistra»?

Individualismo esasperato e via (reazionaria) al passato. Uno dei paradossi del dibattito politico italiano di questi mesi è rappresentato dalla collocazione dei vari soggetti politici – e delle corrispondenti posizioni di pensiero – in ordine al problema dell’omosessualità (e, conseguentemente, delle eventuali scelte legislative che ne derivino per il Parlamento).

            Pressoché coralmente – a parte alcune, pur notevoli, eccezioni – le prese di posizione a favore degli omosessuali e dei loro (veri o presunti) diritti accomunano la ‘sinistra’; e, analogamente, viene considerata ‘di destra’ la linea seguita da quanti – pur riconoscendo l’opportunità di regolare alcune situazioni di fatto – si oppongono al «matrimonio gay», all’«utero in affitto » e così via. Nulla di più assurdo, a ben guardare.

            La biologia ci insegna che l’auto-riproduzione, l’auto-referenzialità è stata caratteristica delle prime specie viventi e che soltanto la diversificazione sessuale latamente intesa (perché essa riguarda anche le piante e tutte le specie in senso lato ‘animali’, dalle più piccole alle più evolute) ha assicurato l’evoluzione della specie e dunque il progresso. L’auto-riproduzione è la staticità; la etero-riproduzione è il dinamismo, il cambiamento e (se si vuole usare questa un poco ambigua parola) il ‘progresso’. Dal punto di vista del cammino di tutti gli esseri viventi il passaggio dalla auto-riproduzione alla differenziazione sessuale è un decisivo passo in avanti. In questo senso l’omosessualità, a parte la sua ineliminabile infecondità, è un ritorno al passato, non un’apertura al futuro, non è il progresso ma, in senso proprio, la ‘reazione’.

            Perché dunque questa impropria e paradossale inversione di ruoli fra la destra (conservazione) e la sinistra (progresso)? È, questo, un interrogativo al quale si sarebbe tentati di rispondere ricorrendo al successo e alla fortuna delle ‘mode culturali’, talché oggi ‘essere gay’ è di moda (anche se, nella pratica, quanti nelle piazze chiedono l’equiparazione delle relazioni omosessuali a quelle eterosessuali si guardano bene dall’applicare questa posizione di pensiero alla loro vita privata).

            La ragione fondamentale di questo paradosso è rappresentata dall’appropriazione che la ‘sinistra’ ha fatto dei diritti individuali, così interpretando – ma assai maldestramente – i diritti dell’uomo, che sono strutturalmente sociali, perché non riguardano il singolo individuo autosufficiente ma l’uomo in relazione, e dunque la persona umana. Il riconoscimento assoluto dei diritti dei singoli finisce, dunque, per oscurare la persona come essere in relazione, a partire dalla sua forma fondamentale e originaria, il rapporto uomo-donna.

            Coloro che, nelle piazze, fanno propria la posizione di chi sostiene la necessità dell’equiparazione fra relazioni omo ed eterosessuali, dunque, si pongono – in parte anche inconsapevolmente – dalla parte di quella esasperata cultura individualistica che, assolutizzando i veri o presunti diritti del singolo (sino all’uso mercificato della donna a fini di gratificazione personale di altri soggetti), finisce per oscurare i diritti sociali. Non ci si rende conto – ed è questo un grave limite della ‘sinistra’ italiana, e non soltanto di essa – che in questo modo si fa proprio un assunto fondamentale di tutte le politiche di destra, e cioè il primato delle pulsioni individuali rispetto agli obblighi sociali.

            È giunto il tempo, dunque, di superare antichi schemi – come, appunto, qualificare impropriamente ‘di destra’ o ‘di sinistra’ le posizioni assunte in ordine alle questione dei ‘matrimoni gay’ e dintorni – per cogliere il vero centro del problema: quello di garantire un giusto equilibrio fra diritti (e doveri) individuali e diritti (e doveri) sociali; nessun uomo è un’isola.

            Giorgio Campanini  Avvenire          17 febbraio 2016

www.avvenire.it/Commenti/Pagine/MA-LOMOGENITORIALIT–DAVVERO-A-SINISTRA-.aspx

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            ONLUS NON PROFIT

Voucher INPS e partita IVA: per gli enti non profit non vale il tetto dei 2mila euro.

Il Messaggio n. 8628/2016 dell’Inps, in materia di lavoro accessorio, corregge la circolare n. 18/2012 del Ministero del Welfare per il quale il limite inferiore era esteso a tutti i soggetti con partita Iva.

            Nel Messaggio interno 2 febbraio 2016 n. 8628, “Lavoro accessorio: chiarimenti su committenti imprenditori e liberi professionisti D.Lgs. 81/2015”, l’Inps è intervenuto con importanti precisazioni in materia di lavoro accessorio specificando in particolare alcune categorie di soggetti committenti che non rientrano nella definizione di imprenditori commerciali. Per questi soggetti non vale il limite di 2.000 euro annui con cui possono retribuire ogni lavoratore attraverso voucher lavoro.

            In particolare il documento recita: In linea generale, dunque, l’espressione “imprenditori” risulta comprensiva di tutte le categorie disciplinate dall’art. 2082 e segg. del codice civile, dalla cui lettura congiunta è possibile individuare una serie di soggetti che, pur operando con Partita IVA e/o codice fiscale numerico, non sono da considerare imprenditori e, dunque, non sono soggetti alle limitazioni suddette.

            A titolo non esaustivo si indicano i seguenti soggetti:

Committenti pubblici (nel rispetto dei vincoli previsti dalla normativa in materia di contenimento della spesa e, ove previsto, dal patto di stabilità interno), Ambasciate, Partiti e movimenti politici, Gruppi parlamentari, Associazioni sindacali, Associazioni senza scopo di lucro, Chiese o associazioni religiose, Fondazioni che non svolgono attività d’impresa, Condomini, Associazioni e società sportive dilettantistiche, Associazioni di volontariato e i Corpi volontari (Protezione civile, Vigili del Fuoco ecc.), Comitati provinciali e locali della Croce Rossa, Gialla, Verde e Azzurra, AVIS, ecc..

            Per quanto riguarda i professionisti, invece, il documento fa riferimento sempre alla Circolare INPS n. 49 del 29 marzo 2013 che richiama il Testo unico delle imposte sui redditi, art. 53 comma 1 (ex art. 49, comma 1) il quale prevede che “sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate al capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’articolo 5”. Si ribadisce cosi che il limite di 2.000 euro netti trova dunque applicazione per ciascun lavoratore che svolge prestazioni nei riguardi sia di iscritti agli ordini professionali, anche assicurati presso una cassa diversa da quella del settore specifico dell’ordine, sia di titolari di partita IVA, non iscritti alle casse, ed assicurati all’INPS presso la Gestione Separata.

La specificazione nel testo sul fatto che l’elenco non è esaustivo evoca la possibilità che la materia lasci aperti altri dubbi sulla definizione dei soggetti committenti interessati. Saranno quanto mai utili chiarimenti generali su vari aspetti di questo particolare istituto, già annunciati da più parti. Va ricordato infatti che il lavoro accessorio non è regolato da uno specifico contratto di lavoro e il suo sempre maggiore utilizzo porta molte storture e qualche iniquità.

www.fiscoetasse.com/approfondimenti/12432-lavoro-accessorio-precisazioni-sui-soggetti-imprenditori.html

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=6602

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PARLAMENTO

Senato                        Assemblea      Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

2081 Cirinnà ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

16 febbraio 2016. Esame art. 1; approvata la proposta di sospensione dell’esame del Ddl.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964923

17 febbraio 2016. Dibattito sull’ordine e il calendario dei lavori.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964984

Il fattore Cirinnà. Le unioni civili hanno marciato a stento anche perché la firmataria di quella proposta non è molto amata nel gruppo del Pd di Palazzo Madama. Anche questa volta il contenuto della legge nulla ha a che vedere con questa storia. Al Senato, per esempio, raccontano che Giorgio Napolitano abbia nutrito più di una perplessità quando ha saputo che era Monica Cirinnà ad occuparsi di una materia così delicata. L’ex presidente della Repubblica ha fatto notare, non senza una certa ironia, che finora la senatrice in questione si era occupata di “gattini e cagnolini” e non di questioni di altro livello. Si riferiva al fatto che la senatrice, quando faceva parte del consiglio comunale a Roma, era una grande sostenitrice dei provvedimenti a tutela degli animali domestici, e solo di materie come questa si occupava.

estratto       il foglio quotidiano 18 febbraio 2016

 

Ordine del Giorno n. G5.102 al DDL n. 2081

omissis

Impegna il Governo:

a valutare l’opportunità di modificare, entro il 2016, l’intera disciplina relativa al diritto del minore alla famiglia di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, consentendo alle coppie composte da persone dello stesso sesso l’accesso, oltre che all’adozione in casi particolari di cui all’articolo 44, comma 1, lettera b), anche all’istituto dell’adozione piena e legittimante di cui all’articolo 6, nella consapevolezza che il ricorso a tale istituto si configura quale unico reale strumento di contrasto all’utilizzo della pratica della maternità surrogata;

ad adoperarsi, altresì, nel novellare la predetta legge 4 maggio 1983, n. 184 al fine di rendere accessibile l’adozione piena e legittimante di cui all’articolo 6, in aggiunta alle coppie dello stesso sesso, anche alle coppie stabilmente conviventi, nonché ai singoli, provvedendo contestualmente ad una semplificazione e ad uno snellimento della complesse procedure ivi previste.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Emend&leg=17&id=964844&idoggetto=959097

Presentato al Senato un ordine del giorno per Pd: riforma della legge 184 entro il 2016 per aprire le adozioni internazionali ai gay.

Alla fine il velo sulle reali intenzioni dei sostenitori del disegno di legge sulle unioni civili è stato sollevato. E, una volta scoperte le carte, ecco che è emerso quello che tutti avevano capito da tempo e che, incredibilmente, si cercava di negare. Il Ddl Cirinnà, con la regolamentazione della stepchild adoption, apre la porta a tutti gli effetti all’adozione da parte delle coppie omosessuali. Lo farebbe attraverso una modifica della legge 184/1983, proprio come richiesto da un ordine del giorno presentato in Senato da una delegazione del Partito Democratico.

Prima firmataria dell’Odg è la vicepresidente del Senato, la democratica Valeria Fedeli, insieme ad altri 7 senatori dem. In sostanza l’Odg dice questo: per evitare che le coppie omosessuali possano ricorrere all’utero in affitto, si dovrebbe consentire loro di adottare, esattamente come agli eterosessuali. Dietro a un provvedimento come quello relativo alla stepchild adoption, ideato per risolvere i pochi casi di adozioni dei figliastri già presenti nelle coppie omosessuali italiane, si nasconde quindi qualcosa di molto più grande. E pericoloso: una modifica della legge sulle adozioni nella direzione dettata dall’Odg di Fedeli finirebbe per togliere a migliaia di bambini in diritto ad avere un papà e una mamma.

E pensare che la stessa Fedeli ha presentato la sua iniziativa in un’intervista sul quotidiano “l’Unità” con un titolo bello quanto fuorviante: “Riformare le adozioni per dare una famiglia a ogni bambino”. Peccato che le reali intenzioni siano lontane anni luce da quanto questo titolo lascerebbe intendere. Altro che famiglia! La famiglia è una sola e la Costituzione del nostro Paese lo precisa senza mezzi termini. Le altre – tra cui le coppie omosessuali – sono formazioni sociali che poco hanno a che fare con il bisogno e il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre.

Ecco quindi che emerge come tutto l’attuale dibattito sulla stepchild adoption – ovvero l’adozione del figliastro – sia in realtà strumentale a ben altri obiettivi. Ben mascherati dietro l’intenzione di limitare il più possibile la maternità surrogata. Quest’ultima, si legge nell’Odg, “solleva interrogativi profondi nelle coscienze e negli animi di persone di diversa appartenenza politica, culturale e religiosa ed è da più parti trasversalmente condannata. Nella maggior parte dei casi si tratta di un uso del corpo della donna e delle sue funzioni riproduttive come una ‘merce’ in palese contrasto con il principio universale della dignità umana”. E fino a qui, è la sacrosanta verità. Ma è un’altra constatazione che devia dalla strada della difesa dei diritti dei minori. Quello in cui si sottolinea come, tra i diversi Paesi che puniscono penalmente il ricorso all’utero in affitto, “solo Bulgaria e Italia vietano l’accesso all’istituto dell’adozione per le coppie formate da persone dello stesso sesso”. Quindi che cosa propone Fedeli? Di “modificare, entro il 2016, l’intera disciplina relativa al diritto del minore alla famiglia” di cui alla legge 184/1983, “consentendo l’accesso anche all’istituto dell’adozione piena e legittimante alle coppie composte da persone allo stesso senso”. Il motivo? Questa sarebbe l’unico “reale strumento di contrasto al ricorso alla maternità surrogata”. Dimenticando, però, che, così facendo, si andrebbe esattamente nella direzione opposta rispetto a quella della difesa dei diritti dei bambini.

www.aibi.it/ita/presentato-al-senato-un-ordine-del-giorno-per-pd-riforma-della-legge-184-entro-il-2016-per-aprire-le-adozioni-internazionali-ai-gay

 

Camera 2° Commissione Giustizia  Tribunale della famiglia e della persona

C2953 Governo, C2921 Colletti. Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile.

www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0029500&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=2953-e-sede=-e-tipo=

Estratto del testo del Disegno di legge C2953

Art. 1. 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti l’integrazione della disciplina del tribunale delle imprese e l’istituzione del tribunale della famiglia e della persona, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

(omissis)

b) quanto al tribunale della famiglia e della persona:

1) istituire presso i tribunali ordinari le sezioni specializzate per la famiglia e la persona;

2) attribuire alla competenza delle sezioni specializzate di cui al numero 1):

2.1) le controversie attualmente devolute al tribunale civile ordinario in materia di stato e capacità della persona, rapporti di famiglia e minori, ivi compresi i giudizi di separazione e divorzio e i procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio;

2.2) i procedimenti di competenza del giudice tutelare in materia di minori e incapaci;

2.3) le controversie relative al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione internazionale disciplinate dal decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, nonché dal decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150;

2.4) in ogni caso, tutte le controversie attualmente non rientranti nella competenza del tribunale per i minorenni in materia civile a norma dell’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, e successive modificazioni, anche eliminando il riferimento ai provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo del primo comma del medesimo articolo, salva l’attribuzione alla competenza del tribunale per i minorenni dei procedimenti relativi ai minori stranieri non accompagnati e a quelli richiedenti protezione internazionale, disciplinandone il rito secondo modalità semplificate;

3) assicurare alle sezioni specializzate di cui al numero 1) l’ausilio dei servizi sociali e di tecnici specializzati nelle materie di competenza;

4) prevedere che le attribuzioni conferite dalla legge al pubblico ministero nelle materie di competenza delle sezioni specializzate di cui al numero 1) siano esercitate da magistrati ai quali è attribuita, almeno in misura prevalente, la trattazione di affari rientranti nella competenza della sezione specializzata per la famiglia e la persona;

5) disciplinare il rito dei procedimenti attribuiti alle sezioni specializzate di cui al numero 1) secondo criteri di semplificazione e flessibilità, individuando le materie per le quali il tribunale decide in composizione monocratica, quelle per cui decide in composizione collegiale e quelle rispetto alle quali decide in composizione collegiale integrata con tecnici specializzati;

6) prevedere l’attribuzione, almeno in misura prevalente, a una sezione di corte di appello delle impugnazioni avverso le decisioni di competenza delle sezioni specializzate di cui al numero 1) e avverso le decisioni di competenza del tribunale per i minorenni;

7) prevedere la rideterminazione delle dotazioni organiche delle sezioni specializzate per la famiglia e la persona, dei tribunali ordinari e dei tribunali per i minorenni, adeguandole alle nuove competenze, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, attraverso la riorganizzazione e la razionalizzazione dei medesimi tribunali, senza determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; prevedere che successive modificazioni delle relative piante organiche del personale di magistratura e amministrativo siano disposte, fermi restando i limiti complessivi delle rispettive dotazioni organiche, con decreti del Ministro della giustizia.

 

 16 febbraio 2016       Donatella Ferranti, presidente, avverte che il provvedimento in discussione, come risultante dagli emendamenti approvati, sarà trasmesso alle competenti Commissioni per l’espressione del relativo parere.

pag. 54 del pdf allegato a 16 febbraio 2016           http://www.camera.it/leg17/210

 

Emendamenti approvati                    27 gennaio 2016         (omissis)

Al comma 1 sostituire la lettera b) con la seguente: «b) quanto al tribunale della famiglia e della persona:

1) istituire presso i tribunali ordinari e presso le Corti d’appello e sezioni distaccate di Corte d’appello le sezioni circondariali e distrettuali specializzate per la persona, la famiglia e i minori di cui ai punti 5) e 6);

2) sopprimere il tribunale per i minorenni e l’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, introducendo le conseguenti necessarie abrogazioni e modifiche delle disposizioni vigenti;

3) prevedere che i magistrati, anche onorari, addetti ai tribunali per i minorenni e agli uffici del pubblico ministero presso i predetti tribunali siano di diritto assegnati, rispettivamente, ai tribunali e alle procure della Repubblica del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello a cui, in seguito alla soppressione, sono attribuite le funzioni, salvo il diritto, ove già maturato al momento di entrata in vigore delle norme di attuazione, di proporre domanda di trasferimento ad altro ufficio o di assegnazione ad altro incarico;

4) prevedere che i presidenti dei tribunali per i minorenni e i procuratori della Repubblica presso i predetti tribunali siano assegnati, rispettivamente, ai tribunali e alle procure della Repubblica del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello a cui sono attribuite le funzioni in seguito alla soppressione, con le funzioni di presidente della sezione specializzata per la persona, la famiglia e i minori e di procuratore aggiunto per il coordinamento del gruppo specializzato in materia di persona, famiglia e minori; prevedere che il presidente del tribunale con provvedimento di organizzazione tabellare designi il presidente titolare della sezione;

4-bis) prevedere e disciplinare, anche con la previsione dell’emissione di decreti ministeriali, l’assegnazione del personale amministrativo al tribunale e alla procura della Repubblica presso il tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi e dettare la disciplina dell’assegnazione delle attrezzature dei tribunali per i minorenni soppressi;

4-ter) prevedere l’assegnazione dei nuclei di polizia giudiziaria attualmente operanti presso le procure della Repubblica dei tribunali per i minorenni, ai gruppi specializzati in materia di persona, famiglia e minori; istituiti presso le procure della Repubblica dei tribunali di cui al punto 6);

5) attribuire in via esclusiva alla competenza delle sezioni specializzate circondariali di cui al punto l) in primo grado: a) i procedimenti attualmente devoluti al tribunale civile ordinario in materia di stato e capacità della persona, rapporti di famiglia compresi i giudizi di separazione e divorzio, anche quando ci sono figli minori, nonché i procedimenti relativi alla filiazione fuori del matrimonio; b) i procedimenti attualmente devoluti al tribunale per i minorenni dall’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile e dall’articolo 32 del Regio Decreto Legge 20 luglio 1934. n. 1404, fatta eccezione per i procedimenti di cui agli articoli 330. 332 e 333 del codice civile, che sono attribuiti alle sezioni specializzate distrettuali di cui al punto 6; c) i procedimenti di cui all’articolo 333 del codice civile quando è in corso tra i genitori un procedimento di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, o un procedimento relativo ai figli nati fuori dal matrimonio o instaurato ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; d) i procedimenti attualmente di competenza del giudice tutelare esclusi quelli di cui al punto 6;

6) attribuire alla competenza delle sezioni specializzate distrettuali di cui al punto l) tutti i procedimenti previsti dalla legge 4 maggio 1983, numero 184, e dagli articoli 330, 332 e 333 del codice civile salvo quanto previsto dal punto 5), lettera c), oltre ai procedimenti relativi ai minori stranieri non accompagnati e a quelli richiedenti protezione internazionale e ogni altro procedimento attualmente devoluto al tribunale per i minorenni in materia penale e civile e amministrativa;

6-bis) prevedere che i magistrati siano assegnati in via esclusiva alle sezioni specializzate di cui al punto 1) istituite presso i tribunali aventi sede coincidente con la Corte d’appello o con una sezione di Corte d’appello e che i predetti esercitino le relative funzioni in via esclusiva;

7) prevedere l’istituzione, presso le corti di appello e le sezioni distaccate di corte di appello, di sezioni specializzate per la trattazione dei procedimenti in sede di appello e in sede di reclamo contro i provvedimenti di cui ai procedimenti indicati ai punti 5) e 6); prevedere che i magistrati ad esse assegnati esercitino le relative funzioni in via esclusiva, ovvero, ove ciò non sia possibile, che detti procedimenti siano comunque assegnati a un collegio specializzato;

8) assicurare alle sezioni specializzate di cui al punto 1) l’ausilio dei servizi istituiti o promossi dalla pubblica amministrazione, centrale o periferica, e in particolare degli enti locali, delle aziende sanitarie locali e dei servizi sociali, nonché di organismi o persone privati con esse convenzionati;

9) prevedere che le sezioni specializzate di cui al punto 6 operino nella composizione attualmente prevista per i tribunali per i minorenni dall’articolo 2 del regio decreto legge 20 luglio 1934, n. 1404;

10) disciplinare il rito dei procedimenti attribuiti alle sezioni specializzate di cui al punto 1) secondo criteri di tendenziale uniformità, speditezza e semplificazione, con specifica attenzione alla tutela dei minori e alla garanzia del contraddittorio tra le parti, valorizzando i poteri conciliativi del giudice e il ricorso alla mediazione familiare, e in particolare secondo i seguenti criteri:

10.1) dettare una disciplina omogenea per i procedimenti in materia di separazione e divorzio giudiziale e in materia di filiazione fuori dal matrimonio la quale preveda:

a) introduzione con ricorso con previsione di un termine libero a comparire per la controparte di almeno 20 giorni, riducibile in caso di urgenza, d’ufficio o su istanza di parte;

b) proposizione delle domande e richieste istruttorie negli atti introduttivi;

c) celebrazione di una prima udienza davanti al presidente della sezione circondariale o distrettuale di cui al punto 1) o altro giudice da lui delegato, il quale ascolta i coniugi o i genitori, ascolta i minori (salvo che gli stessi non siano capaci di discernimento), eventualmente dispone e acquisisce accertamenti patrimoniali, infine adotta provvedimenti provvisori e fissa udienza per l’assunzione delle prove (richieste negli atti introduttivi e eventualmente precisate all’esito dell’ascolto di parti e minori) o, se non sia ritenuta necessaria ulteriore istruttoria, invita le parti a concludere e rimette al collegio per la decisione (con o senza termini per memorie conclusionali secondo la difficoltà del caso, sentite le parti);

d) previsione della reclamabilità dei provvedimenti provvisori davanti al collegio della Corte di Appello;

e) previsione della possibilità per il giudice istruttore di farsi assistere da un ausiliario nell’ascolto del minore e di disporre consulenza tecnica d’ufficio psicologica sui minori e sulla capacità genitoriale delle parti in qualunque momento, se necessaria, sentite le parti;

f) previsione della facoltà per le parti di richiedere la pronuncia della sentenza parziale di separazione o divorzio sin dalla prima udienza, all’esito dell’adozione dei provvedimenti provvisori e del potere di emanarla in forma monocratica;

g) della concentrazione dell’istruzione probatoria e dell’attribuzione al giudice del potere di regolare le forme del contraddittorio preordinato alla decisione;

10.2) dettare una disciplina omogenea per i procedimenti di separazione e divorzio consensuali/congiunti e per la richiesta congiunta di regolamentazione dell’affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la quale preveda:

a) introduzione con ricorso congiunto;

b) comparizione davanti al presidente della sezione circondariale o distrettuale di cui al punto 1) o ad altro giudice delegato il quale valuta i presupposti della domanda e la corrispondenza all’interesse del minore delle condizioni concordate disponendone l’audizione ogniqualvolta vi sia un dubbio in merito;

c) rimessione al collegio per l’omologa delle condizioni di separazione o di disciplina della filiazione fuori dal matrimonio, per la sentenza di divorzio congiunto nel restante caso;

10.3) dettare una disciplina omogenea, per i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale di cui agli articoli 330, 332 e 333 del codice civile, nonché per l’esecuzione dei relativi provvedimenti, prevedendo in particolare, quanto al processo in materia di responsabilità genitoriale:

a) nella fase preprocessuale, che i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità, quando risultino vani gli interventi di natura assistenziale, siano obbligati a riferire al più presto al pubblico ministero minorile sulle condizioni di pregiudizio in cui un minore di età si trovi e di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio;

b) nella fase introduttiva, l’ampliamento della legittimazione attiva anche della persona stabilmente convivente con il minore di età, nonché il contenuto del ricorso e le modalità di instaurazione del contraddittorio ed i casi in cui debba essere nominato il curatore speciale;

c) nella fase istruttoria una puntuale disciplina dei poteri delle parti, contemperandoli con la specificità del rito e con l’esigenza di celerità ed urgenza delle decisioni;

d) una disciplina più dettagliata dell’intervento della pubblica autorità e del rapporto di questa con la competente sezione specializzata e con l’ufficio del pubblico ministero di cui al punto 13), nei casi di pericolo grave ed attuale per la vita ed integrità fisica del minore di cui all’articolo 403 del codice civile;

e) l’applicazione ai provvedimenti urgenti, in quanto compatibili, le disposizioni del procedimento cautelare uniforme;

f) un regime delle impugnazioni che tenga conto della tipologia dei provvedimenti minorili, individuando, quelli reclamabili in Corte di Appello, con riserva di collegialità ai sensi dell’articolo 50 bis del codice di procedura civile, e prevedendo la ricorribilità in Cassazione, per violazione di legge, dei provvedimenti che decidono sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale;

g) una disciplina della fase di attuazione dei provvedimenti, che individui la competenza, indichi il rito e le sanzioni eventualmente applicabili in caso di inosservanza.

10.4) assicurare che:

a) sia assicurata l’adeguata considerazione dell’interesse del minore effettuandone l’ascolto diretto con l’assistenza di un ausiliario specializzato in psicologia o psichiatria ove lo ritenga opportuno; salvo che il giudice valuti che il minore non sia capace di discernimento;

b) sia assicurato il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell’infanzia e delle linee guida del Consiglio d’Europa in materia di giustizia a misura di minore;

11) prevedere che le attribuzioni del pubblico ministero nei procedimenti di cui ai punti 5) e 6) sono esercitate dalla procura della repubblica presso il tribunale ordinario garantendo la specializzazione dei magistrati addetti a tali funzioni;

12) attribuire alla competenza delle sezioni specializzate di cui al punto 6) i procedimenti penali di cui all’articolo 9 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404;

13) istituire presso le procure della repubblica presso i tribunali di cui al punto 6) gruppi specializzati in materia di persona, famiglia e minori; e prevedere, presso le procure generali, l’individuazione, nell’ambito del programma di organizzazione dell’ufficio, di uno o più magistrati con competenze specialistiche;

14) prevedere che in ambito penale le sezioni specializzate di cui al punto 6) esercitino la giurisdizione secondo le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448, nella stessa composizione prevista dall’ordinamento giudiziario ai sensi dell’articolo 2 di detto decreto per ciascuna delle funzioni previste;

15) prevedere che costituisca titolo preferenziale ai fini dell’assegnazione alle sezioni specializzate, all’ufficio distrettuale del pubblico ministero di cui al punto 13 il precedente esercizio di funzioni in materia di famiglia e minori e l’aver partecipato ad azioni di formazione, e che i magistrati privi di titoli per pregresse esperienze in materia di famiglia e minori che siano comunque assegnati alle sezioni specializzate debbano svolgere corsi di formazione presso la scuola superiore della magistratura secondo le indicazioni del consiglio superiore della magistratura;

16) prevedere che i magistrati delle sezioni specializzate civili e penali, dell’ufficio distrettuale del pubblico ministero e i magistrati addetti alla trattazione degli affari di famiglia nelle Procure della Repubblica siano tenuti a partecipare annualmente a specifiche azioni di formazione, che saranno organizzate dalla Scuola Superiore della Magistratura e che avranno come obbiettivo l’acquisizione di conoscenze giuridiche, di conoscenze extragiuridiche propedeutiche al migliore esercizio delle funzioni di giudice e PM della famiglia e dei minori, di buone prassi di gestione dei procedimenti, di buone prassi per l’ascolto del minore;

17) prevedere la rideterminazione delle dotazioni organiche delle sezioni specializzate circondariali e distrettuali di cui al punto 1) nonché degli uffici del pubblico ministero adeguandole alle nuove competenze, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, a legislazione vigente, attraverso la riorganizzazione e la razionalizzazione dei medesimi tribunali, assicurando l’esercizio in via esclusiva delle funzioni attribuite alle sezioni specializzate distrettuali di cui al punto 6) senza determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; prevedere che successive modificazioni delle relative piante organiche del personale di magistratura e amministrativo siano disposte, fermi restando i limiti complessivi delle rispettive dotazioni organiche, con decreti del Ministero della giustizia;

18) prevedere l’emanazione delle necessarie norme transitorie, di attuazione, di esecuzione, nonché quelle di coordinamento dello stesso con le leggi che si occupano della tutela morale, fisica ed economica dei minorenni, e tutte le altre norme integrative che il nuovo ordinamento renderà necessarie.».

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La commissione Giustizia della Camera presieduta da Donatella Ferranti (Pd) ha concluso l’esame degli articoli del disegno di legge delega che introduce una rivoluzione nel processo civile. Tra i punti qualificanti del testo ci sono la riforma del processo civile d’appello (decisamente asciugato), le sanzioni più alte per chi intraprende una lite temeraria aprendo una causa con dolo e, soprattutto, una razionalizzazione di varie competenze con la creazione in ogni capoluogo del tribunale per la famiglia che si occuperà in una unica sede di minori, adozioni, divorzi, separazioni e quant’altro riguardi i diritti all’interno del nucleo familiare.

Aumentano le competenze dei tribunali per i minorenni. Oggi il tribunale per i minorenni è un giudice quasi sempre collegiale — composto da due membri togati e due esperti in psicologia o pedagogia — che, oltre alle competenze per i reati commessi dai minorenni, si occupa della protezione della persona del minore in situazioni potenziali di pregiudizio o di abbandono. Ora, con il disegno legge delega appena approvato dalla commissione Giustizia della Camera, si fa un passo in avanti: allargando le competenze dei tribunali per i minorenni, includendovi anche quelle oggi di stretta pertinenza del tribunale civile ordinario. Dunque nel tribunale della Famiglia confluiranno tutti i procedimenti riguardanti i diritti delle persone, e in particolare dei minori, i diritti della famiglia tra cui le separazioni, i divorzi e in genere il contenzioso legato ai rapporti familiari.

Giudici specializzati. Con la creazione del Tribunale della famiglia — dopo il passo compiuto con il Tribunale per le imprese (concorrenza sleale, pubblicità ingannevole, class action, tutela dei consumatori) — viene istituita una specifica articolazione giudiziaria i cui componenti si occuperanno dell’intero settore della famiglia e delle persone in via esclusiva e con un alto tasso di specializzazione professionale. «Per quanto riguarda la famiglia — osserva il relatore Franco Vazio (Pd) — abbiamo pensato che ci fosse bisogno di più coraggio e dunque di dover affrontare la rivisitazione dei riti e soprattutto della ripartizione delle competenze con l’istituzione delle sezioni specializzate per i minori all’interno dei tribunali ordinari».

Tempi lunghi. Il Ddl delega — dopo i pareri delle altre commissioni — già dalla prossima settimana sarà pronto per l’aula della Camera, poi ci sarà il voto del Senato che, se non cambierà il testo, darà il via alla fase dei decreti attuativi di competenza del governo. Un percorso molto lungo e pieno di insidie, questo, che potrebbe durare ancora mesi, se non un intero anno.

Dino Martirano                     Corriere della sera                                       16 febbraio 2016

http://www.corriere.it/politica/16_febbraio_16/minori-adozioni-separazioni-divorzi-tutti-un-solo-tribunale-8f1a174e-d4b2-11e5-8855-fe9a1275bf2e.shtml?refresh_ce-cp

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PATERNITÀ

Il padre che non riconosce il figlio rischia condanna e risarcimento.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 3332, 19 febbraio 2016.

Rimborsa al partner metà delle spese sostenute il genitore che riconosce il figlio dopo la nascita. Non si può decidere, a proprio piacimento, se riconoscere o meno il proprio figlio nato fuori dal matrimonio: si tratta, infatti, di un obbligo non tanto nei confronti dell’ex partner, quanto soprattutto del bambino. Quest’ultimo ha diritto a crescere con entrambe le figure dei genitori (dal punto di vista affettivo), oltre che al relativo mantenimento. Ciò vale anche se la madre acconsente, in prima battuta, a che l’uomo sparisca e non faccia sapere più nulla di sé: in tal caso, infatti, potrebbe essere il giovane, ormai divenuto maturo e maggiorenne, a intentare una causa contro il padre irresponsabile.

            Questi principi, ormai pacifici per la giurisprudenza, sono contenuti in una recente sentenza della Cassazione. Secondo la Corte, il padre che riconosce il figlio solo molto tempo dopo la nascita è tenuto a rimborsare le spese che l’altro coniuge/partner ha affrontato, in tutti gli anni di vita precedenti all’accertamento giudiziale di paternità. Certo, è impossibile calcolare l’importo complessivo speso dalla madre per crescere e istruire il figlio, vissuto da sempre con lei; per cui il giudice può determinare tale ammontare “in via equitativa”, ossia sulla base di quanto gli appaia giusto in relazione al caso concreto, basandosi sugli esborsi verosimilmente sostenibili dalla donna in tale lasso di tempo.

            La vicenda- Un uomo riconosceva come proprio il figlio avuto due anni prima con una donna. Quest’ultima, ricorrendo però al giudice, chiedeva che l’uomo fosse condannato a pagare un contributo per il futuro mantenimento del minore, oltre ad almeno la metà delle spese da lei affrontate fin dalla nascita del pargolo. Il giudice, perciò, stabiliva che l’uomo dovesse corrispondere 800 euro mensili per tale contributo e ben 10mila euro di arretrati per le spese che la madre aveva versato prima del riconoscimento del figlio da parte dell’uomo. Anche la Cassazione condivideva tale decisione.

Le spese sostenute per la crescita si possono presumere. Secondo la Corte è giusto quantificare, in via equitativa, le spese sostenute dalla madre sulla base di una valutazione probabilistica: insomma, non potendosi ricostruire, ex post, ogni singola uscita, è necessario fare un calcolo presunto degli esporsi necessari sulla base dell’età del minore e della condizione economico patrimoniale di provenienza.

            La prima sezione civile spiega che l’obbligo di mantenere i minori sorge automaticamente, per via della legge, già con la nascita ed è a carico di entrambi i genitori in funzione delle rispettive capacità economiche, quando il figlio minore sia stato riconosciuto contestualmente da entrambi. Nell’ipotesi in cui il rapporto di filiazione venga accertato dal giudice solo in un secondo momento (con l’azione di accertamento della paternità), per la fase anteriore al riconoscimento, la misura del rimborso delle spese sostenute dal solo genitore che se ne è fatto carico si fonda sulla natura solidale dell’obbligo di entrambi i genitori [Ex artt. 148 e 261 cod. civ.] e sul corrispondente diritto di regresso per la corrispondente quota [Ex art. 1299 cod. civ] nei rapporti fra condebitori solidali.

            La determinazione può essere “equitativa” e si basa su quanto sborsato o “verosimilmente sugli esborsi sostenibili dall’unico genitore nel periodo considerato”.

La massima. L’obbligo di mantenere i minori sorge ex lege con la nascita ed è a carico di entrambi i genitori in funzione della loro capacità contributiva, quando il figlio minore sia stato riconosciuto contestualmente da entrambi. Nell’ipotesi in cui il rapporto di filiazione venga accertato giudizialmente solo in un secondo momento, per la fase anteriore al riconoscimento, la misura del rimborso delle spese sostenute dal solo genitore che se ne è fatto carico si fonda sulla natura solidale dell’obbligo di entrambi i genitori ex articolo 148 e 261 c.c. e sul corrispondente diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall’articolo 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali. La determinazione può essere «equitativa» e si basa su quanto sborsato o verosimilmente sugli esborsi sostenibili dall’unico genitore nel periodo considerato.

Redazione LPT                                         21 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/112210_il-padre-che-non-riconosce-il-figlio-rischia-condanna-e-risarcimento

 

sentenza        www.studiocataldi.it/articoli/21109-chi-riconosce-il-figlio-dopo-la-nascita-rimborsa-al-partner-le-spese-sostenute.asp

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SEPARAZIONE E DIVORZIO

Divorzio in Comune: presenza fisica superflua, si può delegare

Tribunale di Milano, Sentenza 19 gennaio 2016.

            Separazione e divorzio davanti al Sindaco: possibile conferire procura speciale a un delegato che sostituisca il coniuge. Mai separazione o divorzio è stato più facile: da oggi, non solo ci si può dire addio davanti al Comune senza bisogno di giudici e di avvocati, ma lo si può fare anche delegando qualcun altro al posto proprio che vada a firmare l’accordo. È quanto chiarito dal Tribunale di Milano con una recente e interessante sentenza.

            Chi vuol rompere con il passato, dimenticando il matrimonio e non guardando più in faccia l’ex, può conferire procura speciale a un terzo (un avvocato, ma anche un parente o chiunque altro) che, in sua sostituzione, si rechi dal Sindaco a confermare l’accordo di separazione o divorzio. Ricordiamo infatti che questa speciale procedura è consentita solo quando le parti abbiano raggiunto un’intesa su tutti i punti del distacco, sia quelli patrimoniali (per esempio, il mantenimento) che personali. L’importante è non aver avuto figli e non disporre trasferimenti di immobili.

            Secondo la sentenza in commento, dunque, è ammissibile la procura speciale per gli accordi di separazione o divorzio da concludere davanti al sindaco del Comune [art.12 legge n. 132/14 in materia di degiurisdizionalizzazione]. L’ufficiale di stato civile non può rifiutarsi di procedere perché alla lettura dell’atto consensuale manca uno dei due coniugi, sia questi il marito o la moglie. Se è vero che le parti possono munirsi di una procura speciale nel caso di separazione o divorzio davanti al giudice, ciò a maggior ragione è possibile anche nel procedimento che si svolge in Comune per la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Del resto, chi ottiene la procura speciale può svolgere, in sostituzione del soggetto rappresentato, tutte le attività che quest’ultimo dovrebbe porre in essere davanti all’autorità amministrativa. Non vi sono, quindi, preclusioni neanche in ambito di diritto di famiglia.

Per spiegare le ragioni di questa apertura, il tribunale di Milano utilizza motivazioni convincenti: se è vero che la nuova procedura di separazione o divorzio davanti al Sindaco ha lo scopo di semplificare la vita ai cittadini, portando peraltro fuori dal Tribunale le controversie, specie quelle – come nel caso di specie – che hanno più l’aspetto di semplici pratiche amministrative, non si vede perché imporre la presenza fisica alle parti. Del resto se le procedure alternative al tribunale devono assicurare agli utenti del servizio le stesse possibilità di agire che sarebbero loro riconosciute davanti al giudice, non si vede perché escludere la possibilità di una procura speciale che, invece, in tribunale è consentita. Diversamente il risultato sarebbe invece quello di disincentivare il ricorso alle procedure semplificate piuttosto che favorirlo.

            Insomma: le procedure di degiurisdizionalizzazione devono distinguersi per la “semplificazione” e, pertanto, devono consentire un maggiore ricorso agli strumenti alternativi piuttosto che irrigidirne l’accesso.

            Chi, dunque, vorrà farsi sostituire da un altro soggetto nel seppellire la precedente vita matrimoniale dovrà dotarsi di una procura speciale che, verosimilmente, dovrà essere autenticata da un notaio. Così facendo, il delegato potrà sostituirsi all’ex coniuge per confermare, innanzi al Sindaco, la volontà di chiudere definitivamente il matrimonio.

La massima- In materia di accordi ex articolo 12 della legge 132 del 2014, dinanzi all’ufficiale di stato civile i coniugi – così come potrebbero munirsi di procura speciale davanti al giudice – possono avvalersi della rappresentanza di un procuratore speciale e, in virtù della stessa, svolgere, in luogo del rappresentato, tutte le attività che questi dovrebbe porre in essere al cospetto dell’autorità amministrativa.

Redazione       LPT                21 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/112199_divorzio-in-comune-presenza-fisica-superflua-si-puo-delegare

 

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                                                                   UNIONI CIVILI

Cinque domande cinque, a vari ambienti, sulle unioni civili

Vorrei tornare sul tema Unioni Civili per porre cinque domande al governo, ai lettori, e a chi ha tensioni istintivamente egualitariste (come me), ma non si pone dubbi di alcun tipo. Forse sono domande scomode, urticanti. So già, a priori, che risulterò antipatico a molti; nella migliore delle ipotesi, mi daranno del «medievale», nella peggiore del «troglodita» (scegliete voi l’era geologica che più vi aggrada). Ma è il rovescio della libertà di opinione.

  1. Prima domanda, a Matteo Renzi: ma il divieto di utero in affitto (che il governo vuole configurare come vero e proprio reato, anche se la locazione avviene all’estero) non genererà una intollerabile discriminazione tra le coppie omosessuali maschili e le coppie omosessuali femminili? Le prime, infatti, non potranno in alcun modo avere figli, le seconde avranno, invece, possibilità doppie di avere fi gli rispetto ai maschi che si amano. E doppie anche rispetto alle coppie etero. Avendo due uteri, le partner lesbo potranno scegliere di avere molti figli.
  2. Seconda domanda, ai giuristi: una volta imposto il divieto di affittare un utero, cosa succederà se due aspiranti genitori andranno a locarlo in paesi dove è legale? In Ucraina, ad esempio. Poiché il costo di una gravidanza per procura a buon fine è calcolata tra i 70 mila e i 100 mila euro, la proibizione non alimenterà un mercato dei privilegi? In pratica, solo i ricchi potranno avere un figlio da utero in affitto, facendolo passare per proprio. Sarà tollerabile per il principio di eguaglianza?
  3. Terza domanda, agli egualitaristi: il ricorso all’utero in affitto, legale in altri paesi, come si concilia con tutte quelle informazioni e quei comportamenti che i ginecologi richiedono alle madri, in fase di gravidanza. Prescrizioni che raccomandano alle partorienti di adottare, a tutela del bambino, comportamenti premurosi verso il feto, sia in termini di alimentazione, sia in termini di stile di vita. Potrà un utero in locazione adottare simili premure? Potrà fare ascoltare musica al bimbo, evitare i salumi se del caso, parlare al proprio ventre e accarezzare con una mano calda la propria pancia? – Se sì, a quel punto non si creerà un legame speciale, materno, tra il bimbo e chi lo ha partorito? E, di seguito, una ingiusta privazione al bambino della madre? – Se no, a quel punto non si creerà una terribile disuguaglianza fin dall’inizio tra un bambino avuto per via naturale e un bambino avuto mediante utero in affitto?
  4. Quarta domanda, al mercato: l’apertura al business dell’utero in affitto aprirà nuove, fantasmagoriche, occasioni di guadagno? Perché, ad esempio, limitare il ricorso a un utero in leasing alle sole copie omosessuali? Perché ridurre l’offerta del servizio a questi e alle sole coppie con problemi di procreazione? Anche una professionista in carriera, che non vuole sostenere i fastidi fisici della gravidanza o dedicare del tempo nella gestazione, potrebbe legittimamente ricorrere a questo nuovo, efficiente, servizio. E poi, un utero in locazione non lo si dovrebbe neppure negare al marito che pretende la consorte sempre fresca e in forma come una diciottenne. Non trovate?
  5. Quinta e ultima domanda, ai sociologi (poi la smetto): Non sarà che stiamo tentando a ogni costo di sostituire la natura con la cultura? Che stiamo tentando a ogni costo di sostituire le regole naturali con la nostra idea di come debbano andare le cose? No, perché se passa questo principio, temo sia finita sapete. Perché poi è estendibile a ogni cosa. E la cultura cambia. Può diventare orribile. Generare mostri. La cultura nazista, ad esempio, ha concepito l’Olocausto. La cultura dell’Isis cancella a colpi di esplosivo e teste mozzate ogni cosa sia successa prima del suo arrivo. La cultura integralista cristiana ha messo al rogo migliaia di innocenti e ucciso filosofi. Ecco, se la natura scompare, perché piegata totalmente al nostro ego (culturale), credo possa finire molto molto male per noi uomini.

Voi che dite? Io, finora, per tutte queste domande ho trovato una sola risposta: È tutta colpa di questa natura! Sì, è proprio discriminatoria e razzista questa natura. È dalle sue intollerabili distorsioni che nascono tutti questi interrogativi. Pensate: alle femmine lesbiche ha dato ben due uteri, ai maschi gay neanche uno. Intollerabile. E per sfuggire a questa ingiustizia l’uomo è costretto a non curarsi dei diritti del nascituro o delle condizioni in cui verrà messo al mondo (chissenefrega), ma solo del legittimo diritto a fabbricarsi un figlio tutto per sé. Perché tutti, in fondo, vogliamo lasciare traccia di noi. E se possiamo farlo consultando un catalogo di donatori che male c’è? Pensate che bello: potremmo scegliere se avere un figlio riccio o liscio, bianco o nero, metallizzato o… ops!

Insomma, vogliamo anche quando non si può. Anzi, soprattutto quando non si può. Infatti, sapete, anche io vorrei volare. Ma non ho le ali. La scienza non ha scoperto come farmele crescere. E vorrei anche i colpi di sole. Ma la natura mi ha tolto i capelli. Questa natura è proprio una iattura.

Luigi Chiarello                      Italia Oggi   17 febbraio 2016   vedi Sc &Vita

www.italiaoggi.it/giornali/preview_giornali.asp?id=2059988&codiciTestate=&sez=hgiornali

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VIOLENZA

Niente maltrattamenti in famiglia se manca la soggezione della vittima

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 5258, 9 febbraio 2016.

La fattispecie criminosa non si configura se tra i familiari coinvolti vi è accesa conflittualità e la vittima ha spiccata capacità reattiva. La condanna per maltrattamenti in famiglia non può prescindere dall’accertamento di un atteggiamento di passiva soggezione da parte della vittima. Se questo atteggiamento manca, infatti, il reato non è configurabile. Specie se la vittima si contrappone reattivamente a tutti gli episodi di maltrattamento.

            I giudici di legittimità, in particolare, hanno confermato la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva ribaltato la decisione del Tribunale di condanna di un uomo per maltrattamenti in famiglia e violenza privata all’esito di un giudizio abbreviato.

Tra moglie e marito, infatti, nel caso di specie vi erano un’accesa conflittualità, forti tensioni e radicate contrapposizioni. Entrambi, inoltre, erano dotati di cultura, formazione professionale, condizioni sociali ed economiche superiori alla media. Dinanzi ai riscontrati atteggiamenti dell’imputato, dal temperamento irascibile e non incline alla moderazione, la moglie mostrava una capacità reattiva e nessun supino atteggiamento.

Nonostante l’astratta configurabilità del reato, mancava, insomma, nella prassi la possibilità di identificare in quello tenuto dall’uomo un comportamento caratterizzato da tratti di abituale e sistematica prevaricazione e basato su una posizione di passiva soggezione di un soggetto nei confronti dell’altro, che solo avrebbe potuto configurare un’ipotesi di maltrattamenti in famiglia.

Con l’occasione i giudici hanno chiarito anche che tale fattispecie criminosa deve consistere in una condotta abituale e composta da più atti, realizzati in momenti successivi, che comportano nella vittima una sofferenza sia fisica che morale nell’unica intenzione di ledere l’integrità del soggetto passivo.

Valeria Zeppilli –studio Cataldi                   12 febbraio 2016        sentenza

                     www.studiocataldi.it/articoli/21014-cassazione-niente-maltrattamenti-in-famiglia-se-manca-la-soggezione-della-vittima.asp

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Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea

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