I messaggi del bambino alla propria madre

I messaggi figlio – madre

Se sono numerosi i messaggi materni lo sono altrettanto, anche se qualitativamente diversi, i messaggi inviati dal neonato affinché la madre capisca i suoi stadi d’animo: il piacere, l’interesse, la gioia, o al contrario l’angoscia, la rabbia, il disgusto, la paura, la sorpresa.

Sono messaggi visivi del neonato: le espressioni facciali, il colore della pelle, le posture che assume il bambino, i movimenti degli arti.

Sono messaggi uditivi:i mugolii, il pianto, anzi i vari tipi di pianto, i vocalizzi. Per Spiegel (in Arieti, 1970, p. 2116)

‹‹Nelle due prime settimane di vita le sue emissioni vocali non sono correlate in modo riconoscibile con la situazione o con gli stimoli. Tra la seconda e la quinta settimana suoni particolari vengono a corrispondere a disagi particolari e vengono compresi come segni.[…] Nel periodo successivo alla prima infanzia (dai due ai quattro mesi), il bambino si fa più attivo nella comunicazione, e vi partecipa maggiormente sia come ricevente che come emittente››.[1]

Sono messaggi tattili: la temperatura della sua pelle, l’umidità e la consistenza della cute.

Sono messaggi odoriferi: l’odore del corpo, del sudore, dell’aria espirata.

È necessario allora che la madre, o chi ha cura del bambino, abbia la possibilità e la capacità di interpretare questi vari tipi di messaggi, dando ad ognuno di essi il significato più appropriato.

Mediante questi vari tipi di comunicazione i lattanti non solo fanno conoscere alle madri i loro bisogni ma inviano ad esse anche delle ricompense per quanto si adoperano. Queste ricompense sono fatte di sorrisi, toccamenti, smorfiette, che comunicano alla madre: ‹‹Sei stata brava. Mi hai capito. Hai posto rimedio al mio bisogno, al mio fastidio. Grazie per esserti subito attivata!››. Tali ricompense, gratificando la madre, a sua volta, sono in grado di migliorare l’attaccamento di questa verso il piccolo, attivandola maggiormente ai suoi compiti di cura. ‹‹In un senso biologico fondamentale, non è vero che l’infante si espande a spese della madre, tranne che in condizioni anormali. Possediamo solide prove per dimostrare che, in condizioni normali, il benessere della madre e quello del bambino sono tutt’uno. Ciò che è bene per il bambino lo è per la madre e viceversa›› (Ackerman, 1970, p. 102).[2]

Al contrario questi messaggi possono trasmettere rabbia, collera, insoddisfazione, disappunto per le scarse capacità o per il modesto impegno dimostrato dalla madre nei suoi confronti. In questi casi la frustrazione che ne ha la donna può portare, se da questa non è ben compresa e utilizzata per migliorarsi, ad un maggior distacco affettivo nei confronti del bambino ma anche a giudizi negativi su di lui: ‹‹Questo bambino mi ha stufato, è cattivo e quindi non si merita molte attenzioni e cure da parte mia››. Si può allora innescare un pericoloso circolo vizioso, con conseguente grave sofferenza per entrambi.

Per la madre, avere buone capacità nella comunicazione implica, quindi, saper ascoltare e capire i bisogni del figlio espressi dai suoi segnali, per poi adeguarsi alle sue esigenze fornendo risposte corrette, coerenti e valide. Ma significa anche saper godere e sentirsi pienamente soddisfatta dei messaggi positivi inviati a lei dal suo piccolo.

Gli effetti di una buona e corretta comunicazione madre-figlio portano all’apertura e all’accettazione di un luogo al di fuori di lui e quindi all’apertura al mondo esterno, con l’integrazione tra la realtà esterna ed interna (Winnicott,1987, p.18).[3] Il bambino assimila la realtà esterna trasformandola, se può, secondo i suoi schemi. Egli tenta di modificare se stesso per assecondare la realtà esterna e di modificare la realtà esterna per adattarla a sé.

Il cucciolo d’uomo allora riesce a distinguere il dall’altro, dall’esterno, e può costruire una membrana delimitante, così da poter dire: ‹‹Io sono››. Contemporaneamente, dopo aver acquisito una sua individualità, può veramente far parte di un gruppo. Successivamente, all’interno di questo possono essere raccolte memorie ed esperienze e può essere edificata la struttura infinitamente complessa che è propria dell’Io dell’essere umano, con i suoi numerosi bisogni fisiologici e psicologici. Al contrario, si procura una notevole sofferenza al bambino quando, a causa di errate interpretazioni o di pigrizia e scarsa disponibilità ed impegno, vengono a lui fornite delle risposte non corrispondenti ai suoi bisogni, incomplete o parziali. In questi casi si può avere una sorta di scollamento tra la madre ed il bambino stesso, con notevoli conseguenze sul piano dell’attaccamento reciproco.


[1] R. SPIEGEL, La comunicazione nei disturbi psichiatrici, in Manuale di psichiatria, a cura di S. ARIETI, Torino, Boringhieri, 1970, p 2116.

[2] N.W. ACKERMAN, Psicodinamica della vita familiare, Op. cit., p.102.

[3] D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Op. cit., p 18.

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