Il bambino che è in me… il bambino dentro.

Il bambino che è in me… il bambino dentro.

 

 

 

 AUTORE: Luca Proli

La mia riflessione parte da una situazione che coinvolge quasi sempre il nostro operare all’interno dei consultori; quella della relazione d’aiuto. In tale relazione c’è un incontro tra due o più persone e quello che si viene a creare in questo incontro è proprio il frutto della scoperta e dell’accoglienza, che hanno come cuore l’ascolto.

 

 

Tale situazione si può paragonare anche all’incontro tra il bambino e l’adulto, situazione che accompagna sempre il nostro cammino di vita. Questa relazione è apparentemente di tipo verticale, ovvero potrebbe sembrare che il bambino sia totalmente dipendente dall’adulto, ma chi lavora con l’infanzia o ha a che fare anche semplicemente con i figli o nipoti, sa quanto lo scambio tra le parti sia reciproco e non sempre così sbilanciato. E’ questa reciprocità che ha stimolato le considerazioni contenute in questo breve lavoro che vuole limitare una tendenza molto diffusa che vede il bambino come parte passiva e l’adulto come condizione attiva e di guida. Ognuno di noi, infatti ha sicuramente a che fare con un bambino, anche se non ha figli nipoti o altri piccoli: il bambino siamo noi,  un bambino nascosto, piccolo o grande che sia. E’ una parte essenziale, influente, eppure estremamente celata e difficilmente percepibile, una parte che spesso viene vissuta dagli adulti con imbarazzo e vergogna, una parte che addirittura a volte vorremmo staccare da noi. Capita spesso nella vita di sentire durante i dialoghi tra persone adulte espressioni quali ”E’ come un bambino…”, “Non crescerà mai…”, “Non fare il bambino…” (quest’ultima espressione, per altro, è rivolta in tono di rimprovero anche ai bambini stessi). Queste modi di dire vogliono essere un po’ il punto di partenza di una riflessione che accompagnerà proprio, come dice il titolo di questo intervento che ho condiviso con Padre Luciano Cupia, la tematica del bambino che è in noi.

Questo bambino appare negli adulti spesso nascosto, a volte difficilmente percepibile mentre altre volte sembra essere estremamente evidente negli atteggiamenti e nei comportamenti. E’ un bambino certamente influente sia che sia visibile sia che sia celato e, per fortuna, non smetterà mai di farsi sentire. Chiunque per motivi professionali o per dote sa ascoltare bene una persona e riesce a guardarla con curiosità e stupore si accorgerà che quello che questa persona ci porta, nella relazione d’aiuto, non è solo il presente in quanto tale, ma potremmo dire che è il suo modo di vedere ed affrontare una certa situazione, facendo riferimento, anche in modo implicito, all’esperienza passata della sua vita. Questo è il bambino interno. E’ un bimbo fatto di storie, legami, esperienze, che a voltesi possono ricordare in modo nitido e altre volte no; comunque sia queste esperienze passate ci condizioneranno nella percezione del presente e nelle modalità che caratterizzano il nostro modo di affrontare la vita.  Per usare una metafora, ognuno di noi potrebbe immaginarsi come una della riva del mare sabbiosa, la costa è fatta di tanti strati, i più profondi sono statici, mentre il mare e il clima (gli eventi), modificano continuamente quelli più superficiali che possono mescolarsi e o stratificarsi, ma questa superficie così mobile e mutevole, si appoggia sempre a quella sottostante che non verrà mai persa, semmai sarà nascosta, senza di lei lo strato superficiale non avrebbe appoggio e sarebbe travolto da una vita che potrebbe apparire incomprensibile e complessa.

Per considerare il bambino che è in noi affronterò alcuni vettori che possono essere implicati in questa tematica. Sono tre quelli che mi piacerebbe sottolineare come centrali: la curiosità, lo stupore e la persistenza di stati psichici, una tematica che Joseph Sandler espresse con la teoria dell’inconscio passato e dell’inconscio presente.

Per quanto riguarda la curiosità e lo stupore, sappiamo bene come questi due atteggiamenti che riempiono la vita dei bambini, hanno una funzione fortemente evolutiva; i bambini sono finestre aperte sul mondo e ci guardano col desiderio di conoscere, la meraviglia che si genera in loro li fa essere molto plastici e fortemente recettivi, non si fermano alle conoscenze già apprese ma sono sempre alla ricerca di cose nuove.  Questi primi due vettori devono essere conservati o riscoperti in noi, e possono accompagnare il percorso della consulenza o della terapia, portando efficacia e sinergia anche nel dialogo e nell’ascolto, esprimendosi spesso in una dimensione di gioco terapeutico che Winnicott conosceva molto bene.

Per quanto riguarda il terzo vettore, potremmo dire che, secondo la teoria di Sandler, esistono degli stati psichici che si stratificano nell’arco della vita e sono comunque persistenti in noi. Tuttavia il nostro Io è attivo, per cui, nuovi modi di interpretare la vita e nuove esperienze esistenziali possono cambiare fortemente il nostro vissuto psichico precedente, inibendolo o bloccandolo, mai però in modo definitivo. Quest’ultimo vissuto è rappresentato anche dall’inconscio passato in cui, pulsioni e conflitti della prima infanzia, prima accettabili, ora non lo sono più; in tal modo l’Io trasforma questi sentimenti passati e queste pulsioni con delle nuove difese, che hanno la funzione di rendere tutto più tollerabile e sembrano allontanare il vecchio modo di funzionare, troppo frustrante e imbarazzante. Questo evidenzia come l’Io abbia un ruolo attivo anche rispetto a elementi che per natura sono inconsci. Potremmo immaginare che il nuovo padrone di casa, arrivato nella villa che ha acquistato, decide di chiudere in cantina il proprietario precedente, il quale, potrebbe un bel giorno, a seguito di particolari eventi aprire la serratura che lo teneva chiuso in quel luogo e manifestarsi di nuovo, magari arrabbiandosi anche un po’. Tale esempio spiega la dinamica della teoria del bambino interno: di fronte a certe situazioni specifiche, anche le nuove strutture del nostro Io non “tengono” più, la serratura si rompe, e in tal modo si possono ripresentare delle modalità di comportamenti e di vissuti interni che vengono denominati matrice e che si esprimono con comportamenti stereotipati e quasi automatici. Cosa fa dunque la matrice? Ci induce a comportarci con schemi rigidi e fortemente ripetitivi, secondo modalità “arcaiche” e istintive. Questo terzo vettore spiega molto bene alcuni comportamenti che possiamo vedere, stando ben attenti, anche nella vita di tutti i giorni, tuttavia interessa di più situazioni drammatiche o impegnative, che mettono a rischio il nostro sentimento di sicurezza, perché è proprio in questi casi che la matrice può attivarsi con più facilità, sarebbe nostro compito quello di conoscere meglio queste nostre modalità di funzionamento, al fine di poter diventare più amici con quegli aspetti precedentemente inaccettabili e quelle parti che sono immature, ridicole, angoscianti attraverso la scoperta di un clima di tolleranza verso tutto ciò che di noi è e rimane infantile. Questo clima se è ben compreso e internalizzato può veramente cambiare il modo di rapportarci con noi stessi e con le nostre parti più fragili, donandoci una certa serenità.

Ai primi due vettori se ne collega un altro che è quello dell’attenzione. Riscoprire questo importante atteggiamento ci aiuta a stimolare di più il nostro bambino interno, sarà lui allora ad aiutarci ad essere più aperti e attenti sul mondo e sugli altri. I piccoli vedono l’altro come specchio, pertanto possono conoscere e conoscersi allo stesso tempo; potremmo dire che il loro è uno sguardo doppio che guarda sia all’esterno che all’interno. I bambini sono sempre attenti, vivono di domande che si fanno tra di loro e che fanno agli adulti, aprono la loro vita al mondo che li circonda, sanno guardare ancora il cielo, e soprattutto possono attingere da quel serbatoio meraviglioso che è la fantasia. La fantasia può suggerire nuovi punti di vista, può essere un ottimo aiuto per affrontare e difendersi da alcune importanti difficoltà, può forzare ed aprire confini troppo stretti, far divertire, sognare e a volte può aiutare perfino a continuare a vivere. La fantasia può aprirci un’altra prospettiva di sguardo sull’esistenza e certamente è sorella della creatività, con tutte le risorse che si porta con sé.

E’ proprio la fantasia che apre un altro vettore importante che è quello del gioco. Il gioco è motore della crescita, nei primi decenni di vita è centrale per lo sviluppo sociale, fisico e psichico e potrei aggiungere che può esserlo anche nell’età adulta; si potrebbe dire che quando i giochi sono costruttivi sono sicuramente utili a qualsiasi età. Riferendosi ai pensieri di Vigotskij, Lurija e Piaget, si considera nel bambino il “gioco serio” quando quest’ultimo non distingue e non separa la situazione reale da quella immaginativa; vediamo allora che il rapporto che si crea tra reale e immaginario diventa preponderante proprio attraverso il gioco e una graduale integrazione con la realtà. Il gioco allora diventa laboratorio di realtà e di vissuto psichico che si incontrano proprio nel terreno della fantasia. Il nostro bambino interno è allora uno dei motori principali del rapporto, rispettivamente tra reale e immaginario e ideale dell’Io e Io ideale; l’ideale dell’ Io riguarda quello che noi vorremmo essere ed è fortemente inficiato dalla nostra sensibilità e dal mondo che ci circonda, mentre l’Io ideale ha a che fare con il nostro mondo interno (è uno stato perfetto in cui siamo in pace con tutto), e su come abbiamo costruito e introiettato le nostre figure principali di riferimento (gli oggetti interni). Questo ultimo concetto forse possiamo collegarlo a certi frequenti sentimenti di perfezione che accompagnano la primissima infanzia, periodo in cui, il mondo ideale interno dei bambini fa da padrone, ma che via via, viene destrutturato o rinforzato con il passare degli anni, portando gli adulti a districarsi rispettivamente tra narcisismo o autostima. Quanti adulti hanno ancora un bambino che piange, che non è stato riconosciuto o ascoltato, mentre altri si sentono sicuri e pieni di sé, fortificati da un energico senso di sicurezza.

Un altro vettore che possiamo riconoscere nel nostro cammino e che è stato introdotto da questi ultimi concetti è il sentimento di sicurezza, che potremmo definire come una sensazione che nasce come reazione alla scomparsa di un sensazione di controllo, di continuità, di tono dell’Io, e dalla mancanza della sensazione di organizzazione, e di benessere, insomma degli stati affettivi di base che ci angosciano e che possono attivare un sentimento di forte sofferenza. Questo sentimento di sicurezza, che porta sia i bambini che gli adulti ad attivarsi con una logica adattiva, al fine di ottenere una gratificazione, muove tutti gli individui e sostanzialmente si può dire che è considerato come l’opposto polare del dolore. Esso si collega al bisogno originario di essere accuditi, tenuti, riconosciuti, e costruisce nella nostra mente una specie di rappresentazione mentale di questo stato di benessere, la memoria di uno stato ideale da raggiungere, contrapposto alle perdite e alle incongruenze di altri stati dolorosi dell’essere. Tutta la vita è una continua partita tra queste due parti in cui a giocare sono dolore contro benessere e i nostri tentativi e i nostri scopi, sono quelli di far vincere la seconda squadra. Allora così come il bambino riesce a passare dalla centralità della mamma alla relazione più grande e complessa con gli altri bambini e il mondo, così anche noi adulti, continuamente mossi da questo bambino interno cerchiamo di acquisire nuovi equilibri e nuovi adattamenti usando rispettivamente fasi di assimilazione e poi di accomodamento, trovando un equilibrio, a volte stabile e a volte precario, che possa durare il più a lungo possibile.

Il settimo vettore riguarda i processi di individuazione e separazione, espressi nella teoria di Margaret Mahler, tutta la vita è percorsa nelle sue tappe dal susseguirsi di questi due processi che hanno a che fare rispettivamente con il raggiungimento di uno stato di benessere, di una relazione ideale, in cui ci identifichiamo e realizziamo, e con una successiva separazione da uno stato ideale del Sé, da una persona, da un lavoro, da uno status, ecc… che porta una sensazione che si potrebbe definire come “sentirsi perduti”; è proprio l’individuazione, che mostra come nella vita si creino ideali sempre più adeguati alla realtà e sempre più distanti da quelli infantili e di dipendenza. L’individuazione e la separazione diventano allora un importante aspetto adattivo dello sviluppo, che per altro, secondo una logica evolutiva potremmo dire che dura tutta la vita. In particolare l’individuazione sembra la risposta più adattiva al dolore psichico. Le nuove opportunità e le esperienze offrono ai bambini la possibilità di potersi staccare dai precedenti stati ideali e rinunciare all’attaccamento da queste condizioni, ciò consente ai piccoli di tendere al conseguimento del benessere offerto da nuovi ideali creati dal progresso verso una nuova fase evolutiva e dai processi di maturazione acquisiti. Se il bimbo avrà successo, si avvierà un processo di sviluppo continuativo, se invece avrà insuccesso ricercherà degli stati ideali che erano soddisfacenti nel passato attivando una regressione, con conseguenze normali o patologiche. Tutto questo è possibile osservarlo anche negli adulti i quali implicitamente si portano ancora dentro questo piacere o questo timore, sentimenti che via via li accompagnano per tutta la vita, delineando condizioni di autostima o forte disistima. Tutto questo però deve essere considerato tenendo conto anche di tutte le possibilità evolutive che, come evidenzia Erikson, possono riscattare e promuovere il cambiamento in ogni persona e in ogni stagione della vita. 

Per concludere vorrei citare il racconto “Brif, bruf, braf” tratto dal libro di Gianni Rodari, Le favole al telefono. In questo racconto due bambini giocano divertiti in un cortile ad inventare una lingua speciale per poter parlare tra di loro senza far capire nulla agli altri. In alto in due terrazzi stanno, uno di fronte all’altro una signora infastidita dai loro giochi “stupidi” e un vecchio divertito. “Come sono sciocchi quei bambini”, disse la signora. “io non trovo “ aggiunse il signore… e lei controbatte: ”non mi verrà a dire che ha capito quello che stanno dicendo!”. Il vecchio risponde: ”Certamente, uno ha detto “che bella giornata” e l’altro ha risposto ”domani sarà ancora più bello”. I bambini riprendono il loro gioco sempre più divertiti e il vecchio buon signore di nuovo traduce alla signora infastidita ciò che hanno detto: che sono contenti di vivere e che il mondo è bello. La signora seccata chiede al signore se davvero è così e lui solerte risponde: “Brif, bruf , braf!”.

I bambini con la loro plasticità, il loro ottimismo e la leggerezza (calviniana), ci insegnano continuamente che la vita è un gioco e spetta a noi adulti fronteggiarla in modo positivo, usando il nostro sapere, la nostra memoria, la conoscenza e l’esperienza ma anche quella delicatezza, quello stupore , quella meraviglia, che potrebbe ricolorare fortemente la nostra vita. Allora può essere importante non solo regalare un palloncino ma magari legarlo al dito e farci un giro… per vedere tutti insieme l’effetto che fa… proprio come quel vecchio buon signore. 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia:

 

 

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Rodari G. 1993), Favole al telefono, Trieste, Edizioni EL.

Sandler J. (1980), La ricerca in psicoanalisi Vol. I, Torino, Bollati Boringhieri.

Sandler J. (1989), The id – or the child within? In dimensions of Psychoanalysis, Londra, Karnak Books.

Sandler J. e Joffe W.G. (1967),  The tendency to persistence in psychological function and development with special reference to fixation and regression in Bulletin of the Menninger Clinic. n. 31, p. 257–271.

Vygotskij Lev S. (1930), Immaginazione e creatività nell’età infantile, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1977

Vygotskij Lev S., Lurija A.R. (1930), La scimmia, l’uomo primitivo, il bambino. Studi sulla storia del comportamento, trad. it., Giunti Barbera, Firenze 1987.

Winnicott D. (1970), Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando editore.

Winnicott D. W. (1965), The family and individual development, London Tavistock pubblication, trad. It. La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Roma, Armando editore, 1994.

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