Nuove povertà e fragilità sociali: alcune note per rilanciare dibattito e azione

Nuove povertà e fragilità sociali:

alcune note per rilanciare dibattito e azione

 

 Autrice: Chiara Mortari

 

 

 

 

Le difficoltà di una società liquida

La crisi economica e finanziaria che da anni travaglia il mondo globalizzato rende sempre più complessi i nostri bisogni, e contemporaneamente l’esigenza di trovare risposte efficaci. Questi nostri tempi sono stati definiti liquidi in quanto l’esperienza individuale e le relazioni sociali sono segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido per l’appunto.

Questo rende difficile e vulnerabile la nostra vita quotidiana ed esige uno sforzo corale nel ripensare strategie di sviluppo e di tutela capaci di andare oltre i modelli conosciuti per evitare che una parte della società sia lasciata indietro, abbandonata al suo destino. In particolare si pensi a tutte quelle situazioni di persone – disoccupati, immigrati ecc., ormai preponderanti nelle nostre città – che vivono condizioni di emarginazione, solitudine che intrecciano povertà e fragilità sociale.

La povertà in Italia

Per affrontare la questione della povertà, l’Italia, secondo gli ultimi dati Eurostat, destina una quota di spesa sociale destinata a infanzia e famiglie pari alla metà della media europea (4,1% rispetto all’8,5%).

1 bambino su 20 non possiede giochi a casa o da usare all’aria aperta, mentre più di 1 su 10 non può permettersi di praticare sport o frequentare corsi extrascolastici.

La percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandonano precocemente gli studi, fermandosi alla licenza media, tocca il 14,7%, mentre 1 alunno di 15 anni su 4 non raggiunge le competenze minime in matematica e 1 su 5 in lettura.”

Questi sono solo alcuni dei dati che emergono dal 7°Atlante dell’Infanzia (a rischio) “Bambini, Supereroi” di Save the Children, l’Organizzazione internazionale occupata a promuovere i diritti dei bambini in pericolo. Una fotografia inquietante, in cui quasi 1 minore su 3 è a rischio povertà ed esclusione sociale, mentre i bambini di 4 famiglie povere su 10 soffrono il freddo d’inverno perché i loro genitori non possono permettersi di riscaldare adeguatamente la casa.

Parlare di deprivazione, di nuove povertà e fragilità sociali, ci chiama in causa prima di tutto come esseri umani, parti integranti del grande convivio sociale. Ogni nostra identità di individui/ esseri umani, prende forma in virtù delle relazioni sociali, all’interno dei contesti storici, geografici nei quali si realizzano le nostre vite.

Le storie che segnano l’esclusione sociale delle persone, giovani o meno giovani, sono molto diverse tra di loro, ma accumunate dal fatto che la biografia di ogni persona rappresenta la punta di un iceberg di un disagio sociale più profondo, di cui spesso ignoriamo o sottostimiamo le interconnessioni.

Verso un’etica della vulnerabilità

Pertanto un presupposto riguarda il fatto che il concetto di umanità ha molto a che fare con la sua vulnerabilità: malessere e bisogni sociali sono affrontati ancora per lo più con logiche residuali legate all’emergenza dei problemi, che non risultano efficaci.

La nostra umanità e la dipendenza reciproca fondano l’obbligo di rimediare alla vulnerabilità e di rispondere ai bisogni degli altri con strategie adeguate. Un’etica della vulnerabilità deve rendere conto del fatto che la vulnerabilità è sensibile al contesto e molte sorgenti di vulnerabilità dipendono dalle situazioni contingenti, sociali, ambientali, economiche e politiche, a volte e forse troppo spesso, ingiuste.

La strada vincente non può che essere rappresentata da una buona politica che faccia sintesi tra i legami affettivo-solidali e le risposte istituzionali competenti, ben distribuite sul territorio, a partire dal fatto che non si può pensare di superare la solitudine delle persone e delle famiglie con mere logiche di trasferimento monetario, soprattutto se molte persone hanno bisogno di assistenza continuativa. Si fa strada l’esigenza di pensare a nuove strategie di welfare con al centro la persona nella concretezza delle sue relazioni familiari e sociali, nella sua appartenenza di genere e di generazione, nella specificità di bisogni educativi .

Anche l’Ucipem di Mantova si apre al confronto e alla riflessione con attenzione alla realtà locale e ai diversi livelli d’intervento.

Affinché non riponiamo speranze e buoni propositi solo nel domani, rischiando un malessere senza rimedi, si può partire banalmente dal verificare se il problema principale riguarda l’incapacità di accettare il presente o piuttosto l’impegno nel futuro. “Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso” diceva Primo Levi. Pensiamo dunque che sia quanto mai importante interrogarsi sulla realtà attuale a partire dalla marginalità, sapendo che questo richiede un forte investimento di risorse umane, collegamenti con le agenzie educative, servizi specialistici e reti del volontariato e del privato sociale.

Chiara Mortari

Psicologa psicoterapeuta, Docente Università Brescia

 

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