La comunicazione tra i genitori ed i figli

La comunicazione nel bambino piccolo

La comunicazione è un elemento fondamentale per lo sviluppo e la vita relazionale degli animali, ma soprattutto dell’uomo. Negli esseri umani il rapporto che nasce, mediante la comunicazione tra i genitori e i figli, durante i primi anni di vita (Bilbao Á., 2023)[1] è la principale via di sviluppo intellettivo e affettivo. Il dialogo e le relazioni che il bambino piccolo instaura con l’ambiente esterno a lui sono importanti non solo per accrescere esperienze, cultura e linguaggio, ma soprattutto per la formazione della sua personalità, per la sua crescita sana ed equilibrata e per lo sviluppo armonico e pieno delle capacità relazionali e sociali.

La quantità e qualità delle comunicazioni

In definitiva, gli strumenti indispensabili per la crescita e per la formazione di un nuovo essere umano, sufficientemente sereno e maturo per affrontare la vita ed il mondo, risiedono nella quantità e nella qualità delle comunicazioni verbali, mimiche e gestuali, presenti nella relazione con i genitori e, nei primi mesi di vita, soprattutto nella relazione che si instaura tra il bambino e la propria madre.

Senza questi apporti si formeranno bambini e poi adulti monchi o disturbati nella loro vita affettivo-relazionale; incapaci di stare bene con sé stessi e con gli altri; incapaci di capire e farsi capire; incapaci di amare e farsi amare; incapaci di profonda accettazione e di perdono; incapaci di accoglienza e disponibilità.

Durante la gravidanza

Nelle madri più sensibili, più disponibili, più attente, più rilassate, più disposte alla relazione, la comunicazione con il proprio piccolo nasce già durante la gravidanza. In questo periodo particolare, la presenza del figlio nell’utero materno viene avvertita, ancor prima dei movimenti del bambino stesso, come presenza di un altro, di altro da sé, ma connesso intimamente con il “sé” materno. Ciò istintivamente stimola la madre al dialogo, all’intesa e alla relazione con il figlio.

La relazione, l’intesa e la comunicazione si perfezioneranno e completeranno nel momento in cui il nuovo essere umano farà sentire la sua presenza con i movimenti del corpo. Molte mamme ma anche molti padri, reagiscono a queste sollecitazioni del figlio con carezze e toccamenti dati al bambino attraverso l’addome. In tal modo essi cercano di comunicare al loro piccolo la gioia di avvertire la sua presenza e il piacere di quell’intesa e attesa.

Dopo la nascita

La comunicazione si completerà e diventerà molto più intensa dopo la nascita, che richiede un rapporto notevolmente empatico tra madre e figlio. Fra le sei e le dodici settimane il bambino sorride regolarmente e indiscriminatamente a tutti i visi umani e persino a illustrazioni o modelli di dimensione reali, purché siano visti di fronte e abbiano qualche movimento (Wolff S., 1968)[2], ma successivamente questo gesto comunicativo diventa selettivo nei confronti della persona che ha più cure di lui e con la quale ha instaurato un legame speciale: la madre.

Nei primi mesi, le comunicazioni madre-bambino più importanti avvengono a livello inconscio. Poiché il neonato è incapace di decifrare il significato delle parole, i messaggi che riceve sono in forma puramente emotiva, trasmessi dallo sguardo materno, dal suo tono di voce e dal linguaggio del corpo. Tutti questi canali di comunicazione riflettono l’ambiente emotivo della madre (Maté G.).  

Dopo la nascita le mamme, istintivamente tendono ad usare nel dialogo con il neonato il maternese, costituito da parole semplici o brevi frasi con una prosodia caratterizzata da una intensa carica affettiva, un tono alto, una maggiore intensità, una modulazione variabile e centellinante, intervallata da spazi tra uno stimolo e l’altro che permette al neonato la risposta (Russo R. C.).

Per lo stesso autore:

‹‹Il linguaggio della madre, accompagnato dalla mimica nei primi mesi e in seguito anche dalla gestualità, riveste molta importanza nel rapporto madre-bambino, sia come mezzo di relazione che come strumento di stimolo evolutivo››. (Russo R. C.,).[3]

Tuttavia, il rapporto della madre con il suo bambino è fatto più d’emozioni che di parole, se la donna è capace di non farsi trascinare dalla fretta e dalle tante distrazioni presenti nell’attuale moderna società ed è disponibile a mettersi in ascolto delle sensazioni, dei pensieri, delle emozioni che provengono dall’animo del proprio bebè. Una donna, quindi, capace di mettere i propri sentimenti più delicati e attenti accanto a quelli del figlio per capirlo e, capendolo, essere in grado di amarlo offrendo al piccolo, in ogni situazione le risposte verbali e non verbali più adeguate e valide.

Purtroppo, come dice Faretta E. et Parietti P.:

‹‹Lo stile di vita frettoloso è un modo di vivere caratterizzato dal sentirsi costretti a fare tutto di corsa, in condizioni di affanno, come se si fosse sempre in ritardo, per bisogni imposti che devono essere soddisfatti velocemente. La conseguenza di questo modo di vivere è la stanchezza cronica, con perdita di motivazioni personali e di senso del proprio valore››.[4]

Così come il bambino piccolo ha uno smisurato bisogno della presenza della madre che lo coccoli, l’abbracci, lo culli, lo rassicuri, lo tenga vicino, allo stesso tempo ha bisogno che qualcuno comunichi con lui, gli parli, lo aiuti ad allontanare, con la sua confortevole realtà, le paure e le ansie che potrebbero sorgere nella sua fragile psiche.

Il superamento del trauma iniziale

Il bambino supera il trauma iniziale della nascita, la paura nei confronti del mondo e degli altri, la tentazione a chiudersi in sé stesso, attraverso il dialogo. Sono, infatti, le persone che l’accolgono al mondo, soprattutto i suoi genitori e gli altri familiari che, con le loro attenzioni, con le carezze e con i baci e i giochi, gli fanno avvertire di essere bene accolto nel mondo degli esseri umani. Queste persone gli fanno sentire con il loro amore che questo mondo gli vuole bene, che il mondo è una cosa buona, poiché è ricco di calore, gioia e disponibilità nei suoi confronti. In un secondo tempo, sarà sempre il dialogo che permetterà al bambino di crescere e maturare, sia nel linguaggio sia nelle capacità intellettive, cognitive, relazionali e sociali.

La comunicazione paterna

Durante il primo anno inizia anche la comunicazione con il padre. Questo tipo di comunicazione ha strumenti, tempi, obiettivi e finalità diverse rispetto alla comunicazione materna. La comunicazione paterna tende ad offrire al bambino un esempio più deciso e forte, più sereno e stabile. Per tale motivo questa comunicazione appare più stringata e lineare, più tranquilla e razionale, più ruvida e decisa. È una comunicazione che, priva di fronzoli, con l’uso di pochi e scarni aggettivi, stimola all’azione, al fare e al creare.

Il padre con il suo esempio comunica al bambino decisione, agilità, destrezza, irruenza. Con le parole dà al figlio la forza della razionalità, stimola in lui il controllo delle proprie emozioni, la sicurezza del proprio agire. Con i suoi comportamenti fa sorgere nel bambino il piacere della conquista e delle rapide decisioni. In definitiva, se la comunicazione materna mette in primo piano il cuore ed i sentimenti, quella paterna mette in primo piano la ragione e l’azione. Se la comunicazione materna ha lo scopo di sviluppare e confortare l’Io del bambino, quella paterna ha lo scopo di dare slancio, forza, determinazione, coraggio e sicurezza a quest’Io.

Il linguaggio gestuale

Sappiamo che il linguaggio gestuale precede e probabilmente prepara quello verbale. Grazie alla direzione dello sguardo, ai gesti di indicazione, alle posture, il bambino è in grado di coordinare con l’altro l’attenzione verso certi oggetti o eventi in un determinato momento (attenzione congiunta) (Doneddu G et Fadda R.).[5] A cinque-sette mesi il piccolo bambino sadistinguere la mimica degli adulti e reagisce di conseguenza: ride, vocalizza e fa vari rumori di gioia quando gli altri comunicano con lui. È contento e volge il suo sguardo verso la voce della mamma che gli parla da un’altra stanza. È sensibile e mostra un’evidente rispondenza alle differenti intonazioni emozionali della voce di questa. Quando egli indica con il dito (pointing), vuole chiedere qualcosa o vuole attirare l’attenzione su qualcosa oppure desidera condividere l’interesse per qualcosa. L’indicare, per comunicare, è già presente nell’ultimo trimestre del primo anno di vita (scambio triadico: persona – oggetto- persona) e funge da precursore per la comparsa del linguaggio verbale. In definitiva i lattanti parlano con i genitori in continuazione, solo che lo fanno tramite un linguaggio senza parole: il linguaggio delle indicazioni, del tatto, il linguaggio del pianto, il linguaggio delle espressioni facciali, della postura, e della tensione corporea (Shapiro Lawrence E.).[6]

L’utilità della comunicazione

Il bambino si accorge dell’utilità della comunicazione quando, ad esempio, si mette a piangere e a strillare e la mamma, il papà o un altro familiare accorrono verso di lui per capire il motivo del suo pianto o quando vagisce e gorgoglia ed i suoi genitori e familiari si mettono a ridere felici e lo abbracciano e baciano dicendogli parole dolcissime. Mediante queste esperienze il bebè scopre il valore sociale dei suoni da lui emessi, in quanto comincia a collegare queste manifestazioni sonore agli effetti positivi da essi prodotti.

Questa possibilità di comunicare i propri bisogni, unita ad una buona sicurezza che queste sue necessità saranno soddisfatte, lo rassicura e lo aiuta a maturare le capacità relazionali. A sua volta, questa maturazione lo stimola e gli permette di avere maggiori attenzioni verso chi ha cura di lui. Tuttavia, se questo non avviene, se i genitori ritardano ad accorrere al suo pianto o non rispondono ai suoi gioiosi vagiti in modo adeguato, in quanto eccessivamente tesi, disturbati o troppo occupati ed impegnati a fare altro (oggi soprattutto a guardare e a rispondere ai messaggi che arrivano sullo smartphone) piuttosto che a vivere con pienezza e gioia la relazione con il loro figlio, il piccolo sarà costretto a concludere che gli altri non sono in grado o non  sono disposti ad ascoltarlo, ma anche che lui è incapace di farsi ascoltare. In questi casi si deteriora l’immagine del mondo e, nello stesso tempo, si deteriora l’immagine che ha di sé. Sarà inevitabile, allora, il nascere di una sofferenza che potrà tradursi in manifestazioni psicopatologiche di varia intensità. Manifestazioni che, unite ad altri motivi di sofferenza e disagio possono pervenire ad una parziale o totale chiusura in sé stessi

Tratto dal libro di Emidio Tribulato “Prevenire la chiusura autistica”. 
Per scaricare gratuitamente questo libro clicca qui.

[1] Bilbao Á., (2023), Il cervello del bambino spiegato ai genitori, Milano, Salani editore.

[2] Wolff S., (1068), Paure e conflitti nell’infanzia, Armando Armando Editore, Roma, p.16.

[3] Russo R. C., (2024) Stress evolutivo o evoluzione autistica? Padova, Editrice Piccin, p.5.

[4] Faretta E., e Parietti P., (2012), Ben essere e sviluppo delle risorse personali, Roma, Alpes Italia, p.12.

[5] Doneddu G et Fadda R., (2010), Attenzione congiunta, psicologia contemporanea, maggio-giugno, 2010, p. 57.

[6] Shapiro Lawrence E. (2003), Il linguaggio segreto dei bambini, Milano, Fabbri editori, p. 31,La c

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