UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Chi è la madre per un neonato?
Tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che per la crescita serena di un bambino il rapporto con la madre è il più importante e fondamentale. Ma chi è la madre nei primi giorni e nei primi mesi di vita del nuovo essere umano? Alla nascita il bambino non ha ancora la consapevolezza di qualcosa al di fuori di lui. Non ha ancora lo sviluppo del sé, né ha il concetto di una persona diversa da un’altra. Quando questo qualcosa al di fuori di lui comincia a formarsi e a concretizzarsi (la diade) tutto l’ambiente esterno assume il contorno di ciò che noi chiamiamo “madre”.
Pertanto la madre buona è fatta dal suo seno caldo da cui sgorga il nutrimento ma anche l’appagamento.
La madre buona è il suo ventre morbido e accogliente, sono le sue braccia che l’accolgono, cullano e confortano, quando l’angoscia l’attanaglia.
La madre buona è anche un ambiente pulito e luminoso nel quale non vi sono rumori eccessivi o improvvisi, né tanto meno grida irritate o scoppi di collera.
La madre buona è un papà che sa cullarlo e proteggerlo e sa accarezzare il suo corpo con dolcezza, sa rendere la sua compagna della vita serena e sicura.
La madre buona è una nonna o un nonno che dolcemente si relazionano con lui , mentre nel contempo, da consigli e insegna alla puerpera ma anche al nuovo padre, come soddisfare i bisogni del loro figlio, le sue necessita, i suoi desideri, ma anche come sopire i suoi timori e le sue inquietudini. Una madre buona è un nonno o una nonna che si impegna a far capire ai novelli genitori i significati del pianto che sembra sempre uguale in ogni circostanza ma che a poco a poco si differenzia e quindi uguale non è.
Una madre buona è anche la sensazione che ha il bambino quando tra i genitori vi è reciproco rispetto, benevolenza e disponibilità unita a una calda, serena, intesa. Intesa che egli avverte dalle braccia rilassate e serene che l’accolgono, dal tono della loro voce, dall’attenzione che essi hanno tra di loro.
Allo stesso modo abbiamo il dovere di estendere il concetto di madre cattiva.
Una madre cattiva può avere anche l’aspetto di una nursery dove i bambini sono accuditi in maniera asettica e formale da personale “specializzato”, ma incapace di relazionarsi in maniera calda e accogliente con i piccoli ospiti, mentre alle madri e ai bambini viene sottratto quel momento magico e prezioso nel quale la loro unione, la loro vicinanza e il loro contatto, avrebbero dovuto portare ad un dialogo proficuo, ad una forte intesa e ad uno stretto legame. Legame indispensabile sia alle mamme sia ai bambini per instaurare ed iniziare bene un comune, proficuo cammino.
Una madre cattiva può essere un ambiente ospedaliero o di riabilitazione poco attento ai bisogni psicologici dei piccoli. Per Winnicott (1987, p. 75), in alcuni casi le offese sono attuate anche dai medici, dalle infermiere e dal personale che assiste il bambino nei giorni nei quali si trova in una struttura di ricovero. Questo personale, a volte, è più preoccupato della pulizia, della gestione e dell’organizzazione della struttura, che non delle emozioni e sentimenti che si agitano e vivono nell’animo dei loro piccoli ospiti.[1]
Una madre cattiva può avere l’aspetto di un asilo nido dove il personale che si occupa dei bambini non ha le qualità, le capacità e l’amore materno, ma soprattutto non garantisce al bambino quel dialogo, quella continuità, stabilità e comunione che lui va cercando.
Una madre cattiva può essere anche un padre che teme di distogliere attenzione e tempo alle sue mille occupazioni, trascurando in tal modo i suoi compiti specifici di cura nei confronti del figlio.
Una madre cattiva può avere il volto di una nonna o di un nonno i quali, piuttosto che dare il proprio apporto e la propria vicinanza e assistenza ai genitori e al bambino, preferiscono impegnare il proprio tempo in altre occupazioni, privando il nipotino di quella molteplicità di apporti che avrebbero potuto e dovuto arricchirlo e soddisfarlo.
Una madre cattiva può avere l’aspetto di una famiglia o di due genitori nei quali imperversa la conflittualità, la freddezza, lo scontro e la lotta. Una famiglia nella quale gli atteggiamenti aggressivi, la violenza verbale e non, la diffidenza e l’intransigenza sono frequenti e usuali.
Ci sembra giusto quindi ampliare così come hanno fatto molti studiosi prima di noi: Sullivan, Fromm, Horney, Erikson, Haley, il concetto di madre, all’ambiente che circonda il bambino, in quanto è questo ambiente che, in molti casi, condiziona positivamente o negativamente il suo mondo interiore.
Per Lidz (1977, p.28):
‹‹La famiglia, naturalmente, non è il solo fattore che influenza l’evoluzione del fanciullo. Tutte le società dipendono da altre istituzioni che, al di fuori della famiglia, provvedono al suo processo di acculturazione, e tale esigenza aumenta nella misura in cui la società diventa più complessa››.[2]
Per tali motivi, ogni volta che un bambino viene danneggiato, dobbiamo sentircene tutti responsabili, individualmente e collettivamente, senza scaricare le colpe solo sulle spalle della madre o del padre. Il bambino cosiddetto “disturbato” non è, pertanto, soltanto il frutto di una madre o un padre con problemi, ma è anche la conseguenza di una società malata che direttamente o indirettamente agisce negativamente sui minori.
Dobbiamo, inoltre, necessariamente specificare, che a differenza di noi adulti, il bambino piccolo, non fa, almeno inizialmente, della madre buona o cattiva un problema etico o morale. Per il neonato i comportamenti di chi a cura di lui sono una questione vitale. Se una madre è buona egli ha la possibilità di sopravvivere e crescere bene; se non lo è, vi è il grave rischio che possa essere danneggiato notevolmente nel suo sviluppo fisico e/o psichico.
Bisogna, inoltre, aggiungere che la stessa persona che cura il neonato, lo stesso gruppo familiare, lo stesso ambiente, possono essere buoni o cattivi a seconda delle circostanze o in momenti diversi. Buoni quando il loro comportamento è confacente ai bisogni del neonato, cattivi quando non lo è. Poiché, come dice Sullivan (1962, p. 110), la madre buona è simbolo di soddisfazione imminente, la madre cattiva è simbolo di malessere e di angoscia,[3] è naturale che il bambino instauri un maggior legame, intesa e disponibilità con la madre buona, mentre reagisce nei confronti della madre cattiva con più irritabilità, inquietudine, aggressività, scarso o modesto legame e dialogo se non con netta chiusura. Per questo motivo, se avverte che al suo richiamo arriva la madre con caratteristiche positive di disponibilità, affettuosità e tenerezza, egli si quieta, ma se arriva la madre “cattiva”, in quanto ansiosa, tesa, irritabile, disattenta o con scarsa disponibilità, egli continua a piangere e si accentua la sua inquietudine. Ciò innesca un circolo vizioso: più la madre trascura o non comprende le necessità del bambino, più il bambino risponde con irrequietezza, pianto, rifiuto dell’alimentazione, disturbi gastrointestinali, diminuzione delle difese immunitarie e quindi con più malattie. Tali malattie e disturbi, a sua volta, mettono in crisi la già scarsa pazienza di questi genitori e familiari, i quali risponderanno con maggiore ansia e nervosismo che si trasmetterà al bambino accentuando i sintomi di malessere.
[1] Cfr. D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Op. cit., p.75.
[2] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, Op. cit., p. 28.
[3] Cfr. H.S. SULLIVAN, Teoria interpersonale della psichiatria, Op. cit., p. 110.