Il ruolo dell’operatore nel mare agitato della famiglia

 

 

 

 

Nel mare agitato della famiglia, in un contesto secolare e pluralista,

quale è il ruolo  dell’operatore?

Convegno nazionale Ucipem, Frosinone 22/24 giugno 2012

 

 

AUTORE: Luigi Lorenzetti  (*) 

 

 

Introduzione: famiglia nel mare agitato  

 

L’enciclica di Benedetto XVI, Spe Salvi (2007), dedicata alla speranza cristiana, anima di tutte le speranze umane, si domanda: cos’è la vita umana?

Ci si può domandare ugualmente: cos’è la famiglia? Tra le tante risposte, si può sceglierne una: la famiglia è un cammino che ha un inizio, un percorso, un traguardo.

Quale traguardo? Nel corso della storia, ormai bimillenaria del cristianesimo, sono indicati due grandi traguardi (finalità, mete): il bene dei coniugi e il bene dei figli, evidenziando una maggiore importanza ora all’uno ora all’altro. Nella cultura contemporanea, in primo piano è venuto il bene della coppia, dal quale tutto dipende anche il bene dei figli. D’altra parte, come possono essere buoni genitori se non sono buoni sposi? In ogni caso il bene dei coniugi e il bene dei figli si richiamano reciprocamente.                 

Quale è la strada che conduce al traguardo: il bene (felicità, realizzazione) della coppia e della famiglia? La risposta non è facile, perché si può smarrirla strada o non percorrere quella giusta. S. Agostino, prima della conversione, fa un bilancio della sua esistenza e conclude con il riconoscere che ha fatto un lungo cammino, ma fuori strada. «Grandi passi, ma “extra viam”». Così anche Dante Alighieri si rende conto che, a un tratto del cammino, ha perso la strada: «Mi trovai in una selva oscura, perché  la dritta via era smarrita».  

In altre parole, si vuol dire che il cammino della famiglia non è un procedere lineare, anzi è come un viaggio nel mare della storia, spesso oscuro e in burrasca. I marinai hanno, quale riferimento, le stelle, ma se il cielo si oscura? Quando si avvicinano al porto, è il faro che li guida per raggiungere il porto.  

Quale è il faro, quali sono le stelle che illuminano il cammino della famiglia in questo periodo storico al quale si vuole essere contemporanei? Il Congresso Ucipem certamente risponderà a questa ineludibile domanda.        

L’esposizione prevede i seguenti passaggi: il primo, di indole fenomenologica, descrive la situazione della famiglia che non è proprio tranquilla: è come in un mare agitato (I); il secondo interpreta la situazione: questa non è da comprendere in termini di progresso o di regresso rispetto al passato, ma in termini di un nuovo modo di intendere la famiglia che è centrato sulla relazione (II); il terzo, di conseguenza, delinea un’etica di umanizzazione della relazione (III); e, in questa prospettiva, si colloca il ruolo dell’operatore/operatrice nel Consultorio familiare (IV).         

I. la situazione attuale della famiglia      

 

     I segni della situazione attuale della famiglia sono diversi ma convergenti nel mostrare un profondo cambiamento culturale e sociale che risulta di difficile e univoca interpretazione:   

 

– I giovani rinviano il matrimonio e, una volta sposati, rinviano la decisione di diventare genitori e, per renderla praticabile, a volte sono costretti, per vari motivi, a ricorrere alle tecniche procreative;

 

– Il matrimonio non è considerato una realtà destinata a durare incondizionatamente per sempre: il divorzio è messo in conto. Si riconosce che l’amore è creatore di un legame, ma si esclude in partenza che sia per sempre. La cultura contemporanea evidenzia, così, una contraddizione: da un lato, esalta l’amore come movente, giustificazione, e ideale della vita di coppia; e lo esalta come mai era accaduto nelle generazioni precedenti; dall’altro ne teorizza, per principio, la fragilità e l’instabilità. Per questo molti prendono le distanze dall’istituzione civile e religiosa, per lasciarsi così piena libertà.

 

– la libera unione (o unione di fatto), anche tra persone omosessuali/lesbiche  rivendica un riconoscimento sociale e giuridico, e anche morale.  

 

– il concetto di matrimonio non è univoco: si sostiene che il matrimonio tradizionale non è né l’unico né l’esclusivo, ci sono altre forme. «Se in Italia, il matrimonio resta il modello di gran lunga preferito, esiste tuttavia una lenta e progressiva diffusione di altri stili di vita familiare, che ci avvicina sempre più agli altri paesi europei occidentali» (A. L. Zanatta, Le nuove famiglie, Bologna, Il Mulino 1997, 18). È un’analisi di alcuni decenni fa, ma è ancora più attuale oggi. Ci si domanda, tuttavia, se i diversi modelli di convivenza indicano modalità diverse di vivere la relazione d’amore, oppure sono, più o meno consapevolmente, forme imperfette di amore? Progetti d’amore o paura di amare?

  

 Che dire? C’è chi si arrende alla nuova situazione; c’è che la giustifica; c’è chi la critica, ma non va oltre la critica; c’è, infine, chi tenta un’interpretazione. Soltanto la quarta permette di intravvedere  risposte e di fare proposte.        

 

II. NUOVO MODO D’INTENDERE IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA   

   

Per interpretare oggettivamente, o il più oggettivamente possibile, la situazione del matrimonio e della famiglia oggi, occorre riferirsi alle motivazioni e all’idea che ne hanno i soggetti e i cambiamenti che, a livello soggettivo, sono intervenuti.[1]

Rispetto al passato, la famiglia non si distingue in termini di rialzo o di ribasso, ma per un modo nuovo d’intenderla e di volerla.Si è passati:

– da una concezione metafisica (la famiglia considerata in se stessa) a una esistenziale (la famiglia considerata in rapporto al soggetto/ai soggetti);

– da una concezione oggettiva a una soggettiva: si sostiene che non esiste una verità oggettiva (valori), è vera quella che il soggetto ritiene tale;    

– da una comprensione di famiglia come istituzione a una comprensione come relazione. In altre parole, la famiglia, nel passato, teneva a prescindere dal vissuto delle persone, ora si verifica il rovescio.

           

1. Alcuni fenomeni emblematici per comprendere la nuova situazione.

 

A: Felicità

     Il termine felicità è un test emblematico per capire il modo diverso di pensare la famiglia ieri e oggi. Ieri si parlava di famiglia felice ed era quella che aveva figli, anzi molti figli; quello che dava un’assicurazione sociale che la vita da single non dava; quello che dava legittimazione sociale e morale alla vita sessuale.

Oggi non si parla – o non si parla tanto – di famiglia felice/infelice, ma di felicità delle persone nella famiglia e attraverso la famiglia. La felicità si è spostata dall’istituzione alle persone. «Ciò che impetuosamente è il terreno sul quale si deciderà il successo o l’insuccesso del matrimonio – osserva G. Campanini – è la realizzazione della felicità personale. Poco importa che si abbiano figli; poco importa che il matrimonio acconsenta un tranquillo appagamento sessuale, se alla fine non si raggiunge la felicità, se ci si sente infelici, e dunque insoddisfatti, inappagati, inquieti». Il tipo di relazione di coppia è, così, la giustificazione del formarsi e del permanere del legame di coppia o, viceversa, dello sciogliersi. In nome della felicità mancata – e quasi sempre per colpa dell’altro/a – si viene via dal matrimonio.   

L’attesa di felicità è una domanda seria che merita attenzione. Dietro a separazioni e divorzi ci sono certamente superficialità, immaturità, fragilità di carattere, ma anche una forte e legittima domanda di felicità. D’altra parte, il sogno di felicità individuale attraverso gli affetti, l’ideologizzazione dell’amore/passione/romantico, la paura di sbagliare e di restare prigionieri evidenziano le coordinate della ricerca degli uomini e delle donne verso un’integrazione affettiva piena e gratificante.  

A riguardo della felicità, occorre anche considerare che la felicità nel privato non è complementare a quella pubblica, ma semplicemente la sostituisce. Le speranze collettive di un cambiamento della società sono sparite dall’immaginario collettivo e sono trasmigrate dal pubblico all’area del privato: le grandi utopie si sono privatizzate. Alle utopie di felicità collettive che richiedevano, a volte, il sacrificio della felicità privata è subentrata l’utopia della felicità privata, nel disinteresse di quella pubblica o collettiva. Si ritiene che la vita migliore non si raggiunge nell’aspettativa di una società globalmente diversa, ma nella speranza di relazioni affettive soddisfacenti. 

 

 

B: Mutato rapporto maschile-femminile

È un cambiamento di cui l’uomo non si è accorto in maniera adeguata. Il rapporto uomo-donna, nella cultura tradizionale, reggeva sulla subordinazione, anche accettata, della donna rispetto all’uomo. Tale condizione era considerata addirittura fattore di unità e di armonia. «Dove va a finire l’unità della famiglia – si diceva in parlamento – quando, nel 1975, si discuteva della riforma del nuovo diritto di famiglia, che ha sancito la perdita del duplice potere del marito: quello sulla moglie e quello sui figli, affidando tale autorità alla coppia in quanto tale.

Si tratta, infatti, di un rapporto tra due persone, un rapporto dove non c’è uno  che parla e decide, ma dove ci sono due persone che, nella riconosciuta diversità, sanno costruire una unità. Da qualcuno si afferma che la crisi del matrimonio moderno sta nel processo di emancipazione femminile, mentre in realtà la crisi è nell’uomo ed è riconducibile alla difficoltà di adeguare il ruolo maschile al mutato ruolo femminile, dimenticando che il matrimonio è una relazione e che, in una relazione, quando uno dei due cambia, tutto cambia. Da diversi decenni si dice che confrontarsi con questo cambiamento è  il fondamentale banco di prova delle nuove generazioni maschili, alle prese – per la prima volta nella storia – con un nuovo modello di femminilità. 

 

C: Fedeltà

     Un terzo fenomeno della nuova situazione riguarda l’importanza che è data al valore (bene) fedeltà. Paradossalmente, proprio in una società e in una cultura come le attuali, la fedeltà emerge come banco di prova dell’autenticità dell’amore, ne segna la riuscita o il fallimento, la permanenza nel tempo o il tramonto.

Mai come oggi, nella storia degli uomini e delle donne, la fedeltà è stata riconosciuta fino al punto di giustificare e legittimare il divorzio come inevitabile risposta al venir meno della fedeltà. Tollerante e permissiva su molti piani, a partire da quelle sessuali, la cultura contemporanea si riconosce, tuttavia, nella fedeltà e a questa aspira. Certo è di ostacolo il clima di precarietà e di provvisorietà che  caratterizza il vissuto delle nuove generazioni. Il fatto, tuttavia, che dopo aver abbandonato in larga misura il quadro dei valori tradizionali del matrimonio, guardino con simpatia (e forse con nostalgia) alla fedeltà, rappresenta una sfida alla comunità civile ed ecclesiale e richiede la capacità e il coraggio di una risposta anche mediante istituzioni adeguate.  

 

2. Nuova cultura familiare postmoderna

         Da questo breve excursus deriva che la famiglia non è soltanto condizionata dalla cultura, ma è anche capace di creare cultura o mentalità. In base a considerazioni sociologiche, qualcuno identifica la cultura familiare postmoderna, le cui caratteristiche sarebbero così descrivibili:[2]    

– Progetto di felicità personale. Se fallisce se ne cerca un altro, anche inedito, qualora quello comune non risponda alle esigenze affettive;

– La vita privata, come ambito esclusivo della sovranità dell’individuo, che si muove autonomamente anche a costo di sfidare un’opinione pubblica contraria;

– Neoromanticismo nella scelta della coppia, confuso spesso con una mera gratificazione sentimentale che, successivamente, si mostra incapace di resistere alla più piccola prova;

– La facilità dell’errore iniziale, perché basato unicamente sulla reciproca attrazione. Si confonde _ come disse E. Fromm _  l’esperienza iniziale d’innamorarsi con lo stato permanente di essere innamorati;

– La convinzione, socialmente legittimata, che questo primo errore può essere sanato con un’altra scelta. Il secondo tentativo… può andare anche oltre i modelli normali. In breve, l’intimità si erige progressivamente in un assoluto nella cultura postmoderna (in qualche modo una forma secolare del sacro).

     

3. Osservazioni conclusive

– Si tratta di una cultura ancora minoritaria ma già molto influente a livello di idee e di mentalità. Tuttavia, non legittima nessuna conclusione fosca sulla famiglia tradizionale che _ come si riconosce da serie indagini e dati statistici _ tiene bene, sebbene in  condizione di grande instabilità, come appare dalla curva delle separazioni e dei divorzi.  

– Non è detto che la cultura familiare postmoderna sia quella vincente. In ogni caso, è questa la sfida culturale del nostro tempo alla quale l’etica filosofica e teologica è chiamata a rispondere, a meno che non si limiti a prendere atto della nuova situazione oppure a rispondere in termini di condanna o di giustificazione. C’è una terza opzione che è preferibile, anzi doveroso intraprendere: il compito di umanizzare la relazione.     

  

 

III. Umanizzare la relazione  

 

Se il senso del matrimonio, che fonda la famiglia, è la relazione tra l’uomo e la donna, allora il cammino della famiglia passa attraverso l’umanizzazione della relazione, così da farne una unità nella diversità, quale traguardo, del resto, mai compiuto della famiglia, nel senso che non basta una vita intera per realizzare l’unità nella diversità.  

La relazione uomo-donna è anzitutto un’esperienza, la teoria o le teorie (psicologiche, filosofiche, teologiche) vengono dopo e sono finalizzate a rispondere a una triplice domanda:          

 

1. Perché la relazione di coppia?

La novità, rispetto alle generazioni precedenti, consiste nel fatto che a rispondere alla domanda è la persona e solo la persona. Fino a un passato non molto lontano (e in molte culture ancora oggi), la comunità era determinante, mentre oggi la comunità è praticamente e anche teoricamente irrilevante.                      

 

 

2. Come è la relazione di coppia? (livello descrittivo).

 Si può ipotizzare un triplice modello:

– Relazione nella quale l’altro/a è in funzione dell’io: così l’altro/a scompare, compare l’io, almeno l’io è dominante.

– Relazione _ secondo tipo _ in cui l’io è in funzione dell’altro:  scompare l’io, all’orizzonte compare l’altro.

– Finalmente _ terzo tipo _ relazione reciproca. Soltanto quiesto tipo di relazione verifica, cioè rende vera, l’unità nella diversità, l’appartenenza e la differenza, cosa che non si verifica nel primo e nel secondo tipo.

Purtroppo, sovente le relazioni coniugali riflettono il primo o anche il secondo tipo. L’unità deriva dalla capitolazione dell’uno o dell’altro partner e, così, diventa luogo di mortificazione della persona. L’amore autentico è critico di quanto ha di possessivo, consente, invece, all’altro di riconoscersi, di essere se stesso.

 

3.Come deve essere (livello etico)

Questa domanda sarebbe superflua se l’essere umano, uomo e donna, fosse predisposto all’empatia nei confronti dell’altro/a. Ma così non è. In ogni comportamento umano si sperimenta, da un lato, la presenza di tendenze costruttive e, dall’altro, la presenza di tendenze distruttive (competizione, pregiudizio, odio), che portano nella direzione contraria all’amore oblativo. 

È necessario, ma non è sufficiente, interpretare queste tendenze e, in questo, il ruolo della psicologia è imprescindibile. È necessario che il soggetto prenda responsabilmente posizione per dominare le tendenze distruttrici e dare spazio alle tendenze costruttrici.

D’altra parte, se il soggetto non ha raggiunto un sufficiente grado di maturità, la relazione è inevitabilmente a rischio. Molti fallimenti del matrimonio, pur diversamente motivati, hanno alla radice l’immaturità delle persone (dell’uno o dell’altro partner o di tutti e due). Più che relazione reciproca sperimentano solitudine reciproca. Il matrimonio che, per definizione, è una scelta di vita e per tutta la vita, chiama in causa la persona e la sua maturità, vale a dire la sua capacità di amore oblativo.    

Per concludere, alla domanda di come deve essere la relazione di coppia, la risposta viene da molteplici fonti:

– Viene dalla maturità della persona e dalla sua capacità di amare, del resto mai compiutamente acquisita. All’obiezione che all’amore non si comanda e che se non c’è o è morto, non può venire per comando, si risponde che l’amore è anche oggetto di comandamento, un comandamento che non è estrinseco all’essere umano.

Nel ricordare il comandamento, Gesù di Nazareth fa leva su ciò che è originario nell’essere umano, cioè sulla sua capacità di amare ed apre orizzonti umani e umanizzanti. Per lui, l’amore non sostituisce la giustizia, ma è un modo di compierla; il perdono non è copertura del male compiuto, ma riconoscimento e offerta di possibilità di un futuro diverso. In altre parole, l’amore vero non passa sopra o accanto ai conflitti interni ed esterni, ai comportamenti sbagliati. È,  invece, forza e capacità di soluzioni costruttive.

– Più che da eccellenti teorie, filosofiche e teologiche, che pure ci vogliono, viene da concrete esperienze di famiglie riuscite (e sono la maggioranza) che, pur nei limiti dell’umano, sanno vivere una relazione affettiva felice. Sanno che la felicità non consiste nell’assenza di difficoltà, tensioni, e conflitti, ma nel saper dare soluzioni costruttive ai conflitti che inevitabilmente sorgono.   

 

IV. consultorio familiare

 

L’importanza vitale della relazione e, insieme la sua difficoltà, conferma che il Consultorio nel contesto delle molteplici attività, a cominciare dalla consulenza, è luogo provvidenziale di promozione e di umanizzazione della relazione di coppia.

Aumentano i singoli e le coppie che chiedono aiuto, non solo per il forte aumento delle situazioni problematiche, ma anche perché la crisi di coppia viene sperimentata non come un evento da nascondere, né preludio di un inevitabile fallimento coniugale, ma piuttosto come un evento diffuso e comune nel naturale sviluppo della storia familiare, e occasione per determinare un salto di qualità qualora venga risolto positivamente. C’è la convinzione che la difficoltà, se riceve risposte adeguate, può trasformarsi in una ripresa di qualità della relazione della coppia e della famiglia. Ma quali sono le convinzioni dell’operatore/operatrice?

 

1. Le convinzioni dell’operatore

Per tentare delle risposte: che il matrimonio è un bene (valore) comprensibile alla luce della ragione e della fede per il credente; che il matrimonio che perdura nel tempo è un bene, un valore; che le difficoltà sono superabili e conducono, se coraggiosamente assunte, a nuovi traguardi e assetti relazionali più forti e più convinti. Come normale non sono l’uomo o la donna esenti da difficoltà, ma l’uomo e la donna che consapevolmente accettano la fatica di diventare uomo e donna nel tentativo, mai esauribile, di risolvere le proprie contraddizioni, così la coppia normale non è quella esente da crisi. La coppia felice libera da difficoltà e conflitti non esiste; tutto il cammino della famiglia è un cammino che ha diverse stagioni e ognuna ha la sua importanza, il suo carisma.

               

2. Metodo e tecnica della consulenza

In questi ultimi decenni sono state chiarite importanti questioni sul ruolo dell’operatore/operatrice: «un timoniere» non un neutro osservatore o notaio. Ci si può rifare allo Statuto Ucipem e all’articolato discorso esposto nel documento Cei, I consultori familiari sul territorio e nella comunità (1991).    

Forse nel delineare il ruolo dell’operatore si è insistito più su quello che non è (non è direttivo) che su quello che è. La preoccupazione era quella di mostrare all’esterno che nel Consultorio, di ispirazione cristiana, si fa consulenza e non morale o pastorale. Un altro limite si è verificato nello spostare di volta in volta il discorso dall’operatore/operatrice all’utente e viceversa, nell’intento, sia pure motivato e legittimo, di determinare che il protagonista è l’utente.    

È importante invece mostrare che il rapporto consulente – utente è un rapporto di alleanza, di reciproca fiducia e di collaborazione per arrivare a una scelta libera e responsabile che spetta ovviamente all’utente. In questa prospettiva, è significativo ripensare all’episodio biblico dei discepoli di Emmaus in cammino verso Gerusalemme (cf. Lc 24, 13-35). I due discepoli possono rappresentare la persona che viene al consultorio: sono senza speranza, si ritengono falliti  «Speravamo che…». Il pellegrino, che si è accompagnato, rappresenta il consulente: li ascolta e dà loro una versione diversa dell’accaduto, una versione che i due ignoravano ma che era vera, oggettiva. Il consulente non si sostituisce all’utente, ma questo non vuol dire che si limita a fare da semplice registratore o da notaio. Rimane pienamente nel suo ruolo se pone la persona di fronte ad altri punti di osservazione, come pure di fronte a eventuali incoerenze causate dalle sue scelte.

            Nella prospettiva dell’alleanza consulente-utente, è anche importante ripensare l’atteggiamento cosiddetto realista. Occorre fare i conti _ si dice _ con la realtà alla quale dopo tutto bisogna pure piegarsi. Certamente occorre avere il senso della realtà, ma c’è distinzione tra il realista rassegnato e il realista non rassegnato. Se la persona, che viene al consultorio, è un realista rassegnato, non è detto che debba incontrare un consulente realista rassegnato. Si auspica, invece, che possa incontrare un  consulente che, proprio come consulente, è un realista non rassegnato. Per questo, è in grado di indicare senza forzature una via alla quale l’utente non aveva pensato, ma alla quale può liberamente e responsabilmente pensare.   

 

(*) Prof. Padre Luigi Lorenzetti  – Docente Etica teologica a Bologna e Trento



[1] Cf. J.M. Cortés, Radiografía de la familia, hoy, in Sinite 125(2000), pp. 430ss.

 

[2] Ibid., p. 437-438.

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