UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
La comunicazione non produce automaticamente la comprensione. Di ciò ne siamo consapevoli anche noi adulti. Molte volte, parlando con il coniuge o con un caro amico, diciamo la fatidica frase: ‹‹Non mi hai capito››. Eppure il nostro maturo e ricco linguaggio di adulti dovrebbe essere estremamente chiaro per il ricevente!
La decodifica corretta dei messaggi richiede alcune indispensabili condizioni:
- buone capacità intellettive;
- sufficienti capacità empatiche;
- corretta educazione e buon tirocinio;
- disponibilità all’ascolto;
- serenità interiore;
- buone capacità e disponibilità nel dare risposte coerenti, stabili, complete e soddisfacenti.
Buone capiùacità intellettive
Queste capacità permettono la corretta acquisizione, memorizzazione, analisi ed elaborazione dei segnali emessi dal bambino. Morin (2001. P.98) la chiama : comprensione intellettuale o oggettiva[1]. In tal modo, in ogni momento, la madre o chi ha cura del neonato, può utilizzare delle giuste ed efficaci chiavi di lettura. Modeste o scarse capacità intellettive non permettono di fare ciò, in quanto l’esatta interpretazione di quanto visto, udito, toccato, sfugge ad un esame lacunoso ed incompleto.
- Sufficienti capacità empatiche.
Accanto a buone capacità intellettive i genitori, ma soprattutto la madre, devono avere buone capacità empatiche. Devono, cioè essere in grado di immedesimarsi e identificarsi nel bambino, fino a cogliere in ogni momento i suoi pensieri ed i suoi stadi d’animo più profondi, senza la necessità di effettuare un’analisi razionale. Queste capacità che oggi alcuni studiosi collegano al buon funzionamento dei neuroni specchio, permettono alla madre di essere ‹‹particolarmente recettiva nel cogliere intuitivamente gli stimoli emozionali e corporei del bambino come li vivesse da sé›› (Fornaro, 2010, p.10).[2]
- Corretta educazione e buon tirocinio.
Una buona madre o anche una madre sufficientemente buona possiede, nel suo corredo cromosomico, tutte le potenzialità per una buona interpretazione dei messaggi se ha anche ricevuto un’educazione adeguata. Non basta, quindi, il cosiddetto istinto materno, se questo non viene costantemente sollecitato, potenziato e sviluppato, mediante l’educazione e l’esperienza. Purtroppo questa preparazione è molto carente nelle moderne società occidentali, in quanto in queste società è valorizzata, sia a scuola sia in famiglia, la preparazione di tipo tecnico – professionale, utile, in parte, solo per una futura attività lavorativa. È, invece, scarsamente presente l’educazione emotivo – affettiva, che si pone come finalità lo sviluppo di capacità indispensabili per affrontare, nel modo migliore possibile, i futuri ruoli di madre e di padre. Pertanto non sono trasmesse, in maniera adeguata e nei momenti più opportuni, le fondamentali specifiche informazioni e conoscenze riguardanti i bisogni dei bambini, i loro strumenti di comunicazione, l’uso che essi ne fanno, i significati dei segnali da loro emessi.
I genitori mancano, inoltre, del necessario bagaglio delle più adeguate ed appropriate risposte da dare alle sollecitazioni dei figli piccoli. Tale difficoltà si aggrava anche per la mancanza di un lungo e corretto tirocinio che dovrebbe essere effettuato con i piccoli della sfera familiare: fratelli, cugini, nipoti. Questa carenza è dovuta allo scarso numero delle nascite, ma anche alla modesta composizione della rete familiare. Anche quando sono presenti dei bambini piccoli manca, spesso, un valido, continuo ed efficiente tutoraggio materno, in quanto i bambini sono affidati sempre più frequentemente ad altre istituzioni come gli asili nido o ad altre mani e cuori come le tate e le baby-sitter.
- Disponibilità all’ascolto.
Per riuscire a comprendere un piccolo essere umano, come un neonato, che utilizza soprattutto messaggi non verbali di difficile interpretazione, è indispensabile che i genitori, e soprattutto la madre, riescano a creare attorno a loro e dentro di loro un notevole silenzio.Intanto riuscire a creare il silenzio esteriore è più facile a dirsi che a farsi. Se nelle società più semplici e povere di oggetti tecnologici questo tipo di raccoglimento è facilitato in quanto l’ambiente di vita lo favorisce, lo accoglie e lo valorizza, nelle società più complesse e più ricche di strumenti di comunicazione come le nostre, il raggiungimento di questo obiettivo è notevolmente arduo e problematico, in quanto gli altri: amici, parenti, colleghi di lavoro ecc., si aspettano, pretendono e vogliono da noi, alcuni tipi di comportamento e non altri. Essi si aspettano che si abbia almeno un cellulare, un televisore, una radio e un computer collegato ad Internet con posta elettronica in cui ricevere le varie E-mail e si meravigliano se non vedono il nostro viso su Facebook. Gli altri pretendono risposte rapide, se non immediate ad ogni messaggio da loro inviato, così come desiderano che il nostro cellulare e gli altri mezzi di comunicazione siano sempre attivi, pronti a ricevere le varie chiamate e i vari messaggi.
In definitiva gli altri si aspettano che noi siamo sempre collegati alla rete di comunicazione globale e costantemente pronti ad interagire con loro. Lo staccarsi da questa rete, anche se temporaneamente, è avvertito e giudicato negativamente: solo un essere originale, antiquato o con scarsa educazione e desiderio di socialità, si comporterebbe così. Pertanto per non essere giudicati male si è costretti ad adeguarsi rapidamente e pienamente all’uso corrente.
Altrettanto difficile è creare il silenzio interiore. Le attese e le richieste del mondo del lavoro e delle varie amministrazioni, le necessità dell’ambiente sociale, sono tali e tante che è estremamente difficile escludere, per il tempo necessario alla riflessione, le preoccupazioni e gli impegni che, come un rumore di fondo, si agitano dentro di noi creando confusione, inquietudine e ansia.
Pertanto diventa difficile e complesso riuscire a mettersi in ascolto dei delicati, tenui e complessi segnali emessi dal neonato.
Difficile è, inoltre, creare il silenzio interiore quando l’ansia, la depressione o lo stress agitano l’animo di chi soffre di queste problematiche. Lidz (1977, p.105) aveva evidenziato nelle famiglie dei pazienti schizofrenici ‹‹…l’incapacità dei genitori di percepire, comprendere o tollerare ciò che non rientra nel loro rigido sistema di difesa. “Inaccessibile” è un termine che si applica frequentemente alle madri o ai padri dei pazienti schizofrenici per indicare la loro incapacità di percepire i bisogni emotivi del bambino. Il genitore può “udire” ma non “ascoltare” ciò che il bambino dice, ed è ancora più sordo ai richiami muti››.[3]
Nella nostra società super competitiva, di questo tipo di stress soffrono sia gli uomini sia le donne, anzi soprattutto queste ultime, in quanto sono costrette a barcamenarsi tra i tanti ruoli che la moderna società occidentale impone loro, affinché si sentano perfettamente “libere, impegnate ed integrate”. La Sarchielli (2010, p.68) così descrive questo tipo di donne:
‹‹Sei una donna che ha un’agenda piena di appuntamenti e di cose da fare, che mette lo stesso impegno, entusiasmo e dedizioni nelle piccole e grandi attività a casa e sul lavoro? Nel tuo ambiente di lavoro sei sempre indaffarata in compiti diversi, affrontati anche simultaneamente e trovi in essi la fonte principale della tua identità personale? Ti impongono di gestire al meglio ogni responsabilità, senza compromessi e deleghe e senza mai dire di no? Ti sforzi di ricavare il massimo dai vari ruoli che ricopri come individuo, figlia, fidanzata, moglie, madre, donna in carriera? Vuoi dimostrare di essere sempre migliore degli altri nel lavoro, nella gestione dei figli, in famiglia, nello sport, nella cura dell’aspetto, nelle relazioni affettive, e nella vita sociale? Tendi raramente a staccare la spina, a fermarti per concederti un riposo? Se tutto questo corrisponde al tuo profilo è probabile che tu faccia parte della categoria delle superwomen››.[4]
Questo tipo di superdonne che vogliono fare tutto e bene, si accorgono presto o tardi di fare troppo e male e di essere cadute in una trappola sociale autoimposta, (Sarchielli, 2010, p.69)[5] in quanto notano ben presto che al loro malessere si associa anche il malessere dei figli e delle persone che sono a loro vicine.
Altra caratteristica che restringe e limita le capacità e possibilità di ascolto, è la personalità in cui è presente un Io ipertrofico. Questo tipo di personalità spesso è portato a riflettere poco, in quanto crede di possedere già tutte le informazioni che servono a capire e a prendere delle decisioni. In questi casi l’eccessiva sicurezza, con conseguente scarsa ponderatezza, impedisce di soffermarsi a controllare sia quanto avvertito dal piccolo bambino, sia la qualità e l’utilità delle risposte date.
- Una sufficiente serenità interiore.
Una buona serenità interiore è indispensabile per una corretta e sana comunicazione tra madre e figlio.
Tutte le alterazioni psicologiche provocate dall’ansia, dalla depressione, dall’irritabilità, dalla facile eccitabilità, ma anche dallo stress eccessivo, dall’uso di alcool e droghe di ogni tipo, disturbano più o meno intensamente, più o meno gravemente il dialogo genitore –figlio. Queste alterazioni della psiche alterano soprattutto le comunicazioni più delicate e complesse come quelle tra un bambino piccolo e la propria madre.
Buone capacità e disponibilità nel dare risposte coerenti, stabili, complete e soddisfacenti.
Non basta ascoltare un messaggio, non basta interpretarlo correttamente, bisogna anche riuscire a dare delle risposte stabili e coerenti nel tempo, complete e soddisfacenti rispetto ai bisogni del lattante. La risposta coerente comporta delle azioni successive che siano in sintonia con la richiesta contenuta nel messaggio. ‹‹Ho capito che hai sete e quindi ti do da bere››.. La risposta incoerente, al contrario, non tiene conto del messaggio in arrivo: ‹‹Ho capito che hai sete ma poiché in questo momento sto discutendo e non ho voglia di alzarmi, faccio finta di non capire e ti dico di stare buono e tranquillo››. Per evitare di dare una risposta coerente, a volte, si può fare anche di peggio, come accusare il figlio di fare delle richieste inopportune: ‹‹Possibile che ogni volta che godo nel chiacchierare con le amiche tu mi devi disturbare con le tue richieste?››
La risposta è stabile nel tempo quando il soggettocontinua ad offrire sempre lo stesso tipo di comportamento positivo. Le risposte sono complete e soddisfacenti quando i bisogni del bambino sono soddisfatti pienamente e non solo in parte.
[1] E. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Op. cit., p.98.
[2] M. FORNARO., L’empatia e le sue basi neurologiche, in “Psicologia contemporanea”, settembre-ottobre, 2010, p.10.
[3] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, Torino, Editore Boringhieri, 1977, p. 105.
[4] G. SARCHIELLI, Diventare superwoman- Una trappola sociale, in “Psicologia contemporanea”, settembre-ottobre 2010, p.68.
[5] Ibidem, p.69.