L’équipe, luogo generativo di formazione nella condivisione

L’ÉQUIPE, LUOGO GENERATIVO DI FORMAZIONE NELLA CONDIVISIONE

AUTRICE: Vittoria Maioli Sanese

 

 

L’équipe e il lavoro in équipe sono sempre stati vissuti e insegnati, nel nostro essere «UCIPEM», come metodo di lavoro imprescindibile.

Penso che ciascuno di voi possa comprendere la difficoltà che ho avuto nel pensare e decidere cosa dirvi e come dirlo, proprio per la complessità dei livelli e delle questioni che attraversano l’esperienza del lavoro in équipe. Penso anche che ogni équipe, che qui rappresentate, abbia avuto un suo percorso, una sua vita, una sua forma originale.

 

Quest’assemblea, quella che stiamo vivendo in questo momento, potrebbe essere anche considerata una grande équipe di équipe: pensate come sarebbe arricchente e interessante realizzarla in questo modo. Spero che quanto dirò riesca a muovere in voi quella vibrazione di ascolto che nasce dalla nostra/vostra appartenenza ad una équipe e, quindi, da una comune esperienza.

Ho scelto, per questo intervento che mi avete affidato, di utilizzare non la teoria sull’équipe, ma ciò che ho imparato dall’esperienza vissuta insieme ai colleghi del Consultorio nella nostra amata/odiata, fragile/forte, curata/bistrattata, svuotata/riempita, ma sempre poi riamata, équipe.

 

Quello che emerge prima di tutto è l’équipe come luogo: un luogo dentro uno spazio di tempo definito e ordinato (cadenza e orario non aleatori, non provvisori ma fissi e regolati), incaricato a contenere e far vivere un’opera interessante e complessa come un Consultorio.

Quest’ immagine di un luogo dentro cui far vivere un’opera, di un luogo in cui facciamo in qualche modo “abitare” il nostro lavoro, mi rimanda per analogia alla casa, luogo per una famiglia: luogo in cui si genera, ci si ama, ci si consola, ci si cura, si aiuta e si è aiutati, nutriti, capiti, guardati.

Credo che un’équipe, e in particolare un’équipe di Consultorio, non possa mai concepirsi esclusivamente tecnica, perché inevitabilmente, anche se in modo parziale e imperfetto, passa attraverso questo tipo di legami e di esperienze.

 

Questo luogo da chi e da che cosa è abitato?

Sono sempre presenti due livelli, due poli, due correnti, ma anche due esigenze, due scopi (finalità): da una parte un’opera come un Consultorio, con la sua storia originale, il suo tipo di servizio, il suo esistere con un’identità e un compito custoditi, verificati, arricchiti nel metodo e nella presenza sociale e culturale; dall’altra lo spazio che ogni persona/professione deve poter trovare sentendo custodita, formata e arricchita la propria identità.

Questi due poli, questi due livelli, queste due realtà, apparentemente conflittuali nella loro dialetticità sempre presente, rappresentano quel dinamismo di crescita che così profondamente nel tempo radica l’identità professionale sia del servizio consultoriale, che della professione personale.

 

L’équipe descritta in questo modo, cioè come luogo che comprende, verifica e rielabora la presenza di un servizio e il suo metodo, arricchendo e, contemporaneamente, usufruendo dell’identità professionale di ciascuno dei suoi operatori, diventa un’esperienza cui è affidata la reale vita del Consultorio (non appena il livello formale e burocratico, che pure c’è, ma è strumentale e non identificatorio) e a cui gli operatori consegnano il proprio lavoro.

 

Quanto detto fin qui lascia già intravvedere, secondo me, la caratteristica dell’équipe come luogo generativo. Mi piace molto quest’ aggettivo, perché comunque e sempre, sia per la persona che per le opere, al fondo, all’origine c’è una domanda che definisce un’ordine: a chi “appartengo”?. E in questo caso: a chi “appartengono” il Consultorio, il lavoro di ciascuno e il lavoro insieme?

 

Perché l’équipe sia generativa, è necessario che sia il luogo che “possiede” e al quale legarsi appartenendo, come punto di riferimento e metodo di lavoro?

Nella mia esperienza di questi quarantacinque anni di Consultorio, rileggendo più attentamente le tappe e la crescita dell’équipe, devo dire che, privilegiando nel lavoro con attenzione che ciascun membro dell’équipe, nella sua identità professionale e nella sua diversità, potesse trovare il suo spazio, il riconoscimento e l’aiuto adeguati, l’équipe non è mai stata un principio da applicare o una tecnica di lavoro. E’ stata piuttosto il luogo abitato dai nostri limiti, dai nostri conflitti, dalle nostre stanchezze e fatiche, dai nostri desideri e dalle nostre capacità, attraversando con noi tutta la realtà personale e dell’opera, diventando sempre più nel tempo metodo di lavoro.

 

Perciò, in base a quanto detto finora, la prima definizione di équipe mi sembra realisticamente questa: l’équipe è un luogo in cui si generano, si custodiscono, crescono e vivono il lavoro di ciascuno e l’opera comune. L’équipe è il luogo al quale ciascuno affida il proprio lavoro, per un reale superamento dell’individualismo privilegiando l’appartenenza, per una crescita formativa adeguata della propria professionalità. L’équipe si pone dunque come metodo privilegiato di lavoro.

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Su quest’ aspetto vorrei dire qualcosa in più: il nostro lavoro, il nostro intervento professionale, anche se nelle diverse discipline e nelle diverse tecniche, è sempre rivolto alla persona.

Il nostro lavoro, dunque, è fondato sulla relazione. La relazione, e generalizzando la “relazione di aiuto”, è il fondamento del nostro lavoro. Sarebbe incongruente ed inadeguato, e penso anche dannoso, se non sentissimo il bisogno costantemente urgente di essere presi anche noi dentro una relazione che sia in primo luogo di aiuto a noi.

Il superamento dell’individualismo (che non è rinuncia all’identità), dell’affermazione e dell’autonomia individuale, la capacità di essere in relazione e di concepirsi insieme, il sentirsi “squadra”, portare cioè la responsabilità del proprio lavoro e metterlo in relazione di crescita con il lavoro degli altri in un dinamismo profondo e dialettico, rendono l’équipe un organismo vivo e costantemente in crescita.

Emerge un altro aspetto fondamentale dell’équipe come luogo di relazione: ciascuno può dare un proprio irrinunciabile contributo agli altri membri e, contemporaneamente, ricevere proprio dagli altri e dal lavoro insieme l’arricchimento e l’aiuto adeguato per sé, un aumento delle conoscenze e una reale formazione.

Se l’équipe non diventa e non viene  generata  come questo luogo di relazione capace di portare e di far crescere il lavoro di ciascuno e capace di essere una reale “relazione di aiuto” attraverso un’appartenenza costitutiva, viene svuotata di tutto, e può diventare, dentro la vita del Consultorio, un atto formale, un pedaggio da pagare, un organismo di controllo.

L’équipe, come luogo e tempo da abitare, si presenta quindi molto varia e ricca: contiene lo spazio e il tempo dell’opera e del suo divenire, spazio e tempo in cui ciascuno trova il proprio agio, ma anche la propria dignità e il proprio valore, oltre che l’aiuto adeguato a sé, spazio e tempo del lavoro insieme, della formazione di una squadra nel suo divenire.

Équipe, quindi, come luogo che genera ed è generato con un particolare tipo di metodo e di scopo, attraverso una complessa struttura di relazioni.

 Va fatta, a questo punto, un’ importante precisazione: l’équipe, all’interno del Consultorio, non è un gruppo terapeutico, non ha come scopo quello di intervenire nel mondo interno dei membri dell’équipe stessa. Lo scopo è e deve essere costantemente centrato sul lavoro e, perciò, sulla crescita/arricchimento di tutta l’opera e di ciascun operatore.

Per ciò di cui si occupa un Consultorio è chiaro, e io credo sia esperienza di ogni équipe, che le dinamiche relazionali di ciascuno, e il mondo interno dei pazienti /utenti entrano prepotentemente ed inevitabilmente nel tempo e nello spazio dell’équipe stessa.

Credo sia importante guidare l’équipe in modo che quel momento essenziale di lavoro non diventi di tipo terapeutico, ma di tipo formativo.

Qui si introduce quello che ritengo essere il punto centrale, la questione cardine di ogni équipe: la leadership. Non ho mai immaginato un’équipe di tipo democraticistico. Chi porta la preoccupazione che ogni membro abbia il suo spazio vitale, la responsabilità del proprio lavoro, il riconoscimento delle proprie capacità, l’autorevolezza delle proprie scelte, che abbia soprattutto un luogo al quale porre le proprie domande, il bisogno di aiuto?

 

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Dove si custodisce l’identità del servizio, il suo valore, il metodo, la missione?

Certamente occorre un punto di riferimento, una guida: non possono né un’opera grande come un Consultorio, né il lavoro di ciascuno, né la grandezza di una relazione di aiuto e di una risposta al bisogno, essere dispersi nell’ambiente senza un’ordine in un clima democraticistico e/o intimistico e confusivo.

La leadership non è certamente un elemento democratico o tecnicamente garante di chissà che cosa. E’ un metodo di lavoro e, nell’esperienza annosa non solo mia, non solo vostra, non solo dei servizi sociali, è il metodo di lavoro privilegiato laddove si forma una squadra, laddove il lavoro richiede un luogo di sintesi, di riflessione, di rilancio.

Quella della Leadership è la questione attraverso cui passa tutta la vita di un’équipe: è il livello più dinamico e, perciò, anche il più dialettico e conflittuale.

E’ prima di tutto un servizio e una responsabilità: l’équipe, come luogo generativo e custode dell’opera e di ciascuno, trova nel servizio e nell’identità della leadership la sua espressione più ordinata e la condizione per realizzarsi.

Accade in un’équipe uno “strano”, particolare, suggestivo fenomeno: se chi si trova ad occupare il posto di leadership non decade in irragionevole orgoglio dittatoriale, e nemmeno in bisogno di sostegno e di alleanze, se non ha bisogno di creare fazioni e correnti politiche, né di avere sotto controllo il pensiero e il lavoro di tutti, il primo gesto, la prima apertura è quella di riconoscere a ciascuno la propria autorevolezza e la dignità della propria autonomia.

Vorrei dire che l’équipe diventa il luogo in cui ciascuno, per la propria capacità, per il proprio pensiero, per la propria identità professionale fa la sua parte di leadership nel lavoro e nell’opera.

Mentre dico e scrivo questo, ho in mente tutto il lavoro di anni dell’équipe del Consultorio di Rimini.

Non sono mancate dialetticità profonde, a volte fino al conflitto, e non solo per la diversità costitutiva di ciascuno.

Nel percorso certamente non lineare ci sono stati momenti in cui la difesa dell’autonomia personale è andata a discapito del portare insieme alcune idee e alcuni progetti. Credo che siano stati anche i momenti di maggior risorsa, come del resto lo sono i disagi, per riprendere la riflessione sul metodo e per imparare sempre di più che la realtà e il nostro lavoro non richiedono un’applicazione di regole e di principi.

Definire la leadership metodo di lavoro è molto di più che parlare di conduzione di gruppo di lavoro o affermare tecnicamente che in un gruppo ciascuno porta il suo contributo, in modo che ciò di cui si parla trovi nell’intervento di ciascuno la sua descrizione e conoscenza più completa. 

Leadership come metodo è porre la responsabilità personale del luogo fisico (chi mette la carta igienica in bagno? Chi fa cosa?), del proprio lavoro, dei rapporti fra colleghi/operatori, dell’identità dell’opera. Nessuna copertura, nessun alibi, nessuna delega, ma una domanda sempre più lucida di impegno, di crescita, di realizzazione: domanda che richiede un luogo creato e formato a farsene carico.

Équipe: luogo generativo di formazione.

A che cosa quindi l’équipe dà forma, cosa fa crescere e rende esperienza?

Non può coprire, per il tipo di lavoro che facciamo, tutta l’esigenza della formazione personale: non può essere cioè il luogo formativo della professionalità individuale.

La formazione personale ha, secondo me, un ordine profondo proprio per come lavoriamo e su che cosa lavoriamo.

Così come siamo attenti che la domanda di aiuto da parte dei nostri utenti/pazienti venga ripulita dai vari mandanti/invianti e dalle varie sovrastrutture e trovi in loro la coscienza del loro bisogno, sì da diventare soggetti protagonisti, allo stesso modo la domanda di formazione individuale non tollera coperture e condizionamenti, perché va a costruire la propria identità professionale e perciò deve in qualche modo appoggiarsi sulla responsabilità personale.

Ancora una volta emerge il grande dinamismo fra queste due dimensioni così profonde e così inevitabili.

Da una parte l’opera, il Consultorio, che chiede e può esigere operatori formati, dall’altra questa richiesta, questa esigenza, custodita dall’opera, diventa generativa delle domande di formazione personale.

Non può un’équipe di Consultorio, anche se il suo massimo impegno, la sua espressione privilegiata fosse la supervisione dei casi, sostituire la formazione personale.

Credo che uno degli esiti del buon funzionamento di un’ équipe sia proprio far crescere l’esigenza di una formazione personale.

L’équipe, quindi, è il luogo che genera la domanda e l’esigenza della propria individuale formazione professionale.

Ma quale altro aspetto formativo è esito del metodo di lavoro di un’équipe?

I nostri Consultori, chi più chi meno, hanno équipe multidisciplinari: nel tempo, nella storia delle nostre opere abbiamo esaminato in lungo e in largo questa interdisciplinarietà.

All’origine certamente era anche considerata un originale metodo per affrontare il servizio.

Era certamente originale il metodo dell’équipe, ancor più complesso ed originale il metodo dell’équipe multidisciplinare.

Siamo stati, per certi aspetti, veramente dei pionieri.

Che aspetti dinamici e complessi si creano in un’équipe multidisciplinare!

Che umiltà di pensiero e di ascolto occorre avere!

Accettare che il proprio contributo sia parziale e limitato, pur nella grandezza di sguardo e di analisi della propria professione, nella consapevolezza che insieme si sta tessendo l’ordito della conoscenza (che comunque a sua volta risulterà parziale) e dell’aiuto che tutti riceveranno come fardello con cui ciascuno affronterà poi il proprio lavoro, tornando la volta successiva con la ricchezza della propria esperienza.

Questo è ciò che avviene quando un’équipe ha un buon funzionamento.

Possiamo quindi descrivere l’équipe come luogo dove identità professionali comunque differenziate, difficilmente sovrapponibili e omologabili portano il loro insostituibile contributo alla conoscenza e al lavoro di ciascuno. Di questo scambio, di quest’ arricchimento, non solo ne usufruisce ciascuno, ma l’opera tutta.

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Che cosa in realtà un’équipe così intesa e così costruita genera e forma? Quello che in questi anni di lavoro nella mia équipe abbiamo chiamato “postura”.

Il lavoro di ciascuno non è descritto e non trova la sua definizione nella tecnica. Anzi! Proprio quest’ordine che tende a dare alla tecnica il suo giusto ruolo di strumento flessibile e personale è una delle scelte di forza dell’«Ucipem» fin dall’origine.

Mettere al centro la persona, saper leggere il suo bisogno, costituirsi compagnia per un cammino reale di relazione di aiuto, essere un po’ faro di orientamento e, contemporaneamente, legame significativo per orientarsi, essere per le persone che si rivolgono a noi esperienza di dignità e di libertà, realizzare un ascolto totale che apra le porte alla comprensione dei problemi, saper stare con pietà e commozione davanti al dolore, non sentirsi estranei a nessun tipo di problema e di sofferenza, anche la più deformante l’umano, perché “nulla di ciò che è umano mi è alieno”, essere cioè capaci di avere quella immedesimazione che non ha bisogno delle barriere del giudizio e delle conoscenze tecniche perché l’altro davanti a noi incontri prima di tutto se stesso.

Quanto ancora potremmo descrivere nella costruzione di questo rapporto, di questo tipo di servizio prima di arrivare alla tecnica?

Questa postura, che potrei sintetizzare con «chi è l’altro per noi e come possiamo trattare noi stessi, l’altro e la relazione che andiamo a costruire», è nella mia esperienza lo scopo e l’esito più significativo di un’ équipe consultoriale.

A questo punto in questa riflessione mi impatto nell’aspetto che ritengo fondamentale per il lavoro personale, per l’opera, per il successo del lavoro, per quell’ordine profondo e armonico che ci fa stare bene, per il compito di irradiamento culturale che i nostri Consultori hanno.

E’ un ordito prezioso quello che nasce dal tessere ed intrecciare tutti i fili. Questa postura, che ho posto come esito, non era forse il fondamento dell’origine che ha fatto nascere i nostri Consultori? Non era forse l’energia dell’ideale che ci portavamo dentro? Non era forse il compito che ci eravamo dati e che ha retto nel tempo tante fatiche? 

Sì, questa postura personale e del servizio era ed è all’origine dei nostri Consultori e contemporaneamente lo scopo al quale formarsi costantemente.

Come tutte le cose che valgono nella vita, come l’amore di un uomo e di una donna, quello che c’è all’origine, che li fa scegliere e che fa scegliere di costruire tutta la vita insieme, è anche il lavoro quotidiano per sperimentare ciò che si sono promessi.

Quest’ attenzione formativa alla “postura”è anche ciò che lega, più di ogni altra cosa ed esperienza, il lavoro personale di ogni operatore e di ogni figura professionale con l’opera e la sua storia, e genera dentro ciascuno un’esperienza di unità e di appartenenza.

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Nella condivisione.

Io credo che fin dalla prima parola che ho pronunciato oggi mi sono collocata ed ho espresso un orizzonte di condivisione.

In questo contesto, con questi scopi, la condivisione non è non può essere una strategia tecnica facilitante il lavoro e formante semplicemente un clima buono da vivere.

La condivisione diventa un’espressione fondamentale di come ciascuno concepisce se stesso.

Presa in carico, alleanza di lavoro, scopo comune sono espressioni familiari al lavoro consultoriale che trovano, nel riverbero e nell’esperienza del rapporto con sé e con l’équipe, una radice indispensabile ad un buon lavoro.

La condivisione appartiene alla postura, la postura appartiene come scopo formativo all’équipe, e dentro il lavoro di équipe, nell’appartenenza all’équipe cresce il lavoro personale, la squadra. E’ quell’esperienza vera di poter contare in ogni momento sulla presenza/aiuto dei colleghi.

Ci sono anche i passaggi in cui, per svista, c’è il fuoco amico. Ma anche questi passaggi sono fonte di crescita e di formazione.

Nella nostra esperienza sono diverse le condizioni, anche strutturali ed economiche, che hanno scandito l’evolversi e la crescita dell’équipe. Vorrei però mettere l’accento su due condizioni/cardini.

1. L’équipe settimanale come giorno e ora è rimasta nel tempo fissa. Un luogo e un tempo fermo, non per rigidità, ma per sicurezza: come una casa che ha le fondamenta ed è un “immobile”, ma ha al suo interno vita, morte e miracoli, nascita e crescita, malattie e guarigioni.

Mantenere fisso il tempo e il luogo ha voluto dire questo: un luogo e un tempo fermi dentro cui far entrare tutta la vita del Consultorio.

2. L’altro cardine è stata la scelta fatta da sei anni di avere la supervisione di équipe, anche questa con una forma stabile. Due volte al mese l’équipe, nello stesso tempo e nello stesso luogo, ha la supervisione. Oggi abbiamo un giudizio più che positivo su questa scelta, che ci ha fatto fare esperienza reale di una formazione che mai in nessun momento ha rischiato di essere intellettualizzazione del lavoro.

In questi ultimi due anni c’è un’altra esperienza che esprime l’aspetto generativo dell’équipe.

Molte giovani colleghe e giovani professioni, nella ricerca di un luogo di riferimento e di aiuto, sono venute a contatto con noi.

Abbiamo aperto, e pian piano si stanno strutturando, nuovi servizi che fin ad ora non avevamo avuto.

Anche un Consultorio diventa un organismo vivo che vive con le risorse che ha!

Come inserire, cosa far vivere, cosa insegnare a queste nuove forze, a queste colleghe giovani?

Abbiamo fatto la scelta di non inserirle nell’équipe dei “vecchi”, per non soffocarle, ma anche per non sostituire, con la nostra esperienza e i nostri giudizi, l’energia della loro esperienza e del loro imparare.

Abbiamo perciò formato l’équipe dei “giovani”. Ed è una bellissima esperienza, perché le regole del gioco, il dinamismo profondo che accade sono gli stessi: ma nasce in loro, e quindi anche in noi, un nuovo Consultorio, sempre lo stesso, ma nuovo, perché ciascuno di essi si arricchisce e aggiunge nuove conoscenze e nuove esperienze.

Diventa, nel lavoro dell’équipe delle “giovani”, concreta e viva la formazione ad una postura che generi unità, alleanza, appartenenza, e che lasci respiro e vita ad ogni professione, ad ogni tecnica, ad ogni risposta al bisogno.

L’équipe, luogo generativo di formazione nella condivisione, è il luogo che, custodendo l’origine, lo scopo, la missione del Consultorio, diventa metodo privilegiato.

Ancora una volta un’esperienza autentica di lavoro insieme riverbera la verità più profonda del nostro essere persone: possiamo esistere, crescere, imparare, realizzarci e realizzare solo in una relazione.

L’équipe vuole essere questo luogo di relazione capace di portare la nostra scelta di servire l’umano.                                  

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