NewsUcipem n. 546 –17 maggio 2015

NewsUcipem n. 546 –17 maggio 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line   direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

            Le news sono così strutturate:

  • notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • link a siti internet per documentazione.
  • Le notizie, anche con il contenuto non condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.
  • La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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            Il contenuto di questo new è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per i numeri precedenti

dal n. 1 (10 gennaio 2004) al n. 526 richiedere a                                        newsucipem@gmail.com

dal n. 527 al n. 545 andare su

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ABORTO VOLONTARIO               Pillola “5 giorni dopo”.

ADOZIONI                                       Romania. Procedure più snelle per dichiarare abbandono.

AFFIDAMENTO CONGIUNTO     Dopo la separazione, la madre può trasferirsi coi figli.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Il figlio che si sposa lo perde.

Anche le ex mogli qualche volta lo devono pagare ai mariti.

Versarlo all’ex in modo parziale e con ritardo è reato.

ASSEGNO DIVORZILE                  L’assegno “una tantum” non è deducibile anche se rateizzato.

CINQUE PER MILLE                      Pubblicati elenchi e prossimi adempimenti

COMUNIONE DEI BENI                Separazione breve: la comunione cessa alla prima udienza.

CONSULTORI familiari UCIPEM  Napoli. Nuovo numero del giornalino on line del Consultorio.

Senigallia. Convegno regionale.

                                                           Taranto 7° giornata di studio.

DALLA NAVATA                            Ascensione del Signore – anno B –17 maggio 2015.

DIVORZIO                                       Guardare il divorzio dalla parte dei bambini.

Divorzio breve: non è tutto oro.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  «Sì alla diagnosi sugli embrioni». Ma la Corte indicherà i criteri.

                                               Ammessa diagnosi preimpianto. Gambino: è selezione genetica.

15 motivi per dire no alla maternità surrogata.

                                                           Pescara, gravidanza da eterologa grazie a ‘egg-sharing’.

FORUM Associazioni Familiari       L’Italia per la famiglia spende poco e male.

                                                           Fermate gli uteri in affitto. Il Forum aderisce alla petizione.

FRANCESCO VESCOVO di Roma Papa: “Permesso, scusa, grazie” e la famiglia è solida e felice.

                                                           Giornata comunicazioni sociali. Comunicare bellezza famiglia.

GAZZETTA UFFICIALE                Divorzio breve.

Bonus Bebè anche alle famiglie affidatarie.

GENDER                                           Gender e Chiese: dove sta l’ideologia?

GIORNATA DELLA FAMIGLIA   La famiglia, rete di sicurezza nel tempo della crisi.

MATERNITÀ                                               Mamme tardive.

PARLAMENTO Camera 2° Comm.           Accesso dell’adottato alle proprie origini.

                             Senato 6° Comm.  Misure fiscali a sostegno della famiglia.

SCIENZA&VITA                             La diagnosi genetica preimpianto non è una cura.

                                                           Il nuovo consiglio esecutivo

SEPARAZIONE                              I figli nella separazione

SINODO SULLA FAMIGLIA          Sinodo 2015 e omosessualità: è ancora troppo presto?

TRIBUNALE ECCLESIASTICO    Matrimonio nullo, assegno x figlio stabilito da giudice ordinario.

VIOLENZA                                       Quando la gelosia è reato.

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ABORTO VOLONTARIO

Pillola “5 giorni dopo”.

Da sabato scorso 9 maggio 2015, in farmacia senza ricetta e senza test di gravidanza.

La determina Aifa in Gazzetta Ufficiale. Nel provvedimento si prevede l’erogazione del farmaco anticoncezionale d’emergenza ellaOne senza prescrizione medica per le donne in età maggiore di 18 anni e l’abolizione dell’obbligo del test di gravidanza prima di assumere il farmaco per tutte le donne (maggiorenni e minorenni).

HRA Pharma Italia ha annunciato che nella Gazzetta Ufficiale dell‘8 maggio 2015 è stato pubblicato la determina con cui l’Aifa ha dato la possibilità di ottenere direttamente in farmacia la pillola per la contraccezione d’emergenza ellaOne (ulipristal acetato, 30mg), senza più la necessità di una prescrizione. Questo consentirà a tutte le donne di età superiore ai 18 anni di ottenere l’accesso diretto alla contraccezione d’emergenza. Contemporaneamente è stata anche abolita l’obbligatorietà del test di gravidanza precedentemente previsto.

La delibera dell’Aifa ha recepito la decisione da parte della Commissione europea (CE) di consentire l’accesso a ellaOne direttamente in farmacia in tutti gli Stati membri dell’UE, sulla base del riconoscimento da parte del CHMP (Comitato per i medicinali per uso umano), della maggior efficacia di ellaOne (rispetto alla vecchia pillola del giorno dopo) se usato durante le prime 24 ore, e della sicurezza del prodotto anche quando utilizzato senza prescrizione.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2015-05-08&atto.codiceRedazionale=15A03360&elenco30giorni=true

Quotidiano sanità      11 maggio 2015

www.quotidianosanita.it/stampa_articolo.php?articolo_id=27991

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ADOZIONI

Romania. + facile adottare: procedure + snelle e tempi dimezzati per dichiarare abbandono dei bimbi.

I bambini abbandonati rumeni avranno più probabilità di trovare una famiglia. E’ stato pubblicato un progetto di legge per la modifica dell’attuale legge sulle adozioni. Più di una le modifiche previste. Si dimezza il tempo necessario alla dichiarazione di adottabilità dei minori. La ricerca dei parenti del bambino dovrà essere conclusa entro sei mesi, e non più entro dodici mesi come invece indicato dall’attuale norma.

            Per snellire le procedure adottive, l’abbinamento tra aspiranti genitori e bambini passerà dal livello centrale a quello locale, e sarà fatto dalle Direzioni Generali di assistenza sociale e protezione del bambino e non dall’Autorità nazionale per la protezione dell’infanzia e l’adozione (ANPDCA).

            Inoltre per incentivare le coppie nazionali ad adottare, viene previsto un congedo di tre mesi per il periodo di affiatamento con il bambino.

            Novità anche sul fronte del diritto alle origini. La legge permetterà alle persone adottate da famiglie residenti in Romania di avere accesso alle informazioni sul loro passato, inclusa la famiglia biologica, senza però poter conoscere l’identità dei genitori e la loro città di residenza. Ma sarà comunque il Tribunale ad autorizzare caso per caso l’accesso alle informazioni.

            Il testo del progetto di legge è stato pubblicato: c’è tempo fino al 20 maggio per inviare vere e proprie modifiche, emendamenti, commenti o suggerimenti che verranno vagliati ed eventualmente recepiti dal Governo, mentre poi il progetto di legge approvato dal Governo, dovrà essere adottato dal Parlamento, promulgato con decreto presidenziale e infine pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

            Ai. Bi.             12 maggio 2015

www.aibi.it/ita/piu-facile-adottare-in-romania-procedure-piu-snelle-e-tempi-dimezzati-per-dichiarare-abbandonati-i-bimbi

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AFFIDAMENTO CONGIUNTO

                        Dopo la separazione, la madre può trasferirsi coi figli.

                        Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 9633, 12 maggio 2015.

               Alla donna collocataria della prole il diritto di portare con sé i piccoli per via del nuovo lavoro in un’altra regione. La madre presso cui siano stati collocati i figli minori dopo la separazione dal marito è libera di trasferirsi in un’altra città, portando con sé la prole quando ciò sia necessario per andare a lavorare altrove. È questa la sintesi di una sentenza appena emessa dalla Cassazione e che sembra, in parte, contraddire quanto in precedenza deciso da altri giudici. Anche senza il consenso dell’ex, alla donna – figura insostituibile per la crescita dei minori – spetta il diritto di seguire il proprio lavoro, di fatto rendendo più difficoltosa all’altro genitore la visita dei figli (quest’ultimo, al massimo, potrebbe chiedere una riduzione dell’assegno di mantenimento in considerazione delle maggiori spese di viaggio da affrontare).

               È anche vero che, a determinare tale decisione dei giudici supremi non è stato il fatto che la parte in causa fosse proprio una loro collega (un magistrato), ma che la distanza rispetto all’uomo fosse di appena un’ora (il che avrebbe determinato un disagio non così grave per il padre). Le figlie – si legge in sentenza – anche se ormai affrancate da una stretta dipendenza materiale e fisica dalla madre quanto alle esigenze primarie e più elementari di vita, se comunque minori, restano bisognose della figura materna, apportatrice di una speciale carica affettiva capace di trasmettere senso di protezione e sicurezza altrimenti insostituibili per il loro armonico sviluppo psico-fisico.

               Conta di meno, dunque, secondo la Cassazione, la perdita del legame quotidiano con il padre che la perdita del lavoro per la madre.

               In base alla nostra legge, il giudice dovrebbe avere a riferimento solo il principale interesse dei minori e decidere per come più rispondente alle loro necessità. Ma se in passato, per i tribunali, è stato prioritario non distaccare i piccoli dall’ambiente in cui sono cresciuti e dalla figura paterna, in questo caso la Cassazione punta sulla capacità di adattamento dei bambini e sulla necessità di un reddito per poter vivere. In sentenza si fa proprio riferimento alla “particolare duttilità e capacità di adattamento alle novità” della prole.

               Alla Cassazione non è interessato neanche che la donna, anche se avesse rifiutato il trasferimento, non avrebbe certo perso il posto.

                        Redazione       la legge per tutti  13 maggio 2015

www.laleggepertutti.it/88232_dopo-la-separazione-la-madre-puo-trasferirsi-coi-figli#sthash.ufCYZJTH.dpuf

sentenza          www.divorzista.org/sentenza.php?id=10099

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Il figlio che si sposa lo perde.

            Corte di Appello di Napoli, Sezione civile 4 bis, sentenza n. 47, 7 gennaio 2015.

Con l’appartenenza del figlio o della figlia a un nuovo nucleo familiare cessano i doveri di mantenimento dei genitori nei suoi confronti. Il figlio che si sposa perde per sempre il diritto all’assegno di mantenimento erogatogli dai genitori. Il matrimonio, infatti, genera un nuovo organismo familiare autonomo rispetto a quello originario e fa cessare qualsiasi dovere di mantenimento. Lo ha detto la Corte di Appello di Napoli in una recente sentenza. In particolare i giudici campani così si esprimono:  “Il matrimonio del figlio maggiorenne già destinatario del contributo di mantenimento a carico di ciascuno dei genitori ne comporta l’automatica cessazione. Con il matrimonio, invero, il figlio diventa componente di un nucleo familiare diverso da quello originario ed automaticamente cessano i doveri di mantenimento a carico dei genitori”.

In pratica, con il matrimonio, il figlio maggiorenne dà vita ad un nuovo organismo familiare, distinto ed autonomo da quello precedente in cui era, invece, a carico di mamma e papà. I nuovi coniugi divengono artefici del loro destino, titolari del governo della nuova entità e restano legati dall’obbligo alla reciproca assistenza morale e materiale: obbligo che – lo ricordiamo –costituisce il necessario svolgimento di quell’impegno di vita assieme che hanno assunto con le nozze.

In buona sostanza, e per dirla con parole ancora più semplici, a doversi occupare del figlio – qualora questi dovesse trovarsi in stato di necessità economica – non saranno più i genitori quanto piuttosto il coniuge, perché è con quest’ultimo che si è deciso di iniziare un corso di vita insieme e una nuova famiglia. Tant’è che lo stesso codice civile [art. 143, co. 3.2] enuncia espressamente il dovere di entrambi di contribuire ai bisogni della famiglia. Con il matrimonio, quindi – conclude il collegio – il figlio diventa componente di un nucleo familiare diverso da quello originario ed automaticamente cessano i doveri di mantenimento a carico dei genitori.

Redazione                  La legge per tutti       17 maggio 2015

www.laleggepertutti.it/88378_mantenimento-il-figlio-che-si-sposa-lo-perde

sentenza                      www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_18369_1.pdf

Anche le ex mogli qualche volta devono pagare il mantenimento ai mariti.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 8716, 29 aprile 2015.

            Un caso in cui è lei a dover pagare un mantenimento di 2mila euro mensili all’ex marito con lavoro precario. Anche le ex mogli qualche rara volta possono trovarsi a dover corrispondere l’assegno di mantenimento ai mariti. Questo può accadere quando nella coppia c’è una forte disparità economica in favore della donna. E poco importa che lui abbia un lavoro giacché le regole in base alle quali i giudici statuiscono sull’assegno di mantenimento devono essere uguali per tutti.

            A convalidare una pronuncia dei giudici di merito (che avevano posto a carico di un’ex moglie un assegno di mantenimento di € 2000 mensili) è stata la Corte di Cassazione. Nel caso preso in esame dai giudici di Piazza Cavour, lei è risultata essere una semplice casalinga ma c’è un particolare: ha qualche milione di euro in un conto in Svizzera. E’ vero che si tratta di soldi che ha ricevuto dai suoi genitori ma sicuramente quel patrimonio ha inciso sul tenore di vita della coppia.

            L’ex marito dal suo canto lavora solo saltuariamente come dj e così i giudici di merito non hanno potuto che tenere conto di questa disparità delle condizioni patrimoniali della coppia stabilendo che fosse la donna a mantenere l’ex marito (che in tal caso si è dimostrato essere la parte economicamente più debole).

            Insomma in mancanza di una prova che anche lui potesse mantenere da solo l’elevato tenore di vita che la coppia aveva in costanza di matrimonio, sarà lei a dover mettere mano al portafogli.

            La donna, per tentare di sottrarsi all’obbligo di versare il mantenimento al marito, aveva sostenuto che il suo conto bancario era tutto ciò che aveva e che le doveva bastare per tutta la vita non avendo altre entrate. Una tesi che però non ha fatto breccia nei giudici della Cassazione che l’hanno anche condannata al pagamento delle spese legali.

N. R.   studio Cataldi             7 maggio 2015

www.studiocataldi.it/articoli/18292-anche-le-ex-mogli-qualche-volta-devono-pagare-il-mantenimento-ai-mariti.asp

sentenza          www.sentenze-cassazione.com/sentenze-cassazione-2015/testo-sentenza-mantenimento-coniugi-assegno-separazione

Versare il mantenimento all’ex in modo parziale e con ritardo è reato.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 20133, 14 maggio 2015.

            Violazione degli obblighi di assistenza familiare: l’inadempimento solo parziale non impedisce l’incriminazione.             Un mese sì e uno no; e l’altro, magari con diversi giorni di ritardo: versare a singhiozzo, o con una lentezza estenuante, il mantenimento all’ex moglie e ai figli fa scattare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Non ci si salva neanche dimostrando di aver adempiuto saltuariamente e solo laddove le condizioni lo consentivano. È quanto precisato dalla Cassazione

            Inutile, secondo i giudici supremi, tentare di ottenere uno sconto sulla condanna facendo leva sul fatto che le inadempienze siano state sporadiche ed estemporanee. La presenza di un sia pur minimo reddito, tanto da consentire di aiutare la moglie e i figli, garantendo loro i necessari mezzi di sussistenza, non conosce sconti.

            La condizione di impossibilità economica dell’obbligato esclude la possibilità che si possa configurare il reato solo se essa si estenda a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze e se consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli altri familiari. Pertanto, la responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non è giustificata dall’incapacità di adempiere ogniqualvolta questa sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’agente (si pensi al disoccupato che non si preoccupa di trovare nuova occupazione o che si sia dimesso dal lavoro per incompatibilità ambientali).

            Dunque, l’indicazione della condizione di disoccupato non è di per sé solo sufficiente a far venire meno l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza alla famiglia: è necessario che, oltre a ciò, il soggetto obbligato al versamento dimostri che le sue difficoltà economiche si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nell’impossibilità di adempiere, sia pure in parte, alla suddetta prestazione.

Redazione                   la legge per tutti         14 maggio 2015    

www.laleggepertutti.it/88299_versare-il-mantenimento-allex-in-modo-parziale-e-con-ritardo-e-reato

sentenza          www.divorzista.org/sentenza.php?id=10113

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: l’assegno “una tantum” non è deducibile anche se rateizzato.

Corte di Cassazione, Sezione tributaria, sentenza n. 9336, 8 maggio 2015.

L’assegno di divorzio corrisposto all’ex una tantum non è deducibile ai fini d’imposta anche se rateizzato in diversi periodi. Lo afferma la sezione tributaria della Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della Commissione Tributaria regionale del Veneto che aveva dichiarato l’illegittimità della cartella esattoriale inviata a un contribuente per il recupero delle imposte (Irpef e accessori)  in conseguenza della ritenuta indeducibilità dal reddito dell’assegno corrisposto al coniuge divorziato in un’unica soluzione.

Contrariamente a quanto affermato dalla CTR, la Cassazione ha considerato fondate le doglianze del fisco, affermando che sulla base dell’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza (cfr., tra le altre, Cass. n. 11437/1999; n. 795/2000; n. 16462/2002, n. 23659/2006), l’art. 10 del Tuir – che, com’è noto, dispone che possono dedursi dal reddito complessivo “gli assegni periodici corrisposti al coniuge”, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, scioglimento o annullamento del matrimonio o cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria – non consente un’interpretazione “estensiva” nel senso di comprendervi anche l’assegno corrisposto al coniuge una tantum. Né può valere, a cambiare tali connotazioni, la circostanza che l’assegno venga rateizzato in diversi periodi di imposta.

            Tra i due contributi sussiste, infatti, per gli Ermellini, una sostanziale differenza, in quanto si tratta di due “distinte forme di adempimento degli obblighi posti a carico di un coniuge, differenti quanto a natura giuridica, struttura e finalità”. Mentre il versamento periodico all’ex viene stabilito sulla base della situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di revisione, in aumento o in diminuzione, hanno spiegato i giudici della S.C., quello una tantum “viene concordato liberamente dai coniugi, nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, con l’effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, che restano così stabilite definitivamente, quali frutto di un accordo (avente una peculiare natura “transattiva” o “novativa”) che fissa un assetto complessivo degli interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi stessi”.

Marina Crisafi                       studio Cataldi             9 maggio 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_18306.asp

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CINQUE PER MILLE

Pubblicati elenchi e prossimi adempimenti

L’Agenzia delle entrate ha pubblicato gli elenchi provvisori degli enti che hanno richiesto di essere ammessi al beneficio del 5 per mille per il 2015.

www1.agenziaentrate.gov.it/documentazione/finanziaria/domanda+5+per+mille/2015/motore.htm?

Suggerimento: cercare per codice fiscale

Ricordiamo inoltre che entro il 30 giugno 2015 va inviata, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o pec, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà con documento del legale rappresentante alla Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate.

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COMUNIONE DEI BENI

Separazione e divorzio breve: la comunione dei beni cessa alla prima udienza.

            In caso di separazione personale, la comunione dei beni acquistati nel corso del matrimonio, si scioglie nel momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separatamente o omologa il verbale di separazione consensuale dai medesimi sottoscritto.

La riforma della famiglia recentemente varata ha notevolmente accelerato i tempi necessari per ottenere lo scioglimento della comunione dei beni tra coniugi. In precedenza, infatti, era necessario attendere l’omologa del processo verbale di separazione, in caso di separazione consensuale, e la sentenza di separazione in caso di separazione giudiziale; era necessario, in sostanza, attendere la fine del processo.

            Ora, già alla prima udienza dinanzi al Presidente del Tribunale, l’autorizzazione a vivere separati (se trattasi di separazione giudiziale) o la firma del verbale di separazione, purché omologato (in caso di separazione consensuale) comportano l’immediato automatico scioglimento della comunione dei beni acquistati durante il matrimonio. Il provvedimento del Giudice è comunicato all’Ufficiale di stato civile che annota lo scioglimento della comunione.

            Si ricorda che fanno parte della comunione legale tra coniugi tutti i beni acquistati dopo la data delle nozze, anche se sono stati acquistati solo da uno di essi: si pensi ad esempio ad automobili, appartamenti, complementi d’arredo, ecc. Tutti questi beni dovranno considerarsi di proprietà di ciascun coniuge in misura pari al 50% ciascuno.

            Restano invece sempre esclusi dalla comunione determinati beni espressamente indicati dalla legge: ad esempio l’eredità acquisita da uno dei coniugi, oppure i beni necessari per l’esercizio della professione.

            Con specifico riferimento alle separazioni giudiziali è necessario ricordare che, l’ordinanza con cui il Giudice autorizza i coniugi a vivere separati, per avere anche l’effetto di sciogliere la comunione dei beni tra essi, deve essere comunicata da parte della cancelleria del tribunale all’Ufficiale di Stato Civile, che provvederà ad annotarla a margine dell’atto di matrimonio. A seguito di questo ulteriore adempimento, la comunione dei beni potrà considerarsi definitivamente sciolta.

            Le descritte novità hanno efficacia anche con riguardo ai procedimenti di separazione già in corso.

            Valentina Azzini         la legge per tutti                     11 maggio 2015      

www.laleggepertutti.it/87903_separazione-e-divorzio-breve-la-comunione-dei-beni-cessa-alla-prima-udienza

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

               Napoli. Nuovo numero del giornalino on line del Consultorio!

In questo numero troverete la problematica del cutting [autolesionismo] e una riflessione sul film “Ragazze interrotte”.

Richiedere a                                                   centrolafamigliana@libero.it

Senigallia. Convegno regionale “Nutrire il dialogo, in famiglia e nel sociale”.

Il convegno si terrà alla Rotonda a Mare di Senigallia domenica 24 maggio 2015 alle ore 16.30, con il patrocinio speciale dell’Università Politecnica delle Marche, della Regione Marche e del Comune di Senigallia.

L’intento è riscoprire insieme e sollecitare una riflessione – con relatori di importante rilevanza – sul significato e il valore del dialogo, in questo momento storico di conflitti e violenze che hanno spesso radice nella famiglia.

  • il dialogo, seme di pace p. Alfredo Feretti
  • la consapevolezza, percorso di crescita Marina Piccialuti
  • Presentazione del libro “donne tra noi”a cura del CIF Consiglio provinciale di Ancona

consucipemsenigallia@yahoo.it        www.parrocchiaportone.it/new/consultorio-familiare

            Taranto 7° giornata di studio

Presso la sede dell’Associazione “Il Focolare – A. Petrecca” in via Plateja, 142 a Taranto, il 7 giugno 2015, si terrà la 7ª Giornata di Studio, con Laboratori esperienziali, organizzata dalla Scuola Pugliese di Formazione alla Consulenza Familiare, dal tema” Uno sguardo sui Disturbi di Apprendimento (DSA): l’aiuto del Consulente Familiare” (ore 9,00/13,00 – ore 14,30/18,30).

Relatore sarà la Consulente Familiareprof.ssa Annamaria La Sorsa

La Giornata è rivolta a tutti: in particolare a Consulenti Familiari, Operatori del settore socio-educativo-relazionale e sanitario.

È gradita iscrizione presso:     associazioneilfocolare@ilfocolare.it 

http://ilfocolare.blog.tiscali.it/2015/03

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DALLA NAVATA

                                   Ascensione del Signore – anno B –17 maggio 2015.

Atti                 01.08 «riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra.»

Salmo             47.09 «Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo.»

Efesini             04.07 «A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.»

Marco             16,20 «Allora essi partirono e predicavano dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano.»

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DIVORZIO

Guardare il divorzio dalla parte dei bambini.

Abbiamo assistito in questi giorni all’approvazione della legge sul divorzio breve. In apparenza solo una semplificazione legale, fatta passare come un buon passo – addirittura come un «traguardo di civiltà» – in un’epoca di burocratizzazioni inaccettabili, se non fosse che in questo modo si facilita il divorzio – a differenza di quanto sembrava in una prima stesura – anche in presenza di figli minori. Ben pochi quelli che hanno ricordato ai nostri legislatori e a tanti opinionisti entusiasti quello che il buonsenso e anche la ricerca scientifica insegnano, cioè che vivere un divorzio può essere (raramente) indolore per gli adulti ma è sempre un trauma per i figli?

Lo spiega uno studio fatto su 150.000 bambini svedesi appena pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health, che mostra l’alto livello di malattie psicosomatiche nei figli di divorziati rispetto ai figli di coppie integre. Ma basta andare nel sito della prestigiosa Mayo Clinic per leggere che in caso di divorzio «un bambino piccolo può avere una regressione comportamentale, tipo riprendere il ciuccio e bagnare il letto. Può intervenire un’ansia da separazione. Un bambino grande può avere un misto di emozioni: rabbia, ansia, dolore o magari sollievo. La rabbia può diventare depressione».

Il divorzio provoca rischi importanti per i figli, dato che il 25% di loro avrà problemi comportamentali e scolastici contro il 10% dei figli di coppie ancora sposate (JB Kelly, Oxford University Press, 2012); questi dati tengono conto del “clima” pre-divorzio di cui parleremo tra poco e, dunque, sono scremati da errori e attendibili. Per lo psicologo texano Carl Pickhardt, il divorzio è un crocevia irreversibile per i figli, e il difficile è proprio convincerli della sua irreversibilità, quando il figlio di solito fantastica e si illude che i genitori tornino insieme. Per le adolescenti femmine è più probabile avere reazioni di ansia, mentre per i maschi avere aggressività e rabbia. P Thompson della Columbia University spiega che molti fattori contribuiscono alla vulnerabilità degli adolescenti ai disturbi fisiologici e psicologici al divorzio dei genitori, tra cui l’assenza del padre, i conflitti tra genitori, le fatiche economiche (Journal of Psychosocial Nursing and Mental Health Services).

Nelle coppie in cui il divorzio non risolve la conflittualità e i figli sono contesi e stressati nel rapporto di reciproca calunnia tra i genitori. Infatti, esiste una patologia ad hoc: si chiama Sindrome da Alienazione Parentale ed è ben conosciuta nelle aule di tribunale durante le cause di divorzio. La Sindrome da Alienazione Parentale consiste nelle conseguenze di una continua e corposa campagna di denigrazione nei confronti del genitore non affidatario da parte del genitore affidatario; la si riesce a identificare dopo un’attenta valutazione e osservazione del comportamento del minore e consiste in un quadro di repulsione verso il genitore non affidatario e quindi nel rischio di varie conseguenze psicologiche.

Certo che la conflittualità in famiglia è sempre un fattore di rischio per i figli, sia che si divorzi o no. Secondo uno studio neozelandese fatto a Christchurch, in Nuova Zelanda su 1.265 bambini nati tutti nel 1977 e seguiti nel tempo per 30 anni, il divorzio è “ereditario”, nel senso che chi ha sperimentato divorzio da bambino è incline più degli altri al divorzio da adulto, soprattutto per le condizioni di disagio in cui è vissuto. Infatti, sembra che molti problemi psicologici che si ritrovano dopo il divorzio siano già presenti prima della separazione. Come mostra uno studio americano comparso nel 2012 sulla rivista C Pediatrics in Review.

Ma, spiega E. Mavis Hetherington che ha a lungo studiato il fenomeno, i figli di coppie divorziate hanno più problemi di comportamento delle coppie non divorziate e la presenza di conflitti in famiglia spiega solo parzialmente i rischi psicologici per i figli dopo il divorzio. Per questo bisogna prevenire con interventi adeguati il trauma da post-separazione: talora con aiuto i figli riescono ad assorbire l’impatto con maturità e carattere; ad esempio, spiega Brenda Clark e il Mental Health and Developmental Disabilities Committee della Società di Pediatria Canadese, si può intervenire rafforzando i processi familiari che hanno un effetto positivo di mediazione sul benessere del figlio dopo il divorzio, quali migliorare la qualità del rapporto con i genitori, e controllare i conflitti.

Dunque il rischio per la salute è il divorzio o il clima di conflitto? Per rispondere dobbiamo rifarci a due studi. Il primo è di E. Mavis Hetherington; questa psicologa dell’Università della Virginia, pioniera dello studio delle dinamiche familiari, spiega – analizzando la letteratura scientifica – che se c’è conflitto e deve esserci anche dopo, è meglio per i figli che la coppia non divorzi; così come se il conflitto è basso prima e resterà basso dopo. In poche parole, il problema è che per i figli la stabilità del tetto familiare è importantissima, a meno che non si preveda – cosa non frequente – che, se prima del divorzio vivevano in un clima conflittuale continuo e grave, le cose col divorzio miglioreranno. Certo che se il clima conflittuale non c’era non ha senso pensare a un vantaggio per i figli dovuto al divorzio. Anzi, Joan B Kelly, che ha speso la vita per studiare la sociologia del divorzio, spiegava in un interessante articolo che il trauma maggiore dal divorzio non lo traggano i figli di coppie altamente conflittuali, ma quelli di coppie in cui sembrava andar tutto bene e il divorzio cade come un fulmine a ciel sereno. Insomma, i figli non hanno nessun giovamento da un divorzio che non risolve i conflitti e hanno un rischio serio se avviene “soft”, cioè senza che loro capiscano motivi e che sentano che per loro non ci sono vantaggi.

Si pensa oggi che il massimo della moralità sia lasciare automaticamente che si faccia quel che si sceglie. Una delle conseguenze cupe di questo ragionamento è proprio questa: non si pensa a tutte le conseguenze. È stata facilitata dal Parlamento italiano la fine di matrimoni difficili includendo le coppie con figli, scordando che sono i figli a restar segnati per sempre dalla fine del matrimonio. Lasciare tempo obbligatorio alla riflessione e alla riconciliazione in caso di presenza di minori, uscire dall’automatismo di una rottura automatica ai primi fulmini familiari, avrebbe aiutato tanti bambini.

Carlo Bellieni             avvenire 12 maggio 2015                             http://carlobellieni.com/?p=2170

Divorzio breve: non è tutto oro.          

            La nuova riforma avvantaggerà di certo i coniugi in accordo, ma rischia di produrre maggiori danni quando la causa di separazione sia ancora in corso.

Il divorzio breve è quasi ormai alle porte. Dal prossimo 26 maggio 2015 i coniugi separati potranno ottenere lo scioglimento del proprio matrimonio coi tempi ridotti previsti dalla nuova legge [L. n. 55 del 6 maggio 2015]. Tempi che – lo ricordiamo – consentiranno a marito e moglie di dirsi addio quando siano trascorsi 6 mesi dalla separazione oppure dopo un anno dalla comparizione davanti al presidente se la separazione sia giudiziale.

            Ma l’attesa riforma porta davvero con sé solo vantaggi? Senza alcuna intenzione di demonizzare un istituto che – si può dire – deve ancora nascere, ci sentiamo di fare delle sintetiche riflessioni pro e contro questa legge che ha voluto avvicinare (riuscendoci, a nostro avviso, in modo un po’ maldestro) la nostra normativa a quella di altri Paesi, quelli che, per intenderci, sono meta del cosiddetto turismo dei divorzi law cost.

Pro. Sicuramente sono due i casi nei quali il divorzio breve porterà degli effetti positivi:

  1. quando marito e moglie non abbiano più nulla da spartire o da pretendere l’una dall’altro e, magari, ciascuno si sia già creato una nuova famiglia: in tali casi, infatti, il divorzio sarà davvero un modo più veloce per dare un taglio al passato (si pensi ai matrimoni durati pochi anni, da cui non siano nati figli e nei quali ciascuno abbia una propria indipendenza economica);
  2. quando la coppia, già reduce da una separazione consensuale nella quale abbia saputo raggiungere degli accordi soddisfacenti, sia in grado di fare lo stesso col divorzio: il tal caso, la nuova legge potrà permettere alle coppie e alle famiglie di riprendere in mano la propria vita su nuove basi.

Contro. Ben pochi vantaggi, invece, riusciamo ad individuare in tutti i casi in cui sia ancora in corso tra i coniugi una causa di separazione. Ci chiediamo, infatti: in caso di separazione giudiziale in cui marito e moglie si fanno la guerra sulla misura dell’assegno, beni da spartire, affidamento o diritto di visita dei figli, sarà difficile pensare a una domanda di divorzio che preveda accordi condivisi.

            Crediamo, invece, che un modo per dare maggior coerenza a questa riforma sarebbe stato (ma potrebbe essere ancora) quello di accompagnarla a politiche di sostegno alla coppia in crisi. Politiche che favoriscano (anche sul piano economico) la scelta strumenti alternativi alla guerra in tribunale e in grado di mettere i coniugi in condizione di fare insieme le scelte migliori per la famiglia che si trasforma, scelte che nessun avvocato né giudice potrebbe fare nel modo che essi sentono più giusto per loro.

            Pensiamo alla possibilità, ora preclusa ai soggetti meno abbienti, di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato qualora preferiscano separarsi o divorziare con il nuovo istituto della negoziazione assistita pensiamo al diritto collaborativo, uno strumento prezioso per gestire separazioni e divorzi in cui non ci sono né vincitori né vinti, e che, nonostante sia sperimentato con successo in molti altri Paesi, viene guardato ancora con molta diffidenza in Italia. {counseling nel consultorio familiare. Soprattutto prima di adire alla separazione. -ndr}

            La libertà è una conquista, ma non ci può essere libertà nella sola possibilità di anticipare una richiesta di divorzio se, poi, la maggior parte dei nodi del conflitto resta ancora da sciogliere.

Maria Elena Casarano          la legge per tutti         12 maggio 2015

                                   www.laleggepertutti.it/88032_divorzio-breve-non-e-tutto-oro

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

«Sì alla diagnosi sugli embrioni». Ma la Corte indicherà i criteri.

Lanci d’agenzia, ieri sera, avevano annunciato la completa liberalizzazione della diagnosi genetica pre impianto a beneficio delle coppie con malattie ereditarie. Oggi, invece, un comunicato della Consulta ha precisato i termini della questione: l’accesso alla fecondazione in vitro e alla conseguente diagnosi pre impianto non è permesso a tutte le coppie che soffrono di patologie ereditarie, ma solo a quelle predisposte a generare embrioni con malformazioni tali da sottoporre la gestante a gravi rischi.

            “La Corte costituzionale – così recita la breve nota – nella camera di consiglio del 14 maggio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili”.

            Ma attenzione: queste malattie, precisa la corte, devono essere rispondere “ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, ed essere “accertate da apposite strutture pubbliche”. Nella sostanza, dunque, la Consulta aggiunge una categoria di fruitori della provetta: non più solo le coppie sterili o infertili, ma anche quelle con particolari patologie genetiche. E, per determinare queste ultime, fa riferimento ai casi in cui la legge italiana permette il cosiddetto “aborto terapeutico”, praticabile entro i primi 3 mesi di gravidanza.

            Vale a dire a tutte le situazioni in cui “siano accertati processi patologici – così recita l’art. 6, comma 1, lett. b), della legge 194/78 – tra cui quelli relativi a rilevanti malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

            Ció significa che gli embrioni non potranno essere eliminati solo in quanto astrattamente idonei a sviluppare una più o meno seria malattia ereditaria, ma solo nei casi in cui la patologia di cui potrebbero soffrire sarebbe in grado di incidere gravemente sulla salute della madre. Fermo restando che questo pericolo, fa capire la Corte, dovrà essere accertato con estremo rigore.

            Per saperne di più, bisognerà però attendere il deposito della sentenza: solo allora sarà possibile leggerne il dispositivo e le motivazioni che lo fondano.

            Il commento del Movimento per la Vita. Dopo le prime indiscrezioni di ieri il comunicato rilasciato stamattina dall’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale deve aver raffreddato parecchio gli entusiasmi di quanti avevano ieri cercato di cavalcare la sentenza distorcendone il significato, quasi fosse una liberalizzazione della selezione a fini eugenetici.

            «La Corte si è premurata di precisare che in nessun caso si potrà andare oltre alle condizioni già previste per l’aborto oltre i 90 giorni», spiega Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita «e cioè quando ‘siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna’.».

            «Se certamente viene confermata l’apertura eugenetica già presente nella L. 194\1978, non vi è peraltro alcun allargamento dei paletti previsti, con la previsione inoltre che l’accertamento delle condizioni patologiche dell’embrione possa essere effettuato solo da strutture pubbliche autorizzate».

            «Siamo quindi ben lontani quindi dai sogni dei radicali e di chi fa affari sulla provetta selvaggia, con alti costi per le pazienti e bassi indici di risultato. Di fronte alle nuove sfide – conclude Gigli – il Movimento per la vita continuerà a lavorare per prevenire l’aborto, aiutare le gestanti in difficoltà, favorire l’adozione, promuovere una cultura rispettosa della vita».

            Marcello Palmieri      Avvenire         15 maggio 2015

www.avvenire.it/Vita/Pagine/fecondazione-sentenza-consulta-malattie.aspx

Consulta ammette diagnosi preimpianto. Gambino: è selezione genetica.

E’ illegittima la legge che vieta l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili, ma portatrici di patologie genetiche. E’ questa, secondo indiscrezioni riprese da fonti di stampa, la decisione presa dalla Corte Costituzionale in merito alla norma inserita nella legge 40 sulla procreazione assistita. Il pronunciamento si riferisce a due procedimenti avviati da due coppie portatrici di anomalie genetiche. Ora bisogna attendere le motivazioni della sentenza.

Su questo provvedimento della Consulta, Amedeo Lomonaco ha chiesto un commento al giurista Alberto Gambino.

R. – Si dice che ci sono alcune coppie che tecnicamente possono procreare, ma poiché hanno delle patologie genetiche che sono trasmissibili ai figli, in questo caso avrebbero una sorta di “sterilità sociale”, non biologica. Quindi, per queste coppie, ci si pone il problema se anziché concepire naturalmente – con la possibilità che il feto abbia queste patologie e la coppia poi possa ricorrere un domani all’interruzione della gravidanza – queste coppie si possano considerare come quelle affette da sterilità e quindi consentire loro l’accesso alle tecniche di fondazione e a questo punto, di conseguenza, ammettere questa cosiddetta diagnosi preimpianto che può monitorare lo stato di salute dell’embrione.

D. – Quali derive può aprire questa diagnosi preimpianto?

R. – Derive di due tipi. Occorre intanto fare attenzione che la diagnosi preimpianto non vada comunque a menomare l’embrione. Bisogna poi capire cosa poi comporta come conseguenze, perché – ahimè – la possibilità di rilevare patologie sono infinite, ma non è detto affatto che queste si riverberino poi sul feto e sul bambino una volta nato. Ci sono tantissimi casi di piccole patologie. A cosa possano poi condurre? Al rifiuto di quell’embrione?

D. – Questa è una decisione figlia di una società che tende a creare nuovamente e continuamente pseudo diritti. Dopo quello ad avere comunque un figlio, si vuole aggiungere anche questo: avere un figlio sano.

R. – Questo in realtà, già per gran parte è stato superato dalla legge 194\1978: con una legge che consente l’interruzione della gravidanza, soprattutto dopo il terzo mese dove ci sono delle lesioni psico-fisiche della donna provocate anche dalle patologie che può avere il feto. Già in quella legge c’era questo bilanciamento che sacrificava la vita umana in nome di una “perfezione” che in quel caso poteva non esserci. Quindi la legge 40\2004 inevitabilmente si confronta con quella legge 194\1078 e sembrerebbe che oggi i giudici costituzionali abbiano trovato una via d’uscita che però, evidentemente, significa l’eliminazione di quell’embrione che non ha tutte le qualità biologiche come dovrebbe essere.

D. – Dopo questo ulteriore passaggio la legge 40\2004 è demolita o il suo impianto generale resta in parte ancora coerente?

R. – La Legge 40\2004 aveva un’altra impostazione; non era un assegnare dei diritti ad avere dei figli, ma piuttosto voleva rimuovere alcuni ostacoli per chi questi figli non li poteva avere. Invece, soprattutto con l’apertura alla fecondazione eterologa che significa avere un figlio geneticamente non proprio, si apre la possibilità anche di scegliere i figli attraverso, a questo punto, la diagnosi preimpianto. Qui il tema è delicatissimo perché rischiamo di aprire ad una selezione anche di quelli che sono i tratti genetici dei figli, l’intelligenza e tutta una serie di riferimenti. Davvero, non vorremmo fosse così.

Bollettino radiogiornale radio vaticana 15 maggio 2015              http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

15 motivi per dire no alla maternità surrogata.

Sul quotidiano francese Libération la lettera contro l’utero in affitto. La sinistra italiana tace…

            Avevamo parlato pochi giorni fa del movimento culturale che si sta sollevando per una moratoria internazionale contro la pratica dell’utero in affitto, un vero e proprio business che rende le donne povere schiave e i bambini dei meri prodotti da commerciare col ricco Occidente. Avvenire questa mattina riporta come sul prestigioso e ultraprogressista giornale francese “Libération” sia comparso un appello firmato da oltre 160 personalità e associazioni per chiedere proprio di bandire dal mondo questa prassi disumana. L’iniziativa – e questo è interessante e anche positivo – parte da un network di laici degli USA ma comprende anche nomi eccellenti europei come la filosofa Sylviane Agacinski e l’eurodeputato Verde anti OGM José Bové e il pensatore anticristiano Michel Onfray. Adesioni da tutto il mondo a:

 www.stopsurrogacynow.org

Nel documento vengono elencati tutti i possibili rischi che possono subire le donne che si sottopongono alla pratica della maternità surrogata: Sindrome da iperstimolazione ovarica, la torsione ovarica, perdita di fertilità, tumore canceroso al sistema riproduttivo, coaguli sanguigni, insufficienza renale, arresto cardiaco e in rari casi anche la morte, rischio elevato di pre-eclampsia (sindrome legata alla gravidanza), ipertensione.

            Ma la vita non è facile neppure per i nascituri: nascita prematura, decesso alla nascita, peso insufficiente alla nascita, malformazioni del feto, pressione arteriosa elevata.

            Sulla scia dei tanti studi che hanno documentato la profondità umana, fisiologica e psicologica del legame che s’instaura fra madre e neonato, come quelli effettuati da John Bowlby, la petizione sottolinea l’effetto abominevole della gravidanza surrogata che: «rompe l’attaccamento materno naturale che si stabilisce durante la gravidanza, un legame che i professionisti della medicina incoraggiano e cercano di rafforzare di continuo, il legame biologico fra madre e bambino è innegabilmente di natura intima e, quando interrotto, le conseguenze sono durature per entrambe le parti».

Insomma, a parte l’Italia, qualcosa nel panorama laico internazionale si muove.

            Lucandrea Massaro  Aleteia                                               14 maggio 2015

www.aleteia.org/it/salute/articolo/15-motivi-per-dire-no-alla-maternita-surrogata-5824668321710080

Pescara, gravidanza da eterologa grazie a ‘egg-sharing’

Una gravidanza è stata ottenuta a Pescara con la fecondazione eterologa, in particolare grazie all’egg-sharing, cioè la condivisione di ovociti sovrannumerari fra donne che si sono sottoposte a trattamenti di stimolazione ormonale per la procreazione medicalmente assistita.

“A Pescara abbiamo notato una maggior propensione verso questa metodologia di donazione, mentre sono ancora pochissime le persone che vogliono donare gameti per semplici fini altruistici.

In ogni caso abbiamo ottenuto una gravidanza, attualmente al secondo mese, in una donna con meno di 40 anni affetta da menopausa precoce”, annuncia all’Adnkronos Salute Andrea Borini, presidente dei centri Tecnobios, la cui equipe opera a Villa Serena, nel capoluogo abruzzese. “A Pescara – prosegue Borini – forse perché sono più giovani, le donne sono maggiormente disposte a ‘condividere’ i loro ovociti in sovrannumero.

E’ un gesto molto importante, anche se questo tipo di donazioni non riesce a soddisfare tutte le richieste: solo nei nostri centri ci sono 400 persone in lista di attesa, e una parte sta cercando di andare all’estero perché i tempi si stanno davvero allungando”.

“Qualche donna ci ha scritto ed è anche venuta nel nostro centro – evidenzia – per saperne di più sulla possibilità di donare i suoi ovociti: le abbiamo visitate e sottoposte a tutti gli esami.

Una è risultata affetta da una patologia genetica che ne ha richiesto l’esclusione, un’altra aveva una bassa riserva ovarica, un’altra ha capito che il percorso non è semplice: stimolazione ormonale con i farmaci, intervento in anestesia, permesso dal lavoro non retribuito.

Sono tutti elementi che spaventano. E nemmeno fra gli uomini – conclude – abbiamo notato una grande facilità alla donazione”.

AdnKronos Salute     8 maggio 2015                       www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=28642

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

                        L’Italia per la famiglia spende poco e male.

               Per il sostegno alla famiglia ed alla natalità l’Italia spende l’1,4% del Pil contro il 2,2% speso dagli altri Paesi europei: 363 euro a cittadino contro una media di 571. Questi dati che vengono riportati oggi dal Centro studi di ImpresaLavoro dovrebbero far riflettere.

               Non che l’Italia spenda poco per il welfare, anzi spende più della Germania, della Francia e di buona parte dei Paesi europei, ma spendiamo male inseguendo mille rivoli diversi. Dare risorse alla famiglia, come fanno i partner comunitari, consentirebbe di seguire tutti questi rivoli con maggior efficacia e minor costo.            Comunicato stampa                12 maggio 2015         www.forumfamiglie.org/comunicati.php

            Fermate gli uteri in affitto. Il Forum aderisce alla petizione internazionale

La pratica della maternità surrogata, ultimo (almeno per ora) gradino dell’aggressione alla vita umana che riscopre l’antica arte dello schiavismo, sembra destinata a diventare il nuovo diritto inalienabile.

Questa volta, per fortuna, il “no” arriva da un inedito coro di voci. È il caso della nuova vibrante petizione pubblicata lunedì in Francia dal quotidiano della sinistra Libération, che si aggiunge alle autorevoli voci del’ femminismo internazionale.

La petizione francese rilancia un’iniziativa laica appena lanciata negli Stati Uniti da un network informale di oltre 160 personalità e associazioni di 18 Paesi intitolata Stop surrogacy now (Fermare subito la maternità surrogata).

Questa stessa iniziativa è stata fatta propria questa mattina dal quotidiano Avvenire. Anche il Forum sente di condividerla come associazione ma anche come singoli aderenti ed invita pertanto a sottoscriverla on line sul sito www.stopsurrogacynow.org.

Comunicato stampa 14 maggio 2015                       www.forumfamiglie.org/comunicati.php

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa: “Permesso, scusa, grazie” e la famiglia è solida e felice

Nella vita di coppia e di famiglia tre sono le parole indispensabili a una vita felice e salda, dove amore reciproco e rispetto hanno la meglio sugli atteggiamenti che minano il rapporto: “permesso”, “scusa”, “grazie”. Lo ha riaffermato Papa Francesco durante la catechesi dell’udienza generale, tenuta in Piazza San Pietro.

Nella casa della buona educazione può abitare Dio o il demonio, dipende. Dipende dalle persone che vivono in quella casa, se nutrono un rispetto reciproco pieno e voluto o se fanno sfoggio di carinerie come paraventi per camuffare indifferenza e altre bassezze, o magari la “mondanità spirituale” in ambito religioso. La cartina di tornasole per capire se le fondamenta di quella casa sono di roccia o sabbia sono le tre parole rese celebri da Francesco – “permesso”, “grazie”, “scusa” – sulle quali il Papa imposta la catechesi e con la quale, spiega, intende iniziare “una serie di riflessioni sulla vita in famiglia”.

Buona educazione, non buone “maniere”

La prima considerazione è sulla buona educazione in quanto tale. Può essere “mezza santità” – secondo l’espressione di Francesco di Sales – oppure, afferma Francesco, “maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro”, in una parola “cattive abitudini”: “Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere – ma è proprio un signore, un cavaliere – e cita le Sacre Scritture, sembra un teologo. Il suo stile appare corretto, ma il suo intento è quello di sviare dalla verità dell’amore di Dio. Noi invece intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro. La famiglia vive di questa finezza del voler bene”.

Chiedere gentilmente, non pretendere

Quindi, Francesco passa a soppesare la forza d’urto, tutta improntata al bene, che le tre parole hanno sulla vita di coppia e di famiglia. Dire “permesso”, cioè preoccuparsi “di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere”, fa sì – osserva – che si ponga un “vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare”: “Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato (…) Prima di fare una cosa in famiglia: “Permesso, posso farlo? Ti piace che io faccia così?”. Quel linguaggio proprio educato ma pieno d’amore. E questo fa tanto bene alle famiglie”.

Un cristiano che non sa ringraziare ha dimenticato la lingua di Dio. Soffermandosi sulla seconda parola, “grazie”, Francesco stigmatizza il fatto che la nostra stia diventando una “civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole”, dove chi ringrazia passa per debole ed è addirittura guardato con “diffidenza”. Qui il Papa è netto: “Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe di qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio”.

Mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia. Terza, la parola difficile, “scusa”. Quella la cui mancanza allarga le “piccole crepe” che esistono in un rapporto facendole diventare “fossati profondi”. La riflessione del Papa è semplice e assolutamente universale: “Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione”. Ma “se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare”: “Se avete litigato mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia. E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così. E l’armonia familiare torna, eh! Basta una carezza! Senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace. Capito questo? Non è facile, eh! Ma si deve fare. E con questo la vita sarà più bella”.

E alla fine, come fossero note di uno spartito da imparare a memoria, i 25 mila fedeli riuniti in Piazza San Pietro diventano un “coro” diretto dal Papa che ripete e scandisce le tre parole speciali e il principio della pace in famiglia, che non tramonti il sole prima che sia ristabilita.

Alessandro De Carolis          Bollettino radiogiornale radio vaticana 13 maggio 2015

 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

testo ufficiale              http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-.francesco_20150513_udienza-generale.html

Giornata Comunicazioni Sociali. Il Papa: comunicare bellezza famiglia.

Si celebra la 49.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema “Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro, nella gratuità dell’amore”.

            Famiglia, primo luogo dove impariamo a comunicare. Nel suo messaggio per la Giornata, diffuso il 23 gennaio 2015, Papa Francesco ricorda che la famiglia è il “primo luogo dove impariamo a comunicare”, sin dal grembo materno. L’incontro mamma-bambino è “la nostra prima esperienza di comunicazione” che accomuna tutti. “Non esiste la famiglia perfetta – osserva – ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva”. Anzi, il perdono “è una dinamica di comunicazione” e la famiglia “diventa una scuola di perdono” perché è il luogo in cui ci si vuole bene oltre i limiti “propri e altrui”.

            Guidare, non lasciarsi guidare dalle tecnologie, In questo contesto, i media, “ormai irrinunciabili” – dice Papa Francesco – possono ostacolare la comunicazione in famiglia se significano “sottrarsi all’ascolto, isolarsi dalla compresenza fisica” ma possono anche favorirla se “aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani” e “a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro”. Per questo è necessario guidare le tecnologie anziché farsi “guidare da esse”.

            Famiglia non sia terreno di battaglie ideologiche. La famiglia – si legge ancora nel messaggio – “continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione in crisi”, aldilà di come tendono a volte a presentarla i media, quasi fosse un modello “astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato”. Non sia dunque terreno di “battaglie ideologiche”. La famiglia più bella “è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli”. Promuovendo la famiglia – conclude il Papa –  “non lottiamo per difendere il passato ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro”.

Sergio Centofanti.

            Ma qual è la particolarità del Messaggio del Papa per questa Giornata? Intervista a don Enrico Cassanelli, docente di teoria e tecnica del linguaggio televisivo, e a Paola Springhetti, docente di giornalismo. Entrambi insegnano presso la Pontificia Università Salesiana:

            R. – Quella di aver spostato nella Giornata mondiale della comunicazione il tema non tanto sui mezzi, sulle modalità, quanto piuttosto sui soggetti della comunicazione: è una rivoluzione veramente interessante. Se chi comunica non è consapevole di questo suo potere, di questa sua possibilità, tutto il resto, le tecniche, gli ambiti, gli strumenti sono secondari.

            D. – Come viene raccontata oggi la famiglia, secondo lei?

            R. – Purtroppo non è un quadro consolante, perché normalmente si ricercano immagini di famiglia possibilmente trasgressive per incuriosire le persone o comunque irreali oppure modelli di famiglia utopici che servono alla pubblicità per vendere un prodotto e non per veicolare un modello relazionale possibile alle persone comuni.

            D. – Paola Springhetti, qual è la chiave particolare del messaggio di quest’anno incentrato sulla famiglia?

            D. – È un messaggio da una parte molto semplice, dall’altra molto intenso che arriva al cuore del problema. Oggi credo che la sfida sia davvero quella di riuscire a raccontare questa famiglia, a renderla un soggetto ancora desiderato – in realtà è molto desiderato, anche se spesso lo si nega – ma comunicarne tutta la bellezza e il fatto che vale anche la pena impegnarsi per costruirla anche se magari a volte può sembrare difficile.

            D. – Nel messaggio del Papa leggiamo: “I media tendono a volte a rappresentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o da attaccare invece che una realtà concreta da vivere”. Questo è un problema?

            R. – Sì, credo che questo sia effettivamente un grosso problema. In realtà ognuno di noi ha sperimentato che la famiglia è una costruzione quotidiana che si mettendo un mattoncino dopo l’altro, facendo la manutenzione dei rapporti fra i membri della famiglia stessa, coltivando il dialogo, essendo disponibili all’ascolto degli altri, cercando di condividere davvero la vita e le esperienze. In questo senso, ogni famiglia è diversa dall’altra, però tutte le famiglie sono uguali perché sono il luogo dove le diversità si incontrano e si aiutano vicendevolmente a crescere.

            D. – I mezzi di comunicazione aiutano la comunicazione in famiglia o interferiscono negativamente?

            R. – Una volta l’immagine prevalente era questa: tutti i membri della famiglia seduti sul divano davanti alla televisione. Oggi l’immagine è quest’altra: ognuno nella propria stanza o magari anche davanti alla televisione, però con uno schermo in mano oltre a quello televisivo; che poi sia un cellulare, un tablet, un videogioco, però, di fatto, c’è questa estrema frammentazione. Allora si può vivere tutto questo valorizzando le potenzialità dei vari strumenti di comunicazione. Su WhatsApp i membri della famiglia scherzano, condividono le cose, si tengono in contatto anche quando non si è vicini fisicamente e questo è il lato positivo; però, se quando si è insieme ognuno sta su WhatsApp con altre persone, allora qualcosa non funziona. Oggi serve davvero una grossa informazione per i genitori e più in generale per gli educatori, perché ci aiutino ad usare gli strumenti di comunicazione per stare insieme e per comunicare fra di noi, oltre che per comunicare la famiglia al mondo. Bisogna saper scegliere e fare questa operazione che non è scontata. Qui però passa il crinale: da una parte c’è la capacità di usare gli istrumenti di comunicazione per i propri fini e dall’altra c’è il lasciarsi trascinare dagli strumenti di comunicazione in un isolamento che sicuramente porta la famiglia a disgregarsi.

            D. – Don Enrico, come la televisione ha influito nelle relazioni famigliari?

            R. – Mentre la televisione rappresentava una finestra sul mondo – anche se chi citava questa espressione la metteva tra virgolette perché non sempre era una vera e propria finestra – con la neotelevisione questa finestra si è opacizzata; è diventata uno specchio: le persone guardano la televisione non perché sono interessati agli altri come persone differenti da loro, ma quanto per specchiarsi – in qualche maniera – nelle altre persone, confrontarsi, rivaleggiare … Quindi, questo offuscamento è stato secondo me molto pericoloso. In una sua lettera del ’91 – la lettera pastorale molto famosa “Il lembo del mantello” di Martini – che in qualche modo è nella filigrana del discorso del Papa di quest’anno, c’è una terza metafora che a me sembra molto interessante che è far si che il mezzo di comunicazione sociale non sia la finestra, non sia assolutamente specchio, ma diventi una porta che apre al contatto con gli altri: l’informazione è sana, costruttiva, se fa sì che le relazioni si fortifichino all’interno – prima di tutto – del nucleo famigliare e poi sia anche uno stimolo a uscire a confrontarsi con gli altri, a dialogare e magari – in qualche caso – ad impegnarsi concretamente per chi si trova in difficoltà. In questo senso allora la comunicazione sociale acquisisce il suo valore reale anche secondo le indicazioni del Papa.

Fabio Colagrande                  Bollettino radiogiornale radio vaticana 17 maggio 2015

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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GAZZETTA UFFICIALE

Divorzio breve.

               In G.U. n. 107 dell’11 maggio 2015 è pubblicata la Legge 6 maggio 2015 n. 55: Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi, vigente al 26 maggio 2015.                  www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/05/11/15G00073/sg

 

A breve, dunque, saranno pienamente operative le novità approvate in via definitiva il 22 aprile scorso dalla Camera che consentiranno alle coppie di dirsi addio al massimo in 12 mesi, che diventano 6 in presenza di accordi consensuali.

Novità che riguardano, peraltro, un “esercito” di ben 50mila coppie che divorziano ogni anno in Italia e di altre 90mila che si separano.

Ecco i punti chiave della riforma:

  1. 1 anno per dirsi addio in sede giudiziale. Con la modifica dell’art. 3 della l. n. 898/1970, la riforma riduce notevolmente i tempi della separazione. In luogo dei tre anni prima previsti, ora, infatti, in caso di separazione giudiziale, basterà 1 anno per porre fine al matrimonio. Il termine decorre sempre dalla comparsa dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale. Rimane fermo, inoltre, il requisito della mancata interruzione: la separazione dovrà essersi “protratta ininterrottamente” e l’eventuale sospensione dovrà essere eccepita dalla parte convenuta.
  2. 6 mesi per la consensuale. Il termine di un anno si riduce, ulteriormente, a sei mesi, secondo il nuovo testo dell’art. 3 lett. b), n. 2 della l. n. 898/1970, nelle separazioni consensuali. Ciò avverrà indipendentemente dalla presenza o meno di figli e anche se le separazioni erano nate inizialmente come contenziose.
  3. Comunione sciolta prima, L’art. 2 della l. n. 55/2015 aggiunge un comma all’art. 191 c.c. andando così ad anticipare il momento dello scioglimento della comunione tra i coniugi. Finora previsto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, lo scioglimento, infatti, avverrà nel momento in cui “il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati” (all’udienza di comparizione, per le separazioni giudiziali), ovvero “alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato” (per le consensuali). L’ordinanza, inoltre, con la quale i coniugi vengono autorizzati a vivere separata deve essere inviata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione dei beni sull’atto di matrimonio.
  4. Processi in corso. Altro punto cardine della riforma è l’applicazione dei nuovi termini per la domanda di divorzio e lo scioglimento della comunione legale, anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 55/2015. Pertanto, le regole saranno valide anche per le separazioni personali pendenti al 26 maggio 2015.

Marina Crisafi              StudioCataldi     www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_18331.asp

Bonus Bebè anche alle famiglie affidatarie

            Il Bonus Bebè definito con la legge di stabilità 2015 è previsto anche per la famiglia affidataria pre-adozione di un bimbo nato a partire dal 1° gennaio 2015 sino al 31 dicembre 2017.

            Si rammenta che i minori in affidamento temporaneo sono considerati nuclei familiari a sé stanti fatta salva la facoltà del genitore affidatario di considerarli parte del proprio nucleo.

E l’ISEE di riferimento è quello del minore affidato, anche qualora questi sia considerato nucleo a sé stante.

            Lo illustra il DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) 27 febbraio 2015, all’art. 5 comma 6 nelle Disposizioni necessarie per l’attuazione dell’articolo 1, comma 125, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)».                                         www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/04/10/15A02749/sg

                        vedi circolare dell’INPS n. 93, 8 maggio 2015

www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualURL=/Circolari/Circolare%20numero%2093%20del%2008-05-2015.htm&iIDDalPortale=&iIDLink=-1

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GENDER

Gender e Chiese: dove sta l’ideologia?

«Oggi come sempre le Chiese sono poste di fronte a questa sfida: accettare la vita reale delle persone. Quelle persone che cercano anche di fronte a Dio di riconoscere lo statuto della propria identità.»

            La Chiesa cattolica lancia il grido d’allarme sulla questione dell’identità sessuale, lasciando intendere che si voglia introdurre nell’educazione dei giovanissimi una sorta di «disordine sessuale» che metterebbe a soqquadro l’ordine creato da Dio. Ma una riflessione sulla costruzione sociale dell’identità sessuale è oggi quanto mai necessaria.

            Partiamo da una premessa chiara: non esiste una «ideologia del gender» né un attacco concertato sul piano scolastico per introdurre una nuova idea di identità sessuale. Invece fa parte dello sviluppo della comprensione umana e della consapevolezza di sé, una comprensione più sfumata e articolata dell’esistenza, che parte anche dall’esperienza sofferta di persone che patiscono un corpo in contrasto con sé.

            Grandi dichiarazioni epocali da parte della Chiesa cattolica e addirittura di papa Francesco danno a questa discussione sull’identità un tono di pericolo, denunciando la perdita del riferimento alla differenza tra uomo e donna e di conseguenza il disordine sessuale in agguato, pronto a scompigliare tutto il mondo creato da Dio. Non si mette in discussione una comprensione classica della creazione alla base della differenza uomo-donna. Non si vuol vedere nei racconti della Genesi una scoperta della pluralità dell’essere umano, creato in relazione fin dal principio. Ci si attesta invece su un’antropologia che fissa dei paletti, per paura di veder crollare il proprio mondo religioso.

            Come protestanti, peraltro, non possiamo non vedere nella riflessione sulla costruzione sociale dell’identità sessuale un ulteriore sviluppo del pensiero storico critico, che ci ha insegnato a riconoscere i segni che lasciano i contesti culturali e storici sulle esistenze umane. In passato la costruzione culturale del diverso, dell’altro, dell’eretico, si è affermata come estremo meccanismo negativo che ha visto tante persone soccombere al sospetto e ai roghi, oppure alla schiavizzazione in quanto esseri subumani. Nel presente spesso le identità sono costruite attraverso i meccanismi ora meglio conosciuti delle immagini mediatiche e della pubblicità. La riflessione sulla distanza tra corpo biologico, identità sessuale, orientamento sessuale, ha semmai il vantaggio di non essere una costruzione culturale ma di voler scavare fino alla radice della «distonia di genere», di quella sofferenza di sé che è molto concreta e porta a rifiutare il proprio corpo fino all’estremo del suicidio.

            In una società così poco tollerante delle differenze come quella italiana, introdurre una riflessione su quanto le persone posso essere diverse da ciò che appaiono è solo un arricchimento, non un pericolo.

            Tradizionalmente, certo, la differenza fra uomo e donna fondata sui racconti della creazione è servita a dare un ordine alla società, creando, il più delle volte, una verticalità di dominio. Oggi lo stesso ordine ci viene proposto come relazione di reciprocità e complementarietà. Ma non dobbiamo fare ingenuamente a meno dei «maestri del sospetto» che nel ‘900 hanno dato una svolta al pensiero umano, mostrando come ogni proposta culturale nasconda questioni di potere (in questo caso il mantenimento della posizione predominante maschile, in particolare nella Chiesa) e soprattutto mostrando come ogni persona abbia in sé elementi di femminile e di maschile, combinati in modi diversi.

            Ogni tentativo di misurare e di organizzare il maschile e il femminile nelle esistenze umane crea barriere che opprimono e schiacciano coloro che non si possono riconoscere, in una fase della loro vita, nelle misure proposte. Così per esempio viene definita l’identità «queer» che cerca di uscire da definizioni sessuali troppo rigide e ingabbianti: «Chi è queer non è eterosessuale, non è gay, non è lesbica, non è bisessuale, non è transessuale o transgender, non accetta cioè che la propria identità sia compresa, parzialmente o interamente, dentro uno di questi termini, ma intende segnalare la propria fluidità in termini di genere e di scelte sessuali. Il termine queer viene scelto per significare in maniera radicale la singolarità del proprio desiderio» (G. Gugliermetto in Protestantesimo 68:3-4, 2013, p. 261-272).

            Fluidità dell’identità sessuale e del desiderio è la prima questione con cui ci troviamo a confrontarci, anche se la teologia fa fatica ad accettare che il desiderio umano abbia statuto di valore positivo. Un secondo termine con cui dobbiamo confrontarci è quello dell’identità in transito: un transito, per esempio, da un’identificazione di sé come maschio a una come femmina (o viceversa), che non va necessariamente a toccare però anche la sfera dell’orientamento sessuale.

            Insomma la Chiesa e la teologia sembrano porsi oggi come i difensori di un ordine creazionale che si sta intanto sbriciolando e che per esempio, visto con occhi postcoloniali da studiosi/e e testimoni di un mondo altro (asiatico, amerindio, africano) appare come un ordine che è stato imposto come violenza coloniale e come portato occidentale su realtà preesistenti molto variegate e meno fissate sul dare un nome a ogni esperienza del desiderio umano.

            Un tale sguardo post-coloniale ci mostra ancora una volta quanto le definizioni di uomo e donna, di maschile e femminile, siano legate alla costruzione di sé del mondo europeo bianco e occidentale. A tal punto che per definire l’inferiorità di culture altre si è proceduto alla «femminilizzazione» degli individui – uomini e donne – di quella cultura.

            È poi da notare che anche nel corso della vita di ognuna e di ognuno esiste una fluidità del desiderio che ancora una volta sbriciola con la sua potenza limiti posti da un’ideologia dell’eterosessualità obbligatoria. Definizioni classiche come amicizia, filìa, eros, agape, ci appaiono oggi come tentativi di dare un nome alla capacità umana di entrare in relazioni significative e impegnative.

            Oggi come sempre le Chiese sono poste di fronte a questa sfida: accettare la vita reale delle persone. Quelle persone che cercano anche di fronte a Dio di riconoscere lo statuto della propria identità. L’altra opzione che è possibile per le Chiese è quella di cercare di imporre ancora una volta l’ideologia coloniale dell’eterosessualità obbligatoria. Ma la vita delle persone prevale e chiede di essere riconosciuta nella sua fluidità.

            Non è un caso che quest’anno il versetto biblico scelto per le veglie di preghiera contro l’omofobia sia tratto dal Salmo 139, 14: «Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo». Un versetto che parla dell’accettazione di sé come opera di Dio, qualunque sia la posizione di identità, genere, orientamento o corpo biologico in cui ci si trova. Oggi, le persone queer insegnano alla Chiesa a lodare Dio da tutte le posizioni, da tutti i margini, da tutti i nascondigli in cui la Chiesa ha costretto le persone a rinchiudersi, e che vengono invece aperti dalla grazia di Dio che accompagna ognuno/a nel proprio transito, nel cammino e nella fluidità dell’esistenza, rompendo le imposizioni del potere sui soggetti soggiogati e ridando voce ai senza parola, anche attraverso l’affermazione di sé con la manipolazione del proprio corpo.

            Letizia Tomassone pastora valdese  Confronti Comunità di base 16 maggio 2015

www.cdbitalia.org/2015/05/08/gender-e-chiese-dove-sta-lideologia-di-l-tomassone

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GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FAMIGLIA

            La famiglia, rete di sicurezza nel tempo della crisi.

            A Palazzo Chigi la celebrazione della XXI Giornata internazionale indetta dall’Onu.

Non ha dubbi il presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari Francesco Belletti. «Il tema della “equità generazionale” è seguito con grande attenzione a livello europeo per i due estremi che presenta: da un lato la questione demografica e il blocco della natalità, considerato anche a livello europeo un freno allo sviluppo, e dall’altro la condizione degli anziani, nella duplice sfida della questione previdenziale e della sostenibilità dei sistemi di cura socio-sanitari». Lo ha affermato questa mattina, venerdì 15 maggio2015, aprendo a Palazzo Chigi l’incontro di celebrazione della XXI Giornata internazionale della famiglia indetta dall’Onu, dedicata al tema “Il futuro del Paese è nell’alleanza tra le generazioni”.

            Alla presenza di diversi esponenti dell’esecutivo, del Dipartimento delle politiche per la famiglia e dell’associazionismo familiare italiano, Belletti ha rimarcato come «il blocco della natalità sia considerato un freno allo sviluppo e comunque una minaccia all’equilibrio intergenerazionale sociale ed economico», mentre per quanto riguarda i sistemi di cura socio-sanitari «l’impressionante aumento della speranza di vita anche in età molto avanzata, con la connessa progressiva perdita di autonomia e aumento dei bisogni di cura, pongono questioni di sostenibilità economico-sociale di tali sistemi oltre che di protezione degli anziani dalla povertà, una volta usciti dal lavoro».

            Di fatto le reti familiari e la loro «capacità solidaristica», a detta di «tutti gli osservatori più avveduti, sia italiani che stranieri», sono state l’unica salvaguardia negli ultimi, «durissimi» anni di crisi, limitandone in maniera decisiva l’impatto sociale. Le famiglie, ha evidenziato Belletti, «sono state capaci di offrire sostegno, aiuto e protezione ai giovani senza lavoro, agli anziani con pensioni basse e con servizi socio-sanitari spesso di bassa qualità. Fino ad arrivare alla retorica della famiglia come “primo e più importante ammortizzatore sociale” nel nostro Paese».

            Immancabile il riferimento, nell’intervento del presidente del Forum famiglia, al tema dei “bamboccioni”, «impietosa espressione di un ministro che per la sua rudezza conquistò i titoli dei giornali» e all’«iperprotezionismo dei genitori, e soprattutto delle madri, nei confronti dei propri figli adulti, il famoso “mammismo” del Bel Paese». A livello europeo, ha rilevato, le famiglie italiane «sono quelle che generano maggiori reti di solidarietà informale» anche se «l’Italia spende molto meno di altri Paesi per le politiche familiari: da noi l’1,4% del Pil, mentre la media Ue è tra il 2,3 e il 2,4 e alcuni Paesi sfiorano il 4%. Per essere in linea con lo standard europeo – ha notato – mancano tra i 15 e i 17 miliardi di euro».

            R. S. –Romasette       15 maggio 2015

www.romasette.it/la-famiglia-rete-di-sicurezza-nel-tempo-della-crisi

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MATERNITÀ

Mamme tardive.

Fattori culturali? In parte sì. Talvolta anche una scarsa consapevolezza. E questo, forse, è l’aspetto che colpisce di più. Ma non l’unico. Dietro alla mappa disegnata da Eurostat sull’età delle primipare nei 28 Paesi dell’Unione europea si disegna in filigrana una realtà complessa che tiene insieme economia e politiche sociali.

Partiamo dai numeri. La maggioranza delle donne europee (il 51,2%) partorisce il primo figlio in un’età compresa tra i 20 e i 29 anni, la media è di 28 anni e sette mesi. In Italia le mamme in questa fascia sono solo il 38%, la nostra età media è, infatti, di 30 anni e sei mesi. Siamo invece il Paese in Europa con il tasso più elevato di donne che fanno il primo figlio dopo i quarant’anni: 6,1%, contro una media europea del 2,8%. La maggioranza delle italiane, il 54,1%, partorisce per la prima volta tra i 30 e i 39 anni, contro una media Ue del 40,6%. Più numerose di noi in questa fascia di età sono solo le spagnole: sei su dieci. Nel gruppo delle mamme «ritardatarie» ci sono anche l’Irlanda (52,7%) e la Grecia (51,9%). Sono gli stessi Paesi in cima alla classifica delle mamme ultraquarantenni, oltre a essere quelli che hanno sofferto di più negli ultimi anni per la crisi economica.

Nella Vecchia Europa si distinguono la Francia, dove sei giovani su dieci partoriscono tra i 20 e i 29 anni e la Germania, dove il rapporto è 5 su dieci. Si difendono bene anche i Paesi del Nord Europa, ma il primato delle mamme giovani va ai Paesi dell’Est Europa.

Dare la colpa alla crisi sarebbe la scusa più facile, in realtà «ormai da parecchi anni l’età media delle donne che affrontano la prima gravidanza è più elevata rispetto al passato e le cause sono molteplici, incluse quelle congiunturali. Uno degli impatti della crisi economica in Italia è stato quello di spingere a posticipare la decisione di avere figli in attesa di una condizione lavorativa meno precaria», osserva Alessandra Casarico, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi ed esperta di temi di economia di genere. «Ma il problema è più ampio — prosegue — e coinvolge oltre alla partecipazione femminile al mondo del lavoro (c’è una correlazione tra bassa fecondità e bassa occupazione femminile) anche lo sviluppo dei servizi a sostegno della maternità.

E poi c’è quello che i demografi identificano come una rigidità tipicamente italiana nella programmazione dei figli». Lo spiega bene Giampiero Dalla Zuanna, professore di Demografia dell’Università di Padova: «Ci sono due tendenze che si sovrappongono. Da un lato la maternità tardiva è un fenomeno tipico dell’Occidente, dove donne e uomini accostano a quello della maternità/paternità anche altri desideri come realizzarsi nel lavoro e avere più tempo libero. È una fase della modernità come era stato per i babyboomer abbassare l’età in cui avere il primo figlio. Dall’altro lato, i Paesi della sponda sud del Mediterraneo così come il Giappone e la Corea del Sud, sono caratterizzati da legami di sangue molto forti e accomunati dalla tradizione culturale di attribuire una grande importanza ai figli. Questo impone condizioni indispensabili più stringenti per mettere al mondo un figlio: creazione di una famiglia, acquisto della casa, lavoro sicuro, tutti elementi che portano a posticipare la decisione. È difficile da noi vedere una studentessa-madre, nei Paesi del Nord non è così».

In più, osserva Dalla Zuanna c’è l’aspetto sociale: «In questi Paesi il figlio viene considerato come un bene privato e lo Stato investe poco sui bambini e sulle politiche di conciliazione. Basti pensare che in Italia un terzo dei bambini fino ai tre anni è affidato ai nonni».. E in effetti, osserva Casarico, «nel nostro Paese la spesa pubblica per la famiglia è pari a circa l’1,4% del Pil», contro al 5% della Francia, dove il numero di figli per donna è di 2 dal 1973 mentre l’Italia è scesa a 1,42.

«Certo la crisi economica ha reso più difficile avere figli — conclude Dalla Zuanna —. Ma il rinviare ha conseguenze molto più pesanti di quanto si creda, perché non è detto che poi a 40 anni le coppie che programmano un figlio riescano ad averlo. E, infatti, sono aumentate le richieste di adozioni in età tardiva. Talvolta la scelta di aspettare nasce da un’informazione non adeguata e si sottovaluta che la fertilità dopo i 30 anni diminuisce. È bene pensarci».

Francesca Basso        Corriere della Sera    15 maggio 2015

http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201505/150515basso.pdf

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PARLAMENTO

Camera          Comm. 2 Giustizia     Accesso dell’adottato alle proprie origini

Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità.

C. 784 Bossa, C. 1874 Marzano, C. 1343 Campana e C. 1983 Antimo Cesaro, C. 1901 Sarro, C. 1989 Rossomando, C. 2321 Brambilla e C. 2351 Santerini.

13 maggio 2015 La Commissione prosegue l’esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 7 maggio febbraio 2015.

Donatella Ferranti, presidente, avverte che sono stati espressi i pareri delle Commissioni I e XII e che pertanto la Commissione può procedere al conferimento del mandato al relatore a riferire in Assemblea.

Intervengono: Berretta Giuseppe, relatore, Bonafede Alfonso, Bossa Luisa, Buttiglione Rocco, Ferranti Donatella, Marzano Michela, Rossomando Anna, Santelli Jole, Sarro Carlo, Verini Walter.

Donatella Ferranti, presidente, ritiene che il relatore abbia già svolto un lavoro di sintesi più che soddisfacente anche sui punti sollevati nei pareri delle Commissioni I e XII. Naturalmente saranno presentati degli emendamenti in Assemblea che saranno esaminati dal Comitato dei nove, affrontando i tempi che questi porranno, così come avviene per ogni provvedimento.

La Commissione delibera di conferire il mandato al relatore, onorevole Giuseppe Berretta, di riferire in senso favorevole all’Assemblea sul provvedimento in esame.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=05&giorno=13&view=&commissione=02&pagina=data.20150513.com02.bollettino.sede00010.tit00020#data.20150513.com02.bollettino.sede00010.tit00020

Senato Comm. 6 Finanze   Misure fiscali a sostegno della famiglia.

Delega al Governo per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico

In sede referente 12 Disegni di legge presentati  da Zeller (22, 25, 33), Bianconi (153, 167), De Poli (341), Bitonci (569), Munerato (773), Bertorotta (924), Bellot (1161), D’Anna (1198), Lepri (1473).

            13 maggio 2015 Il presidente Mauro Maria Marino, dopo aver ricordato la deliberazione unanimamente assunta dall’Ufficio di presidenza integrato dai Gruppi svoltosi il 6 maggio scorso circa l’esame dei disegni di legge in titolo, ne sottolinea il rilievo politico, giudicando significativa la convergenza di tutti i Gruppi sull’opportunità di aprire una fase di discussione sul tema delicato e complesso come il sostegno fiscale alla famiglia, con un’iniziativa di carattere parlamentare.

        Interviene quindi il relatore Claudio Moscardelli (PD), il quale sottolinea in premessa che il disegno di legge n. 1473 prevede il conferimento al Governo di una delega volta al riordino e alla razionalizzazione e al potenziamento delle misure a sostegno dei figli a carico, in un’ottica complessiva, che trae origine dalla consapevolezza che l’attuale sistema tributario concentra gli strumenti di sostegno su alcune categorie di contribuenti, mentre sono meno protetti soggetti particolarmente fragili come gli incapienti o le famiglie con particolare difficoltà economica. Rispetto alla scarsità delle risorse oggi disponibili, prosegue il relatore, l’impianto di carattere universalistico appare tuttavia il più adatto, ferma restando la valutazione complessiva degli oneri. Appartengono a tale tipologia anche i disegni di legge nn. 33, 341 e 924. Diversamente, i restanti disegni di legge intervengono su alcuni elementi della spesa familiare con particolare riferimento all’accudimento e alla cura dei figli, che potrebbero essere utilmente valutati, alla luce peraltro di un indirizzo complessivo più aderente ai disegni di legge citati in precedenza. D’altro canto, appare ormai acquisito il legame tra il tasso di natalità e il sostegno pubblico alle spese delle famiglie, per cui un orientamento complessivo appare il più rispondente.

            Tutto ciò considerato, conclude ritenendo opportuna la costituzione di un Comitato ristretto, in modo da valutare in maniera aperta e costruttiva tutte le opzioni, al fine di sottoporre poi alla Commissione una proposta largamente condivisa.

            Il presidente Mauro Maria Marino condivide la proposta del senatore Moscardelli e, preso atto dell’orientamento favorevole, invita i Gruppi a designare i componenti del comitato ristretto. Il Presidente specifica che il comitato ristretto rappresenta uno strumento di analisi e valutazione di tutte le proposte iscritte all’ordine del giorno, senza che sia prefigurata ex ante una soluzione rispetto alle altre.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=914514

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SCIENZA & VITA

Attendiamo le motivazioni della Consulta, ma la diagnosi genetica preimpianto non è una cura.

“La caduta del divieto di diagnosi genetica preimpianto apre una serie di interrogativi cui sarà difficile dare risposta, legata in primo luogo al mancato rispetto di tutte le vite umane, alcune delle quali, per sentenza, hanno minor valore perché disabili”, commenta Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita

“In attesa di conoscere nel dettaglio le motivazioni della Consulta per poter entrare nel merito, e pur nella vicinanza alle coppie portatrici di una grave malattia e al loro desiderio di avere un figlio che non ne sia affetto, ribadiamo che non è ragionevole prevedere una norma che rischia di aprire la strada all’eugenetica”.

“La ricerca di una cura per le malattie genetiche può essere raggiunta per altre vie, non certo attraverso l’eliminazione dei malati, scardinando in tal modo i principi di uguaglianza e di solidarietà. Nessun medico potrà mai garantire il rispetto di un presunto ‘diritto al figlio sano’: se l’embrione selezionato poi sviluppasse problematiche di altro tipo, i genitori si sentiranno autorizzati a far causa al sistema sanitario?”

            Comunicato stampa n. 182, 14 maggio 2015.

Il nuovo consiglio esecutivo.

L’Associazione Scienza & Vita, riunita oggi nell’Assemblea Generale annuale, ha eletto all’unanimità il nuovo Consiglio Esecutivo.

Il Consiglio, che resterà in carica per il triennio 2015 – 2018, risulta così composto:

Paola Ricci Sindoni, Carlo Valerio Bellieni, Luciano Eusebi, Maurizio Faggioni, Alberto Gambino, Massimo Gandolfini, Emanuela Lulli, Chiara Mantovani, Paolo Marchionni, Daniela Notarfonso, Felice Petraglia, Dario Sacchini, Giacomo Samek Lodovici.

Le cariche associative saranno definite nel corso della prima convocazione e insediamento del nuovo Esecutivo.

Comunicato stampa n. 180, 09 maggio 2015.                                       www.scienzaevita.org/comunicato.php

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SEPARAZIONE

I figli nella separazione.

Nel momento storico attuale, dove l’incremento di separazioni e divorzi riflette uno scenario frammentato della famiglia, si osserva che nella maggior parte dei casi la rottura coniugale non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per la ricerca di un nuovo equilibrio in cui ancora rabbia, aggressività, frustrazione, senso di colpa circolano nel contesto relazionale con possibili conseguenze negative sui figli.

Il quotidiano “Il Fatto”, lo scorso 1 dicembre 2014, ha pubblicato e raccolto alcune testimonianze di figli di separati. Le storie raccontate sono ricche di emozioni e presentano scenari diversi, ma nella diversità possiamo individuare un minimo comun denominatore: il livello di conflitto e la continuità e collaborazione tra genitori anche in un contesto di separazione. Sono, soprattutto, questi due aspetti a determinare la presenza o meno di disagi ed eventuali disturbi nei figli che si ritrovano più o meno coinvolti nelle diverse dinamiche relazionali.

Di seguito alcuni titoli delle storie presentate:

  • “Ho pensato di essere un peso” – Nicola Bellini
  • “Una delle decisioni più sagge che mia madre abbia mai preso” – Giada GB
  • “Sono stato usato come arma tra gli infiniti litigi” – Giorgio
  • “La separazione è stata l’unico momento sereno” – Marco Chiappori
  • “Una guerra al massacro (psicologico)” – Anonimo

La frattura del divorzio può rappresentare un ostacolo nella transizione alla vita adulta e può minare la costruzione di legami stabili, anche se in letteratura emerge che non è la separazione in sé il vero rischio per i figli, bensì l’esposizione al prolungato ed elevato conflitto genitoriale.

Diversi studi indicano che i disagi emotivi e comportamentali che si manifestano nei figli di genitori separati non siano tanto in correlazione con la separazione in sé quanto piuttosto con il livello di conflittualità e le difficoltà relazionali tra figlio e genitori (Ercolani e Francescato, 1994); in altre parole, la tipologia e la qualità delle relazioni familiari che si stabiliranno dopo la separazione risultano di primaria importanza nel generare o meno uno stato di malessere nei figli, piuttosto che la separazione in quanto tale (Cigoli).

Le reazioni dei figli Indubbiamente, l’età del minore al momento della separazione, la sua personalità, la capacità di resilienza, il livello di conflittualità coniugale, le modalità con cui i genitori gestiranno la separazione, sono tutti fattori che incidono notevolmente sulla tipologia e l’intensità delle reazioni alla nuova condizione familiare. Più il figlio è piccolo (in termini di età), meno riesce a capire e comunicare ciò che vive. Spesso non sono in grado di esprimersi chiaramente e quindi possono manifestare il loro dolore in modi diversi: mostrandosi aggressivi, “capricciosi”, arrabbiati; isolandosi o ritirandosi; diventando gelosi o possessivi nei confronti del genitore affidatario, mostrando una forte dipendenza da esso; agendo in maniera non adeguata all’età; presentando difficoltà di addormentamento, incubi, risvegli frequenti, …; cambiando fortemente le loro abitudini alimentari (ad esempio con la perdita dell’appetito); attuando dei comportamenti regressivi rispetto all’età (enuresi notturna, disordine, pigrizia …).

Dopo una separazione è frequente che i figli mostrino cambiamenti nel quadro comportamentale (aggressività, difficoltà relazionali, regressioni, …) ed emozionale (tristezza, rabbia, paura, vergogna,…). In generale, i figli di separazioni altamente conflittuali hanno una maggiore incidenza di difficoltà psicologiche, sociali e scolastiche.

Dai 0 ai 3 anni il bambino, in genere, non ha ancora sviluppato gli strumenti cognitivi adeguati per comprendere l’accaduto nelle sue motivazioni razionali e obiettive, ma vive l’intensità emotiva che ha caratterizzato tale evento. Le emozioni non elaborate tendono a manifestarsi attraverso il corpo, ad esempio sintomi di malessere fisico, incubi, disturbi del sonno o inappetenza, atteggiamenti regressivi.

I bambini dai 3 ai 6 anni sono in grado di utilizzare il registro linguistico e tendono a legarsi maggiormente a uno dei due genitori. Fino a quando lo sviluppo cognitivo non riesce ancora a sopperire appieno alla comprensione dei motivi della separazione, spesso questi vengono fraintesi e reinterpretati. Possono, quindi, sentirsi responsabili dell’accaduto, diventare molto ubbidienti, oppure manifestare atteggiamenti di aggressività e ribellione, così come atteggiamenti regressivi. Frequenti anche le fantasie magiche di riunione del nucleo familiare.

In età scolare, dai 6 ai 10 anni, sono più consapevoli della separazione genitoriale, manifestano principalmente sentimenti di tristezza, di dolore e, allo stesso tempo, di collera. In questa fase la dimensione scolastica e il gruppo dei pari assumono un ruolo di maggiore rilievo e possono fungere tanto da fattori protettivi quanto da stressor, a seconda dei legami che il bambino riuscirà a costruire.

Nei figli adolescenti la separazione coniugale può portare ad un aumento del senso di responsabilità favorendo la loro maturazione psicologica ed emotiva oppure, viceversa, possono causare una sorta di blocco dell’autostima. Generalmente gli adolescenti avendo una comprensione maggiore degli eventi relativi alla separazione ed avendo anche interessi extradomestici, hanno anche una maggiore distanza psicologica tra se e i propri genitori. Tuttavia, i soggetti troppo legati emotivamente ai genitori e/o con pochi rapporti amicali manifestano disturbi di varia natura, quali, ad esempio, sintomi ipocondriaci (mal di testa, mal di pancia), comportamenti antisociali (piccoli furti, atti vandalici), alternanza tra fasi depressive e fasi di aggressività, fughe da casa, attuate spesso nel tentativo di richiamare l’attenzione di entrambi i genitori. A questa età i figli possono essere chiamati a fare i giudici dei loro genitori, a fare da mediatori, venendo investiti di un ruolo eccessivo che inibisce il normale processo di individuazione.

I figli che stanno vivendo l’evento separazione, spesso raccontano che la testa è piena di preoccupazioni per quello che succede ai genitori e non hanno spazio per ascoltare e per fare le “cose” della loro età: sentono parlare di avvocati e di tribunale e non capiscono cosa cambierà nella loro vita. Hanno paura e chiedono di essere rassicurati sul fatto che mamma e papà saranno sempre i suoi genitori, anche se il matrimonio finisce e non vivranno più tutti insieme. Il disorientamento che travolge i bambini in questa lunga fase di trasformazione delle relazioni familiari, si accompagna ad una grande solitudine: non sanno bene come esprimere la rabbia, la tristezza, i dubbi, le difficoltà che incontrano per la separazione di mamma e papà e non sanno con chi parlarne.

In quest’ottica, possiamo individuare nei gruppi di sostegno e parola per figli di genitori separati un’opportunità per permettere loro di accedere ai sentimenti e nominare le difficoltà che incontrano durante la separazione, affinché trovino delle soluzioni possibili e allarghino la comunicazione con i propri genitori (Marzotto, 2010). E’, quindi, fondamentale per i genitori saper cogliere i segnali dei figli in una difficile transizione come il divorzio e sapersi sintonizzare sui loro bisogni, dare uno spazio di parola alla loro sofferenza e non lasciarli in balia degli eventi.

psicologi@ lavoro      maggio 2015              www.psicologialavoro.it/i-figli-nella-separazione/2015/05

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SINODO SULLA FAMIGLIA

Sinodo 2015 e omosessualità: è ancora troppo presto?

Tra i numerosi temi che il Sinodo sulla Famiglia si propone di affrontare, sciogliendo i nodi pastorali più urgenti, vi è, com’è noto, quello dell’omosessualità. Sono altresì conosciute le divergenze che si sono manifestate tra i padri sinodali, le rispettive dichiarazioni, le votazioni e la sintesi finale. Al netto, ci si può e ci si deve chiedere, per non illudersi, quale potrà essere l’esito di un tale dibattito, almeno su questa tematica. Papa Francesco lo ha già ribadito: non sono all’orizzonte novità dottrinali, ma saranno proposte delle linee pastorali per le famiglie e le comunità al cui interno si possa trovare una persona omosessuale. È difficile comprendere come delle novità pastorali possano essere del tutto a-teoriche – quindi non implicanti un cambio di alcuni nodi dottrinali – ma confidiamo nella creatività dei nostri pastori, e nella saggezza donata dallo Spirito, che sempre ci sorprende.

Un difficile aggiornamento dottrinale. Tuttavia, questo dovrebbe già essere sufficiente a ridimensionare le tante speranze che aveva suscitato questo Sinodo – soprattutto dopo la Relatio post disceptationem (si veda il n. 52) – nella Chiesa di base, nei cristiani omosessuali e anche nel sottoscritto, che ai Vescovi si era rivolto proponendo alcuni aggiornamenti dottrinali in linea con il Magistero e nuove soluzioni pratiche (con Beatrice Brogliato, L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e pastorale. In dialogo per una nuova sintesi, Cittadella 2014). Non dobbiamo smettere di credere, tuttavia, che qualcosa si potrà ancora smuovere: il bisogno di rinnovamento si sta facendo sentire forte e chiaro, e sono ancora convinto – con i dati che riporto nei dettagli nel libro stesso, raccolti nelle parrocchie della mia piccola Vicenza, che indicano che 1’88,1% dei giovani e il 58% degli adulti percepiscono positivamente le relazioni fra persone dello stesso sesso – che la Chiesa sia pronta per un cambio di passo sostanziale. In un’analisi pragmatica, però, pesano le dinamiche che sono emerse all’interno del Sinodo stesso: la discussione si è focalizzata sul tema della comunione ai divorziati risposati, e sembra che sia questa la questione principale sulla quale i Vescovi stanno giocando la loro partita.

Il papato di Francesco, inoltre, è nel pieno di una tempesta mai vista, con attacchi diretti e poco dignitosi. Dalla gestione del Sinodo, ai gesti ecumenici, alle omelie, all’elezione stessa, ai viaggi, al rinnovamento del collegio episcopale: non c’è azione del papa, oggi, su cui una certa parte del mondo culturale italiano non stia puntando il dito. Cosa c’entra tutto ciò con la questione omosessuale? Purtroppo è abbastanza intuitivo comprenderlo: in mezzo a tale tempesta, è improbabile che papa Francesco e il Sinodo – ammettendo per ipotesi che ve ne sia da entrambe le parti la reale volontà – possano portare sostanziali aggiornamenti dottrinali su molti temi contemporaneamente. Si creerebbe una spaccatura profonda, forse uno scisma. Alcuni esponenti della curia, del resto, hanno velatamente rimandato, come monito, a questa eventualità.

Al massimo, dunque, si potranno fare piccoli passi avanti sulla questione della comunione ai divorziati risposati. La sensazione, quindi, è che gli altri temi saranno inevitabilmente sacrificati. Per il tema ‘omosessualità’, posto nel mezzo di un calderone di enormi problemi, è ancora troppo presto. Salvo che non sia la Chiesa di base – o qualche Vescovo – a farlo tornare al centro, insieme agli altri, magari attraverso i nuovi questionari (sebbene sia piuttosto evidente che la loro formulazione, ricamata di tecnicismi e ridondanze, rende davvero difficile la partecipazione di un gran numero di fedeli), evitando che alla fine si ripetano le solite formule dottrinali, che già ritroviamo, purtroppo, anche nell’Instrumentum Laboris, dove si dedica comunque alla questione omosessuale un insolito spazio e un’articolata riflessione (che però non si ritrova nella successiva Relatio Synodi).

Un nuovo metodo. Ma è ancora troppo presto anche riguardo alla possibilità reale di un aggiornamento dottrinale e pastorale. Seppur gli studi disciplinari ormai ci siano e siano maturi – ne offriamo una sintesi nel nostro ultimo lavoro – la coscienza dei nostri Vescovi sembra ancora timida nel trarne le conclusioni (si vedano i numeri nelle votazioni del Sinodo, che rivelano chiaramente i rapporti di forza). Non si può non riconoscere a papa Francesco, tuttavia, che il metodo con cui ha impostato la discussione sinodale, e la libertà di espressione concessa ai vescovi e ai fedeli, siano una novità che segnerà il passo nella storia della Chiesa. Ma come tutte le rivoluzioni di metodo, essa darà i suoi frutti – e arriveranno, ne sono profondamente convinto – solo sul lungo periodo, quando il metodo inizierà a consentire delle modifiche anche ai contenuti. La storia del pensiero, da questo punto di vista, è confortante: nuovi metodi hanno spesso consentito la creazione di nuove teorie, e la libertà di discussione sull’ignoto ha di frequente consentito d’avvicinarsi di più alla verità.

Tenendo presente tutte queste considerazioni, allora, ideale sarebbe che questo Sinodo «sospendesse» il giudizio sulla situazione di chi vive una relazione d’amore con una persona dello stesso sesso, prendendo atto dell’incertezza scientifica, teologica, esegetica e pastorale riguardo a tale questione, lasciando alla Chiesa un periodo piuttosto lungo di sperimentazione di nuovi approcci teologici e innovative soluzioni pastorali. Davvero libero: ciascuna Conferenza Episcopale seguendo le indicazioni provenienti dalla società e dalla cultura in cui opera. Senza stancarsi d’indicare nell’amore reciproco e oblativo, fatto d’impegno e dono, l’ideale a cui qualsiasi relazione umana deve ispirarsi. La sintesi vera potrà avvenire solo in un futuro Sinodo, tra una ventina d’anni almeno, quando la Chiesa avrà maturato un’«esperienza» (fatta di studi e pastorale) più ampia e non condizionata da precedenti posizioni. Per ora è troppo presto: per non irrigidire ancora di più la situazione dottrinale-pastorale con nuovi numeri di un’esortazione post-sinodale – che nella tempesta attuale non potrebbe che riproporre le aporie di tutti i documenti magisteriali in materia di omosessualità – questo Sinodo dovrebbe avere il coraggio di rimandare la decisione, e dare libertà di sperimentazione ai singoli Vescovi. Potrebbe essere una soluzione che non scontenta nessuno, e che darebbe una bellissima immagine della nostra Chiesa. Per questa libertà no, non è troppo presto.

Sentirsi a casa. In attesa di un futuro Sinodo – più specifico meno turbolento – l’assemblea di quest’anno potrebbe inoltre prendere finalmente le distanze dalle illusorie e ascientifiche «terapie riparative» e ribadire con forza l’invito all’accoglienza positiva delle persone omosessuali, anche laddove l’omosessualità della persona sia manifesta, o la persona viva in una relazione omosessuale notoria. Questo potrebbe contribuire a spezzare la spirale di violenza in cui l’Europa si sta di nuovo avviluppando negli ultimi anni. Sono posizioni pastorali praticabili. Gli omosessuali sono ancora delle periferie, come gli zingari gli immigrati; sono delle periferie molto vicine, perché sono i nostri amici, i nostri Figli, i nostri seminaristi. Cominciare a farli sentire a casa, quindi, potrebbe essere un gesto fondamentale.

Damiano Migliorini, filosofo e teologo         Rocca n. 9, maggio 2015

                        www.gionata.org/sinodo-2015-e-omosessualita-e-ancora-troppo-presto

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TRIBUNALE ECCLESIASTICO

Matrimonio annullato, l’assegno per il mantenimento del figlio lo stabilisce il giudice ordinario.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 9635, 12 maggio 2015.

Il Tribunale ecclesiastico annulla il matrimonio. Chi è competente per la determinazione del contributo per il mantenimento del figlio minore?

Matrimonio annullato, l’assegno per il mantenimento del figlio lo stabilisce il giudice ordinario.

            La domanda riguardante la determinazione del contributo dovuto per il mantenimento del figlio minore, nato da un matrimonio celebrato con rito concordatario e dichiarato nullo dal giudice ecclesiastico, è di competenza del tribunale ordinario.

www.divorzista.org/sentenza.php?id=10098          

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VIOLENZA

Quando la gelosia è reato.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 20126, 14 maggio 2015.

            L’attaccamento morboso può integrare il reato di maltrattamenti quando si attua con comportamenti ossessivi ai danni del partner. Un fidanzato o un marito geloso è, spesso, compiacimento per molte donne. Ma “il troppo storpia”. Così, quando l’attaccamento diventa morboso, sino a privare il partner della propria libertà, può integrare il rato di maltrattamenti in famiglia. Difatti, i maltrattamenti in famiglia non sussistono solo con percosse, lesioni, ingiurie e minacce ma anche da tutti quegli atti di vessazione psicologica che si risolvono in una vera e propria sofferenza morale.

            Il chiarimento proviene da una sentenza della Cassazione. Perché possa scattare il reato, ovviamente, è necessario un comportamento che si estrinsechi esternamente e non basta la semplice mania mentale. Dunque, la gelosia morbosa deve sfociare in comportamenti ossessivi, maniacali e in limitazioni e condizionamenti della vita del partner. Condotte tipiche e piuttosto frequenti potrebbero essere quelle di continue contestazioni di tradimenti in realtà inesistenti, il controllo continuo del telefono del partner, il pedinamento, ecc.: insomma, tutto ciò che genera, in definitiva, un intollerabile stato d’ansia nella vittima.

            In tal caso l’illecito penale che viene contestato è quello di maltrattamenti contro familiari e conviventi [art. 572 cod. pen.]. Peraltro, nell’eventuale causa di separazione, una condotta del genere potrebbe arrivare a comportare l’addebito civile, ossia la perdita del diritto al mantenimento (se posto in essere dal coniuge economicamente più debole) e dei diritti successori in caso di decesso dell’ex. L’addebito, infatti, consiste nell’attribuzione della colpa – fatta dal giudice con la sentenza di separazione – della rottura del matrimonio.

Secondo la Suprema Corte, l’assillare costantemente il partner con continui comportamenti ossessivi e maniacali, ispirati da una gelosia morbosa e tali da provocare in modo diretto importanti limitazioni e condizionamenti nella vita quotidiana e nelle scelte lavorative nonché un intollerabile stato d’ansia, quali, l’insistente contestazione di tradimenti inesistenti, la ricerca incessante di tracce di relazioni extra-coniugali con ispezione costante dell’altrui telefono per verificarne le comunicazioni, la verifica degli orari di rientro a casa e il controllo degli spostamenti, i ripetuti insulti con uso di parole scurrili facenti esplicito riferimento alle ipotizzate infedeltà, i più volte prospettati dubbi circa l’effettiva paternità dei figli, con conseguenti reiterate richieste di test diagnostici per la verifica del Dna, nonché le pressioni affinché la persona offesa abbandoni il lavoro, sostanzia la situazione di “abituale vessazione psicologica” sanzionata dal codice penale. Ciò, infatti, è espressione di un evidente spirito di prevaricazione e fonte di un’intensa e perdurante sofferenza morale.

Redazione                  La legge per tutti       14 maggio 2015

Sentenza                                 www.laleggepertutti.it/88296_quando-la-gelosia-e-reato

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