La relazione del neonato con la madre

Inizio delle relazioni

Dopo un primo momento indifferenziato, inconsistente e fluttuante, la ripetizione frequente di un certo numero di situazioni identiche: bisogno di nutrizione, pulizia, rumori e odori specifici come quelli preparatori alla poppata, alla pulizia o al bagnetto, sensazioni uditive come le costanti parole della madre e degli altri familiari al suo cospetto, nonché le carezze, i baci e le coccole rivolte a lui; tutte queste situazioni che si ripetono nel tempo innestano rapidamente un inizio di organizzazione per cui, da quel momento in poi, la vita extra-uterina si alimenta, si costruisce e vive nelle e delle relazioni. La relazione con l’ambiente esterno a lui è fondamentale non solo per accrescere esperienze e cultura ma è indispensabile per la formazione stessa dell’Io e per la crescita sana ed equilibrata del futuro uomo o donna.

Elemento base della relazione è la comunicazione, tra lui e la madre-mondo.

Per De Pinto ( 2004, p. 13) ‹‹Quando il bambino scopre che esistono altre menti oltre la sua, costruisce il campo della relazione intersoggettiva che include, oltre alla presenza fisica, anche stati soggettivi di emozioni, sentimenti, motivazioni ed interazioni. In questo campo intersoggettivo si sviluppa la capacità di leggere gli stati mentali dell’altro, di conformarsi, di allinearsi, sintonizzarsi con essi (o il contrario)››.[1]

Poiché il neonato è solo un candidato alla condizione umana: il bambino ancora “incompiuto” procederà nella propria formazione psichica e corporea e andrà provvedendosi dei mezzi di adattamento a contatto dell’universo sociale e materiale nel quale si trova prematuramente immesso, rispondendo a condizioni necessariamente incerte e variabili. Non disponendo di meccanismi belli e fatti, è costretto a fabbricarseli (Osterrieth, 1965, p. 28).[2] Il suo tirocinio per diventare adulto è lungo, in quanto il livello da conseguire da adulto è notevolmente complesso ed evoluto.

L’infanzia è allora il periodo necessario al “divenire umano” dell’individuo. È l’apprendistato che porta alla piena maturità umana. Da qui la necessità, per l’essere umano che ha la caratteristica di essere molto complesso, di una lunga infanzia; da qui la sua debolezza ma anche la sua ricchezza e le possibilità quasi infinite di adattamento (Osterrieth, 1965, p. 28).[3]

Il bambino è dunque un “animal educandum”, un essere che reclama l’educazione, come ha giustamente sottolineato Langeveld, poiché senza di essa non può divenire adulto. Pertanto non si prenderà mai troppo seriamente l’infanzia, e quindi l’educazione (Osterrieth, 1965, p. 29).[4]

La relazione con la madre

La relazione più importante è sicuramente quella che il neonato instaura con la madre. Per la Klein (1969, p. 13),

‹‹In tutti i miei lavori ho sottolineato l’importanza della prima relazione oggettuale del bambino – il rapporto con il seno materno e con la madre – e sono giunta alla conclusione che se questo oggetto primario, il quale viene introiettato, mette nell’Io radici abbastanza salde, viene posta una base solida per uno sviluppo soddisfacente››.[5]

Nella fase nella quale non vi è soltanto un “Io” ma qualcosa al di fuori di lui, fase del dualismo, il suo mondo esteriore è fatto quasi esclusivamente di questa figura, con la quale il neonato stabilisce dei rapporti tattili, termici, propriocettivi, cenestesici, sonori, olfattivi, ma anche e soprattutto instaura delle particolari relazioni affettivo – emotive. Pertanto la qualità e la ricchezza della comunicazione tra la madre ed il bambino hanno un’enorme importanza per lo sviluppo psicoaffettivo del neonato (De Negri e altri, 1970, p. 126).[6] Levy (in De Negri e altri, 1970, p. 127) ha definito la dipendenza del bambino dalla madre con l’espressione: “fame primaria d’amore” in quanto soddisfa i bisogni biologici fondamentali [7] e si attiva ad alleviare tutti i vari squilibri ricorrenti.

Inizialmente la madre è qualcosa di molto vago, ma ciò non toglie che ben presto questa diventi sicuramente più di un seno che lo nutre o delle braccia che lo cullano. Per il neonato la sua mamma diventa qualcosa che conforta, rassicura, fa stare bene, accarezza e procura sensazioni gradevoli. Per cui è alla madre che egli chiede cibo, pulizia, benessere fisico e psichico. Ed è con la madre che cerca di adattarsi e di instaurare un legame e un dialogo profondo, intenso e proficuo per entrambi. Ed è a lei che per prima, dopo la quinta settimana, offre i suoi sorrisi. Tutta la sua prima iniziazione avviene dunque nella tonalità della sicurezza familiare che si sprigiona dalla persona della madre, in quell’atmosfera di tenerezza e di affetto che oggi sappiamo quanto sia indispensabile al bambino, perché essa determina il suo personale sentimento di sicurezza, condizione di ogni successivo progresso (Osterrieth, 1965, p. 58).[8] Data la fondamentale importanza delle madri per il futuro benessere dei bambini e, quindi, dei futuri cittadini è difficile comprendere la soddisfazione della società per ogni madre che lascia il suo bambino alle cure di braccia estranee e quindi non adeguate al compito materno, per impegnarsi nel lavoro. Così come ci è altrettanto difficile comprendere il rimpianto dell’ambiente sociale quando le madri sono “costrette” a curare il loro bambino a causa della “mancanza di strutture idonee”. Leggi: asili nido! Ci aspetteremmo reazioni opposte. I politici e i mass medi dovrebbero gridare “vergogna” ogni volta che, per motivi economici, la società costringe una madre e un bambino a interrompere precocemente il loro affettuoso e fondamentale dialogo, dal quale dipende il futuro di un pezzo di società umana.


[1] DE PINTO L., Conversare tra noi lungo il cammino, in “Consultori familiari oggi”, numeri 2-3, anno 12, 2004, p. 13.

[2] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 28.

[3] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 28.

[4] Cfr. LANGEVELD in P., A., OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 29

[5] M. KLEIN, Invidia e gratitudine, Firenze,G. Martinelli Editore, 1969, p. 13.

[6] Cfr. M. DE NEGRI M. e altri, Neuropsichiatria infantile, Op. cit., p. 126

[7] Cfr. LEVY in DE NEGRI M. e altri, Genova Neuropsichiatria infantile, Op. cit., 1970, p. 127.

[8] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 58.

Emidio Tribulato

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