L’INTERDISCIPLINARITA’ NEI CONSULTORI UCIPEM

L’INTERDISCIPLINARITA’ NEI CONSULTORI UCIPEM

 Autore: Francesco Lanatà

In una relazione di cura un operatore, un singolo professionista (medico, consulente familiare, psicologo, assistente sociale, pedagogista, ecc.), dopo avere accuratamente valutato le problematiche espresse e talvolta inespresse, può prendere in carico un singolo utente e/o un nucleo di convivenza con modalità diverse cercando le soluzioni più adatte.

La presa in carico è necessariamente un lavoro professionale che richiede una base organizzativa, competenze individuali, programmazione, formazione e aggiornamento, controlli e supervisione.

 

 

 

Le modalità di approccio si configurano in due ordini distinti attuabili anche in modo sequenziale:

  • Il singolo professionista prende in carico il cliente, ne affronta i problemi e, ove non fosse possibile trovare una soluzione, lo invia ad altra struttura che abbia i requisiti e le potenzialità per affrontare quei problemi.

  • La persona è presa in carico da un gruppo di lavoro che se ne prende cura in maniera pluridisciplinare.A titolo di esempio, il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) raccomandava nei consultori familiari pubblici “ … un organico tale da costituire una risorsa multidisciplinare adeguata per la realizzazione sia dei progetti strategici che di quelli satellite”.

Ci troviamo quindi di fronte a due modalità distinte di presa in carico della persona: una autonoma, quale quella gestita da un singolo professionista che svolge la propria attività nel suo studio, e una che vede numerose figure che collaborano in vario modo in una struttura complessa e organizzata. Nel primo caso parliamo di lavoro monodisciplinare, nel secondo caso di lavoro pluridisciplinare. Sono due diversi livelli di presa in carico che oggi possono interessare il settore della ricerca scientifica come il mondo dell’educazione, della didattica, della sanità, ecc.

 

È arduo districarsi fra termini e concetti come multidisciplinarità, interdisciplinarità, transdisciplinarità per cui si può generare confusione. Proviamo a fare delle distinzioni che non hanno un mero valore speculativo e teorico, ma sostanziale e si traducono in scelte operative diverse. Seguiamo una sorta di percorso evolutivo dalla multidisciplinarità alla interdisciplinarità e alla transdisciplinarità.

 

MULTIDISCIPLINARITA’

In un mondo sottoposto a sempre più rapidi cambiamenti, sviluppi, approfondimenti e specializzazioni delle conoscenze, il paradigma della complessità comporta la necessità di affrontare i problemi da vari punti di vista e prospettive, utilizzando diversi approcci disciplinari specialistici; da qui la necessità di multidisciplinarità sia come principio che come prassi. Per superare i limiti di un sapere proprio del singolo professionista si ricorre alla convergenza su un medesimo ambito di specialisti di più campi del sapere, ossia si passa dalla monodisciplinarità alla pluriprofessionalità propria del gruppo di lavoro. Nel caso delle strutture sociosanitarie il cliente viene preso in carico collegialmente da un gruppo di lavoro composto da figure professionali diverse e con diverse specializzazioni che hanno la possibilità di interagire tra loro. Nel lavoro multidisciplinare gli specialisti lavorano su vari aspetti dello stesso problema e collaborano in funzione di uno scopo comune predefinito. Questo approccio presenta tuttavia dei limiti dovuti al fatto che gli operatori appartenenti a diverse discipline sono invitati separatamente a preparare una relazione su un problema che viene poi affrontato a livello globale.

Gli esperti non necessariamente entrano in rapporto gli uni degli altri: ognuno affronta il problema secondo le teorie e i metodi della propria disciplina. Manca il lavoro di integrazione e sintesi delle informazioni che possa consentire, oltre all’acquisizione di una ricchezza e varietà di prospettive e di analisi, una proposta operativa coerente. Il risultato è spesso una giustapposizione di dati o di

relazioni cosicché, anche se il problema viene affrontato in modo approfondito dai vari professionisti, manca una reale integrazione tra le diverse prospettive. Da un lato, questo approccio è un superamento dell’approccio monodisciplinare, in quanto quest’ultimo non rivela i molteplici punti di vista che la metodica multidisciplinare è in grado di evidenziare; dall’altro lato, proponendo soltanto una raccolta di diversi punti di vista, questa modalità può ostacolare il raggiungimento di un unico, armonioso risultato. Inoltre, leggendo le relazioni, può capitare di imbattersi in dichiarazioni contraddittorie sulla natura del problema, sulle modalità di approccio, ecc. Sussiste il rischio di trovare un risultato immediato ricco di prospettive e varietà di analisi, ma privo di una proposta operativa coerente.

È necessario un salto di qualità, per cui i professionisti del gruppo di lavoro si rapportano fra di loro in modo stretto, con una apertura allo scambio di contenuti, di metodi e tecniche delle singole discipline, alla ricerca di nuovi percorsi.

 

INTERDISCIPLINARITA’

L’interdisciplinarità è comunemente intesa come un approccio “orizzontale” tra discipline che permette una comprensione più adeguata di un dato oggetto di studio che per la sua complessità, difficilmente potrebbe essere colto con un singolo metodo disciplinare.

L’ipertrofica specializzazione della conoscenza e la conseguente frammentazione parcellare del sapere inducono i cultori di una data disciplina ad aprirsi al dialogo e a lasciarsi mettere in discussione dai cultori e dai contenuti di altre discipline diventando in questo modo capaci di comprendere in maniera più approfondita il proprio oggetto d’indagine.

Nel lavoro interdisciplinare i membri della équipe provengono da discipline diverse, hanno conoscenze diverse e possono anche riconoscere valori diversi. L’obiettivo è quello di trattare un problema nel suo complesso identificando e integrando tutte le relazioni tra i vari elementi coinvolti, sintetizzando e collegando la conoscenza disciplinare per inserirla in un contesto sistemico più ampio. Nella interdisciplinarità non è sufficiente che un problema venga esaminato dalla prospettiva estesa di molte discipline, è anche indispensabile un coordinamento delle discipline stesse e il lavoro è organizzato in funzione dell’integrazione dell’intervento.

Il coinvolgimento di tutti i professionisti della équipe è necessario sia per la valutazione iniziale dell’utente e l’analisi delle informazioni e dei problemi portati, sia per delineare linee, metodi, procedimenti della presa in carico. Sono necessarie riunioni periodiche per valutare i progressi dell’intervento su cui riflettere insieme. Il confronto di prospettive d’indagine diverse dà luogo ad uno sforzo di mutua interazione, nella consapevolezza della parzialità di ciascuna prospettiva e nello stesso tempo della reciproca indispensabilità per la comprensione di un problema o di una data realtà. Nel lavoro interdisciplinare il requisito fondamentale operante è l’integrazione. Se questa manca non si può parlare di lavoro interdisciplinare.

 

Ci sono delle sfide da affrontare:

  • Il riconoscimento da parte di ogni membro delle altre discipline: è indispensabile che per comunicare meglio ciascuno acquisisca la capacità di far comprendere agli altri il proprio modello concettuale, il proprio linguaggio e impari a comprendere quello degli altri, cogliendo differenze, similitudini e complementarietà.

  • I membri del team devono crescere, non solo curando il proprio aggiornamento professionale, ma anche imparando a stare insieme, a lavorare insieme, fare squadra, aprirsi alla diversità, per trovare insieme le migliori soluzioni. È un processo di apprendimento continuo.

 

Occorre precisare però che anche in una prospettiva interdisciplinare si possono incontrare alcune insidie che possono ostacolare e a volte vanificare il lavoro:

  • Quando si pensa che basti riunire intorno ad un tavolo esponenti di varie discipline per risolvere i problemi.

  • Quando gli esperti scambiano informazioni solo per trovare un accordo finale sul confine in cui ciascuno potrà muoversi. In tal modo ci troveremo di fronte solo a una collezione di pareri multidisciplinari con una conseguente regressione verso la multidisciplinarità.

In realtà, per realizzare un processo di reale integrazione fra i saperi, bisogna che si realizzi una apertura conoscitiva in modo tale da trasformare il percorso lavorativo da mera strategia metodologica ad una apertura sapienziale su diversi livelli di intelligibilità.

Si possono rischiare o eccessive generalizzazioni e semplificazioni confusive o eccessive frammentazioni. Un singolo errore di un membro dell’équipe può ripercuotersi su tutto il team. L’incompetenza di uno o più operatori, se da un lato può essere corretta dalla competenza degli altri membri dell’équipe, può anche imporsi con conseguente scoraggiamento e allontanamento degli altri.

È necessario che ogni membro si dimentichi delle proprie vanità e interessi personali a beneficio del gruppo, è necessario conoscere e rispettare le necessità di ciascuno, lo spazio di ogni operatore, con i suoi diritti e doveri.

Formare una équipe è il primo passo, ma a niente servirebbe se ogni membro agisse individualmente, senza preoccuparsi di tutti gli altri componenti del team e senza reali scambi.

Sono necessarie e fondamentali competenze di base nella comunicazione, nella gestione positiva delle emozioni e dei conflitti. Ciò richiede consapevolezza di sé e autodisciplina. Nello spirito di squadra ogni membro del team riconosce che il suo successo personale dipende da quello dei suoi compagni, riconosce l’interdipendenza legata ai ruoli, alle risorse (condivisione della logistica, del tempo, delle fonti di informazione, degli obbiettivi) fino al punto di riconoscere che il merito del successo non è personale ma è dell’intera squadra. Ci devono essere apprezzamento reciproco, sostegno reciproco, condivisione delle risorse, critica costruttiva.

 

Il lavoro interdisciplinare può dare luogo ad aree di integrazione nuove, discipline nuove con nuovi concetti, metodi, esperti. Questo può avvenire nella medicina, nella ricerca scientifica come nel lavoro consultoriale. Vedi in medicina lo sviluppo della Psiconeuroendocrinoimmunologia, vedi in ambito sociale lo sviluppo della interculturalità, ecc.

C’è tuttavia un’altra possibile evoluzione che è quella verso la transdisciplinarità.

TRANSDISCIPLINARITA’

Transdisciplinaritàè un termine relativamente recente: è apparso per la prima volta in Francia nel

1970, durante una conferenza dello psicologo svizzero Jean Piaget durante un seminario internazionale. Nel suo contributo Piaget offriva la seguente definizione per il termine

Transdisciplinarità: “… ci auguriamo di vedere in futuro lo sviluppo delle relazioni interdisciplinari verso uno stadio superiore che potrebbe essere indicato come “transdisciplinare”,

che non dovrà essere limitato a riconoscere le interazioni o le reciprocità attraverso le ricerche

specializzate, ma che dovrà individuare quei collegamenti all’interno di un sistema totale senza

confini stabili tra le discipline stesse”.

La Transdisciplinarità costruisce un proprio contenuto, proprie modalità, una nuova attitudine, un nuovo approccio intellettuale, culturale ed operativo. Essa attraversa e oltrepassa tutte le discipline con l’obiettivo di comprendere la complessità restituendo unitarietà nella diversità. Questa esigenza è sentita contemporaneamente anche in vari campi del sapere, come ad esempio nel mondo della ricerca fisica. Scrive Sergio Rondinara su “Città Nuova – febbraio 2009”:Negli ultimi decenni all’interno delle scienze della natura si è affermato un nuovo campo d’indagine che per alcune di esse, le scienze fisiche, è ormai diventato un ampio settore della loro indagine sul mondo. Si tratta della complessità. L’universo appare oggi ai ricercatori scientifici molto lontano da quello presentato da Isaac Newton e Piérre Simon de Laplace. La fisica classica, attraverso l’analisi quantitativa di cui era capace, aveva interpretato il mondo e i suoi fenomeni come semplici accadimenti regolati da leggi deterministiche immutabili. A questo associava la certezza di poter spiegare e prevedere i fenomeni naturali con precisione e rigore metodologico. Molti fatti hanno corroborato una tale impostazione finché gli sviluppi della ricerca hanno prima intaccato e poi demolito tali convinzioni. Si è notato, infatti, come anche nei sistemi ritenuti deterministici si verifichino comportamenti caotici, dipendenti dal caso, per i quali la rigida impostazione determinista non riusciva ad eliminare quelle piccole indeterminazioni che, nello sviluppo temporale del sistema, acquistavano poi grande rilevanza. Questa incapacità della fisica classica ad interpretare correttamente i fenomeni naturali complessi nei quali entrano in gioco un numero elevato di variabili, si è propagata prima ad altri settori delle scienze naturali, poi a quelle sociali”.

In un approccio lavorativo transdisciplinare un team di esperti riflette insieme, tutte le discipline saranno rilevanti ma nessuna avrà un ruolo egemonico sulle altre. Ci si concentrerà sulle connessioni, attraversando il confine radicato delle diverse discipline attraverso lo scambio di idee e di diverse prospettive di osservazione. In una dimensione transdisciplinare, le persone “si trasformano” in una squadra. La transdisciplinarità è intesa non solo come integrazione di conoscenze su un oggetto considerato ma, soprattutto, come assimilazione reciproca di conoscenze. Come in un’orchestra, ognuno suona una parte dello spartito facendo uso dei vari suggerimenti ricevuti dai colleghi e, insieme a loro, cerca di trasmettere consonanza e armonia come in una sinfonia.

A una prima riflessione le differenze tra la multidisciplinarità, la interdisciplinarità e la transdisciplinarità potrebbero apparire come semplici sfumature; in realtà, specialmente nell’ambito consultoriale, le differenze sono sostanziali: la prima consiste in una giustapposizione di varie discipline; la seconda non si accontenta di giustapporre, ma fa interagire più discipline con lo studio di un oggetto, di un campo, di un obiettivo; la terza, più ambiziosa, tenta di estrarre da questa collaborazione un filo conduttore, fino a pervenire ad una filosofia epistemologica completamente nuova.

 

Fabio Marzocca in “Mithos ed. 2014” con una metafora vede la multidisciplinarità come “un banchetto dove varie persone portano piatti diversi, tutti successivamente collocati su un tavolo. Il risultato della giustapposizione è puramente accidentale e molte persone potrebbero aver portato lo stesso piatto, mentre il risultato di altri potrebbe essere del cibo completamente inaspettato per quel banchetto. Ci sono tutti i presupposti per un elevato rischio di spreco di risorse e per la mancanza di coerenza.

L’interdisciplinarità invece si può assimilare a un banchetto dove varie persone portano piatti diversi, selezionati in maniera indipendente sapendo ciò che gli altri non stanno portando. Per migliorare la presentazione e il gusto del cibo, tutti i piatti sono interamente o parzialmente combinati all’ultimo minuto per comporre nuove portate. Il risultato dell’insieme sta nel lavoro finale della composizione, che è unicamente finalizzata a minimizzare gli sprechi e massimizzare la coerenza.

La transdisciplinarità, infine, è come un banchetto dove diverse persone hanno deciso collettivamente in anticipo cosa cucinare con gli ingredienti e le competenze disponibili, e portano molti piatti preparati in collaborazione. Nessuno dei presenti può dire a chi appartengono i vari elementi né chi li abbia composti: il lavoro di squadra deve essere riconosciuto. Nel banchetto transdisciplinare vi è un uso ottimale delle risorse, in quanto nessun piatto è utilizzato parzialmente, o semplicemente rimasto come eccedenza. C’è una concordanza ottimale di gusti, poiché una grande quantità di tempo viene spesa nel concepire in anticipo i vari piatti proprio in virtù della loro fruizione integrata”.

 

Uscendo dalla metafora i membri del team acquisiscono nuove competenze attraverso la loro interazione, migliorano la loro capacità di ascolto e imparano che possono produrre un risultato positivo anche se non sono né in possesso di tutte le conoscenze né a conoscenza di tutte le specifiche metodologie. Capiscono che, sebbene ciascuno di loro non stia eseguendo il lavoro nella sua completezza, sono tutti insieme ugualmente partecipi al risultato finale.

 

CARTA DELL’UCIPEM

La Carta dell’UCIPEM all’art. 3 comma 1 recita: “Il servizio consultoriale è prestato da un gruppo di lavoro, formato da operatori che affrontano la domanda, secondo le metodiche proprie sul consultorio, nella collaborazioneinterdisciplinare, a partire dalle loro competenze specifiche: educative, sociali, psicologiche, mediche, giuridiche, etiche e di altre scienze umane”.

Si evince con chiarezza che nei consultori UCIPEM la presa in carico dell’utente è affidata a un gruppo di lavoro, questo gruppo di lavoro da sempre è stato l’équipe e la sua modalità di lavoro deve essere di tipo interdisciplinare. Questa modalità di lavoro distingue nettamente il consultorio UCIPEM da un qualsiasi altro consultorio e dalle altre strutture sociosanitarie.

La scelta del lavoro interdisciplinare è stata una grande intuizione dei fondatori dell’UCIPEM. Essi hanno visto in questa modalità di lavoro la possibilità di guardare in maniera interdisciplinare i numerosi aspetti, le sfaccettature delle problematiche della persona mantenendo però intatta l’unitarietà della persona stessa. Vi sono consultori che nel tempo sono andati oltre passando dal metodo interdisciplinare a quello transdisciplinare dimostrando di avere assimilato i principi della Carta dell’UCIPEM.

Purtroppo l’individualismo che pervade oggi l’intera società è oramai penetrato anche nel mondo del volontariato, spingendo verso una modalità il lavoro autonoma e autoreferenziale degli operatori quasi che lavorare in équipe sminuisca la propria professionalità e la propria personalità.

Purtroppo questa tendenza sta penetrando anche nei nostri consultori. Se fino a poco tempo fa si potevano intravedere solo piccoli segnali premonitori, oggi ci sono dati di fatto i quali dimostrano con evidenza la tendenza che fa temere la possibilità di perdita di coerenza e fedeltà ai principi fondamentali dei consultori UCIPEM. In alcuni casi si può verificare che:

  • L’équipe è considerata come un gruppo di lavoro con funzioni puramente organizzative per le numerose attività consultoriali o per l’assegnazione dei casi agli operatori da parte del direttore.

  • Il consultorio è considerato come una struttura poliambulatoriale in cui svolgere la propria professione.

Certo ogni consultorioUCIPEM ha l’équipe strutturata in base alle risorse di cui dispone e ai bisogni del territorio. Anche se l’ideale è una équipe costituita da tutte le figure presenti nel campo sociosanitario, non è detto che queste possano esserci tutte;ciononostante il consultorio rimane una struttura complessa. Per motivi contingenti, ma mai per scelta degli organizzatori, è possibile incontrare équipes con pochissime figure professionali. Per necessità si potrebbe verificare la situazione limite per cui l’équipe di un consultorio familiare è costituita da soli psicologi o da soli consulenti familiari o da soli medici. Dal punto di vista formale in queste eventualità ci troveremmo certamente di fronte a una équipe monodisciplinare e quindi maggiormente esposta a problemi disfunzionali. Se tuttavia gli operatori, pur appartenendo alla stessa disciplina, acquisiscono delle superspecializzazioni e, cosa che più conta, la modalità di lavoro di quella équipe è strutturata in maniera tale che avvenga l’integrazione dei professionisti coinvolti, quella équipe mantiene ugualmente le connotazioni di interdisciplinarità. Nel caso in cui l’integrazione non avvenga si assiste alla regressione della interdisciplinarità, a un tornare verso la monodisciplinarità o peggio ancora, a un andare verso l’autonomia individualistica degli operatori abbassando così il livello qualitativo del consultorio familiare e snaturando un principio fondamentale della Carta dell’UCIPEM.

Certamente un approccio al lavoro di tipo interdisciplinare è faticoso, comporta delle difficoltà, comporta un notevole dispendio di energie; esso però consente di affrontare problemi e di ottenere risultati impensabili. Le strutture complesse quali sono i nostri consultori familiari, servono proprio a questo e le difficoltà organizzative non devono indurre alla ricerca di “scorciatoie”; non devono portare a rassegnazione o a scoraggiamenti. L’approccio interdisciplinare essendo una chiara espressione della Carta dell’UCIPEM, denota un rispetto delle origini. La fedeltà alle origini arricchita dalle nuove conoscenze e dalle nuove prospettive, dalla ricchezza e varietà delle esperienze positive acquisite negli anni e dalla consapevolezza delle nostre grandi potenzialità della interdisciplinarità, offre la possibilità di aiuto alla persona irraggiungibili con altre modalità di lavoro.

 

Francesco Lanatà

Presidente UCIPEM

 

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