UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Secondo anno di vita del bambino
La conquista del linguaggio.
Nel secondo anno di vita, che coincide con l’inizio della fanciullezza, si fa strada il linguaggio verbale infantile. Già nei primi mesi, ancor prima di emettere parole che abbiano un senso compiuto anche per gli adulti, il bambino per giocare si serve della sua voce, ripetendo continuamente dei suoni che impara imitando i suoni della voce emessi dalle persone del suo ambiente. Si accorge del valore sociale dei suoni che emette quando, ad esempio, si mette a piangere e a strillare e la mamma accorre verso di lui; o quando vagisce e gorgoglia e lei ride contenta. Dalle reazioni delle persone ai suoi versi egli comincia a collegare determinati suoni con determinati effetti. Impara anche a riconoscere questi stessi suoni quando sono emessi dagli altri. Apprende a distinguere se una voce è ansiosa, arrabbiata, triste o carezzevole. Riesce a discriminare un volto rabbuiato da uno giocoso e sereno. Cosicché ad ogni tipo di comunicazione verbale, gestuale o mimica, reagisce in maniera adeguata. Ben presto comincia a servirsi di suoni abbastanza determinati per esprimere sensazioni e desideri precisi.
In una fase successiva è pronto ad usare un vero e proprio linguaggio (Isaacs, 1995, p. 31).[1] Il bambino è stimolato ad apprendere i suoni e a parlare, spinto dal bisogno di comunicare meglio con gli altri, così da poter chiedere, cercare, raccontare. Egli, essendo un essere umano, non si accontenta di conoscere il sapore, l’odore, la consistenza o il peso delle cose, egli ha fame di sapere e di conoscere anche il nome degli oggetti, delle persone, degli animali e degli elementi della natura che sono attorno a lui e che con lui interagiscono. Il poterli denominare sazia il suo bisogno di conoscenza, ma ha anche lo scopo di avere un controllo e un potere su di loro. Conoscendo i loro nomi è come se potesse direttamente o indirettamente gestirli.
Accanto al linguaggio verbale e mimico i genitori, ma soprattutto la madre, costruiscono anche il linguaggio dei sentimenti e delle emozioni. Questo tipo di comunicazione è indispensabile per entrare in contatto vero e profondo con gli altri, così da capirli, amarli, ed essere loro vicini. Da questo tipo di comunicazione più intima e profonda si sviluppa il mondo del cuore, dal quale scaturiscono i sentimenti di amicizia, di amore, ma anche la futura disponibilità, generosità, sensibilità, accoglienza, fiducia e tenerezza. Il linguaggio serve quindi anche a costruire e sviluppare nel bambino il mondo dei sentimenti e delle emozioni, il mondo degli affetti e delle relazioni, il mondo delle cure e delle attenzioni.
Anche se il bambino non è mai totalmente passivo, è con lo sviluppo del linguaggio verbale che la sua azione sul mondo diventa più decisa ed incisiva. Non è solo la madre o gli altri che lo curano che ha il potere di scegliere cosa è bene e cosa è male, ma è lui che comincia a selezionare ciò che gli piace e ciò che non gli piace, ciò che lo rende felice e ciò che lo rende triste, ciò che lo entusiasma e ciò che lo annoia. Quando allontana deciso la tazza nella quale la madre ha messo il latte e chiede “Tazza zia”, dà agli altri, alle persone che gli vogliono bene e che sono a lui vicine, un’indicazione ben precisa, non solo di ciò che non desidera ma anche su cosa è caduta la sua scelta: ‹‹Io voglio il latte nella tazza che mi ha regalato la zia››.
In un momento successivo, poiché ha bisogno di capire il mondo che lo circonda e come meglio rapportarsi con esso, non gli interessa soltanto il nome degli oggetti ma anche il loro uso ed il loro scopo. ‹‹A che serve?›› ‹‹Come funziona?›› ‹‹Com’è fatto?›› ‹‹Cosa c’è dentro?›› Egli si interessa anche dei rapporti che esistono tra gli oggetti, le persone e gli animali che lo circondano o suscitano il suo interesse: ‹‹Chi è più grande? Chi è più piccolo?›› ‹‹Chi è più buono? Chi è più cattivo?››. ‹‹Chi è più forte. ? “Chi è più debole?›› In tal modo scopre i legami che esistono tra le persone, gli animali e le cose. È interessato, inoltre, a capire il rapporto che hanno tutti gli oggetti nei suoi confronti o nei confronti della sua famiglia. E se noi siamo disponibili all’ascolto, per lui non vi è niente di più bello che farci partecipi delle sue scoperte, delle sue conoscenze e dei suoi trionfi.
In definitiva, nell’uomo sono i vari tipi di comunicazione: verbale, mimica e gestuale gli strumenti indispensabili per la crescita e per la formazione del nuovo essere vivente.
Il suo mondo interiore
Nel momento in cui il bambino inizia a parlare e a comunicare i suoi pensieri, si evidenzia il suo mondo interiore in cui prevale l’animismo, l’egocentrismo e la logica precausale.
Nella fase dell’ animismo (Piaget, 1964, p. 34)[2]ai suoi occhiogni cosa non solo è vivente ma possiede anche intenzionalità, sentimenti e pensieri propri. Il mondo psicologico ed il mondo fisico sono tutt’uno. Non vi sono cause naturali. Il vento soffia perché lo desidera. Il tavolo contro cui il piccolo ha battuto la testa è cattivo perché gli ha fatto male e quindi merita una giusta punizione. Nella fase dell’egocentrismo, che per Piaget si prolunga fino ai sette anni, vi è la tendenza da parte del bambino a ricondurre tutto alla propria persona e alle proprie esperienze. In questa fase i piccoli credono che ciò che li riguarda occupi un posto privilegiato nella mente degli altri. A questa regola non si sottraggono neanche le cose inanimate: ‹‹Perché, papà, quando cammino la Luna mi segue?›› ‹‹È vero! la Luna è gentile ad illuminarci durante la notte se no dovremmo restare al buio, e lei sa che io ho paura del buio!››. ‹‹Perché, mamma, la palla non vuole rotolare verso di me?››. ‹‹Sai papà la sedia, poverina, si è rotta e soffre: tu che sei medico la puoi sicuramente aggiustare, vero?››.
La sua logica è di tipo precausale, e quindi non scientifica in quanto il bambino non ragiona a partire dalle sue osservazioni, ma in base a un modello interiore del mondo. Egli accetta spiegazioni false, sia che provengano dai genitori, sia che nascano dai suoi personali desideri o dalle sue aspirazioni. Fino ai tre anni il bambino vive come in un mondo di fiaba in cui gli animali, le piante ma anche gli oggetti possono parlare, avere una loro volontà, essere buoni o cattivi. Inoltre, poiché i bambini di quest’età credono nella magia delle parole, queste hanno lo stesso potere delle azioni. Se il bambino desidera in un momento di collera che la madre muoia o che al padre succeda qualcosa di male, ne avrà un senso di colpa in quanto i suoi pensieri potrebbero tradursi in realtà.
La comunicazione
La comunicazione con se stesso e con i coetanei ha caratteristiche particolari.
Per Piaget (1964, p. 29): ‹‹Il bambino piccolo non parla soltanto agli altri, parla in continuazione anche con se stesso, con monologhi variati che accompagnano i suoi giochi e le sue azioni. Questi monologhi sono paragonabili a quello che sarà più tardi il continuo linguaggio interiore dell’adolescente e dell’adulto. Questi soliloqui ne differiscono tuttavia per il fatto che sono pronunciati ad alta voce e per il loro carattere rafforzativo dell’azione immediata››.[3] Nella fanciullezza il bambino può utilizzare la sua fantasia per calmare la sua ansia, per lenire le sue frustrazioni, per soddisfare i suoi bisogni. Si vedrà allora il bambino lottare e distruggere immaginari nemici utilizzando un giocattolo o un oggetto qualsiasi. Allo stesso modo lo si vedrà costruire, con materiali assolutamente informi, castelli e reami dove si muovono dame e cavalieri, principi e regine, draghi e supereroi.
Nei confronti dei compagni parla solo delle sue esperienze (monologo intellettivo). Gli argomenti di discussione sono pochissimi. Inoltre in compagnia dei coetanei, per Piaget, ciascun bambino parla soltanto di ciò che lo concerne personalmente (monologo collettivo). È facile constatare quanto restino rudimentali le conversazioni fra bambini, legate come sono all’azione concreta in sé.
Le regole e la moralità autoritaria.
Le regole sono per i bambini di quest’età sacrosante e non possono essere cambiate. Fonte delle regole sono i loro genitori, i quali hanno sempre ragione (moralità autoritaria).
Sempre in questa fase ogni misfatto, per essere perdonato o cancellato, ha bisogno di una punizione che estingua il reato. E poiché il bambino vive in un mondo egocentrico si tratta di una punizione per qualcosa di sbagliato che ha fatto lui (Wolff, 1970, p. 21).[4] Se un bambino correndo disubbidisce a sua madre e cade, egli è caduto perché è stato monello (Wolff, 1970, 21).[5] Gli atteggiamenti appresi attraverso le reazioni dei genitori sono fondamentali per l’idea che il bambino ha di sé. Quando egli è rifiutato ‹‹è perché non vale molto››. In questo periodo le minacce che i genitori possono fare verso di lui possono essere prese alla lettera (Osterrieth, 1965, p. 98).[6]
Soltanto ad un’età successiva i bambini riescono a concepire una cooperazione democratica e una reciproca modificazione delle regole nelle quali anch’essi hanno un ruolo attivo da svolgere.
Nei primi anni di vita il bambino raccoglie una quantità impressionante di informazioni e ogni esperienza e conoscenza nuova che egli assimila, non va soltanto ad aggiungersi alle altre ma le modifica e ne è a sua volta modificata. Per cui vi è continuamente una riorganizzazione e una modificazione dei rapporti e delle prospettive (Osterrieth, 1965, p. 38).[7]
Il rapporto con i genitori.
Nel momento in cui comincia a parlare e a camminare, il bambino riesce a riconoscere il padre e la madre come delle persone con una propria vita e una propria volontà ed è in grado di amarli come individui diversi e distinti da sé. Ma il suo non è un affetto tranquillo e sereno. Mentre accetta mal volentieri che la madre si allontani da lui anche per poche ore, acconsente a che il padre rimanga lontano anche per tutta la giornata o anche per qualche giorno. Ma non di più! Quando egli manca per molti giorni, quell’attaccamento che sembrava focalizzato solo sulla madre, si rende evidente anche verso il padre con tutto il suo corollario di sofferenze, paure, inquietudini, ma anche rabbia quando il comportamento di questi non è adeguato alle sue aspettative. Anche durante il secondo anno di vita, nonostante apprezzi i giochi molto più vivaci e impetuosi con il padre, la madre continua ad avere una valenza prioritaria. È certamente a lei che il bambino rivolge le sue richieste ed è a lei che dà maggiormente il suo amore ed il suo attaccamento. Nonostante egli abbia imparato a considerarla quale persona esterna a lui e differente, ha sempre più bisogno di rassicurarsi del suo affetto e della sua presenza (Osterrieth, 1965, p. 58).[8]
La fase esplorativa.
È sempre nel secondo anno di vita che il bambino acquista la deambulazione e, con la deambulazione, acquisisce la possibilità di muoversi indipendentemente e liberamente nel suo ambiente. Il suo spazio fisico si allarga. Inizia la fase esplorativa. E non vi è esploratore più intraprendente, furbo, coraggioso, veloce, ma anche minuzioso, scrupoloso e purtroppo anche temerario, di un bambino a questa età. Ogni oggetto presente nella casa attira la sua attenzione ed è sottoposto ad una indagine minuziosa: viene valutato il suo peso, la consistenza, il sapore e l’odore, ma anche la sua più o meno grande possibilità di fare rumore, di rimbalzare, di rompersi, di colpire. Il suo campo si allarga dalla stanza a tutta la casa. Nella scoperta del mondo nulla viene sottovalutato o trascurato. Ogni cosa acquista valore. I cassetti sono scrigni da svuotare per carpirne i tesori nascosti. Gli sportelli della cucina sono porte segrete che lo conducono a scovare e far propri i giocattoli più interessanti. Dentro questi sportelli vi sono le pentole da far rotolare o da riempire con carta, tubetti, cubi e ogni ben di Dio. Vi sono i coperchi da sbattere l’uno contro l’altro. Le padelle da brandire come armi segrete ma anche da sbattere a terra per avvertirne il rumore assordante. Vi sono gli imbuti, ottimi per metterli in bocca, soffiarci dentro e scoprire le alterazioni che provocano alla propria voce. E poi vi sono i portauovo con i quali provare a metterli uno dentro l’altro.
L’esplorazione della casa non si ferma alla cucina. Da questa si passa al bagno, dove la carta igienica sembra messa apposta per essere tirata fino in camera da letto! La tazza del bidè riempita d’acqua è un’ottima vasca nella quale far nuotare le barchette di carta costruite dal papà. Aprendo il rubinetto dello spruzzo si forma una splendida fontana, che può far concorrenza a quelle di Roma. Più affascinanti ma anche più rischiose sono le camere dei fratelli e delle sorelle maggiori. Queste stanze, non essendo affatto ordinate, mettono a disposizione mille oggetti proibiti da rubare correndo, per poi nasconderli prima che il germano infuriato si accorga del furto.
È a questa età che il rapporto con gli altri diventa più interessante, ma anche più traumatico per il bambino, in quanto egli non capisce bene perché, in un mondo così ricco e così interessante, fatto di mille oggetti pronti per esser ghermiti e utilizzati per i suoi giochi e per le sue scoperte, vi siano altrettanti limiti, pericoli, impedimenti e consequenziali sgridate e punizioni. Egli si aggira per la casa come un ladro che, per la prima volta, entra in un supermercato. Non riesce proprio a comprendere il motivo per il quale non è possibile appropriarsi di tutta quella mercanzia che si trova esposta ed è là, invitante, quasi a chiedere di essere presa e portata via. E invece… E invece vi è sempre qualche bruto che te lo impedisce, che ti dice di no e che ti punisce per averlo fatto. Pertanto le occasioni di conflitto tra i desideri dei piccoli e quelli dei genitori e dei fratelli e sorelle maggiori aumentano sensibilmente (Isaacs, 1995, p. 74).[9]
Il periodo di opposizione
L’estendersi dei contatti con il mondo, durante i quali sono registrati successi e insuccessi, soddisfazioni e frustrazioni, conducono il bambino a scoprire il proprio potere sulle persone e sulle cose, ma anche la resistenza che il mondo degli adulti oppone alle sue necessità. Mondo con il quale è costretto a lottare continuamente soprattutto durante il periodo di opposizione. In questo periodo, verso i due anni e sei mesi, anche a scapito dei suoi bisogni affettivi e protettivi, il bambino, più che dare soddisfazioni all’adulto, sente la necessità di affermare la propria personalità ed il proprio Io, mediante il rifiuto di ubbidire sempre e comunque ai genitori e agli adulti in genere. Egli diventa più ribelle, cocciuto ed intrattabile. Fa il contrario di quanto gli si chiede. Si confronta con le imposizioni dei familiari. Piange e strilla per avere qualcosa che, subito dopo, abbandona con indifferenza. Con gli adulti sembra ricercare più lo scontro che l’incontro, più la polemica che l’intesa. Nella ricerca di una maggiore fiducia in se stesso e nel desiderio di una maggiore indipendenza ed autonomia, il bambino vuole fare tutto e tutto da solo. Avverte continuamente che i suoi bisogni si scontrano con quelli degli altri. Non sopporta di iniziare un’attività e di non riuscire spesso a portarla a termine, in quanto vi sono delle esigenze superiori, quelle dei genitori, dei nonni e degli zii, che lo costringono ad interromperla bruscamente. Pertanto sente spesso i propri familiari come dei guastafeste che si inseriscono indebitamente nei suoi giochi e nelle sue esplorazioni. In questa fase, come dice la (Isaacs, 1995, p. 68): ‹‹Non si potrebbe dire ai bambini una cosa più crudele o più stupida di: ‹‹Non toccare››. Questo equivale a dire: ‹‹Non imparare, non crescere, non essere intelligente››.[10] In quanto gli si impedisce di scoprire, imparare e crescere››. Il bambino impara soprattutto scoprendo le cose e non attraverso le nostre spiegazioni.
A questo proposito ci sembra illuminante l’osservazione di questa autrice la quale afferma: ‹‹Quale piacere perdono, per se stessi e per i loro figli, quei genitori che lasciano passare inosservata questa appassionata urgenza di costruire e di fare, e che, invece di provvedere al materiale e allo spazio necessario, cercano di comprimere questa energia costringendo i bambini a “stare seduti tranquilli” o a tenere “puliti i vestiti”››. Il bambino ha bisogno di spazio per muoversi, agire, effettuare dei giochi creativi, correre, arrampicarsi (Isaacs, 1995, p. 70).[11]
Accanto allo spazio fisico si allarga anche il suo spazio psicologico. Il bambino acquisisce la capacità di comprendere la successione cronologica degli avvenimenti. Inoltre la conquistata produzione del linguaggio gli consente di simbolizzare e rappresentare la realtà.
Le richieste degli adulti e le punizioni.
È sempre a questa età che aumentano le richieste da parte del mondo esterno. Gli adulti chiedono al bambino una maggiore collaborazione. Si aspettano che egli faccia quanto gli viene detto e che abbia anche un maggior controllo dei suoi atti e dei suoi comportamenti. Poiché il suo rapporto principale è con la madre, che è anche la sua figura di riferimento, è lei che comincia ad insegnargli il comportamento che la società si aspetta da lui e quindi le regole sociali. È lei che dice i tanti “no”, aiutata dall’autorità paterna, per alcune sue iniziative pericolose, rischiose o inopportune e pertanto, gli sforzi per ‹‹essere buono›› sono fondamentali per avere l’affetto e la comprensione della mamma.
E se alcune madri, dopo il primo anno, vorrebbero che il figlio restasse piccolo e quindi le ricompense lavorano contro il suo processo di maturazione nel tentativo di mantenerlo piccolino, altre mamme per diminuire il loro carico di lavoro e di impegno vorrebbero che il bambino acquisisse il più presto possibile quelle autonomie, soprattutto nel controllo sfinterico, che ritengono indispensabili. Pertanto utilizzano in modo eccessivo rimproveri e punizioni, se il bambino non si adegua ai loro bisogni, alle loro richieste e ai loro desideri.
Le punizioni.
Ed è sempre a questa età che le punizioni si fanno più frequenti e dolorose! Le punizioni possono essere di vario tipo. Alcune consistono nell’infliggere un dolore fisico, altre si propongono di procurare una sofferenza psicologica, ad esempio, limitando il piacere dell’attività motoria: ‹‹Stai con la faccia contro il muro››. Alcune punizioni consistono nel rifiutare o proibire un oggetto amato e desiderato. Altre volte i genitori puniscono ritirando, almeno momentaneamente, la stima, la fiducia, il contatto e le coccole stesse della madre o del padre. Come vedremo meglio nei capitoli successivi, non sempre le punizioni sono utili. Quando sono frequenti ed eccessive accentuano l’irritabilità, l’instabilità, l’irrequietezza ma anche l’atteggiamento scontroso ed ostile.
[1] Cfr. S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni – Figli e genitori, Op. cit., p. 31.
[2] Cfr. J. PIAGET , Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Op. cit., p. 34.
[3] J. PIAGET , Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Op. cit., p. 29.
[4] Cfr. S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Op. cit., p. 21.
[5] Ibidem.
[6] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 98.
[7] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 38.
[8] Ivi, p. 58.
[9] Cfr. S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni – Figli e genitori, Op. cit., p. 74.
[10] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni – Figli e genitori, Op. cit., p. 68.
[11] Ivi, p. 70.