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Il periodo dell’allattamento
Simbolo dell’intimità fisica madre – bambino è il periodo dell’allattamento. ‹‹È intorno all’atto della nutrizione che si forma la prima relazione. Il lattante dipende in tutto e per tutto dalla sua nutrice, con la quale stabilisce un legame molto intimo, intenso e significativo. Fin dalle prime poppate, l’alimentazione avviene in un contesto sociale ricco di sensazioni. Sono interessati non solo il gusto e l’olfatto, ma anche il tatto: le labbra del neonato si attaccano al capezzolo, il bambino tocca e stringe il seno materno, la madre sostiene e accarezza il piccolo. Questo contatto ravvicinato crea un clima emotivo al cui interno la suzione, la deglutizione, la digestione e in seguito la masticazione, assumono delle valenze psicologiche che vanno ben al di là del fatto alimentare in sé. Il latte si fonde con il corpo della mamma. Non è solo buono da succhiare, ma anche da immaginare e da sognare. Il suo profumo e il suo gusto si associano a sensazioni di benessere, serenità e affetto›› (Ferraris, 2006, p. 40).[1]
Per la Klein (1969, pp. 13-14).
‹‹Sotto il predominio degli impulsi orali, il seno viene percepito istintivamente come la sorgente del nutrimento e perciò, in senso più profondo, della vita stessa. Quando le cose vanno bene, questo contatto, sia fisico che psichico, con il seno gratificante stabilisce, fino ad un certo punto, la perduta unità prenatale con la madre ed il sentimento di sicurezza ad esso connesso […] in questo modo la madre diventa un oggetto d’amore››.[2] E ancora la Klein (1969, p. 14). ‹‹Il seno buono viene introiettato, diviene parte dell’Io; il bambino, un tempo parte della madre, ora ha la madre dentro di sé››.[3]
Con la madre, quindi, il bambino entra inizialmente in contatto intimo soprattutto con la bocca. Quest’organo non è solamente un mezzo per nutrirsi o provare piacere, ma uno strumento che gli permette di mettersi in contatto con il mondo esterno per fare le sue prime esperienze Isaacs (1995, p. 32).[4] Ciò capiamo dal comportamento del bambino. La Isaacs (1995, p. 33) così descrive un momento dell’allattamento:
‹‹Ma se la mamma ritrae il seno come cambia velocemente il suo atteggiamento! Il viso del neonato si rabbuia, e arrossisce, strilla per il dolore e per la rabbia, agita i pugni e tutto il corpo esprime dimenandosi la sua protesta. Se gli si restituisce il capezzolo, il suo corpo si rilassa, il viso si distende, il bimbo sospira o borbotta di sollievo e la bocca ricomincia a soddisfare la sua fame di nutrimento e di affetto. Offrire il seno al bambino, nei suoi primi momenti di vita, vuol dire offrigli amore, ritirare o rifiutare il seno vuol dire ritirare o rifiutare l’amore›› (Isaacs, 1995, p. 33).[5]
Pertanto il tardare nel dare da mangiare al bambino non significa soltanto lasciarlo per qualche tempo con un po’ di fame ma, altresì, disturbare il fluire delle sue gratificazioni affettive. Egli non piange e protesta solo perché ha fame, ma anche perché si sente privo d’affetto e non gode del piacere di succhiare.
Per quanto riguarda il tipo di allattamento non vi è dubbio che l’allattamento al seno sia da preferire nettamente, non solo per motivi biologici ma soprattutto per motivi psicologici, in quanto come dice Winnicott, (1973, p. 156): ‹‹L’offerta del biberon in luogo del seno o la sostituzione del seno con il biberon durante le prime settimane dell’allattamento rappresenta, in una qualche misura, una barriera che divide il piccolo e la madre piuttosto che un legame che li unisce. Nel complesso il biberon non può sostituire adeguatamente il seno››.[6]
Tuttavia, dopo le prime settimane, il bambino comincia ad abituarsi alla regolarità nella nutrizione e al resto delle cure che gli sono prestate per cui, certo dell’affetto costante e stabile, non ha motivo di abbandonarsi immediatamente all’ansia e alla solitudine (Isaacs, 1995, p. 40).[7] Le madri si accorgono di questa iniziale crescita del bambino in quanto avvertono che egli ora sa attendere di più la soddisfazione dei suoi bisogni. ‹‹È più paziente›› – dicono.
Anche le braccia della madre non sono solo delle braccia. Se queste sanno sorreggerlo e accoglierlo con morbidezza e disponibilità, sono fonte di sensazioni piacevoli e rassicuranti. Offrono al bambino qualcosa di molto simile ad un utero o a un nido morbido, caldo e accogliente. Tutte queste sensazioni piacevoli e serene gli permettono di mantenere e far crescere la fiducia in se stesso, ma anche nel mondo nel quale si sta gradualmente inserendo. E ciò permetterà al piccolo essere umano di percorrere la strada che lo porterà alla crescita affettiva e all’indipendenza.
Le attese del lattante
Il bambino riconosce la situazione dell’allattamento ,e si calma appena la madre lo solleva per nutrirlo, in quanto ha rapidamente imparato a collegare le varie sensazioni interne ed esterne. Quando ha fame o è teso e nervoso si aspetta che la madre lo allatti o lo coccoli, così come quando è sporco o prova fastidio ha fiducia che la mamma lo pulisca. Quando è stanco di trovarsi nella stessa posizione egli sa che la madre accorrerà per sistemarlo in una posizione più comoda e più idonea al suo riposo. Quando la troppa luce disturba i suoi occhi egli si aspetta che la madre abbassi le tapparelle. Se i comportamenti della madre si modellano in maniera sufficientemente attenta e stabile ai suoi bisogni, aumenta la sua fiducia in lei e quindi nel mondo esterno a lui, mentre contemporaneamente aumenta la stima nelle sue capacità di stabilire relazioni efficaci. Se invece non accade quanto si aspetta, rimane disorientato e angosciato[8] e coltiva sfiducia e stizza sia verso gli altri, in quanto incapaci di ascolto, sia verso se stesso, sentendosi vittima impotente ma anche essere incapace.
Per Ackerman (1970, p. 69):
‹‹Alla nascita il bambino non è una tabula rasa. Tra un bambino e l’altro vi sono differenze significative di carattere ereditario e congenito. I bambini variano per il tipo fisico, il potenziale intellettuale, il temperamento, il metabolismo, l’affettività, l’attività motoria, le reazioni nervose. Nonostante ciò, l’influenza dell’ambiente nel plasmare in modo definitivo l’espressione di queste potenzialità è enorme..››.[9]
Pertanto le capacità adattative della madre alle diverse qualità e realtà del bambino sono fondamentali. Per Bowlby (1982, p. 18): ‹‹Oltre che dalla comprensione intellettuale, che non voglio certo criticare, il modo giusto di allevare un bambino nasce dalla sensibilità della madre alle reazioni del figlio e dalla sua capacità di adeguare intuitivamente il proprio comportamento alle necessità del bambino”[10]
Per Winnicott (1987, p. 93) le “madri sufficientemente buone” nel momento in cui hanno un bambino tra le braccia, per capirlo meglio, per entrare meglio in sintonia con lui, regrediscono e si fanno piccole come il loro bambino. Altre invece, soprattutto oggi, coinvolte negli impegni lavorativi e professionali, spaventate da questa condivisione totale con il loro bambino ‹‹… temono questo stato e hanno paura di diventare dei vegetali, con la conseguenza che si aggrappano alle vestigia di una carriera come a una vita preziosa e non si concedono neppure temporaneamente a un coinvolgimento totale››. [11] Si può innescare allora un circolo vizioso tra la madre e il bambino ( reciprocità negativa) che interferirà pesantemente nella differenziazione e nello sviluppo dei due partner.
[1] A. O. FERRARIS, Il ricatto della pappa, in “Mente e cervello”, n. 19, gennaio – febbraio 2006, p. 40.
[2] M. KLEIN, Invidia e gratitudine, Op. cit. pp. 13-14.
[3] M. KLEIN, Invidia e gratitudine, Op. cit., p. 14.
[4] S. ISAACS S., La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni e Figli e genitori, Op. cit. p. 32.
[5] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni – Figli e genitori, Op. cit., p. 33.
[6] D. W. WINNICOTT, Il bambino e la famiglia, Op. cit., p. 156.
[7] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni – Figli e genitori, Op. cit., p. 40.
[8] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 50.
[9] N.W. ACKERMAN, Psicodinamica della vita familiare, Op. cit., p. 69.
[10] J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Op. cit., p. 18
[11] D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Milano, Cortina Raffaello, 1987, p.93.
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