UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Vissuti di tristezza nelle festività : … è qui la festa?
Autore: Giuseppe Cesa
“Sono passate da pochi giorni e già respiro.”
Con questa frase Marcello (nome fittizio) esordisce alla prima seduta dopo la Befana.
Marcello non è il solo a vivere le festività in questo modo, ad alcune persone, addirittura, non bisogna neanche fare gli auguri; si sentirebbero prese in giro.
Non mi sto riferendo ai situazioni drammatiche, con gravi problemi economici, anagrafici, razziali o quant’altro, bensì di persone che all’apparenza risultano normalmente inserite nel nostro tessuto economico e sociale; ma sono tristi, a volte sole o isolate.
Lo sanno bene coloro che a vario titolo si occupano di disagio psichico, psicologi o psichiatri che siano. Quanti dei loro pazienti vivono male il periodo delle festività con tutta la sua carica di dover essere felici in famiglia tra panettoni e bollicine, tra affetti e lucine colorate, tra doni e caminetti scoppiettanti?
In effetti, per molte persone l’enfasi delle feste natalizie diventa un momento di tristezza che sottolinea la differenza tra come bisognerebbe essere e come, invece, si sentono. E, purtroppo, spesso si vergognano o
soffrono per tale gap.
È vero, in effetti, che la nostra realtà culturale ha eccessivamente enfatizzato alcuni standard per cui chi per qualche motivo non si sente a tale livello sta male o si sente a disagio. È come se nel nostro mondo, o nella testa di chi ci crede, non ci sia più spazio per i momenti di tristezza, di sofferenza, o, semplicemente, di abnegazione.
È come se una persona dovesse essere sempre e costantemente felice, allegra, brillante, amata e di successo … altrimenti non sei niente (per non dire altro). Eppure una nota canzonetta di qualche decennio fa diceva: “… bisogna saper perdere, non sempre si può vincere …”
Può essere che sbagli, ma credo si sia perso il senso ed il valore del dolore e della tristezza, il senso dell’investimento, dell’abnegazione e della disciplina (tranne quando sono gli altri ad impegnarsi a nostro vantaggio). Quante volte il triste è stato disprezzato o il timido considerato un perdente? Quante volte il secchione è stato considerato c……e? A volte, purtroppo, capita che anche chi si occupa a vario titolo di emozioni ne coltivi ed enfatizzi solo alcune a scapito di altre. Forse meno nobili?
È una trappola in cui è molto facile cadere e, come l’etologia ci dimostra, probabilmente ha radici biologicamente ben piantate. Va riconosciuto, infatti, che probabilmente la rincorsa ad ostentare una qualche presunta superiorità – il bluff – è intrinseca non solo all’essere umano ma appartiene alla vita stessa e, scendendo la scala evolutiva, possiamo ritrovarla attiva in molti animali. Pensiamo, come esempio emblematico, ai pavoni maschi, a quanto rischio e a quanta energia mettono in campo per avere una coda meravigliosa ma decisamente ingombrante.
Non me ne vogliano, infine, i colleghi che lavorano con chi ha problemi con l’alcool, per l’adagio scelto: riprendendo il vecchio proverbio secondo cui il vino buono sta nelle botti piccole, è proprio vero che la capacità di emanciparsi dalla schiavitù di un falso sé, che ci vorrebbe sempre brillanti, felici e vincenti, può rappresentare la strada migliore per stare bene e godere della propria vita e delle proprie relazioni.
Giuseppe Cesa, psicologo – psicoterapeuta