UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Dono e speranza:
rigenerare legami familiari
CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO CONSULTORIO LA CASA – Collegio De Filippi – Varese
Le famiglie fragili. La risorsa della mediazione familiare e del Gruppo di parola
di Costanza Marzotto, mediatrice familiare, responsabile per la formazione del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, docente Università Cattolica, Milano
8 ottobre 2016
La genesi dell’intervento
Nel preparare i materiali per incontrare voi quest’oggi ho riletto alcune trascrizioni degli incontri di mediazione avvenuti in questi dieci anni che pratico come mediatrice familiare in via Nirone 15 a Milano, ho riletto alcuni elaborati dei mediatori formati all’interno del master dell’UC dove miriamo alla loro “trasfigurazione” e ho recuperato alcune lettere dei gruppi di figli di separati tra i 6 e 12 anni o adolescenti e i messaggi dei loro genitori, che hanno avuto fiducia in questa risorsa per essere aiutati/accompagnati in questo difficile passaggio della vita.
Non so se si tratti di famiglie fragili – come dice il titolo del mio intervento e le definisce il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia 201472015 – o se non ci convenga piuttosto parlare di legami familiari complessi che in questa transizione del divorzio (inteso sia come separazione di coppie di fatto o sposate) si frammentano, si sfilacciano, … In un mio testo del 2010 il paradosso della mediazione familiare, ho provato a documentare come le coppie che si separano iniziano un periodo della vita che per molti aspetti è il più collaborativo: a fronte di coppie genitoriali che al proprio interno si erano arrangiati nella distribuzione dei ruoli, dopo la uscita di casa di uno dei due, iniziano – calendario alla mano – a stare molto di più con i figli, ad occuparsi di loro, e scoprono un sacco di cose che prima forse ignoravano perché di questo se ne occupava l’alto . Se è vera la teoria per i cui “i legami sono eterni” – nel caso del divorzio abbiamo proprio una dimostrazione vitale di questa perennità (v. Cigoli, Psicologia della separazione e del divorzio, il Mulino ristampa 2017).
I parte
Ecco allora che a partire dagli anni 70 del secolo scorso in Inghilterra (v. Parkinson Erickson 2013, e Marzotto 2003, la storia della MF) e negli USA e nel mondo – gli attori coinvolti nel processo di separazione (operatori psico sociali avvocati, giudici, genitori) hanno “importato” nel percorso di separazione la filosofia del win win , ovvero quella che chiamiamo la “negoziazione ragionata”. È del 1998 (R. 98) l’esortazione del Consiglio d’Europa agli stati membri – affinché promuovano e rinforzino la mediazione familiare, ovvero nella propria legislazione una regolamentazione alternativa (degiuridizzazione) dei conflitti matrimoniali.
Ma quando il nostro Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia ha iniziato a proporre itinerari di formazione e ad offrire questa risorsa nei servizi per la famiglia (1994/96) il focus dell’interesse non era tanto sulla trasmissione di tecniche negoziali – utili ma non sufficienti – bensì sulla cura dei legami.
Il modello antropologico “relazionale simbolico” come cornice di senso di questa pratica di 8/10 incontri di un’ora e mezza con i due genitori a distanza quindicinale per la costruzione di accordi buoni per loro e i loro figli – nelle diverse fasi del processo di separazione (prima dell’udienza in tribunale, durante la separazione 2
giudiziale, o dopo il divorzio (v. Marzotto, Tamanza, Gennari, 2006; ricerca Tamanza Allegri, Lucardi, nel volume UTET 2014) ci ha fornito qualità e peculiarità metodologiche assai importanti:
A. PREGIUDIZIO POSITIVO (v. studi interdisciplinari sulla famiglia, 2004) Il presupposto è che i genitori sono arrabbiati, delusi, rancorosi ma non patologici, anzi in MF è per loro possibile riprendere nelle proprie mani il potere decisionale, recuperare i valori educativi condivisi che hanno fatto loro decidere pochi anni prima di mettere al mondo un figlio, di comperare una casa, di scegliere un tipo di scuola, ecc.
B. RITUALITA’ – PASSAGGIO – PONTE in occasione del recente seminario in via Freguglia a Milano il 21 settembre con oltre 400 presenze tra avvocati e mediatori, si è a lungo approfondito il motivo per cui conviene ai genitori dedicare energie allo smatrimonio (Thiéry, 2000): il bisogno per adulti e minori di un tempo e un luogo in cui parlare di questi cambiamenti della vita quotidiana senza “agire” soltanto il dolore e la delusione per un progetto fallito, è profondo. Da qui la cura con cui accogliamo le coppie cercando di restare imparziali, di non cadere nelle trappole dello schieramento con la vittima o il carnefice, ma prendendo in carico la cura del legame affinché il corpo famiglia possa transitare da un una parte all’altra del ponte con l’aiuto di un terzo (rappresentante della comunità), da loro scelto volontariamente, che manterrà la riservatezza sui contenuti emersi nella stanza della mediazione, e che aiuterà alla redazione di accordi buoni per il papà, i nonni, la mamma, i figli e la comunità.
C. COME INSIEME CI SI LEGA COSÌ INSIEME CI SI SLEGA
Senza entrare nel dettaglio del processo di mediazione con le sue scansioni e ritualità, l’oggetto degli accordi nel nostro lavoro con le coppie, sposate o no, con o senza figli, hanno come oggetto prevalentemente il progetto educativo per i figli (grazie anche alla riforma del 2006 che prevede un affidamento condiviso dei figli, e la collocazione in una residenza principale) ; per molti vi è anche la preoccupazione di gestire le risorse economiche che come sappiamo diminuiscono, ma la mediazione è un tempo e uno spazio in cui è possibile riannodare la storia della famiglia, ricordare/evocare/nominare le famiglie d’origine, la stirpe materna e paterna, che hanno assitito/ostacolato/supportato la scelta della coppia. Con l’utilizzo di strumenti grafico simbolici propri del modello Relazionale Simbolico – ai genitori è offerto un ascolto rivolto al recupero delle rispettive competenze di genere e generative; è offerto uno spazio clinico non terapeutico per mettere parola sul come mai siamo qui oggi a litigare sui nostri beni (figli e patrimonio) per individuare insieme un domani possibile. Ricordare quando , come e perché lui e lei si sono scelti, e accedere alla dimensione più segreta del patto di coppia a fronte della rottura/dissolvimento/ fine dell’accordo esplicito è una peculiarità della mediazione trasformativa, nel senso che non butta via il bambino con l’acqua del bagno, ma mira a valorizzare le risorse della coppia, della famiglia in senso ampio affinché questa doloroso sa transizione sia possibile. Come dirlo a Francesco, che ha 4 anni, come comunicarle la decisione ai mie genitori che ci avevano aiutato economicamente a comperare la casa, lo diciamo alle maestre della nuova scuola che siamo separati? Sono alcuni dei temi messi in agenda dalle coppie all’inizio del percorso e sui quali loro, con una presenza terza qualificata, ma non giudicante, troveranno degli accordi.
Quello che abbiamo riscontrato è che coloro che hanno partecipato a questo percorso ne danno una parer particolarmente positivo perché a volte hanno iniziato sentendosi in colpa e hanno concluso con maggior fiducia in se stessi e nel partner. La scadenza quindicinale è finalizzata a far si che nel tempo in mezzo l’accordo preso anche parziale, sia sperimentato, sia praticato e possa così diventare oggetto del ricorso in tribunale con l’assistenza dell’avvocato. 3
Un termine per noi ricorrente è “dipanare le questioni, che non vuol dire che il conflitto si annulla, ma se ne contengono le dimensioni distruttive, ma come sappiamo cum-fligere è una forma di legame”. Il modo di procedere del mediatore è quello di permetter la nominazione dei bisogni sottostanti le posizioni – perché sembra paradossale, ma spesso anche prese di posizione radicali coprono un bisogno di riconoscimento che tra genitori non si danno e pertanto “non si può fare il genitore senza le parole dell’altro”. E questo è un bisogno condiviso anche dai più litigiosi dei partner.
II parte.
Dopo una diffusione della mediazione nelle città italiane a partire dalla fine degli anni novanta (la fondazione della Simef è avvenuta nel 1995, a Roma con Irene Bernardini recentemente mancata, Fulvio Scaparro, Ritagrazia Ardone, Marisa Malagoli Togliatti e la sottoscritta) ci si è resi conto che raramente i figli entravano nella stanza della mediazione e che questo era un luogo di lavoro per “ i grandi”, che la presenza dei minori richiedeva una competenza molto particolare nell’operatore affinché non si accumulasse dolore a dolore, e nel 2000 quando conobbi un gruppo di ragazzi a Montreal in Canada, che avevano partecipato ad un gruppo a loro dedicato per parlare della separazione dei genitori, mi appassionai e con i colleghi del Centro famiglia – facemmo una formazione apposita per autorizzarci a condurre quelli che chiamammo i Gruppi di parola (copywrith depositato nel 2013) .
Rimandando ai due volumi da noi curati per un approfondimento del metodo e degli strumenti utilizzati, mi soffermo qui oggi per condividere con voi le tematiche ricorrenti nei dialogo tra genitori e conduttori, tra conduttori e gruppo dei figli e gruppo dei genitori.
Facciamo qui riferimento ad un dispositivo in cui la fiducia, la speranza, l’alleanza messa in circolo tra gli adulti, porta i bambini all’interno del gruppo – dove per 4 incontri di due ore ciascuno a scadenza settimanale, questi si trovano e condividono fatiche e strategie di fronteggiamento rispetto alla transizione critica della propria famiglia.
Il tempo di lavoro è relativamente breve, ma gli effetti sono straordinari. Fin dai primi momenti i partecipanti “stanno sul pezzo” (perché siamo qui ? per parlare dei nostri genitori che sono divorziati! Rispondono partecipanti nei primi dieci minuti del primo incontro interpellati dai conduttori, seduti in cerchio sui cuscini ) e sono garantiti della riservatezza rispetto ai contenuti emergenti. Non si tratta di un osservatorio /audizione/ test – in cui quanto il minore dirà, arriverà poi alle orecchie dei genitori o dei giudici , facendo soffrire ulteriormente la mamma perché io vado volentieri da papà e la sua fidanzata mi sta anche simpatica… il conduttore in apertura comunica questa regola che “alleggerisce” i partecipanti.
Il gruppo lavora a redigere una LETTERA GRUPPALE per il gruppo dei genitori che saranno invitati al quarto incontro nella seconda ora. Questo testo verrà letto da loro stessi agli adulti presenti facendo ben attenzione che il testo “resti anonimo”… ovvero che il singolo sia protetto dal gruppo. I contenuti – che come vedremo sono affettuosi, ma a volte anche duri – arrivano da un gruppo ad un altro gruppo, e i singoli vi si riconoscono a seconda delle proprie fantasie, del proprio immaginario. A questa letterona scritta sulla lavagna a fogli mobili gli adulti presenti (e la percentuale di presenze di padri e madri separati anche con alta conflittualità è del 98%) scrivono a loro volta un messaggio al gruppo e questo biglietto anonimo viene letto dal conduttore a tutti i partecipanti, facendo pervenire olio sulle ferite del cuore e della mente. 4
Successivamente a ciascuna coppia di genitori è offerta poi la possibilità di un incontro individuale con i conduttori, in cui riannodare l’alleanza tra adulti, in cui valorizzare le loro competenze, individuare insieme eventuali ulteriori spazi di genitorialità con il proprio figlio, per aiutarlo a crescere, per informarlo sugli sviluppi futuri, per alleggerirlo del senso di colpa o della responsabilità di lasciare la mamma da sola al we., per cambiare qualcosa nella sua vita quotidiana – anche a fronte dei contenuti emersi nella lettera del gruppo (ad esempio fatica per la presenza dei figli del nuovo partner sempre in casa al fine settimana quando vengo io !).
Per concludere
Perché è così difficile costruire il gruppo? Sui primi 20 gruppi realizzati in Lombardia e Trentino nel 2005 abbiamo costruito il primo volume, e oggi sono molti di più, però ancora pochi rispetto alla numerosità delle separazioni e alla presenza di figli minori (73,3% delle coppie separate e 66,2% delle coppie divorziate, hanno figli minori di 18 anni, Istat, 2013). Potremmo affermare che questa resta ancora un’ esperienza di nicchia laddove invece a nostro parere è un intervento dalla forte dimensione “preventiva”. Averne potuto parlare “allora”, evita di tenere nascosti sentimenti dolorosi che poi riemergono “ora” da grandi.
Alcuni genitori pensano che i figli si contagino, che tutto va bene, che l’adattamento è perfetto/stabilizzato e soprattutto “non svegliamo il can che dorme”: le ricerche ci dicono che chi non ha sufficientemente elaborato il lutto (si intende un processo fatto di lacrime, tempi di fatica, conversazioni con persone di fiducia, parole e gesti messi appositamente sull’argomento… ) per la separazione propria e dei propri genitori – ha grosse difficoltà a fare una sua famiglia, a fare il genitore a sua volta (Amato e James, 2010) . Alcune ricerche (v. Tesi di dottorato C. Fusar Poli, 2013) hanno segnalato che i bambini che partecipano ad gruppo di parola aumentano la propria autostima… ma qualcuno diventa anche più triste e agitato: certamente il cucciolo si è svegliato , ha tirato su la testa e ha fatto sapere che la separazione tra mamma e papà è per lui molto faticosa, spera che si riconcilino, ma chiede insistentemente continuità di relazione, continuità di affetto, continuità nell’accesso alle due stirpi, alla casa dei nonni di Varese e a quelli di Gallarate, e chiede di poter sapere che fine farà nelle vacanze di Natale: altrimenti le questioni su cui non mi sono date informazioni vanno ad ingombrare la mia testa e quando la maestra detta in classe, io non la riesco a sentire. E’ come se avessi il cuore e la mente ingombrata dal dubbio se è colpa mia che papà è andato via da casa, o la mamma piange alla sera!
I bambini sanno, titola un bellissimo film di Veltroni (2015) ed effettivamente oggetto della mediazione e del lavoro di gruppo (anche con genitori separati di cui non abbiamo parlato oggi ma che sono proposti in molti contesti italiani) è l’informativa, come dire, come far sapere senza ferire senza togliere la fiducia e la speranza, nutrimento dell’essere umano. Come far circolare nel corpo familiare un sapere saggio che non sposti i figli al posto del partner o addirittura parentificando i ragazzi verso i genitori, ma al tempo stesso come transitare al di là del dolore senza banalizzare la separazione, ma permettendo la cura dei legami familiari, diffondendo nella nostra comunità di Varese ed italiana, quello che Fincham chiama “forgiveness” , la capacità di perdonare (che non vuol dire fare come se la cosa non fosse esistita, mettere una pietra sopra!) ma riconoscere in quanto è avvenuto le rispettive responsabilità e prendere accordi buoni per tutti.
Il pensiero sottostante a queste due risorse per l’accompagnamento della transizione critica del divorzio è la ricerca di un senso e la cura dell’oggetto terzo che sono i legami familiari, oggetti preziosi del corpo familiare, costruiti da un uomo e una donna al di là e al di sopra delle caratteristiche personali. Si parla 5
infatti di eccedenza del famigliare. Di un qualcosa che si trasmette tra le generazioni al di là delle competenze specifiche di ciascuno.
Perché solo il 12 % delle coppie che si separano utilizzano la mediazione familiare?
A questa domanda abbiamo cercato di rispondere in dialogo con Magistrati ed avvocati, direttori spirituali, psicoterapeuti, in diverse occasioni. In particolare ricordo quanto ci disse l’amica e maestra Lisa Parkinson nel 2014, “le coppie in crisi entrano dalla porta principale dell’edificio, ma non sanno se è per loro utile recarsi al II paino o nella stanza di sinistra al terreno”. Questo a dire che in Centro “per la famiglia” è un luogo in cui è possibile dire del proprio disagio ed essere aiutati ad individuare il luogo buono per questa famiglia, oggi . la concezione di un ”servizio su misura”, e non di un mercato in cui le prestazioni sono pre-definite in base a quello che c’è di disponibile, è una logica fondamentale per valorizzare le competenze familiari. Vediamo alcune delle forme di resistenza alla mediazione familiare (da parte degli attori, genitori, avvocati e società) :
A. da una parte si pensa che la mediazione serva a riconciliarsi e non a prendere accordi, e questa chiarezza è da fare (ad esempio in occasione dell’avvio della negoziazione assistita da parte dei legali delle parti) .
B. qualcuno teme di non essere difeso nei propri diritti e questa chiarezza va fatta da parte dei vari professionisti, sempre che si abbia chiaro in mente che i legami si costruiscono in due.
C. Per molti mettere parole sui mali, mettre des mots sur les maux è davvero un’impresa impossibile e la delega ad un avvocato è sentita come più rassicurante, leggera, salvo poi chiamare lo studio e mandare un messaggio alla domenica sera quando il papà tarda a riaccompagnare il bambino e la mamma è in tutti gli stati…
D. a volte si evita la mediazione perché le famiglie d’origine sono felici che finalmente lui si sia tolto di mezzo ( rischio di endogamia).
E. A volte è meglio …
Teniamo presente che quello che maggiormente ci dicono i figli dei separati è il loro bisogno di veder dialogare gli adulti “su di loro” sapere di essere al centro dei loro pensieri, non essere oscurati dal litigio “tra loro”. Come diceva Papa Francesco in Georgia la settimana scorsa, “Chi paga le spese del divorzio? Due persone. Ma paga Dio, perché quando si divorzia una sola immagine si sporca, paga Dio. E pagano i figli. Voi noi sapete quanto soffrono i bambini quando vedono le liti e la separazione dei genitori”. E ha concluso: “Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio“.
Mi permetto da mediatrice che lavora con genitori per i quali la scelta della separazione è stata presa dopo lunga meditazione e fatica (la decisione viene presa almeno dopo 2 anni da parte dell’iniziatore), di concludere così : si deve fare di tutto per la cura dei legami familiari, al di là degli attacchi che fanno i media, la società ma anche alcuni genitori che sono cambiati nel corso degli anni , non vanno più d’accordo con colui con il quale hanno messo al mondo il bambino, ma che fanno fatica a ricordare che resteranno sempre legati dalla comune responsabilità verso i figli.
I figli patiscono la separazione perché non sono più visti, non possono essere più ascoltati da papà e mamma che in ogni parola riportata dal figlio , vedono e riconoscono l’indottrinamento dell’altro. La società ha depenalizzato il divorzio, anzi in alcuni ambiti è quasi una qualità, ma i figli – attori a pieno titolo nella baruffa – fanno molta fatica e vogliono continuare a voler bene sia al papà che alla mamma, anche se dopo la separazione lui ha fatto la scelta di andare a convivere con un altro uomo. Queste sono le nuove frontiere, ma di questo parleremo un’altra volta.