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Il linguaggio verbale

Per quanto riguarda il linguaggio verbale, le ricerche hanno dimostrato che il bambino reagisce al suono, alla voce e al canto della madre già nel ventre materno ed entro una settimana dalla nascita mostra una netta predilezione per la voce di lei, rispetto a quella di altre persone (Shapiro Lawrence E.).[1]
Se nei primi mesi dopo la nascita i genitori gli parlano, gli cantano o leggono qualcosa al proprio bambino, con quel particolare tono di voce un po’ buffo e cantilenante che usano le madri e i padri di tutto il mondo, allo scopo di farsi comprendere meglio, egli familiarizzerà con la loro voce e l’assocerà a sensazioni di piacere, calma e gioia.
Nonostante siamo geneticamente predisposti al linguaggio, è nel corso delle prime settimane e mesi di vita che l’ascolto della lingua materna e paterna permette al bambino di apprendere il linguaggio, se il suo mondo interiore non è particolarmente turbato da ansie, paure o sfiducia nei confronti dei genitori e degli altri esseri umani. Pertanto, le capacità comunicative del bambino si svilupperanno quando tra lui e i suoi genitori si sarà instaurata una relazione profonda, serena ed efficace.
Come dice Bilbao Á.:
‹‹Il bambino impara a parlare se qualcuno gli parla e interagisce con lui: non lo imparerebbe mai guardando un video. L’interazione con l’altro è decisiva ai fini dell’attenzione e della motivazione, indispensabili per l’apprendimento››.[2]
La qualità e la quantità della comunicazione affettivo-relazionale del bambino, tende ad incrementarsi gradualmente durante le varie fasi del suo sviluppo. Il bambino passa i primi mesi di vita imparando a distinguere i diversi suoni della voce, cercando di capire dove finisce una parola e comincia la seguente. Cerca, inoltre, di collegare i suoni con i diversi oggetti, momenti, situazioni e anche con i sentimenti e le emozioni (Bilbao Á.).[3] Quello che sorprende è la rapidità con cui di solito i bambini raggiungono la padronanza di uno strumento così complesso come il linguaggio, tanto che nel giro di qualche anno riescono a pronunciare correttamente le parole e poi le frasi e ne comprendono il significato (Lotto L., et Rumiati R.,).
Per Bilbao Á.:
‹‹Anche se, in un certo senso, il linguaggio si acquisisce in modo naturale, dal punto di vista cerebrale è un compito incredibilmente complesso. Almeno sei aree del cervello devono coordinarsi ogni volta che pronunciamo una parola o interpretiamo un testo. Queste strutture sono localizzate sull’emisfero sinistro e svolgono compiti molto diversi, come analizzare suoni, distinguerli, intrepretarne il significato, immagazzinare termini, identificare parole scritte, cercare parole nel magazzino del vocabolario, costruire frasi dotate di senso e realizzare movimenti di labbra, lingua, e corde vocali che permettano di creare le parole››. In realtà, anche se il cervello del bambino assorbe vocaboli e regole del linguaggio in modo naturale, tutto questo non succederebbe senza l’aiuto degli adulti››.
Come abbiamo detto il bambino, se dai genitori, e soprattutto dalla madre, ottiene la necessaria presenza e la corretta disponibilità comunicativa e se l’ambiente attorno a lui ha caratteristiche di gioia, serenità, calore e accoglienza, conquisterà presto il linguaggio verbale. Questa capacità gli permetterà di rendere ancora più incisiva la sua azione sul mondo, in quanto non sarà solo la madre o gli altri che lo curano che avranno il potere di scegliere cosa è bene per lui, ma sarà lui stesso a chiedere ciò che gli piace, ciò che lo rende felice e ciò che lo soddisfa. Allo stesso modo sarà sempre lui che potrà rifiutare, mediante le parole, ciò che non gli piace, ciò che lo intristisce, ciò che lo annoia.
Affinché la comunicazione verbale si attui in modo efficace, è necessario il concorso di vari elementi.

- L’interesse.
L’interesse è il primo di questi elementi. Se l’altro può dare qualcosa al bambino, lo può aiutare, sostenere, assistere in qualcosa, il suo interesse a comunicare sarà molto elevato. Al contrario, se mediante la sua esperienza il piccolo ha constatato che le persone che dovrebbero avere cura di lui non ascoltano i suoi bisogni e desideri, non gli sono vicini, non lo sostengono e aiutano, il suo interesse a comunicare sarà molto scarso.
- Il piacere nel comunicare.
Se il dialogo con l’altro è piacevole, gratificante e allettante, il bambino farà molti sforzi per dialogare frequentemente e nel miglior modo possibile. Al contrario, se egli ha paura e non si fida degli altri, se ha timore del mondo, se la comunicazione gli apporta sofferenza, gli mancherà uno stimolo importante per imparare a comunicare mediante il linguaggio.
- Condizioni psichiche adeguate.
Certamente capacità intellettive molto carenti diminuiscono la possibilità di strutturare le proprie idee e il proprio pensiero in modo adeguato. Sicuramente i disturbi neurologici o sensoriali potranno rendere difficile, se non impossibile, il linguaggio verbale, ma la comunicazione, anche se in maniera semplice e povera, potrà avvenire ugualmente. Tuttavia, i deficit più importanti, capaci di impedire la possibilità di mettersi in comunione con l’altro, mediante il linguaggio, anche a soggetti di elevate capacità intellettive, riguardano i disturbi emotivi ed affettivi del bambino. Un eccessivo eccitamento, un’ansia notevole, delle paure coartanti, una depressione inibente, un bisogno di difendersi o peggio, di chiudersi nei confronti del mondo esterno, alterano e riducono notevolmente le capacità comunicative, poiché la mente del piccolo bambino, notevolmente disturbata, non ha la possibilità di organizzare ed elaborare le percezioni sensoriali, i pensieri e le idee in modo tale da poter comunicare mediante il linguaggio. Pertanto, il malessere psicologico è capace di bloccare o destrutturare, fino alla dissociazione, la comunicazione ed il linguaggio nei bambini, così come anche negli adulti.
- Un ambiente sereno e gioioso.
Questo tipo di ambiente, privo di tensioni, conflitti e aggressività, è necessario affinché il piccolo si trovi a proprio agio nella sua famiglia. Contemporaneamente è bene evitare di pressare il bambino al fine di spingerlo o peggio costringerlo alla comunicazione, giacché questo comportamento assillante può essere avvertito dal piccolo bambino come una violenza e ciò non farà altro che peggiorare il suo già cattivo rapporto con la realtà esterna a lui.

- Dei genitori empatici, sereni e disponibili.
Il bambino comunica più facilmente se ha accanto a sé dei genitori aperti verso i sentimenti e le emozioni del loro piccolo, in modo tale da avvertirne le esigenze e cercare di esaudirle. Il bambino comunica più facilmente se i genitori sono capaci di esprimere nei confronti del loro figlio i sentimenti più teneri e caldi dell’amore materno e paterno. Per fare ciò, risulta evidente che papà e mamma non dovrebbero mai avere fretta, così come non dovrebbero focalizzare in modo prevalente l’attenzione altrove: nel lavoro, nelle occupazioni sociali, nelle relazioni sentimentali, sessuali o politiche.
- La comunicazione dei genitori dovrebbe essere calda, dolce e ricca di sentimenti e di espressioni amorose.
Ricca, quindi, anche di piacevoli giochi e allegri vezzeggiamenti, in modo tale da dare al piccolo bambino il senso della tenerezza, della sicurezza, dell’accoglienza e della gioia.
- La persona che comunica è fondamentale, per l’efficacia della comunicazione stessa.
Nei primi anni del suo sviluppo, una richiesta e uno stimolo proposti dalla mamma o dal papà avranno una valenza diversa e molto più incisiva rispetto alle richieste e agli stimoli di altre persone, sia pure di altri familiari come i nonni, gli zii o altri parenti. Sicuramente avranno una valenza molto maggiore rispetto a quelle effettuate da una persona estranea o da parte di qualche operatore. Il motivo è semplice: nel bambino piccolo è di grande importanza ed è primario il legame affettivo tra madre, padre e figlio ed anche il legame che i genitori hanno stabilito con il proprio bambino. Dovrebbe essere superfluo aggiungere che nei primi anni di vita la comunicazione apportata dagli strumenti elettronici non ha nessuna valenza positiva ma anzi inibisce il linguaggio, poiché è priva di capacità relazionali e impedisce l’instaurarsi di quel legame speciale con i propri genitori.
- La capacità di farsi piccoli.
Se i genitori e i familiari attenti e consapevoli, per entrare in empatia con il loro bambino, sanno farsi piccoli, pur di poter offrire risposte piacevoli e gioiose, il figlio, sentendosi compreso nei suoi bisogni e sapendo di poter fare affidamento su di loro, svilupperà un senso di fiducia nel mondo che lo circonda e in sé stesso e avrà gioia e piacere di comunicare con esso.
Come dice Shapiro Lawrence:
‹‹In un mondo sempre più complesso e stressante, gli psicologi hanno cominciato a notare che i padri e le madri capaci di comunicare efficacemente con i figli fin dalla più tenera età hanno maggiori possibilità di crescere giovani individui ben adattati e meno soggetti alla vasta gamma di disturbi emotivi e relazionali così diffusi tra gli adulti››.[4]
In conclusione, la nostra umanità genetica, che dà all’essere umano la possibilità del linguaggio, si può realizzare soltanto se i genitori saranno stati capaci di comunicare in modo efficace.
Al contrario, quando i genitori non riescono a comunicare al bambino attraverso i gesti e le parole una realtà piacevole, calda, accogliente, ricca di affetto e disponibilità, vi è il rischio che abbiano il sopravvento l’ansia, la tristezza e le paure. Queste emozioni negative, se superano una certa soglia, sommandosi ad altre condizioni sfavorevoli, possono portare all’ansia, alla depressione, a comportamenti irritabili e aggressivi o, ancor peggio, al rifiuto di comunicare e alla chiusura in sé stessi.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato “Prevenire la chiusura autistica”.
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[1] Shapiro Lawrence E., (2003), Il linguaggio segreto dei bambini, Milano, Fabbri editori, p.35.
[2] Bilbao Á., (2023), Il cervello del bambino spiegato ai genitori, Milano, Salani editore.
[3] Bilbao Á., (2023), Il cervello del bambino spiegato ai genitori, Milano, Salani editore, p. 241.
[4] Shapiro Lawrence E., (2003), Il linguaggio segreto dei bambini, Milano, Fabbri editori, p.7.