UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
IL LAVORO D’EQUIPE IN UN CONSULTORIO UCIPEM
Punti d’eccellenza e disfunzioni
Autrice: Raffaella Moioli
L’EQUIPE
Il lavoro d’equipe è il metodo più efficace per consentire il raggiungimento degli obiettivi professionali all’interno di un consultorio familiare. In un contesto socio-assistenziale, il gruppo di lavoro rappresenta una vera e propria risorsa, prevedendo la collaborazione di più figure professionali (medici, ginecologi, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, consulenti familiari, assistenti sociali, educatori, avvocati e altri specialisti secondo la struttura di riferimento) che operano in modo integrato.
Si parla di equipe integrata quando si riesce a rispettare la specificità dei diversi ruoli e a porre l’accento sulla suddivisione dei compiti e sulla collaborazione avendo tutti un orizzonte comune, pur rispettando rapporti gerarchici, autonomie e indipendenza tecnica. L’organizzazione di periodiche riunioni con cadenza regolare, fornisce ai diversi professionisti un importante momento di confronto e condivisione delle informazioni rilevate inerenti l’utenza, che consente di raggiungere una visione più globale e completa dei casi di cui questi si occupano, grazie all’apporto che ognuno, secondo il proprio ruolo e la propria prospettiva, è in grado di portare. Anche un monitoraggio in itinere, attraverso progressivi aggiornamenti in riunioni successive, permette di apporre cambiamenti opportuni laddove i piani stabiliti inizialmente non si mostrino del tutto efficaci; l’aggiunta, alla capacità progettuale dell’equipe, della qualità della flessibilità, consente una maggiore efficacia nel raggiungimento dell’obiettivo, cioè dell’efficacia dell’intervento. Ritengo comunque, qualunque sia il tipo di consultorio in cui siete inseriti e qualunque sia la tipologia di figure professionali che lo compongono, non si possa mai prescindere da alcuni principi; tutti i membri hanno la responsabilità di ricordare che: o Il gruppo è un sistema di parti interdipendenti o E’qualcosa di più e di diverso dalla somma delle sue singole parti o La struttura della comunicazione è ciò che interconnette le varie parti tra loro.
LA COMUNICAZIONE
Per una buona attività di equipe è però necessario assicurarsi che ci sia una comunicazione che favorisca il confronto e visioni diverse dello stesso problema a discapito dello scontro sterile tra opinioni. Nell’equipe consultoriale la comunicazione si realizza su diversi livelli: contenuti; (riguarda la definizione del caso problematico, degli obiettivi e delle operazioni per raggiungerli), metodi (riguarda l’organizzazione della comunicazione, dei suoi spazi, dei tempi e delle modalità di turnazione), processi comunicativi (è inerente alla struttura conversazionale), dinamiche di gruppo (è inerente alla gestione di eventuali conflitti e altri processi relazionali). Il conduttore dell’equipe deve prestare molta attenzione a tutti questi livelli al fine di garantire un lavoro di gruppo efficace e preservante sia per l’utenza sia per i partecipanti al gruppo. Nel lavoro di un’equipe multidisciplinare il clima deve favorire la comunicazione ed evitare dinamiche dove ognuno rimane chiuso nella propria posizione; accogliere il punto di vista delle altre figure professionali e considerarlo come completamento del proprio è una conditio sine qua non che ciascun professionista/volontario deve avere per saper lavorare in equipe. Secondo la prospettiva della “Comunicazione ecologica”, metodo ideato da Jerome Liss, è fondamentale coltivare le risorse di ogni persona, saper rispettare le diversità e nello stesso tempo mantenere una coesione globale dell’equipe in modo tale che i partecipanti possano agire insieme per un obiettivo comune. La comunicazione deve rispettare l’equilibrio tra i bisogni dell’individuo e gli scopi del gruppo. Va da sé che un leader autoritario che non favorisce quindi la mutua partecipazione di tutti i membri non consente la creazione del clima necessario per un lavoro di equipe dove il feedback delle diverse figure professionali presenti è caratteristica prioritaria per poterlo definire lavoro d’equipe. Il leader deve quindi essere anche facilitatore, ovvero deve: o guidare senza schiacciare o stimolare senza agitare o integrare senza spaccare o aiutare senza soffocare o rimanere paziente quando ci sono tempeste o intervenire con giudizio al momento opportuno
Il «principio ecologico» nella comunicazione ci porta a rispettare l’individuo («rispettare la diversità») e nello stesso tempo a cooperare con il gruppo («rispettare il contesto»). (Liss 1992)
“Il superamento dell’individualismo (che non è rinuncia all’identità), dell’affermazione e dell’autonomia individuale, la capacità di essere in relazione e di concepirsi insieme, il sentirsi “squadra”, portare cioè la responsabilità del proprio lavoro e metterlo in relazione di crescita con il lavoro degli altri in un dinamismo profondo e dialettico, rendono l’équipe un organismo vivo e costantemente in crescita”. Vittoria Sanese.
A tutti i partecipanti è comunque richiesto di saper riconoscere i propri limiti e essere aperti all’idea che l’altro possa fornire informazioni, conoscenze e competenze che possono essere integrate con le proprie per operare al meglio. E’ necessario che il partecipante tenga sempre presente che lo scopo principe è quello di migliorare lo stato di benessere dell’utenza presa in carico e non di dimostrare che la propria visione è la migliore. LA PREVENZIONE Il lavoro di equipe rappresenta anche un momento importante di supporto psicologico per tutti i suoi membri, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti negativi che il rapporto con le problematiche e le tematiche sociali e sanitarie quotidianamente propone. Tutte le figure operanti nell’equipe, infatti, possono incorrere in reazioni psicologiche, affettive ed emotive da stress assistenziale ed è nell’aiuto degli altri componenti del gruppo che si possono trovare i mezzi idonei al superamento della crisi. Il rischio maggiormente presente per chi opera nell’ambito socio-assistenziale è quello di incorrere in “burnout”, ovvero come dice il termine di “bruciarsi”. Questa sindrome colpisce infatti soprattutto quelle professioni in contatto con persone in stato di sofferenza e che mettono il caregiver (operatore che offre aiuto) nella condizione di percepire una forte responsabilità nel dare sempre risposte immediate e puntuali, anche quando ciò non è possibile a causa di insufficienti risorse sia umane che economiche. Questa sindrome può dare sia sintomi a livello fisico (tachicardia, cefalea, nausea, disturbi
gastrointestinali e spossatezza) sia a livello psicologico (senso di inadeguatezza, depersonalizzazione, isolamento, negatività, rabbia e risentimento, depressione, distacco ed evitamento). La riunione d’equipe svolge anche la funzione di prevenzione di questo rischio. Gli altri partecipanti fungono da fonte di sostegno per ogni collega che percepisca la sensazione di non avere abbastanza risorse per affrontare le diverse situazioni da solo o che non riesca a tollerare una possibile discrepanza tra motivazioni personali e quelli dell’organizzazione. All’interno dell’equipe devono quindi poter emergere le difficoltà riscontrate durante il lavoro, per poter affrontarle con gli altri, con l’obiettivo di mantenere sempre alta in ognuno la motivazione e la fiducia in se stessi e nel proprio operato. La migliore strategia per combattere il burnout è la prevenzione, possibile all’interno di un equipe dove l’obiettivo si estende dal pianificare un modo per alleviare il disagio dell’utenza a quello di prevenire quello degli stessi professionisti. ALCUNE… DISFUNZIONI Riassumendo, le caratteristiche che un’equipe consultoriale deve avere per un sano, corretto ed efficace funzionamento sono molteplici poichè stiamo parlando di un sistema complesso (concetto che approfondiamo più avanti)
– comunicazione aperta
– senso dello scopo condiviso
– flessibilità ed adattabilità della capacità progettuale
– procedure efficaci (nel metodo di lavoro e nei sistemi di comunicazione)
– apprendimento continuo; o si apprende o si regredisce: il continuo cambiamento che le nuove tecnologie comportano con il loro continuo evolversi obbliga il singolo e l’organizzazione ad apprendere nuovi konw how altrimenti non è possibile stare in rete con il resto del mondo.
– Fiducia reciproca
– Valorizzazione delle differenze
Di conseguenza, ci saranno disfunzioni laddove:
o non è possibile lo scambio di riflessioni sugli interventi dei diversi operatori
o il lavoro di gruppo non aiuta a dare senso alla frammentarietà degli interventi
o la comunicazione nell’equipe, i tempi e metodi della riunione non consentono una visione completa dell’intervento integrato e di avere un feedback continuo sul suo andamento, sottolineando l’attenzione ai diversi bisogni dell’utenza
o gli operatori non si sentono supportati nella gestione del coinvolgimento emotivo in situazioni gravi, complesse e spesso frustranti
o il clima in riunione non consente di migliorare la comunicazione tra operatori
o non si prendono decisioni condivise, scaricando il peso di ogni decisione inerente l’utente sul singolo operatore
o presenza di dogmatismo (la “mia verità” è “la verità” assoluta)
o riunione d’equipe dove il tempo è insufficiente a far parlate tutti
o uso abituale della critica e assenza o raro uso di apprezzamento
o manca la voglia di apprendere
o non c’è chiarezza nella percezione della differenza tra stabilità e chiusura del sistema; non c’è chiarezza nella percezione di differenza tra evoluzione/cambiamento e schizofrenia del sistema.
LA PROGETTAZIONE
Oggetto dell’equipe consultoriale è in genere la costruzione di una risposta di consulenza ad una domanda posta dall’utente.
In alcuni consultori Ucipem vengono però portati avanti anche progetti rivolti all’esterno e/o agiti fuori sede come ad esempio i progetti rivolti alle scuole, o le serate a tema rivolte ai genitori, svolte presso Parrocchie o associazioni genitori. Questi ed altri interventi affini presuppongono un importante momento di progettazione. Ecco allora che l’equipe può divenire luogo e momento per questa azione progettuale. Questo compito implica scelte, valutazioni, decisioni che coinvolgono una o più professionalità e introducono nell’equipe nuove dimensioni di potere tra le diverse figure e ulteriori dinamiche relazionali tra i membri dell’equipe che vanno ad intrecciarsi e ad interagire con quelle già preesistenti.
LA LEADERSHIP
Lo stile di leadership che contraddistingue un sistema aperto, complesso e in continua evoluzione al suo interno e in continuo interscambio con l’esterno richiede uno stile di
leadership che consenta questi processi, li monitori senza soffocarli, li guidi e sappia orientarli nella direzione della crescita del singolo e dell’organizzazione pur mantenendo la “rotta” ben orientata rispetto all’orizzonte comune.
Uno stile eccessivamente direttivo rischia di diventare autoritario; uno stile troppo supportivo rischia il paternalismo e uno eccessivamente persuasivo diventa facilmente manipolativo; uno stile eccessivamente coinvolgente/partecipativo diventa assemblearismo, non si decide nulla se non con il consenso di tutti quelli coinvolti; uno stile troppo delegante può degenerare in “scarica barile”, cioè l’ eccessiva autonomia può diventare abbandono oppure al contrario può sfociare in lassismo (come se il capo non ci fosse). Il leader deve saper agire modalità diverse a seconda della situazione ma in maniera coerente ed integrata. E’ un equilibrio molto difficile ed uno stile verso cui tendere più che un punto fermo da raggiungere. Condizioni imprescindibile è la conoscenza dei diversi stili, la consapevolezza di quelli che si è capaci di agire e l’atteggiamento di disponibilità verso nuovi apprendimenti di stili.
Esempi di possibili errori con conseguenti disfunzioni sono:
– Dirigere collaboratori adottando uno stile centrato su di sé (autocentrato) invece che centrato sui membri dell’equipe e sulla crescita organizzativa
– Tenere uno stile funzionale ad un livello di maturità inferiore a quello effettivo: ad esempio, uno stile direttivo con collaboratori di maturità medio alta potrebbe portare a una sorta di involuzione nella capacità delle persone di assumersi responsabilità, incarichi e così via
– Avere uno stile delegante nei confronti di collaboratori con maturità bassa o medio bassa rischierebbe di far sentire queste persone abbandonate; vivrebbero così la delega come uno scarico di responsabilità da parte del capo
– Presidiare la norma anziché gestire gli eventi critici
– Credere che la collocazione virtuale di un collaboratore in una posizione (ruolo, compito, mansione)… valga per sempre!
Lo stile di leadership deve gradualmente modificarsi nel tempo in linea con i cambiamenti dei singoli e dell’organizzazione stessa; il leader deve guardare, ascoltare con costanza i segnali di evoluzione di cambiamento di ogni singolo collaboratore.
Punti di eccellenza della leadership. Il leader potrà delegare più discrezionalità se le persone del gruppo manifestano bisogni di autonomia; manifestano prontezza
nell’assumere responsabilità; manifestano tolleranza per situazioni di ambiguità; sono interessati al problema e lo ritengono importante; comprendono gli obiettivi dell’organizzazione e vi si identificano; hanno esperienza e conoscenze necessarie; sono abituati a partecipare al processo decisionale. Se i membri dell’equipe non hanno queste caratteristiche è bene che il leader lo tenga presente e ne sia consapevole al fine di poter scegliere lo stile più funzionale a guidare quel gruppo di persone e al fine di costruire un sistema di apprendimenti che dia il via ad un processo evolutivo dell’equipe in quella direzione.
La leadership è l’arte di far si che le persone facciano quello che tu vuoi perché lo vogliono anche loro. Dwight D. Eisenhower LA SUPERVISIONE NELL’EQUIPE Aiutare le persone è faticoso e stancante. L’equipe consultoriale impegnata nel dare aiuto necessita quindi anche di sostegno e accompagnamento, oltre che di sviluppo di competenze rispetto all’operatività; e il tutto non solo per sé, ma anche per migliorare la qualità professionale erogata. La supervisione non è “controllo” sui collaboratori e sul loro stato di salute o funzionalità, né una psicoterapia di gruppo, ma un percorso di coscientizzazione costruttiva dei problemi presenti sia in ambito relazionale con l’utente sia con l’organizzazione presso cui si è inseriti. La supervisione inoltre è anche il luogo in cui lo psicologo, l’assistente sociale, il mediatore familiare e così via possono ottenere un sostegno motivazionale. La supervisione di equipe ha un duplice obiettivo: monitorare le scelte cliniche ed elaborare le dinamiche gruppali.
E’ indispensabile laddove uno o più di questi obiettivi necessitano di un intervento esterno per essere portati avanti. Auspico che l’eventuale supervisore reclutato sia uno psicoterapeuta come formazione e che abbia almeno 10 anni di esperienza nella conduzione di riunioni di equipe consultoriali e anche di altri tipi di equipe. La scelta di un supervisore che non abbia sufficiente esperienze di casi clinici, di dinamiche di gruppo, di situazioni e dinamiche d’equipe, di servizi consultoriali, di relazioni tra diverse professionalità e di relazioni tra diversi ruoli è molto peggio dell’assenza di un supervisore.
Auspico che un domani l’Ucipem possa creare una lista di Supervisori d’equipe “garantiti” dall’Ucipem stesso.
Altro aspetto importante di cui si occupa la Supervisione è quello di aiutare a far emergere e a far vedere le emozioni e fantasie che si sviluppano nella relazione con l’altro, i propri sentimenti di onnipotenza, di impotenza e di colpa che la relazione con l’utente attiva.
È inoltre utile a individuare quegli ostacoli e quelle barriere relazionali che impediscono la realizzazione di progetti e interventi, allo scopo di favorire l’apprendimento di nuove modalità di risoluzione.
IL CLIMA
All’interno dell’equipe possiamo distinguere due livelli: un LIVELLO FORMALE che è costituito dalle variabili razionali, formalizzate (struttura, ruoli, strumenti, risorse finanziaria, meccanismi operativi), conosciute dai membri del gruppo; e un LIVELLO INFORMALE che invece è dato dalle variabili che emergono spontaneamente in base ai vissuti emotivi dei membri del gruppo e che scaturiscono dai bisogni individuali dei singoli membri, influenzandone relazioni ed emozioni.
Il CLIMA è una variabile informale che si colloca nella parte emotiva del gruppo di lavoro o organizzazione e determina la PERCEZIONE del suo “funzionamento” da parte dei membri stessi.
Da una prospettiva dinamica, il livello informale comprende le fantasie, gli affetti, i desideri, le aspettative, le motivazioni, le frustrazioni che ogni persona dell’equipe sviluppa verso il gruppo stesso, il compito, il leader, l’organizzazione cui appartiene, ecc.
I bisogni individuali dei componenti dell’equipe, le scelte personali, le modalità di interazione interpersonale, il processi di influenza, i ruoli presenti, i conflitti intra ed interindividuali più o meno espliciti sono tutti ingredienti che vanno a determinare il CLIMA dell’equipe.
Disfunzioni nel benessere dell’equipe e nei risultati da questa prodotti possono essere ricercate anche su questi livelli.
E’ utile (anche se non esaustivo) ricordare le regole dell’attrazione interpersonale. La presenza di questi elementi è di aiuto rispetto alla coesione dell’equipe come di qualsiasi gruppo. Un individuo tende a scegliere di stare con coloro:
– che possiedono in alto grado caratteristiche socialmente desiderabili
– che per atteggiamenti, valori ed estrazione sociale sono o sono percepiti come più simili a lui (vicinanza affettivo-ideale)
– che ritiene lo giudichino favorevolmente
– che percepisce come utili ad aiutarlo ad ottenere soddisfazione ai propri bisogni
Le persone percepiscono di appartenere ad un gruppo quando:
– vivono delle esperienze di interazione
– sono state chiarite le differenze di percezioni su obiettivi
– sono chiari i tipi di comunicazione utilizzati e le regole del gioco
– vengono discusse le relazioni interne ed esterne del gruppo
– sono stabilite delle regole per la partecipazione al gruppo chiare
– sono concordati metodi di lavoro
– è garantito a ciascuno dei membri un posto ed uno spazio nel gruppo
Si sia instaurata una certa fiducia reciproca
Va da sé che disfunzioni, resistenze e difese sono forti quando: mancano informazioni, non c’è chiarezza nelle regole di interazione, l’atteggiamento delle persone è valutativo/conflittuale, mancano le informazioni, si è in presenza di pregiudizi, ci si sente minacciati nel proprio ruolo/potere, non ci si sente riconosciuti nelle proprie competenze.
L’EQUIPE E IL CONTESTO
La complessità del sistema in cui si è inseriti: rapporti con le altre strutture del territorio; leggi e decreti; figure professionali emergenti è un altro aspetto importante nell’influenzare sorti, esperienze e quindi anche vissuti dell’equipe.
Operare come sistema significa collocarsi in una logica di complessità: dove ciascun membro si deve riconoscere quale elemento di una rete relazionale, consapevole che le sue azioni interagiscono con quelle di altri; l’equipe specifica deve riconoscersi quale elemento di una rete di equipe e sotto-equipe consultoriali; la macro-equipe consultoriale
e il Consultorio stesso devono riconoscersi quale elemento di una rete di altri enti con equipe e Servizi rivolti al territorio.
I cambiamenti in cui si ritrovano coinvolte le famiglie influiscono enormemente sul lavoro consultoriale. La società è in rapida e continua trasformazione: le modalità di stare in coppia e di costruire famiglia, le nuove famiglie ricostituite, le situazioni di separazione estremamente conflittuali con dinamiche rese più accese dalla povertà economica, la solitudine delle persone per il passaggio negli anni ad organizzazioni familiari con nuclei più piccoli, la carenza di lavoro che porta ad un aumento di atteggiamenti e comportamenti competitivi nell’ambito delle relazioni interpersonali, la carenza di fondi destinati ad enti pubblici e privati adibiti a dare delle risposte a questi bisogni, l’aumento della disoccupazione, che significa padri di famiglia a casa tutto il giorno impoveriti del loro ruolo di portatore di beneficio economico in famiglia, sono tutti cambiamenti che hanno prodotto nuovi bisogni che chiedono ai Consultori Familiari risposte sempre più adeguate, chiedendo di definire quindi nuovi spazi d’intervento e di ampliare l’offerta attiva del consultorio, con azioni di supporto alle relazioni di coppia e a quelle genitoriali nelle diverse fasi del ciclo di vita (Piano Nazionale per la Famiglia, 2012).
La complessità che caratterizza le nuove richieste di aiuto che giungono all’equipe è conseguenza di tutte le trasformazioni in corso che avvengono a livello della società. L’equipe si ritrova a dover evolvere perché può ritrovarsi a non avere sufficienti strumenti, spazi, fondi economici per rispondervi. E’ questa un’altra importante occasione di stress che deve essere guidata e trasformata in occasione di crescita, con la consapevolezza di dover continuare misurare costi e benefici di ciascuna scelta.
APPUNTI PER CONTINUARE LA RIFLESSIONE … PERCHE’ NON SI PUO’ SMETTERE DI IMPARARE
Anche gli errori e le loro conseguenze sono informazioni utili allo sviluppo.
La frequenza con cui affrontiamo i fattori di stress gioca un ruolo fondamentale. Gli esseri umani tendono a rendere di più quando lo stress è acuto rispetto a quando è cronico soprattutto se la fase di stress ha un termine seguito da periodi di recupero e di tranquillità
che consente all’individuo di riprendere il controllo sul proprio stato d’animo, a patto di riuscire a risolvere la causa. Uno stress invece a livello basso ma costante e senza periodo di recupero è nocivo e dannoso (Nassim Nicholas Taleb).
E’ importante avere procedure, ruoli, e meccanismi ben funzionanti e delineati ma essere vigili nello scorgere i segnali di una dissonanza nel funzionamento di un dato modo di procedere su una specifica situazione. Dobbiamo ricordare che lavoriamo con informazioni di tipo emotivo, relazionale e non solo razionale: non tentiamo di applicare modalità di ragionamento digitali ad un oggetto così variabile come sa esserlo solo la natura umana. Accettiamo la possibilità del cambiamento senza cadere nell’ingovernabilità dell’assenza di regole. Accettiamo la mission di lavorar bene come un processo continuo di tensione verso degli obiettivo attraverso un cammino di continua crescita ed evoluzione.
Ostacolare la casualità in un sistema non è sempre una buona idea. Spesso l’aggiunta di casualità (questa si ottiene rimanendo un sistema aperto a nuove idee, proposte, progetti) è necessaria. “Un asino affamato e assetato che si trovi ad eguale distanza tra il cibo e l’acqua morirà inevitabilmente di fame o di sete. Ma può essere salvato grazie a una spinta casuale in una direzione o nell’altra. Questa è la metafora dell’asino di Buridano, dal nome del filosofo medievale Giovanni Buridano, il quale – oltre a d altre cose molto complesse – ha inventato l’esperimento. Quando i sistemi sono impantanati in un’impasse pericolosa, solo la casualità può sbloccarli e liberarli. “
Bibliografia
Jerome K.Liss, La comunicazione ecologica. Manuale per la gestione dei gruppi di cambiamento sociale. Edizioni La Meridiana, pp.11-12, 1992.
Nassim Nicholas Taleb, “Antifragile” Edizioni Il Saggiatore 2012
Vittoria Maioli Sanese, “L’equipe, luogo generativo di formazione nella condivisione” art.
V. Majer (a cura di) “Ricerca e professionalità in psicologia del lavoro e delle organizzazioni”. Erip editrice 1986
Adalgisa Battistelli, Vincenzo Majer, Carlo Odoardi “Sapere, Fare, Essere”. Franco Angeli. 1992
AIF-Associazione Italiana Formatori “Professione Formazione. Franco Angeli. 1990
Massimo Santinello “La sindrome del burnout”. Erip editrice 1990
Christina Maslach e Michael P. Leiter “Burnout e organizzazione”. Edizioni Erickson. 2000