Diario di una donna resiliente. Katiuscia Tarabella

          È sostanzialmente un diario lo scritto che stiamo prendendo in visione, il diario di una persona, Katiuscia, che, nata negli anni settanta del secolo scorso, ripercorre la sua vicenda umana fino a pochi anni fa, quando decide di mettere sulla carta la sua esperienza. Non è la penna di un’abile scrittrice che stiamo analizzando, non troviamo elucubrazioni mentali né profondi discorsi filosofici ma percepiamo le reazioni immediate e senza filtri di chi si incontra in giovane età con malattie importanti. Così, mentre frequenta la quinta elementare, arriva a ciel sereno la diagnosi di diabete mellito, che costringe una bambina ad imparare a rinunciare a tanti cibi di cui a quell’età ognuno è goloso, e a farsi in modo autonomo le iniezioni di insulina e, ancor più, a capire se stessero sopraggiungendo crisi ipoglicemiche.

Terribili e pericolosissime le ipoglicemie soprattutto notturne, che ti sorprendono impreparato e possono farti precipitare nel coma. 

          Contemporaneamente Katiuscia non trova nell’ambito familiare piena solidarietà; mentre infatti la madre è onnipresente, il padre è pressoché inesistente, non accompagna mai la figlia nemmeno ai controlli ospedalieri a Pisa e la mamma non ha la patente! In casa il clima è sempre molto teso e ciò è dovuto in gran parte all’abuso di alcool da parte del padre con continue liti ed anche episodi di violenza. In questo contesto è comprensibilissimo che Katiuscia non abbia accettato per anni la malattia e spesso non abbia seguito la dieta.  Per fortuna in seguito la madre riuscirà a prendere la patente e così potrà accompagnare la figlia ai vari controlli ospedalieri. Ma il diabete è un compagno che non ti lascia e col tempo ti costringe a malavoglia a passare dal rifiuto a

La storia non finisce qui. Poiché, quando la pioggia dura a lungo, capita sempre che piove sul bagnato, una nuova malattia si profila all’orizzonte temporale di Katiuscia. I piedi cominciano a presentarsi con la pianta cava e si abbinano a debolezza muscolare agli arti inferiori: neuropatia diabetica? (la ragazza come ogni paziente attento usa la corretta terminologia medica). Giro di visite specialistiche, con l’assistenza della madre e di una nuova figura affettiva, il fidanzato (che poi diventerà suo marito). Dapprima si affaccia l’ipotesi diagnostica di una distrofia muscolare (le distrofie muscolari hanno cause genetiche che conducono alla degenerazione della membrana che avvolge le fibre muscolari, per cui queste muoiono). Col tempo però, proprio attraverso l’esame del DNA, si arriva alla diagnosi definitiva di malattia di Charcot Marie Tooth (CMT), che fondamentalmente è una neuropatia periferica cioè una alterazione dei nervi periferici, che porta solo secondariamente alla morte dei muscoli innervati da tali nervi. Più spesso i nervi si alterano in relazione ad una proteina presente nella mielina, una sorta di guaina che riveste il nervo e che permette la conduzione dell’impulso lungo il nervo stesso. Per la CMT la trasmissione è ereditaria ma nel caso di Katiuscia, dato che tutti i familiari sono geneticamente negativi, la mutazione è cominciata proprio da lei.  

             Possiamo immaginare con quale termine Katiuscia definisca ironicamente la propria fortuna! Ad una prima amica quindi, il diabete, si affaccia alla ribalta una nuova compagna di viaggio, progressiva e debilitante. Katiuscia si sente come un’aliena, diversa dagli altri, interrompe gli studi, prova vergogna a camminare in mezzo ai coetanei, offre al fidanzato la libertà di andarsene, avverte una solitudine profonda.  Il fidanzato però con un nobile gesto di amore, propone alla ragazza, che aveva allora 22 anni, il matrimonio. Il futuro marito sapeva di dover convivere anche con le due amiche inseparabili della moglie, il diabete e la CMT. Amiche forse è un termine eccessivo, specie per la CMT, perché Katiuscia le ha sempre rifiutate, non le ha scelte, si erano intrufolate nella sua vita e avevano messo le radici, occupando uno spazio che diventava sempre più grande. Lei definisce la CMT come una cara e odiata compagna di vita.

         Una compagna da combattere ogni giorno ma con cui alla fine dover convivere. Non ci si può disfare della propria ombra! Che amarezza inoltre in questo periodo confrontarsi con medici che non conoscono l’empatia! La malattia progredisce e dopo aver ridotto la forza agli arti inferiori, così da dover utilizzare delle molle speciali per tenere sollevata nel cammino la punta dei piedi, si fa sentire anche agli arti superiori, limitando notevolmente l’autonomia di Katiuscia.

Un passo doveroso è quello di rinunciare alla patente. Altre scelte erano già state fatte, affettivamente più coinvolgenti, come quella di rinunciare ad avere figli, dato il 50% di possibilità di generare una persona affetta da CMT.                                                         

        Una luce però si stava accendendoin questo cammino faticoso. È la scoperta casuale, navigando con un pc a lei regalato, di una associazione di persone affette da CMT. I due fondatori erano malati di CMT.

          L’emozione del primo congresso, la condivisione della propria situazione, delle gioie e dei dolori, proiettano Katiuscia in una nuova vita, dove non c’è solitudine, dove puoi parlare senza essere frainteso, esprimere rabbia, delusione ma anche felicità. L’aliena ha trovato finalmente una seconda casa, al di fuori di quella protettiva domestica del marito e della mamma. Può uscire senza vergognarsi, sa che anche fuori può trovare amici, emozioni, sorrisi e lacrime, una nuova famiglia in definitiva, come ama dire lei.   È evidente però che in quegli anni la compagna di vita non stava ferma, allargava lo spazio delle sue tende, cercava di vincere nuove battaglie senza però riuscire mai a domare il carattere fiero di Katiuscia. I latini, aggiungo io, recitavano il motto “Mi spezzerò ma non mi piegherò”, e questo vale per Katiuscia. Ù

          Ma può valere anche la locuzione opposta, come diceva Sant’Agostino: “Pieghiamoci docilmente per non spezzarci”, cioè accettiamo con flessibilità anche ciò che ci piega per non arrivare a spezzarci. È praticamente il concetto di resilienza, di cui senza dubbio Katiuscia è dotata.  Un nuovo ultimo evento accade a Katiuscia: una caduta in casa con frattura di entrambe le rotule.

          Un calvario di mesi dapprima per lo svuotamento di un versamento articolare ad entrambe le ginocchia, poi la confezione di un gesso per ogni arto inferiore per bloccare le ginocchia, poi la sostituzione per fortuna dei gessi con due tutori meno rigidi, da ultimo l’inizio della fisioterapia con l’obiettivo di tornare ad essere autonoma nel cammino. Questa volta sia l’ortopedico che il fisioterapista si dimostrano all’altezza del loro ruolo, che è quello non tanto del curare quanto del prendersi cura del malato.

            In più c’è il conforto dell’associazione dei malati di CMT, che media nel conflitto sempre aperto tra Katiuscia e la sua compagna e amica-nemica malattia. Così alla fine in modo graduale riprende il cammino autonomo. E allora la mente riporta alla memoria sia le dure battaglie contro le malattie e contro le incomprensioni del padre e di chi malato non è e non sa dove abita l’empatia e la condivisione, sia la scoperta di nuove relazioni positive tra professionisti della salute e volontari. Una nuova linfa vitale pervade Katiuscia, trova la forza di continuare a lottare contro le malattie, a convivere con loro pur senza accettarle. Ma trova anche il coraggio di uscire dai confini delle mura domestiche o degli ambulatori medici o delle associazioni di volontariato per viaggiare e fare vacanze. Sono cose a dire il vero normali per i comuni mortali ma a lei in precedenza negate o per senso di estraneità al mondo esterno o per pregiudizi o per l’oppressione dei malanni fisici. Il ricordo va alle vacanze sul lago di Garda, sule spiagge immacolate dell’Egitto, a Peschici nel Gargano. E che dire di quel viaggio stupendo sulle montagne del Trentino-Alto Adige con una vecchia compagna di penna, un’amica conosciuta tanti anni prima per corrispondenza e con cui aveva tenuto per molto tempo contatti epistolari fini ad incontrarla di persona ad Alberobello e a decidere con lei il soggiorno sulle dolomiti. Ultimo ma non ultimo non dimentichiamo che Katiuscia è anche un’abile pittrice e non ha mai smesso di dipingere.

          Per Katiuscia nuove compagne di viaggio, più leggere e confortanti, sono quindi andate ad unirsi alle due precedenti, più pesanti ed invalidanti, rimpinguando la comitiva. E il viaggio continua, continua e nuove compagne ancora arriveranno. Vi ricordate l’episodio di quel bellissimo film “Forrest Gump”, in cui Forrest comincia a correre e viene seguito prima da pochi, poi da tanti e infine da una moltitudine di persone? Così è la vita di tutti noi, con miriadi di situazioni che ci accompagnano, alcune ci fanno disperare, altre sorridere, atre vedere l’inferno, altre ancora toccare il cielo con un dito.  Il viaggio umano di Katiuscia si mescola di volti e di malattie, ora sopite, ora conclamate.  E’ degli ultimi anni un intervento ai piedi per allungare i tendini di Achille con beneficio limitato nel temposenza dimenticare della necessità di aiutare la respirazione notturna con un ventilatore meccanico non invasivo, al fine di migliorare l’espansione dei polmoni e di concerto la quantità di ossigeno presente nei polmoni e nel sangue.

Ma Katiuscia non si scoraggia e il suo carattere indomito la spinge a combattere ogni giorno per vivere la propria vita senza esserne vissuta.

Non cerca compassione, ma normalità.

Il libro: Katiuscia Tarabella, Io e te, unite per sempre, 2022. Euro 10,00

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Alberto Zanoni

Medico Geriatra

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