Lavoro e famiglia

Lavoro e famiglia

 Autrice: Anna Orlandi Pincella

Avevo fatto la notte all’ospedale e di prima mattina ho preso l’ascensore per andare a fare colazione. Salì con me un’infermiera dall’espressione stravolta. “Notte impegnativa?” le chiesi sorridendo. E lei scoppiò in lacrime. “Sì, ma il problema non è questo. Mi hanno appena precettato per il turno successivo: a casa ho il bambino ammalato, mio marito deve andare al lavoro e io non so a chi affidarlo.” Mi ha fatto tanta pena e mi ha fatto riflettere.

 

 

Ho pensato che noi ci sentiamo in diritto di avere infermiere attente e pazienti, pienamente efficienti, così come dovrebbero essere efficienti e disponibili gli impiegati degli uffici pubblici, le commesse dei negozi, le cassiere dei supermercati e … tutti, lavoratori dipendenti e autonomi, ciascuno nel ruolo e nel compito che gli compete, ma che non sempre – per svariati motivi – ci sono le condizioni necessarie perché una persona lo possa essere. E quando le condizioni vengono a mancare perché non viene utilizzato quel piccolo margine di discrezionalità e flessibilità previsto dalla normativa, margine che consentirebbe di rendere il lavoro più umano, nasce una grande amarezza: “Perché no? Perché proprio a me?”

Se poi le imposizioni sono illegali e chi le subisce non è in condizione di poterle denunciare, si subisce un desolante sopruso. Le persone non sono macchine, e persino le macchine non devono avere i motori surriscaldati per il troppo lavoro.

Non so quanto quell’infermiera sarà riuscita ad essere serena, concentrata e disponibile come la sua professione richiede; se qualcosa sarà andato storto forse sarà stata rimproverata, aggiungendo pena a pena.

Persone e non macchine

In una società sempre di corsa (il tempo è denaro!) i rapporti interpersonali vanno nientificandosi: la cassiera del supermarket è una macchina che registra il costo, riceve i soldi e dà il resto come qualsiasi distributore automatico. In alcune catene le è proibito persino di sedersi anche solo per qualche minuto: deve fare tutto il suo turno sempre in piedi perché si ritiene che così sia più veloce. Nessuno che pensi di dirle il buongiorno o grazie: uno dopo l’altro i clienti le passano davanti indifferenti come farebbero davanti ad una cassa automatica. E lei tira dritto più veloce che può, soprattutto quando sa che la sua efficienza viene valutata sulla base di quanti scontrini riesce a fare. E allora anche solo un sorriso è lo sprazzo di luce che non ti aspetti.

Certo, scorretti sono gli impiegati che chiacchierano amichevolmente per i fatti loro, incuranti della fila di utenti che aspetta pazientemente il suo turno; scorretta è la commessa della boutique che quando entri ti squadra dalla testa ai piedi per farsi un’idea della tua condizione socio-economica così da trattarti di conseguenza, salvo poi gemere quando il negozio chiude e lei resta disoccupata. Ma scorretti sono anche gli utenti e i clienti che fanno di ogni erba un fascio e che protestano più del necessario o addirittura offendono chi colpa non ha e più che scorretto, è proprio un disonesto chi pretende dai propri dipendenti un comportamento esemplare senza rispettare i loro diritti. E soprattutto dimenticandosi che sono persone. Perché l’essere persona precede e fonda ogni diritto e ogni dovere.

Favori e diritti: due realtà da non confondere

E la dignità della persona può essere lesa in tanti modi: sia nel pretendere come diritto il non-dovuto, che può essere dato solo a titolo di favore, sia nell’elargire come favore quanto è dovuto per diritto.

Un anno una docente vincitrice di concorso fu assegnata alla scuola che dirigevo. Ben presto mi accorsi che era un’ottima insegnante e, sapendo che era del Sud d’Italia, le dissi con rammarico: “Presto chiederà il trasferimento per rientrare a casa!” Mi rispose: “Venire qui è stata una mia scelta: non sopportavo più di ricevere come favore ciò che mi spetta di diritto.” Non chiesi altro. Ma pensai a come è triste dover lasciare la propria terra per emigrare là dove si pensa di poter essere trattati da cittadini e non da sudditi. E purtroppo anche da noi a volte non è tutt’oro quel che luce.

Briciole di bene

A volte, quando vedo il traffico di auto, soprattutto il mattino e la sera, o anche i passanti per le strade, penso che ciascuna vita è una storia diversa, intessuta di gioie e di dolori, di scelte azzeccate e di sbagli, ma che tutti camminiamo tra speranze e timori verso un futuro che non conosciamo.

E penso che sarebbe così semplice rendere migliore il mondo facendo serenamente il proprio dovere senza chiedere troppo né a sé, né agli altri; dandosi una mano in caso di bisogno, con atteggiamento benevolo con le persone che incontriamo. E portando pazienza. A volte basta una parola buona, un pensiero gentile, una stretta di mano per umanizzare il mondoche ci circonda e … noi stessi. una somma di tante briciole buone che tutte insieme possono sfamarci.

Anna Orlandi Pincella

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