Poiché il bambino, quando nasce, non è in grado di creare e gestire l’ambiente esterno, affinché questo sia idoneo ai suoi bisogni e al suo sviluppo, a questa gestione devono necessariamente provvedere gli adulti ed in particolar modo i genitori e gli altri familiari. È bene, infatti, ricordare che, fino ai tre-quattro anni di vita, l’unica relazione significativa fondamentale per i bambini è quella con i propri genitori. È la bontà di questo rapporto che potrà permettere a tutte le altre relazioni di mettere radici e svilupparsi, ed è dalla bontà di questo rapporto che dipenderà l’atteggiamento complessivo del bambino e poi dell’adulto, nei confronti degli altri.
Per Bilbao, durante i primi anni di vita, non la scuola, ma i genitori e i fratelli esercitano la maggiore influenza sullo sviluppo e sulla maturazione del bambino, poiché i valori, le regole, la memoria e la capacità di affrontare i problemi si trasmettono attraverso il linguaggio, i giochi, i piccoli e grandi gesti e tutti gli altri dettagli, apparentemente insignificanti, di cui è fatta l’educazione che si acquisiscono nell’ambito familiare. [1]
Essere genitori
Essere genitori significa certamente rinunciare a molti piccoli piaceri della vita o rimandarli. Quando si è genitori il tempo libero, i viaggi, la carriera professionale o il riposo dovrebbero passare in secondo piano, giacché ogni genitore sa che avere un bambino significa rinunciare a una vita spensierata, per vivere molto, molto indaffarati e che tutte queste rinunce hanno senso solo se compensate dal piacere di stare con il proprio figlio (Bilbao Á.).[2]
Ciò presuppone una grande disponibilità al dono di sé a favore dell’essere umano che si sta formando e che necessita di tanta dedizione, attenzione, presenza e pazienza. Il darsi per i propri figli, specie se piccolini, comporta, quindi, sacrifici e rinunce: del proprio tempo, delle proprie personali aspirazioni e desideri. Queste rinunce potranno essere attuate facilmente solo se, superando l’individualismo e l’egoismo personale, sono vissute con piacere e gioia.
Cosa dà il bambino ai genitori
Per fortuna sappiamo che un bambino non chiede soltanto, ma dà molto alle persone che hanno cura di lui in modo costante, attento e valido. Ne sono prova le coppie adottive e quelle che effettuano la fecondazione artificiale. Si tratta, in entrambi i casi, di coppie che non hanno paura di affrontare e accettare mille sacrifici, di compiere pesanti percorsi terapeutici e non temono di sobbarcarsi a spese ingenti, pur di avere un figlio in braccio. La natura ha legato alla maternità e alla paternità molti motivi di gioia, piacere e gratificazione.
Cosa c’è di più piacevole di un bambino che si addormenta nelle braccia della mamma o del papà, satollo di latte e di affetto, con il visino paffuto da cui traspare, sazio, insieme a qualche rivolo di latte, anche una beatitudine celestiale? Cosa c’è di più piacevole e gratificante del vedere un bambino che risponde con un sorriso al tuo sorriso, con le smorfie alle tue smorfie, con i baci ai tuoi baci, mai soddisfatto di restare in contatto con te, mai sazio di moine, abbracci e giochi?
Questi ed altri mille momenti piacevoli sono certamente legati indissolubilmente anche ai tanti sacrifici e limitazioni che i genitori accettano e si impongono.
Disponibilità al dono gratuito
È difficile pensare a dei genitori che non abbiano la disponibilità al dono gratuito e generoso. Tuttavia, vi sono delle notevoli differenze. Sono più facilmente disponibili al dono gratuito le persone più mature e psicologicamente serene ed equilibrate. Poiché, quando si è affettivamente e psicologicamente piccoli o immaturi si tende più a chiedere che a dare. Allo stesso modo, quando si sta psicologicamente male si ha fame di piaceri semplici e banali e si è più propensi a pretendere dagli altri che ad offrire agli altri.
La disponibilità al dono gratuito nasce anche da alcuni valori familiari trasmessi mediante l’educazione alle nuove generazioni. Si può avere un’educazione che mette in primo piano l’arrivismo sociale, il potere, l’efficienza, le capacità intellettive e culturali, l’aggressività nei confronti della vita da cui prendere per sé onori, ricchezze e glorie, oppure, ed è ciò che si aspettano le nuove generazioni, è possibile attuare un’educazione che tenda a stimolare e far maturare nei futuri padri e nelle future madri, nei futuri cittadini, il piacere di aprirsi agli altri, la gioia dell’intesa, del rapporto e del dono.
Affinché i minori, e soprattutto i bambini molto piccoli, abbiano gli apporti necessari al loro sviluppo armonico e pieno, i genitori devono necessariamente possedere alcune caratteristiche essenziali e devono porre in essere precisi impegni.
La necessità, sia in quantità che in qualità, della presenza fisica dei genitori nei confronti dei figli è insita nell’essere umano. Per tale motivo non varia, né è sostanzialmente modificabile al variare dell’ambiente o delle società. I bisogni di dialogo, di affetto, di comunicazione, di rapporto con le figure genitoriali e familiari di un bambino del duemila non sono, nelle loro quantità e qualità fondamentali, molto diversi da quelli di un coetaneo dell’età della pietra. D’altra parte, la probabilità che si creino paure, ansie, insicurezze, o che il bambino avverta la necessità di chiudersi in sé stesso, mettendo come un filtro tra lui e il mondo ritenuto non idoneo ai suoi bisogni, sono conseguenze sostanzialmente uguali.
È necessario quindi che i genitori siano presenti seguendo la fisiologia dello sviluppo del loro figlio, senza mai forzarla o superficialmente ignorarla. In caso contrario lo scotto da pagare può, inizialmente, essere soltanto un lieve vissuto di disagio, che però può complicarsi e accentuarsi in sintomi e disturbi molto più gravi e invalidanti.
Ogni volta che il rapporto affettivo-relazionale con i propri genitori è carente in quantità, il figlio avvertirà e soffrirà delle limitazioni presenti, poiché noterà che mamma e papà, nei suoi confronti, sono come una fonte inaridita, incapace di dargli l’ascolto, la protezione, l’affetto e le cure che gli sono indispensabili.
Come dice Maté G.:
‹‹I bambini piccoli non riescono a comprendere le motivazioni degli adulti. Sapere di essere amati non significa nulla per loro se il genitore sparisce continuamente. Si sentono abbandonati e, a livello subliminale, si convincono che il genitore abbia cose molto più importanti da fare. Pensano di non essere degni delle sue attenzioni e, all’inizio inconsciamente, cominciano a credere che qualcosa non vada in loro››.
Ad esempio, avvertirà con rammarico il fatto che molte attività, squisitamente materne o paterne, sono gestite da altre persone. Altre persone, spesso altre donne sono presenti al suo risveglio. Altre persone, spesso altre donne, lo curano e l’assistono durante la giornata. Altre persone dialogano con lui, con lui giocano e scambiano tenerezze o asciugano le sue lagrime nei momenti di tristezza. Altre persone gli comunicano gli elementi fondamentali del vivere civile. Altre persone preparano i cibi che consuma. Addirittura, altre persone provvedono ad allietare le sue feste (Tribulato E.).
Quando sussistano tali condizioni non è possibile aspettarsi dal figlio manifestazioni di attaccamento e amore.
Come dice Bilbao:
‹‹Non aspettarti che i tuoi figli ti adorino se tu per primo non gli fai sentire che sono speciali ogni giorno della loro vita. Per ottenere il rapporto che hai sempre sognato con i tuoi figli non devi fare altro che costruirlo giorno per giorno insieme a loro››.[3]
L’immagine materna e paterna si sposterà allora, nell’intimo del bambino, da fonte di accudimento e sostegno affettivo, relazionale ed educativo, a fonte soltanto di sostegno economico per la famiglia, oppure i genitori acquisteranno la veste di “autisti” pronti a trasportarlo, volente o nolente, da una parte all’altra della città, per condurlo all’asilo nido o ad una delle tante terapie di cui ha necessità. Ciò non può che stimolare sentimenti come l’aggressività, la sfiducia e l’insicurezza.
Per il bambino è nefasta ogni separazione dai suoi genitori e, in particolare, nei primi anni di vita è nefasto ogni allontanamento dalla propria madre (Osterrieth P. A.),[4] in quanto l’assenza di questa fondamentale figura, per un tempo eccessivo, lo priva di quei fondamentali e stabili punti di riferimento provocando nel piccolo sofferenza e con la sofferenza emozioni negative fatte di ansia, paura, sfiducia, rabbia e tristezza.
Purtroppo, la ricerca affannosa di una realizzazione individuale in campo lavorativo, sociale, affettivo, sentimentale e sessuale, spesso porta a trascurare le reali necessità dei figli. Si cerca di soddisfare innanzi tutto i propri bisogni e le proprie ambizioni, riservando troppo poco tempo alla famiglia. In tanti genitori si nota come una corsa che mira ad arraffare dalla vita e dalla società quanto più possibile, lasciando alle esigenze dei minori briciole di tempo e d’energie, senza tentare neanche di lasciarsi veramente andare con loro ad un rapporto intimo e privilegiato, così da offrire ciò che veramente è a loro utile, anzi indispensabile: una presenza calda e amorosa.
La presenza dei genitori e dei familiari nella vita dei bambini è diminuita significativamente, a causa di vari fattori sociali, economici e culturali ed è testimoniata dalla realtà quotidiana e da numerose statistiche. I motivi sono diversi:
Gli impegni lavorativi e sociali.
Gli impegni ludici ed estetici.
Le occupazioni culturali e di studio.
Gli impegni sociali, politici e religiosi.
L’abuso degli strumenti elettronici.
La perdita delle competenze.
Le disarmonie e i conflitti all’interno delle coppie.
1. Gli impegni lavorativi e sociali.
A partire dagli anni ’70, sempre più donne hanno iniziato a lavorare fuori casa, riducendo il tempo disponibile per stare con i figli.[5] La diminuzione dei matrimoni e l’aumento dei divorzi hanno portato ad un aumento delle famiglie monoparentali, nelle quali il genitore single è costretto a bilanciare il lavoro con la cura dei figli. Pertanto, il tempo trascorso con questi si riduce ulteriormente.[6] Inoltre, l’urbanizzazione e la maggiore mobilità lavorativa hanno condotto molte famiglie a vivere lontano dalla rete parentale che, tradizionalmente, forniva un supporto nella cura dei bambini. I genitori sono stati, pertanto, costretti a gestire da soli tutto l’andamento della famiglia. [7]
Questo tipo di “normalità degli impegni” ha fatto notevolmente aumentare il numero degli orfani bianchi. Sono questi i figli di genitori che, pur convivendo sotto lo stesso tetto, sono talmente assorbiti dalle attività esterne, da non riuscire a dare ai propri figli una presenza continua, costante ed efficace. Per questi genitori le possibilità relazionali ed educative diventano difficili, rare o saltuarie.
Negli ultimi decenni, da parte degli studiosi e dai mass media sono state notevolmente evidenziate e ben descritte quali fondamentali funzioni abbia il lavoro extrafamiliare.
Questo tipo di attività permette l’autonomia dei singoli e delle coppie dalle famiglie d’origine, assicurandone la sopravvivenza ed il benessere sociale, mediante l’acquisto di beni e servizi indispensabili per l’alimentazione, l’igiene, la sanità, la cultura, lo scambio sociale e le attività ludiche. Il lavoro extrafamiliare consente anche di accendere la fantasia, sbrigliare l’immaginazione, liberare la creatività, permettendo la realizzazione dei propri sogni, dei propri progetti, dei desideri e delle aspirazioni.
Nello stesso periodo di tempo non vi è stata, purtroppo, altrettanta attenzione nei confronti del lavoro all’interno della famiglia e della casa: lavoro intrafamiliare. Anzi questo tipo d’impegno, dedicato al mondo degli affetti e delle relazioni, è stato sempre più sottovalutato; tanto da essere screditato e svilito agli occhi dell’opinione pubblica, in quanto giudicato come un lavoro di second’ordine e, quindi, nettamente accessorio. Cosicché le casalinghe, non per scelta, ma costrette a causa della mancanza di lavoro extrafamiliare, quasi si vergognano della loro condizione, poiché considerano il loro impegno all’interno della casa e della famiglia, non solo poco gratificante ma anche inutile, vuoto, sterile, scialbo ed umiliante. Anche perché gli organi dello Stato e buona parte della società civile lo considera come un grave problema da affrontare e superare al più presto, mediante vari incentivi dati alle ditte affinché assumano chi ancora non lavora e soprattutto le donne. Ciò è avvenuto per vari motivi: lotta per la cosiddetta liberazione della donna; necessità da parte delle industrie di manodopera a basso prezzo; stimolo a produrre, vendere e consumare quanto più possibile.
In realtà, invece, a ben guardare, difficilmente si potrebbe trovare un lavoro o un impegno altrettanto importante e fondamentale per la vita ed il benessere dei singoli individui e della società. L’impegno intrafamiliare è, infatti, essenziale alla costruzione della personalità dell’individuo, in quanto permette la distinzione del sé dall’altro e, successivamente, consente lo sviluppo di tutte le potenzialità umane iscritte nei geni. Queste potenzialità non possono attivarsi senza l’intervento di altri esseri umani legati al bambino da stabili e intensi legami affettivo-relazionali.
Sono frutto dell’impegno intrafamiliare: le capacità comunicative ed espressive della persona umana; la modulazione e il controllo e la corretta gestione delle pulsioni, delle emozioni e dei sentimenti; l’acquisizione di una corretta identità sessuale; la crescita dell’autonomia, della forza, del coraggio, della determinazione e della sicurezza; le capacità motorie e il dinamismo dell’individuo; la sua intraprendenza e determinazione.
Nascono, inoltre, dall’impegno intrafamiliare: l’acquisizione del senso dell’onore, del dovere e della lealtà verso gli altri; il rispetto delle regole e delle norme sociali; l’acquisizione di principi etici; la costruzione e la valorizzazione della rete familiare ed affettiva che è fondamentale per trovare aiuto, supporto e accoglienza in ogni momento della vita.
Alcuni di questi compiti sono prevalentemente, anche se non esclusivamente, materni, altri sono prevalentemente paterni. Molte di queste mansioni sono appannaggio di entrambi i genitori, ma non vi è dubbio che questo tipo di impegno sia fondamentale ed insostituibile per l’intera comunità civile.
Si può affermare anche qualcosa di più: il lavoro intrafamiliare è presupposto indispensabile al lavoro extrafamiliare. Senza il lavoro intrafamiliare, in assenza di questo o quando questo non è svolto correttamente, è compromessa anche l’attività lavorativa esterna alla famiglia, nonché il benessere di tutta la società. Ciò in quanto la presenza di esseri umani con capacità e qualità carenti, disturbate o chiaramente patologiche, se da una parte impedisce ogni apporto lavorativo stabile e produttivo, dall’altra richiede ingenti risorse per le necessarie diagnosi, cure e assistenza verso i soggetti che presentano disturbi psicologici di vario tipo.
Per tali motivi, per una buona e sana vita sociale, la presenza delle attività lavorative extrafamiliari deve necessariamente essere pienamente bilanciata dalla presenza di adeguati e opportuni impegni intrafamiliari.
Per raggiungere quest’obiettivo è indispensabile considerare il lavoro all’esterno della famiglia come fonte per soddisfare i bisogni essenziali e non certo quelli indotti dal consumismo. In tal modo si potrebbe evitare di farne un idolo messo al centro della nostra vita, al quale sacrificare tutto: vita personale, vita di coppia, vita familiare, educazione e cura dei figli. Idolo capace di assorbire buona parte delle nostre energie fisiche e psichiche. Idolo sul quale riversare quasi tutte le nostre attese e speranze.
Inoltre, è bene ricordare che non possiamo aumentare a dismisura, né possiamo crearla dal nulla la quantità d’energia che abbiamo. Dobbiamo invece utilizzare nel miglior modo possibile, le nostre energie fisiche e psichiche, facendo delle scelte. Se queste sono state assorbite dal lavoro all’esterno della famiglia o dagli altri impegni ludici, sociali o politici, rimane ben poco per la relazione, per l’ascolto e l’intesa con i propri figli.
Mazzi A. e Zois G., così descrivono la situazione di molte famiglie:
‹‹I bambini dei quartieri delle metropoli sono tutti orfani bianchi. Il papà e la mamma escono il mattino, per recarsi al lavoro. Con lo stipendio solo, si dice, in città non si può sopravvivere. Trovano il panino e il cappuccino sul tavolo, il pranzo nel frigo, la brioche nello zainetto della scuola. Un bacetto quasi finto, mentre si stavano svegliando, ha indicato loro che era ora di alzarsi››.[8]
Caso clinico. Un esempio lo abbiamo avuto nel caso di C. C., una bambina di sei anni la quale presentava numerosi disturbi psicoaffettivi di media gravità che si manifestavano con paure, disturbi del sonno, del comportamento, dell’alimentazione, somatizzazioni ansiose, eccessiva emotività e scarso controllo delle pulsioni. Abbiamo consigliato ai genitori di utilizzare il Gioco Libero Autogestito per ritrovare una piena relazione con la figlia e, nello stesso tempo, diminuire l’importante sofferenza interiore, in modo tale che i suoi sintomi potessero diminuire. In realtà già dopo poche settimane la bambina è nettamente migliorata. Pertanto, abbiamo potuto congratularci con i genitori per l’impegno che essi avevano profuso nel giocare e nel dialogare con la figlia. Quale fu la nostra sorpresa quando la madre ci confessò che buona parte dell’impegno nei confronti della bambina era stato attuato dal padre di Chiara, poiché lei, essendo insegnante di scuola materna, impegnata com’era per buona parte della giornata a seguire con grande abnegazione e impegno dei bambini piccoli, non aveva tempo, ma soprattutto non aveva sufficienti energie da utilizzare per la figlioletta.
La qualità dell’apporto scade, quindi, anche perché gli impegni e le attività esterne, assorbendo e condizionando pensieri e riflessioni, portano ad un progressivo estraniamento, rispetto ai temi riguardanti i bisogni e le necessità di accudimento, dialogo e attenzione nei confronti dei propri figli. Questi bisogni sono vissuti non più in maniera istintiva ed empatica ma in modo freddo e razionale. In pratica ci si organizza affinché i figli, anche se molto piccoli, stiano in un luogo considerato sicuro e affidabile, siano puliti e possano essere alimentati regolarmente, senza tener conto dei loro bisogni e dei loro desideri più veri e profondi.
Spesso è il datore di lavoro che chiede e pretende dal lavoratore, non una parte, ma tutte o quasi le sue energie, la sua fantasia, il suo interesse, in modo tale da rendere l’impegno di quest’ultimo sempre più produttivo. Queste richieste, non solo sono viste come sacrosante, ma anzi, da parte del datore di lavoro e dai colleghi, viene bollato di discredito il lavoratore che si occupa e preoccupa dei doveri familiari, i quali sono di solito giudicati come esigenze secondarie (Tribulato E.).
Ciò può accadere sia per gli uomini che per le donne, sia per il padre che per la madre, in quanto vi è un ‘invito, quasi un obbligo, all’impegno di entrambi i genitori nel lavoro extrafamiliare, che è visto come un segno di modernità, democrazia e necessità per le famiglie e per la società, nonché come obiettivo primario da raggiungere per migliorare il PIL (Prodotto Interno Lordo), per dare maggiore ricchezza alla nazione e per permettere la “realizzazione” della donna nell’ambito sociale, così da “liberarla” dalla schiavitù della casa, dai figli e dai fornelli!
Inoltre, negli ultimi anni, poiché i progressi della tecnologia hanno consentito di lavorare quasi in ogni ora del giorno e della notte oltre che in ogni luogo, i confini tra il lavoro extrafamiliare e il tempo da dedicare alla famiglia sono diventati nebulosi e sempre più scarsi e poco adeguati (Shapiro Lawrence E.).[9]
Purtroppo, gli impegni lavorativi e sociali dei genitori, ma anche degli altri familiari che hanno in cura un bambino, possono avere una notevole valenza sia nell’insorgenza delle patologie psichiche, sia nella possibilità o non della loro cura. Le conseguenze sono drammatiche. Non dovrebbe essere difficile immaginare la frustrazione di un bambino al quale non è possibile dare l’ascolto necessario, poiché, per dialogare non bisogna avere fretta, né si può correre, con la mente agitata dai bisogni.
Correre con l’ansia e la paura di essere rimproverati: dal capoufficio, dal datore di lavoro, dagli altri colleghi. Correre con la paura di essere licenziati, se non si arriva in tempo o se si sottrae energia e spazio agli impegni lavorativi; né si può dialogare efficacemente con una madre o un padre che ritornano dal lavoro, già stanchi e oppressi dalla fatica e dalla tensione. Non si può dialogare efficacemente con dei genitori snervati dai problemi, dalle difficoltà relazionali con i capi e con i colleghi di lavoro. Già nuovamente impegnati per garantire ai figli e alla famiglia, il soddisfacimento delle necessità indispensabili. Già pronti a correre per andare dai medici, fare la fila nelle farmacie o nei supermercati! Già in macchina per portare i figli alle varie attività: doposcuola, palestra, scout, parrocchia!…
È una continua corsa contro il tempo, ma anche contro sé stessi, contro la possibilità di godere le gioie della maternità e della paternità, il piacere di un rapporto intimo con i figli, la gioia di un dialogo tenero con loro. Tutto ciò, purtroppo, viene considerato necessario, anzi indispensabile e deve essere dai figli, anche molto piccoli, accettato, o meglio subìto, giorno dopo giorno, per anni.
2. Gli impegni estetici e ludici.
Nella nostra società dell’immagine è pressante l’invito a migliorare l’aspetto fisico a contenere i danni inferti dal tempo sul viso e sul corpo mediante la frequenza di palestre e di centri benessere, ma anche di sale operatorie per interventi di chirurgia estetica. Altre volte, e ciò avviene sempre più frequentemente, nelle ricche e opulente società occidentali, occupano il tempo di mamma e papà impegni sicuramente più futili o ludici come le cene con gli amici, i giochi, i balli e le vacanze. L’avvento della televisione, dei videogiochi e, più recentemente, degli smartphone e dei social media, ha cambiato il modo in cui le famiglie trascorrono il tempo insieme. I genitori, e di conseguenza anche i figli, trascorrono molto tempo immersi nei dispositivi elettronici, riducendo le interazioni faccia a faccia.[10]
Queste ed altre attività similari, sono percepite come molto importanti per la propria vita e per la realizzazione personale, tanto da essere avvertite come bisogni imprescindibili del corpo e della mente e pertanto non si riesce a rinunciarvi o a limitarle.
I motivi di ciò vanno ricercati nell’alienazione di una società che continuamente stimola, per motivi economici, a vivere senza mai accontentarsi di ciò che si ha e che si è. È l’alienazione di una società basata sui beni di consumo, che spinge a comprare e consumare sempre di più, con la vana promessa di raggiungere in questo modo la gioia e la serenità, se non proprio la felicità. È una società che stimola a migliorare il proprio aspetto nella prospettiva e nella speranza di sentirsi meglio: ‹‹Se sei triste e insoddisfatta è perché il tuo naso è troppo grande, il tuo seno troppo piccolo, i tuoi fianchi troppo larghi. Per sentirti meglio basta mettersi nelle mani di un chirurgo che penserà a stringere, allargare, sostenere, modellare e quindi insieme alla bellezza ti darà serenità e gioia››. È una società che invita al divertimento ed al piacere nella chimera di raggiungere piena soddisfazione personale.
Giacché le promesse restano solo promesse, gli inviti alla ricerca del benessere, mentre si vive nel malessere, diventano sempre più numerosi e si prolungano all’infinito. Come dice Faretta E., e Parietti P.:
‹‹… nella società attuale, caratterizzata da una cultura individualista orientata narcisisticamente, si percepisce l’esibizione di un apparente ben essere, che cela un diffuso e profondo mal essere››.[11]
S’innesca allora un circolo vizioso: si è invitati a superare lo stress del lavoro e della vita quotidiana acquistando di più e spendendo di più; per spendere di più e consumare di più sono necessari più soldi e più lavoro; impegnandosi di più nel lavoro aumenta lo stato di malessere e di disagio; si ritorna al punto di partenza in una spirale senza fine.
3. Le occupazioni culturali e di studio
Non mancano le esortazioni a migliorare la propria cultura mediante la frequenza di lauree, corsi, master, tirocini e aggiornamenti. Dagli economisti è continuamente affermato che una società moderna non si accontenta di una modesta cultura di base, ma richiede delle persone che abbiano un bagaglio di istruzione a livello universitario e oltre.
4. Impegni sociali e politici
Si è inoltre sollecitati a dedicare parte del proprio tempo e delle proprie energie all’agone sociale e politico. Succede a volte, e la cosa potrebbe essere comica se non fosse tragica, che mentre siamo occupati con passione ed impegno a risolvere i problemi e le difficoltà degli altri: coppie con problemi, bambini, anziani, disabili, svantaggiati, ecc. va alla malora la nostra vita di coppia, trascuriamo i nostri figli, lasciamo soli i vecchi genitori.
Siamo soprattutto occupati a fare, non importa che cosa e dove, l’importante è che sia un “fare”, almeno in teoria, gratificante e qualificante, fuori della propria famiglia; mentre siamo poco o nulla disponibili alla cura, all’ascolto e al dialogo con le persone che sono a noi più vicine: i nostri figli, verso i quali dovremmo avere degli obblighi e dei doveri ben precisi.
5. L’abuso degli strumenti elettronici.
Se tutto ciò non bastasse le moderne società devono fare i conti con una serie di strumenti elettronici che hanno invaso le case e le vite degli abitanti delle città e dei paesi: televisori, computer, consolle di videogiochi, telefoni cellulari, tablet e così via. Questi strumenti che si propongono di migliorare la comunicazione tra persone, essendo utilizzati in maniera eccessiva ed impropria, sottraggono energie e tempo che potrebbero essere dedicati al dialogo e alla cura della prole.
6. La perdita delle competenze.
L’allontanamento da parte degli uomini e delle donne dalla cura dei figli è causato anche da quella che potremmo chiamare perdita delle competenze. Nonostante oggi vi sia una notevole maggiore cultura di tipo tecnico – professionale, sono di fatto notevolmente diminuite le conoscenze riguardanti la relazione con i minori, così come sono diminuite le acquisizioni riguardanti una maggiore sensibilità e capacità nel campo affettivo-relazionale. Tutto ciò contribuisce ad allontanare uomini e donne dalle cure dei figli, in quanto i genitori non riescono ad avere nei loro confronti un rapporto sereno e stabile, che è anche la premessa per un rapporto gratificante e appagante.
7. Le disarmonie e i conflitti all’interno della coppia.
Quando i genitori impegnano buona parte delle proprie energie nell’affrontare l’altro, nel difendersi dall’altro, nell’accusare l’altro, nel far del male all’altro; sono coinvolti da sentimenti che sconvolgono l’animo, come la gelosia, l’aggressività, la delusione, la sofferenza e la rabbia. Essi, pertanto, non hanno la possibilità di esprimere pienamente quei teneri e delicati sentimenti di cui hanno bisogno i figli e non vi è sufficiente disponibilità e serenità indispensabili per la cura e l’ascolto dei loro bisogni.
La conseguenza di quanto abbiamo detto è che l’impegno educativo, di cura e relazione verso i minori, oltre che essere trascurato dalle politiche sociali, è visto dai genitori e familiari come una gravosa e tediosa necessità da far disimpegnare, se possibile, agli altri. Quando si è costretti ad affrontarlo personalmente non è avvertito come un impegno gratificante, piacevole e gioioso, ma come un lavoro faticoso, da liquidare il più presto possibile, mediante risposte smozzicate, incomplete, frettolose e spesso purtroppo anche irritate, mentre si corre per assolvere gli altri numerosi obblighi quotidiani.
Il legame che dovrebbe unire i genitori ai figli diventa fragile e debole, nonché incapace di sostenere, guidare, confortare. La saltuaria, incostante, instabile presenza dei genitori non solo impedisce ai figli quello sviluppo interiore capace di costruire e poi difendere e rafforzare la loro personalità, ma impedisce pure di affrontare in tempo e con gli opportuni provvedimenti i disagi nascenti.
Sempre più spesso uomini e donne, padri e madri ‹‹non hanno tempo››. Non hanno tempo da dedicare ai figli nel momento in cui dovrebbero contribuire alla loro crescita e alla loro formazione; inoltre, anche quando si evidenziano gravi problematiche gli stessi genitori “non hanno tempo” per affrontare il disagio dei figli con la necessaria costanza, dedizione e collaborazione con gli operatori.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato “Prevenire la chiusura autistica”.