NEWS UCIPEM n. 565 – 27 settembre 2015

NEWS UCIPEM n. 565 – 27 settembre 2015

 

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ABBANDONO TETTO coniugale       Quando è legittimo? Quali conseguenze?

ADDEBITO                                        No risarcimento danni se non c’è l’addebito della separazione.

ADOTTABILITÀ                               Verificare le capacità genitoriali dei parenti fino al 4°grado.

ADOZIONI INTERNAZIONALI       Bielorussia. 172 famiglie a Mattarella: Ci aiuti iter adozioni

Romania, approvate modifiche alla legge: previsti tempi + brevi.

AFFIDO CONDIVISO                        Genitori separati: la scuola detta le regole.

Affidamento condiviso ma collocazione dal genitore senza figli

AFFIDO ESCLUSIVO                       Affidamento esclusivo del minore: un caso eccezionale.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO     Quando il reddito da lavoro della donna esclude il mantenimento.

Non sospensione ad agosto quando la prole sta con il padre.

Se il tenore di vita è elevato, non contano i redditi dichiarati.

La retta per scuola privata: spesa straordinaria, va pagata a parte

Coppie di fatto: ammesso il ricorso straordinario per opporsi.

CASA FAMILIARE:                          A chi spetta con la separazione

CHIESA CATTOLICA                      Fedeltà al magistero? Vuol dire non fermarsi.

                                                           Famiglia, riserva di libertà.

CONSULTORI Familiari UCIPEM    Roma 1 Pigna. Ripartono le attività del Centro La Famiglia.

DALLA NAVATA                              26° domenica del tempo ordinario – anno B -27 settembre 2015.

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DIRITTI E DOVERI                          Diritto dei nonni a mantenere un rapporto significativo coi nipoti.

L’obbligo dei nonni di corrispondere il mantenimento ai nipoti.

FORUM ASS.ni FAMILIARI             Diario da Filadelfia.

FRANCESCO vescovo di ROMA       Famiglia antidoto a individualismi e manipolazioni.

GENDER                                            Il vero gender è un altro.

5ONLUS                                             Rapporti di lavoro nelle onlus dopo il jobs act.

PARLAMENTO                                 Camera 2° Commissione Giustizia. Affido familiare.

Senato 2° comm. Giustizia. Disciplina delle unioni civili.

SEPARAZIONE                                 Finta separazione per frodare il fisco.

SINODO SULLA FAMIGLIA            Il compito del Sinodo.

UCIPEM                                            Assemblea dei Consultori Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

UNIONI CIVILI                                 Ristrutturazione casa: all’ex da restituire le somme esborsate.

WELFARE                                         Non bastano i congedi per avere più mamme al lavoro.

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ABBANDONO DEL TETTO CONIUGALE

Quando è legittimo? Quali conseguenze?

La presenza o meno di una “giusta causa” e le conseguenze sul piano civile e penale dell’abbandono.

Uno dei quesiti cui spesso l’avvocato si trova a dover dare una risposta è: “A quali conseguenze vado incontro in caso di abbandono del tetto coniugale?”.

            Premettendo che è sempre consigliabile non abbandonare il tetto coniugale in assenza di un provvedimento del giudice se non ci sono validi motivi (ciò al fine di evitare situazioni disastrose, situazioni che si ripercuotono, poi, in sede di separazione o di divorzio), nella maggior parte dei casi, tuttavia, tale consiglio viene disatteso, in quanto nella coppia in crisi tendono a prevalere sentimenti (di rabbia, odio, disprezzo, ecc.) che spingono a lasciare l’abitazione familiare.

Prima di esaminare in quali casi è legittimo l’abbandono e quali sono le conseguenze, vediamo di dare una definizione all’espressione “abbandono del tetto coniugale”. Con questa espressione si intende l’allontanamento di un coniuge con o senza figli dalla casa familiare, interrompendo, così, la coabitazione matrimoniale.

            E’ bene ricordare che tra gli obblighi che scaturiscono dal vincolo matrimoniale il nostro legislatore prevede quello della coabitazione. Quindi, la condotta del coniuge che si allontana dal tetto coniugale, senza una “giusta causa”, è sanzionata dal codice civile con il cosiddetto “addebito”. Esistono, però, dei casi in cui l’allontanamento viene considerato legittimo, ovvero in presenza di determinate situazioni:

  • tutelarsi da condotte violente per la propria incolumità fisica e psichica;
  • infedeltà;
  • invadenza dei parenti;
  • mancanza di intesa sessuale;
  • comportamento dispotico del coniuge.

Il coniuge che abbandona il tetto coniugale deve dimostrare la sussistenza di una delle “giuste cause” elencate, tale da giustificare l’allontanamento. In altri termini, deve provare che l’allontanamento è conseguenza di una preesistente intollerabilità della convivenza e che proprio a causa di tale situazione di intollerabilità, ne è conseguito l’abbandono.

            In mancanza, dunque, è sempre bene attendere la prima udienza davanti al presidente del tribunale che autorizza i coniugi a vivere separati.

            Quali sono le conseguenze in sede civile e in sede penale dell’abbandono. Sotto il profilo civile il coniuge che abbandona il tetto coniugale senza una “giusta causa” viola i doveri coniugali ex art. 143 c.c. esponendosi, così, al rischio di vedersi addebitare la separazione, con tutte le conseguenze del caso (si pensi alla perdita del diritto all’assegno di mantenimento).

            Sotto il profilo penale la condotta dell’abbandono del tetto coniugale configurerebbe il reato di cui all’art. 570 c.p. così rubricato “ Violazione degli obblighi di assistenza familiare” che stabilisce “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 103,00 a € 1.032,00”.

            Sul punto la Suprema Corte – con sentenza n. 12310/2012 – ha stabilito che perché possa dirsi configurato il reato de quo è necessario che l’allontanamento “risulti ingiustificato e connotato da un effettivo disvalore etico e sociale”. In altri termini, solo nel caso in cui sussista un valido motivo e sempre che il coniuge non abbia fatto venire meno i mezzi di sussistenza ai figli, l’abbandono del tetto coniugale sarà legittimo, con esclusione della responsabilità penale.

            Nel caso di allontanamento dal tetto coniugale di un coniuge con figli, chi scrive ritiene necessario evidenziare che il coniuge che si allontana con i figli deve obbligatoriamente indicare indirizzo e recapito telefonico per risultare reperibile in caso di situazioni di urgenza. In ogni caso, non può essere impedito all’altro coniuge di vedere la prole sino a che non vi sia un provvedimento del giudice che decida sul punto. E, ancora, è bene in tale situazione non far venire meno, di propria volontà, il sostegno materiale verso il coniuge e i figli.

            Al riguardo è bene menzionare la sentenza n. 11981/2013, con la quale i Giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che: “se la madre decide di allontanarsi dal tetto coniugale portando con sé i figli, protraendo l’allontanamento nel tempo, in sede di separazione, non può chiedere l’assegnazione della casa coniugale. L’assegnazione della casa coniugale consegue, infatti, alla stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori e, dunque, si può escludere nei casi in cui il minore venga allontanato, anche se poi vi faccia ritorno; è, dunque, necessario che ci sia un collegamento stabile con l’abitazione che rappresenta il domicilio del minore che vive con il genitore collocatario”.

            Alla luce di quanto esposto, viste le conseguenze cui si andrebbe incontro, il consiglio di chi scrive è “meglio non agire di impulso e, vista la delicatezza della materia, farsi consigliare da un avvocato matrimonialista”.

            avv. Luisa Camboni               studio Cataldi  23 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19537-abbandono-del-tetto-coniugale-quando-e-legittimo-quali-conseguenze.asp

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ADDEBITO

Nessun risarcimento danni all’ex marito se non c’è l’addebito della separazione.

Tribunale di Milano, prima Sezione Civile, sentenza 25 giugno 2015.

Stante il rapporto di accessorietà tra addebito della separazione e risarcimento, la richiesta di danni deve essere azionata nel giudizio di separazione. Non può essere accolta la domanda di risarcimento danni per violazione dei doveri coniugali (nella specie si trattava di ripetuti tradimenti da parte dell’exmoglie), se non c’è stata una pronuncia di addebito della separazione.

            L’addebito rappresenterebbe il presupposto a cui agganciare la richiesta risarcitoria sulla base dei principi che regolano la responsabilità aquiliana (ossia la responsabilità extracontattuale).

            Lo ha precisato il Tribunale di Milano con la sentenza sotto allegata, sul ricorso presentato da un uomo volto ad ottenere il risarcimento dei danni dalla ormai ex moglie. Rileva il giudice territoriale, che la convivenza matrimoniale è ormai definitivamente cessata per essere stata tra le parti pronunciata sentenza di divorzio, con decreto di omologa delle condizioni della separazione coniugale concordemente fissate dalle parti senza alcuna menzione circa l’addebito.

            Proprio questa circostanza, rende impossibile l’accoglimento della domanda. Il giudice ha ritenuto di non applicare al caso di specie, il principio espresso dalla Corte di Cassazione la quale ha affermato che “i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi di dell’illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza che la mancanza della pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell’azione di risarcimento relativa a detti danni” (cfr. Cass., n. 18853/2011).

            Difatti, un simile assunto sostiene che all’interno del rapporto coniugale, la violazione di diritti della persona costituzionalmente protetti, possa trovare tutela indipendentemente dal fatto generatore della loro stessa lesione, come se la separazione dei coniugi (presupposto per azionare la pretesa risarcitoria) fosse completamente scissa dalla violazione degli specifici doversi che hanno determinato il venir meno della convivenza tra costoro. Si tratta di un principio non condivisibile che, seppur coerente in termini generali ed astratti, non può applicarsi quando la violazione dei suddetti doveri venga invocata dal coniuge asseritamene leso a seguito della separazione e dunque dell’accertata improseguibilità della convivenza a seguito della condotta che il danneggiato ritiene causa della rottura del consortium familias.

            Ed è proprio quanto avvenuto nel caso di specie, dove il ricorrente ha richiesto un risarcimento all’ex moglie per aver costei perpetrato ripetuti tradimenti e condotte platealmente denigratorie nei suoi confronti, gettandolo in un perdurante stato di prostrazione psico-fisica, e causando una lesione della propria dignità e del proprio onore. In sostanza, il danno non patrimoniale in tanto può essere invocato in quanto sia stato conseguenza della separazione coniugale posto che l’illecito si consuma all’interno del rapporto matrimoniale, che quand’anche non avente natura meramente contrattuale, è pur sempre il vincolo da quale discendono gli specifici obblighi e diritti reciproci in capo ai contraenti.

            Non può escludersi, quindi, un rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria, altrimenti verrebbe meno l’ingiustizia del danno che ha portato al mutamento del rapporto stesso di coniugio in quanto violativa degli specifici obblighi derivanti dal matrimonio. Trattandosi di danno derivante dalla violazione di specifici obblighi coniugali il medesimo dovrebbe essere necessariamente azionato nell’ambito del giudizio di separazione, con conseguente preclusione di un’azione successiva che potrebbe astrattamente porsi in contrasto con il giudicato già in precedenza formatosi sulla separazione.

Esclusa pertanto l’autonomia della domanda del risarcimento del danno morale azionata dal ricorrente rispetto ··esaminata vista l’insussistenza della pronuncia di addebito della separazione tra le medesime parti (incontrovertibilmente esclusa dalla definizione del procedimento di separazione avvenuto in via consensuale).

Lucia Izzo       Newsletter Giuridica studio Cataldi                21 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19510-manca-l-addebito-della-separazione-nessun-risarcimento-danni-al-coniuge.asp

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ADOTTABILITÀ

Dichiarazione di adottabilità: verificare anche le capacità genitoriali dei parenti fino al quarto grado

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 16897, 19 agosto 2015

L’adottabilità di un bambino è pronunciata in Italia nel caso in cui venga accertata la situazione di abbandono, e questa non è certo una novità. Sulla dichiarazione dello stato di adottabilità è tuttavia intervenuta di recente la Corte di Cassazione, chiarendo meglio come possa considerarsi rispettato il principio secondo cui ogni minorenne ha diritto di vivere nella propria famiglia di origine.

            Valutando un caso deciso dalla Corte d’appello e, ancor prima, dal Tribunale per i minorenni di Brescia, la Suprema Corte ha accolto il ricorso degli zii paterni di due bambini che erano stati dichiarati adottabili già nell’anno 2014.

            L’accertamento della inadeguatezza dei genitori e la loro decadenza dalla responsabilità genitoriale non sono stati messi in discussione. E’ stato però chiarito un punto molto importante: la verifica delle capacità genitoriali va compiuta non solo nei confronti dei genitori ma anche nei confronti dei parenti fino al quarto grado che si dichiarino disponili ad accogliere i bambini.

            In particolare, è stato notato dalla Corte Suprema che l’esclusione di rapporti significativi tra i bambini e gli zii paterni intervenuti nella causa in primo grado era stata fatta sulla base di una semplice dichiarazione del perito basata sul fatto che gli zii erano intervenuti nella causa con ritardo. Per potere escludere che nella famiglia di origine vi siano capacità e potenzialità di accadimento e cura è invece necessario – per i giudici della Suprema Corte – procedere con un “rigoroso accertamento della non recuperabilità di un contesto familiare adeguato“. In altre parole, sarebbe stato necessario un “accertamento diretto delle personalità degli zii, del loro rapporto con i figli, al fine di verificarne la capacità genitoriale, della relazione con i nipoti”; accertamento che, normalmente, non può che trovare il suo riscontro più appropriato nell’osservazione, diretta, della condizione esistenziale e materiale delle persone che hanno offerto la propria disponibilità a supplire alle carenze genitoriali”.

            Tutti accertamenti specifici che nel caso in questione sarebbero mancati. Per questo motivo il caso torna indietro alla Corte d’appello che dovrà compiere con accuratezza le verifiche che già il tribunale a sua volta avrebbe dovuto compiere e cui nessuno aveva provveduto.

Quello che meraviglia di questa importante sentenza è una circostanza temporale non di poco conto: mentre i giudici della Suprema Corte hanno deciso il 26 giugno 2015, la sentenza è stata depositata in cancelleria solo il 19 agosto 2015, ben 1 mese e tre settimane dopo!

            Dovendo a questo punto attendere la nuova sentenza della Corte d’appello di Brescia, che incaricherà i servizi sociali competenti delle dovute valutazioni, è chiaro che questo tempo buttato via per semplici adempimenti burocratici non restituirà mai ai due bambini il corrispondente periodo di vita in famiglia.

            E la stessa necessità di decidere nuovamente in Corte d’appello un caso già trattato, mentre i bambini coinvolti si trovano nel più delicato dei bivi che riguarda il loro futuro, invita a riflettere sulla applicazione che nel nostro Paese viene fatta in concreto del “superiore interesse del minore”…quello stesso interesse che dovrebbe condurre ogni operatore, ad ogni livello, a trattare con urgenza e priorità ogni adempimento che coinvolga i diritti di un minorenne.

            E’ evidente, allora, che un intervento più attento da parte dei Tribunali italiani è auspicabile.

Sentenza                  Ai. Bi. 21 settembre 2015        www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Bielorussia. 172 famiglie a Mattarella: Ci aiuti iter adozioni

“Signor Presidente, non riteniamo giusto che i minori bielorussi e le famiglie italiane che vogliono adottarli, continuino a soffrire ancora per lungo tempo, solo per la latitanza del Governo italiano e le rivolgiamo un caloroso appello affinché’ si concluda la procedura istituzionale, che renderebbe immediatamente esecutivo l’elenco e permetterebbe così alle famiglie italiane di portare a termine l’iter adottivo di minori della Repubblica di Bielorussia”. Lo scrivono 172 famiglie al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al premier Matteo Renzi.

            Una lettera, pubblicata dalla Dire, in cui si chiede l’intervento del Quirinale per sbloccare le pratiche relative alle adozioni dalla Bielorussia. “In data 29 maggio 2015 la C.A.I., attraverso l’Ambasciata bielorussa in Italia- scrivono- ha trasmesso un elenco riguardante 172 minori in orfanotrofi, in case famiglia o presso famiglie affidatarie. Signor Presidente, certi della sua sensibilità e della sua autorevolezza, la preghiamo di far sentire la sua autorità, alla Cai, la presidenza del Consiglio dei ministri e le presidenze di Camera e Senato, affinché costituiscano immediatamente una delegazione istituzionale permanente che si rechi ora e ogni anno in Bielorussia, a firmare il protocollo d’intesa e sottoscrivere l’elenco delle coppie che possono adottare i minori abbandonati, già da loro accolti, nel pieno rispetto degli accordi previsti dalla Convenzione de l’Aja del 29 maggio 1993”. Le famiglie adottive concludono spiegando che in questo modo si può “dare ai stessi bambini un futuro certo e predisporre la lettera di garanzia per l’impegno a garantire le relazioni post adozioni per di superare l’immobilismo che si è creato intorno alle adozioni e che costringe tanti minori, che hanno una famiglia pronta ad adottarli, a marcire all’interno degli orfanotrofi”.

DIRE – Notiziario Minori        25 settembre 2015

www.direnews.it/newsletter_minori/anno/2015/settembre/25/?news=11

                                              

Romania, approvate le modifiche alla legge sulle adozioni: previsti tempi più brevi.

            Tempi più brevi per l’adozione in Romania. Lo ha stabilito il governo di Bucarest che mercoledì 16 settembre 2015 ha approvato un progetto di legge che rende più rapide e flessibili le procedure adottive, sia nazionali che internazionali. Per queste ultime la novità più rilevante riguarda la riduzione del periodo di tempo che può trascorrere dall’apertura della verifica dello status giuridico del minore alla dichiarazione di adottabilità: si passa, infatti, da due anni a uno. In sostanza, i bambini adottabili, dal momento della verifica dello stato di adottabilità, non dovranno più aspettare 2 anni in nazionale, , ma soltanto uno.

            Le modifiche introdotte dal disegno di legge entreranno in vigore 4 mesi dopo la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che avverrà nel 2016.

            Vediamo le altre innovazioni. Tagliati i termini per il ricorso in istanza giudiziaria che vanno da 30 a 10 giorni, mentre la prima seduta giudiziaria dovrà essere fissata entro 15 giorni dalla data di registrazione della richiesta.

            La modifica apportata alla legge sulle adozioni prevede inoltre che la mancata presenza per due volte all’istanza giudiziaria dei genitori biologici porterà alla dichiarazione di adottabilità del minore. Quest’ultima sarà sancita anche nel caso in cui, pur essendo stati identificati, i genitori biologici e i parenti del bambino dichiarino di non voler occuparsi di lui e rifiutino di firmare le dichiarazioni che renderebbero adottabile il minore.

            Il progetto di legge approvato riduce anche da 60 a 30 giorni il termine entro il quale il genitore che abbia dato il consenso all’adozione di suo figlio, affermando di non voler prendersi cura di lui, può ritirare tale dichiarazione. Si stabilisce poi che, passati 6 mesi dall’istituzione delle misure di protezione speciale per un minore, se non sono stati trovati né i suoi genitori né i suoi parenti fino al quarto grado, le procedure di adozione possano essere ufficialmente avviate.

            Decade invece il termine di 2 anni precedentemente stabilito per la validità dello status giuridico di bambino adottabile: una volta ottenuto in base a una decisione dei giudici, questo resterà in vigore fino all’avvenuta adozione o fino al compimento dei 14 anni da parte del minore.

            Si prevede quindi una netta velocizzazione delle procedure adottive in Romania, che attualmente durano in media 14-15 mesi, a quanto riferisce Gabriela Comani, presidente dell’Autorità nazionale per la Protezione del bambino e della famiglia e per l’Adozione, che ricorda anche come, nel 2014, siano stati 840 i minori rumeni che hanno trovato dei nuovi genitori.

            Dopo la riapertura delle adozioni internazionali in Romania, le coppie residenti in Italia sono tornate ad adottare nel Paese dei Carpazi nel 2013: in quell’anno sono stati 6 i minori rumeni che hanno trovato una nuova famiglia in Italia. Si deve parlare di coppie residenti nel nostro Paese e non di coppie italiane perché, ricordiamo, la legge sulle adozioni internazionali in Romania prevede che possano adottare bambini rumeni solo coppie composte da entrambi i coniugi rumeni oppure coppie miste in cui almeno uno dei due coniugi sia rumeno.

Ai. Bi. 24 settembre 2015        www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Genitori separati: la scuola detta le regole.

Una Circolare del MIUR riconosce il diritto del genitore non convivente a vigilare sull’istruzione e ad accedere alla documentazione. In allegato il testo della circolare n. 5336/2015 del Miur in cui si definiscono le modalità attraverso le quali favorire il principio della bigenitorialità

Con la circolare numero 5336 del 2 settembre 2015 (allegata), il Miur ha, infatti, dettato le regole su come gestire i rapporti tra gli istituti scolastici e il genitore separato non convivente con lo studente. Il Ministero, in sostanza, ha invitato i dirigenti scolastici a favorire e incoraggiare i genitori non conviventi con i figli a vigilare comunque sulla loro istruzione e la loro educazione, anche facilitando l’accesso alla documentazione scolastica e alle informazioni relative a tutte le attività, anche quelle extrascolastiche previste dal Pof.

Nella consapevolezza che, a otto anni dall’approvazione, la legge sull’affido condiviso non ha mai trovato una totale e completa applicazione, sono state poi previste azioni amministrative volte a favorire la piena attuazione del principio della bigenitorialità.

Nel dettaglio, si è previsto che gli uffici di segreteria delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado debbano inviare tutte le comunicazioni anche al genitore non convivente dello studente; che debbano essere previste modalità alternative al colloquio di persona con il docente o il dirigente scolastico o il coordinatore di classe, in caso di genitore «non allocatario» residente in altra città o impossibilitato a presenziare; che la password per l’accesso al registro elettronico o l’utilizzo di altre forme di informazione veloce e immediata per le comunicazioni scuola/famiglia sia comunicata a entrambi i genitori e che entrambi i genitori sottoscrivano, per presa visione, la pagella e gli altri principali documenti scolastici ancora cartacei.

Nella circolare viene inoltre suggerito di inserire nella modulistica, proponendone addirittura un testo, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da utilizzare nel caso in cui non sia possibile, benché richiesto, l’assenso di entrambi i genitori a una determinata attività.

Ora non resta che attendere la concreta attuazione di tutto ciò.

MIUR testo circolare n. 5336/2015

Valeria Zeppilli –Newsletter Giuridica studio Cataldi   17 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19479-genitori-separati-la-scuola-detta-le-regole.asp

 

Affidamento condiviso ma collocazione dal genitore senza figli.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 18817, 23 settembre 2015

Separazione e divorzi: sì al cambio di collocamento, anche in un’altra città se il genitore ha un nuovo figlio da un’altra persona; conta l’interesse del minore. Ecco una decisione della Cassazione, in tema di collocazione dei figli dopo la separazione, che farà molto discutere: se il genitore presso cui il figlio è collocato (ossia ha fissato la propria residenza) ha un nuovo figlio da un nuovo partner, il primo fa le valige e va a vivere con l’altro genitore. Questo perché il criterio fondamentale al quale il giudice deve attenersi nell’adozione dei provvedimenti riguardanti i figli minori è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale impone di privilegiare, tra più soluzioni eventualmente possibili, quella che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore.

Insomma, poiché la nascita del fratellastro potrebbe compromettere la sana crescita e l’integrazione del bambino nella nuova famiglia del genitore, è meglio – secondo la Cassazione – collocarlo presso l’altro genitore, che non ha più avuto altri figli all’infuori del precedente matrimonio. E ciò avviene per fare in modo che il bimbo abbia più attenzioni, mentre al centro della nuova famiglia creata dal genitore ci sarà giocoforza il neonato.

            Resta tuttavia confermato l’affidamento condiviso: pari diritti e doveri sul figlio, sebbene lo stesso andrà a vivere e dormire dal genitore che ha scelto di non avere altri figli (almeno per il momento).

Farà discutere la sentenza in commento per due ragioni: innanzitutto perché, nel caso di specie, il genitore a cui viene “sottratto” il minore è ancora una volta il padre che, inizialmente, aveva ottenuto il collocamento del minore (caso davvero raro); in secondo luogo viene confermato il distacco del bimbo presso la madre nonostante questa viva in un’altra città (Roma) rispetto al padre (Rimini).

Secondo la Suprema Corte, l’intensità del rapporto deve essere valutata non solo e non tanto in termini quantitativi, sulla base del tempo passato con il minore, ma anche e soprattutto in termini qualitativi, rispetto all’impegno profuso per comprendere i bisogni del minore e collaborare con l’altro genitore per individuare i mezzi necessari a farvi fronte. È la bigenitorialità, insomma, che impone la collaborazione fra ex partner per l’educazione del figlio. Il padre paga le spese di giudizio.

Raffaella Mari             la legge per tutti          24 settembre 2015       sentenza

www.laleggepertutti.it/97587_affidamento-condiviso-ma-collocazione-dal-genitore-senza-figli

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AFFIDO ESCLUSIVO

                        Affidamento esclusivo del minore: un caso eccezionale.

                        Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 18816, 23 settembre 2015.

            Il legislatore privilegia il regime dell’affidamento condiviso del figlio, dovendosi garantire ai minori il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuo con entrambi i genitori. L’affidamento esclusivo, dunque, dovrebbe rappresentare un caso eccezionale, applicabile solo, laddove, ai sensi dell’art. 337 quater c.c., l’affidamento condiviso sia contrario all’interesse del minore.

Due Tribunali recentemente hanno individuato nei confronti di uno dei genitori condizioni di manifesta carenza o inidoneità educativa tali da rendere l’affidamento condiviso del tutto pregiudizievole per il minore.

Il Tribunale di Modena nella sentenza n.350/2015 ha disposto l’affidamento esclusivo alla madre, in un caso in cui il padre si era reso totalmente inadempiente all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento verso il figlio e si era completamente disinteressato allo stesso minore, essendo tali comportamenti sintomatici della inidoneità ad affrontare quelle responsabilità che l’affidamento condiviso comporta.

Peraltro, stante l’irreperibilità del padre, il Tribunale ha pure attribuito alla madre l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale anche in ordine alle decisioni di maggior interesse per i figli che normalmente dovrebbero essere adottate, ai sensi dell’art. 337 quater 3° comma c.c., da entrambi i genitori.

In un altro provvedimento del 29.07.2015 il Tribunale di Cosenza ha, poi, applicato l’affidamento condiviso a favore del padre, a seguito di una Ctu psicologica che aveva evidenziato una inidoneità genitoriale della madre che risultava aver “manipolato” i figli. In particolare risultava che la madre li avesse, con una ingiustificata campagna denigratoria, allontanati dal padre verso cui gli stessi minori ostentavano plateali manifestazioni di rifiuto e negazione. In tale occasione il Giudice ha peraltro affermato a carico della madre l’esistenza di un disturbo relazionale avente le caratteristiche dell’alienazione parentale.

avv. Fabio Benatti       Genitori sottratti         22 settembre 2015

                                               www.genitorisottratti.it/2015/09/affidamento-esclusivo-del-minore-un.html

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Quando il reddito da lavoro della donna esclude il mantenimento.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 18816, 23 settembre 2015.

Separazione e divorzio: se la donna ha una retribuzione tale da poter sostenere un livello di vita dignitoso non ha diritto all’assegno di mantenimento. Se la donna lavora ed è titolare di un proprio reddito, non ha diritto a ottenere l’assegno di mantenimento o quello divorzile, a meno che non dimostri che, durante il matrimonio, ha goduto di un tenore di vita più elevato. L’assegno mensile, infatti, mira a eliminare le sproporzioni di reddito tra i due ex coniugi e a garantire, a quello che sta economicamente peggio, di mantenere la stessa capacità di spesa di cui si era avvantaggiato quando la coppia viveva ancora insieme. Lo ha nuovamente chiarito ieri la Cassazione.

            Dopo la separazione, resta sempre da sciogliere il nodo relativo al mantenimento del coniuge che ha un reddito più basso dell’altro. È chiaro, però, che se entrambi i coniugi dispongono di entrate simili, non c’è modo di chiedere la condanna dell’uno al pagamento, nei confronti dell’altro, dell’assegno mensile. E ciò anche se, in sede di separazione, è stato riconosciuto il diritto al mantenimento, ma successivamente le cose sono cambiate e la disparità tra i due redditi si è livellata. Così, al momento del divorzio, il giudice può ben rivedere quanto deciso con la sentenza di separazione e revocare l’assegno di mantenimento.

Nella vicenda in oggetto, la posizione della donna era di assoluta tranquillità economica in quanto proprietaria della casa in cui abitava, titolare di un reddito da lavoro sufficiente ad assicurarle un’esistenza dignitosa e, soprattutto, non aveva dimostrato di aver goduto, durante il matrimonio, di un più elevato tenore di vita.

Redazione La legge per tutti   23 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/97525_quando-il-reddito-da-lavoro-della-donna-esclude-il-mantenimento

Non sospensione dell’assegno nel mese di agosto quando la prole sta con il padre.

                        Tribunale Milano, nona Sezione civile, sentenza 01 luglio 2015         

Il giudice di famiglia regolando la contribuzione del genitore non convivente, stabilisce una somma astratta in una unica soluzione, quantificandola, sostanzialmente, in moneta: ogni anno, in via anticipata, il padre è tenuto a versare alla madre l’importo stabilito. Trattandosi di un onere rilevante, al solo fine di agevolare il debitore, il giudice può, però, stabilire che il pagamento avvenga in misura rateale o frazionata, in linea con la previsione che può assistere le obbligazioni pecuniarie in generale. Ciò soprattutto dove sia lo stesso debitore a richiederlo. Da qui la prassi di fissare l’assegno di mantenimento dei figli secondo rate mensili (12). Ne consegue che nessuna sospensione o riduzione per il mese di agosto (o estivi in genere) è ipotizzabile poiché quell’importo non costituisce altro se non la “rata” della somma globale che va somministrata per quella periodicità.

Giuseppe Buffone        Il Caso.it n. 13390 – 23 settembre 2015                                  testo

        www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fam.php?id_cont=13390.php

Mantenimento: se il tenore di vita dell’obbligato è elevato, non contano i redditi dichiarati.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 18196, 16 settembre 2015

Per la Cassazione, inoltre, se il coniuge obbligato mette su famiglia, l’assegno va ridotto solo in presenza di un reale depauperamento del patrimonio. In sede di separazione dei coniugi, l’assegno di mantenimento può essere quantificato dal giudice in base al reale tenore di vita dell’obbligato, senza tenere conto dei redditi effettivamente dichiarati. Così ha stabilito la Cassazione, rigettando il ricorso di un uomo avverso la quantificazione del contributo di mantenimento disposta dal tribunale e confermata in appello.

L’uomo denunciava in particolare la mancata considerazione da parte del giudice di merito del mutamento delle sue condizioni economiche come risultante dalle dichiarazioni dei redditi allegate, oltre agli oneri derivanti dalla costituzione, dopo la separazione, di un nuovo nucleo familiare.

            La corte territoriale, nel confermare la mancata corrispondenza tra i redditi formalmente dichiarati e l’effettivo “alto tenore di vita” dell’uomo, incompatibile con le risultanze reddituali allegate, ha motivato che queste non hanno valore vincolante per il giudice che può, ex art. 116 c.p.c., fondare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie. Per gli Ermellini la valutazione di merito è insindacabile in sede di legittimità e conforme alla giurisprudenza della S.C.

            Le dichiarazioni dei redditi dell’obbligato, hanno affermato, infatti, “in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono in una controversia relativa a rapporti estranei al sistema tributario, come quella concernente l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di mantenimento, valore vincolante per il giudice della separazione personale tra coniugi, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie, come nel caso in esame, il potere d’acquisto rilevante dimostrato dall’ex marito”.

            Ma non solo. Con l’ordinanza in esame la Cassazione mette un freno all’ormai tendenziale orientamento delle più recenti sentenze di legittimità orientate nel senso di far diminuire o decadere l’assegno in caso di costituzione di un nuovo nucleo familiare da parte dell’obbligato. “Ove a sostegno della richiesta di diminuzione dell’assegno di divorzio, siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell’obbligato – ha concluso infatti la Corte rigettando il ricorso – il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento delle sue sostanze in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti, salvo che la complessiva situazione patrimoniale dell’obbligato sia di tale consistenza, come in questo caso, da rendere irrilevanti i nuovi oneri”

            Marina Crisafi            Newsletter Giuridica studio Cataldi   21 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19486-mantenimento-se-il-tenore-di-vita-dell-obbligato-e-elevato-non-contano-i-redditi-dichiarati.asp

Mantenimento: la retta per la scuola privata è una spesa straordinaria e va pagata a parte.

Corte di appello di Roma, sentenza numero 1831/2015.

L’ex marito deve rimborsare la ex moglie anche se lui non era d’accordo sull’iscrizione alla scuola privata. La retta per l’iscrizione dei figli ad una scuola privata va considerata spesa straordinaria e non può considerarsi compresa nell’assegno mensile di mantenimento stabilito in sede di separazione dei genitori. E poco importa che non ci sia stato accordo tra gli ex coniugi sulla scelta di iscrivere i figli alla scuola privata anziché a quella pubblica.

            A stabilirlo è la Corte di appello di Roma si è riportata all’orientamento dalla Corte di Cassazione circa le spese straordinarie, ravvisandole in quelle che esulano dall’ordinario regime di vita dei figli a causa della loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità e che, se poste a carico di uno solo dei genitori, possono violare il principio di proporzionalità e quello di adeguatezza del mantenimento.

Così i giudici hanno respinto il ricorso di un uomo avverso il decreto ingiuntivo (confermato in primo grado) con il quale gli veniva imposto il pagamento del 50% delle spese straordinarie, mediche, scolastiche e ricreative sostenute per i suoi figli esclusivamente dalla madre: per i giudici esse non possono rientrare nell’assegno mensile di duemila euro e vanno rimborsate a parte.

            Con riferimento al disaccordo rispetto all’iscrizione all’istituto privato in luogo di quello pubblico, la Corte ha chiarito che il genitore non è titolare di un potere indiscriminato di veto circa i provvedimenti riguardanti la prole, avuto riguardo alla facoltà di rivolgersi al giudice in caso di disaccordo per provvedere alla modifica o all’integrazione di quanto giudizialmente stabilito.

            Al padre, insomma, non resta altro che pagare.

Valeria Zeppilli           Newsletter Giuridica Studio Cataldi   21 Settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19471-mantenimento-la-retta-per-la-scuola-privata-e-una-spesa-straordinaria.asp

Coppie di fatto: ammesso il ricorso straordinario in Cassazione per opporsi all’affidamento dei figli e all’assegnazione della casa.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 18194, 16 settembre 2015.

La legge n. 54/2006 ha sostanzialmente equiparato la posizione dei figli nati more uxorio a quella dei figli dei coniugati. Sono impugnabili con ricorso in Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., i decreti di reclamo emessi dalla Corte di Appello, avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 317 bis c.c., relativi all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio ed alle conseguenti statuizioni economiche, tra le quali rientra anche l’assegnazione della casa familiare.

Questo in quanto la legge n. 54/2006 ha equiparato la posizione dei figli nati da genitori coniugati a quella dei figli nati more uxorio.

            Lo precisa la Corte di Cassazione, con l’ordinanza (sotto allegata) originata dal ricorso proposto da un uomo contro un provvedimento emesso dalla Corte di Appello di Milano. I giudici di seconde cure avevano modificato un decreto emesso dal Tribunale, assegnando la casa familiare alla ex compagna, quale collocataria delle due figlie minori nate more uxorio, nonché disposto l’aumento dell’assegno di mantenimento.

Per gli Ermellini, il ricorso è tuttavia inammissibile. Chiariscono i giudici come la legge n. 54/2006 abbia equiparato la posizione dei figli nati da coppie sposate a quella della prole more uxorio, estendendo così la disciplina in materia di separazione e divorzio anche ai procedimenti ex art. 317 bis c.c., conferendo a questi ultimi definitiva autonomia procedimentale rispetto a quelli di cui agli artt. 330, 333, 336 c.c., senza che abbia alcun rilievo il rito camerale.

Tramite ricorso straordinario in Cassazione saranno quindi impugnabili anche i decreti di reclamo emessi dalla Corte d’Appello avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 317 bis c.c. Ciò premesso, i giudici del Palazzaccio dichiarano inammissibile il ricorso presentato a causa della genericità delle censure sollevate dal ricorrente, che sostanzialmente tendono a sollecitare il riesame nel merito, attività preclusa al giudice di legittimità. 

Lucia Izzo -Newsletter Giuridica studio Cataldi   21 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19506-coppie-di-fatto-ammesso-il-ricorso-straordinario-in-cassazione-per-opporsi-all-affidamento-dei-figli-e-all-assegnazione-della-casa.asp

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CASA FAMILIARE

Casa familiare: a chi spetta con la separazione?

Assegnazione della casa familiare: per chi non è “addetto ai lavori” è difficile immaginare quante cause vengono intraprese ogni anno per ottenerla. Giudizi che sorgono non solo tra le coppie di genitori, ma anche tra coniugi dalla cui unione non sono nati figli. La norma [Art. 337 sexies cod. civ.] di riferimento stabilisce, a riguardo, che in caso di separazione, il godimento della casa familiare debba essere attribuito tenendo conto, in via prioritaria, dell’interesse dei figli e che dell’assegnazione il giudice tenga conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il provvedimento di assegnazione, come pure quello di revoca, sono trascrivibili e opponibili a terzi.

            Si tratta di una formulazione piuttosto generica che lascia aperto lo spazio a molti interrogativi. Cosa si intende per casa familiare?

Quando la legge parla di casa familiare, si fa riferimento:

– sia all’immobile nel quale si è articolata la vita della famiglia prima della separazione

– sia all’insieme e all’organizzazione di beni mobili in esso contenuti, quali elettrodomestici, arredi, attrezzature e servizi (si pensi ad esempio all’uso del garage), preordinati alle esigenze di utilizzo dell’assegnatario del bene.

Se ne deduce che il criterio dell’assegnazione non si applica:

– né alle seconde case nelle quali la vita familiare non ha carattere continuativo (come quella usata per le vacanze) e ai beni in esse contenuti

– né ai beni strettamente personali o quelli necessari alle personali esigenze del coniuge (si pensi ad esempio agli strumenti necessari per la professione o per particolari bisogni di salute) [Cfr. Cass. sent. n. 7303/1983 e Cass. sent. n. 5793/1993].

Quali sono i presupposti per l’assegnazione? Secondo la giurisprudenza prevalente [Cfr Cass. sent. n. 15367 del 22.07.2015; sent. n. 18440 del 01.08.2013] l’assegnazione della casa coniugale a uno dei due coniugi viene effettuata dal giudice non come misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma solo per tutelare i figli; può quindi ben essere prevista anche rispetto al coniuge che guadagna di più. Infatti lo scopo dell’assegnazione non è quello di tutelare il tenore di vita di chi ha minor reddito, ma solo quello di garantire ai figli di continuare a vivere nello stesso ambiente domestico in cui sono cresciuti quando i genitori erano uniti.

            Va comunque segnalato un orientamento (seppur minoritario) secondo il quale, poiché il codice civile dispone che il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo “prioritariamente” conto dell’interesse dei figli, il giudice potrebbe assegnare l’immobile anche a quel [Cfr. Cass. sent. n. 376, 1999] coniuge separato (a cui, però, non sia stata addebitata la separazione) non affidatario della prole, nel caso in cui questi abbia una necessità prioritaria.

Di solito, tuttavia il godimento della casa familiare viene attribuito:

– al genitore che abbia avuto l’affidamento esclusivo della prole;

– al genitore collocatario dei figli minori, nel caso – ordinario – in cui gli ex abbiano l’affido condiviso;

– al genitore che convive con figli maggiorenni, sempre che questi non abbiano ancora raggiunto l’autosufficienza economica.

La scelta del giudice è obbligata? La presenza di orientamenti discordanti (seppur l’uno prevalente rispetto all’altro) lascia desumere che il giudice ha, comunque, un potere discrezionale nel decidere sulla assegnazione. Ciò significa che egli potrebbe anche scegliere di non assegnare l’immobile al genitore con cui vivono i figli qualora:

– le circostanze del caso concreto lo convincano che una composizione globale di tutti gli interessi coinvolti nella crisi familiare possa essere meglio realizzata attraverso l’allontanamento dei figli e del genitore con essi convivente dalla casa in cui la famiglia viveva unita: possiamo, a riguardo, pensare al caso in cui l’ambiente domestico rappresenti per i minori un luogo poco sicuro o fonte di ricordi;

– ritenga di dover dare priorità alle esigenze (ad esempio di salute) del genitore non affidatario o collocatario dei figli (ne abbiamo parlato in questo in questo articolo: “Assegnazione casa coniugale: non sempre segue l’affidamento dei figli”).

Cosa succede se non ci sono figli? In assenza di prole, il giudice della separazione non potrà pronunciarsi sulla assegnazione della casa che rimarrà di proprietà del legittimo titolare o – in caso di comproprietà – dovrà essere divisa.

In che modo l’assegnazione incide sui rapporti economici? L’assegnazione segue i predetti criteri a prescindere dal titolo di proprietà di uno o dell’altro genitore sull’immobile e ciò implica che il genitore che dovrà andar via di casa possa esserne anche il legittimo proprietario (o comproprietario). Situazione questa che crea da un lato un indubbio beneficio all’assegnatario, e dall’altro un altrettanto indiscutibile svantaggio al titolare del bene, in quanto:

– egli subirà la privazione del godimento sull’immobile;

– dovrà sostenere spese non indifferenti per soddisfare le proprie necessità abitative;

– subirà un pregiudizio derivante dalla diminuzione del valore del bene (derivante dalla impossibilità di godimento), ove volesse venderlo.

A bilanciamento di questa situazione, la legge prevede che dell’assegnazione il giudice tenga conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Ciò significa, in parole semplici, che, qualora decida di assegnare l’immobile a chi non ne sia proprietario (o comproprietario) il giudice dovrà tener conto di tale circostanza al momento della determinazione dell’eventuale assegno in favore del coniuge assegnatario; assegno che dovrà, di conseguenza essere ridotto o anche escluso. Perciò da un lato il magistrato dovrà soppesare la indubbia utilità economica costituita dalla casa familiare e dall’altro la consistenza delle “risorse economiche di entrambi i genitori” (patrimonio, redditi da lavoro, ecc.), senza dimenticare che, in ogni caso, sull’assegnatario peseranno tutta una serie di spese inerenti all’utilizzo del bene assegnato (per un approfondimento leggi: “Dopo la separazione chi paga tutte le spese, le bollette e le rate?”).

            L’assegnazione quanto dura? L’assegnazione della casa non dura “a vita”. Essa può, infatti, venire revocata, quando ricorrano i seguenti presupposti:

– i figli raggiungano una loro autonomia economica o cessino di convivere stabilmente con il genitore assegnatario dell’immobile [Cass., ord. n. 13295 del 12.06.2014]: in questi casi, il ritorno solo saltuario del figlio presso l’abitazione, come per i weekend, raffigura un rapporto di semplice ospitalità da parte del genitore e, come tale, esclude il diritto di abitare la casa familiare (ne abbiamo parlato in questo articolo: “Casa coniugale alla moglie anche se il figlio diventa maggiorenne?”);

– altro caso è quello in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare nella casa: si pensi al caso in cui egli sia costretto ad un trasferimento dettato da motivi di lavoro oppure preferisca, per semplice comodità, anche economica, trasferirsi dalla famiglia

– ulteriore caso è quello in cui l’assegnatario intraprenda una nuova relazione e vada a convivere stabilmente con il nuovo compagno/a oppure si risposi; in questo caso, tuttavia, la Cassazione, ha affermato che la decisione sulla assegnazione della casa coniugale non vada esclusa a priori, ma debba essere esaminata caso per caso, tenendo conto in via prioritaria dell’interesse della prole convivente.

In tutti questi casi, il diritto all’assegnazione non viene meno in via automatica, ma dovrà essere formulata un’apposita istanza al giudice, corredata dalle prove a fondamento della stessa.

Che succede se la casa è in comodato? Capita spesso che l’immobile che costituisce la casa familiare sia stato concesso alla coppia in comodato d’uso (spesso dai genitori di uno dei due) per soddisfare le esigenze abitative della famiglia. In tal caso, come ha chiarito di recente la Cassazione a sezioni unite [Cass. Sez. Unite, sent. n. 20448 del 29.09.2014], tali esigenze non possono intendersi cessate con la separazione dei due comodatari; quando vi sono figli, infatti, rimane ferma la necessità di soddisfare le loro necessità abitative.

            I giudici supremi hanno perciò affermato che, in questa ipotesi, la lunga durata e la stabilità che caratterizza le esigenze abitative di un nucleo familiare escludono che si possa applicare la disciplina sul comodato precario (che prevede il diritto del comodante di chiedere la immediata restituzione del bene in qualsiasi momento e senza necessità di uno specifico motivo). In pratica, anche se le parti contraenti non abbiano stabilito un termine di durata, se il comodato ha ad oggetto un immobile destinato alle esigenze abitative della famiglia, esso deve intendersi un comodato di lunga durata, soggetto alle regole del comodato tradizionale. Ciò implica che chi abbia concesso la casa in comodato può chiedere il rilascio dell’immobile solo quando:

– cessino le esigenze abitative della famiglia (non quindi con la separazione);

– quando sorga un suo bisogno urgente e imprevisto di riavere l’immobile.

Che succede se la casa è in locazione? Se gli ex vivevano in affitto, l’assegnazione farà succedere l’assegnatario nel contratto di locazione stipulato dal coniuge (o convivente)/conduttore [Art. 6 L. n. 392 1978]. In pratica, il provvedimento del magistrato, provocherà:

– una cessione legale del relativo contratto di locazione in favore dell’assegnatario;

– l’estinzione del rapporto di locazione sul primo conduttore (coniuge/convivente);

– l’acquisizione da parte dell’assegnatario di tutti i diritti e doveri derivano dal contratto.

Il diritto di succedere nel contratto di locazione della casa familiare, tuttavia, cesserà nel caso in cui l’immobile in questione ceduto, dopo la separazione non venga utilizzato per soddisfare le esigenze della famiglia.

Che succede se la casa viene venduta? In questo caso bisogna distinguere l’ipotesi in cui la vendita sia successiva o precedente a provvedimento di assegnazione. Se, dopo il provvedimento (anche provvisorio del tribunale), il proprietario vende la casa a terzi, l’assegnazione della casa prevale sempre sul terzo che abbia acquistato l’immobile:

– per i primi nove anni se il provvedimento di assegnazione non è stato trascritto nei pubblici registri immobiliari

– ed anche oltre nel caso in cui vi sia stata la trascrizione.

Se il proprietario vende l’immobile prima del provvedimento di assegnazione, in tal caso, la successiva assegnazione della casa all’altro genitore prevarrà sul nuovo acquirente se questi era a conoscenza dello stato di fatto o di diritto in cui si trovava l’immobile. Ciò vale anche nel caso in cui l’assegnatario e collocatario della prole sia convivente e non coniuge. Dunque, anche l’acquirente della casa che abbia regolarmente trascritto l’atto di compravendita prima del provvedimento di assegnazione del tribunale, potrà vedersi per così dire “scavalcato” dal successivo assegnatario della casa.

Quali sono le possibili modalità di assegnazione? Abbiamo spiegato in premessa che l’assegnazione può avere ad oggetto solo l’abitazione (insieme ad oggetti e arredi) nella quale si è articolata la vita familiare prima della separazione; ciò allo scopo di garantire stabilità alla prole, non allontanandola dal proprio habitat domestico e dalle consuetudini di vita avute durante la coabitazione della famiglia unita. Ciò non toglie che, specie quando la coppia riesca a trovare un accordo, sia senz’altro possibile che il giudice ammetta modalità differenti di assegnazione rispetto a quella tradizionale (cioè dell’immobile inteso nella sua globalità e ad uno solo dei genitori). L’assegnazione, infatti, deve proporsi come primario obiettivo quello di tutelare l’interesse dei figli, tra cui rientra senz’altro quello di conservare, nonostante la separazione, rapporti paritari e significativi con ciascun genitore.

            In quest’ottica possono essere previste diverse modalità di assegnazione, quali:

a– la cosiddetta assegnazione parziale della casa, attraverso la sua suddivisione in due unità abitative distinte e separate. Questa forma di assegnazione è da escludersi in due casi:

– se le dimensioni o la struttura non ne consentano la divisione;

– quando tra la coppia vi sia una forte conflittualità;

b– l’assegnazione della casa al figlio mentre i genitori si alternano nell’abitarvi [Cfr. Trib. Varese, decr. n. 158/2013; Trib. Milano, decr. del 16.09.2013]: una scelta che può alleviare nel minore il senso del distacco e consentirgli di mantenere una maggiore stabilità per la conservazione delle sue ordinarie consuetudini di vita, senza bisogno di spostarsi con periodicità nella residenza dell’altro genitore;

c– l’assegnazione a chi tra gli ex non sia collocatario dei figli; ciò sarà possibile ove possa essere utilizzato un diverso immobile (come ad esempio la casa dei nonni) di cui la coppia abbia la disponibilità: soluzione che potrà evitare al proprietario di sostenere i costi di un nuovo alloggio.

d– infine, il giudice potrà anche decidere di non assegnare l’immobile, ove la coppia opti per la vendita o l’affitto della casa familiare, finalizzata all’acquisto di due immobili distinti.

In un’ottica di accordo, tra l’altro, gli ex potranno redigere una lista di beni, specificandone la relativa titolarità o escludendone dal godimento dell’assegnatario alcuni, di norma compresi nell’arredo della casa coniugale [Cass. sent. n. 5189/1998].

            Il magistrato, in altre parole potrà autorizzare le soluzioni più svariate in merito all’assegnazione (anche eventualmente assunte nell’ambito di una negoziazione assistita), se le ritenga rispondenti agli interessi dei figli, ma – in mancanza di accordo – non potrà che decidere con riferimento alla casa familiare e ai beni in essa contenuti, senza poter considerare l’utilizzo di diversi immobili.

I figli hanno voce in capitolo riguardo all’assegnazione? Certamente sì. Il giudice, per decidere su questioni riguardanti la organizzazione della vita dei figli (quale appunto quella relativa a particolari modalità di assegnazione della casa familiare) deve ascoltare i figli (quando la loro età o il grado di maturità lo consenta) e valutare una serie di circostanze (tra cui il grado di conflitto esistente tra i genitori, dimostrato ad esempio da un provvedimento di affido esclusivo). Il giudice deve, infatti, tener conto della volontà manifestata dai minori tutte le volte in cui si decida su questioni che li riguardano e valutare quanto la sua scelta possa compromettere la loro serenità in ragione del grado di litigiosità esistente tra gli ex [Cass. sent.. 16649/14 del 22.7.2014].

            Resta comunque fermo il principio che, se vi è accordo tra i genitori, il giudice – di norma – non procede all’ascolto in quanto ritenuto superfluo [Art. 337 octies cod. civ].

Maria Elena Casarano            la legge per tutti                      21 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/97259_casa-familiare-a-chi-spetta-con-la-separazione

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CHIESA CATTOLICA

Fedeltà al magistero? Vuol dire non fermarsi.

Il presidente del Pontificio Consiglio: senza gli ultimi Papi non capiremmo come proseguire.

             «Il Sinodo deve preparare la strada perché il mondo riscopra la bellezza della famiglia. E perché, allo stesso tempo, la famiglia possa rendere il mondo più familiare, spezzando l’individualismo che semina nella società germi di “anti-vangelo”». Ne è convinto l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, che in questi giorni, a Filadelfia, coordina uno degli appuntamenti clou di quest’anno straordinario per la vita familiare di oggi e, soprattutto di domani. In attesa naturalmente del Sinodo, a cui Paglia guarda con il realismo del pastore saggio.

            Sinodo, lei dice, come apripista a una società più familiare. Obiettivo bellissimo. Ma concretamente come realizzarlo?

La famiglia deve riscoprire la bellezza del «noi», aiutando tutti a mettere da parte la dittatura dell’«io». E questo è possibile se la famiglia si lega in maniera originale e genuina alla famiglia di Dio e alla famiglia dei popoli. È una visione larga che, se accolta, può trasformare questo momento di crisi in una straordinaria occasione per una nuova crescita. Di fronte alla tendenza di diminuire sempre più il tasso di famiglia nella società, il Sinodo può aiutare a far capire che è invece importante introdurre “più famiglia” a tutti i livelli, dalla casa, alla città, alla nazione.

            Sinodo come “suggeritore” sociale in una realtà sempre più frammentata. Ci riuscirete?

Il Sinodo può farlo, facendo propria quell’ispirazione di fondo che papa Francesco mostra nelle catechesi di quest’anno. Non si tratta di risolvere questa o quella questione, che pure verranno affrontate, ma di acquisire una nuova visione della famiglia. Va riscoperta la sua vocazione a non vivere chiusa in se stessa e per se stessa, e promossa la sua missione a rendere più umano il mondo, più solidale, più familiare. Il rischio del familismo è il virus che più fa male alle famiglie, perché le rinchiude in se stesse, facendo smarrire il senso stesso dell’esistenza e quindi della felicità.

            Perché la Chiesa negli ultimi decenni non è stata talvolta in grado di accompagnare in modo efficace le famiglie, soprattutto quelle più fragili?

Proprio perché si è indebolito il senso dell’appartenenza al popolo di Dio. Facendo mancare quindi alla famiglia il respiro ecclesiale. Papa Benedetto nella Spe Salvi stigmatizza quell’individualismo religioso che porta a pensare che ci si possa salvare da soli, sia come individui che come nucleo familiare. L’individualismo culturale, purtroppo, ha trovato come complice quello religioso. E ne è nata una società fortemente chiusa in se stessa. Ha ragione papa Francesco quando sostiene che c’è bisogno di una rivoluzione culturale. Si è smarrito quel filo rosso della solidarietà che, nei momenti difficili, sosteneva le famiglie più fragili e rendeva tutti più solidali. Va recuperato, e in fretta, il senso della famiglia di Dio, da una parte, e quello della famiglia dei popoli dall’altra.

            Questa visione trova le sue radici nella stessa Bibbia?

Esattamente. Questa prospettiva appare con chiarezza nella Genesi, quando Dio affida all’alleanza tra uomo e donna – che come dicevo prima non riguarda solo il matrimonio – la custodia del Creato e lo sviluppo delle generazioni. Oggi siamo chiamati a riscoprire questa alleanza. Il Sinodo dovrebbe far rivivere l’alleanza tra l’uomo e la donna per un nuovo futuro per tutti. Per questo è indispensabile un nuovo legame tra la famiglia e la Chiesa. La famiglia spesso è poco ecclesiale – cioè poco aperta – e la Chiesa è poco familiare. Il questo senso il Sinodo dovrebbe spingere a volare alto. Deve far riscoprire che non ci si sposa per sé o per il proprio piccolo orizzonte, ci si sposa nel Signore, ossia mettersi nel suo stesso orizzonte che vasto come il mondo.

            Tutto questo, più o meno, c’è nel Catechismo. Basterà rispiegarlo con parole e modalità nuove?

No, nei momenti di passaggio o di crisi non basta rispiegare, bisogna riappassionare, non bastano le parole, c’è bisogno di testimoni credibili. Ecco perché il vero frutto del Sinodo non sarà un bel documento; dev’essere una nuova primavera delle famiglie. La vera lettera non sarà quella scritta sulla carta, ma nella passione che le famiglie avranno per cambiare il mondo, perché sia più familiare.

            Questo Sinodo è collegato all’anno della misericordia. Ma come far dialogare verità e misericordia?

Non c’è dubbio che l’anno della misericordia porti una luce che rischiara i lavori sinodali. Di fronte a una cultura, a una politica, a un’economia che spinge la società a diminuire il tasso di famiglia, il Sinodo ha la responsabilità a spingere in senso contrario, verso una prospettiva più familiare. Misericordia allora non vuol dire cedimento, ma esattamente l’opposto. Misericordiosa è una Chiesa che aiuta la società, in tutti i suoi versanti, a crescere in familiarità, in solidarietà, in capacità di sostenere tutti e soprattutto i più deboli. Le famiglie ferite non dobbiamo abbandonarle: debbono essere aiutate perché giungano alla guarigione. Le famiglie incomplete, cioè le coppie di fatto, non devono essere demonizzate ma accompagnate a crescere sino a fare il passo decisivo. Insomma, di fronte a tutte le liquidità che oggi caratterizzano la società e le stesse le famiglie, il Sinodo deve dare un messaggio perché i rapporti si solidifichino, spiegando che l’amore richiede solidità.

            Che peraltro è un obiettivo largamente condiviso, anche tra i giovani.

Sì nel cuore di tutti c’è questa aspirazione. Se torniamo alla Genesi, riscopriamo quel passaggio in cui il Creatore dice: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Nella prospettiva della comunione, la misericordia è la medicina che guarisce anche le situazioni più difficili. L’Instrumentum laboris mostra questo aspetto positivo teso a far maturare quella familiarità di cui tutti abbiamo bisogno. La Chiesa, in questo momento, rappresenta di fatto l’unica istituzione che si è fatta carico di questa enorme responsabilità. Qui a Filadelfia il Papa, ne sono certo, richiamerà la responsabilità di tutti in questa prospettiva. Ecco perché anche i credenti di altre tradizioni cristiane e di altre fedi e i laici “umanisti”, troveranno questa prospettiva bella e coraggiosa.

            Come guardare alle ipotesi dei teologi formulate nei due convegni organizzati dal Pontificio consiglio che Lei presiede, sia riguardo alla riammissione ai sacramenti per i divorziati risposati, sia sul fronte coniugalità-fecondità-contraccezione?

I tre seminari sono stati organizzati per offrire un contributo da parte di teologi, canonisti e moralisti, ai padri sinodali. L’atteggiamento sinodale voluto dal papa Francesco richiedeva che anche i teologi partecipassero alla riflessione. Sarà poi il Sinodo, e infine il Santo Padre, a trarre le conclusioni. Sono convinto che, come disse Gesù ai discepoli, lo Spirito ci condurrà alla verità tutta intera. Lo Spirito in questo tempo sta attraversando robustamente la Chiesa perché trovi nel suo ricchissimo tesoro di sapienza le risposte alle domande, ai problemi, ai sogni, alla aspettative dei fedeli. In ogni caso, non si tratta di cambiare il Vangelo e neppure la dottrina, tutt’altro, ma di capirla più in profondità, legandola a quella storia di salvezza che il Signore non ha mai cessato di guidare.

            Siamo sempre nel solco delle catechesi del Papa?

Certo, è il Papa che ci invita, quando parliamo di famiglia, a considerarla non in astratto ma in concreto. Non a caso nelle sue catechesi ha iniziato a parlare delle persone che compongono la famiglia: madri, padri, figli, anziani, malati. Queste domande attraversano radicalmente non solo la Chiesa, ma tutta la società. Ne è testimonianza l’eco che le catechesi hanno avuto, anche nel mondo laico. Poi certo, ci sono problemi anche più interni alla Chiesa. Credo che ad esempio la questione dell’accesso all’Eucaristia dei divorziati risposati, richieda una riflessione attenta, evitando chiusure o aperture indiscriminate. C’è un’accoglienza calda che va promossa, perché spesso non viene realizzata. Il primo corpo di Cristo di cui tutti abbiamo bisogno – e chi è ferito ancor più – è il calore umano della comunità. Questi fedeli vanno accolti, ascoltati, accompagnati. Se questo accade sono sicuro che, all’interno appunto del tesoro della Chiesa, si potrà trovare anche qualche pista di soluzione. Papa Francesco nelle sue catechesi ha insistito per l’integrazione di questi fedeli nella comunità cristiana. Non sarà comunque una legge che può realizzare il calore della fraternità di cui hanno bisogno. Sulla stessa scia dobbiamo intendere il problema delle convivenze.

            Siamo nel solco della Familiaris consortio e del magistero dei Papi o si deve prospettare una discontinuità?

Ma no, questo Sinodo si pone in stretta relazione con il magistero degli ultimi Papi, è un cammino che continua, che cresce, che si allarga. Se non ci fosse stato quel magistero, oggi non saremmo qui a tentare di capire come andare avanti. E si tratta di un cammino che non può essere rallentato e tanto meno bloccato, proprio perché – ed è la fede a dircelo – è lo Spirito che guida la Chiesa. Ecco perché il Sinodo può diventare una nuova Pentecoste per il mondo di oggi, E il Papa, come Pietro, “apre la porta”. La Chiesa è sempre uscita, non in chiusura. Pietro è roccia che sostiene, non muro che si allunga.

            Abbiamo accennato a Filadelfia. Come sta vivendo l’esperienza di questi giorni?

Come una grande festa della famiglia, una testimonianza forte per tutto il mondo che aiuta a riscoprire quel filo rosso che unisce famiglia e Chiesa di popolo. Non a caso, al termine dell’incontro, l’ultimo gesto del Papa sarà quello di inviare, attraverso sei famiglie provenienti dai cinque continenti (la sesta da Damasco), centomila copie del Vangelo, nelle rispettive lingue a cinque grandi città del mondo e alle città martoriate della Siria. Le città destinatarie di questo messaggio sono L’Avana, Marsiglia, Kinshasa (Repubblica democratica del Congo), Hanoi (Vietnam), Sidney. E poi Damasco e Baghdad. Abbiamo visto l’immagine di una vocazione universale che deve dimorare nel cuore di ogni famiglia. E certamente al termine della settimana di Filadelfia, come al termine dei sette giorni della creazione, il Signore dirà: “E vide che era cosa buona”.

Luciano Moia  avvenire          24 settembre 2015

www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/verso-il-sinodo-paglia.aspx

                     Famiglia, riserva di libertà

Aggrapparsi alla sua forma storica non è il modo migliore di difenderla. A pochi giorni dall’inizio del Sinodo dei Vescovi, un’anteprima dell’articolo della professoressa Chiara Giaccardi dal numero di “Vita e Pensiero” in uscita

Cosa vuol dire difendere la famiglia che oggi è sotto attacco? E davvero ogni modalità di difesa della famiglia serve la causa che si prefigge? Forse che la famiglia, in quanto realtà antropologica positiva piuttosto che modello ideologico, non è in grado di difendersi da sola, con la forza della vita, e ha quindi bisogno di militanti con parole e magari anche armi appuntite?

            Da un lato, l’attacco sollecita una comprensibile reazione, che rischia però di restare intrappolata in una modalità difensiva e quasi risentita, circoscritta dalla cornice fissata da chi pone la famiglia sotto attacco.

            Dall’altro la paura di perdere l’identità, di veder cancellato un valore che si ritiene prezioso può far abbandonare, come inutile perdita di tempo, quella che è invece una necessità (ovvero cercare sempre e continuamente la via della rigenerazione) scegliendo piuttosto di aggrapparsi alle forme consuete. Che invece, magari, sono esse stesse, almeno in parte, responsabili della crisi in atto.

            In una società sempre più complessa, stratificata e plurale, anche la famiglia rischia di diventare oggetto di battaglie ideologiche, che sono in realtà battaglie di potere, lotte per l’egemonia culturale e la supremazia economica (molto più funzionale al mercato una famiglia separata che una famiglia unita!).

         La tentazione da evitare è quella di proporre una contro-ideologia, che oppone alla “liquidità” contemporanea delle forme fluide ed equivalenti il rigore chiaro e distinto della forma che la famiglia ha assunto oggi, in occidente, presentandolo come l’essenza della famiglia stessa: come il valore da difendere, con ogni mezzo.

            Quello che papa Francesco ha dichiarato a proposito della fede, vale in realtà anche per la famiglia: «Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante» (intervista di Antonio Spadaro a papa Francesco, «Civiltà Cattolica», 19 settembre 2013, p. 470).

            Il coraggio di nuove forme di fondazione e costruzione, senza romanticismi e nostalgia di un passato idilliaco che, con ogni probabilità, never was è invece oggi ciò che ci viene richiesto. Aggrapparsi con intransigenza alla sua ultima forma storica non è, credo, il modo più giusto, tantomeno quello più efficace, di difendere la famiglia. Anzi, è probabilmente un rasentare l’idolatria, che spegne il desiderio di riscoprire, proprio grazie all’impulso delle sfide della contemporaneità, il vero nucleo pulsante e generativo della famiglia al di là delle sue mutevoli forme storiche: il legame tra le generazioni nel tempo e tra i generi nello spazio. […]

            Quale cammino intraprendere dunque insieme? Intanto, tenere vivo il nucleo pulsante della famiglia: la comunione delle differenze, l’alleanza tra i generi e le generazioni; quindi, avere il coraggio e l’immaginazione per ripensarne le forme (nel senso della solidarietà, dell’accoglienza, del legame tra generazioni, della gratitudine, della cura, dell’alleanza tra famiglie), perché la famiglia vive se respira e se si apre oltre se stessa. Insomma, rigenerare ciò che sempre rischiamo di tradire e voler addomesticare, più che difendere l’esistente o un ideale astratto. Perché, citando Dietrich Bonhoeffer, «solo nel dissolversi delle ombre mattutine del sogno, irrompe il giorno chiaro della comunione cristiana». E questo vale anche per la famiglia.

            Stralcio redazionale dell’articolo che apparirà sul numero 4/2015 del bimestrale di cultura dell’Università Cattolica “Vita e Pensiero”.

Cattolica news             24 settembre 2015      

www.cattolicanews.it/speciali-famiglia-riserva-di-liberta?utm_term=20661+-+Famiglia%2C+riserva+di+libert%C3%A0&utm_campaign=My+Campaign&utm_medium=email&utm_source=MagNews&utm_content=850+-+339+%282015-09-25%29

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

                                   Roma via della Pigna. Ripartono le attività del Centro La Famiglia  

            Sarà la Sala del Giogo, inaugurata poco prima dell’estate dal Centro La Famiglia per essere luogo di pace, incontro e confronto per le coppie di sposi e le famiglie in crisi, a ospitare le nuove iniziative di formazione in programma per il nuovo anno pastorale. Due, in particolare, i percorsi proposti in questa “oasi”, con una chiesa dove poter pregare e una tavola dove riunirsi per parlare, aperta nella casa dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, in via dei Prefetti 34.

            Il primo prenderà il via sabato 10 ottobre 2015, a partire dalle 16. Destinatarie: le coppie di sposi che desiderano riscoprire la bellezza del matrimonio e crescere nel loro rapporto attraverso la conoscenza di sé, dell’altro e di Dio, in relazione al sacramento celebrato. A fare da filo conduttore, il tema “Famiglie al centro. La Misericordia visita la tua casa”. In calendario una serie di incontri mensili fino a giugno 2016 guidati dal presidente del Centro padre Alfredo Feretti; al centro, appunto, il tema della misericordia, ma anche quello del dono del corpo e della vita. Alla sorgente, spiega il religioso, una domanda: «Che cosa alimenta l’amore in una coppia e in una famiglia? La spiritualità può indicare una strada verso questa sorgente. Mettiamo in sequenza le relazioni e la spiritualità nella vita quotidiana». Non senza quelle che padre Feretti chiama «avvertenza di metodo». La spiritualità infatti, spiega, «non è il toccasana a effetto immediato. Non è nemmeno un ideale che ci lascia puntualmente l’amaro dei sensi di colpa perché impossibile da raggiungere. Anzi ci solleva dalle aspettative esagerate che abbiamo verso noi stessi e verso le nostre relazioni. Ma è certamente un fondamento su cui possiamo costruire i nostri rapporti di coppia e quelli interpersonali»

            Nel mese di ottobre parte anche il secondo percorso mensile, sul tema “Rafforzare la capacità di amare”, dedicato a quanti si trovano in situazione di separazione e divorzio o vivono nuove unioni. Si comincia domenica 11 ottobre alle 16, sempre con la guida di padre Feretti, che spiega: «La ferita della separazione domanda sempre la ricostruzione della nostra capacità di amare. E questa è anche la risposta alla domanda profonda di senso che sembra vacillare nei momenti più difficili». Anche qui, a fare da bussola per il cammino sarà il tema della misericordia, che «Papa Francesco ci affida come “Parola di Vita” per tutto questo anno giubilare». Gli incontri, riferisce il presidente del Centro, prenderanno spunto dalle varie sfaccettature dell’inno alla carità di san Paolo, per poi «versare questo balsamo di speranza sulle nostre relazioni ferite. Come sempre i nostri incontri avranno un taglio formativo fondato su un testo biblico e un taglio esperienziale con esercizi che ci permetteranno di verificare meglio e far crescere lo stato delle nostre relazioni».

Roma sette      23 settembre 2015       www.romasette.it/ripartono-le-attivita-del-centro-la-famiglia

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DALLA NAVATA

26° domenica del tempo ordinario – anno B -27 settembre 2015.

Numeri            11, 29   «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito.»

Salmo              19, 08 «La testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice.»

Giacomo          05, 01 «Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi!»

Marco              09, 40 «Chi non è contro di noi è per noi.»

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DIRITTI E DOVERI

Il diritto dei nonni a mantenere un rapporto significativo con i nipoti.

Se tale diritto viene ostacolato è possibile ricorrere al tribunale dei minorenni. In allegato il fac-simile di ricorso.

Con la Legge n. 219 del 2012 e con il Decreto Legislativo n. 154 del 2013, il legislatore ha modificato la disciplina giuridica della filiazione ed, in generale, del diritto della famiglia. La riforma disciplina in modo specifico, tra le altre questioni, anche i diritti dei nonni sui nipoti.

In dettaglio stati modificati alcuni articoli del codice civile che riguardano i rapporti con gli ascendenti. L’art. 315 bis c.c., introdotto dall’art. 1 comma 8 della l. n. 219/2012, prevede tra l’altro che “il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”.

            Tale disposizione oggi assume valore di regola generale nella vita familiare, poiché è destinata a regolarne non solo la sua fase patologica, cioè la rottura dell’unione tra i genitori, ma anche la fisiologia del rapporto; inoltre, essa vale in qualunque rapporto genitoriale, essendo oggi tale disposizione la regola generale valida per ogni figlio a prescindere dall’esistenza del vincolo matrimoniale dei genitori.

            L’art. 317-bis come sostituito dall’art. 42 d.lgs. n. 154/2013, in esecuzione della delega prevista dall’art. 2 della l. n. 219/2012, è stato espressamente dedicato ai “Rapporti con gli ascendenti”; esso dispone che “gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma”.

L’art. 38 disp. att., come riformulato dall’art. 3 comma 1 l. n. 219/2012 e integrato successivamente dall’art. 96 comma 1 d.lgs. n. 154/2013, afferma che tutti i provvedimenti previsti dall’art. 317-bis c.c. siano di competenza del Tribunale per i minorenni. I nonni, paterni o materni, potranno dunque ricorrere al giudice, al fine di ottenere quei provvedimenti idonei a tutelare il diritto dei nipoti minorenni ad avere sani rapporti con i propri ascendenti.

Ciò che va rimarcato è che viene tutelato il diritto dei minori ad avere un rapporto stabile con i propri parenti e non il diritto dei nonni di godere dei propri nipoti. Competente a giudicare tali questioni giuridiche è il Tribunale per i minorenni del luogo di residenza dei nipoti minori.

Fac-simile di ricorso al Tribunale per i minorenni

Errico Tammaro -Newsletter Giuridica studio Cataldi   21 settembre 2015         

www.studiocataldi.it/articoli/19497-i-rapporti-tra-nonni-e-nipoti.asp

L’obbligo dei nonni di corrispondere il mantenimento ai nipoti.

 “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”. Così recita l’art. 316-bis del codice civile, che disciplina l’obbligo per gli ascendenti di contribuire al mantenimento dei nipoti.

            Ma quando vi è l’obbligo dei nonni di corrispondere il mantenimento dei propri nipoti?

Secondo la Corte di Cassazione (sent. n. 20509/2010), vi è tale obbligo quando vi è impossibilità oggettiva di provvedere al mantenimento della prole da parte dei genitori, cioè quando c’è assenza di ogni risorsa economica; quando vi è omissione volontaria da parte di entrambi i genitori; quando vi è omissione volontaria di uno solo dei genitori nel caso in cui l’altro non abbia la disponibilità di provvedere al mantenimento dei propri figli. Con la sent. n. 20509/2010 è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano la regola della sussidiarietà nel mantenimento degli ascendenti, prevedendo “l’obbligo di mantenere i propri figli ex art. 147 c.c., grava sui genitori in senso primario ed integrale, sicché qualora l’uno dei due genitori non voglia o non possa adempiere, l’altro deve farvi fronte con tutte le sue risorse patrimoniali e reddituali e deve sfruttare la sua capacità di lavoro, salva comunque la possibilità di agire contro l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche.

Solo in via sussidiaria, si concretizza dunque l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli (rectius nipoti) previsto dall’art. 148 c.c., che comunque trova ingresso, non già perché uno dei due genitori sia rimasto inadempiente al proprio obbligo, ma se ed in quanto, l’altro genitore non abbia mezzi per provvedervi”.

In forza dell’art. 148 cod. civ. è possibile ottenere un decreto giudiziale, emesso dal giudice a seguito di procedura di tipo monitorio, che si svolge dinanzi al presidente del tribunale del luogo di residenza del genitore o degli ascendenti inadempienti. L’oggetto di tale decreto è il versamento di una quota dei redditi dell’obbligato direttamente al genitore o a chi sopporta le spese di mantenimento della prole. Legittimati attivi sono il genitore, il figlio che ha raggiunto la maggiore età, gli istituti di assistenza ed i parenti che abbiano interesse.

Il decreto, immediatamente esecutivo, va notificato alle parti ed al terzo debitore ed è opponibile nelle forme previste per l’opposizione a decreto ingiuntivo. Tale giudizio di opposizione deve svolgersi con la necessaria partecipazione di tutte le parti interessate, sussistendo un mero litisconsorzio necessario. In assenza di opposizione, il decreto diviene definitivo, passando in giudicato.

Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la modifica e la revoca del provvedimento per circostanze e motivi sopravvenuti.

Errico Tammaro -Newsletter Giuridica studio Cataldi   21 settembre 2015  

www.studiocataldi.it/articoli/19499-il-mantenimento-degli-ascendenti.asp

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Diario da Filadelfia.

Il presidente Belletti dall’incontro mondiale delle famiglie ci racconta in diretta l’Incontro mondiale delle famiglie in corso a Filadelfia, in collaborazione con Famiglia Cristiana.

23 settembre 2015                               www.forumfamiglie.org/news.php?&news=907

                        . http://www.famigliacristiana.it/articolo/dai-si-comincia-un-accoglienza-calda-friendly.aspx

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

                        Famiglia antidoto a individualismi e manipolazioni: ultimo incontro del Papa a Cuba.

“La famiglia è scuola di umanità”, anche se “non esistono genitori e figli perfetti”. Così Papa Francesco nel discorso alle famiglie nella cattedrale di Santiago, ultimo incontro prima del congedo da Cuba. Con una benedizione particolare a tutte le donne incinte, a partire da quelle presenti o quelle che seguono l’avvenimento attraverso i media, alle quali Francesco ha chiesto di poggiare una mano sul proprio ventre.

In famiglia si impara che “ognuno ha bisogno degli altri per andare avanti”.  “En muchas culturas hoy en día van despareciendo estos espacios, van desapareciendo estos momentos familiares, …

Se spariscono i momenti familiari, come “accade – ricorda il Papa – in molte culture al giorno d’oggi”, allora “tutto tende a separarsi, isolarsi”, prevalgono “divisione e massificazione”, che il Papa definisce “fenomeni attuali”. E il Papa avverte: “Le persone si trasformano in individui isolati, e dunque – spiega – facili da manipolare e governare”. In famiglia – spiega il Papa – “non c’è posto per le maschere, siamo quello che siamo e siamo chiamati a cercare il meglio per gli altri”. “Quando viviamo bene in famiglia, gli egoismi diventano piccoli: esistono, perché tutti noi abbiamo qualcosa di egoistico… Però quando non si vive una vita di famiglia, si vanno ingrandendo queste personalità che possiamo chiamare così: “Io, me, con me, per me”. Totalmente centrati in se stessi, che non conoscono la solidarietà, la fraternità, il lavoro insieme, l’amore, la discussione”.

Non c’è futuro senza famiglie, dimenticando papà e mamma. “Se discute mucho hoy sobre el futuro, sobre qué mundo queremos dejarle a nuestros hijos, qué sociedad queremos para ellos”.

Il Papa dunque invita tutti a considerare che, se si pensa al futuro, non si può che volere un mondo con le famiglie, “migliore eredità”. “In una casa vuota non di persone ma vuota di relazioni, vuota di contatti umani – dice il Papa –  non si sa aspettare, non si sa chiedere permesso, non si sa chiedere scusa, non si sa dire grazie”. E’ ripetuto e ribadito l”invito di Francesco ad “avere cura delle famiglie”, che definisce “vere scuole del domani”, “veri spazi di libertà”, “veri centri di umanità”.

Y bueno, uno se olvida de cómo se dice papá, mamá, hijo, hija, abuelo, abuela… “.

Dunque, un avvertimento forte, attenzione a perdere certi termini e certe relazioni: “Ci si dimentica di come si dice ‘papà’, ‘mamma’, ‘figlio’, ‘figlia’, ‘nonno’, ‘nonna’, e ci si comincia a dimenticare che queste relazioni sono il fondamento, il fondamento del nome che abbiamo”. “Si perdono le relazioni che ci costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone”.

Dio si manifesta nella verità del quotidiano, fatta anche di discussioni. Nelle “cose quotidiane” – dice il Papa – si mostra l’amore di Dio e opera lo Spirito Santo, ricordando che Gesù ha scelto le nozze di Cana come primo avvenimento pubblico e ha poi tante volte scelto i pranzi, le cene, le visite in casa “per far conoscere il progetto di Dio”. Francesco sottolinea che in questo “Gesù non è selettivo, non gli importa se sono pubblicani o peccatori – dice – come Zaccheo“. Ed è “in casa che sperimentiamo il perdono”. Il Papa non nasconde difficoltà e dolori quando parla di “semina e raccolto, di sogni e ricerche, di sforzi e impegno, di lavori faticosi”. E anche fotografando il momento del ritrovarsi la sera, il Papa riconosce che tante volte si arriva stanchi e – aggiunge a braccio – “può capitare di assistere a qualche discussione, a qualche litigata tra il marito e la moglie”. “Non bisogna averne paura”, dice con verità Francesco che confida: “Io ho più paura di alcuni matrimoni in cui mi dicono che mai, mai, hanno avuto una discussione…”.  E l’incoraggiamento è davvero forte quando Papa Francesco ricorda che Gesù ha scelto proprio i momenti e gli spazi in casa per manifestarsi. E questo – spiega – per “aiutarci a scoprire lo Spirito vivo e operante” in quelle che, con semplicità ma anche massima chiarezza, Francesco fotografa come “le nostre cose quotidiane”. Francesco ricorda alle famiglie, e a tutti, quello che definisce “l’amore concreto e operante di Dio”.

Sguardo all’Incontro Mondiale delle Famiglie e al Sinodo. “Estamos en familia. Y cuando uno está en familia se siente en casa”…In particolare, alle famiglie cubane che si sono raccolte nella Cattedrale di Santiago, Papa Francesco dice di sentirsi a casa, in un incontro che definisce “la ciliegina sulla torta” del suo viaggio a Cuba e parla di “gente che sa ricevere”, che sa accogliere, che sa far sentire a casa”.

Dunque, il saluto e quasi un appuntamento virtuale, anzi due, per tutte le famiglie: “En unos días participaré junto a las familias del mundo en el Encuentro Mundial de las Familias y en menos de un mes en el Sínodo de los Obispos”.

“Tra pochi giorni – annuncia – parteciperò insieme alle famiglie del mondo intero all’Incontro Mondiale delle Famiglie, e tra meno di un mese al Sinodo dei Vescovi che ha per tema la Famiglia. Vi chiedo per favore di pregare per queste due intenzioni, perché sappiamo tutti insieme aiutarci a prenderci cura della famiglia”. Resta da dire dell’invito più grande e più bello di sempre: l’invito all’Eucarestia che Papa Francesco ci chiede di considerare “la cena della famiglia di Gesù“.  Con l’invito a non dimenticare che come spazio del suo memoriale Gesù vuole utilizzare una cena, “momento concreto della vita familiare”, “momento vissuto e comprensibile”. E Papa Francesco sembra dire che così è più facile per noi ricordarci e capire che Gesù “vuole essere sempre presente nutrendoci con il suo amore, sostenendoci con la sua fede, aiutandoci a camminare con la sua speranza”.

Fausta Speranza          Notiziario Radio vaticana – 23 settembre 2015

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

 

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-francesco_20150922_cuba-famiglie.html

Testo ufficiale              

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GENDER

Il vero gender è un altro.

Con l’apertura delle scuole sono tornati alla carica gli oppositori all’ideologia gender o teoria del gender. Nulla di originale a dire che ciò cui si oppongono queste persone non esiste o, come suol dirsi nell’era di Internet, è una bufala. Non esiste una cosa che si chiami ideologia o teoria gender, lo ha ribadito anche la ministra all’Istruzione Giannini, con una circolare ufficiale che la definisce una «truffa culturale». Tuttavia, come insegna la storia, non basta dire che una cosa non esiste per convincere chi sostiene invece la sua esistenza.

Esistono invece i cosiddetti gender studies, ovvero «studi di genere». La parola gender ha infatti un corrispondente in italiano, ma purtroppo l’inglese è usato sempre più per fare confusione — accade lo stesso per la parola welfare. I gender studies non sono un impianto teorico né un progetto ideologico, o almeno non più di quanto non lo siano gli studi di botanica o di storia dell’arte. Sono piuttosto studi interdisciplinari che affrontano il ruolo della sessualità, del rapporto tra uomini e donne, le identità maschili e femminili. Gli studi di genere sfidano e de-costruiscono stereotipi o assiomi consolidati, ma non hanno niente di particolare da offrire in sostituzione dei modelli messi in discussione. La responsabilità di «ricostruire» sta agli attori della società: scuole, chiese, istituzioni pubbliche e private, industrie culturali.

Ecco perché chiamare gli studi di genere «ideologia» o «teoria» è scorretto e falso. Gli studi di genere sono figli della rivoluzione femminista del secolo scorso, che ha proposto nuovi modelli di società: si è cominciato col suffragio femminile e si è continuato con l’accesso — almeno in teoria— delle donne a posizioni sociali riservate agli uomini. La società nella quale sono cresciuto ha scuole con classi miste, e per miste si intende maschi e femmine che studiano insieme. Non solo una volta non era pensabile che bambini e bambine studiassero nella stessa classe, ma era impensabile che le bambine dovessero studiare del tutto.

Gli studi di genere analizzano i fenomeni e la società e non propongono necessariamente modelli alternativi, o comunque non lo fanno in maniera univoca. Certo, diversi studiosi e studiose di genere diffondono idee, teorie, oltre alla semplice analisi, ma non c’è «una teoria» che le comprenda tutte, e l’impostazione di questi studi non intende fare una mera operazione di sostituzione di un modello con un altro, anche perché contesta proprio la presenza di un modello di riferimento.

Gli studi di genere verificano se vi sia una correlazione tra determinati fenomeni e i modelli di uomo e donna vigenti nella società. In particolare, un grosso interesse degli studi di genere è la questione della violenza. C’è un legame tra genere e violenza? E se sì, riusciamo a combattere la violenza, a ridurla, magari a eliminarla, facendo una riflessione «gender-orientated», che analizzi gli aspetti legati al genere? Facendo un paragone, è come la lente del microscopio: con una determinata lente posso vedere cose che non vedo con altre. Questo non esclude che ne usi anche altre, ma posso permettermi di rifiutare una lente in particolare per motivi ideologici?

I motivi ideologici, appunto, contro gli studi di genere: in realtà una teoria gender, un’ideologia, un impianto strutturato e consolidato di pensiero sul genere esiste, ma non è quello che ci raccontano. È quella prassi affermata e diffusa che assegna alle bambine in quanto femmine un mondo rosa — colore della carne — , bambole, vestiti da principesse, trucchi, scope, stracci e padelle, e ai bambini in quanto maschi un mondo azzurro — colore del cielo —, pistole e cappelli da cowboy, con allegata la facoltà di lasciare le cose in disordine perché tanto passano tua sorella o tua madre a sistemare. È quell’ideologia secondo cui una donna violentata deve essersela cercata, perché — nel migliore dei casi — non doveva uscire la sera tardi o — nel peggiore — doveva coprirsi meglio. È quella teoria che ritiene le donne stupide — «cervello da gallina», mica «da gallo» — o gli omosessuali delle quasi femmine — e dunque ci sta che qualcuno faccia loro male. È quell’ipocrisia secondo cui ci vorrebbero i bordelli legalizzati perché così la salute delle prostitute è controllata, perché non sia mai che i clienti vengano infettati da queste donne, mentre il contrario può capitare. È quella follia che giustifica uomini che si suicidano a uccidere moglie e figli, come fosse normale considerare il prossimo una mera estensione, dépendance o appendice della propria persona.

Tutto ciò è strutturato e consolidato in ciò che potremmo azzardare a definire una vera e propria «ideologia gender», che è proprio quel che gli studi di genere mettono in discussione. Un’ideologia gender che ama chiamarsi «normalità», «tradizione», «natura», «valori cristiani». Se esiste un’ideologia genere, non è quella contro cui si parla in questi ultimi anni. Mi sarebbe piaciuto vedere chi usa l’arma della paura, chi parla di minaccia per la salute psicofisica e spirituale dei nostri bambini, chi vede studi di genere e Isis come pericoli analoghi, mi sarebbe piaciuto vedere queste persone lottare con la stessa passione contro l’ideologia di genere che relega la donna a fare la calzetta e l’uomo a sfamare e proteggere la «sua» donna. Mi sarebbe piaciuto vedere queste persone solidarizzare con quell’uomo ridotto in fin di vita perché non corrisponde al corretto modello di maschilità o dare ospitalità a un ragazzo cacciato di casa dai suoi genitori perché si sente una ragazza. Non lo hanno fatto, però, perché l’ideologia acceca. Anche le persone perbene. Ma allora, sono al sicuro i nostri bambini a scuola? Non sono mai al sicuro, ma possono esserlo un po’ di più se avvertiti di pericoli veri e non inventati, nella speranza che costruiscano un mondo migliore di quello che abbiamo dato loro.

Peter Ciaccio, pastore valdese “Riforma” settimanale chiese Evangeliche, 25 settembre 2015

            www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201509/150922ciaccio.pdf

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ONLUS

Rapporti di lavoro nelle onlus dopo il jobs act.

Siamo un’Associazione Onlus che fino ad ora si è avvalsa della collaborazione di due figure esterne, inquadrate una con contratto di collaborazione a progetto e l’altra con contratto di collaborazione occasionale autonomo. Con la nuova legge “Jobs Act” sappiamo che il contratto a progetto è stato eliminato e dovremmo inquadrare la figura con un altro tipo di contratto, ma quale?

Chiediamo, inoltre, se è rimasto in vigore il contratto di collaborazione occasionale autonomo.

Quanto al primo lavoratore fino ad oggi impiegato con contratto di collaborazione a progetto, l’Associazione potrà continuare ad utilizzarne le prestazioni, successivamente alla cessazione del rapporto a progetto, attraverso – ad esempio – la stipula delle vecchie co.co.co. (ai sensi dell’art. 409 c.p.c.) che il D. Lgs. 81/2015 ha mantenuto in vita. Qualora il co.co.pro. dovesse scadere nel corso dell’anno 2016, si tenga presente che dal 1° gennaio 2016, la disciplina delle collaborazioni subirà un sostanziale cambiamento. Si potrà continuare a sottoscrivere contratti di collaborazione ma, attenzione, con alcune specifiche accortezze.

            Al riguardo, si riporta l’art. 2 del D. Lgs. 81/15: “Art. 2. Collaborazioni organizzate dal committente:

1. A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento:

a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;

b) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;

c) alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;

d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

3. Le parti possono richiedere alle commissioni di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la certificazione dell’assenza dei requisiti di cui al comma 1. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

4. Fino al completo riordino della disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni, la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione nei confronti delle medesime. Dal 1° gennaio 2017 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1.”

            Quanto all’altra figura professionale, purtroppo l’articolo 52, comma 1, del D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, a decorrere dal 25 giugno 2015, ha abrogato l’art. 61 del D. Lgs. 276/03 che disciplinava appunto le collaborazioni occasionali. In questo caso, si possono suggerire come alternative o sempre le vecchie co.co.co. oppure le prestazioni di lavoro accessorio ora disciplinate dall’art. 48 e ss. del D. Lgs. 81/15.

            www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=6413        

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PARLAMENTO

Camera 2° Commissione Giustizia      Affido familiare

Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare.

C. 2957 approvata dal Senato, C. 2040 Santerini, C. 350 Pes, C. 3019 Marzano e C. 910 Elvira Savino.

22 settembre 2015 Prosegue l’esame del provvedimento rinviato nella seduta del 15 settembre 2015.

Si conclude la votazione degli emendamenti.

            Donatella Ferranti, presidente. Nel dichiarare concluse le votazioni degli emendamenti riferiti al provvedimento in discussione, avverte che il testo della proposta di legge sarà trasmesso alle Commissioni competenti per l’espressione del relativo parere.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=09&giorno=22&view=&commissione=02&pagina=data.20150922.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20150922.com02.bollettino.sede00020.tit00010

 24 settembre 2015 La Commissione prosegue l’esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 22 settembre 2015.

            Donatella Ferranti, presidente, avverte che sono pervenuti i pareri della I e della XII Commissione. In particolare, fa presente che entrambe le Commissioni hanno espresso un parere favorevole con osservazioni, delle quali potrà eventualmente tener conto il costituendo Comitato dei nove nel corso dell’esame in Assemblea. La Commissione delibera di conferire il mandato al relatore a riferire favorevolmente in Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di richiedere l’autorizzazione a riferire oralmente.

http://www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=09&giorno=24&view=&commissione=02&pagina=data.20150924.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20150924.com02.bollettino.sede00020.tit00010

Senato 2° comm. Giustizia. Disciplina delle unioni civili

Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili      in sede referente

S 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763 e petizione n. 665

22 settembre 2015 Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 16 settembre 2015.

(…)      Si passa quindi all’esame di subemendamenti. (…).

Il seguito dell’esame congiunto è infine rinviato.

            http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=939844

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SEPARAZIONE

Finta separazione per frodare il fisco.

            Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n.36530, 10 settembre 2015

Vita sempre più dura, per i furbetti del fisco: anche il vecchio trucco della finta separazione, per salvare i beni da Equitalia intestandoli all’ex coniuge, dovrà ormai andare in cantina. Amministrazione tributaria e giurisprudenza sono ormai sempre più “smaliziati” ed hanno affinato notevolmente, in questi ultimi anni, le armi contro l’evasione e l’elusione.

E’ il caso di una recente sentenza della Cassazione che ha convalidato un’ordinanza di sequestro di alcuni beni appartenenti all’ex coniuge di un soggetto indagato per bancarotta fraudolenta e vari reati tributari. La Suprema Corte, con la pronuncia, ha confermato il prevalente orientamento in materia di sequestro di beni di terzi, ossia che, quando un bene è nella disponibilità e rientra nella sfera d’interessi economici dell’indagato, può essere oggetto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, anche se l’intestazione del bene stesso risulta a nome di un terzo estraneo al reato.

  Il caso processuale. La vicenda riguardava un soggetto indagato per diversi reati fiscali, che aveva effettivamente acquistato dei beni immobili, intestandoli, però, formalmente alla moglie, dalla quale risultava separato. Il Gip aveva disposto il sequestro preventivo di tutti i beni, mobili ed immobili, appartenenti all’ex moglie, in quanto, da diversi indizi, si desumeva la falsità della separazione. In particolare, il giudice aveva rilevato, tra gli indici rivelatori della separazione fittizia, le seguenti circostanze:

– la moglie non disponeva delle entrate sufficienti all’acquisto dei beni, i quali risultavano effettivamente saldati dal marito (i ratei dei mutui erano infatti pagati con provviste riconducibili a quest’ultimo);

– l’indagato risultava avere pieno potere dispositivo in merito ai beni intestati all’ex coniuge, anche se gli atti risultavano formalmente effettuati da quest’ultima;

– la reale residenza dell’indagato, dal rinvenimento di abbigliamento ed oggetti personali, risultava essere l’ex casa coniugale, e non la residenza formalmente denunciata. La ricorrente impugnava, invece, il sequestro, poiché tale misura cautelare non è di regola consentita quando i beni appartengono ad una persona estranea al reato. La Cassazione ha confermato il sequestro preventivo, basandosi sul principio secondo cui i beni di terzi possono subire tale vincolo, qualora il reo abbia disponibilità su di essi. La disponibilità è stata definita dalle precedenti sentenze in materia [Cass., sent. n. 15210/2012 e n. 6813/ 2008] come l’esercizio di poteri corrispondenti al diritto di proprietà, ancorché per il tramite di terzi. La Suprema Corte ha poi confermato che l’effettiva disponibilità nella sfera dell’indagato deve essere adeguatamente provata dalla pubblica accusa: nel caso di specie, le prove sono state abbondantemente fornite, dalle circostanze rivelatrici della finta separazione e dalla dimostrazione dell’effettivo potere del soggetto sui beni.

Noemi Secci      la legge per tutti                24 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/97563_finta-separazione-per-frodare-il-fisco-sequestro-valido

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SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

Il compito del Sinodo.

Una grande novità, maturata solo alcuni giorni fa, e che entrerà in vigore a partire dall’8 dicembre prossimo, è venuta dalla riforma del processo canonico per la dichiarazione della nullità del legame matrimoniale, decisa col motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus da papa Francesco. Ciò che prima avveniva secondo una procedura complessa, lenta e spesso cavillosa, potrà essere portato a termine con rapidità, prossimità e prezzi ridotti. Il tutto, poi, verrà ricondotto alla “competenza episcopale”, con una intenzione che non è soltanto giuridica, ma pastorale ed ecclesiale.

            E’ naturale chiedersi in quale rapporto debba essere posto questo provvedimento rispetto al prossimo Sinodo dei vescovi. Vi è chi ha detto, con qualche ragione, che questa riforma semplifica il compito del prossimo Sinodo. Ma occorre intendersi bene su che cosa significhi questa semplificazione. Senza dubbio essa consiste nell’aver liberato il Sinodo dal dover provvedere su questa materia “processuale”. Ma se si pensasse che la semplificazione consista nell’aver già assunto il papa le decisioni che spettano al Sinodo, allora questa interpretazione risulterebbe non solo azzardata, ma anche pericolosa. Vediamo perché.

            La domanda sul passato. Vi è una “domanda classica”, con cui la tradizione medievale e moderna ha cercato di dare risposta alle “crisi familiari” – e che resta ancora oggi una domanda del tutto legittima. A tale domanda tradizionale la riforma del Codice potrà offrire una risposta più efficace, più accessibile e meno “autoreferenziale”. Questa domanda classica potrebbe essere così formulata: “Il legame matrimoniale che vincola i soggetti oggi in crisi è veramente esistito al suo inizio?”.

            Tale domanda è del tutto legittima, corrisponde a vissuti reali e interpreta una parte delle vicende che i cristiani hanno sperimentato e sperimentano nel corso della loro vita matrimoniale. Il problema, tuttavia, sorge quando questa domanda acquisisce la caratteristica di essere l’unica domanda possibile per rimediare alla crisi dei soggetti in relazione. Infatti tale domanda, nella sua parziale validità anche per l’oggi, non riesce a intercettare la gran parte delle “cause di crisi” che le famiglie sperimentano da almeno un secolo. In queste crisi la domanda centrale non può più essere rivolta soltanto al passato, ma deve interrogare il presente e il futuro. Dio, per tutti questi casi di crisi, non sta solo in un “inizio assoluto” delle nozze, ma in una presenza attuale e misericordiosa e in una speranza aperta per l’avvenire.

            La domanda sul futuro. Se questo è il nostro tempo, con le sue gioie e i suoi dolori, occorre allora considerare l’emergere di un’altra domanda che, senza smentire la possibilità di sollevare ancor oggi la domanda classica, la integra, la amplia e la traduce nel contesto attuale. Come ha detto di recente un bravo teologo, la domanda classica sulla fragilità dell’inizio genera una pretesa imbarazzante di “riduzione al nulla” di tutto il rapporto coniugale: ma occorre riconoscere apertamente che “non può mai essere come se non fosse accaduto nulla”.

            Per evitare che in futuro un “matrimonio difficile” possa essere considerato, con troppa facilità, un matrimonio mai esistito, occorrerà predisporre, anche per i singoli, gli strumenti per superare le difficoltà presenti o per elaborare il lutto di ciò che è passato ed aprirsi al nuovo. Non di rado, infatti, nelle storie dei soggetti implicati, la rimozione del passato è l’errore più grave, al quale la Chiesa non dovrà fornire alibi.

            Dovremo dunque avere la forza di cambiare la domanda con cui intercettiamo queste “storie di vita”: dovremo chiederci, in altre parole, quale peccato possa essere superato e quale grazia sia possibile, vivibile e sopportabile, oggi e domani, da parte dei coniugi. La loro “storia”, la loro “coscienza”, la loro “libertà nella comunione” diventerà il centro di una “cura ecclesiale” impostata non sulla “indagine del passato”, ma sulla dinamica del presente verso il futuro.

            Una “pastorale non giudiziaria”, in altri termini, potrà scaturire soltanto se, accanto a questa giusta riforma del Codice di Diritto canonico, il Sinodo saprà proporre una riforma del “codice comportamentale” della pastorale, del modo di parlare e di ascoltare, dello stile del giudicare e del consolare, delle forme dell’accompagnare e del consigliare.

            Una pastorale “non giudiziaria”. La riforma del Codice e delle procedure è stata fatta con giusta sollecitudine, con il lavoro di una commissione e sotto la responsabilità diretta di papa Francesco. La riforma pastorale dovrà passare attraverso il necessario confronto con tutti i vescovi nella mediazione sinodale. Dovendo intercettare le differenti chiese e le diverse culture, avrà bisogno di molte sfumature, di tante attenzioni e di molta sapienza.

            Comunque sia, un dato risulta chiaro; ciò che con la riforma del processo è iniziato non potrà restare senza seguito. Se a una riforma delle procedure per la nullità non si accompagneranno riforme della pastorale per andare incontro ai matrimoni “falliti” (ma non nulli), l’effetto sarà soltanto quello di una grave “distorsione”: se alla rapidità processuale corrisponderà un immobilismo pastorale, ogni movimento passerà inevitabilmente per le procedure, con esiti molto problematici e carichi di non poca ipocrisia.

            La riforma del Codice non è solo un “fatto”, ma anche un “monito”: invita ogni vescovo della assemblea sinodale a fare la propria parte. Il papa ha fatto la sua, ora tocca al Sinodo mostrare la propria determinazione nel dare alla Chiesa gli strumenti per sanare le ferite delle famiglie infelici e per dare speranza alle comunioni ingiustamente impossibili. Per farlo dovrà sapere anzitutto ascoltare le voci che pongono la “domanda nuova”, senza pretendere di ridurre tutta la cura pastorale soltanto a “forme processuali rinnovate”.

            Per essere “in uscita” una Chiesa deve imparare a muoversi. Ma per muoversi deve sbilanciarsi. Se volesse restare sempre in equilibrio, diventerebbe come una statua. Ma se si sbilancerà, dovrà imparare a muovere entrambe le gambe: quella giudiziaria e quella pastorale. Altrimenti cadrà.

            Andre Grillo     “settimana” n. 33         24 settembre 2015.

http://ilregno-blog.blogspot.it/2015/09/il-compito-del-sinodo.html#more

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Assemblea dei Consultori familiari Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

E’ convocata l’Assemblea ordinaria dell’U.C.I.P.E.M. ex art. 9 dello statuto, a Roma venerdì 02 ottobre 2015 ore 21 presso la Casa per ferie “Giovanni Paolo II” Opera Don Orione in Via della Camilluccia, 120 Roma, sede dell’ospitalità del Convegno C.F.C. – U.C.I.P.E.M. 2/3 Ottobre 2015 – Università Cattolica del Sacro Cuore – Largo Francesco Vito 1▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

UNIONI CIVILI

Ristrutturazione della casa: all’ex convivente vanno restituite le somme a tal fine esborsate.

Tribunale di Treviso, sentenza n. 258/2015

Se l’immobile è di proprietà di uno solo dei partner, tali somme costituiscono indebito arricchimento. Le attribuzioni patrimoniali in favore del convivente “more uxorio” rappresentano in via generale adempimento di un’obbligazione naturale, in quanto tale non ripetibile: anche le unioni di fatto non caratterizzate dal vincolo matrimoniale, infatti, danno luogo a obblighi reciproci di natura morale e sociale, anche a carattere patrimoniale, tra i soggetti coinvolti.

            Può tuttavia accadere che tali attribuzioni travalichino i principi di proporzionalità e adeguatezza. Orbene, in tale ipotesi il convivente può legittimamente esperire l’azione generale di arricchimento senza causa: questa, infatti, ha come presupposto un’ingiustificata locupletazione di un soggetto ai danni di un altro, in conseguenza anche dell’adempimento di un’obbligazione naturale.

            Su tali presupposti il Tribunale di Treviso, con la sentenza numero 258/2015 (qui sotto allegata) ha condannato una donna a restituire all’ex compagno le somme di denaro da questo corrispostele per la ristrutturazione dell’immobile nel quale essi avevano convissuto.

            Se, infatti, le somme a titolo di rate di mutuo e spese condominiali, anche esse versate dall’attore, devono essere considerate spese destinate a soddisfare le comuni esigenze di vita, indispensabili per fronteggiare gli oneri abitativi di entrambi i partner e, in quanto tali, irripetibili, lo stesso non può dirsi per le somme esborsate per migliorare e incrementare, attraverso la ristrutturazione, il valore del bene di proprietà della donna ex convivente: esse non sono in alcun modo strumentali alle concrete esigenze quotidiane della coppia, ma riversano i loro benefici esclusivamente nel patrimonio della convenuta.

            In quanto tali, vanno restituite.

Valeria Zeppilli –Newsletter Giuridica studio Cataldi   21 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19495-ristrutturazione-della-casa-all-ex-convivente-vanno-restituite-le-somme-a-tal-fine-esborsate.asp

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WELFARE

Non bastano i congedi per avere più mamme al lavoro.

Le difficoltà di bilanciamento fra lavoro e vita familiare continuano a penalizzare l’occupazione femminile. Il governo ha fatto bene a emanare un decreto per favorirne la conciliazione. Ma non ha attuato le misure che avrebbero avuto gli effetti più rilevanti. Serve un intervento organico.

            Le scelte delle donne. La promozione del lavoro femminile, ricondotta di norma a istanze di eguaglianza, è auspicabile anche per motivi di efficienza. Se la diversity giova alla produttività aziendale, i paesi in cui il differenziale di genere è inferiore registrano risultati economici migliori. In Italia, il divario di genere in termini occupazionali è tra i più alti in Europa (Eurostat): tra i motivi, la maternità ha un peso rilevante (Istat), soprattutto in ragione del difficile bilanciamento tra attività professionale e impegni familiari.

La “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri o dei lavoratori padri”, redatta dalla direzione generale per l’attività ispettiva del ministero del Lavoro, conferma che nel 2014 l’85% delle dimissioni o risoluzioni consensuali ha riguardato le madri, a dimostrazione del fatto che “la gestione delle responsabilità familiari e di crescita dei figli, prerogativa ancora prevalentemente femminile, continua ad avere riflessi sulla partecipazione attiva delle donne al mercato del lavoro”. Il 33 per cento delle donne ha lasciato l’impiego per “incompatibilità tra lavoro e cura della prole”: ciò a causa della “assenza di parenti di supporto”, del “mancato accoglimento al nido”, della “elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato”. Considerata l’importanza della “conciliazione” – sia in termini di gender mainstreaming che di potenziale di crescita economica nazionale – il governo ha opportunamente affrontato il tema del work life balance (decreto legislativo n. 80/2015), attuando la legge delega n. 183/2014 (il cosiddetto Jobs act), al fine di evitare “che le donne debbano essere costrette a scegliere fra avere dei figli oppure lavorare“.

            I difetti del congedo parentale. Il decreto legislativo. n. 80/2015, modificando il testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (Dlgs. n. 151/2001), introduce misure a carattere sperimentale, la cui prosecuzione oltre il 2015 è condizionata all’individuazione di adeguate coperture finanziarie: è dubbio, tuttavia, che in pochi mesi possano essere testate sufficientemente.

Ma le perplessità maggiori riguardano la circostanza che, tra i principi indicati dalla legge delega, il governo ha lasciato inattuati proprio quelli riconosciuti come i più idonei a favorire la conciliazione, quali l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali o l’introduzione di un credito di imposta per le madri lavoratrici. È intervenuto, invece, sui congedi parentali, che ora possono essere richiesti in un arco temporale più ampio e fruiti con modalità flessibili.

Analisi relative all’impatto di diversi strumenti sull’occupazione femminile (Oecd) riscontrano che i congedi, se di lunga durata, possono causare la marginalizzazione delle donne, nuocere alle loro competenze professionali, risultare incompatibili con posizioni di responsabilità o manageriali, nonché peggiorare le disparità salariali. Invece, la disponibilità di strutture di assistenza all’infanzia ha un peso decisivo sulla scelta di tornare a lavorare dopo il parto (oltre a incidere positivamente sui tassi di natalità, tema molto attuale per l’Italia), specie in presenza di una buona flessibilità oraria. Anche un credito di imposta atto a coprire una parte dei costi sostenuti per la cura dei figli e dei familiari dipendenti può funzionare quale incentivo all’offerta di lavoro femminile, facendo emergere al contempo situazioni di impiego sommerso.

Prima di intervenire sui congedi parentali, escludendo altre misure, sarebbe stato necessario che il regolatore ne valutasse l’efficacia, considerando in particolare che in Italia sono scarsamente remunerati e vengono usati soprattutto dalle lavoratrici (la percentuale degli uomini che ne fruiscono tende ad aumentare, ma resta comunque molto bassa; Inps). Ad esempio, la previsione di incentivi idonei a incrementarne l’utilizzo da parte dei padri, favorendo una più equa ripartizione delle incombenze genitoriali, avrebbe reso più incisivo l’intervento nel limitare l’abbandono dell’impiego da parte delle madri.

Il regolatore avrebbe anche dovuto considerare altri elementi rilevanti: ad esempio, che la copertura nazionale dei servizi per l’infanzia (11,8%, secondo l’Istat) è inferiore al target del 33% fissato dalla Strategia di Lisbona ed è stata oggetto di apposita raccomandazione da parte della Commissione UE; che la perdita di vantaggi legati alle entrate familiari (l’esenzione da ticket sanitari o l’accesso alle case popolari, per esempio) scoraggia l’occupazione del percipiente il reddito inferiore, di solito la donna; che i sussidi legati alla sola natalità (quali il “bonus bebè”), a differenza di  quelli espressamente connessi all’acquisto di servizi per la cura dei figli, hanno effetti “incerti e poco significativi” o addirittura negativi, nello stimolare il rientro al lavoro dopo il parto.

La relazione illustrativa del Dlgs n. 80/2015 dichiara, forse con eccesso di ottimismo, che il decreto ha “una impostazione minimale e settoriale, ma efficace”. Serve realismo, invece, per riconoscere che se si continua a intervenire in modo saltuario e non mirato – anziché mediante un complesso coerente di misure complementari, l’impatto delle quali sia valutato preventivamente -, una migliore conciliazione fra vita e attività professionale e, quindi, un rilevante aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro, resterà soltanto un mero auspicio.

Vitalba Azzollini         22 settembre 2015

www.lavoce.info/archives/37196/non-bastano-i-congedi-per-avere-piu-mamme-al-lavoro

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