UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Veracità nel parlare e nello scrivere
Veracità nel parlare e nello scrivere è sinonimo di sincerità, semplicità, autenticità; è corrispondenza tra ciò che una persona pensa o sente e ciò che dice o scrive. È quell’atteggiamento di autenticità che tanto piace e conquista le persone
La mancanza di veracità si manifesta anche in ambito ecclesiale, dove non mancano affermazioni enfatiche, dichiarazioni retoriche, parole vuote o di (assai) difficile comprensione. Gli esempi non mancano. Si propone un momento formativo su ‘pregare nella differenza’, ‘pregare lunare’, ‘pregare donna’; si organizza un corso per una lettura interdisciplinare dei voti religiosi destinato a chi è ‘votato all’amore’ o per una rilettura pasquale della vita consacrata precisando il tema: ‘sfiniti per amore’; si organizza un’esperienza pastorale per ‘annunciare la Parola in modo paradigmatico’ o per ‘accostare la Parola in modo generativo’ o per meditare su ‘la Parola che respira’; per un rinnovamento pastorale si immagina uno ‘Scenario a sinergie’, con l’intento di favorire ‘un’emersione del paradigma e della realtà in atto’ o ‘un cambiamento di postura’; si programma un corso per fidanzati e lo si reclamizza scrivendo: ‘un amore scatenato’; la religiosa si appresta a fare la professione perpetua e, commossa, scrive a parenti e amici che ‘il Signore è penetrato violentemente nella mia vita, sconvolgendo i miei poveri progetti umani’, mentre un’altra giovane religiosa torna dall’esperienza capitolare e, entusiasta, confida sul Bollettino dell’Istituto: ‘È stata un’immersione travolgente che mi ha aperto occhi e cuore’. Sono pure ricorrenti certe parole come ‘discernimento’, abitare’ (il futuro…), intercettare le domande e i bisogni (dei giovani…), rimettere in circolo (un sacerdote invitava un giorno i suoi uditori a ‘rimettere in circolo gli handicappati!’…)
È il trionfo dell’ecclesialese, della retorica, dell’inautenticità, delle parole vuote, degli slogan enfatici ed è difficile sfuggire ad una sensazione di superficialità, di pigrizia mentale, di sentimenti e bisogni profondi repressi o non riconosciuti. Tutto ciò può avere spiegazioni diverse: l’abitudine, l’educazione (sbagliata) ricevuta, la voglia di novità, il desiderio di originalità, il cedimento alla moda corrente.
La mancanza di veracità si manifesta a volte in altre modalità. Si mente per educazione (si chiede ad una persona come sta, ma di fatto non si è disposti ad ascoltare per davvero); si mente anche per calcolo, per paura, per abitudine; si ricorre ad un linguaggio ‘diplomatico’, così che si dice e non si dice, si procede per allusioni e silenzi studiati; si cede all’adulazione, praticando ‘l’arte di strisciare’ (P. d’Holbach 2009).
Cosa fare? Quali suggerimenti possono servire? Mi limito ad un semplice spunto e ad una citazione. Anzitutto, dal punto di vista psicologico la possibilità di comunicare in modo autentico, sincero, è legata alla capacità della persona di essere in contatto con i propri vissuti interiori, con i pensieri e i sentimenti presenti nel proprio animo (motivazioni, paure, desideri, stati d’animo vari): ‘credo o no a quello che dico o scrivo?’. Si deve pure coltivare un atteggiamento di consapevolezza che, da una parte ci porta ad aver ben chiaro ciò che si vuol dire e, dall’altra, si è attenti alle persone alle quali ci si rivolge, ai loro linguaggi, alla loro sensibilità. In secondo luogo, la citazione. Si tratta di un’annotazione del saggio San Giovanni XXIII, che durante un Ritiro spirituale mentre era Nunzio in Francia lasciò scritto: «Simplicitas cordis et labii [cfr.Sap1,1: semplicità di cuore e di parole]. Più vado innanzi, e meglio constato la dignità e la bellezza conquistatrice della semplicità, nel pensiero, nel tratto, nelle parole. Una tendenza che si affina a semplificare tutto ciò che è complesso; a ridurre tutto al massimo di spontaneità e di chiarezza, senza preoccupazione di fronzoli, di raggiri artificiosi di pensiero e di parole».
Aldo Basso
Sacerdote e
Membro del Consultorio