Il biotestamento è legge, ma restano problemi ed incertezze

Il biotestamento è legge,

ma restano problemi ed incertezze

Autore: Armando Savignano 

 

 

La legge sulle direttive anticipate di trattamento (DAT) è stata finalmente varata dal Parlamento, dopo anni di dispute ed a seguito di casi eclatanti che hanno colpito l’opinione pubblica. A questo punto è doveroso farne una prima valutazione anche in vista della sua applicazione pratica, che invero susciterà non pochi problemi.

Il biotestamento è un documento che si può stilare quando si è nel

 

pieno possesso delle proprie capacità fisiche e mentali, e nel quale si esprime la volontà su particolari situazioni di fine vita.

Esso può essere revocato in qualsiasi momento secondo la volontà di chi l’ha prodotto. Ciò nonostante, la nuova legge non esige che le volontà dei pazienti siano sempre ‘attuali’ cioè vengano confermate al momento in cui le DAT vengono applicate, mentre è esperienza comune che il giudizio sulla propria vita cambia radicalmente dinanzi ad un pericolo immediato. Anche nel caso di demenza o di incoscienza, neppure il fiduciario, chiamato a far rispettare la volontà del paziente espressa a suo tempo, può essere certo che il soggetto non cambi idea dinanzi alla prospettiva concreta di morire.

È premessa quanto mai opportuna distinguere tra testamento biologico – o direttive anticipate di trattamento (DAT) – ed eutanasia (nelle sua varie forme). Il testamento biologico non è assimilabile all’eutanasia, né apre necessariamente ad essa, altrimenti bisognerebbe rivedere molte norme del codice penale sul suicidio assistito, omicidio del consenziente, ecc. L’eutanasia è invece un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte allo scopo di eliminare ogni dolore. Tra le varie forme di eutanasia (volontaria, non volontaria, involontaria), ci soffermiamo qui su quella attiva che implica l’utilizzo di farmaci per determinare la morte, senza dolore (si fa per dire!). L’eutanasia passiva è, per contro, l’omissione delle cure e dei trattamenti, in quanto si ritiene che una vita non sia più degna di essere vissuta. Occorre tuttavia distinguere non solo tra uccidere e lasciar morire, ma anche e soprattutto tra trattamenti ordinari e straordinari: i primi sono insostituibili, gli altri sono oggetto di opzione da parte del medico, tenendo conto delle particolari situazione del paziente e dei progressi della tecnologia medica. Un trattamento che un tempo era ritenuto straordinario, ad esempio, in un altro momento storico diviene ordinario grazie ai meravigliosi progressi della medicina. Nonostante la parola ‘eutanasia’ non compaia mai nella legge appena varata, tuttavia sarebbe stato opportuno che esprimesse a chiare lettere che le DAT non sono per nulla assimilabili alle pratiche eutanasiche.

Non è in discussione il diritto di rifiutare le terapie, come peraltro afferma l’articolo 32 della nostra Costituzione. Ma il paziente può chiedere – se non addirittura esigere, dato che si parla nella legge di ‘disposizioni’ – prestazioni che ne anticiperebbero la morte? La legge, a tal proposito, lascia adito a qualche dubbio (art.1, comma 5) al fine di prevenire applicazioni improprie e ricorsi ai giudici. Come è noto, il predetto art. 32 prescrive che «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

 

Sussistono, inoltre, due nodi cruciali nella legge appena approvata: la questione della nutrizione ed idratazione e la possibilità dell’obiezione di coscienza. La legge definisce idratazione e nutrizione «trattamenti sanitari» (art.1, comma 5). Mentre tutti concordano che vanno sospese qualora prolunghino l’agonia di un paziente terminale o non raggiungano più il loro

fine proprio, c’è invece discordanza di opinioni sul fatto che siano assimilabili a vere e proprie terapie, trattandosi spesso di un modo diverso di alimentare un paziente incapace di farlo da solo. Spesso anche personale non medico è in grado di praticarle, una volta inserita la cannula. Alla luce di ciò e nel dubbio, forse sarebbe stato auspicabile applicare il principio di precauzione anche perché sospenderle comporta – e ciò è intuitivo – la morte certa per mancanza di nutrimento ed idratazione.

Un ruolo decisivo svolgono i medici nel rapporto con i pazienti. Ovviamente i medici, che devono rispettare il Giuramento di Ippocrate, non possono compiere atti che attentino alla vita dei malati. Ora, la nuova legge sostiene che a fronte di precise richieste del paziente, il medico non ha obblighi professionali. Ciò non sembra tutelare del tutto il medico, per cui non sarebbe inopportuno richiamarsi all’obiezione di coscienza a fronte di ‘disposizioni’ in contrasto con scienza e coscienza del medico stesso. E’ vero che la legge prescrive che ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta applicazione di quanto previsto dalla medesima normativa; tuttavia occorrerà verificare come si comporteranno gli ospedali di ispirazione cattolica nell’eventualità di assecondare atti che possono avere come conseguenza la morte del malato. Vi è, come è noto, anche un risvolto concordatario in questa materia.

Alla luce di questi sintetici nodi problematici si comprende che molto resta ancora da fare soprattutto per la corretta applicazione di una legge indubbiamente delicata in un’epoca come la nostra dove, grazie alla medicina tecnologica, la vita e la morte sembrano viepiù nelle nostre mani, anche se non bisogna cedere al delirio di onnipotenza.  

Armando Savignano

 

 

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