Influenza dell’ambiente sugli esseri umani: eventi positivi e negativi

Nei riguardi degli esseri viventi lo scambio con l’ambiente non è sempre costantemente favorevole o sfavorevole. Questo scambio può essere, in certi periodi ed in certi momenti positivo, mentre in altri periodi ed in altri momenti può risultare negativo. Come tutti gli esseri viventi anche gli uomini hanno dei tempi biologici che non possono essere misconosciuti o trascurati. Non è indifferente il periodo della propria vita nel quale gli eventi positivi o negativi vanno ad incidere sull’essere umano. Ad esempio, l’assenza della madre o del padre per alcune settimane non ha la stessa valenza sulla psiche di un figlio se questo evento avviene quando il bambino ha pochi mesi o quando ha diversi anni. In quanto se l’elemento sfavorevole agisce quando l’essere vivente è piccolo e fragile, le conseguenze negative saranno molto più gravi che non quando le stesse condizioni lesive o negative agiranno quando l’essere vivente è già grande e robusto. “L’ipotesi è che quanto più precoce è il danno tanto più probabile è che esso lasci un segno nella struttura che si va delineando” (Pesavento e altri p.55). “L’aver sperimentato eventi di vita avversi negli anni passati e/o nel corso degli ultimi dodici mesi, incrementa in modo significativo il rischio di insorgenza di disturbi psicopatologici (internalizzanti ed esternalizzanti) sia in età prescolare, che in quella scolare e adolescenziale” (Carla Sogos ed altri, p. 462).

Inoltre, se l’elemento sfavorevole agisce per breve tempo il danno sarà minore che se agisce per molto tempo (effetto cumulativo di più eventi negativi). “Le ricerche cliniche e scientifiche hanno evidenziato come i bambini e gli adolescenti ”fragili”, che hanno sperimentato eventi negativi nell’arco della loro vita, a volte con effetto cumulativo nel tempo, siano maggiormente a rischio per lo sviluppo di diversi disturbi ed inoltre siano maggiormente esposti alla sperimentazione di situazioni potenzialmente “traumatiche” [1](Carla Sogos e altri, p. 461).

Non è sono da trascurare, inoltre, le differenze di genere sessuale. Uno stesso elemento stressante o traumatico, non ha la stessa valenza negativa se colpisce una femminuccia o un maschietto.

In sintesi per quanto riguarda gli eventi di vita è importante evidenziare:

  1. La qualità dell’evento: vi possono essere eventi di vita positivi per la psiche dell’individuo, eventi di vita negativi o neutri.
  2. Gli eventi di vita possono essere recenti o appartenere a un passato più o meno lontano (eventi pregressi).
  3. Gli eventi possono essere singoli o possono ripetersi nel tempo.
  4. Gli eventi possono essere più o meno gravi (peso dell’evento in base alle sue conseguenze psico-sociali).
  5. Il peso dell’evento varia, inoltre, in base alla fase evolutiva del bambino e al suo livello di sviluppo (Carla Sogos ed altri, p. 464).
  6. Gli eventi hanno un peso diverso in base al genere sessuale.
  7. La concomitanza o meno con altre patologie organiche o psichiche ha influenza sugli eventi.

Ma così come eventi sfavorevoli possono danneggiare un bambino, allo stesso modo situazioni favorevoli possono aiutarlo nella sua guarigione. Per cui sono molto importanti e utili tutti i tentativi che si propongono di modificare in senso positivo il suo ambiente di vita.

L’essere umano, quando sboccia nel ventre materno, è già in relazione con l’ambiente esterno, in quanto l’utero non è solo culla ma è anche il primo mondo con il quale egli entra in contatto. Ed è questo mondo esterno che contribuisce a costruire il suo mondo interiore. Già, verso i cinque mesi di gravidanza, la madre si accorge, dai suoi movimenti, se egli dorme tranquillo, oppure è sveglio o è inquieto. Già verso la metà della gravidanza, il bambino che si sta formando, sente i suoni, prende dal sangue della madre gli alimenti che gli servono, avverte il dolore. Già egli condiziona, senza volerlo e senza averne coscienza, il corpo ma anche la psiche della madre, per adattare l’uno e l’altra ai suoi bisogni essenziali.

A sua volta però questo piccolo essere umano che sta crescendo, è capace di dare al mondo che lo circonda, ed in primis alla madre, al padre e agli altri familiari ma anche alla società in cui vive, qualcosa che, se a volte è causa di ansia e inquietudine, il più spesso viene vissuto come un regalo prezioso, desiderato e bramato. Ai suoi genitori può dare ancora, senza saperlo e senza volerlo, la realizzazione dei loro sogni. Il piacere e l’orgoglio della maternità e della paternità realizzate. La gioia immensa di partecipare, inizialmente con il loro corpo e poi con le loro cure, con le loro parole, con l’affetto, con le attenzioni e sacrifici, alla formazione del più importante e complesso essere vivente da noi conosciuto.

Quando mamma e papà che accarezzano insieme il pancione, si ritrovano più uniti, più solidali, più vicini, ma anche più forti e decisi ad affrontare il mondo; per modificarlo in senso positivo per loro, ma soprattutto per il loro bambino. Essi, di fronte al mistero della vita che hanno contribuito a creare, si sentono più desiderosi e disponibili alle tenerezze, più pronti all’accoglienza, più sicuri nelle sfide. Ai nonni e agli altri familiari, il piccolo che deve nascere, può dare il piacere di sapere che fra qualche mese potranno avere tra le loro braccia una nuova gioiosa vita; un piccolo caldo, allegro, cucciolo d’uomo con cui dialogare, comunicare e scambiare. Alla comunità e società degli umani, sicuramente egli si offre come un nuovo mattone indispensabile per la stessa esistenza della società, ma anche per il suo progresso e la sua espansione.

Non vi è pertanto un solo momento nel quale il bambino prende dall’esterno e non dà; come non vi è un solo attimo in cui il nuovo essere umano dà e non prende dal mondo esterno. Pertanto, sia nel bene sia nel male, egli modifica in senso positivo o negativo il mondo che lo circonda e, a sua volta, è da questo modificato. Il bambino, come tutti gli esseri viventi cerca di adattarsi ed adattare ai suoi bisogni l’ambiente circostante. La riuscita o il fallimento di questi tentativi dipendono dal particolare intreccio tra le caratteristiche ambientali e le possibilità che l’individuo ha di mettere in atto le strategie più opportune.

Abbiamo detto che il primo contatto dell’essere umano con il mondo esterno è rappresentato dal corpo, dal sangue, ma anche dagli umori della madre. Non sappiamo esattamente cosa avverte della vita psichica della madre l’embrione e poi il feto. Certamente non i suoi pensieri e le sue riflessioni. Sicuramente non può aver contezza se questa donna ha, accanto a sé, un uomo e una famiglia che sa accoglierla e proteggerla, rassicurarla e confortarla, ascoltarla e consigliarla, o se, al contrario, ella è sola ad affrontare questo meraviglioso ma impervio cammino.

Il nascituro, sicuramente, non ha ancora la possibilità di avvertire pienamente se la madre è preda degli impegni del lavoro e delle angosce del vivere quotidiano, che la inseguono e sommergono, oppure se, serenamente e coerentemente con il suo impegno di madre, sta costruendo per il suo bambino, rilassandosi, un ambiente sicuro, caldo e confortevole come un nido.

Sappiamo però che prima della nascita il bambino già avverte le conseguenze che i vissuti della madre hanno sul corpo di lui, in quanto, il benessere della madre diventa ben presto il suo benessere, come il malessere della madre rischia di diventare il suo malessere. Sappiamo che all’inizio della sua avventura umana, la comunicazione è solo biochimica, ormonale, immunologica, ma questa poi, gradualmente, con lo sviluppo delle capacità logico-percettive, diventa piena e completa.

Pertanto, ogni variazione della fisiologia, come dell’assetto biochimico e ormonale della donna influenza, oltre il corpo e la mente di questa, anche il corpo e poi, nel momento in cui si è formata, anche la mente del bambino, che la donna stessa porta in seno.

Già dal battito del cuore della madre, dalla tensione del suo addome e da altri segnali biologici, il nascituro avverte se la madre si sta spendendo con ansia per tante, troppe incombenze oppure si sta concentrando sul suo mondo interiore, cercando, per il suo bambino, tutte quelle caratteristiche materne che a questi servono.

A sua volta il bambino che si sta formando nel ventre materno modifica l’ambiente circostante.

Ancor prima che la madre sappia di aspettare un figlio, quest’ultimo ha iniziato a modificare il corpo di lei, ma anche alcuni aspetti del modo di vivere e sentire se stessa ed il mondo. Uno dei segnali principali che la madre riconosce facilmente è la scomparsa delle mestruazioni e quindi la mancanza di una nuova ovulazione. Il sospetto, che con gli appositi esami diventa certezza, che un essere umano si sta formando nel suo ventre, non passa sicuramente inosservato; anzi, per tante donne, è l’evento clou della loro vita e della loro esistenza.

D’altra parte i sentimenti della madre, prima e durante la gravidanza, possono influenzare profondamente il suo atteggiamento nei riguardi del bambino che nascerà, così come possono condizionare il modo con il quale lo accoglierà e si comporterà nei suoi confronti(Osterrieth, 1965, p. 45).[2]

Allo stesso modo i suoi sentimenti, prima e durante la gravidanza, condizioneranno la sua vita futura. Necessariamente subiranno una qualche modifica i rapporti con il padre del bambino, il lavoro e gli altri impegni, la famiglia e gli amici. Nulla sarà come prima! Aspettare un bambino può significare che un sogno si è realizzato. Un sogno nato in un momento lontano della sua vita. Un sogno sbocciato quando da bambina ha iniziato a giocare con la sua prima bambola ‹‹che voleva sempre la pappa e lei doveva continuamente preparagliela se no quella piangeva, cosicché doveva cullarla a lungo prima che, finalmente, si addormentasse tranquilla››. Oppure quel sogno era sgorgato quando, per la prima volta, la mamma le aveva dato il permesso di toccare, ma solo per un momento e molto delicatamente, le manine o il corpicino del fratellino appena nato; o quando, avendo più fiducia in lei, le aveva permesso di poggiarlo un attimo sul suo piccolo grembo; o ancora quando, fidandosi delle sue capacità, aveva affidato a lei le cure del fratellino per qualche minuto e la bambina, in quei momenti, si era orgogliosamente sentita una mammina amorevole.

Aspettare un bambino può significare il completamento di un rapporto di coppia nato molti anni prima tra i banchi di scuola e condotto con impegno, coerenza. fedeltà e fiducia per molto tempo, prima di essere coronato dalla cerimonia del matrimonio e poi, finalmente, dall’attesa di un figlio.

Per una coppia ritenuta sterile, il sapere di aspettare un bambino è già qualcosa di diverso. Dopo mille sacrifici, dopo tante attese, dopo infinite delusioni, la gioia inaspettata può avere caratteristiche sconvolgenti che, a volte, proprio per questi motivi e per la paura che questa nuova vita svanisca fugacemente, non si riesce a gustare fino in fondo.

Aspettare un bambino può significare, purtroppo, ben altro. Quando questo evento è solo il frutto di un incontro occasionale, della passione di una notte, o è solo la conseguenza di un errore commesso in due. In tutti questi casi una nuova vita umana può accendere nell’animo dei genitori tinte fosche e drammatiche

In una famiglia estremamente povera e disagiata, questo evento può significare la necessità di dover affrontare nuovi sacrifici, nuove rinunce, nuovi e più pesanti impegni.

Queste ed altre mille situazioni diverse hanno la capacità di avvolgere il nuovo germoglio dell’umanità in un caleidoscopio di sentimenti ed emozioni, che possono comportare notevoli conseguenze materiali, psicologiche e sociali le quali, a loro volta, influiranno, sia in senso positivo che negativo, sulla qualità della relazione, non solo tra genitori e figlio, ma anche tra familiari e nuovo nato, tra società e novello cittadino.


[1] Carla Sogos ed altri, dall’età prescolare all’adolescenza: la distribuzione dei life events in un campione rappresentativo della popolazione italiana, psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, (2009), vol. 76. P. 461.

[2] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 45

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